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63 Lucia Lopriore L’aristocrazia napoletana tra Capitanata e Valle d’Itria: i duchi di Sangro, storia della famiglia dalle origini ad oggi 1 di Lucia Lopriore 1. Introduzione A partire dall’anno Mille cominciarono a giungere nelle province meridiona- li d’Italia quei Normanni provenienti dalla Terra Santa i quali, con l’aiuto di forze locali, sconfissero i Bizantini ed i Longobardi, unendo le varie province sotto il loro dominio e formandone un regno. 1 Il presente studio, scaturito da un precedente saggio pubblicato in questa stessa rivista nel 2001, nasce dal bisogno di approfondire la storia della famiglia de’ Sangro dalle origini fino ai nostri giorni. Tale esigenza è sorta quando ho scoperto che la sua presenza era legata, sia pure per un breve periodo, al paese di Orta di Capitanata, attuale Orta Nova, mia città natale. Durante la raccolta dei dati nel corso della precedente ricerca, mi sono resa conto che la letteratura specializzata forniva notizie solo sui rami principali di questa nobile casata: in particolare si è parlato dei duchi di Vietri, dei duchi di Torremaggiore e principi di San Severo, dei principi di Fondi, solo per citarne alcuni. Gli storici più accreditati non hanno mai esaminato attentamente la linea dei duchi di Sangro, essendo quest’ultima appartenente alla discendenza cadetta dei marchesi di San Lucido. Anche le gesta dei suoi personaggi sono rimaste quasi del tutto sconosciute ai posteri. L’assenza di notizie è dovuta al fatto che in passato negli Stati europei la Legge era basata sull’istituto del Maggiorasco, pertanto, difficilmente i grandi genealogisti si proponevano di studiare i rami ultrogeniti e, questi ultimi erano destinati ad un ruolo marginale. Da qui il motivo di un approfondimento volto a soddisfare non solo le mie curiosità ma, soprattutto, a fornire notizie preziose sia agli studiosi sia ai lettori desiderosi di conoscere que- sto ramo della famiglia. Una ricerca che ha richiesto un grande impegno per le innumerevoli difficoltà incon- trate durante la realizzazione del lavoro. È stato necessario, a tal fine, analizzare le fonti documentarie custo- dite negli Archivi di varie città; numerosi, quindi, sono stati gli spostamenti ed i contatti avuti con le seguenti istituzioni: ad Ascoli Satriano, l’Archivio Storico della Curia Vescovile; a Napoli, l’Archivio di Stato, il Mu- seo Duca di Martina, la Biblioteca Nazionale, il Museo Filangieri, (peraltro attualmente chiuso al pubblico per restauri), la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano; a Roma, l’Archivio Centrale dello Stato; ed infine a Martina Franca la Biblioteca Comunale. Qui, grazie alla donazione dell’archivio privato fatta dai nobili Notarbartolo di Villarosa e Monticelli Obizzi, ultimi discendenti della linea femminile de’ Sangro, ho potuto ricostruire parte delle vicende relative alla famiglia. Dopo anni di consultazione documen- taria, di contatti telefonici con i funzionari degli Istituti summenzionati e di confronti con altri studiosi, dalla ricerca sono emerse notizie interessanti su questa linea della casata, che integrano lo studio precedente riguar- dante la donazione di alcuni arredi sacri effettuata dal duca de’ Sangro alla chiesa di Santa Maria delle Grazie di Orta. Tale lavoro offre ai lettori la possibilità, attraverso un’ampia trattazione sull’argomento, di poter conoscere aspetti inediti della storia patria. Le notizie relative all’acquisto del feudo di Orta evidenziano l’intreccio storico su uno spaccato di vita che congiunge microstoria e macrostoria. Il lavoro è completato, in Appendice, da un commento storico-artistico sugli affreschi rinvenuti nel cinquecentesco palazzo napoletano dei duchi de’ Sangro, a firma dell’amica prof.ssa Colomba Masotti, storica dell’Arte, alla quale va il mio partico- lare ringraziamento; da alcune schede bio-bibliografiche sui pittori di casa de’ Sangro attivi a Napoli nel periodo interessato allo studio, nonché dalla ricostruzione delle tavole genealogiche della famiglia, attraverso alcuni prospetti grafici realizzati a cura di chi scrive. Ringrazio per la disponibilità e per le notizie fornite sugli ultim i

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Lucia Lopriore

L’aristocrazia napoletana tra Capitanata e Valle d’Itria:i duchi di Sangro, storia della famiglia dalle origini ad oggi1

di Lucia Lopriore

1. Introduzione

A partire dall’anno Mille cominciarono a giungere nelle province meridiona-li d’Italia quei Normanni provenienti dalla Terra Santa i quali, con l’aiuto di forzelocali, sconfissero i Bizantini ed i Longobardi, unendo le varie province sotto illoro dominio e formandone un regno.

1 Il presente studio, scaturito da un precedente saggio pubblicato in questa stessa rivista nel 2001, nasce dalbisogno di approfondire la storia della famiglia de’ Sangro dalle origini fino ai nostri giorni. Tale esigenza èsorta quando ho scoperto che la sua presenza era legata, sia pure per un breve periodo, al paese di Orta diCapitanata, attuale Orta Nova, mia città natale. Durante la raccolta dei dati nel corso della precedente ricerca,mi sono resa conto che la letteratura specializzata forniva notizie solo sui rami principali di questa nobilecasata: in particolare si è parlato dei duchi di Vietri, dei duchi di Torremaggiore e principi di San Severo, deiprincipi di Fondi, solo per citarne alcuni. Gli storici più accreditati non hanno mai esaminato attentamente lalinea dei duchi di Sangro, essendo quest’ultima appartenente alla discendenza cadetta dei marchesi di SanLucido. Anche le gesta dei suoi personaggi sono rimaste quasi del tutto sconosciute ai posteri. L’assenza dinotizie è dovuta al fatto che in passato negli Stati europei la Legge era basata sull’istituto del Maggiorasco,pertanto, difficilmente i grandi genealogisti si proponevano di studiare i rami ultrogeniti e, questi ultimi eranodestinati ad un ruolo marginale. Da qui il motivo di un approfondimento volto a soddisfare non solo le miecuriosità ma, soprattutto, a fornire notizie preziose sia agli studiosi sia ai lettori desiderosi di conoscere que-sto ramo della famiglia. Una ricerca che ha richiesto un grande impegno per le innumerevoli difficoltà incon-trate durante la realizzazione del lavoro. È stato necessario, a tal fine, analizzare le fonti documentarie custo-dite negli Archivi di varie città; numerosi, quindi, sono stati gli spostamenti ed i contatti avuti con le seguentiistituzioni: ad Ascoli Satriano, l’Archivio Storico della Curia Vescovile; a Napoli, l’Archivio di Stato, il Mu-seo Duca di Martina, la Biblioteca Nazionale, il Museo Filangieri, (peraltro attualmente chiuso al pubblicoper restauri), la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano; a Roma, l’Archivio Centrale delloStato; ed infine a Martina Franca la Biblioteca Comunale. Qui, grazie alla donazione dell’archivio privatofatta dai nobili Notarbartolo di Villarosa e Monticelli Obizzi, ultimi discendenti della linea femminile de’Sangro, ho potuto ricostruire parte delle vicende relative alla famiglia. Dopo anni di consultazione documen-taria, di contatti telefonici con i funzionari degli Istituti summenzionati e di confronti con altri studiosi, dallaricerca sono emerse notizie interessanti su questa linea della casata, che integrano lo studio precedente riguar-dante la donazione di alcuni arredi sacri effettuata dal duca de’ Sangro alla chiesa di Santa Maria delle Graziedi Orta. Tale lavoro offre ai lettori la possibilità, attraverso un’ampia trattazione sull’argomento, di poterconoscere aspetti inediti della storia patria. Le notizie relative all’acquisto del feudo di Orta evidenzianol’intreccio storico su uno spaccato di vita che congiunge microstoria e macrostoria. Il lavoro è completato, inAppendice, da un commento storico-artistico sugli affreschi rinvenuti nel cinquecentesco palazzo napoletanodei duchi de’ Sangro, a firma dell’amica prof.ssa Colomba Masotti, storica dell’Arte, alla quale va il mio partico-lare ringraziamento; da alcune schede bio-bibliografiche sui pittori di casa de’ Sangro attivi a Napoli nel periodointeressato allo studio, nonché dalla ricostruzione delle tavole genealogiche della famiglia, attraverso alcuniprospetti grafici realizzati a cura di chi scrive. Ringrazio per la disponibilità e per le notizie fornite sugli ultimi

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Ciò fece sì che alcune famiglie venissero in possesso di feudi, ricevendo onorie glorie che tramandarono ai loro discendenti.

A Napoli, la nuova politica di scambi e di relazioni ebbe ripercussioni anchenel campo culturale, letterario ed artistico. La città andò perdendo quel volto orien-tale bizantino ed arabo favorito dalla dominazione dell’Impero d’Oriente; dal Ducatoautonomo, conservato durante il periodo normanno-svevo, acquisì un aspetto oc-cidentale ed europeo.

Per quanto attiene al sistema amministrativo, si deve agli Angioini il recuperodell’organizzazione in Seggi o Sedili. Tale organismo fu creato nel 1268 in continui-tà con le regiones normanne ed i tocchi svevi, concedendo in tal modo all’aristocra-zia locale questo privilegio.

I Seggi o Sedili erano sinonimi di Piazza perché gli edifici che li ospitavanosorgevano negli slarghi delle strade pubbliche. Per la loro architettura vennero an-che denominati Teatro, Loggia o Portico. Gli edifici che ospitavano i seggi divenne-ro, nel corso dei secoli, sontuosi ed adorni del proprio stemma e di quello apparte-nente alle famiglie che li componevano ed erano abbelliti continuamente da affre-schi e sculture. Erano costruiti a pianta quadrilatera con arcate porticate ed ampiegradinate prospicienti, con un solo lato chiuso dove era una sala per le riunionidegli iscritti.2 Questi ultimi erano chiamati Cavalieri di Seggio.3 Trattavano affaripubblici inerenti il seggio che era un comprensorio territoriale ovvero un quartiere.Le votazioni per deliberare si svolgevano al termine di un libero dibattito.

