Laboratori Nazionali di Frascati · pianeta che gira intorno al Sole. O che la Luna gira intorno...

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Laboratori Nazionali di Frascati

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ISBN 978-88-86409-95-7

Prima edizione digitale: maggio 2016

Pubblicato da INFN - Laboratori Nazionali di FrascatiServizio Informazione e Documentazione ScientificaVia Enrico Fermi, 40 - 00044 Frascati (Roma) Italia

www.lnf.infn.it

© 2008 Barbara Sciascia per il testo© 2008 Agostino Iacurci per le illustrazioni

Contributo ai testi di Giovanni Nucci

Coordinamento e realizzazione Plan.ed servizi editorialiwww.plan-ed.it

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Da più di dieci anni bambini e ragazzidelle scuole elementari e medie vengonoin visita ai Laboratori Nazionali diFrascati, accolti da ricercatori volenterosiche li accompagnano alla scoperta dellearee sperimentali.

“Da qui al Big Bang” fu scritto a par-tire da una lezione tenuta sulla piattafor-ma davanti all’esperimento KLOE inoccasione della Notte Europea dellaRicerca del 2007. La sfida era scrivereun libro che raccontasse ai bambini la“scienza difficile”, cercando di soddisfarealmeno in parte la curiosità manifestatain mille domande: “ma come si fa a vede-re quello che non si vede?”, o “e come gliè venuto in mente il Big Bang agli scien-ziati?”, e ancora “ma a che serve tuttoquesto lavoro di ricerca?”…

Le copie stampate allora sono finite datempo, come pure quelle della ristampafatta nel 2011. Questa nuova ristampasarà cosa gradita ai piccoli (ma anche aigrandi) visitatori dei prossimi anni,come ricordo della visita dei Laboratori edella chiacchierata con gli scienziati, emagari anche come base di partenza perulteriori approfondimenti. Chissà chequalcuno di loro non torni tra qualcheanno deciso a “fare lo scienziato”.

Umberto DosselliDirettore dei Laboratori Nazionali di Frascati

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Prefazione alla terza edizione

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– Come è nato l’universo?– Con il Big Bang.– Cioè?– Un grande botto.

– Cioè?– Prima non c’era niente. Poi c’è stato un botto. E a quel punto c’era tutto.– E prima prima?– Te l’ho detto, niente...– Ma sei sicuro?– Sì...!– Sicuro sicuro?– Sì... cioè no... non sono molto sicuro.– Ah!– Però del Big Bang sono sicuro.– Perché?– Lo dicono tutti.

– Tutti chi?– Gli scienziati.– Fico! E chi sono gli scienziati?

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Bella domanda! Ho provato spesso a fare questa doman-

da e le risposte di solito erano che gliscienziati sono pazzi, sbadati, disordinati,molto cattivi (o anche molto buoni), peri-colosi... Inoltre sanno tutto, non pensanoalle conseguenze di quello che fanno,vogliono distruggere il mondo (o anchesalvarlo)... Allora ho provato a chiederecome se li immaginavano, gli scienziati.Ed è venuto fuori che li immaginavanomaschi e che portano sempre dei camicibianchi. E poi è venuto fuori tutto un traf-ficare con provette e alambicchi, e mesco-lare liquidi fumanti, colorati e (forse) puz-zolenti. Oppure un costruire macchinaricomplicati pieni di lucette e interruttori,che non si capisce nemmeno com’è chefacciano a stare in piedi e tanto meno comepossano funzionare. E spesso va a finire cheesplode tutto quanto, macchinari, alam-bicchi e scienziato compreso.

