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La Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati era stata elaborata soprattutto in risposta agli esodi in massa avvenuti in Europa alla fine della seconda guerra mondiale. Mezzo secolo dopo, nella stessa Europa come nei paesi industrializzati di tutto il mondo, l’i- stituto dell’asilo deve far fronte ad alcune delle sue maggiori sfide. Desiderosi di pro- teggere le proprie frontiere dall’immigrazione non desiderata, e sospettosi circa le motivazioni di molti richiedenti asilo, i governi di tali paesi hanno adottato un vasto arsenale di misure per regolamentare e limitare l’accesso al proprio territorio. Per i rifugiati che fuggono da persecuzioni, tali provvedimenti hanno in molti casi grave- mente ridotto la possibilità di chiedere asilo e di raggiungere la sicurezza. In questo capitolo si esamina l’evoluzione della politica dei rifugiati in Europa, Nordamerica, Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Nella prima sezione si valuta la strate- gia dei paesi europei per la protezione dei rifugiati, con particolare riferimento agli svilup- pi degli anni ’80 e ’90. Fra questi, le iniziative attuate per fronteggiare le migrazioni illega- li, e le loro conseguenze per i rifugiati e i richiedenti asilo, le azioni volte ad armonizzare la politica dell’asilo in seno all’Unione europea, nonché la risposta data ai massicci esodi pro- vocati dalle guerre nei Balcani. Si delinea, inoltre, la trasformazione, iniziata nel 1989, dei paesi dell’Europa centrorientale da paesi d’origine a paesi d’accoglienza dei rifugiati. Nella seconda e nella terza sezione si descrivono i programmi di reinsediamento attuati negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, tutti paesi tradizionali d’immigrazio- ne, che hanno offerto a milioni di rifugiati, dopo la fine della seconda guerra mon- diale, la possibilità di cominciare una nuova vita.Vi si esamina, inoltre, il modo in cui, malgrado l’ospitalità dimostrata ai rifugiati con tali programmi, gli interessi politici hanno ripetutamente rischiato di indebolire gli obblighi dei governi verso i richie- denti asilo. Sia nel Nordamerica che in Australia, la politica governativa è stata sempre più influenzata dalla necessità di reagire al numero crescente di aspiranti all’asilo che vi arrivano di propria iniziativa. Uno dei maggiori problemi che attualmente si pongono a tutti i paesi industrializ- zati, nell’adempimento dei loro obblighi verso i profughi, è quello del fenomeno dei “flussi misti” di rifugiati e altri migranti, nonché il fenomeno correlato delle “migra- zioni con più motivazioni”. Molte persone, infatti, abbandonano il paese d’origine per un insieme di ragioni d’ordine politico, economico e d’altro genere 1 .Tali motivazioni complesse sono uno dei fattori che suscitano l’impressione di un abuso generalizzato del regime dell’asilo, impressione spesso strumentalizzata dai politici e dai media. Un altro elemento che viene sempre più a complicare il panorama delle migra- zioni è il traffico illegale di esseri umani. Con la chiusura degli itinerari d’arrivo lega- li, molti rifugiati si rivolgono a trafficanti per raggiungere la sicurezza, malgrado i pericoli e le spese in gioco. Così facendo, quei richiedenti asilo compromettono seria- mente, agli occhi di molti stati, le loro aspirazioni. Aggiungendosi alla crescente ten- denza dei paesi di destinazione ad ospitarli in apposite strutture chiuse, tale fenome- no ha l’effetto di stigmatizzare ancor più, nella visione dell’opinione pubblica, i can- didati all’asilo come dei criminali. 155 7 L’asilo nel mondo industrializzato

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La Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati era stata elaborata soprattutto in rispostaagli esodi in massa avvenuti in Europa alla fine della seconda guerra mondiale. Mezzosecolo dopo, nella stessa Europa come nei paesi industrializzati di tutto il mondo, l’i-stituto dell’asilo deve far fronte ad alcune delle sue maggiori sfide. Desiderosi di pro-teggere le proprie frontiere dall’immigrazione non desiderata, e sospettosi circa lemotivazioni di molti richiedenti asilo, i governi di tali paesi hanno adottato un vastoarsenale di misure per regolamentare e limitare l’accesso al proprio territorio. Per irifugiati che fuggono da persecuzioni, tali provvedimenti hanno in molti casi grave-mente ridotto la possibilità di chiedere asilo e di raggiungere la sicurezza.

In questo capitolo si esamina l’evoluzione della politica dei rifugiati in Europa,Nordamerica, Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Nella prima sezione si valuta la strate-gia dei paesi europei per la protezione dei rifugiati, con particolare riferimento agli svilup-pi degli anni ’80 e ’90. Fra questi, le iniziative attuate per fronteggiare le migrazioni illega-li, e le loro conseguenze per i rifugiati e i richiedenti asilo, le azioni volte ad armonizzare lapolitica dell’asilo in seno all’Unione europea, nonché la risposta data ai massicci esodi pro-vocati dalle guerre nei Balcani. Si delinea, inoltre, la trasformazione, iniziata nel 1989, deipaesi dell’Europa centrorientale da paesi d’origine a paesi d’accoglienza dei rifugiati.

Nella seconda e nella terza sezione si descrivono i programmi di reinsediamentoattuati negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, tutti paesi tradizionali d’immigrazio-ne, che hanno offerto a milioni di rifugiati, dopo la fine della seconda guerra mon-diale, la possibilità di cominciare una nuova vita.Vi si esamina, inoltre, il modo in cui,malgrado l’ospitalità dimostrata ai rifugiati con tali programmi, gli interessi politicihanno ripetutamente rischiato di indebolire gli obblighi dei governi verso i richie-denti asilo. Sia nel Nordamerica che in Australia, la politica governativa è stata semprepiù influenzata dalla necessità di reagire al numero crescente di aspiranti all’asilo chevi arrivano di propria iniziativa.

Uno dei maggiori problemi che attualmente si pongono a tutti i paesi industrializ-zati, nell’adempimento dei loro obblighi verso i profughi, è quello del fenomeno dei“flussi misti” di rifugiati e altri migranti, nonché il fenomeno correlato delle “migra-zioni con più motivazioni”. Molte persone, infatti, abbandonano il paese d’origine perun insieme di ragioni d’ordine politico, economico e d’altro genere 1.Tali motivazionicomplesse sono uno dei fattori che suscitano l’impressione di un abuso generalizzatodel regime dell’asilo, impressione spesso strumentalizzata dai politici e dai media.

Un altro elemento che viene sempre più a complicare il panorama delle migra-zioni è il traffico illegale di esseri umani. Con la chiusura degli itinerari d’arrivo lega-li, molti rifugiati si rivolgono a trafficanti per raggiungere la sicurezza, malgrado ipericoli e le spese in gioco. Così facendo, quei richiedenti asilo compromettono seria-mente, agli occhi di molti stati, le loro aspirazioni. Aggiungendosi alla crescente ten-denza dei paesi di destinazione ad ospitarli in apposite strutture chiuse, tale fenome-no ha l’effetto di stigmatizzare ancor più, nella visione dell’opinione pubblica, i can-didati all’asilo come dei criminali.

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Gli stati hanno un legittimo interesse a regolamentare l’accesso al proprio territo-rio, ma sono anche tenuti, in virtù di strumenti giuridici internazionali, ad assicurareuna protezione a chi fugge da persecuzioni. I paesi industrializzati hanno particolariresponsabilità nel campo della protezione dei rifugiati. Non solo hanno svolto unruolo determinante nell’elaborazione, mezzo secolo fa, dei principali strumenti inter-nazionali riguardanti i rifugiati e i diritti umani, ma – cosa ancora più importante –l’esempio da loro dato influisce inevitabilmente sul trattamento che, nei prossimianni, altri stati riserveranno agli esuli.

L’evoluzione della politica dell’asilo in Europa

Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Europa si trovò davanti a un’immensa sfidaumanitaria. Mentre il continente si sforzava di rimettere in piedi l’economia e le infra-strutture distrutte, era necessario rimpatriare o reinsediare più di 40 milioni di pro-fughi. Oltre a ciò, nel 1956, circa 200mila persone fuggirono dopo che l’Armata rossaannientò la rivoluzione ungherese, e nel 1968 un numero minore di abitanti abban-donò la Cecoslovacchia dopo la repressione sovietica della “primavera di Praga”. Se èvero che la Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati costituiva la cornice giuridicainternazionale per la protezione di quegli esuli, l’asilo in Europa – anzi, nell’Occidentein generale – comportava pure una connotazione ideologica, riflettendo un vastoimpegno politico ad accogliere i profughi dei paesi comunisti.

In Europa, dei rifugiati provenienti da altri continenti avevano cominciato ad arri-vare in massa negli anni ’70. Fra loro, i profughi che fuggivano dall’America latina aseguito dei colpi di stato militari avvenuti in Cile e Uruguay, nel 1973, e in Argentina,nel 1976. Gli esuli di quei paesi trovarono rifugio in Europa, ad ovest come ad est [cfr.riquadro 5.4]. Inoltre, sebbene la maggioranza dei rifugiati che abbandonarono i paesidell’Indocina dopo il 1975 fossero reinsediati nel Nordamerica, circa 230mila di lorosi stabilirono in Europa occidentale.

Negli anni ’80, in Europa giunse un numero sempre maggiore di esuli da tutto ilmondo. A differenza del reinsediamento organizzato dei rifugiati indocinesi, trasferi-ti dai paesi di primo asilo, si trattava in questo caso di movimenti non programmati.L’arrivo spontaneo di richiedenti asilo era aumentato già dall’inizio degli anni ’70, ea metà degli anni ’80 cominciava a causare serie preoccupazioni. In Europa occiden-tale, il numero delle domande passò da meno di 70mila, nel 1983, ad oltre 200mila,nel 1989.Tale incremento era legato al gran numero di conflitti interni e di violazio-ni gravi dei diritti umani in Africa, Asia, America latina e Medio Oriente. Era dovuto,inoltre, all’evoluzione della politica migratoria durante la recessione economica segui-ta all’impennata del prezzo del petrolio negli anni ’70. Non avendo più bisogno dilavoratori migranti, molti paesi europei non incoraggiavano più l’immigrazione ascopo di lavoro, anche se continuavano ad ammettere il ricongiungimento familiare.Di conseguenza, almeno alcuni aspiranti all’emigrazione ricorsero al canale dell’asilo.Altri importanti fattori furono il miglioramento delle comunicazioni, il più facileaccesso ai trasporti aerei e il crescente numero di individui che, su tutto il pianeta,volevano migliorare la loro situazione economica e sociale 2.

Questi nuovi richiedenti asilo extraeuropei corrispondevano raramente ai modellidell’epoca della guerra fredda. Fra i primi gruppi che giunsero spontaneamente in gran

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numero vi erano i richiedenti asilo tamil dello Sri Lanka, che causarono negli anni ’80particolari problemi ai paesi europei. Fra di loro si trovavano persone che fuggivano peri motivi più svariati, fra cui le persecuzioni e gli effetti indiscriminati di una guerra civi-le mal compresa 3. Il loro arrivo provocò un’aspra polemica circa gli obblighi degli statinei riguardi di persone che percorrevano metà del globo in cerca di asilo, quando avreb-bero potuto trovare un’alternativa più vicino al loro paese: nella fattispecie, in India,nello stato del Tamil Nadu. Molti governi europei sospettavano, spesso ingiustamente,che la motivazione preminente di quei richiedenti asilo fosse economica. Di conse-guenza, la maggioranza di tali governi imposero l’obbligo del visto per i cittadini delloSri Lanka. La proposta, tuttavia, di rimandare i richiedenti asilo tamil in un paese anco-ra dilaniato da una feroce guerra civile suscitò una vivace controversia.

In confronto al numero dei rifugiati ospitati nei paesi del Terzo Mondo, la percen-tuale che arrivava in Europa occidentale era ancora modesta. Ma la determinazione casoper caso dello status di rifugiato, richiesta dalle procedure europee in materia d’asilo,come anche l’esigenza di fornire ai richiedenti asilo almeno un minimo di assistenzasociale, provocarono un aumento vertiginoso dell’onere amministrativo e finanziario.Secondo una stima, il costo totale delle procedure e delle prestazioni sociali di cui bene-ficiavano i richiedenti asilo in 13 dei maggiori paesi industrializzati aumentò da circa500 milioni di dollari, nel 1983, a circa 7 miliardi, nel 1990 4. Quest’ultima cifra equi-valeva ad oltre 12 volte il bilancio mondiale dell’Unhcr di quell’anno.

Domande d’asilo presentate in Europa,Nordamerica, Australia e Nuova Zelanda,1980–2000

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Europa* Nordamerica Australia/Nuova Zelanda

Fig. 7.1

* Per dettagli sui paesi inclusi, cfr. allegato 10.Fonte: governi.