Il riconoscimento ufficiale delle funzioni dei seggi si deve a Manfredi di Svevia,il quale stabilì che un sessantesimo dei diritti della Dogana di terra e di mare dellacittà di Napoli andasse ripartito tra i nobili patrizi napoletani iscritti ai seggi, perdecoro della vita che si svolgeva nel territorio di ciascun sedile.

Prima della riforma angioina, l’istituto dei seggi era composto da sedili mag-giori che, in un primo tempo, furono i quartieri più antichi che dividevano in quat-

discendenti della famiglia, la signora Carla Notarbartolo di Villarosa. Ringrazio inoltre, la Curia Vescovile diAscoli Satriano, nella persona dell’Archivista don Antonio Silba; il dott. Antonio Ventura, responsabile deiFondi Speciali della Biblioteca Prov.le di Foggia; l’Archivio di Stato di Foggia, la direttrice dott.ssa MariaNardella, i funzionari ed in particolare la dott.ssa Giorgia D’Ascoli e tutto il personale; le dott.sse Mottola eDe Simine dell’Archivio di Stato di Napoli; la dott.ssa Giovanna Bevar della Biblioteca Nazionale di Napoli;la direzione della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano, i funzionari ed il personale; ildott. Gian Paolo Leonetti di Santo Janni, direttore del Museo Civico “Gaetano Filangieri principe di Satriano”di Napoli ed il personale del museo. Per l’accesso agli appartamenti di palazzo de’ Sangro a Napoli ringrazioil notaio dott. Giuseppe di Transo ed i suoi collaboratori, il prof. ing. Valerio Mangoni ed il sig. Ciro Zaccaro.Un sincero ringraziamento va agli amici Gennaro Arbore, Nazario Barone, Gaetano Cristino e Teresa MariaRauzino per la collaborazione accordata. Ringrazio ancora l’amico Davide Shamà, direttore del sito Webwww.sardimpex.com al quale devo l’esito felice delle mie ricerche sulle origini della famiglia de’ Sangro eFrangipane della Tolfa. Alla sig.ra Pina Basile, funzionaria della Biblioteca Comunale di Martina Franca,rivolgo un particolare ringraziamento per la disponibilità e la collaborazione accordata, nonché per il validis-simo contributo dato a questo studio.

2 Alfonso GAMBARDELLA, Il centro antico, in AA.VV., I beni culturali per il futuro di Napoli, Napoli, Electa,1990, pp. 22 e 23.

3 Le loro consorti erano denominate Dame di Piazza.

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tro parti la città: Capuana, Forcella, Montagna e Nilo o Nido. A questi si aggiunse-ro quelli di Porto e Portanova.

I seggi minori prendevano il nome da una nobile famiglia che in quel territo-rio aveva le case, oppure da una chiesa vicina. In totale a Napoli i seggi, tra maggiorie minori, erano ventinove.4

La riforma angioina iniziata da re Roberto e portata avanti dalla regina Gio-vanna ridusse notevolmente gli antichi privilegi dei seggi napoletani. Fu ridotto alminimo il potere amministrativo ed annientato quello politico. Furono soppressi iseggi minori e le famiglie ad essi appartenenti furono aggregate d’imperio al relati-vo seggio principale. Nel 1684 fu abolito l’antico seggio di Forcella e inglobato inquello di Montagna. In seguito a tali provvedimenti, il numero dei seggi napoletanifu ridotto a cinque, con l’aggiunta di quello del Popolo, con sede in via della Sellaria,“addetto alla Porta di Mercato ed a quella della Marina”. Quest’ultimo, soppressoda Alfonso d’Aragona, fu ripristinato da Carlo VIII.

Essi furono distinti nel seguente modo:Capuana, presso la porta omonima che esso era tenuto a custodire;Nido, deformazione della voce originaria Nilo, aveva sede presso la Porta di

Costantinopoli;Forcella, dal luogo delle esecuzioni aveva per simbolo la lettera Y in campo

d’oro;Montagna, nella via Capuana ne custodiva la porta;Porto, trasferito nella prima metà del Settecento dalla strada omonima ad una

sede più importante, presso la chiesa dell’Ospedaletto, proteggeva la porta di Chiaia;Portanova, detto anche seggio di Porta di Mare, fu ricostruito per la seconda

volta nel Settecento su disegno del Lucchesi;Gli “eletti” dei sedili nel proprio seno, uno per ogni seggio e due per quello

di Montagna, formavano insieme a quello del Popolo la Magistratura del Tribunaledi San Lorenzo, che provvedeva all’amministrazione della città attraverso le “depu-tazioni” paragonabili ad assessorati ante litteram.

La prima deputazione, detta della pecunia, riscuoteva le gabelle ed ammini-strava il patrimonio della seconda; la terza era addetta alla difesa esterna dellacittà ed all’adunanza di una milizia di volontari in caso di pericolo. La quartaprovvedeva alla difesa interna, all’approvvigionamento idrico ed al mattonato,ossia alla manutenzione delle strade e dei fabbricati; la quinta deputazione, ad-detta alla tutela delle garanzie cittadine, aveva la facoltà di inviare, in caso di ne-cessità, ambasciatori a trattare direttamente con il sovrano. La sesta provvedevaai rapporti con i monasteri; la settima era addetta a tutelare la città dall’instaura-zione del Tribunale del Sant’Uffizio; l’ottava, della Zecca, controllava il coniodelle monete; la nona sovrintendeva all’Annona e all’approvvigionamento del-

4 Lucia LOPRIORE, I Pignatelli in Capitanata, in «la Capitanata», XLI (2003), 14 (ottobre), p. 163 e segg.

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l’olio e del grano. All’eletto del seggio del Popolo spettava il controllo sui vendito-ri del mercato alimentare.5

Durante la dominazione spagnola, di tale organizzazione civica il vicereameminò alla base la forza fomentando rivalità non solo tra le classi, ma anche nel senodella stessa nobiltà. Avocando a sé la facoltà di ascrivere ai seggi sia il nuovo ceto inascesa sia la nobiltà terriera, desiderosa di equipararsi a quella cittadina, Filippo IIfavorì l’ostilità dei “nobili di seggio” verso i “regnicoli” e verso la nuova élite cultu-rale. Ciò privò i seggi di quelle forze nuove più che mai necessarie contro ladisgregatrice politica vicereale.

La compattezza di interessi, sia in seno alla nobiltà che tra questa ed il popolonel fine comune del bene della città, arrecò all’azione delle due classi quel successoche mancò, invece, quando le divise posizioni ideologiche ne contrapposero gli scopi;esempi emblematici: la rivolta di Masaniello, alla quale mancò l’appoggio della nobil-tà e le vicende della Repubblica Napoletana che trovarono il popolo estraneo e addi-rittura ostile. Su due piani diversi due utopie, quella del pescivendolo rivoluzionarioe quella di una rivolta, frutto immaturo per lungo tempo del declinante secolo deilumi, sorta sull’onda della rivoluzione francese.6 Certo è, che la venuta dei Borbone aNapoli nel primo Settecento aveva dato inizio ad un lungo periodo di riforme legisla-tive rivelatosi propizio per apportare cambiamenti radicali nel Regno.

Carlo III fu il primo re di un Regno indipendente dopo due secoli di vicereame.Abolita per suo ordine la prammatica vicereale che, vietando le case palazziate ex-tra moenia, aveva affollato fastosamente, ma disordinatamente il centro della città,Napoli cominciò ad espandersi verso le colline, verso il borgo dei Vergini, con ipalazzi gentilizi dei de’Liguori e dei San Felice: a corona, il casino reale sarebbediventato, più tardi, la Reggia di Capodimonte.

Altre ed innumerevoli furono le opere fatte eseguire da Carlo III durante ilsuo regno: la Reggia di Caserta, il Palazzo di Portici, il Forte del Granatello, lafabbrica di porcellane a Capodimonte, la Casina di Persano, l’accademia ercolanense.A Napoli: l’obelisco di San Domenico, il teatro San Carlo compito in 270 giorni,l’obelisco della concezione del Gesù, solo per citarne alcune; Carlo III finanziò gliscavi di Ercolano e Pompei.

Durante il suo regno, confermò alla città partenopea i suoi privilegi tanto chenel 1746 ci fu un nuovo tentativo, questa volta da parte del cardinale Spinelli, diinstaurare il Tribunale dell’Inquisizione, ma il sovrano si oppose giurando nellachiesa del Carmine che il Tribunale non avrebbe mai avuto la sua sede a Napoli.

Partito Carlo III per la Spagna, l’opera di cambiamento politico-istituziona-le continuò durante il regno di Ferdinando IV che, fino alla maggiore età, era sottola reggenza del Tanucci, la cui politica ebbe grande influenza sulle decisioni delnuovo sovrano.

5 Anna Maria SIENA CHIANESE, La Nobiltà Napoletana Oggi, Incontri, Napoli, Gallina, 1995, p. 14 e segg.6 Ibid.

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Tra le tante opere realizzate si ricordano: la costruzione del primo campo-santo a Napoli, avvenuta nel 1762; il popolamento delle isole di Ustica nel 1760 eLampedusa nel 1765, che tolse asilo ai corsari barbareschi.

Re Ferdinando IV fece costruire tre teatri: quello dei Fiorentini, quello delFondo e quello di San Ferdinando; la fabbrica dei Granili, l’orto botanico a Palermo,la villa inglese di Caserta, il cantiere di Castellammare, il piccolo porto di Napoli, ilpalazzo Reale di Cardito e molte strade per collegare Napoli con le province. Riordi-nò la Marina e l’esercito, fondò l’Accademia per le armi dotte; incrementò l’economiadel Regno con la fondazione dei Siti Reali e della colonia serica di San Leucio.