Non è vero niente!Cominciamo dal fatto del camice. Nei

film e nei cartoni animati, agli scienziatimettono sempre il camice addosso perdistinguerli dagli altri, per farli ricono-scere. Invece nella realtà solo qualche tipodi scienziato lo porta, i chimici o i biologi

per esempio, e solo quando devono faredelle cose in cui rischiano di sporcarsi. Poiil mondo è pieno di scienziati femminabrave almeno quanto i loro colleghimaschi, se non di più. E comunque nessu-no scienziato, con o senza camice, maschioo femmina che sia, vorrebbe mai saltare inaria per un esperimento. Anzi in generestanno molto attenti perché questo nonsucceda. E sapete perché? Perché sonodelle persone normali. Hanno unamamma e un papà, spesso sono sposati ehanno dei figli. Vanno a fare la spesa eanche dal dottore quando sono malati.Quando possono vanno al cinema e anchein vacanza al mare o in montagna. È veroche a volte costruiscono macchinari com-plicati (cose come i telescopi o, peggioancora, gli acceleratori di particelle) ma liconoscono molto bene. Sanno come fun-zionano e conoscono ogni pezzo con cuisono stati costruiti. E fanno tutto questosolo per capire come funzionano le cosedel mondo.

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– E come fanno, gli scienziati a dire comevanno le cose?– Hanno un loro metodo speciale... ilmetodo scientifico.– Scientifico? E che metodo è?– Prima lo scienziato osserva se c’è qual-cosa che lo incuriosisce...– Quindi è un ficcanaso?– Più o meno... Di solito gli scienziatisono molto curiosi e si fanno un sacco didomande...– Allora per fare gli scienziati bisognaessere curiosi?– Sì, ma dopo essersi fatti le domande,bisogna cercare le risposte. – E come?– Fanno delle ipotesi, cioè trovano delleidee che spieghino tutto quanto. Tutte leidee nuove insieme si chiamano teoria.Bisogna avere molta fantasia per pensaredelle teorie nuove, e bisogna anche stu-diare molto bene quello che altri scien-ziati hanno scoperto prima.– E come fanno ad essere sicuri che la teo-ria funziona?– Bisogna fare degli appositi esperimenti.Poi confrontare la propria teoria con quel-le vecchie, cioè con tutte le osservazioni ei risultati degli esperimenti fatti prima...

– E come?– Con la matematica...– La matematica, e che c’entra?– Ad esempio per verificare se una teoriache descrive il moto dei pianeti funziona,devi prima misurare dove stanno, e usi lamatematica. Poi calcoli dove dovrebberostare secondo la tua teoria, e di nuovo usila matematica. E se la tua teoria funzionail risultato della tua misurazione e deicalcoli che avevi fatto devono coincidere,e per dirlo usi ancora la matematica.– E poi? – Se funziona, allora vai a raccontare la tuateoria ad altri scienziati. Così possonocontrollare quello che hai fatto, e magaritrovare anche una teoria ancora migliore...– E se gli altri scienziati poi si accorgonoche non funziona? Oppure se si fa unesperimento e si vede qualcosa che non vad’accordo con la tua teoria?– Allora bisogna cambiare la teoria oingrandirla finché non spiega anche quel-la cosa che hai visto nell’esperimento, odirettamente in natura.

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Per esempio: tutti a scuola hanno stu-diato la teoria della gravitazione univer-sale. Quella dove si dice che la Terra è unpianeta che gira intorno al Sole. O che laLuna gira intorno alla Terra. O che Giovegira attorno al Sole e le lune di Giove gligirano attorno, ed è tutto un giramentodi pianeti.

Oggi ci sembra un fatto molto sempli-ce e chiaro, quasi scontato. Anche perchéalla fine gli uomini ci sono andati, sullaLuna, e quindi l’hanno visto anche da lìcome funzionavano le cose. Ma Newton,che era inglese e viveva nel 1600, nonaveva modo di andare sulla Luna pervedere le cose. Al massimo la Luna lapoteva vedere dalla Terra con un telesco-pio. Ai suoi tempi gli scienziati dicevanoche era il Sole a girare intorno alla Terra.Era una buona teoria, peccato che nonfunzionasse molto bene. Alcune cose nonandavano.