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L’asilo dopo la caduta del muro di Berlino

In Europa occidentale, la caduta del muro di Berlino, avvenuta nel novembre 1989,sottopose il regime internazionale di protezione dei rifugiati a pressioni ancora piùforti che negli anni ’80. Tutt’ad un tratto, gli abitanti dell’ex blocco comunista eranoliberi di lasciare i loro paesi. Regnava il timore che una marea inarrestabile di perso-ne si riversasse in Europa occidentale. Il caotico esodo dall’Albania verso l’Italia,durante gli anni ’90 – e, più particolarmente, nel 1991 e nel 1997 – nonché l’arrivomassiccio di profughi dell’ex Jugoslavia a partire dal 1992, fecero comprendere aipaesi dell’Europa occidentale che non erano al riparo da movimenti forzati di popo-lazione che avevano origine nelle loro immediate vicinanze.

Nel 1992, le domande d’asilo in Europa occidentale raggiunsero un picco di quasi700mila. Come conseguenza della sua normativa liberale sull’asilo e della sua posi-zione geografica, fu la Repubblica federale di Germania a riceverne la quota di granlunga maggiore: oltre il 60% in quell’anno, per quasi metà romeni e bulgari. La mag-gior parte dei richiedenti non avevano un fondato timore di persecuzione, ma eranodesiderosi di esercitare la libertà di circolazione appena conquistata. Ben presto avreb-bero appreso, però, che al diritto di uscire dal proprio paese non corrispondeva auto-maticamente quello di entrare in un altro.

Nella politica d’asilo dei paesi dell’Europa occidentale apparve un nuovo atteggia-mento difensivo. Gli stati di destinazione non erano pronti a ricevere gruppi così nume-rosi. Le capacità d’accoglienza esistenti furono rapidamente superate, e i paesi non vol-lero impegnare risorse proporzionate all’entità del problema. Nel contempo, decine dimigliaia di richiedenti asilo arrivavano anche da paesi extraeuropei: Afghanistan,Angola, Ghana, Iraq, Iran, Nigeria, Pakistan, Somalia, Sri Lanka,Viet Nam, Zaire.

La politica per i rifugiati in vigore, centrata sulla valutazione delle singole doman-de d’asilo, apparve sempre più inadeguata. Nel 1992, l’Alto Commissario SadakoOgata esprimeva la sua preoccupazione circa il futuro della protezione dei rifugiati:“mentre avanziamo negli anni ’90, non v’è dubbio che l’Europa si trovi a una svolta:volterà le spalle a quanti sono costretti a trasferirsi, oppure consoliderà una lunga tra-dizione di tutela dei diritti degli oppressi e degli esuli? L’Europa erigerà nuovi muri,sapendo che i muri non hanno fermato quanti, in passato, fuggivano dalle persecu-zioni totalitarie?” 5.

Fu in tale contesto che i governi europei decisero di far fronte al massiccio afflus-so di richiedenti asilo in cerca di scampo dalla guerra nell’ex Jugoslavia, istituendo unregime di protezione temporanea. Il governo della Repubblica federale di Germania,paese che ospitava il maggior numero di rifugiati provenienti da quella regione, cercòinvano di persuadere gli altri paesi europei ad attuare una “ripartizione dell’onere”, acomplemento dei regimi di protezione temporanea. Più tardi, nel 1993, la Germaniamodificò la propria Costituzione, sopprimendo la concessione illimitata del dirittoall’asilo ed elaborando una nuova politica intesa sia a limitare l’ammissione dei richie-denti asilo, che a facilitarne il ritorno nei paesi dai quali erano transitati. Altri gover-ni, in tutta Europa, introdussero analoghe misure restrittive, basate su tre risoluzioniapprovate, nel dicembre 1992, dai ministri della Comunità europea responsabilidell’Immigrazione [cfr. riquadro 7.1].

Quando le vie d’ingresso legali cominciarono a essere precluse, per raggiungerel’Europa occidentale i richiedenti asilo, come del resto gli altri migranti, si rivolserosempre più spesso a trafficanti di esseri umani. Molti utilizzavano documenti falsi

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Riquadro 7.1 La politica dell’asilo dell’Unione europea

Le iniziative degli stati membridell’Unione europea (Ue) per creare una"unione sempre più stretta" includonoanche misure per l’armonizzazione dellerispettive politiche in materiad’immigrazione e asilo. Gli atti segnalatisinteticamente qui di seguitorappresentano un insieme diconvenzioni vincolanti e di accordiintergovernativi non vincolanti, cuihanno aderito la maggioranza degli statimembri, ma non sempre tutti.

Atto unico europeo del 1986

Impegnava gli stati membri dellaComunità europea a creare, entro il1992, un mercato interno unico. Questoè stato realizzato per le merci, i servizie i capitali, mentre la libera circolazionedelle persone si è dimostrata di piùdifficile attuazione pratica.

Convenzione di Dublino del 1990

Fissa criteri comuni ai paesi membridell’Unione europea per determinarequal è lo stato competente per l’esamedi una richiesta d’asilo. La convenzionesi sforza di far cessare la pratica,seguita da alcuni richiedenti asilo,consistente nello spostarsi o nel farsimandare da un paese all’altro, colrisultato che la domanda vieneesaminata numerose volte oppure mai.È entrata in vigore per tutti i 15 statimembri dell’Ue il 1° settembre 1997,benché gli stati avessero iniziato adapplicarla molto prima.

Convenzione di Schengen del 1990

Ha lo scopo di rafforzare i controlli allefrontiere esterne, per permettere lalibera circolazione all’interno degli statipartecipanti. Comprende misuredestinate a consolidare la collaborazionedi polizia e giudiziaria, e ad introdurreuna politica comune in materia di visti edi sanzioni a carico dei vettori. Ha fattoseguito all’analogo accordo di Schengen,del 1985, concluso fra sei stati membridell’allora Comunità europea. LaConvenzione è entrata in vigore il 1°settembre 1993 e ha cominciato adessere attuata nei singoli stati a partiredal marzo 1995. Vi aderiscono tutti glistati membri dell’Ue, eccetto laDanimarca, l’Irlanda e il Regno unito.

sono state definite rappresentative diun’armonizzazione sulla base del minimocomune denominatore.

Trattato di Amsterdam del 1997

Prevede l’impegno degli stati membri dielaborare, entro il termine di cinque anni,una politica comune in materiad’immigrazione e asilo. Fino allora, ledecisioni continueranno ad essereadottate su base intergovernativa,permettendo così ad alcuni stati, comequelli firmatari della Convenzione diSchengen, di optare per unacollaborazione più stretta, anche se glialtri non lo desiderano. Dopo cinque anni,l’elaborazione della politica comunedell’asilo rientrerà nella normale proceduradecisionale del Consiglio dei ministri, perla quale non è sempre richiestal’unanimità. In tale contesto, alParlamento europeo è stata attribuita unalimitata funzione consultiva, mentre laCorte di giustizia europea può pronunciaresentenze preliminari e funge da cortesuprema d’appello per l’interpretazionedelle clausole pertinenti dei trattatidell’Ue. Il Trattato di Amsterdam è entratoin applicazione il 1° maggio 1999.

Riunione del Consiglio europeo aTampere nel 1999

Nell’ottobre 1999, i capi di stato e digoverno dell’Ue riuniti a Tampere, inFinlandia, hanno riaffermato l’importanzaattribuita "al rispetto assoluto del dirittodi chiedere asilo" i, e "s’impegnavano aoperare per l’istituzione di un sistemacomune europeo dell’asilo, basatosull’applicazione piena e integrale dellaConvenzione [dell’Onu del 1951 suirifugiati], garantendo così che nessuno siarimandato in un paese in cui rischia lapersecuzione, mantenendo cioè il principiodel non respingimento (nonrefoulement)". Tale sistema comuneeuropeo dell’asilo deve comprendere, in unprimo tempo, "una determinazione chiarae praticabile dello stato competente perl’esame delle domande d’asilo, critericomuni per una procedura equa edefficiente, condizioni minime comuni perl’accoglienza dei richiedenti, come pure ilravvicinamento delle norme sulriconoscimento e il contenuto dello statusdi rifugiato". In un secondo tempo,devono essere concordate "misure relativea forme sussidiarie di protezione, cheoffrano un idoneo status giuridico allepersone bisognose di tale protezione".

Trattato dell’Unione europeadel 1992

È il trattato – noto anche come Trattatodi Maastricht – istitutivo dell’Unioneeuropea. Ha incorporato le varie attivitàdella preesistente Comunità europea,intensificando inoltre la collaborazioneintergovernativa in settori quali lagiustizia e gli affari interni. Il trattatocomprende misure per l’armonizzazionedelle politiche dell’asilo edell’immigrazione, e introduce ilconcetto di cittadinanza dell’Unione. Èentrato in vigore il 1° novembre 1993.

Risoluzioni di Londra del 1992

Nella capitale britannica, nel 1992, iministri dell’Immigrazione della Comunitàeuropea hanno approvato tre risoluzioni,che definivano, rispettivamente, ledomande d’asilo "palesemente infondate",i paesi terzi ospitanti (o sicuri) attraversoi quali i richiedenti asilo sono transitati enei quali possono essere rimandati,nonché i paesi che non presentano, ingenere, un serio rischio di persecuzione.Questi concetti miravano ad accelerare leprocedure d’esame delle domande d’asilo.Seppure non vincolanti, le risoluzioni sonoapplicate negli stati membri dell’Unioneeuropea e anche in altri paesi.

Altre risoluzioni eraccomandazioni del Consiglio deiministri

Nel corso degli anni ’90, il Consiglio deiministri ha approvato una serie dirisoluzioni, raccomandazioni e posizionicomuni, anch’esse giuridicamente nonvincolanti. Fra gli strumenti adottati visono due raccomandazioni sugli accordi diriammissione, approvate nel 1994-95, cheprevedevano un accordo tipo perrimandare indietro i richiedenti asilo le cuidomande fossero respinte o giudicateinfondate. Fra il 1993 e il 1996, una seriedi misure relative alla "ripartizionedell’onere" hanno enunciato dei principi disolidarietà, in caso di afflussi su vastascala. Nel giugno 1995, il Consiglio deiministri ha approvato una risoluzionesulle garanzie minime delle procedured’asilo, che stabiliva i diritti e i doveri daqueste previsti. Nel marzo 1996, eraadottata una "posizione comune" perun’applicazione standardizzata del termine"rifugiato". Dai critici, molte di tali misure

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oppure distruggevano, nel corso del viaggio, i propri documenti. Il fenomeno, però,rafforzò lo scetticismo dell’opinione pubblica circa le vere motivazioni dei candidatiall’asilo. Nel tentativo di contrastare la crescente ostilità nei loro confronti, i gruppi didifesa si sforzarono di costruire un’immagine più positiva dei rifugiati e di guada-gnare l’appoggio della popolazione per la loro protezione. Durante tutto questo perio-do, i gruppi militanti stessi furono restii a riconoscere l’esigenza di rimandare neipaesi d’origine i richiedenti asilo la cui domanda fosse stata respinta, elemento checontribuì a polarizzare il dibattito sul problema. Al tempo stesso, alcuni partiti politi-ci e determinati media sembravano in molti casi occupati più che altro a far leva suisentimenti anti-immigranti, razzisti e xenofobi, al fine di procacciarsi voti o di aumen-tare la tiratura. Nell’ottobre 1998, ad esempio, un quotidiano locale britannico, ilDover Express, giunse a definire i richiedenti asilo “feccia dell’umanità” 6.

La “fortezza Europa”

Le nuove politiche restrittive attuate in Europa occidentale, al fine di lottare control’immigrazione illegale e il ricorso abusivo al regime dell’asilo, spostarono l’equilibriofra protezione dei rifugiati e regolamentazione dell’immigrazione. Per sintetizzare ilfenomeno, divenne corrente l’espressione “fortezza Europa”.

Con l’obiettivo di far fronte ai “flussi misti” di immigranti clandestini e di rifugiatiche arrivavano nei paesi europei, furono adottate quattro tipi di misure. Queste tende-vano a colpire indiscriminatamente entrambe le categorie, ed ebbero l’effetto di rende-re più difficile per quanti cercavano protezione raggiungere un paese in cui potesserochiederla. Sin dal 1986, l’Unhcr ammoniva: “delle misure restrittive e frammentarie,

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Principali paesi/territori d’origine dei richiedenti asiloin Europa occidentale, 1990–99*

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* Per dettagli sui paesi inclusi, cfr. allegato 10.

Fig. 7.2

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adottate in modo unilaterale, non possono bastare. La loro conseguenza, nella maggio-ranza dei casi, è di spostare, anziché alleviare, l’onere e di mettere in moto una sequen-za di avvenimenti autodistruttivi... Nel lungo periodo, non possono fare a meno di pro-vocare un abbassamento generale dei parametri accettati a livello internazionale” 7.

In primo luogo, i paesi cercarono di adottare una politica del “non arrivo”, voltaa prevenire l’arrivo in Europa di stranieri sprovvisti di documenti validi, fra i quali sitrovavano potenzialmente dei richiedenti asilo. Si generalizzarono l’obbligo del vistoe le “sanzioni a carico dei vettori”: ammende inflitte alle compagnie che trasportasse-ro passeggeri sprovvisti di adeguata documentazione. Alcuni paesi cominciarono adislocare all’estero dei funzionari di collegamento dell’Immigrazione, per “intercetta-re” i migranti sprovvisti di idonei documenti e impedire loro di recarsi in quei paesi.