Nel 1768 stabilì che fosse aperta una scuola gratuita in ogni Comune apertaad entrambi i sessi; con decreto dello stesso anno, prescrisse che in tutte le Casereligiose vi fossero le scuole gratuite per i fanciulli; in ogni provincia introdusse unCollegio per educare la gioventù.

Dopo l’abolizione della casa gesuitica fu fondato un collegio per nobiligiovanetti, detto Ferdinandeo, ed un Conservatorio al Carminiello per l’istruzionedelle orfane povere.

Fu fondata, nel 1778, l’università di Cattaneo e, l’anno successivo, quella diPalermo sotto il titolo di Accademia, provvista di un osservatorio per le lezioni dianatomia, di un laboratorio di chimica ed un gabinetto di fisica. Furono davverotante le opere fatte eseguire da Ferdinando IV per migliorare le condizioni di vitadei suoi sudditi.7

Sul calare del secolo settecentesco, la rivoluzione francese favorì l’espandersinel Regno delle idee giacobine che incisero notevolmente e negativamente sugliultimi sviluppi politici della monarchia borbonica. In seguito a tali avvenimenti ilsovrano fu costretto a rifugiarsi in Sicilia per ben due volte con la propria famigliaaiutato dai nobili rimastigli fedeli.

Dopo il primo umiliante esilio, il 25 aprile 1800, ritornato al potere, in consi-derazione di quanto accaduto fino ad allora a Napoli, Ferdinando IV apportò unaserie di riforme volte a modificare soprattutto l’assetto amministrativo della cittàpartenopea: emanò a Palermo un editto con il quale sopprimeva gli antichi Sedili diNapoli, privando così la nobiltà di ogni suo diritto.

Alla base di questa decisione c’era la constatazione che la monarchia si erarivelata indegna della sua fiducia. I nobili dovevano costituire quella casta che avrebbedovuto dare lustro allo Stato, ma nel 1799 quegli stessi nobili che avevano godutodella fiducia del sovrano si erano mostrati totalmente indifferenti alle sorti delladinastia e, conseguentemente, non avevano dato prova della fedeltà richiesta, con-sentendo ad un gruppo di loro rappresentanti di attentare all’autorità sovrana.

Per tali motivi, furono aboliti i Sedili, insieme al corpo degli Eletti della cittàdi Napoli, e fu istituito il Supremo Tribunale Conservatore della Nobiltà del Regno

7 Michele DE SANGRO – Carlo BERNARI, Storia dei Borboni, Napoli, Lito Rama, 2001, (rist. anast. del 1884),passim.

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di Napoli, composto da sette membri con l’incarico di compilare il Libro della no-biltà napoletana nel quale le famiglie furono iscritte con l’assenso reale. Questo fuil primo di una lunga serie di strutture analoghe dell’Ottocento, che avrebbero avu-to il compito di mantenere inalterati i principi di onore, fedeltà e valore. L’editto del1800 rivestì una grande importanza nella storia della nobiltà meridionale, comeanche la legge del 2 agosto 1806 che aboliva la feudalità, trasformando in modopermanente quella casta dotata di privilegi e di propri organi di rappresentanza inun insieme di persone e di famiglie, se pure con particolari qualità, ma prive di unistituto atto a soddisfarne le esigenze e le aspirazioni.

Così i registri, nei quali il Supremo Tribunale Conservatore raccoglieva l’elen-co dei nobili conservandone la memoria, divennero strumenti di un controllo siste-matico esercitato da una monarchia in grado di valutare qualità e meriti, di ricono-scere capacità e di dispensare cariche e servigi in modo più vessatorio rispetto alpassato.8 Vani risultarono i tentativi dei rappresentanti dei Seggi di far concedere lagrazia ai nobili repubblicani condannati a morte che, facendo propri gli ideali rivo-luzionari, sacrificarono i loro privilegi pagando con la vita il progredire delle idee dilibertà. Tra i tanti si ricordano: Giuliano Colonna di Stigliano, Gennaro Serra diCassano, Ettore Carafa di Andria,9 Ferdinando e Mario Pignatelli di Strongoli,Francesco Caracciolo, Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice.

Privata delle sue funzioni storiche, l’aristocrazia napoletana perse quel rap-porto con la città, in nome del quale era riuscita tante volte ad evitarne il disastro.Le sedi dei seggi furono incorporate al demanio e furono ridotte in case e botteghe.

I nobili, così, furono privati dei luoghi della loro identità culturale. Per evita-re il disperdersi dell’anonimato, si poteva tentare una riedificazione all’incontrariodel censo perduto, mediante la trasmissione di quei valori: tradizioni/memorie/religione, con i quali confermare la propria identità.

Nonostante questi cambiamenti, le grandi famiglie nobili rimaste fedeli alsovrano, continuarono a distinguersi per le imprese compiute in nome di quellostatus symbol che era stato da sempre loro riconosciuto.10 Tra quelle più importantied antiche vi fu l’illustre famiglia de’ Sangro.

Secondo la stragrande maggioranza delle fonti storiografiche, essa traeva lesue origini da Berengario, dal quale discese Bernardo Francesco, venuto in Italia alseguito di Ugone, duca d’Aquitania. Tale tesi, in passato contestata da GiacomoBugni11 di recente è stata smentita anche dal genealogista Davide Shamà.

8 Angelantonio SPAGNOLETTI, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna, il Mulino, 1997, p. 106.9 A tale riguardo Nicola della Monica riferisce che il duca d’Andria, giustiziato il 4 settembre del 1799 a

Piazza Mercato, volle farsi decapitare in posizione supina per vedere la scure recidergli il capo. Questo gestodi “guardare in faccia la morte” fu riferito a Ferdinando IV che esclamò cinicamente: “O’ duchine ha fatte o’guappe fine all’ultme!” Cfr. Nicola DELLA MONICA, Le grandi famiglie di Napoli, Roma, Newton & Compton,1998, p. 123.

10 Ibid., p.10 e segg.11 Giacomo BUGNI, Le investiture de’Feudi Longobardi dissertazioni sulla famiglia de’ Sangro, Napoli,

Tipografia F.lli Testa, 1870.

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Secondo quest’ultimo studioso, la documentazione archivistica, se pure in-sufficiente, fa risalire le origini della casata ad Oderisio, figlio di un conte omonimonon ben individuato, appartenente ad un’illustre casata che possedeva vasti feuditra la Campania e l’Abruzzo. Questo personaggio appare in un atto del 1093 in cuidona al monastero di San Benedetto, Frattura e Collagnello, i suoi beni allodiali.

Dalla documentazione, sia pure esigua per la linea antica, risulta che Oderisio“professava la legge longobarda”. Sempre secondo Davide Shamà, la genealogia,riportata nei testi ufficiali, è da considerarsi dubbia in vari punti almeno fino allametà del XIV secolo.12 Egli afferma che la nobiltà franca aveva il suo limiteinvalicabile nel ducato di Spoleto. Da Spoleto, ed in tutto il Meridione d’Italia, èinfatti segnalata la presenza delle sole popolazioni longobarde e bizantine. Pertale ragione non può attribuirsi alla casata dei de’ Sangro il titolo comitale, so-prattutto ai suoi esponenti vissuti dal XVIII secolo in poi. Essi, memori dell’anti-co titolo comitale portato dagli antenati, lo usarono per dare lustro ai cadettiquando i loro primogeniti fecero uso del titolo ducale o principesco. Tale titoloera esteso a tutti i maschi.

Alla luce di quanto emerge dagli studi attuali, non esiste altra soluzione ra-zionale se non quella di considerare la famiglia dei conti de’ Marsi e di Sangro comelongobarda.

Davide Shamà afferma, inoltre, che alla casata non fu mai conferito il titolocomitale dalla dominazione angioina in poi, riferendosi al titolo generico, non aquello acquisito sui feudi. Il titolo comitale fu accettato per tolleranza dalla corteborbonica anche perché, sia nelle fonti cinquecentesche sia in quelle successive,esso non è mai menzionato. Anche se il discorso non è applicabile a tutta la peniso-la, nelle dinastie italiane, specie per le più antiche, è sempre stato un vanto preten-dere l’ascendenza straniera specie francese o tedesca, ma in molti casi anche inglese,polacca, ecc.13

È noto che per i periodi più antichi della storia feudale non ci sono moltidocumenti, pertanto, per molte famiglie, è difficile risalire a prima dell’anno 1000.Non si deve trascurare, inoltre, un aspetto essenziale legato ai mutamenti dei gover-ni e delle dominazioni nel corso dei secoli.

Nel Meridione d’Italia poi, il governo spagnolo si è mostrato estremamentegeneroso nell’accordare diplomi di nobiltà, che però dimostravano poco e nulladelle ascendenze da alto lignaggio. Nel caso dei de’ Sangro, i pochi documenti ri-

12 A tal fine Shamà fa riferimento a fonti quali l’Archivio Serra di Gerace e all’opera dell’Ammirato, che ritieneinaffidabili per la parte antica, perché non riescono a determinare esattamente tutti i collegamenti tra le numero-se linee che costituivano i de’ Sangro ancestrali. Cfr. http://www.sardimpex.com alla voce de’ Sangro linea anticae Scipione AMMIRATO, Delle famiglie nobili napoletane, in Firenze, per Amadore Massi da Furli, 1651.

13 A tale riguardo sia Domenico, I° duca di Sangro, sia suo figlio Nicola, vantano l’appartenenza francesedella casata con l’affermazione: “Degli Antichi duchi di Borgogna, e Conti de’Marsi […]”. Cfr. nel fondoBCMF, Archivio privato Caracciolo – de’ Sangro, Buccino Generale, b. 172, fasc. 15, dell’Archivio privato difamiglia custodito a Martina Franca nella Biblioteca Comunale ed il ritratto di Domenico custodito nel Mu-seo Filangieri di Napoli.

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masti, risalenti al secolo XI, delineano una genealogia molto differente da quellariportata nella letteratura ufficiale, mentre forniscono indizi interessanti sulle ori-gini della famiglia.