Newton pensò ad una teoria che fun-zionasse meglio, quella della gravitazioneuniversale. Ma prima dovette fare tuttauna serie di ipotesi. E poi fare degli espe-rimenti e un po’ di conti per vedere se lesue ipotesi erano giuste.

Siccome sapeva tutto su come funzio-

nano gli oggetti, cose come i sassi o lematite. Su come, ad esempio, finisconoper terra se li lasci cadere. Bene, fecel’ipotesi che i pianeti fossero come deisassi un po’ più grandi. E che per i piane-ti potesse funzionare nello stesso modoche per i sassi.

Immaginiamo di lanciare un sasso daun posto alto, una montagna per esem-pio. Con quanta più forza lo si lanciatanto più il sasso cadrà lontano. Questecose Newton le sapeva calcolare moltobene. Allora fece un’ipotesi: provò aimmaginare i pianeti come sassi moltograndi che qualcuno aveva lanciato conmolta forza. Non è così, ma questa ideagli permise di fare dei calcoli matematicie anche degli esperimenti per verificare sela sua nuova ipotesi poteva andare bene.Ed effettivamente vide che con le suespiegazioni la nuova teoria funzionavamolto meglio di quella vecchia.

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Un altro esempio è quello delChallenger, di quando è esploso nonappena partito. È una storia un po’ triste,ma che spiega un sacco di cose.

Il 28 gennaio 1986, pochi secondi dopola partenza, lo shuttle Challenger esplosein aria, i membri dell’equipaggio moriro-no tutti. Il governo americano mise insie-me un gruppo di esperti che capissero per-ché lo shuttle era esploso. Tra gli espertic’era anche Richard Feynman, uno dei piùgrandi fisici del ventesimo secolo.Feynman si trovò a discutere con politici,astronauti, avvocati, militari ed ingegneriesperti di aviazione. Ma invece di passaretroppo tempo in queste discussioni, ad uncerto punto decise che la cosa migliorefosse parlare con i tecnici che avevanocostruito lo shuttle, così da capire meglioil funzionamento di ogni singolo pezzodell’astronave. Alla fine Feynman si con-vinse che la causa di tutto era un o-ringdifettoso. Un o-ring è un anello digomma, una guarnizione simile a quellache c’è dentro la macchinetta del caffè. Lagomma era difettosa e quando facevatroppo freddo diventava rigida, non tene-va più facendo uscire un gas molto caldoavanzato dalla combustione del carburan-

te. Un po’ come quando nella macchinet-ta, se c’è una guarnizione rigida, escetutto il caffè di lato. Questo fatto era notoda molti anni ma non era stato considera-to importante. Il giorno della tragediafaceva freddo e così uno degli o-ring delChallenger era diventato troppo rigido. Ilgas caldo uscì da dove non doveva e bucòil serbatoio dell’idrogeno facendo esplo-dere tutto quanto.

Anche se il resto della commissionenon era d’accordo, Feynman vollemostrare a tutti come degli o-ring rigidiper il freddo si potevano spaccare. Cosìdurante un incontro con i giornalisti,immerse davanti a tutti uno di questi o-ring in un bicchiere di acqua ghiacciata.L’o-ring divenne rigido e si spaccò. Atutti gli altri non sembrava vero che avertrascurato una cosa così piccola potesseaver causato un disastro così grande.Feyman diceva sempre che se si voglionofar funzionare le cose, la realtà deve averela precedenza sulle parole, perché la natu-ra non può essere ingannata.