In secondo luogo, per i richiedenti asilo che, malgrado tali provvedimenti, riu-scissero a giungere alle frontiere, era attuata una politica di “dirottamento”, spostan-do su altri paesi la responsabilità di valutare le domande dei richiedenti asilo e di for-nire loro protezione. Questa strategia fu resa possibile anche dall’emergere dei paesidell’Europa centrale come aree in cui i rifugiati potevano, almeno in teoria, trovareprotezione. Dopo il 1989, la maggioranza di tali paesi hanno prontamente aderito allaConvenzione Onu del 1951 sui rifugiati e, negli anni ’90, l’Unhcr, il Consigliod’Europa, altre organizzazioni internazionali e i governi dell’Europa occidentalehanno dedicato notevoli sforzi al potenziamento delle loro capacità di accoglienza peri richiedenti asilo e i rifugiati.

Di conseguenza, i governi dell’Europa occidentale redassero elenchi di “paesi terzisicuri”, situati ad est dell’Unione europea, creando una sorta di “zona cuscinetto” 8.Conclusero, inoltre, con i paesi dell’Europa centrorientale e con altri governi degliaccordi di riammissione per il rimpatrio degli immigranti illegali, e cominciarono arimandare indietro i richiedenti asilo verso i paesi “sicuri” dai quali erano transitati.Tali accordi contenevano di rado garanzie particolari per gli interessati, e si creava ilrischio di “espulsioni a catena”, per cui gli aspiranti all’asilo potevano essere trasferi-ti da un paese all’altro, senza alcuna garanzia che la loro domanda di protezione avreb-be finito con l’essere esaminata. L’Unhcr condannò tale prassi, in quanto era “palese-mente contraria ai principi fondamentali della protezione” e non forniva sufficienteprotezione contro il respingimento (refoulement) 9. Non sorprenderà il fatto che glistessi paesi dell’Europa centrorientale, con l’incoraggiamento dei loro vicini occiden-tali, abbiano introdotto analoghi freni per ridurre il numero degli arrivi.

In terzo luogo, i governi hanno sempre più adottato un’interpretazione restrittiva dellaConvenzione Onu del 1951 sui rifugiati, al fine di escludere alcune categorie di richiedenti dalcampo d’applicazione della definizione di rifugiato. In alcuni paesi, ciò continua a dar luogoa situazioni per cui coloro che hanno subìto persecuzioni ad opera di “agenti non statali” nonsono considerati rifugiati, e spesso si vedono offrire una forma inferiore di protezione, conminori diritti e benefici [cfr. riquadro 7.2].A seguito di questo e di altri fattori, è diminuita laproporzione dei richiedenti riconosciuti come rifugiati ai sensi della Convenzione. Molti dicoloro cui è stato rifiutato lo status di rifugiato hanno la possibilità di rimanere nel paese incui hanno presentato la domanda d’asilo, ma con uno status giuridico inferiore a quello for-male di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951: si possono citare, a titolo d’esempio, lo“status B”, lo “status umanitario” e il “permesso straordinario di soggiorno” 10. In questomodo, si riconosce la loro esigenza di protezione, ma gli obblighi dei paesi ospitanti – soprat-tutto riguardo al ricongiungimento familiare e al rilascio dei documenti di viaggio previstidalla Convenzione – sono ridotti al minimo. La molteplicità dei tipi di status giuridico ha pro-vocato nell’opinione pubblica notevole confusione circa chi è un “vero” rifugiato.

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I RIFUGIATI NEL MONDO

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Infine, sono state introdotte varie misure “deterrenti”, fra cui quella, sempre piùdiffusa, che consiste nell’ospitare automaticamente i richiedenti asilo in centri chiusi,il rifiuto dell’assistenza sociale e le restrizioni alle possibilità di occupazione 11. Inoltre,sono state imposte limitazioni al diritto dei rifugiati, che già si trovano nel paese, difarsi raggiungere dai familiari.

L’elaborazione di una politica comune dell’Unione europea

Gli sforzi dei paesi dell’Europa occidentale per adeguare le rispettive politiche del-l’asilo e dell’immigrazione coincisero con le iniziative per la realizzazione di unapiù stretta integrazione economica e politica, attraverso la creazione di un mercatounico europeo. A tal fine, occorreva sopprimere tutti gli ostacoli interni agli scambie alla libera circolazione delle persone e dei capitali all’interno della Comunità euro-pea, divenuta nel 1993 l’Unione europea, con l’entrata in vigore del Trattato diMaastricht. Tale volontà andava di pari passo col desiderio di mantenere il controllosui movimenti delle persone provenienti da paesi terzi. Nel contempo, i governitemevano che la libertà di circolazione all’interno dell’Unione creasse nuovi pro-blemi nel campo dell’immigrazione e dell’asilo. Il risultato è stato un processolungo e complesso, durante il quale i 12 – poi 15 – stati membri si sono sforzati diarmonizzare le rispettive politiche in materia di controlli alle frontiere, immigra-zione e asilo [cfr. riquadro 7.1] 12.

Negli anni ’90, le attività nel campo dell’emigrazione e all’asilo si sono in largaparte concentrate sul coordinamento e il rafforzamento delle politiche di ammissionedei vari stati membri. La Convenzione di Schengen del 1990 conteneva disposizionimiranti a rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia, una politica comune inmateria di visti, nonché l’inasprimento delle sanzioni a carico delle compagnie di tra-sporto. La Convenzione di Dublino del 1990 elencava i criteri da applicare per deter-minare quale delle parti contraenti fosse competente per l’esame di una domanda d’a-silo; si proponeva, inoltre, di impedire ai richiedenti asilo di “guardarsi intorno” incerca del paese “migliore” per presentare la domanda, e di risolvere il problema diquei richiedenti dei quali nessun paese era disposto ad assumersi la responsabilità,fenomeno noto come quello dei “rifugiati in orbita”.

Mentre le Convenzioni di Schengen e di Dublino sono vincolanti per gli stati chele hanno ratificate, altre attività di armonizzazione si sono svolte al di fuori di una cor-nice vincolante, con negoziati intergovernativi scarsamente trasparenti. Ciò malgrado,in molti casi l’accordo fra i paesi membri dell’Unione europea ha potuto essere rag-giunto solo a livello del minimo comune denominatore. Discutendo una delle que-stioni più cruciali, i governi hanno cercato un accordo sull’interpretazione della defi-nizione di rifugiato, contenuta nella Convenzione Onu del 1951. Soprattutto a causadell’interpretazione restrittiva applicata dalla Germania, nonché del desiderio dellaFrancia di limitare i propri obblighi nei confronti degli algerini che fuggivano dal loropaese, la “posizione comune” dell’Unione europea del marzo 1996, su un’applicazio-ne armonizzata della definizione del termine “rifugiato”, adotta una linea restrittiva,considerando la persecuzione “in genere” opera dello stato 13. Di conseguenza, il trat-tamento riservato a quanti fuggono da una persecuzione ad opera di “agenti non sta-tali” continua a essere diverso da un paese all’altro. Di fatto, si sono osservate notevo-li disparità fra gli stati membri nell’applicazione pratica della politica dell’asilo, teori-camente armonizzata 14.

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L’asilo nel mondo industrializzato

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Riquadro 7.2 Gli “agenti di persecuzione” non statali

Immaginate di essere in un villaggiodove truppe governative e ribelli nonvi lasciano in pace, chiedono viveri,maltrattano la vostra famiglia e viminacciano di uccidervi o di tagliarvile mani. Decidete di scappare da unasituazione insostenibile e di chiedereasilo in un altro paese. Quandodescrivete la vostra tragica situazionead un funzionario dell’Immigrazione,gli spiegate che le minacce e levessazioni più gravi venivano dairibelli. Il funzionario vi guarda conespressione grave e vi dice che nonsiete un vero rifugiato, perché nonsono state le forze governative aperseguitarvi, bensì un gruppoarmato che non è uno strumentodello stato. Naturalmente a voi nonimporta nulla se siete torturato dagliuni o dagli altri. Ma importa adalcuni paesi, che non riconosconocome rifugiato chi è perseguitato daicosiddetti "agenti non statali".

La Convenzione Onu del 1951 suirifugiati protegge contro lapersecuzione, ma questa non vi èdefinita, e nulla si dice riguardo aisuoi autori, il che ha dato origine adun ampio dibattito sulla misura dellaprotezione fornita dalla Convenzione.Quando si parla di persecuzione, sipensa spesso a sinistri servizi dellostato, al ricorso alla tortura da partedi funzionari di polizia, o a militariche opprimono civili. Al tempodell’olocausto, un intero meccanismostatale era impegnato nellapersecuzione di determinatecategorie di persone. Quando iredattori della Convenzioneformularono la definizione di"rifugiato", certamente pensavanosoprattutto alla persecuzione daparte di servizi dello stato.

Una delle principali finalità dellaConvenzione Onu del 1951 suirifugiati è di impedire che gliindividui siano rimandati in luoghidove possono subire gravi violazionidei diritti umani o persecuzioni. LaConvenzione non dice, però, che dellapersecuzione debba essereresponsabile uno stato. Qualsiasigruppo che in un paese detenga un

potere rilevante può perseguitare. Diconseguenza, l’Unhcr hacostantemente sostenuto che laConvenzione si applichi a chiunqueabbia un fondato timore dipersecuzione, indipendentemente dachi possa esserne responsabile. Taleposizione è condivisa dalla stragrandemaggioranza degli stati firmatari dellaConvenzione. In alcuni paesi,tuttavia, le domande di status dirifugiato non sono accolte se latemuta persecuzione proviene da"agenti non statali" e se il governodel paese d’origine non può o nonvuole fornire protezione. Questaopinione minoritaria è sostenuta daFrancia, Germania, Italia e Svizzera.

Gli altri strumenti giuridiciinternazionali in materia di dirittiumani, quali la Convenzione del 1984contro la tortura e altri trattamenti opene crudeli, disumani o degradanti, ela Convenzione europea del 1950 perla protezione dei diritti umani e dellelibertà fondamentali, non fanno alcunadistinzione fra lo stato e altri soggettiresponsabili della tortura o di altritrattamenti disumani o degradanti.L’individuo dovrebbe essere protettocontro tali trattamenti, chiunque nesia l’esecutore.

Il potere di repressione della poliziae delle forze armate non appartienepiù esclusivamente agli stati. Unpaese come la Somalia non ha ungoverno che tenga saldamente sottocontrollo il territorio e lapopolazione; di fatto, non ha ungoverno riconosciuto a livellointernazionale. Viceversa, ha veri epropri feudi, in cui bande armate esignori della guerra controllanodiverse estensioni di terreno. InAfghanistan, la forza dominante sulpiano politico e militare, i talibani,non è riconosciuta da alcuni altripaesi come legittimo agente statale.In paesi come l’Angola, la Colombiae lo Sri Lanka, sono dei gruppi, enon il governo, ad esercitare ilpotere su intere regioni.

La persecuzione non è un’esclusiva dellostato, né di gruppi armati non

governativi: può essere perpetrataanche da una setta, un clan o unafamiglia. Le usanze tradizionalipossono tradursi in una persecuzione.Se il governo non può o non vuoleabolirle, gli abitanti di un paesepossono essere costretti adabbandonarlo per salvare la vita, lalibertà o l’incolumità fisica. Nel 1985, ilComitato esecutivo dell’Unhcrriconosceva che la situazionevulnerabile delle donne spesso leespone a maltrattamenti, violenzesessuali e discriminazioni, aggiungendoche le donne che rischiano untrattamento severo o disumano peraver trasgredito ai costumi della lorosocietà, possono rientrarenell’applicazione della Convenzione Onudel 1951 sui rifugiati.

Un esempio di persecuzione legataal sesso di appartenenza è fornitodal caso di due donne pakistane,che hanno chiesto lo status dirifugiate nel Regno Unito a causadei maltrattamenti inflitti dairispettivi mariti, checonfiguravano una vera e propriapersecuzione. Secondo la Cameradei Lord, la massima istanzagiudicante nel Regno Unito, sitrattava effettivamente dirifugiate ai sensi dellaConvenzione, poiché il governo delPakistan non era disposto a farealcunché per proteggerle, per ilfatto che erano donne ii.

Le società che discriminano ledonne o gli omosessuali possonotollerare la persecuzione basata sulsesso d’appartenenza o sulleinclinazioni sessuali. Alcune societàpermettono, o addiritturaincoraggiano, le mutilazioni genitalifemminili. Per alcune donne oragazze, quest’usanza può equivaleread una persecuzione. Se rifiutano disottomettervisi e, così facendo,"trasgrediscono i costumi sociali",lo stato interverrà per proteggerle?In mancanza di protezione da partedello stato, per loro l’unico modoper evitare gravi conseguenze è difuggire dal proprio paese e divenirerifugiate.