In primo luogo, i de’ Sangro professando la legge longobarda, non potevanoprovenire dall’Italia Settentrionale con i Franchi, e comunque, non avevano origininé tedesche né germaniche. Poiché la legge era osservata per discendenza etnica dipadre in figlio, tra i secoli VIII e XI circa per analogia si è portati a pensare che ladinastia de’ Sangro fosse di origine longobarda, come la maggior parte delle casatecampano-abruzzesi di quell’epoca.

Altro indizio è l’uso per tutti i maschi del titolo di conte o barone, consuetu-dine che rimase alla famiglia fino alla fine del 1400 circa. È questa una caratteristicadella nobiltà longobarda. Secondo le loro leggi, tutti i maschi avevano diritto alfeudo e quindi al titolo. Inoltre, la nobiltà longobarda aveva anche la peculiarità disegnalare nei documenti la successione genealogica; un po’ come avveniva per lefamiglie ebraiche menzionate nelle Sacre Scritture. Tutto ciò veniva fatto allo scopodi evitare lotte di successione sulle eredità.

Nelle fonti letterarie antiche, specie in quelle cinquecentesche, quando sonocitati i documenti che ricoprono l’arco cronologico relativo al 1100-1300, si notaancora questa caratteristica nel momento in cui ci sono gruppi più o meno numero-si di fratelli e cugini che gestiscono collegialmente il feudo. Nel diritto tedesco ofrancese ciò non avveniva, il feudo passava al solo maschio primogenito.

Anticamente i de’ Sangro in molte scritture apparivano con il cognome “deSanguine”; il riconoscimento del loro stato nobiliare è documentato a Napoli (nelSeggio del Nilo), a L’Aquila, a Benevento, a Lucera, a Troia, a Torremaggiore, a SanSevero e in molte altre città.

La famiglia fu investita di diversi titoli nobiliari tra i quali si ricordano quellidi signori di Belmonte, duchi di Torremaggiore e principi di San Severo, baroni diBugnara da cui discesero: i baroni di Casignano e Toritto, i duchi di Vietri, i duchidi Casacalenda, i principi di Viggiano, i principi di Fondi, i marchesi di S. Lucido, iduchi di Sangro, i duchi di Martina Franca.14

La famiglia trova esponenti certi con il conte Teotino, menzionato come pa-dre di Simone già nel Catalogus Baronum.15 Altro personaggio certo è il conte Simonevissuto tra il 1140 ed il 1160, citato nello stesso catalogo come nipote di Maneriusconte di Trivento, investito del titolo di conte del territorio compreso tra Roccasecca,Rocca Tre Monti, Rocca Cinquemiglia, Castel di Sangro, Barrea e Alfedena. Que-sto personaggio veniva confuso spesso dai genealogisti con il conte Simone I. Tragli altri discendenti della casata vi è il conte Filippo, investito della contea paterna

14 ASNA, Sez. Diplomatica – Politica, Archivio Serra di Gerace, vol. III, cc. 1187r, 1200r, 1204r e 1212r ; vol.VI, cc. 2063r, 2064r, 2065r, 2066r.

15 Evelyn JAMISON, Catalogus Baronum, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1972, p. 204 esegg.; Enrico CUOZZO, Catalogus Baronum, Commentario, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo,1974, p. 320 e segg.

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nel 1160. Partecipò alla congiura contro l’Ammiraglio Maione nel 1162 e, costrettoall’esilio, subì la confisca dei beni.

Personaggi altrettanto importanti portano lo stesso cognome ma non ci sonocertezze del legame di parentela con quelli innanzi citati: Simone I, morto nel 1168circa, probabilmente discese dai conti dei Marsi; possedeva i feudi compresi nelterritorio di Roccasecca, Rocca Tre Monti, Rocca Cinquemiglia, Barrea e Alfedena.Investito del titolo di conte di Sangro poco dopo il 7 maggio 1166, fu il primo delladinastia a fregiarsi di questo cognome che derivava dal possesso di Castel di Sangro.Nel 1168 fece parte con Roberto conte di Caserta e Boemondo conte di Monopolidella giuria incaricata di giudicare Riccardo di Mandra, conte del Molise. Appartie-ne alla famiglia anche Riccardo I, conte di Sangro. Fu investito del titolo nel 1168 edebbe i territori di Castel di Sangro, Rocca Cinquemiglia, Barrea, Alfedena, RoccaTre Monti e Roccasecca.

La genealogia sicura incomincia a delinearsi con la presenza di Rinaldo I,morto nel 1248, che avrà una lunga discendenza.16

Nel corso dei secoli molti esponenti della famiglia presero parte anche allevicende politiche e sociali della città di Napoli. Secondo alcune fonti, molti furonoi personaggi della casata entrati nell’Ordine dei Benedettini; alcuni studiosi sosten-gono che tra questi siano annoverati: San Berardo, Sant’Odorisio ed il vescovo Le-one Ostiense, autore dei primi libri della famosissima “Chronica casinensis”.17 Questaattribuzione di Santi e Beati alla famiglia, secondo Davide Shamà, è da considerarsidubbia e probabilmente frutto della tradizione popolare. Che poi nei monumentidedicati ai personaggi della famiglia tale presenza vi sia, come nella cappella Sanseveroa Napoli, ciò non costituisce una garanzia dell’effettiva appartenenza degli stessialla casata.18

Ma non tutti si distinsero per le gesta eroiche. Qualcuno della famiglia passòalla storia per aver abusato dei poteri conferitigli. È questo il caso di Simone II che,investito del titolo di signore di Bugnara e maresciallo del Regno,19 conquistò conla forza i beni appartenenti alla casa dei signori di Altamura, poiché la sua secondamoglie, Caterina, era la figlia terzogenita di Berardo di Bari, signore di questi luo-ghi. Con la prepotenza Simone II spadroneggiò nella città di Altamura come fosseil legittimo signore. Nel 1331 pretese che gli ecclesiastici gli versassero le renditesulle vigne loro concesse da re Roberto.

A tale riguardo il Della Marra, nella sua opera, riferisce di un episodio al-quanto singolare: poiché don Pietro De Moreriis, tesoriere della Basilica di SanNicola di Bari ed arciprete della chiesa Madre di Altamura, si oppose all’applica-zione delle imposte pretese da Simone II, per vendetta la moglie di quest’ultimo,

16 Ibid. e cfr. http://www.sardimpex.com17 Lina SANSONE VAGNI, Raimondo di Sangro Principe di San Severo, Foggia, Bastogi, 1992, p. 3 e segg.18Ibid. e cfr. http://www.sardimpex.com19 Ferrante DELLA MARRA, Famiglie estinte, forestiere, o non comprese ne’ Seggi di Napoli, imparentate colla

Casa della Marra, in Napoli, appreso Ottavio Beltrano, 1641, p. 94.

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inviò i soldati per distruggere i raccolti delle vigne, al fine di infliggere all’ecclesia-stico la giusta punizione per essersi ribellato alla legge imposta dal marito.

Saputo dell’accaduto, il re emanò un editto di condanna dei colpevoli, maprima che questi ultimi fossero catturati e puniti, riunitisi in gruppi armati uscironoallo scoperto ad avendo avuto i rinforzi dalle terre d’Abruzzo, dove Simone II erasignore, saccheggiarono quanto posseduto dagli ecclesiastici mettendo a ferro e fuocole loro abitazioni. In più, come se non bastasse, depredarono la chiesa degli arrediliturgici, ferendo ed uccidendo i sacerdoti che si erano rifugiati lì. Ma la loro sortefu subito segnata dalla vendetta poiché essi ben presto furono puniti; il loro capoimpazzì e si suicidò, mentre degli altri colpevoli, alcuni furono giustiziati altri con-dannati alle galere.

Simone e Caterina, data la potenza del loro casato, scamparono alla giustiziaregale ma, riferisce il Della Marra, non sfuggirono a quella divina perché da allora furo-no protagonisti di molte disavventure e, nonostante Caterina per espiare le sue colpeavesse fatto erigere una cappella nella Basilica di San Nicola di Bari, intitolata a SantaCaterina, dotandola di numerose e cospicue rendite, subì la giusta punizione pagando isuoi misfatti con la sterilità essendo stata privata della gioia della maternità.20

Personaggio di spicco fu Rinaldo di Sangro, che ricoprì la carica di giudicedelegato e giustiziere in Capitanata nel 1312-1313.21

Figura tra gli esponenti della casata anche Lucido de’ Sangro terzogenito diNicolò, che fu consignore di Bugnara, da cui discese Giovanni, duca di Vietri, Ca-meriere Maggiore e Maggiordomo del re Alfonso II; per i servigi resi al sovrano, nel1494 ebbe in dono dallo stesso Alfonso circa mille pecore di razza gentile assortiteed oltre cento vacche con altri beni e privilegi. Sposò Adriana Dentice che portò indote Ischitella, Peschici e Barano. Il primogenito Ferrante fu Doganiere in Puglia eCommissario dell’esercito nella guerra di Siena.

Tra i figli di Ferrante, si ricorda Fabrizio, duca di Vietri, che ricoprì le carichedi Doganiere in Puglia, di Luogotenente nell’esercito del padre e di Commissariogenerale dell’esercito.22 Fu Comandante di una compagnia di 300 fanti sulle galeredi Andrea Doria. Quando divenne Papa Paolo IV, suo parente, egli vestì l’abitoecclesiastico e fu Legato a Venezia. Nel momento in cui stava per vestire l’abitocardinalizio, scoppiò la guerra tra il Pontefice ed il re di Spagna Filippo I; alloraFabrizio de’ Sangro lasciò Roma e si recò in Spagna a combattere per il suo re.Dopo la guerra rimase a Corte e poté godere di vari privilegi, poi si trasferì a Roma.Morto Paolo IV, ritornò in Spagna e poi a Napoli, dove fu decorato del titolo diduca di Vietri e nominato Scrivano di Razione.23

20 Ibid.21Alfredo PETRUCCI, I più antichi documenti originali del comune di Lucera in Codice Diplomatico Pugliese

continuazione del Codice Diplomatico Barese vol. XXXIII, Bari, Società di storia patria per la Puglia, 1994,pp. 15 e 17.

