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L’adolescenza comeprodotto culturale efenomeno storico

❱❱ 1. immagini psico-sociali dell’adolescenzaAdolescenti e giovani sono stati riconosciuti come gruppo particolare e come sogget-to sociale soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, periodo in cui il miglioramento delle condizioni sociali e l’innalzamento della scolarizzazione hanno permesso loro di emergere come sistema caratterizzato da gusti, interessi e comportamenti autonomi, disponibilità economica, tempo libero, creatività, recettività e apertura al cambia-mento, fattori su cui la società dei consumi poteva puntare per la creazione e la fruizio-ne di nuove merci e stili di vita. Allo stesso tempo, proprio la «diversità» degli adole-scenti rispetto agli adulti rendeva più difficile il controllo del loro comportamento so-ciale, le cui forme di trasgressione alla morale adulta venivano avvertire come minac-ciose o comunque allarmanti. Nasceva così la «questione giovanile», riconosciuta a tutti gli effetti anche come problema pedagogico per la difficoltà delle agenzie educa-tive tradizionali (famiglia, scuola) a interagire efficacemente con i bisogni di adolescen-ti e giovani e di evitare il conflitto fra essi e le generazioni più anziane.

❱ 1/1 Frammentarietà della condizione giovanileEspressioni come «condizione giovanile» e «questione giovanile» sono oggi assai frequenti nell’opinione pubblica, sebbene termini come giovane e adolescente siano usati in modo abbastanza confuso (neanche le diverse discipline che si occupano dello studio di questa condizione si trovano in completo accordo nell’indicare i suoi limiti cronologici). L’adolescenza, tipicamente, presenta infatti:

• caratteristiche biologiche (connesse con il raggiungimento della pubertà e con la capacità di generare figli);

• caratteristiche psicologiche (come il raggiungimento del pensiero ipotetico-de-duttivo di cui parlava Piaget);

• caratteristiche sociali (come la progressiva autonomia dal controllo familiare).

Si tratta di dimensioni spesso strettamente collegate ma non necessariamente paral-lele. Ad esempio, la maturazione fisica può precedere o seguire la maturazione psicologica; le richieste sociali possono anticipare o seguire con molto ritardo i cambiamenti nelle altre sfere.

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Secondo la psicoanalista francese Françoise Dalto, attenta soprattutto ai risvolti psi-cologici di questa condizione, l’adolescenza è «una zona turbolenta che ognuno vive in funzione della propria relativa precocità o al contrario dei propri indugi, secondo un ritmo individuale». Se è dunque difficile stabilire in modo univoco «quando» hanno inizio e fine adole-scenza e condizione giovanile, bisogna riconoscere che le cose non vanno molto meglio per la definizione di «come» tali fasi della crescita sono caratterizzate. È stata più volte evidenziata la frequenza, nell’opinione comune, di stereotipi diffusi sui giovani come categoria sostanzialmente omogenea: secondo questo modo di ve-dere, essi sarebbero «tutti uguali». Alla base di questo assunto oggi vi sono anche alcuni fatti reali: secondo una ricerca condotta dal Centro per lo Studio dell’Adole-scenza dell’Università di Chicago, conclusa nel 1990 su un campione di circa seimi-la giovani distribuiti fra Australia, Bangladesh, Ungheria, Israele, Italia, Giappone, Taiwan, Turchia, USA e Germania, molti giovani del mondo hanno numerosi tratti comuni, come l’orientamento prioritario verso il gruppo dei pari, la prevalenza di interessi per il futuro e il lavoro, la famiglia come importante punto di riferimento. A giudizio degli autori della ricerca, all’origine di queste caratteristiche comuni sta la fruizione dei mass media, in grado di annullare le differenze culturali fra i diversi processi di sviluppo. Tuttavia, la condizione di adolescenti e giovani non è facilmen-te generalizzabile. Variabili come la cultura di appartenenza, la classe sociale, lo status, le esperienze individuali modificano fortemente il modo in cui ogni persona affronta questo periodo della vita.