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Fra i paesi membri dell’Unione europea, alcuni ricevono un numero di domanded’asilo notevolmente più elevato degli altri. Avendo accolto, nei primi anni ’90,350mila bosniaci, il governo tedesco ha esercitato forti pressioni per la conclusione diun accordo sulla divisione dell’onere. Sull’argomento, nel 1995 l’Unione ha adottatouna risoluzione, un atto non vincolante, riguardante l’ammissione e il soggiorno, atitolo temporaneo, dei rifugiati 15. L’esodo in massa dalla Bosnia-Erzegovina e dalKosovo, rispettivamente a metà e alla fine degli anni ’90, ha portato in primo pianoin Europa, per tutto il decennio, la questione della ripartizione dell’onere, tuttora con-troversa. La quota tedesca delle domande d’asilo in Europa occidentale è comunquescesa dal 63%, all’inizio degli anni ’90, al 23%, nel 1999.

Nell’Unione europea prosegue l’opera di armonizzazione delle politiche dell’asi-lo. L’Unhcr ha approvato tali iniziative, quando hanno lo scopo di rendere il regimepiù equo, efficiente e prevedibile, non solo a vantaggio dei governi, ma anche dei rifu-giati e richiedenti asilo. In molti casi, tuttavia, è prevalso il criterio del minimo comu-ne denominatore, dando luogo a una riduzione, anziché a un rafforzamento, dellaprotezione dei rifugiati.

Domande d’asilo di cittadini dell’Europa centrale,1990–99*

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1998 1999

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Domande presentate inEuropa occidentale dacittadini di paesi dell’Europa centrale

Totale delle domandepresentate in Europacentrale

20

Fig. 7.3

* L’Europa occidentale comprende l’Unione europea, la Norvegia e la Svizzera. L’Europa centrale comprende la Bulgaria,la Polonia, la Repubblica ceca, la Romania, la Slovacchia e l’Ungheria.Fonte: governi.

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La protezione temporanea e l’ex Jugoslavia

Fino agli anni ’90, si riteneva generalmente che, quando in Europa un individuo era rico-nosciuto come rifugiato, avrebbe potuto rimanere nel paese d’asilo a tempo indetermi-nato. Durante il conflitto dell’ex Jugoslavia, invece, è stata introdotta una nuova metodo-logia relativamente all’asilo, per cui gli stati offrivano una protezione temporanea a quan-ti fuggivano dal conflitto, aspettandosi che rimpatriassero, una volta questo terminato.L’Unhcr approva la protezione temporanea come risposta d’emergenza a una situazionedi straordinaria gravità, in cui le necessità di protezione sono evidenti e le possibilità diaccertarle su base individuale in tempi brevi sono scarse o nulle. L’organizzazione ritieneche la finalità della protezione temporanea sia di garantire un immediato accesso alla sicu-rezza e alla tutela dei diritti umani fondamentali, fra cui la protezione dal respingimentonei paesi direttamente coinvolti in un afflusso su larga scala. La protezione temporaneapuò servire, inoltre, ad accrescere le prospettive di un’azione umanitaria coerente a livel-lo regionale, al di là delle zone immediatamente interessate 16.

Nel 1992, l’Unhcr ha fatto appello agli stati perché offrissero almeno una prote-zione temporanea alle centinaia di migliaia di persone che cercavano scampo dal con-flitto nell’ex Jugoslavia. La reazione è stata variabile e, mentre proseguiva l’esodo,aumentavano le tensioni legate all’accoglienza dei rifugiati in Europa occidentale. Nel1993, i paesi membri dell’Unione europea hanno suggerito per primi la creazione di“zone di sicurezza” in Bosnia-Erzegovina, concordando sul fatto che la protezione el’assistenza “dovrebbero essere fornite, se possibile, nella regione d’origine” e che “iprofughi dovrebbero essere aiutati a rimanere nelle zone sicure situate il più vicinopossibile alle loro case” 17. Gli eccidi perpetrati successivamente, quando nel 1995 leforze serbo-bosniache hanno occupato le “zone di sicurezza” di Srebrenica e Zepa,hanno dimostrato tutta la precarietà di tale strategia 18.

Numero annuale dei beneficiaridell’asilo in Europa, 1990–99

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liaia

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* Dalla cifra del 1999 sono escluse l’Austria e la Francia. Per ulteriori dettagli e chiarimenti, cfr. allegato 10.Fonte: governi.

20

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

Rifugiati ai sensi della Convenzione* Status umanitario di varia natura

Fig. 7.4

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I RIFUGIATI NEL MONDO

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Il finanziamento degli aiuti umanitari

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Contributi all’Unhcr deiprincipali paesi donatori inpercentuale del Pnl, 1999*

* Le cifre relative al prodotto interno lordo si riferiscono al 1998.Fonte: Banca mondiale, World Development Report 1999/2000, pp. 252–3; Unhcr.

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Franc

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Fig. 7.5 I 15 principali paesi donatoridell’Unhcr, 1980–99

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Stati

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Austr

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Franc

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Fig. 7.6

In tutto il mondo, gli stanziamentidei governi per gli aiuti umanitarisono andati costantementecrescendo di volume negli ultimi 50anni. Sono aumentati in modospettacolare all’inizio degli anni ’90,raggiungendo un picco di 5,7milioni di dollari nel 1994. Tuttavia,in percentuale del prodotto internolordo (Pil), gli aiuti umanitari hannosubìto fra il 1990 e il 1998 uncrollo, passando dallo 0,03% allo0,02%, vale a dire 20 centesimi perogni mille dollari iii.

All’inizio degli anni ’90, ènotevolmente cresciuta anche laproporzione dell’assistenza pubblicaallo sviluppo stanziata dai governiper gli aiuti umanitari, in confrontoa quella dell’assistenza per losviluppo a lungo termine. Al suomassimo, nel 1994, rappresentava il10% del totale. Tale percentuale è,però, diminuita negli ultimi anni deldecennio, scendendo nel 1998 acirca il 6% del totale iv.

Mentre è aumentato il volume totaledegli stanziamenti governativi per leoperazioni umanitarie, è diminuita

la quota canalizzata attraverso leorganizzazioni internazionali comel’Unhcr, rispetto a quella trasferitadirettamente ai governi dei paesibeneficiari, o convogliata attraversoorganizzazioni non governative deglistessi paesi donatori. Sempre piùspesso, i governi privilegianoaccordi di finanziamento bilaterali,piuttosto che l’assistenzamultilaterale.

Le entrate e le uscite dell’Unhcr

Con il continuo sviluppo delleattività, in termini numerici egeografici, il bilancio dell’Unhcr ècresciuto in modo consistente nei50 anni della sua esistenza. Da unimporto di soli 300mila dollari nel1951, le uscite annuali erano salite,a metà degli anni ’70, a circa 100milioni di dollari. Due incrementisignificativi si sono poi registratialla fine degli anni ’70 e all’iniziodegli anni ’90.

Il primo rilevante aumento si èavuto fra il 1978 e il 1980, all’epocadella grave crisi dei rifugiati

indocinesi, quando le uscite sonopiù che triplicate, passando da 145a 510 milioni di dollari. Il secondoaumento, altrettanto consistente, èavvenuto fra il 1990 e il 1993,quando le uscite sono più cheraddoppiate, passando da 564milioni a 1,3 miliardi di dollari. Taleimpennata è stata dovuta in buonaparte ai programmi di rimpatrio suvasta scala dell’inizio del decenniocome pure alle importanti operazionidi soccorso nel nord dell’Iraq enell’ex Jugoslavia. Successivamentele uscite sono scese a 887 milioni didollari nel 1998, per poi risalirepoco sopra il miliardo nel 1999, aseguito della crisi del Kosovo.Nessuna delle cifre indicate tieneconto delle donazioni sotto forma dibeni, quali tende e medicine, oservizi, ad esempio il trasporto.Prendendo in considerazione anchetali contributi in natura, le cifresarebbero considerevolmente piùalte.

La ripartizione fra le varie regionidelle uscite dell’Unhcr riflette ilcentro d’interesse e la l’estensionegeografica delle sue attività. Nei

Riquadro 7.3

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L’asilo nel mondo industrializzato

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Mili

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i dol

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Totale delle uscite dell’Unhcr, 1950–2000*

* Sono compresi il bilancio ordinario, i programmi ordinari e quelli straordinari delle Nazioni Unite. La cifra per il 2000 è una proiezione.

1950 1955 1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 20001995

Fig. 7.7

Africa40%

Europa31.7%

Asia sudoccidentale,Nordafrica eMedio Oriente

Asia eOceania11.3%

Americhe4.1%

Uscite dell’Unhcr per regione,1990–2000*

Fig. 7.8

* Uscite effettive per il 1990–99, proiezioni per 2000.

primi anni ’60, oltre la metà delleuscite era destinata a programmiper gli europei ancora rifugiati dopola seconda guerra mondiale. Menodi un decennio più tardi, l’Europarappresentava soltanto il 7% delbilancio totale delle uscite. Nel1999, l’Unhcr aveva programmi inoltre 100 paesi. Negli anni ’90,l’Unhcr ha speso in media 40-50dollari l’anno per ogni persona disua competenza – rifugiati,richiedenti asilo, rimpatriati,sfollati e altre categorie – malgradosignificative disparità nella spesapro capite da regione a regione.

La principale fonte di finanziamentodell’Unhcr è stata semprerappresentata da contributivolontari, soprattutto dei governi.Negli anni ’90, in media meno del3% delle entrate complessiveannuali dell’organizzazione venivadal bilancio ordinario dell’Onu. Lamaggior parte dei finanziamentigovernativi proviene da un piccolonumero di importanti paesiindustrializzati. Nel 1999, adesempio, il Nordamerica, il Giapponee gli stati dell’Europa occidentale

rappresentavano il 97% del totaledei contributi governativi all’Unhcr.

Con sempre maggior frequenza, idonatori tendono a destinare i fondiche s’impegnano a versare all’Unhcra specifici paesi, programmi oprogetti, a seconda delle loropriorità nazionali. Nel 1999, solo il20 % dei contributi non avevanouna destinazione predeterminata, ilche ha notevolmente ridotto laflessibilità dell’organizzazionenell’utilizzare i finanziamenti dovesono più necessari. Sempre nel1999, l’Unhcr ha ricevuto poco piùdel 90% dei fondi richiesti per iprogrammi nell’ex Jugoslavia, e soloil 60% circa di quelli richiesti peralcuni programmi per l’Africa. Ineffetti, nel 1999 la comunitàinternazionale ha speso circa 120dollari per ogni persona dicompetenza dell’Unhcr nell’exJugoslavia, vale a dire più di trevolte l’importo speso in Africaoccidentale (circa 35 dollari apersona). Anche tenendo conto delledifferenze nei costi dovute allediverse caratteristiche climatiche, ladisparità rimane notevole.

Come altre organizzazioniumanitarie, l’Unhcr si sforza diampliare la cerchia dei donatori.Così, ad esempio, l’organizzazioneincoraggia il settore privato adonare fondi per programmiumanitari ed a partecipare allaricostruzione postbellica. Nel 1999,soprattutto a seguito degli eventidel Kosovo e di Timor est, l’Unhcrha ricevuto contributi per circa 30milioni di dollari da privaticittadini, fondazioni, societàprivate e organizzazioni nongovernative. In alcuni casi, delleimprese hanno fornito i loro servizigratuitamente, nel corso diemergenze di rifugiati. Durante lacrisi del Kosovo, per esempio, laMicrosoft ha fornito all’Unhcr ilmateriale informatico e il softwareutilizzati per la registrazione deirifugiati. Rivolgendosi alle aziendecommerciali e, più in generale, alsettore privato, l’Unhcr ribadiscequello che è il suo punto di vista: ècompito di tutti soddisfare lenecessità fondamentali dei rifugiatie degli sfollati.

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Quando, in Europa occidentale, è stata offerta la protezione temporanea ai rifu-giati dell’ex Jugoslavia, ciò non è avvenuto senza problemi 19. Sono stati sollevati inter-rogativi circa i diritti economici e sociali dei beneficiari, come anche circa la portatadegli obblighi dei paesi d’accoglienza, una volta conclusa la guerra. Ancor prima chel’inchiostro fosse completamente asciutto sull’accordo di pace di Dayton, nel dicem-bre 1995, era in corso un violento dibattito sul rimpatrio. Doveva essere volontario oforzato? Che cosa si doveva intendere per ritorno “in condizioni di sicurezza edignità”? Si doveva chiedere ai rifugiati di rimpatriare, nel caso in cui non potesserotornare nelle zone d’origine, ma dovessero stabilirsi in un’altra regione del paese? Lacontroversia si è intensificata nel 1996, quando è apparso chiaro che un ritorno volon-tario su larga scala non sarebbe probabilmente avvenuto in tempi brevi.