22 Filiberto CAMPANILE, L’historia dell’Illustrissima Famiglia de’ Sangro scritta dal signor Filiberto Campa-nile, Napoli, Tipografia Tarquinio Longo, 1615, p. 67 e segg.

23 Berardo CANDIDA GONZAGA, Memorie delle Famiglie Nobili delle province meridionali d’Italia, Bolo-gna, Forni, 1969, vol. III, p. 213.

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Un’altra figura di rilievo fu quella di Placido de’ Sangro, vissuto nel 1500, chelega il proprio nome al tentativo di introdurre a Napoli il Tribunale dell’Inquisizio-ne. In quel tempo era Viceré Don Pedro Alvaréz de Toledo, cattolico convinto, ilquale riteneva che questo Tribunale fosse non solo utile, ma indispensabile. Il po-polo, preoccupato per la decisione, inviò una deputazione al fine di convincere ilViceré a desistere da tale proposito, ma Don Pedro non volle cedere; dopo varitumulti ed alcuni interventi da parte di molti nobili, Don Placido de’ Sangro inter-venne per evitare la sommossa: grazie a lui, ritornò la pace in città. Il suo provvi-denziale intervento lo rese famoso ed il popolo napoletano gli fu sempre ricono-scente.

Della linea dei baroni di Bugnara si ricorda poi, Gerolamo, morto nel 1572.Questi si distinse nell’assedio di Malta e, per il suo valore, il Gran Maestro dell’Or-dine di San Giovanni di Gerusalemme, gli concesse il privilegio, unico tra i nobilidella sua epoca, di fregiarsi della croce dell’ordine nel suo blasone. Privilegio eredi-tario, valido per sé ed i discendenti, estinti con la nipote Flerida.24

Un altro personaggio che ha lasciato di sé in indelebile ricordo è stato DonRaimondo de’ Sangro, principe di San Severo. Oltre ad essere esperto nelle arti enelle scienze, si distinse per la sua perizia nel progettare e dirigere opere strategichedi architettura militare; per il suo talento fu elogiato e tenuto in gran conto dall’im-peratore Carlo VI d’Asburgo, da Filippo V di Borbone e da altri regnanti d’Euro-pa. Fu decorato del titolo di Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro e Grande diSpagna e fu Gentiluomo di Camera25 del re Carlo III di Borbone. Fu un esimioletterato.

Il suo nome è legato al palazzo omonimo sito a Napoli in Largo San DomenicoMaggiore, sorto agli inizi del XVI secolo per volere di Don Paolo de’ Sangro, prin-cipe di San Severo e duca di Torremaggiore. Progettato da Giovanni Merliano daNola, e rimaneggiato più volte, il palazzo conserva il grandioso portale consemicolonne di marmo e piperno, disegnato dall’architetto Bartolomeo Picchiattied eseguito dallo scultore Vitale Finelli nel 1621.

I lavori che modificarono la facciata del palazzo furono realizzati nella primametà del Settecento proprio da Raimondo che, tra le altre cose, fece eseguire nel-l’androne del palazzo alcuni bassorilievi a stucco con scene di baccanali dallo scul-tore napoletano Giuseppe Sanmartino. Purtroppo, verso la fine del 1889, un’ala

24 Cfr. http://www.sardimpex.com25 Clara MICCINELLI, Il Tesoro del Principe di Sansevero luce nei sotterranei, Ercolano, S.E.N., 1984, p. 183,

nota n. 5. Il Gentiluomo di Camera con Esercizio aveva il libero accesso agli appartamenti reali, era normal-mente scelto tra i primogeniti delle grandi famiglie del Regno e così le Dame. Il titolo era riconosciuto talepresso tutte le corti della Real Famiglia Borbone e viceversa. Il segno distintivo era una chiave che gli venivaassegnata e gli consentiva di entrare fino alle quattro anticamere reali antecedenti la sala del Trono senza essereannunciato. La chiave era il distintivo dell’incarico riconosciuto, molto ambito perché simboleggiava la gran-de fiducia che il sovrano riponeva in lui autorizzandolo al libero accesso nei propri appartamenti. Sul dadoerano incise le iniziali V.R.S. (Vitae Regis Securitas). Essa era portata sul fianco posteriore destro della giambergasospesa a due bottoni d’oro.

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dell’edificio crollò, distruggendo il cavalcavia che collegava gli appartamenti allacappella. Quest’ultima, intitolata a Santa Maria della Pietà, fu rimaneggiata intera-mente verso la metà del XVIII secolo. La volta fu decorata con colori preparatidallo stesso Raimondo.

Questi nel 1753 fece scolpire dal Sanmartino il famoso “Cristo velato” cherese celebre la cappella stessa in tutta l’Europa.26 A tal fine è utile segnalare che ilprocedimento per marmorizzare il velo del “Cristo” e la rete che ricopre la statuadel “Disinganno”, mausoleo dedicato al padre Antonio de’ Sangro anch’esso collo-cato nella cappella, fu opera di Raimondo, il quale grazie ai suoi studi, attraverso uncomplesso procedimento chimico, riuscì ad ottenere su queste opere gli effetti otti-ci che ancora oggi si possono ammirare nella loro bellezza e perfezione.

Nel succorpo della cappella sono tuttora custodite le famose “macchine anato-miche” che nel 1764 Raimondo fece costruire dall’anatomopatologo dottor Giusep-pe Salerno di Palermo, utilizzando scheletri umani autentici con spago, cera e filo diferro per ricostruire il sistema circolatorio da mostrare ai medici dell’Ospedale degliIncurabili di Napoli affinché non incorressero nello stesso errore commesso dal lorocollega dottor Curzio. Questi, negli anni compresi tra il 1752 ed il 1754, aveva curatouna donna affetta da “sclerodermia diffusa progressiva” che in seguito era deceduta,proprio a causa dell’incompetenza professionale del medico.27

Molti altri furono i successi di Raimondo de’ Sangro in campo alchimistico escientifico: inventò particolari tipi di inchiostro inalterabile utilizzati poi nella suastamperia. Inventò complessi sistemi per la costruzione di un teatro pirotecnico,praticò l’esoterismo in senso lato e fu anche in grado di predire la propria dipartita.28

Negli anni compresi tra il 1750 ed il 1759, Raimondo attraversò periodi dram-matici per la sua vita; si lasciò convincere da Guglielmo Moncada, principe diCalvaruso, a far parte della Massoneria, vi entrò nel giugno 1750 e già a settembrefu riconosciuto gran maestro della Massoneria di Napoli. A lui si dovette la suddi-visione dei massoni partenopei nelle distinte logge di “Sangro”, costituita da nobilie “Moncada”, composta in prevalenza da borghesi e commercianti. Avversato per ilsuo impegno massonico dalla Chiesa, attraverso il gesuita padre Francesco Pepeche ricorse al re, dopo alterne vicende, Raimondo decise di lasciare la Massoneria,ma i confratelli lo accusarono ingiustamente di aver rivelato la loro identità al so-vrano.29

Di questa illustre casata anche altri personaggi, vissuti nel periodo di Rai-mondo, si distinsero per le loro gesta, ma essendo questi appartenenti ai rami cadet-ti della famiglia, non sono citati nelle fonti letterarie, nel rispetto di quel principioche li costrinse a vivere un ruolo marginale.

26 N. DELLA MONICA, Le Grandi famiglie di Napoli..., cit., p. 323 e segg.27 C. MICCINELLI, Il Tesoro del Principe di Sansevero..., cit., p. 89 e segg.28 Ibid., Testamento olografo di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, tav. XXXII, sez. A.29 Ibid., p. 325 e segg.

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È questo il caso dei de’ Sangro marchesi di San Lucido, da cui discesero iduchi di Sangro e i duchi di Martina Franca; questi ultimi ereditarono dai CaraccioloPisquizi anche i predicati nobiliari di baroni di Mottola, Locorotondo e San Gio-vanni in Fiore.30

2. I Duchi di Sangro

Di sicuro interesse storiografico si rivela lo studio svolto sulla linea dei duchidi Sangro per l’intreccio delle strategie sociali, familiari, politiche e culturali che lafamiglia adottò per affermare la propria egemonia.

La partecipazione attiva dei suoi personaggi alla vita politica nazionale edinternazionale e la celebrazione dei matrimoni, volta all’espansione dell’assepatrimoniale, pone in luce aspetti che rendono bene l’idea del modo in cui si svol-geva l’intricata matassa strategica per garantirsi il massimo potere.

Nel pieno rispetto delle norme legislative imposte dal Maggiorasco secondocui il matrimonio, la trasmissione dei titoli nobiliari e dell’asse patrimoniale eranoappannaggio dei soli primogeniti maschi, il patrimonio era indissolubile efedecommesso con la garanzia della sua conservazione. Il destinatario delfedecommesso godeva dell’usufrutto generale dei beni con l’obbligo di conservarliper restituirli ai suoi successori. Per questi vigeva il divieto assoluto di alienazione,ipoteca, donazione, cessione e quanto altro relativo alla suddivisione dell’assepatrimoniale che era soggetto obbligatoriamente all’inventario.

Ai maschi cadetti era preclusa qualunque possibilità di contrarre matrimo-nio: per strategie familiari erano destinati ad intraprendere la carriera ecclesiastica oquella militare. Nel primo caso la scelta era influenzata dalla possibilità di godere diagganci politico-ecclesiastici che la famiglia avrebbe avuto attraverso il proprioreferente; nel secondo, il potere derivante dagli incarichi assegnati al nobile cadettoconsentiva un’ascesa politica anche alla casata; tuttavia, questa condizione faceva sìche i continui spostamenti dovuti al ruolo ricoperto precludessero la possibilità dipoter seguire la propria famiglia e, quindi, il matrimonio risultava sconveniente.