Fattori che caratterizzano l’adolescenza

La percezione della complessità della condizione giovanile ha spinto molti studiosi a cercare di sfatare gli stereotipi sviluppati a questo riguardo. A titolo di esempio si può ricordare che una delle immagini più frequenti dell’adolescenza nella nostra cultura è quella di un periodo altamente critico e conflittuale, una sorta di «svilup-po precipitoso», in cui sperimentazione, rischio e conflitto, direttamente connessi con la condizione psicofisica tipica degli adolescenti, non possono essere evitati ma solo attenuati. L’antropologa Margaret Mead, invece, ha messo in luce nel suo celebre Adolescenza in Samoa (1928) come le categorie di crisi e disagio, tipicamente utiliz-zate nella società occidentale per descrivere l’adolescenza, risultino sostanzialmente assenti nell’esperienza dei giovani samoani, per i quali il passaggio dall’infanzia all’età adulta si verifica senza conflitti o difficoltà particolari. È stata così accettata l’idea che molti degli aspetti della «crisi» adolescenziale dipendano dalle modalità sociali ed educative con cui la comunità interagisce con gli adolescenti, divenendo spesso fonte di ulteriori conflitti. È stato anche affermato che esistono non «una», ma «molte» adolescenze, con molteplici compiti di sviluppo e molteplici «crisi», ciascu-na legata a un determinato problema specifico.

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❱ 1/2 Diversi approcci allo studio dell’adolescenzaLo studio dell’adolescenza è stato affrontato da diversi punti di vista. Qui cercheremo di fare un excursus sui due principali approcci: quello psicoanalitico e quello storico-culturale.

L’approccio psicoanalitico allo studio dell’adolescenzaContrariamente alle teorie di tipo psicosociale, l’approccio psicoanalitico tende a privilegiare e a valorizzare le determinanti biologiche e inconsce dei fenomeni che riguardano l’adolescenza e tende a considerare questo periodo come fase naturale dello sviluppo umano. Come è noto, la psicoanalisi si basa su alcuni assunti o ipote-si fondamentali. Alcune di queste ipotesi interessano in modo particolare gli studi sull’adolescenza:

• ipotesi del determinismo psichico. Per la psicoanalisi esistono profondi legami tra gli eventi mentali, in base all’assunto che gli stadi dello sviluppo psico-sessua-le sono biologicamente determinati. Ciò porta a mettere l’accento sull’idea di continuità nello sviluppo mentale, a insistere sull’esistenza di fasi di sviluppo nella vita psicologica, e a ritenere che l’adolescenza non sia una fase evolutiva staccata dalle precedenti ma rappresenti un momento di integrazione e di ristrut-turazione di processi ed eventi avvenuti in precedenza. L’adolescenza si configu-ra come un periodo caratterizzato dal fatto che problemi insoluti nell’infanzia chiedono di essere nuovamente presi in considerazione. Ciò avviene per via dell’intuizione di Sigmund Freud (e della psicoanalisi in generale) che nessun evento psicologico muore dentro di noi, ma, a seconda delle circostanze, viene represso o rimosso, e può pertanto riemergere. Allo stesso tempo, poiché nell’ado-lescenza si producono delle trasformazioni fisiche e sessuali talmente sconvol-genti, e per un tempo assai prolungato, l’approccio psicoanalitico all’adolescenza ritiene che, in questa fase dello sviluppo, il ventaglio delle possibilità di evoluzio-ne sia ancora aperto e, pertanto, sia difficile separare comportamenti normali da atteggiamenti patologici;

• ipotesi della presenza di un mondo inconscio. Questa ipotesi è caratteristica dell’approccio psicoanalitico ed è sia il luogo privilegiato della riflessione teorica, sia il fulcro dell’intervento psicoterapeutico. Nonostante ciò, sono relativamente pochi gli autori che hanno cercato di evidenziare gli elementi caratteristici del mondo interno adolescenziale (nel senso di un mondo interno tipico di questa fascia di età), poiché il lavoro sull’adolescenza, nell’ambito della teoria psicoanalitica, si è svolto piuttosto sul versante della prima ipotesi, quella della continuità dello sviluppo mentale. Un tentativo di declinare un quadro del mondo interno adole-scenziale è stato fatto da Donald Meltzer, psicoanalista inglese. Scrive Meltzer, in un testo del 1979: «Il mondo dell’adulto, dal punto di vista dell’adolescente, sem-bra soprattutto come una struttura politica e un sistema di classe: gli adulti sono vissuti come se avessero il potere e il controllo del mondo. Agli adolescenti ciò non sembra dovuto alla conoscenza e alla capacità, ma al possesso di un’organizzazio-ne di tipo aristocratico che ha come scopo principale di preservare il potere contro ogni intrusione. […] Da ciò deriva la concezione che i bambini si trovano nella posizione di «schiavi» o «servi», e l’illusione che i genitori conoscono tutto e possono fare tutto. L’adolescente si sente parte della comunità degli adolescenti che si pone tra queste due classi: gli adulti «aristocratici» che hanno il potere, gli