Quando, sia nel 1998 che nel 1999, nel Kosovo è scoppiato un conflitto in pienaregola, i governi europei sono stati dapprima restii a ripetere l’esperimento della pro-tezione temporanea, continuando ad applicare ai richiedenti asilo provenienti dallaprovincia le normali procedure di accertamento dello status giuridico, come si erafatto per tutti gli anni ’90. Le cifre sono aumentate rapidamente dall’inizio del 1999e quando, il 24 marzo, sono iniziati i bombardamenti della Nato sulla Repubblicafederale di Jugoslavia, è cominciato l’esodo in massa degli albano-kosovari versol’Albania e la Repubblica ex jugoslava di Macedonia, e si è rafforzato il timore di unnuovo afflusso incontrollabile di rifugiati dei Balcani.

Nel tentativo di mantenere aperte le porte della Macedonia agli albanesi delKosovo in fuga, e quindi di preservare l’asilo nella regione a beneficio della maggio-ranza dei rifugiati, è stato allora varato un programma di evacuazione umanitaria, nelquale l’Unhcr ha svolto un ruolo di primo piano. Nel maggio-giugno 1999, circa92mila rifugiati albano-kosovari sono stati trasferiti in aereo dalla Macedonia versonon meno di 25 paesi di destinazione. Sebbene la maggioranza di loro siano rimpa-triati appena finita la guerra, questo particolare esempio di divisione internazionaledell’onere sembra destinato a rimanere l’eccezione, piuttosto che la regola.

Il Trattato di Amsterdam e gli sviluppi successivi

Malgrado le risorse dedicate ai controlli alle frontiere, le restrizioni e le sanzioni intro-dotte nel settore dell’emigrazione e dell’asilo non avevano risolto il problema delle massedi migranti che entravano in Europa in modo irregolare. Al contrario, tendeva a spingeresia i migranti che i richiedenti asilo nelle mani di trafficanti di esseri umani, aggravandoi problemi per i governi, e spesso esponendo gli stessi individui a gravi pericoli 20.

Nel tentativo di far fronte a tale complessa questione, i paesi membri dell’Unioneeuropea hanno adottato ulteriori misure per rafforzare le iniziative di armonizzazione alivello comunitario. Il Trattato di Amsterdam, firmato nel 1997 ed entrato in vigore nelmaggio 1999, costituisce una pietra miliare nell’elaborazione della politica dell’Unionein materia di asilo. In particolare, stabilisce un calendario per trasferire tale materia, nelgiro di un quinquennio, da un settore in cui è oggetto di accordi intergovernativi fra glistati membri, a uno in cui l’elaborazione della politica e il potere decisionale rientranochiaramente nelle competenze delle istituzioni europee.Tale sviluppo dovrebbe consen-tire all’Unhcr e ad altre organizzazioni di collaborare in modo più stretto e sistematicocon le istituzioni dell’Unione, fra cui la Commissione, che in base al Trattato diAmsterdam è ora dotata di maggiori poteri d’iniziativa per quanto concerne la politicacomune dell’asilo.

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Nel contempo, però, la frustrazione dei governi per l’incapacità di frenare l’immi-grazione ha dato luogo ad alcune proposte radicali, come quella contenuta in un docu-mento sulla “strategia in materia di migrazioni”, elaborato nel secondo semestre 1998,sotto l’egida della presidenza austriaca dell’Unione europea. Oltre a proporre una “lineadi difesa” per proteggere l’Europa dagli immigranti clandestini in cerca di lavoro o diasilo, il documento auspicava la modifica della Convenzione Onu del 1951 sui rifugia-ti, o addirittura la sua abrogazione per sostituirla con una nuova. Implicitamente, ciòsignificava che la Convenzione stessa era responsabile dell’incapacità dei governi di fre-nare le migrazioni indesiderate: un obiettivo al quale mai fu destinata. Le critiche gene-ralizzate rivolte a tale documento ne hanno poi provocato il ritiro, ma si erano ascoltatianaloghi rimproveri in altre parti d’Europa, e addirittura nella lontana Australia.

In contrasto con tali sviluppi, nell’ottobre 1999, nel vertice di Tampere, inFinlandia, i capi di stato e di governo dell’Unione europea ribadivano il loro “assolu-to rispetto del diritto d’asilo”, l’esigenza di politiche comuni che “offrano garanziealle persone che chiedono protezione o l’accesso all’Unione europea”, l’impegno aistituire un regime comune dell’asilo “basato sulla piena applicazione dellaConvenzione di Ginevra” 21. I dirigenti europei delinearono, inoltre, una serie di nuovemisure che andavano dalle condizioni minime comuni per l’accoglienza dei richie-denti asilo, a misure su forme alternative di protezione, anche temporanea. Questedovevano fondarsi su una “strategia globale in materia di migrazioni, che affronti i

Albanesi su una banchina del porto di Brindisi. All’inizio degli anni ‘90, migliaia di albanesi hanno abbandonato il loro paesetormentato dall’instabilità politica. (ASSOCIATED PRESS/1991)

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problemi politici, dei diritti umani e dello sviluppo nei paesi e nelle regioni d’origi-ne e di transito”. Il problema è ora di tradurre in pratica quegli impegni: un compitodifficile, data la vasta gamma di misure adottate da quegli stessi governi per impedireai richiedenti asilo di entrare sul loro territorio. L’Unhcr ha sollecitato i paesi europeia “operare affinché le politiche e le prassi destinate alla lotta contro l’immigrazioneclandestina non mettano a repentaglio i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo” 22.

Parallelamente a tali sviluppi, il Consiglio d’Europa, che raggruppa la stragrandemaggioranza degli stati del continente – in contrapposizione all’Unione europea che ha15 paesi membri –, ha operato per il rafforzamento della protezione dei diritti dei rifu-giati, in quanto diritti umani fondamentali. Nel 1991, la Corte europea dei diritti del-l’uomo ha chiaramente affermato il principio secondo cui i richiedenti asilo non devo-no essere rimandati in un paese in cui corrano il rischio di subire torture o maltratta-menti 23. È stato, inoltre, ribadito che le disposizioni della Convenzione europea per laprotezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del 1950, che contienedisposizioni riguardanti, fra l’altro, l’internamento, il diritto alla vita familiare e il dirit-to a efficaci mezzi di ricorso, si applicano anche ai richiedenti asilo e ai rifugiati. L’operadel Consiglio d’Europa, pertanto, rafforza e completa quella dell’Unione europea, esten-dendo nel contempo a tutto il continente i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

Un altro fattore essenziale per il futuro della protezione dei rifugiati in Europa sarà lacapacità dei paesi dell’Europa centrorientale di rispondere alle richieste di protezione. Neldecennio seguito alla fine della guerra fredda, molti di essi hanno compiuto enormi passiavanti nella creazione di un proprio regime dell’asilo, e ormai per i richiedenti asilo nonsono più semplicemente paesi di transito. Nel 1999, per esempio, l’Ungheria ha ricevu-to più domande d’asilo che la Danimarca e la Finlandia messe assieme.

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Domande d’asilo presentate nei principali paesiindustrializzati d’accoglienza, 1980–99*

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* Le domande presentate nel Regno Unito e negli Stati Uniti comprendono le domande congiunteper più persone. Le domande presentate in tutti gli altri paesi si riferiscono a una sola persona.Fonte: Governi.

Fig. 7.9

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Alla fine degli anni ’90, l’Europa si trova nuovamente a una svolta. Nei prossimi anni,le mutate tendenze demografiche potranno rendere i vari paesi più ricettivi nei confrontidell’immigrazione. Alcuni studiosi sostengono, infatti, che per effetto della bassa natalità edell’invecchiamento della popolazione, nel prossimo mezzo secolo sarà necessario l’appor-to di un rilevante numero di immigranti, solo per mantenere al livello attuale il rapporto frapensionati e popolazione attiva. Un recente rapporto della Divisione popolazione delleNazioni Unite calcola che, con gli attuali tassi di natalità e mortalità, fra il 1995 e il 2050sarebbe necessario nell’Unione europea l’arrivo, in media, di 1,4 milioni di immigratiall’anno, per mantenere al livello del 1995 il rapporto fra popolazione attiva e non attiva. Ilrapporto indica pure che, secondo recenti stime nazionali, fra il 1990 e il 1998 l’immigra-zione netta nell’Unione europea è stata, in media, di 857mila persone all’anno 24.

Se i governi reagiranno con un notevole allentamento delle restrizioni all’immi-grazione illegale, forse si renderanno conto che ciò ridurrebbe in parte la pressionesul canale dell’asilo, rafforzando il sostegno dell’opinione pubblica e dei politici all’i-stituto dell’asilo.Viceversa, è da prevedere che un aumento dell’immigrazione potreb-be facilitare e portare a un incremento di quella clandestina. Ciononostante, se l’im-migrazione rimarrà un obiettivo quasi irraggiungibile, c’è ogni motivo per prevedereche sia i richiedenti asilo che i migranti continueranno a saturare il canale dell’asilo eche l’istituto stesso sarà messo a dura prova. L’evoluzione del dibattito sulle migrazio-ni potrà di fatto determinare il futuro della protezione dei rifugiati in Europa.

L’asilo nel mondo industrializzato

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Numero delle domande d’asilo per 1.000 abitanti,presentate nei principali paesi industrializzatid’accoglienza, 1999*

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* Le domande presentate nel Regno Unito e negli Stati Uniti comprendono le domande congiunte perpiù persone. In tutti gli altri paesi, le domande riguardano una sola persona. I paesi industrializzatisono quelli che hanno ricevuto, nel 1999, non meno di 2.500 domande d’asilo. Per ulteriori particolarie chiarimenti, cfr. allegato 10.

Fig. 7.10

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Il reinsediamento e l’asilo nel NordamericaA differenza dei paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada sono tradizionali paesi d’im-migrazione, e quindi abituati a programmare l’arrivo dei nuovi venuti, come anche adintegrarli nelle rispettive società. I rifugiati sono da molto tempo considerati comeuna particolare categoria di immigrati, e molti degli esuli della seconda guerra mon-diale trovarono una nuova patria nel Nordamerica, nel quadro di programmi perma-nenti d’immigrazione. Entrambi i paesi hanno avuto per molto tempo dei contingen-ti ben definiti per l’accoglienza dei rifugiati e, in entrambi, il governo e il volontaria-to collaborano strettamente per il reinsediamento dei rifugiati.

All’epoca della guerra fredda, sia negli Stati Uniti che in Canada gli esuli del bloc-co comunista erano i benvenuti. Tuttavia, la posizione geografica dei due paesi, cir-condati dall’oceano Pacifico e dall’oceano Atlantico, ha fatto sì che solo negli anni ’80i richiedenti asilo – in contrapposizione ai rifugiati selezionati per il reinsediamento

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UCRAINA

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LUSSEMBURGO

BELGIO

AUSTRIA

REPUBBLICA CECA

UNGHERIA

ROMANIA

GERMANIA

PAESI BASSI

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SLOVACCHIA

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POLONIA

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FINLANDIA

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Paesi candidati all’adesioneall’UePaesi membri del Consigliod’Europa

Confine di stato

LEGGENDA

Paesi membri dell’Unioneeuropea

Oceano Atlantico

MarMediterraneo

Mare del Nord Mar B

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MONACO

MALTA

NORVEGIA

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KALININGRAD(FED. RUSSA)

R. EX JUG. DIMACEDONIA

BIELORUSSIA

REPUBBLICADI MOLDAVIA

BOSNIA-ERZEGOVINA REP. FEDERALE

DI JUGOSLAVIA

TURCHIA

Europa politica, 1999 Cartina 7.1

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– cominciassero ad arrivare spontaneamente e in gran numero nel Nordamerica. Isistemi in atto, destinati a far fronte a un numero relativamente ristretto di domanded’asilo individuali, non potevano più rispondere alle nuove esigenze, e da moltiambienti si levarono appelli al cambiamento. Come i paesi europei, anche gli StatiUniti e il Canada si sono sforzati di trovare il giusto equilibrio fra la protezione deirifugiati e i controlli all’immigrazione, con in più la pressante necessità di. realizzareil giusto equilibrio fra reinsediamento dei rifugiati e ammissione degli immigranti.

La politica americana per i rifugiati durante la guerra fredda

Fra il 1975 e il 1999, gli Stati Uniti offrirono un reinsediamento a tempo indetermi-nato a oltre due milioni di rifugiati, dei quali circa 1,3 milioni erano indocinesi.Durante tale periodo, il paese accolse, in vista del reinsediamento, più profughi che ilresto del mondo nel suo complesso. Per tutti gli anni della guerra fredda, il valore poli-tico dell’accoglienza degli esuli provenienti da paesi comunisti garantiva ai rifugiatieuropei una calorosa accoglienza. Pur essendo per l’Unhcr uno dei maggiori donato-ri, gli Stati Uniti non aderirono mai alla Convenzione Onu del 1951, ma nel 1968 ade-rirono al Protocollo aggiuntivo del 1967, impegnandosi per ciò stesso a rispettare lamaggior parte degli obblighi della Convenzione. Dalla fine degli anni ’50, la normati-va americana definiva come rifugiato chi fuggiva dal comunismo o da un paese delMedio Oriente, e la politica per i rifugiati era quasi interamente dettata da interessi dipolitica estera 25. L’effetto era che a tali persone era assicurata la protezione negli StatiUniti, mentre ad altre non era garantita la stessa protezione.