Solo nel caso in cui non era garantita la discendenza del ramo primogenito, siconcedeva alla linea cadetta la possibilità di contrarre matrimonio. Un esempio cherenda con maggiore chiarezza questo concetto può essere rappresentato dalla figu-ra di Domenico, primo duca di Sangro, che con il matrimonio garantirà quella di-scendenza negata alla famiglia dalla primogenitura.

30 Vittorio SPRETI, Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana, Bologna, Forni, 1969, vol. VI, p. 88 e segg.,Francesco BONAZZI DI SANNICANDRO, Famiglie Nobili e Titolate del Napolitano, Napoli, Libreria Dekten &Rocholl, 1902, pp. 214, 215 e 216. I duchi de’ Sangro furono ascritti al Patriziato Napoletano del Seggio delNido dal 1507 e furono decorati del titolo di duchi di Sangro. Successivamente furono decorati del titolo diduchi di Martina Franca con l’anzianità di conti di Caggiano dal 1498, di conti di Brienza e conti di Buccinoconcessi originariamente il primo nel 1428 e l’altro nel 1499 e riconosciuti tutti con Rescritto Reale del 22luglio 1852 e D.M. del 1893.

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Non meno complessa era la vita per le donne che, se primogenite godevano deldiritto di contrarre matrimonio con l’obbligo da parte della famiglia di fornire unacospicua dote. Ma spesso si decideva secondo alleanze di potere e strategie economi-che a chi destinare le figlie facendo sì che il principio endogamico prevalesse al puntoda divenire un fenomeno sociale. Alle donne ultrogenite cui generalmente non eragarantita la dote necessaria per contrarre matrimonio, non restava altro che la vitaclaustrale forzata con un minimo vitalizio ed una dote molto modesta.

Emblematico in tal senso il profilo che il Manzoni nel romanzo I Promessi Spositraccia di Marianna de Leyva, alias suor Virginia Maria, figlia di Martino, conte di Monza.Rinchiusa nel convento di Santa Margherita e destinata alla clausura contro la propriavolontà, decide di vivere la propria vita in maniera eufemisticamente “diversa”, ceden-do deliberatamente alle lusinghe di Gian Paolo Osio e trasgredendo così l’osservanzadelle regole impostele dalla propria condizione e dal rango di appartenenza.

Il Codice Napoleonico, introdotto da Gioacchino Murat nel 1809, stabilì unnuovo ordinamento con l’abolizione dei fedecommessi e l’uguaglianza ereditaria pertutti i figli. Così, anche coloro che fino ad allora erano stati destinati ad un ruolominoritario prendevano parte alla suddivisione dell’asse patrimoniale. Dopo la Re-staurazione del 1815, tali norme furono modificate dal sovrano, con il riconoscimen-to della quota “legittima” da ripartire a tutti gli eredi in maniera identica senza piùdistinzione di sesso, una quota “disponibile” e l’obbligo della “collazione”. Nono-stante tutto ciò, per consuetudine alle donne fu destinata la dote ma non l’ereditàdegli immobili. In genere i maschi preferivano versare loro un compenso in danaro,evitando che ci fosse qualunque altra pretesa sulla suddivisione del patrimonio.31

Queste tematiche, volutamente accennate in questa sede, sono state oggettodi attenti studi da parte degli storici che hanno analizzato a fondo il fenomenosocioeconomico derivante dalle imposizioni feudali protratte fino al XIX secolo.32

In relazione a quanto già detto e rivolgendo l’attenzione alle linee genealogicheoggetto del presente studio, si può affermare che non fu diversa da quella degli altrinobili la vita sociale dei duchi di Sangro, discendenti dai Marchesi di San Lucido.33

Questi ultimi, a loro volta, per discendenza dai baroni di Casignano, furono investitidi tale titolo, in conseguenza del matrimonio contratto da Nicolò de’ Sangro, figlio diBerardino e Lucrezia Caracciolo, con Lucrezia Brancaccio, baronessa di Casignano.

Per Maggiorasco, Placido, primogenito dei quattro figli di Nicolò e Lucrezia,

31 Paolo MACRY, Ottocento. Famiglia, èlites e patrimoni a Napoli, Torino, Einaudi, 1988, passim, e RossellaRAGO, I D’Errico di Palazzo San Gervasio tra fine Settecento e metà Ottocento: ascesa sociale e patrimoniale,in «Bollettino Storico della Basilicata», 2002, 18, p. 147 e segg.

32 Tra i numerosi contributi sull’argomento si segnalano quelli dei seguenti autori: Angelo MASSAFRA, Giuri-sdizione feudale e rendita fondiaria nel Settecento napoletano: un contributo alla ricerca, in Società e Storia n. 91980 pag. 252; Raffaele COLAPIETRA, Capitanata, in Giuseppe GALASSO - Rosario ROMEO, Storia del Mezzogior-no, Roma, Editalia, 1986, vol. VII p. 27 e segg.; Giovanni MARESCA, Le ultime intestazioni feudali registrate nelCedolario di Capitanata, in «Rivista Araldica», 1954, pp. 13-14. Maria Antonietta VISCEGLIA, Rendita feudale edagricoltura in Puglia nell’età moderna (XVI-XVIII sec.), in «Società e Storia», 1980, 9, p. 528.

33 Si rinvia alle tavole genealogiche in Appendice.

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ereditò anche i titoli della madre; sposò Giovanna de Cardenas, dalla quale ebbe unsolo figlio: Nicolò Placido.34 Questi sposò Eleonora Frangipane della Tolfa. Con ilmatrimonio i suoi discendenti acquisirono il titolo di marchese di San Lucido pertrasmissione ereditaria da Giovanna Carafa, madre di Eleonora.35

Da quest’ultima unione nacquero sei figli ed il primogenito, Luzio, marchesedi San Lucido, il 20 giugno 1619 sposò Alivina Frangipane della Tolfa, già vedova del3° Marchese di San Giorgio, Giovanni Milano. Dei loro nove figli si ricordano: Placi-do, 2° marchese di San Lucido dal 1666, barone di Casoria, Casignano ed Olivola,capostipite dei principi di Fondi; Antonio, padre teatino e professore di TeologiaSacra, eletto vescovo di Troia il 16 dicembre 1675, fu consacrato il 26 gennaio 1676. Il19 luglio 1682 tenne un sinodo per regolare i costumi del clero e del popolo, duranteil suo mandato realizzò numerosi interventi di restauro nella cattedrale di Troia36,nella Chiesa Collegiata di Foggia e fece edificare a sue spese e la chiesa dell’Annunziatadi Foggia; quest’ultimo evento è ricordato da un’epigrafe attualmente custodita nelLapidario del Museo Civico di Foggia.37

Il sestogenito di Luzio ed Alivina, Giovanni Battista, il 18 novembre 1674sposò Beatrice d’Afflitto dei principi di Scanno.38

Il titolo conferitogli fu quello di Patrizio Napolitano, che trasmise ai figli.39 Allasua morte tutti i beni furono destinati a Luzio, suo primogenito, con Decreto diPreambolo della Gran Corte della Vicarìa del 16 maggio 1699, confermato il 23 dicem-bre 1709, per essere deceduto senza aver fatto redigere il suo testamento (ab intestato).40

Dei cinque figli nati dal matrimonio con Beatrice, il terzo, Domenico, fu Ma-resciallo di Filippo V di Spagna, accompagnò l’Infante Don Carlo alla spedizione di

34 ASNA, Sez. Diplomatica – Politica: Archivio Serra di Gerace, vol. III, cc. 1200r. e 1204r. e F. CAMPANILE,L’Historia dell’Illustrissima…, cit., passim.

35 Erasmo RICCA, La Nobiltà delle due Sicilie, Bologna, Forni, 1978, vol. IV, p. 433. Tra i Feudatari di Serinorisulta Giovanni Battista Della Tolfa, 2° conte di Serino, il quale sposa in seconde nozze Giovanna Carafa,marchesa di S. Lucido.

36 Ferdinando UGHELLI, Italia Sacra sive de episcopis Italiae, Napoli, Venetiis, apud Sebastianum Coleti,1721, vol. I, p. 1348; AA.VV., Cronotassi iconografia e araldica dell’episcopato pugliese, Bari, CRSEC, 1986, p.302; Giuseppe RUBINI, Vescovi e personaggi illustri di Aecae e Troya, Troia, Mauro, 1997, p. 39.

37 Ringrazio per la segnalazione l’amico Carmine de Leo ed il dott. Francesco Picca, storico dell’Arte. Si trattadel verso di un pluteo risalente al VI secolo d. C. sul cui recto appare in rilievo un clipeo ornato da una crocelatina. Il reperto rinvenuto presso la chiesa della SS. Annunziata di Foggia è stato recentemente studiato e catalogatotra i reperti custoditi presso il Museo Civico di Foggia. Cfr. Giuliana MASSIMO, Le sculture medievali del MuseoCivico di Foggia, in Atti del 22° Convegno di Preistoria, Protostoria e Storia della Daunia (S. Severo 1-2 dicem-bre 2001), a cura di Armando Gravina, Foggia, Centrografico Francescano, 2002, p. 48 e segg.

38 BCMF, Archivio privato Caracciolo - de’ Sangro, Successioni, b. 8/3, Capitoli Matrimoniali del 17/11/1764tra Giovanni Battista de’ Sangro e Beatrice d’Afflitto.

39 Su alcuni documenti dell’archivio privato de’ Sangro i figli sono menzionati con il titolo di conte. Piùappropriato risulta essere quello di Patrizio Napolitano esteso a tutti i membri della famiglia. Cfr. http://www.sardimpex.com.

40 BCMF, Archivio privato Caracciolo - de’ Sangro, Successioni, b. 8/8, copia dell’Istrumento del 1 dicembre1752 tra Luzio, Placido e Domenico De’ Sangro in favore del Sig. duca di Gravina e duca d’Andria per duc.1200 dai medesimi pagati al compimento di duc. 1740 fra i duc. 8000 assegnati in maritaggio dal Monte delle 29famiglie alla fu donna Beatrice d’Afflitto. Notaio Antonio Maria Porzio di Napoli. Il fascicolo non presentanumerazione delle carte.