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«schiavi» che credono in essi come se fossero degli dei, e vivono nell’illusione che gli adulti sappiano tutto; l’adolescente quindi si pone in una posizione di disprez-zo nei confronti sia degli adulti che dei bambini, e dell’organizzazione del mondo che essi rappresentano. Voglio evidenziare il problema della conoscenza del mon-do e della capacità, attraverso questa conoscenza, di manipolare e mantenere ordi-ne nel mondo perché l’adolescente, pur sembrando principalmente preoccupato della sessualità, in realtà è soprattutto preoccupato della conoscenza e del capire. Ciò mi pare molto importante perché generalmente si considera l’adolescente come se fosse principalmente interessato a raggiungere soddisfazioni sessuali, mentre in realtà la sessualità viene da lui considerata come l’essenza stessa della situazione autoritaria. Il possesso del diritto di indulgere ad attività sessuali diventa per lui il perno principale del controllo autoritario esercitato, dal mondo degli adulti, su tutti gli aspetti materiali del mondo: il denaro, la casa, il cibo e così via».

Le caratteristiche psicologiche dell’adolescenza

Il concetto di distaccoSecondo Freud, un ulteriore elemento-chiave dell’adolescenza è il distacco dalle figu-re genitoriali. Nell’interpretazione freudiana, tale distacco va interpretato alla luce dei suoi studi sulla sessualità: se nella vita infantile la pulsione è prevalentemente autoe-rotica, cioè opera partendo da singole pulsioni e singole zone erogene che cercano indipendentemente un dato piacere come unica meta sessuale, con la pubertà subentra una nuova spinta che è quella del rapporto e del congiungimento con una persona dell’altro sesso. Al raggiungimento di questa meta sessuale collaborano tutte le pulsio-ni sessuali parziali, mentre le zone erogene si sottomettono al primato della zona ge-nitale. Se, con la pubertà, la nuova meta sessuale diventa il congiungimento con una persona dell’altro sesso, gli oggetti di amore primari, ossia quelli del periodo infantile, non possono più soddisfare tale pulsione, e vengono dunque messi in secondo piano.Necessariamente, quindi, l’individuo deve disinvestire gli oggetti di amore primari e re-investire la pulsione libidica su oggetti d’amore esterni alla famiglia e ai genito-ri. Questo disinvestimento è uno dei processi dolorosi, e uno dei compiti evolutivi, che l’adolescente si trova a dover affrontare. Scrive Freud:

«Insieme al superamento e al ripudio delle fantasie incestuose, si compie una delle più significative prestazioni psichiche della pubertà: il distacco dall’autorità dei ge-

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nitori, che produce il contrasto, così importante per il progresso civile, della nuova con la vecchia generazione».

Si tratta di un vero e proprio «lutto» che richiede di essere elaborato da entrambi i componenti del rapporto, cioè dai figli e anche dai genitori. In seguito sarà soprattutto la figlia di Freud, Anna, che svilupperà la riflessione psicoanalitica sull’adolescenza. Molto sinteticamente, le proposte teoriche di Anna Freud si possono così riassumere:

• lo sviluppo della pubescenza non soltanto risveglia la sessualità (che si era come assopita durante il periodo della latenza), ma produce anche un aumento dell’ec-citazione nervosa, dell’ansietà, della fobia genitale, a causa dell’eccezionale potere dinamico del desiderio sessuale, e della relativa incapacità (possiamo dire culturale) di affrontare il problema;

• le modificazioni biologiche comportano difficoltà di adattamento, perché il desiderio sessuale entra in conflitto con la sicurezza personale e con l’equilibrio che si era stabilito in precedenza tra le componenti della personalità: l’Es, l’Io e il Super Io.