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– Per studiare la realtà gli scienziati comeNewton o come Feynman usano deglistrumenti. A volte li inventano anche,ma comunque si fidano degli strumentiche usano.– Che vuol dire «fidarsi degli strumenti»?– Prendiamo per esempio un paio diocchiali. Siamo così abituati a portarliche non ci facciamo più caso. Non cichiediamo più se quello che vediamoattraverso gli occhiali è vero o no. Li usia-mo e basta.– Gli occhiali sono uno strumento?– Certo, anche il cellulare è uno strumen-to. Quando telefoniamo non ci chiediamose stiamo veramente parlando conmamma o con papà, o se invece dentro alcellulare c’è un nano microscopico cheimita la sua voce.– Allora è uno strumento anche il cellu-lare, e ci possiamo fidare?– Sia per gli occhiali che per i cellulari cisono degli scienziati, di solito degli inge-gneri, che hanno studiato e controllatoche funzionassero, che le cose che vedeviattraverso gli occhiali erano uguali chedal vivo. E lo stesso per le voci nel cellu-lare. Da quel momento usiamo gliocchiali e i cellulari senza pensarci.

– Va bene, e cosa c’entra con gli scien-ziati?– Gli scienziati hanno bisogno di stru-menti sempre più sofisticati e complicatiper misurare le cose della natura.– Quali cose?– Non lo so: cose come le galassie del-l’universo o gli atomi o anche cose piùpiccole degli atomi. – E li misurano con degli strumenti?Come si misura la febbre con il termo-metro? – Sì, solo che possono venire fuori deinumeri molto più complicati...

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Per capire quanto è grande l’universo ifisici hanno fatto delle misure usando iloro strumenti. E la misura migliore chesono riusciti a fare dice che l’universo ègrande cento milioni di miliardi dimiliardi di metri.

È un numero parecchio grande. Che sidovrebbe scrivere con un 1 seguito da 26zeri. Proprio come mille si scrive come un1 seguito da tre zeri (1000) e un milionesi scrive come un 1 seguito da sei zeri(1000000). Solo che scrivere ventisei zeripuò diventare anche piuttosto noioso:

100000000000000000000000000

Allora i matematici hanno inventato untrucco, un “trucco matematico”. Invece diventisei zeri dopo l’1, scrivono:

1026 (si legge “dieci alla ventisei”).

Cioè scrivono un 10 e poi in piccolo inalto sopra il 10 il numero di zeri chesegue l’1, in questo caso 26. È come sefosse il cucciolo di koala attaccato sullaschiena della sua mamma koala. In que-sto modo si possono scrivere numerimolto grandi in poco spazio ed è più faci-le farci le operazioni.

Invece la distanza più piccola che unuomo è riuscito a misurare, è piccola undecimo di miliardesimo di miliardesimodi metro.

Questo numero si scrive come un 1 aldiciannovesimo posto dopo la virgola:

0,0000000000000000001

Anche qui invece di scrivere tutti que-gli zeri, scriviamo:

10–19

(si legge “dieci alla meno diciannove”)

dove il meno indica che devo contare iposti dopo la virgola, e il 19 mi dice aquale posto scrivere l’1, in questo caso aldiciannovesimo.

Bene, adesso che sappiamo scriverenumeri grandissimi e numeri piccolissimipossiamo anche provare a immaginarceli.

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Immaginare i numeri grandi o piccolici dice anche quante cose l’uomo ha capi-to con la scienza.

Cominciamo da quelli grandi: 1026. Èdifficile immaginare numeri così grandi.Prendiamo qualcosa di più vicino a noi:cento metri. Questo numero lo conoscia-mo bene, ma possiamo anche scriverlocome 102. Se prendiamo un righello da unmetro, dobbiamo spostarlo cento volteper coprire cento metri. E fino a qui tuttobene. Per coprire mille metri 103, è neces-sario fare 10 volte quello che abbiamofatto per coprire cento metri. E per farediecimila metri, 104 metri, bisogna ripe-tere dieci volte quello che abbiamo fattoper coprirne mille, e cento volte quelloche abbiamo fatto per coprirne cento...Provate a pensare ai cento milioni dimiliardi di miliardi di metri (1026) del-l’universo...