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Napoli e più tardi quando questi divenne re, ricoprì numerosissimi incarichi allasua corte. Nel 1759, con il Ministro Tanucci ed altri nobili napoletani fu reggente altrono di Ferdinando IV, dopo la partenza del padre di quest’ultimo per l’ascesa altrono di Spagna. Fu nominato Tenente Generale della Guardia Reale il 12 aprile1737 e Maresciallo di Campo il 22 gennaio 1758. Nominato Governatore della Piazzadi Gaeta, Comandante Generale della Cavalleria e Comandante della Guarnigionedi Napoli, ricoprì le cariche di Capitano Generale dell’esercito, Consigliere di Sta-to, Presidente della Giunta di Fortificazione; fu inoltre Gentiluomo di Camera diSua Maestà, decorato del titolo di Cavaliere del Real Ordine di San Gennaro;41 perla sua nota fedeltà al sovrano e per le sue eroiche gesta l’11 novembre 1760 fu deco-rato del titolo di 1° duca di Sangro,42 dando così origine a questa nuova linea. Fu,altresì, autore di molte opere e, per questo, fu decorato del titolo di principe del-l’Accademia degli Uniti di Napoli.43 Il 10 febbraio 1751, all’età di 70 anni, impalmòMaria Teresa Montalto dei duchi di Fragnito, più giovane di lui di 54 anni, il matri-monio fu celebrato nella chiesa di S. Anna di Palazzo.

Dall’analisi dei Capitoli Matrimoniali, si evincono gli accordi stabiliti per l’as-segnazione del capitale dotale da parte di Antonio Montalto, duca di Fragnito padredella nubenda, atto che viene ripreso successivamente alla prima stipula da suo figlioGaetano a causa del decesso paterno, alla presenza di Luzio e Placido, fratelli diDomenico.44 La dote assegnata alla ragazza ammontava complessivamente a ducati24,000. Dote che Gaetano avrebbe corrisposto ai de’ Sangro nel seguente modo:cinquemila ducati da versare immediatamente, per la rimanente somma si stabilì che afar tempo dalla data di stipula dei Capitoli Matrimoniali e fino alla celebrazione delmatrimonio, la famiglia della sposa avrebbe corrisposto la somma di annui ducati 200con una maggiorazione per interessi in ragione del 4%. La rimanente somma sarebbestata corrisposta negli anni successivi al matrimonio mediante titoli di credito, benimobili ed immobili di varia natura, sia feudali che burgensatici.45 L’unione della cop-pia fu allietata dalla nascita di due figli: Maria Beatrice e Nicola Maria.46

41 Guido LANDI, Istituzioni di Diritto pubblico del Regno delle Due Sicilie, Milano, Giuffrè 1977, tomo I, p.148. L’Insigne Real Ordine di S. Gennaro fu istituito da Carlo III di Borbone con R. D. del 7 luglio 1738, essoera costituito da una sola classe di Cavalieri in numero di 60, per esservi ascritti bisognava presentare le provedei quattro quarti di nobiltà.

42 Il titolo fu conferito sul cognome.43 B. CANDIDA GONZAGA, Memorie delle famiglie…, cit., p. 215, e V. SPRETI, Enciclopedia Storico …, cit., p.

88 e segg.44 L’altro loro fratello, Nicolò, era deceduto nominando eredi universali dei suoi beni Domenico e Placido

i quali gli diedero sepoltura facendo erigere un monumento funebre nel cappellone del Crocifisso presso laBasilica di S. Domenico Maggiore a Napoli. Tale monumento sormonta quello dell’antenato Placido de’ Sangro.Queste sono le uniche tombe rinvenute appartenenti a questa linea della casata; dell’ubicazione delle tomberelative agli altri membri della famiglia, nonostante l’approfondita ricerca, non si è avuta notizia.

45 Il documento non riporta né l’elenco delle proprietà assegnate, né il corredo, né altro.46 BCMF, Archivio privato Caracciolo - de’ Sangro, Successioni, b. 8/8, c. 92r, Capitoli Matrimoniali tra

Domenico de’ Sangro e Maria Teresa Montalto di Fragnito. Atto stipulato il 13 gennaio 1751, notaio Onofriode Cintiis di Napoli.

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Lucia Lopriore

Domenico fece parte della nobiltà napoletana ascritta al Seggio del Nilo evisse in un’ala del palazzo dei duchi di Vietri sito nella piazzetta del Nilo, oggicorrispondente al civico n° 7 della stessa piazza ed ubicato di fronte alla Chiesa diSant’Angelo a Nilo. L’ingresso principale dello stesso palazzo domina, ancora oggi,Largo San Domenico Maggiore.

L’edificio fu fatto edificare nel 1506 da Giovanni de’ Sangro e da sua moglieAdriana Dentice,47 cui si è già accennato, su suolo acquistato in precedenza dallamonache di Santa Patrizia. Fu progettato da Giovan Francesco di Palma ed ampliatosu progetto di Giovanni Donadio, detto “Il Mormanno” che gli conferì grazia e bel-lezza. Più tardi, i duchi di Vietri vendettero l’ala prospiciente Largo San DomenicoMaggiore ai Carafa di Belvedere e da questi, in seguito, il palazzo passò ai Gambacorta,duchi di Limatola, che lo possedettero fino al 1732, anno in cui fu venduto alla fami-glia Saluzzo di Corigliano. Verso la fine del Cinquecento assurse alla gloria della cro-naca nera poiché Carlo Gesualdo, terzo principe di Venosa e settimo conte di Conza,noto madrigalista e nipote di San Carlo Borromeo, fece assassinare la moglie, nonchésua cugina, Maria d’Avalos e l’amante di lei, Fabrizio Carafa di Andria.48 Il lato pro-spiciente la Piazzetta Nilo corrispondente al civico n° 7, fu invece venduto a Giovan-ni Battista de’ Sangro, che lo ampliò con ulteriori soprelevazioni.49

Il palazzo, che si presenta molto ampio nella sua estensione, è disposto su treordini più due corpi aggiunti al quarto ed al quinto piano risalenti ad epoche seriori.Confina a sinistra del suo ingresso con il già citato palazzo dei Corigliano e a destracon la chiesa di S. Maria de’Pignatelli che anticamente fu una delle sedi del seggiodel Nilo. Esso non ha vincoli da parte della Soprintendenza ai Beni Ambientali.

Rispettando il primo progetto, presenta trabeazioni triangolari ed a lunettain corrispondenza dei balconi sul piano nobile e sul secondo piano. Gli ambientiinterni del primo piano, oggi suddiviso in tre quartini, sono ben conservati e sualcune volte sono ancora visibili gli affreschi, opera di artisti locali.50

Il terzo piano presenta solo trabeazioni mistilinee. Purtroppo le ultimesoprelevazioni del palazzo non rispettano lo stile originario. Nonostante ciò, nellazona è certamente il palazzo che meglio rispecchia l’architettura del proprio tempo.La facciata esterna presenta un recente intervento di restauro. Gli ambienti internidel primo piano, gli unici da noi visitati grazie alla cortesia degli attuali proprietari,presentano ampi locali con gli stipiti originali in marmo rosso Verona. Alcune mo-

47 Secondo la studiosa Sansone Vagni il palazzo fu fatto edificare dai Marchesi di S. Lucido, ella ne fa risalire ilpossesso ai prodi Nicolò e Placido de’ Sangro. Cfr. L. SANSONE VAGNI, Raimondo di Sangro…, cit., p. 410 e segg.

48 Il palazzo fu abitato per un certo periodo dal principe Gesualdo con la moglie ed i motivi che spinseroquest’ultimo a commissionare l’uxoricidio non sono da ricercarsi nel delitto d’onore, come apparentemente sicrede, ma in celate ragioni politiche che riguardavano il duca d’Andria, ben noto per la sua pericolosa e scomodairrequietezza politica, anche perché il modo in cui fu perpetrato il duplice delitto non rispettava le regole dettatedal codice cavalleresco. Cfr. SANSONE VAGNI, op. cit., pp. 407, 408 e 409.

49 Condizione fondamentale per la nobiltà era l’ostentazione del potere anche attraverso il possesso didimore imponenti.

50 Cfr. il contributo della prof.ssa Colomba Masotti in Appendice.

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difiche, effettuate in fase di frazionamento dell’immobile, non cancellano le evi-denti tracce antiche della originaria costruzione. Gli interventi di restauro non han-no alterato le peculiarità dell’architettura interna.

Nulla si può dire sulle condizioni degli ambienti dei piani soprastanti,dato che non è stato possibile effettuarne il sopralluogo. Il portale del palazzo èimpreziosito da un bellissimo bugnato, sulla cui chiave di volta appare lo stem-ma di Riccardo, figlio di Nicola Maria e III duca di Sangro. L’ingresso presentail vestibolo con un’ampia volta a botte, oggi fatiscente a causa di concrezionidovute all’umidità e in procinto di essere restaurata. Vi è affrescata l’Arme diGiovanni Battista de’ Sangro con la seguente disposizione: Inquartato, nel 1° enel 4°: Vaiato,51 nel 2° e nel 3°: Torre.52 Sul tutto: clipeo di Oro a tre Bande diAzzurro.53 Lo scudo, con ornamenti ducali, è sormontato dal motto: “UNICUMMILITIÆ FULMEN”; in basso pende l’Ordine del Toson d’Oro54 e quello diun altro Ordine cavalleresco non meglio identificato.55 Sul campo esterno delmantello sono raffigurate bandiere, trombe, asce, lance e dardi, quali insegne didignità.