Questo momento di squilibrio è caratterizzato da:

• un Es relativamente forte, che si oppone a un Io relativamente debole; a differen-za della libido infantile, la libido ora investe prevalentemente l’area genitale;

• a questa forte spinta libidica genitale si oppone sia il Super-Io, sia l’Io, che svi-luppa una serie di nuovi meccanismi di difesa.

Quindi si può dire che, con l’inizio della pubertà, l’individuo è in balia dell’energia istintuale che si risveglia in lui, ma, allo stesso tempo, il suo Io intensifica l’impegno per controllare le forze provenienti dal mondo pulsionale. La capacità dell’Io di tollerare gli istinti dipende dal carattere che si è formato durante l’infanzia e dalla natura e dall’efficacia dei meccanismi di difesa di cui dispone l’Io. I meccanismi di difesa hanno come primi bersagli:

• i desideri istintuali di ogni natura, ma soprattutto quelli collegati con la sessualità, per cui si verifica una sorta di blocco di tutti i desideri istintuali, che può assu-mere il significato di una proibizione sessuale indifferenziata;

• le fantasie incestuose, per cui la diffidenza dell’Io si dirige contro la fissazione a tutti gli oggetti di amore dell’infanzia; ciò porta a una tendenza all’isolamento rispetto alle figure parentali.

Due sono i meccanismi di difesa tipici che si organizzano in questo periodo: l’asce-tismo e l’intellettualizzazione:

• l’ascetismo esprime una diffidenza generalizzata nei confronti di tutti i desideri istintivi e include anche comportamenti legati al mangiare, al dormire, al vestirsi, etc. L’ascetismo della pubertà è una difesa nei confronti della vita istintuale, per cui, sul piano della condotta, il giovane cerca di uniformarsi a un ipermora-lismo caratterizzato da rigore negli atteggiamenti, da autocontrollo, da elevate richieste di Super Io e da intense manifestazioni di religiosità e di idealismo;

• l’intellettualizzazione consiste nel rifiuto di lasciarsi coinvolgere emotivamente dalle situazioni: ciò si traduce a livello comportamentale con atteggiamenti fred-di, distaccati, non coinvolti. Di fronte all’angoscia istintuale, tale atteggiamento rappresenta un tentativo dell’Io dell’adolescente di impadronirsi delle pulsioni sessuali e aggressive, dominandole sul piano psichico attraverso un’intensa atti-

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vità intellettuale. Infine, la ribellione indirizza le cariche aggressive contro imma-gini sociali, gruppi o istituzioni, vissuti in senso autoritario.

Sia l’ascetismo che l’intellettualizzazione fanno fortemente intervenire l’intelligenza. L’attività intellettuale non ha tanto lo scopo, in questi casi, di risolvere i problemi imposti dalla realtà, quanto di vigilare, in modo costante, sui processi istintuali, per cui si verifica la trasformazione in pensieri astratti di quanto viene percepito dalle nuove esigenze istintuali. In altre parole, «il pericolo istintuale renderebbe gli esseri umani intelligenti». L’analisi di Anna Freud riesce a spiegare in modo dinamico, cioè dal punto di vista delle dinamiche psicologiche, alcuni dei fenomeni più tipici del comportamento adolescenziale. Tale analisi ha avuto un’elevata importanza cultura-le e ha costruito la base di tutta la psicologia clinica dell’adolescenza.

❱ 1/3 Le «sfide» dell’adolescenzaNegli anni Sessanta l’opera di Peter Blos, L’adolescenza in una prospettiva psicoa-nalitica (1962), viene ad ampliare e a integrare quanto teorizzato da Anna Freud. Secondo Blos, ci sono quattro sfide che l’individuo deve affrontare nel periodo adolescenziale, la cui soluzione integrata segna la fine dell’adolescenza:

• la prima sfida è relativa al cosiddetto secondo processo di individuazione. Il ri-ferimento di Blos è al processo di separazione-individuazione dalla madre, che si compie nell’infanzia, secondo cui l’infante evolve da un’indifferenziata esperien-za di sé e del mondo a uno stato di separazione che non implica peraltro mancan-za di relazione con quel mondo. Si tratta di un processo di distacco dalla madre e dalla relazione simbiotica con essa. Questo processo giunge a compimento di solito nel terzo anno di vita. Nella seconda fase di individuazione, il soggetto al-lenta fortemente i legami con il genitore interiorizzato che lo ha sostenuto nei periodi «fallico» e di latenza dello sviluppo psicosessuale, e sarà questo disimpe-gno dell’adolescente dalla rappresentazione parentale interiorizzata che gli consentirà di stabilire nuovi attaccamenti extra familiari. Ora, se il processo di separazione-individuazione non si è compiuto in maniera adeguata nell’infanzia, esso si presenterà più difficoltoso nell’adolescenza (in questo senso ciò che non ha trovato felice soluzione nell’infanzia riemerge nell’adolescenza). Secondo Blos, nel processo di separazione-individuazione adolescenziale, un ruolo molto impor-tante viene assunto dal gruppo dei pari, il quale fornisce il sostegno necessario per superare la perdita dei legami infantili;

• la seconda sfida concerne la rielaborazione e il controllo dei traumi infantili. Nell’adolescenza i traumi infantili devono essere integrati e valutati dall’Io, vis-suti come sfide da risolvere, e non più sperimentati passivamente con un’impres-sione di impotenza. Anche in questa situazione è chiaro che la cognizione diven-ta estremamente importante poiché aiuta a ristrutturare e a valutare correttamente gli eventi. Ogni successo nel controllo di questi traumi infantili incrementa l’au-tostima del soggetto, mentre chi non riesce ad affrontarli rimane impigliato in manovre difensive regressive;

• la terza sfida riguarda la continuità dell’Io, quella particolare istanza della perso-nalità la cui funzione è di mediare i rapporti con la realtà esterna. Nell’adolescen-za, il soggetto deve stabilire un rapporto di continuità temporale tra gli eventi del passato che lo riguardano e le trasformazioni che sta subendo. L’Io deve svolgere un’importante funzione integrativa tra passato, presente e anche futuro. È in que-

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sto periodo che l’individuo diventa progettuale, cioè si proietta nel futuro ed elabora una serie di programmi e di piani che lo riguardano;

• infine la quarta sfida, secondo Blos, concerne la formazione dell’identità sessua-le e la capacità del soggetto di allacciare rapporti affettivi e amorosi all’infuori della famiglia. Il modello di adolescenza elaborato da Blos ha stimolato molte ricerche e ha contribuito a delineare e ad aggiungere peso alla nozione di «com-pito di sviluppo». Sta di fatto che l’adolescente «normale» rileva con relativo successo le sfide illustrate da Blos, e procede progressivamente da un compito di sviluppo all’altro, mentre l’adolescente disturbato si invischia sempre di più nelle situazioni conflittuali che incontra.

Il disagio giovanile durante l’adolescenza

❱ 1/4 Le figure genitoriali: conflitti e integrazioniNelle teorie psicoanalitiche classiche i genitori sono considerati come «oggetti» da cui l’adolescente deve «distaccarsi». Questi modelli teorici sono stati oggetto di numerose critiche, a partire dal periodo compreso tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, sulla base di prove empiriche provenienti da ricerche di orienta-mento psicosociale, le quali mostravano un ritratto della famiglia molto meno con-flittuale e drammatico. Secondo i risultati di queste ricerche, condotte in contesti differenti, un numero consistente di adolescenti ammira i propri genitori e li sente vicini, considera la famiglia come il luogo degli affetti e del sostegno fondamentale. Discussioni, battibecchi e disaccordi, se vi sono, non minacciano la coesione dei le-gami affettivi genitori-figlio ed entrambe le parti partecipano attivamente a una ride-finizione dei rapporti che tendono a basarsi più sulla negoziazione cooperativa che non sull’autorità unilaterale dei genitori. In questo contesto di non drammaticità delle relazioni genitori-figli può essere inse-rito il fenomeno recente dell’«adolescenza lunga», oggetto di numerose ricerche e riflessioni soprattutto da parte di sociologi e di studiosi di psicologia sociale. Secon-do questi autori, si tratta di un fenomeno destinato non solo a stabilizzarsi, ma anche ad amplificarsi a causa della sempre più diffusa precarietà occupazionale e del cre-scente aumento dei costi abitativi. In questo contesto la famiglia di origine si confi-gura come risorsa garantita, e più che ricercare l’allontanamento, i giovani sembra-no tendere a cercare spazi di autonomia all’interno delle mura domestiche, dilazio-nando in maniera consistente il momento dell’uscita dal nucleo familiare di origine. Le interpretazioni che vengono fornite per spiegare l’attuale lunga permanenza dei figli nella famiglia di origine convergono su alcune rappresentazioni condivise da