A partire dalla metà degli anni ’70, gli Stati Uniti cominciarono a reinsediare ungran numero di rifugiati vietnamiti, nel quadro di un programma che aveva le sue radi-ci in un senso di obbligo che il paese provava nei confronti degli ex alleati del Sudestasiatico, come anche nel timore che un afflusso di rifugiati potesse destabilizzare gliultimi paesi non comunisti della regione. Inoltre, quando avevano un interesse di poli-tica estera per farlo, gli Stati Uniti ammettevano gli interessati come rifugiati diretta-mente a partire dai paesi d’origine. Questo sistema di esame delle candidature “nelpaese stesso” fu utilizzato, ad esempio, per il reinsediamento degli ebrei e dei dissidentiprovenienti dall’Unione sovietica, per coloro che volevano sfuggire ai regimi di NicolaeCeausescu in Romania e di Fidel Castro a Cuba, come anche per i vietnamiti reinsedia-ti, sotto l’egida dell’Unhcr, nell’ambito del Programma di partenze organizzate.

Negli ultimi anni ’70, i membri del Congresso unirono le loro forze a quelle delleOng che sostenevano la causa dei rifugiati, per ottenere una riforma della politicaamericana in materia. L’amministrazione del presidente Jimmy Carter, desiderosa diporre in risalto la tutela dei diritti umani come un elemento centrale della sua politi-ca estera, reagì positivamente. Nel 1979, fu creato l’Ufficio del coordinatore per gliaffari dei rifugiati, e l’anno successivo il Refugee Act recepì la Convenzione Onu del1951 e istituì una procedura obbligatoria in materia d’asilo. La nuova legge, tuttavia,non sottrasse interamente la politica dei rifugiati al controllo presidenziale, ma diedeall’esecutivo un notevole margine di manovra per l’elaborazione di tale politica, spes-so strumentalizzata a fini di politica estera.

Un esempio pertinente fu, negli anni ’80, quello dei richiedenti asilo di El Salvadore del Guatemala. Gli Stati Uniti respingevano le domande della stragrande maggioranzadei richiedenti asilo di entrambi tali paesi, mentre nello stesso periodo accoglievano ingran numero i rifugiati che abbandonavano il regime sandinista, di sinistra, del

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Nicaragua. I funzionari americani sostenevano di non fare discriminazioni contro i citta-dini salvadoregni e guatemaltechi, affermando che in maggioranza non possedevano irequisiti per lo status di rifugiato perché volevano immigrare per motivi economicioppure, anche se la motivazione non era di natura economica, perché non avevano subì-to né temevano una persecuzione diretta individualmente contro di loro. I difensori deirifugiati sostenevano, dal canto loro, che il rifiuto dell’asilo era dovuto al fatto che vole-vano abbandonare paesi con governi di destra, appoggiati dagli Stati Uniti. Nel 1985, igruppi militanti adirono i tribunali contestando il trattamento riservato dall’amministra-zione ai richiedenti asilo di El Salvador e del Guatemala, sostenendo che il modo in cuigiudicava le loro domande costituiva di fatto una discriminazione. Nel 1990, il governoaccettò una composizione della vertenza, impegnandosi a riesaminare tutte le domandedei richiedenti dei due paesi, cui l’asilo era stato rifiutato fra il 1980 e il 1990 26.

Analoghe accuse di discriminazione erano state rivolte all’amministrazione americanaper le disparità nel trattamento riservato ai richiedenti asilo haitiani rispetto a quelli cuba-ni. Per i primi 25 anni dopo l’arrivo al potere, nel 1959, di Fidel Castro a Cuba, gli StatiUniti mantennero aperte le porte ai richiedenti asilo provenienti dall’isola.Tale politica fumessa seriamente alla prova nel 1980, quando Castro attenuò le restrizioni all’uscita di oltre125mila cittadini (fra cui oltre 8mila fra criminali e ospiti di istituti psichiatrici), che sidiressero in Florida nell’ambito del cosiddetto Mariel boatlift. Malgrado la controversiasuscitata, alla maggioranza di loro fu permesso di rimanere. Nello stesso periodo, tuttavia, iprofughi di Haiti erano intercettati in mare, si vedevano rifiutare l’asilo negli Stati Uniti evenivano rimandati nel paese d’origine [cfr. riquadro 7.2]. Mentre il governo sosteneva chemolti haitiani abbandonavano il loro paese per ragioni economiche, i sostenitori dei rifu-giati rimasero critici rispetto al comportamento dell’amministrazione.

A Cuba, intanto, la spinta migratoria cresceva costantemente, soprattutto dopo ladisgregazione, nel 1991, dell’Unione sovietica, suo principale alleato. Col peggiora-mento della situazione economica e sociale dell’isola, continuò ad aumentare il nume-ro di quanti cercavano di raggiungere gli Stati Uniti. Mentre nel paese si sviluppava l’o-stilità verso gli immigranti, all’inizio degli anni ’90 cominciò un nuovo esodo e, a metàdel 1994, la Guardia costiera americana aveva già bloccato oltre 35mila balseros (clan-destini a bordo di piccole imbarcazioni o zattere). L’amministrazione Clinton avevadeciso, in effetti, di intercettare i cubani in mare e di internarli nella base navale ame-ricana di Guantánamo, nella stessa isola di Cuba, e in altre località dell’area caraibica.Per far cessare l’afflusso, nel settembre 1994 il governo degli Stati Uniti ha conclusocon quello cubano un controverso accordo, in virtù del quale quest’ultimo sarebbe tor-nato alla sua politica anteriore, per cui i cittadini dovevano chiedere un’autorizzazioned’uscita, che le autorità potevano rilasciare o rifiutare a propria discrezione 27. Da partesua, il governo americano si è impegnato ad accogliere ogni anno 20mila cubani, attra-verso altri regimi d’immigrazione.

Sviluppi recenti della normativa e della prassi negli Stati Uniti

All’inizio degli anni ’90, il Servizio immigrazione e naturalizzazione americano intro-dusse un nuovo sistema per l’istruttoria delle domande d’asilo, per ovviare al fatto chespesso ne erano incaricati dei funzionari inesperti in materia di diritto dei rifugiati edi tecniche dell’intervista, e che in molti casi si basavano più sulle raccomandazionidel Dipartimento di Stato, influenzate da considerazioni di politica estera, che nonsulla testimonianza del richiedente e sui principi giuridici pertinenti. La riforma diede

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luogo all’istituzione di un corpo specializzato di funzionari addetti all’asilo, comeanche di un centro di documentazione, in grado di fornire informazioni obiettivesulla situazione dei paesi d’origine.

Le nuove procedure, nonché le modifiche introdotte nei criteri per la valutazio-ne delle domande d’asilo, promettevano di rendere la procedura più equa. Per esem-pio, la testimonianza coerente e credibile del richiedente poteva essere considerataprova sufficiente di un timore di persecuzione, anche in assenza di prove documen-tali. I candidati all’asilo, tuttavia, erano in molti casi privi di rappresentanti legali o diinterpreti qualificati 28.

Sempre nel 1990, il Congresso americano emendò la legislazione in materia diimmigrazione e cittadinanza, introducendo uno status di protezione temporanea.All’Attorney General fu attribuito il potere discrezionale di accordarlo a cittadini dipaesi afflitti da conflitti o calamità naturali. Esso differiva dalla protezione tempora-nea esistente in Europa, in quanto non era collegato a situazioni di afflusso massic-cio, né impediva all’interessato – come in alcuni paesi europei – di presentare unadomanda d’asilo consentiva, peraltro, di cercava lavoro e precludeva l’espulsione. Ilnuovo status giuridico garantiva, almeno temporaneamente, un rifugio a personeche, in caso contrario, avrebbero potuto essere rimandate in situazioni pericolose.Alcuni osservatori espressero, tuttavia, il timore che potesse essere impiegato perrifiutare lo status di rifugiato di pieno diritto ai cittadini di alcuni paesi, o che intac-

Proporzione dei richiedenti asilo riconosciuti comerifugiati o beneficiari di uno status umanitario,1990–2000

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* Dalla cifra del 1999 sono esclusi l’Austria, la Francia e il Lussemburgo. Per ulteriori dettagli e chiarimenti, cfr. allegato 10.

Fig. 7.11

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I RIFUGIATI NEL MONDO

I richiedenti asilo haitiani

A partire dagli anni ’70, iltrattamento riservato dallesuccessive amministrazioniamericane ai migranti che arrivavanoa bordo di imbarcazioni, haconsiderevolmente limitato per glihaitiani la possibilità di accederealla procedura dell’asilo. Lestatistiche del governo statunitenserivelano che, fra il 1981 e il 1991,furono intercettati in alto mare oltre22mila haitiani, e che solo 28 diloro furono ammessi negli Stati Unitiper presentarvi una domanda d’asilo.

L’Unhcr, le altre organizzazioniumanitarie e i militanti per i dirittiumani hanno ripetutamentesostenuto che, intercettando erimandando indietro i richiedentiasilo haitiani, senza appropriateprocedure volte a verificare l’esigenzadi un fondato timore di persecuzione,il governo americano avrebbe potutoprovocare un ritorno forzato verso unluogo non sicuro (refoulement),vietato dall’articolo 33 dellaConvenzione Onu del 1951 suirifugiati. All’inizio degli anni ’90,negli stessi Stati Uniti dei gruppi diattivisti contestarono davanti atribunali federali la politicagovernativa dell’intercettazione, e laquestione fu portata davanti almassimo livello giudiziario del paese,e cioè la Corte suprema. Nel 1993,questa dichiarò che l’obbligoderivante dall’articolo 33 non siapplicava al di fuori del territoriodegli Stati Uniti, dove eranointercettati gli haitiani v. Viceversa,l’Unhcr ha sempre sostenuto che ilprincipio del "non respingimento" siapplica dovunque gli stati possanoagire vi. Nel 1997, la Commissioneinteramericana per i diritti umanidell’Organizzazione degli statiamericani ha contraddetto laposizione della Corte suprema,affermando che le garanzie poste inessere dall’articolo 33 si applicanoanche fuori dei confini nazionali vii.

Alcuni gruppi di militanti hannosostenuto che, dato il suo ruolo di

leader nella politica internazionale, leazioni del governo americano neiriguardi degli haitiani hannocontribuito a insidiare il principiodell’asilo anche in altre parti delglobo. Essi affermano inoltre che, sela nazione più ricca del mondo puòrimandare indietro i richiedenti asilo,allora dovrebbero poterlo fare anche ipaesi poveri, poco preparati a gestiremassicci afflussi di rifugiati. Neglianni ’80, mentre gli Stati Unitisostenevano gli interventi dell’Unhcrper impedire che i paesi del Sudestasiatico rimandassero indietro con laforza i boat people vietnamiti, almenouno dei governi responsabili di taleprassi replicò che quanto faceva nonera diverso da quello che facevano gliStati Uniti con gli haitiani.

Una duplicità di criteri

Per tutti gli anni ’60 e ’70, regnòuna notevole disparità neltrattamento riservato dalle autoritàamericane ai richiedenti asilooriginari di Cuba e di Haiti. I criticiaffermano che il governo trattava icubani come rifugiati perchéfuggivano da un regime comunista,mentre considerava gli haitiani comemigranti economici, nonostante leprove evidenti di persecuzionigeneralizzate ad Haiti. Spesso vieneanche sottolineato, soprattutto dadirigenti politici afroamericani, checoloro che arrivavano da Cuba eranoprevalentemente bianchi, mentrequelli che giungevano da Haiti eranoin maggioranza neri.

Per 30 anni, ad Haiti il potere fu inmano a due dittatori estremamenteautoritari: prima, dal 1957 al 1971,François Duvalier, noto come PapaDoc, e poi, dal 1971 al 1986, il figlioJean-Claude, noto come Baby Doc.Il primo presidente elettodemocraticamente del paese fu l’exsacerdote Jean-Bertrand Aristide, cheassunse la carica nel febbraio 1991,per essere deposto, sette mesi piùtardi, da un colpo di stato militare.

Nel luglio 1993, di fronte allesanzioni e alle pressioniinternazionali, i militari al poteres’impegnarono ad uscire dallascena ma, di fatto, non lo fecero,rimanendo al potere fino agliultimi mesi del 1994, quandointervennero gli Stati Unitireinsediando il governo Aristide.

Gli haitiani che cercavano disfuggire alla repressione politica,alle violazioni generalizzate deidiritti umani e alla situazioneeconomica in continuopeggioramento, avevanocominciato a raggiungere la Floridavia mare all’inizio degli anni ’70.Molti chiesero asilo, ma lamaggioranza delle richieste furonorespinte; altri furono assorbiti nellasempre più numerosa comunitàhaitiana di Miami.