Immaginare i numeri piccoli è ancorapiù difficile che immaginare quelli grandi.

All’inizio è facile. Un centesimo dimetro (10–2) lo conoscete tutti: è il centi-metro. E anche il millesimo di metro (10–

3) lo conoscete: è il millimetro. Ora una cellula del corpo umano è pic-

cola un centesimo di millimetro (10–5). Se

prendete un righello ci riuscite a dividerela tacca più piccola (un millimetro) incento parti? Una cosa di queste dimensio-ni può essere vista solo con il microscopioottico. Un virus di quelli che ci fannovenire il raffreddore è piccolo un decimodi milionesimo di metro (10–7) e non siriesce più a vederlo, nemmeno con ilmicroscopio ottico. Allora gli scienziatihanno inventato un altro strumento, ilmicroscopio elettronico che permette divedere cose piccole un miliardesimo dimetro (10–9 metri). Così ogni volta che glistrumenti che hanno inventato non basta-no più a soddisfare la loro curiosità e acapire la realtà che li circonda, gli scien-ziati ne inventano di nuovi. Per studiarele cose piccole un decimo di miliardesimodi miliardesimo di metro (10–19 metri) ifisici hanno inventato e costruito deglistrumenti molto grandi, a volte anche piùgrandi di uno stadio di calcio, che si chia-mano acceleratori di particelle.

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– Sì, ma cosa c’entra tutto ciò con il BigBang?– C’entra, perché ora che sappiamo scri-vere numeri molto grandi o molto picco-li, e che abbiamo più o meno un’idea diquanto sia grande un numero grande, epiccolo uno piccolo, possiamo sapere dicosa stiamo parlando.– Del Big Bang? – Certo, il “Big Bang” è la teoria miglio-re che gli scienziati sono riusciti a trovarefino a oggi per rispondere alla domanda“come è nato l’universo”. Questa teoriadice che l’universo ha avuto inizio 13miliardi e 800 milioni di anni fa (che sipuò scrivere anche 13.8x109 anni). Diceanche che allora l’universo era molto pic-colo e molto caldo. – Quanto piccolo e quanto caldo? – Più piccolo di qualsiasi cosa possiamomisurare e più caldo di qualsiasi cosacalda ci venga in mente, anche del Sole. – Poi? – Poi con il passare del tempo è diventatosempre più grande e sempre più freddo. – E quanto è grande adesso? – Esattamente 1026 metri. E per misurarel’universo grande com’è oggi sono statiusati dei telescopi sempre più potenti.

– E si può misurare com’era l’universoquando all’inizio era più piccolo del piùpiccolo puntino che uno possa immagi-nare?... più piccolo di 10–19 metri?– I fisici di tutto il mondo ci stanno pro-vando. E per farlo hanno inventato gliacceleratori di particelle... Perché ad uncerto punto gli è venuto in mente chel’universo potesse essere piccolissimoprima di essere così grande.

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Bene, siamo arrivati all’idea che l’uni-verso cambia dimensioni. Ed è stataun’idea dell’americano Edwin Hubble.Lui era indeciso se fare l’avvocato ol’astronomo ma per fortuna alla fine scelsel’astronomia. Così tra il 1920 e il 1930passò moltissime notti osservando il cielocon il telescopio di Monte Wilson.Furono delle notti molto utili perché sco-prì un sacco di cose. La prima di tutte èche la nostra galassia non è l’unica del-l’universo: molti puntini luminosi che aocchio nudo sembravano stelle, visti beneal telescopio erano dei gruppi di miliardidi stelle talmente lontani da sembrare unasola. Misurando la luce che veniva dallegalassie Hubble si accorse che questa luceera un po’ diversa da quella prevista dallateoria sulle stelle. Qualche anno prima lascienziata Henrietta Leavitt aveva scoper-to un metodo per misurare le distanzedelle stelle. Il metodo usava un tipo spe-ciale di stelle che si chiamano “Cefeidi”.Hubble trovò delle stelle Cefeidi anchenelle galassie che aveva scoperto e cosìpoté misurarne la distanza: più eranodistanti più la luce che emettevano eradiversa da quella prevista. L’unica spiega-zione che gli venne in mente per questa