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adulti e giovani; in particolare, si ritiene che il passaggio alla vita adulta sia più dif-ficile di prima a causa del prolungamento degli studi e della crescente difficoltà a entrare nel mondo del lavoro; è condivisa anche l’idea che i giovani devono speri-mentarsi nell’ambito affettivo e lavorativo prima di affrontare l’età adulta. In questo contesto, la famiglia e la casa di origine danno sicurezza e sostegno e costituiscono una sorta di «ammortizzatore sociale» di molti problemi ancora da risolvere durante l’adolescenza. Infine, una serie di altri studi sulla vita familiare, di particolare interesse, hanno mes-so in evidenza che anche lo sviluppo dei genitori, negli anni dell’adolescenza dei figli, è una problematica di grande significato. Non sono soltanto i figli che cambiano, ma anche i genitori evolvono, poiché si trovano ad attraversare un periodo del ciclo di vita personale denominato «crisi della mezza età». Da un’attenta analisi emerge che genitori e figli hanno problemi e preoccupazioni evolutive che in parte si sovrappon-gono, in parte divergono. Ad esempio, per quanto riguarda l’aspetto biologico, men-tre l’adolescente entra in una fase di crescita fisica e di maturazione sessuale, per i genitori invece inizia una fase di preoccupazioni per la propria salute, efficienza ed attrattività fisica. Per quanto concerne la percezione del tempo e del futuro, invece, l’adolescente è proiettato in avanti e comincia a progettare il proprio avvenire, men-tre per l’adulto il futuro ha orizzonti più ristretti. Molto spesso ai problemi legati alla funzione genitoriale si sommano quelli legati alla condizione di figlio con genitori anziani che chiedono aiuto e tutela. Quindi, spesso, l’adolescenza è il momento in cui tre generazioni (adolescenti, genitori e nonni) si trovano ad affrontare transizioni evolutive.

❱❱ 2. L’adolescenza come prodotto culturale e fenomeno storicoIn contrasto con le teorie psicoanalitiche che presentano l’adolescenza come un pe-riodo naturale e universale dello sviluppo umano, contraddistinto da un incremento delle pulsioni sessuali e dall’instabilità emotiva, numerosi altri studiosi si sono con-centrati sul tema dell’adolescenza da una prospettiva storica e antropologico-cul-turale. Secondo questi autori, la condizione giovanile è un prodotto culturale e anche un fenomeno storico, il cui contenuto non rimane fisso e immutabile, ma cambia no-tevolmente in funzione della struttura e delle condizioni socio-economiche della società. Ad esempio, nella Grecia e nella Roma antiche, quando l’economia era esclusiva-mente di tipo rurale e le classi dominanti composte di latifondisti, i figli maschi di queste classi erano educati soprattutto per diventare bravi guerrieri. Con l’evoluzione socio-economica e la formazione di nuove classi sociali (commercianti, industriali, armatori) si fa strada un altro tipo di educazione, un’altra struttura dell’adolescenza. Alcuni studiosi hanno messo in risalto i legami dialettici che intercorrono tra adole-scenza e struttura socio-economico-politica, legami che lasciano intravedere le diver-se funzioni e i diversi significati che l’adolescenza assume a seconda della società in cui si struttura e del posto che i giovani occupano nei rapporti sociali di produzione. La tesi è che «le adolescenze», qualitativamente differenti a seconda della classe sociale, hanno la funzione di preparare a condizioni adulte diverse. Le modalità di sviluppo variano nelle differenti classi sociali perché il prodotto finale, l’adulto appartenente a una determinata classe, è diverso. Oltre alle differenze di classe socia-