Nel 1978, il governo americanoavviò il "Programma Haiti",mirante a scoraggiare i richiedentiasilo e migranti di tale paesedall’entrare negli Stati Uniti. Icritici lo videro come unprogramma per negare aglihaitiani una procedura equa eaccelerarne l’espulsione. Di fatto, itribunali americani posero fine alprogramma nel 1979, ordinandonuove audizioni per i richiedentiasilo haitiani che si trovavanoancora negli Stati Uniti.

Gli arrivi di haitiani via mareaumentarono nel 1979 eregistrarono un’enormeaccelerazione nel 1980, lo stessoanno in cui oltre 125mila cubaniarrivarono negli Stati Unitidurante il cosiddetto Marielboatlift. Subito dopo, moltihaitiani beneficiarono dellepressioni esercitate sul governoamericano affinché trattasse subasi di uguaglianza e di equità glihaitiani e i cubani. I nuoviarrivati haitiani beneficiavano diuno speciale "status dicandidato", che permetteva loro

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Riquadro 7.4

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di rimanere nell’attesa delladeterminazione del loro statusgiuridico, ma che vietava loro, adifferenza dei cubani, di chiedere ilpermesso di soggiorno a tempoindeterminato.

Il programma d’intercettazione

Alla fine del 1981, la nuovaamministrazione del presidenteRonald Reagan adottò una serie dimisure che preparavano il terrenoall’intercettazione degli haitiani inalto mare. Il governo concordò con leautorità di Port-au-Prince cheavrebbe rimandato indietro glihaitiani partiti illegalmente. Ilpresidente Reagan ordinò alla Guardiacostiera di fermare le imbarcazioniche potessero trasportare verso gliStati Uniti stranieri privi didocumenti. Se i passeggeri, privi didocumenti, cercavano di entrare negliStati Uniti venendo da un paese colquale Washington aveva un accordoper il rimpatrio dei migranti illegali,la Guardia costiera doveva rinviarliverso tale paese. Orbene, l’unicopaese con cui gli Stati Uniti avevano,all’epoca, un simile accordo era Haiti.

L’amministrazione Reagan diedeistruzioni alla Guardia costiera di nonrimandare indietro potenzialirifugiati. Tuttavia, le procedurepreviste per individuare, a bordo dellemotovedette della Guardia costiera, ipotenziali rifugiati erano tali darendere quanto mai difficile perchiunque l’ingresso negli Stati Unitiper presentarvi la domanda d’asilo.

Dopo il colpo di stato del settembre1991 che rovesciò il presidenteAristide, l’amministrazione americanasospese temporaneamente ilprogramma d’intercettazione. Questoriprese un mese dopo, ma stavolta,invece di essere rimandati ad Haiti,gli haitiani intercettati venivanoportati per una "selezione" alla basenavale Usa di Guantánamo, sull’isoladi Cuba. Secondo alcune Ong

americane e almeno un giudicefederale, nella base gli haitiani eranotenuti in condizioni simili a quelle diuna prigione viii. Le statistiche delgoverno degli Stati Uniti indicanoche per circa 10.500 haitiani, su34mila intercettati dopo il colpo distato del 1991, si ritenne cheavessero un plausibile timore dipersecuzione, e quindi furonoautorizzati ad entrare nel paese perchiedervi asilo. Di fatto, questo fupoi concesso solo ad una minoranzadei richiedenti, ma la maggioranza diloro potè, in definitiva, rimanerelegalmente negli Stati Uniti.

Nel maggio 1992, il presidenteGeorge Bush ordinò nuovamente chetutti gli haitiani intercettati fosserorispediti ad Haiti, questa volta senzaneanche la sbrigativa selezione perlo status di rifugiatoprecedentemente effettuata. SebbeneBill Clinton avesse criticato come"crudele" la politica di Bush mentreera in lizza per la presidenza, unavolta eletto la continuò. Tale politicanon scoraggiava comunque glihaitiani dal fuggire e, nel 1992, laGuardia costiera ne intercettò ben31.400. Il numero è calato a 2.400l’anno dopo, ma è poi risalito a25mila nel 1994, prima di scenderead una media di 1.150 nei cinqueanni successivi.

Nel giugno 1994, il presidenteClinton ha instaurato una nuovaprocedura, di breve durata, perl’intercettazione degli haitiani. GliStati Uniti svolgevano la proceduracompleta per l’accertamento dellostatus di rifugiato a bordo dellaUSNS Comfort, ancorata al largodella costa giamaicana. Coloro cuiera accordato lo status di rifugiatoerano reinsediati negli Stati Uniti,mentre i candidati respinti eranorimandati in patria. Il numero deglihaitiani raccolti in mare e nell’attesad’intervista è allora aumentato cosìrapidamente – in luglio, la Guardiacostiera raccolse in un solo giorno3.247 persone – che gli Stati Uniti

hanno abbandonato l’istruttoria abordo, e trasferito a Guantánamoquanti si trovavano ancora sullaComfort, come anche tutti i nuovimigranti intercettati. Le autoritàamericane li hanno informati chepotevano rimanere nella baseamericana di Cuba fintantochéfosse per loro pericoloso tornaread Haiti, aggiungendo, però, chea nessuno sarebbe statoconsentito l’ingresso negli StatiUniti. Il risultato è stato che laGuardia costiera ha trasportato aGuantánamo oltre 21mila haitiani.Alla fine dell’operazione lamaggioranza è stata fattarimpatriare, ma ad alcuni è stataconcessa l’ammissione nel paese.

Nel settembre 1994, una forzamultinazionale dominata dagliStati Uniti è entrata ad Haiti, e lagiunta militare ha finito coldimettersi. Il presidente Aristide èrientrato nell’isola, seguito quasisubito dalla maggior parte deiprofughi di Guantánamo,rimpatriati volontariamente. Neldicembre successivo, il governoamericano ha informato i 4.500haitiani ancora presenti aGuantánamo che il ritorno adHaiti non presentava pericoli.Molte centinaia di loro sono allorarientrati spontaneamente, ma4mila che hanno rifiutato di farlosono stati rimpatriati contro laloro volontà.

Nell’ottobre 1998, il Congressoamericano ha adottato lo HaitianRefugee Immigration Fairness Act,che autorizzava gli haitianiarrivati nel paese prima del 31dicembre 1995 e che entro quelladata avevano fatto domandad’asilo, a chiedere il permesso disoggiorno a tempo indeterminato.La politica dell’intercettazionenelle acque internazionali rimane,tuttavia, in vigore, impedendo allamaggioranza di coloro cheabbandonano Haiti di raggiungerele coste degli Stati Uniti.

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casse il carattere, tradizionalmente permanente, della protezione offerta negli StatiUniti. Storicamente, quasi tutti coloro cui il paese concedeva l’asilo o il reinsedia-mento divenivano candidati al permesso di soggiorno a tempo indeterminato, e poialla cittadinanza.

Nei primi anni ’90, negli Stati Uniti si generalizzò un clima di ostilità verso l’im-migrazione, in parte provocata dalla recessione economica di alcune regioni e dal cre-scente numero di immigranti sprovvisti di documenti, che arrivavano in cerca di lavo-ro. Nel contempo, come in altri paesi industrializzati, il numero delle domande d’a-silo aumentò notevolmente, passando da 20mila, nel 1985, a 148mila, nel 1995.Talicifre comprendevano sia le domande valide che quelle presentate da persone che ten-tavano canali alternativi d’immigrazione. I politici conservatori, contrari a un’immi-grazione su grande scala, attizzavano i timori dell’opinione pubblica, accusando gliimmigranti e i rifugiati di tutta una serie di problemi economici e sociali.

Nel 1994, il clima anti–immigrazione si è tradotto, in California, in un dibattito aproposito della cosiddetta “proposta 187”, volta a impedire agli immigranti privi didocumenti di beneficiare della maggior parte dei servizi sociali, e ad escludere i loro figli.dalla scuola pubblica. Sebbene la proposta riguardasse gli immigranti senza documentipiuttosto che i rifugiati, ha dato l’avvio a un dibattito a livello nazionale sull’immigra-zione in generale. La proposta ha finito con l’essere approvata, anche se in seguito dei tri-bunali locali hanno dichiarato anticostituzionali la maggioranza delle sue disposizioni.

Due anni dopo, nel 1996, il Congresso ha approvato la legge sulla lotta control’immigrazione illegale e sulla responsabilità degli immigranti. Destinata principal-mente a limitare l’immigrazione clandestina e il ricorso abusivo alla procedura d’asi-lo, la legge ha però modificato profondamente anche il modo in cui il governo ame-ricano risponde ai richiedenti asilo e i diritti loro concessi 29. La legge autorizza un“allontanamento accelerato”, per cui i funzionari dell’Immigrazione possono ordi-nare che lo straniero che arriva sprovvisto di validi documenti sia allontanato dalpaese “senza ulteriori audizioni o ricorsi”. È prevista, tuttavia, una deroga per chiindica l’intenzione di chiedere asilo. In tal caso, il funzionario dell’Immigrazionedeve deferire la pratica a un funzionario dell’Asilo. Se questi riconosce che l’interes-sato ha un “timore credibile” di persecuzione, gli viene consentito di chiedere asilo.La mancata dimostrazione di tale “timore credibile” davanti al funzionario dell’Asilooppure, in caso di ricorso, davanti a un giudice specializzato, rende l’interessato pas-sibile di espulsione. La legge del 1996 ha così stabilito nuovi criteri giuridici per laselezione dei richiedenti asilo che si presentano alle frontiere degli Stati Uniti, perdecidere la loro ammissibilità alla procedura dell’asilo 30.

La stessa legge esclude, inoltre, da tale procedura determinate categorie di perso-ne. I gruppi di difesa dei rifugiati si sono particolarmente preoccupati per l’esclusio-ne dall’asilo di persone accusate di “reati aggravati”, e per il fatto che si possa esclu-dere un individuo dalla protezione, anche per reati minori commessi molti anniprima, come il furto in un negozio. L’Unhcr e altri gruppi hanno insistito sul fattoche la natura del reato commesso e il pericolo che l’individuo potrebbe rappresenta-re per la collettività, nel paese d’asilo, vanno sempre soppesati rispetto alla gravitàdella persecuzione temuta nel paese d’origine.

La nuova legge prevede, inoltre, che durante l’istruttoria delle domande in vistadella concessione dell’asilo, i richiedenti siano ospitati in centri chiusi. Quando lestrutture del Servizio immigrazione e naturalizzazione non possono più ospitare ilnumero, notevolmente aumentato, degli internati, molti di loro sono incarcerati,

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insieme ai detenuti. Infine, la legge ha emendato la definizione di rifugiato, includen-dovi espressamente anche coloro che fuggono dal proprio paese per sottrarsi a pro-grammi coercitivi di controllo demografico.

Alcune delle disposizioni più drastiche della legge comportano alcune deroghe,ma l’Unhcr e altre organizzazioni hanno avvertito che la legge del 1996 poteva darluogo al respingimento dei rifugiati, in particolare se colpevoli di reati. Di fatto, irichiedenti asilo hanno dovuto sempre più spesso invocare le disposizioni dellaConvenzione Onu del 1984 contro la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani odegradanti, recepite a partire dal 1998 nella normativa americana, e che vietano dirimandare una persona in un paese in cui vi siano sostanziali motivi per ritenere chepossa essere vittima di torture, non prevedendo alcuna deroga per gli indiziati di reati.Alla fine del 1999, il Congresso americano aveva in esame una legge volta a dissiparealcuni timori suscitati dalla legge del 1996, con particolare riguardo all’allontana-mento accelerato e all’accoglienza dei richiedenti asilo in centri chiusi.

La politica canadese dei rifugiati

Come gli Stati Uniti, anche il Canada è un paese fondato sull’immigrazione, e il rein-sediamento dei rifugiati fa parte integrante della sua politica del settore. Sebbene, inun primo tempo, questa si applicasse inizialmente solo a persone di origine europea,nel 1962 fu estesa ai cittadini di qualsiasi paese, offrendo così ai rifugiati nuove pos-sibilità di reinsediamento.

Tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio degli anni ’70, il Canada rein-sediò un numero rilevante di rifugiati, fra cui persone trasferite dall’Europa, profughiungheresi fuggiti nel 1956-57, ed esuli cecoslovacchi fuggiti nel 1968. Nel 1972, ilpaese accolse oltre 6mila asiatici dell’Uganda, espulsi dal presidente Idi Amin, e aseguito del colpo di stato del 1973 in Cile, reinsediò all’incirca lo stesso numero dirifugiati cileni. Durante tale periodo, altri profughi furono accolti a titolo individua-le. In seguito, a partire dal 1975, nel corso di due decenni il Canada ammise oltre200mila rifugiati indocinesi, così da divenire seconda - per numero di rifugiati accol-ti - ai soli Stati Uniti. Aggiungendosi ai precedenti afflussi di rifugiati, questi nuoviarrivi rivelarono chiaramente che l’approccio precedente, caso per caso, per l’ammis-sione dei rifugiati doveva essere sostituito da uno più sistematico.