diversità era che tutte queste galassie sistavano allontanando da noi... in realtàogni cosa si allontana da tutte le altre.Non è proprio semplice da spiegare... Percapirlo meglio si può fare un piccolo espe-rimento con un palloncino. Bisogna gon-fiarlo un po’ e disegnarci sopra dei punti-ni con un pennarello. Ogni puntino rap-presenta una galassia. Se ora si gonfia ilpalloncino ancora di più si vede che cia-scun puntino si è allontanato dagli altri.Per l’universo è un po’ più complicato,ma l’idea è la stessa.

Bene. Se ogni galassia si sta allontanan-do dalle altre, tanto tempo fa dovevanoessere più vicine, come se venissero tutteda uno stesso punto. Questa idea dell’uni-verso nato da un singolo punto fu chiama-ta “Big Bang” dal fisico Fred Hoyle.All’inizio sembrò un’idea strana ma altriscienziati fecero altre misure, e si convin-sero che questa del Big Bang era la teoriamigliore per spiegare l’universo. La sco-perta di Hubble è così importante che èstato dato il suo nome a un telescopiomolto potente montato su un satellite concui sono stati fatti alcuni degli studi piùimportanti per capire meglio il Big Bang.

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– Ma se c’è stato questo Big Bang, ne saràrimasta pure qualche traccia?– Certo. Dopo le misure di Hubble, moltiscienziati come il russo Gamow e l’ameri-cano Dicke pensarono che se l’universo eranato con il Big Bang dovevano esserciancora delle tracce...– Quali?– È un po’ come quando uno fa cadere unsasso in un lago tranquillo e l’onda pro-vocata dal sasso continua a vedersi anchemolto dopo e anche molto lontano...magari è piccolissima, ma si vede.– Si vedono le onde nel cielo?– Non a occhio nudo... Sono onde radio...Ci vogliono degli strumenti simili alleparabole per la TV, ma più grandi e com-plicate. La cosa buffa è che questo segnalecalcolato dagli scienziati è stato scopertoper caso.– Come per caso?– Nel 1963 una società telefonica america-na chiese a due suoi scienziati, ArnoPenzias e Robert Wilson, di capire comemai una certa antenna satellitare facesse unfastidioso fruscio di fondo... crzzz... comequando la radio non è ben sintonizzata. Idue cominciarono a controllare tutto, maproprio tutto. Se c’erano delle stazioni radio

vicine che potessero disturbare. Se il frusciopoteva dipendere dalle perturbazioni atmo-sferiche. Arrivarono perfino ad arrampicarsisull’antenna per togliere i nidi e le cacchedei piccioni...– Cacche?!?– Sì. Ma non servì a nulla. Il fruscio nonse ne andava. Provarono a puntare l’anten-na in tutte le direzioni, ma niente. L’unicaspiegazione era che il fruscio venisse dalontano. Molto lontano, da fuori dellanostra Galassia. Così andarono a parlarnecon Dicke. Insieme fecero dei calcoli e siaccorsero che era proprio il segnale cheGamow e Dicke pensavano avrebbe dovu-to lasciare il Big Bang.– E calcolarono anche quanto tempo faera successo il Big Bang?– Più o meno... riuscirono a calcolare chequel tipo di fruscio poteva andare bene perun Big Bang avvenuto tra 10 e 20 miliar-di di anni fa. Poi però hanno costruitodegli altri strumenti e alla fine la teoriamigliore dice che l’universo è iniziato13.8 miliardi di anni... da qualcosa di pic-colo e caldo. Molto piccolo e molto caldo.– Quanto piccolo? 10–7 come il virus delraffreddore?– No, molto molto più piccolo!