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le, ve ne sono altre, che rendono assai complessa la condizione giovanile: le differen-ze tra i sessi, tra città e campagna, tra studenti e lavoratori, tra Nord e Sud, tra nativi e immigrati, tra soggetti portatori di handicap e normodotati, etc. La psicologia dell’adolescenza, in questa prospettiva, è stata costituita sul modello dei giovani più privilegiati, il maschio bianco, cittadino, studente, appartenente alle classi sociali dominanti, mentre si è preoccupata molto meno di studiare la crescita e lo sviluppo psicologico delle ragazze, degli apprendisti, dei giovani lavoratori, dei ragazzi di altre razze e di altre culture. Le ricerche che prendono in considerazione le differenze tra maschi e femmine pro-vano che non si può ridurre la psicologia delle adolescenti al modello maschile. Sotto l’influenza del movimento delle donne e delle ricerche in ambito femminile, studiose di psicologia, di sociologia, di antropologia culturale hanno tentato di capi-re meglio la specificità dello sviluppo delle ragazze e hanno messo in rilievo quanto le adolescenze femminili e maschili abbiano funzioni diverse nelle varie culture di appartenenza. La sociologa Simonetta Piccone Stella, nel suo libro Ragazze del Sud (1979) ha analizzato i punti focali della socializzazione di un gruppo di studentesse residenti nel salernitano e ha rilevato come, per molte delle intervistate, la pubertà avesse rappresentato una svolta decisiva nel sancire la separazione del percorso femmini-le da quello maschile, definendo nuovi rapporti con la sfera sociale. Più che di mo-dalità diverse di ingresso nel sociale, nell’ambito di tale indagine si dovrebbe parlare per la donna – se non vi fosse lo spazio scolastico – di ritiro dal sociale. Rispetto agli anni dell’infanzia, la quota di libertà (nel senso preciso di tempo trascorso fuori di casa) concessa dalle famiglie alle intervistate diminuiva nettamente, mentre si estendeva molto quella a disposizione del maschio. A 12-14 anni un ragazzo comincia a uscire e rientrare senza orari, o si regola su ora-ri molto elastici. Alla stessa età, la ragazza viene letteralmente risucchiata in casa e munita di una disciplina di orari che, salvo piccole modifiche, resta rigidamente la stessa fin oltre i vent’anni. Questo cambiamento nel comportamento delle famiglie con i due sessi è percepito perché si compie piuttosto bruscamente. In questo modo si separano le sfere relazionali dei due sessi: quella femminile si «specializza» nei rapporti con i familiari, stretti e meno stretti, quella maschile non ha confini prefissa-ti, né criteri predeterminati di selezione. Alcune recenti ricerche (ad esempio il testo di Gustavo Pietropolli Charmet dal tito-lo I nuovi adolescenti, uscito nel 2000) esaminano l’adolescenza come fenomeno culturale e prodotto storico, allo scopo di indagare sull’adolescente di oggi inteso come frutto ed espressione dei nuovi processi di accudimento e di socializzazione organizzati dalle famiglie nel contesto culturale italiano. Altri obiettivi sono quelli di analizzare ciò che succede nella mente profonda dell’adolescente e nelle sue relazio-ni significative mentre è intento a realizzare i propri «compiti di sviluppo». L’atten-zione dell’autore si rivolge in modo particolare a tre compiti di sviluppo che egli ri-tiene legati a un insopprimibile bisogno di crescita ed espansione delle competenze nell’adolescenza.

I compiti di sviluppo presi in considerazione sono:

• il processo di «soggettivazione» nei confronti della rete di relazioni infantili, tenendo presenti le numerose differenze esistenti tra le famiglie attuali e le famiglie nei cui confronti si levava la contestazione degli adolescenti degli anni Sessanta e Settanta;

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• la costruzione mentale di una nuova immagine del corpo e la conseguente ne-cessità di definire i valori dell’identità femminile o maschile, nonché il tipo di sessualità che si preferisce esercitare;

• la costruzione di nuovi legami affettivi e sociali al di fuori della cerchia dei le-gami familiari: legami di amicizia, di gruppo e di coppia.

Nel testo di Pietropolli Charmet, questi tre compiti di sviluppo vengono acco-munati dallo stesso obiettivo finale: riuscire a conquistare nitide rappresentazio-ni di Sé, del proprio corpo, della propria identità di genere e dei motivi per cui si hanno relazioni significative con i coetanei. Queste ricerche offrono un pano-rama vasto e dettagliato di ciò che succede nella mente profonda degli adole-scenti odierni.

Emerge chiaramente come, nonostante le apparenze, l’adolescente odierno abbia «fame» di relazioni «verticali», cioè profonde, con adulti competenti:

«Ha da porre loro domande cruciali per la crescita, e li deve interrogare per ottenere risposte su questioni essenziali a proposito di alcuni segreti dai quali si sente escluso. Le ultime generazioni di adolescenti appaiono, più di quelle che le hanno precedute, interessate a tessere una trama di relazioni con adulti competenti».