Nel 1976 fu quindi emanata una nuova legge sull’immigrazione, che instaurava unaprocedura per la determinazione dello status di rifugiato e, per la prima volta, collocavala politica del settore in un più ampio contesto. Come gli Stati Uniti quattro anni dopo,la legge riprendeva la definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione Onu del1951. Ribadiva l’impegno del Canada nei confronti degli “esuli e perseguitati”, e rico-nosceva i rifugiati quali appartenenti ad una specifica categoria di persone da seleziona-re e accogliere in via distinta e separata dagli immigranti. La legge prevedeva un nuovoregime flessibile per i garanti privati dei profughi da reinsediare nel paese, e consentivainoltre al governo di specificare particolari categorie di rifugiati, diversi da quelli rico-nosciuti ai sensi della Convenzione, dando così al paese la possibilità di aiutare alle pro-prie condizioni determinati gruppi di persone.

Durante gli anni ’80, il Canada offrì il reinsediamento a una media di 21mila per-sone all’anno. La cifra comprende sia i rifugiati patrocinati dal governo, per i quali lostato si accolla le spese relative al loro reinsediamento, sia quelli patrocinati a livelloprivato, da chiese o da altre organizzazioni nazionali. Come negli Stati Uniti, anche in

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Canada una caratteristica del reinsediamento è rappresentata dalla collaborazione fraenti governativi e organismi non governativi. Fra il 1989 e il 1998, le ammissioni nelquadro del reinsediamento calarono da 35mila a meno di 9mila. Nel 1999, però, risa-lirono a 17 mila, per effetto del programma di evacuazione umanitaria per i rifugiatidel Kosovo.

Alla fine degli anni ’80, l’arrivo incessante di richiedenti asilo impose l’esigenzadi riformare il sistema applicato nei paesi di provenienza per la determinazione dellostatus di rifugiato. Si trattava di una procedura onerosa, con un serio inconveniente: innessuna fase di essa il singolo richiedente aveva la possibilità di essere ascoltato dal-l’organo decisionale. Una storica decisione adottata dalla Corte suprema canadese nel1985 affermava che, secondo un principio fondamentale di giustizia, la credibilità deirichiedenti asilo avrebbe dovuto essere accertata sulla base di una audizione 31. Di con-seguenza, nel 1989 fu istituito un Consiglio per l’immigrazione e i rifugiati, com-prendente una Divisione per la determinazione dello status di rifugiato, ai sensi dellaConvenzione, che avrebbe ascoltato le dichiarazioni dei richiedenti.

La nuova struttura fu istituita anche in risposta alle pressioni dell’opinione pub-blica, salite di tono nel 1986, allorché 155 richiedenti asilo dello Sri Lanka furono sal-vati in mare, al largo della costa di Terranova, e nel 1987, quando giunse nella NuovaScozia una nave carica di sikh. Il governo canadese non voleva che fossero aggirati inormali canali dell’immigrazione e temeva un ricorso abusivo alla procedura - parti-colarmente generosa - prevista per la concessione dell’asilo, specialmente quando ilsuo grande vicino meridionale rendeva invece più rigoroso il proprio sistema.

In seguito nonostante il governo canadese abbia adottato ulteriori misure restrit-tive, il paese si è dimostrato spesso all’avanguardia in materia di protezione dei rifu-giati. Per esempio, il Canada è stato il primo paese a introdurre una “corsia preferen-ziale” nella procedura dell’asilo, a beneficio di richiedenti chiaramente bisognosi diprotezione: procedura ora adottata pure, con qualche variante, dall’Australia. Inoltre,nel 1993 il Consiglio canadese per l’immigrazione e i rifugiati ha adottato linee guidad’avanguardia, per quanto attiene alle donne richiedenti asilo che temano una perse-cuzione dovuta al sesso cui appartengono.

La politica dell’asilo in Australia, Nuova Zelanda e Giappone

Come per gli Stati Uniti e il Canada, anche per l’Australia e la Nuova Zelanda l’immi-grazione ha sempre fatto parte integrante del loro sviluppo. Dopo la fine della secon-da guerra mondiale, entrambi i paesi furono importanti destinazioni per i rifugiati, inmaggioranza europei. Nei 25 anni dopo il 1945, oltre 350mila rifugiati si reinsedia-rono in Australia, senza contare le altre migliaia che arrivarono nel quadro del ricon-giungimento familiare o di altri regimi d’immigrazione. Altri 7mila rifugiati si inse-diarono in Nuova Zelanda.

L’Australia ha abrogato la propria politica dell’immigrazione, denominata“Australia bianca”, nel 1973. Da allora, gli sconvolgimenti politici della regione Asia-Pacifico hanno trasformato i paesi della regione nei principali paesi di provenienza deirifugiati, sia nel caso dell’Australia che della Nuova Zelanda. A partire dal 1975,l’Australia ha accolto il maggior contingente di rifugiati indocinesi in vista del reinse-diamento, dopo gli Stati Uniti e il Canada: oltre 185mila persone, di cui più della metà

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erano boat people vietnamiti. Nello stesso periodo, la Nuova Zelanda ha reinsediato13mila persone. In aggiunta a quelli reinsediati, alcuni boat people riuscirono a effet-tuare la lunga traversata marittima fra il Vietnam meridionale e il porto di Darwin,sulla costa settentrionale dell’Australia. La prima piccola imbarcazione approdò nel1976, seguita da decine di altre. Fu evidente la necessità di una procedura per l’esamedelle domande d’asilo.

Nel 1978, per la prima volta, il governo australiano istituì un apposito Comitatoper la determinazione dello status di rifugiato. Per tutti gli anni ’80, il numero deirichiedenti rimase modesto. Nel 1989, tuttavia, dopo gli avvenimenti di piazzaTiananmen, a Pechino, il loro numero cominciò ad aumentare, dato che molti studenticinesi che si trovavano già in Australia chiesero di potervi rimanere. Nel 1992, ilComitato è stato sostituito da un nuovo sistema, in base al quale una Unità protezio-ne, istituita nell’ambito del Dipartimento immigrazione e affari multiculturali, si pro-nunciava in prima istanza sulle domande, mentre un tribunale d’appello era compe-tente per i ricorsi degli aspiranti rifugiati.

Particolari controversie ha provocato la prassi australiana che prevede l’internamen-to obbligatorio di tutti gli arrivi non autorizzati, senza alcuna deroga per i richiedentiasilo. L’Australia impone l’obbligo del visto per tutti i visitatori stranieri, salvo per i cit-tadini neozelandesi. Sono molte, in particolare, le persone custodite nei discussi centrichiusi di Port Headland, Curtin e Woomera, nella remota regione del nordovest.

A metà del 1999, l’Australia ha raggiunto gli altri paesi industrializzati introducen-do una normativa sulla protezione temporanea. I nuovi visti di “rifugio sicuro tempora-neo” consentivano una maggiore flessibilità per fronteggiare gli esodi massicci, e sonostati rilasciati in quell’anno a parecchie migliaia di albanesi del Kosovo e di timoresi. Ibeneficiari non possono chiedere l’asilo, salvo decisione contraria del ministro, e la

Rifugiati reinsediati nei paesi industrializzati,1981–99*

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600

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800

Mig

liaia 100

1981–85 1986–90 1991–95 1996–99

400

500

Nordamerica Australia Europa

Fig. 7.12

* Per dettagli sui paesi inclusi, cfr. allegato 10.Fonte: Governi.

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durata e la qualità della protezione sono lasciate alla sua discrezionalità, anziché a unaprocedura che permetta un ricorso. Nel 1999, l’Australia ha registrato un numero sem-pre maggiore di arrivi illegali per mare. In reazione, il governo ha emanato una nuovalegge sull’accoglienza e sul trattamento da riservare ai richiedenti asilo che giungono nelpaese illegalmente. È stato, inoltre, concluso un “accordo regionale di cooperazione” conl’Indonesia, che prevede l’intercettazione, l’internamento e la selezione dei cittadini dipaesi terzi che transitano per tale paese durante il loro viaggio verso l’Australia.

La Nuova Zelanda è uno dei paesi – appena una dozzina – che, a livello mondiale,attuano un regolare programma di reinsediamento dei rifugiati. Il contingente annuo di750 unità colloca la ricettività del paese, in proporzione al numero degli abitanti, alla paricon quella del Canada. Sebbene la posizione geografica abbia tenuto la Nuova Zelandarelativamente al di fuori degli afflussi spontanei di richiedenti asilo, che tante pressionihanno creato su altri paesi industrializzati, negli anni ’90 il loro numero è aumentato pro-gressivamente, arrivando per l’anno 1998 a poco meno di 3mila persone.

Fra i grandi paesi industrializzati, il Giappone, che ha aderito sin dal 1981 allaConvenzione Onu del 1951, è quello che ha ricevuto di gran lunga il minor numero didomande d’asilo. L’omogeneità etnico-culturale del paese è stata conservata grazie a una rigo-rosa normativa sui movimenti di popolazione e sull’immigrazione, anche se a partire dal1975 oltre 10mila rifugiati indocinesi sono stati reinsediati o hanno ottenuto il permesso disoggiorno in Giappone. Nei 10 anni che vanno dal 1990 al 1999, solo 1.100 persone hannochiesto asilo nel paese. Un rigoroso limite temporale per la presentazione della domanda edesigenze particolarmente severe di prova hanno fatto sì che, fra il 1990 e il 1997, meno del4% dei richiedenti fossero riconosciuti come rifugiati ai sensi della Convenzione. Nel 1998-99, il numero dei riconoscimenti è stato superiore a quello del decennio precedente, e il tassod’accettazione ha superato il 7%, mentre a un numero sempre maggiore di richiedenti asilola cui domanda era stata respinta è stato consentito di rimanere nel paese per motivi umani-tari.Al di fuori delle sue frontiere, l’impegno del governo giapponese nei confronti di rifu-giati si riflette in un forte appoggio ai programmi dell’Unhcr.

La tutela del diritto d’asilo

Nei paesi industrializzati, le riforme legislative apportate, da vent’anni a questa parte,al regime dell’asilo si sono largamente basate sulla lotta contro l’immigrazione irre-golare. I timori nei confronti dei massicci esodi di popolazione dalle regioni devasta-te dalla guerra e del traffico di esseri umani hanno pure contribuito all’introduzionedi misure di controllo più rigorose. Nella maggioranza dei casi, tali riforme, accom-pagnate da tutta una serie di nuovi provvedimenti sui controlli alle frontiere, nonhanno però tenuto adeguatamente conto del fatto che alcune persone hanno una realeesigenza di protezione contro la persecuzione. La tutela del diritto d’asilo nei paesiindustrializzati, dotati di sofisticati e onerosi ordinamenti giuridici e sistemi di con-trollo alle frontiere, costituisce tuttora una delle maggiori sfide del 21° secolo.

Le politiche fondate su un effetto di dissuasione hanno, per di più, contribuitoa rendere confusa la distinzione, già problematica, fra rifugiati e migranti economi-ci, stigmatizzando i rifugiati come individui che cercano di aggirare la legge. Dopoaver raggiunto la sicurezza, i rifugiati sono a volte ospitati per lunghi periodi ditempo in centri chiusi. Ciò costituisce in molti paesi un serio motivo di preoccupa-

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zione, soprattutto nel caso di minori separati dai genitori e non accompagnati oppu-re di gruppi familiari. Analogamente, per quanto riguarda il ricongiungimentofamiliare, in alcuni paesi la prassi seguita ha reso virtualmente impossibile il ricon-giungimento dei componenti di una famiglia. La cosa ha inciso negativamente siasulla capacità di adattarsi in breve tempo alla loro nuova situazione, sia sulle pro-spettive di integrazione a più lungo termine. A parte la tutela del diritto d’asilo, ilproblema è quindi anche quello di garantire il rispetto, da parte degli stati, dei prin-cipi fondamentali dei diritti umani.

La gestione dei flussi misti di rifugiati e altri migranti è un problema complesso edi non facile soluzione. In ultima analisi, i meccanismi ideati nei paesi industrializza-ti dipendono dall’evoluzione dinamica delle migrazioni internazionali e, in particola-re, dal numero di rifugiati e altri migranti che vogliono entrare in quei paesi, nonchédai mezzi impiegati per ottenere l’ingresso. Questi elementi dipendono, a loro volta,dalle misure adottate dai governi e dalle organizzazioni internazionali per affrontarele cause degli esodi di rifugiati e degli altri flussi migratori. Se il divario fra i paesi piùricchi e quelli più poveri del pianeta continuerà ad approfondirsi, come è avvenuto dacinquant’anni a questa parte, e se i paesi al di fuori del mondo industrializzato nonsaranno abbastanza incoraggiati e aiutati a fornire protezione e assistenza ai rifugiatinei loro territori, il numero di coloro che cercano una nuova vita nei paesi più pro-speri rimarrà elevato. Le strategie regionali in materia di migrazioni e d’asilo, comequelle adottate in Europa, hanno la loro utilità, ma possono rivelarsi controproducen-ti se impediscono un approccio mondiale del fenomeno.

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