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Dunque, l’universo all’inizio era picco-lissimo. Ed era fatto di particelle piccolis-sime. ”Piccolissimo” vuole dire che non sipuò vedere neanche con il microscopiopiù potente. E comunque molte delleparticelle che c’erano all’inizio dell’uni-verso ora non esistono più.

Per capire un po’ meglio come funziona-va l’universo quando era così piccolo, gliscienziati hanno costruito gli acceleratoridi particelle. Gli acceleratori di particellesono delle macchine piuttosto complicate.Sono stati inventati più di ottanta anni fae oggi ne esistono di vari tipi. Alcuni ser-vono per cose molto utili come curarealcuni tipi di cancro, altri, come l’accelera-tore LHC a Ginevra o Dafne a Frascati,servono sia per studiare le particelle picco-lissime (quelle che non si possono vedere)che per ricreare i tipi di particelle chec’erano all’inizio dell’universo.

Un «acceleratore di particelle» serveper accelerare, cioè far andare molto velocidelle particelle e farle scontrare tra loro.Quando due particelle si scontrano, ingenere ne vengono fuori delle altre, diver-se da quelle che si sono scontrate. Questacosa di produrre particelle nuove è diffici-le da spiegare a parole; per capirla è neces-

sario studiare molto e conoscere moltamatematica. Quello che succede è un po’come un viaggio nel tempo, ed è possibileprodurre particelle che c’erano prima eadesso non ci sono più. E a seconda diquanto faccio andare veloci le particellenell’acceleratore posso produrre dei tipidiversi di particelle. Per esempio l’accele-ratore Dafne riesce a produrre alcune delleparticelle che c’erano quando l’universoaveva solo 4 milionesimi di secondo divita (4x10–6 secondi), però era già grandecentomila miliardi di metri (1014 metri).Per arrivare proprio all’inizio dell’univer-so, bisogna andare ancora più indietro...Con l’acceleratore LHC gli scienziati sonoarrivati a studiare l’universo quando eravecchio solo un decimo di miliardesimodi secondo (10–10 secondi), e ancora nonsono arrivati all’inizio. Ma il fatto è chestudiando le particelle prodotte negliacceleratori si può capire meglio il BigBang. Anche perché non sarebbe possibilerifare un Big Bang tutto intero in labora-torio. Così in ogni acceleratore si cerca distudiare un momento particolare del BigBang, studiando un tipo particolare delleparticelle che c’erano in quel momento...

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– Quello che non capisco è come fannogli scienziati a studiare le particelle senon si possono vedere? Con uno strumen-to nuovo?– Infatti, hanno inventato i “rivelatori diparticelle” che, te lo dice la parola stessa,servono per rivelare cioè per vedere dovevanno le particelle.– E funzionano veramente?– Certo! È come per gli occhiali o per il cel-lulare. Sono più di 100 anni che gli scien-ziati perfezionano e inventano rivelatori diparticelle sempre più sofisticati. I primierano semplici e abbastanza piccoli da staresu un tavolo. Man mano che volevano stu-diare cose sempre più piccole, ne hannocostruiti di più grandi e complicati...– E quanto grandi?– Dipende. Per esempio KLOE, che serveper guardare le particelle prodotte dal-l’acceleratore Dafne, è un barattolo diferro e cavi alto 6 metri e lungo altri 6metri, e che pesa più di 1000 tonnellate.Pesa, più o meno, come 100 camion. InSvizzera ce n’è uno che si chiama ATLASe che guarda le particelle prodotte dal-l’acceleratore LHC: è alto 25 metri elungo 46, ed è grosso come un palazzo di8 piani! Pesa più di 7000 tonnellate..