L’ipotesi è che i cambiamenti avvenuti nell’ambito del processo di socializzazione abbiano comportato una diversa qualità di rappresentazione delle funzioni e dei rapporti di genere fra adulti e bambini, e di conseguenza un diverso sviluppo dell’emancipazione dell’adolescente dal potere degli adulti. Appare di estrema im-portanza, non solo teorica ma anche pratica, pensando alla natura e alle forme da dare ai dispositivi educativi, individuare i motivi che spingono gli adolescenti alla ricerca di adulti competenti e i motivi del loro profondo bisogno di riscontro e di ascolto. In modo generale, si può dire che la funzione essenziale che l’adolescente chiede di svolgere agli adulti competenti di riferimento sia sostanzialmente di fornire un rile-vante sostegno alla crescita. Un adolescente privo di adulti di riferimento rimane deprivato di un nutrimento funzionale alla crescita che non può essergli dato da nes-sun altro. Una dimensione molto importante di questo sostegno alla crescita consiste, secondo Gustavo Pietropolli Charmet, nel bisogno dell’adolescente di essere ammi-rato dall’adulto di riferimento:

«Il bisogno di ammirazione da parte di un adulto ritenuto competente in un determi-nato settore della crescita decolla in concomitanza con l’affermarsi, nella mente profonda dell’adolescente, dei valori dell’identità di genere e dei misteri correlati al processo di nascita sociale e di assunzione di responsabilità».

Mentre tutto lascerebbe pensare che egli stia lavorando per prendere le distanze dagli adulti, dal punto di vista sia emotivo che normativo e relazionale, in realtà, quasi paradossalmente, l’adolescente, nel corso del proprio processo di «seconda nascita», ha il particolare bisogno che le sue azioni vengano rispecchiate dagli adulti. L’adolescente non chiede certo ammirazione per rinsaldare legami, quan-to per essere accettato mentre si allontana e mentre allenta il legame di dipen-denza. All’adulto competente è richiesto di erogare uno sguardo di ritorno che legittimi, dia senso, misuri e sappia apprezzare il processo di distacco e crescita in atto. Viene spesso sottovalutata questa essenziale funzione di «ammirazione» verso i più grandi, mentre, citando ancora Charmet, si è prestato più attenzione alla necessità dell’adolescente di sfidare gli adulti, soprattutto quelli dotati di modi

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MODULO 3L’adolescenza: teorie e modelli interpretativi

di controllo istituzionale nei loro confronti, come ad esempio i genitori e gli inse-gnanti:

«L’adulto destinato a legittimare aspetti cruciali anche se segreti o comunque clan-destini della crescita adolescenziale è superinvestito alla pari di un idolo ed è segre-tamente temuto, atteso e per certi versi odiato, proprio perché suscita dipendenza e attesa di legittimazione […]. Si pensi ad esempio alla singolare funzione di alcuni insegnanti, rinnegati ufficialmente ma profondamente nominati come testimoni del proprio eventuale valore, magari non nella disciplina che insegnano ma in qualche altra cruciale materia fondamentale della vita […], così come sono convocati in que-sta difficile parte preti, confessori, capi scout, zii e padrini, amici del padre o corteg-giatori della madre, a volte nonni severi e remoti, a loro insaputa nominati testimoni esclusivi della legittimità delle scelte effettuate o segretamente messe a fuoco e da realizzare in un futuro più o meno remoto».

In conclusione, si può affermare che, sebbene l’adolescenza si presenti secondo mo-dalità assai differenti che variano da cultura a cultura, come viene sottolineato dall’ap-proccio socio-psicologico, questo periodo della vita sembra contrassegnato da alcuni fenomeni e da talune dinamiche psicologiche che assumono una certa generalità. In tutte le culture l’adolescenza è un periodo in cui si ridefiniscono degli equilibri e si modificano i rapporti interpersonali. Nel corso dell’adolescenza accadono avveni-menti che obbligano l’individuo a ridefinirsi in rapporto alle proprie trasformazioni corporee e in base all’ambiente in cui è inserito.

L’adolescenza come processo di ricerca di equilibri