– Sì, ma come funzionano?– È un po’ come per gli aerei. Quandopassa un aereo molto in alto nel cielo, tulo vedi?– Sì... dipende... in genere si vede solo lascia che lascia, certe volte, invece, si sentesolo il rumore.– Per i rivelatori di particelle è la stessacosa: la particella non si vede, non si puòvedere, ma se facciamo in modo che lasciuna scia, una traccia, allora possiamo vede-re se la particella è passata e di che tipo era.Nei primi rivelatori, quelli piccoli comeuna scatola, si potevano vedere le traccedelle particelle a occhio nudo.– E in quelli grossi come KLOE oATLAS?– KLOE o ATLAS sono più complicati, cisono tutta una serie di rivelatori uno den-tro l’altro, così la particella quando passalascia parecchie tracce e si può studiaremolto meglio, da vari punti di vista. Inquesti rivelatori grandi e complessi le trac-ce vengono trasformate in segnali elettricie quindi si possono studiare sui computer.– Quindi è così che hanno scoperto tuttoquanto, di come è nato e come è fattol’universo?

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– Be’, non tutto.– Ah.– Ci sono molte domande a cui gli scien-ziati proprio non possono rispondere...– E quali?– Per esempio, che cosa c’era prima delBig Bang.– E perché?– Ricordi? La scienza parte dalle osserva-zioni e poi deve fare delle misure. Eprima del Big Bang non possiamo néosservare né misurare nulla, quindi nien-te scienza.– Ah... E da dopo il Big Bang sappiamotutto?

– No, no... La scienza ci ha fatto capiremolte cose del mondo che ci circonda, mace ne sono ancora tante altre da capire e dastudiare... A parte la questione di quandoe come è nato l’universo, c’è da studiare ilcomportamento degli animali, il funzio-namento delle stelle, se e come si puòguarire dal cancro e dalle altre malattie...– Quindi c’è ancora molto da fare?– Sì.– E potrei fare lo scienziato anche io?– Certo! Se sei curioso e hai voglia di stu-diare, perché no?

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Bibliografia

Per te:Puoi trovare un bel viaggio attraverso i numerigrandi e piccoli, nel libro: Potenze di dieci diPhilip e Phylis Morrison, pubblicato daZanichelli; oppure vai su www.youtube.com ecerca “potenze di dieci”, troverai un filmatofatto a partire dal libro dei Morrison.Richard Feynman racconta tanti episodi diver-tenti (scassinava le casseforti dei suoi colle-ghi...) e interessanti (ha partecipato allacostruzione della prima bomba atomica) nellibro: Sta scherzando Mr. Feynman! di RichardP. Feynman, Zanichelli.Per avere altre informazioni sullo SpaceShuttle vai su Wikipedia (www.wikipedia.it) ecerca “Space shuttle” oppure puoi trovaremolto di più – anche se è scritto in inglese –sul sito della Nasa (www.nasa.gov).

Per i tuoi genitori o i tuoi insegnanti:Prima lezione di fisica, di Carlo Bernardini,Laterza; interessante introduzione allo studiodella fisica, e all’uso del metodo scientifico edella matematica. I primi tre minuti, di Steven Wienberg,Mondadori; introduzione datata ma molto chia-ra alle idee di base della teoria del Big Bang.

Ringraziamenti

«Sono solo un uomo curioso» diceva Einstein,e proprio la curiosità dei tanti bambini che hoavuto modo di incontrare in più di dieci annidi divulgazione scientifica nelle scuole ele-mentari e medie, è stata la spinta a trovare iltempo e le energie per conciliare il lavoro diricerca con la scrittura di un libro, per quantopiccolo. Vorrei ringraziare questi bambini (eanche i loro insegnanti) che con tante doman-de, spesso confuse, a volte difficili o addirittu-ra “impossibili”, ma anche con suggerimentiinaspettati, mi hanno indicato una strada pos-sibile per fare divulgazione scientifica, senzabarare, senza dire che è tutto facile o magico.

B.S.

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