Dall’interno della corte si accede alla Cappella, oggi adibita ad altra destina-zione d’uso, un tempo dedicata all’Assunta in Cielo raffigurata in una tela seicentescainserita tra gli stucchi. Su una parete è collocato lo stemma della famiglia, scolpitoin marmi policromi; un’epigrafe ricorda il restauro eseguito nel 1743 da Nicolò,figlio di Giovanni Battista:

51 Arme della famiglia d’Afflitto: di Oro e di Azzurro; l’oro, simboleggia la ricchezza, la potenza, la gloriae lo splendore, l’azzurro è il simbolo dell’altezza, santità e castità difesa da Dio. Cfr. Carlo DE LELLIS, Fami-glie Nobili del Regno di Napoli, Bologna, Forni, 1968, vol. III, pag. 138.

52 Scipione MAZZELLA, Descrittione del Regno di Napoli, Napoli, Cappello, 1601, p. 739. Arme della fami-glia Frangipane della Tolfa: di Azzurro alla Torre d’Argento.

53 Arme della famiglia de’ Sangro.54 Onorificenza conferita a tutti i membri di questa casata. Questo Ordine cavalleresco fu istituito nel 1429

da Filippo il Buono, duca di Borgogna, concesso ad esponenti dell’alta nobiltà e destinato ad assicurare ladiffusione ed il prestigio della fede cattolica, è anche detto: “Ordine di collana”. Cfr. G. LANDI, Istituzioni diDiritto…, cit., p. 148 e Giovanni SAITTO, Poggio Imperiale, Storia usi e costumi di un paese della Capitanata,Foggia, Edizioni del Rosone, 1997, p.45, nota n. 67.

55 Il danneggiamento dell’affresco non consente una chiara lettura dell’icona che appare nella croce di colo-re amaranto. Da un confronto con alcuni studiosi emergono le seguenti ipotesi: che tale croce affrescata,potrebbe essere quella appartenente all’Insigne Real Ordine di San Gennaro, vista anche l’analogia della col-lana che rifinisce la croce, ma in questo caso, non corrisponderebbe al periodo in cui l’affresco fu dipinto.L’Ordine di San Gennaro fu fondato nel 1738, quindi, in un periodo di molto successivo alla fine del Seicento,epoca in cui risale il matrimonio di Giovanni Battista e quindi la composizione dell’Arma. Un’altra ipotesipotrebbe essere quella secondo la quale l’Ordine cui fa riferimento l’iconografia e stato aggiunto in seguito, adesempio in occasione di un restauro del palazzo. Oppure, altra ipotesi: la croce potrebbe appartenere alS.M.O.M., ed in questo caso corrisponderebbe il periodo storico, in quanto l’Ordine di Malta fu fondato nel1012 e confermato nel 1124 da Papa Onorio II, ma, la collana che appare nell’affresco non corrisponderebbea quella riconosciuta dall’Ordine di Malta. La conclusione è che senza un’adeguata chiave di lettura dell’im-magine, si può solo ipotizzate l’appartenenza ad uno degli Ordini, non si può averne la certezza. Cfr. DIDEROT

et D’ALEMBERT, Encyclopédie ou dicionnaire raisonné des sciences, des arts ed des métiers, Napoli, Libritalia,2000, rist. anast. del 1772, p. 22., voce Blasoni ed Araldica.

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D.O.M.NICOLAUS DE SANGRO EX MARSORUM COMITIBUS S. LUCIDI

DYNASTISFUNDORUM PRINCIPIBUS

A PHILIPPO V HISPANIARUM REGEAURELI VELLERIS EQUES GENERALIS CONSPU PRAEFECTUS

INTIMUSQUE CUBICULARIUSA CAROLO BORBONIO UTRIUSQ. SIC. REGE

ORDINIS S. JANUARII EQUES SUPREMUS MILITIAE DUXSACELLUM HOC VETUSTATE DEFORMATUM

IN PIGNUS SUI ERGA DEIPARAM CULTUSINSTAURAVIT ORDINAVIT DITAVITA PARTU VIRG. AN. CI DI DCCXLIII

Un’altra epigrafe, posta sempre nella cappella, ricorda i restauri fatti eseguirenel 1786 da Nicola, figlio di Domenico, e recita:

D.O.M.QUOD

VIRGINI IN COELII ASSUMETAE DICATUMA IO. BAPT. DE SANGRO PRIMO ACQUISTUM

A NICOL. DEIN FILIO INSTAURATUMDUX NICOLAUS NEPOS

FERD. IV. SICIL. REG. A CUBICULISPRAEF. AGMINIS

EQ. HIROSOLYMITANUSSACELLUM

UT SACRIS COMMODIUS VACARETURAERE DECORAVIT SUO

DE NOVO ADIECITQ. SACRARIUMAN. SAL. MDCCLXXXVI 56

Un’ampia corte interna con una scalinata immette ai piani superiori e confe-risce all’edificio quello stile peculiare dei palazzi antichi napoletani.

Per ragioni non meglio accertate, la proprietà del palazzo fu trasferita aDomenico e da questi al figlio Nicola Maria.57 Il palazzo, verso la fine del 1800,passò al duca di Martina Franca, Don Placido de’ Sangro, collezionista di cera-miche, di cui si parlerà più avanti. Agli inizi del 1900 fu ceduto ai conti Mangonidi Santo Stefano che lo hanno abitato fino a tempi recenti.58 Nonostante oggi

56 SANSONE VAGNI, op. cit., pp. 410, 411 e 412.57 Nell’archivio privato Caracciolo - de’ Sangro depositato presso la Biblioteca Comunale di Martina Fran-

ca, nel fondo Buccino Generale, sono elencate nei documenti le proprietà di Nicola Maria.58 Sulla volta e sulla porta di uno degli appartamenti al piano nobile è ancora visibile l’arme della famiglia: di

oro alla fede di carnagione vestita di rosso in fascia movente dai fianchi dello scudo tenente fra le mani unramo di olivo fruttato e fogliato al naturale; cimiero: cavallo nero nascente. Cfr. SPRETI, op. cit., p. 306.

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non appartenga più ai duchi de’ Sangro, continua a svettare più bello ed impo-nente che mai, a testimonianza di un glorioso passato della famiglia che lo haposseduto.

Ritornando a parlare dei personaggi di questa linea della casata, un ruoloimportante fu ricoperto dalla duchessa Maria Teresa Montalto, la quale fu per i suoifigli più che una madre una sorella maggiore, data anche la sua giovane età nel-l’averli concepiti; ella visse nel loro periodo e morì 15 anni prima di loro.

La primogenita di Domenico e Maria Teresa, Maria Beatrice, sposò a Napoliil 25 febbraio 1775 Giovanni Vincenzo Tommaso Revertera, duca di Salandra, fuinsignita dell’onorificenza di Dama di Corte che le fu conferita il 24 gennaio 1768,quando era ancora nubile, durante il regno di Ferdinando IV e Maria Carolina. Il 24gennaio 1831, le fu concesso il titolo di Dama d’Onore Onoraria, da re FerdinandoII per premiarla dei 63 anni di servizio a Corte.

Dalla documentazione archivistica consultata nella Biblioteca Comunaledi Martina Franca, ed in particolare dal dattiloscritto inedito del Campanile,emerge il tratto umano di Don Nicola Maria.59 Questi fu il secondo duca diSangro ed una delle figure più belle di questa nobile casata; nel dattiloscritto silegge:

“[…] uomo assai illustre per le sue doti morali, si distinse per la fermezza dicarattere e per la sua dedizione al sovrano, al quale restò fedele nella buona enella cattiva sorte anche quando questi fu costretto a rifugiarsi per ben duevolte a Palermo, con la Famiglia Reale, sotto l’incalzare degli avvenimenti po-litici.Seguendo l’esempio del padre, il quale aveva visto nascere l’Infante Ferdinandoe, governato per suo conto durante la reggenza, il duca Nicola gli volle rimane-re fedele soprattutto quando il sovrano si trovò in difficoltà per i noti avveni-menti politici.Don Nicola fu molto stimato da Ferdinando IV e dai suoi successori, reFrancesco I e re Ferdinando II di Borbone, fu anche stimato da altri sovranifra i quali il re di Prussia, Federico il Grande, il quale aveva tenuto in granconto suo padre Domenico e gli zii Nicola e Placido,60 e dal Granduca diToscana Ferdinando III, presso il quale fu ambasciatore verso la fine delXVIII secolo.Il 24 gennaio 1772 fu nominato Gentiluomo di Camera con Esercizio edattese a tale incarico con la solerzia che gli derivava dall’esempio del padre.Nel 1797 gli fu conferita l’onorificenza di Cavaliere di Giustizia del RealeOrdine di San Gennaro delle Due Sicilie. Per tale nomina presentò le provedi nobiltà dei di Sangro, dei d’Afflitto, dei Montalto e degli Imperiale, suoiavi.

59 BCMF, Filiberto CAMPANILE, Storia della famiglia di Sangro, dattiloscritto inedito, p. 1/d.60 Distintisi per le loro gesta nella battaglia di Velletri combattendo contro gli austriaci.

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Quando il re fu costretto ad abbandonare Napoli per la prima volta, Nicola fuinviato quale Ambasciatore dal Granduca di Toscana, Ferdinando III, cognatodel re, per assolvere ad incarichi di grande responsabilità. Egli doveva convin-cere il Granduca a tenere fede agli impegni presi, non abbandonando i suoiparenti durante lo sventurato periodo. In realtà il suo compito non fu semplice,anche perché in quel periodo vi erano conflitti di interessi, interferenze politi-che, intrighi, passioni ecc. Il successo della missione fu reso molto difficile an-che per il carattere del Granduca, debole ed opportunistico, e fu assicuratoproprio dal duca Nicola e dalla sua diplomazia […]”.

Nel 1794 Nicola sposò Maria Giuseppa Carafa dei duchi di Andria, le nozzeebbero luogo il 16 novembre nella chiesa di San Gennaro all’Olmo.

Con la stipula dei Capitoli Matrimoniali, avvenuta tra Riccardo Carafa, ducadi Andria, sua moglie Margherita Pignatelli di Monteleone, e Nicola de’ Sangro fustabilito l’ammontare della dote assegnata alla nubenda per un importo complessi-vo di 60,000 ducati. Tale somma sarebbe stata corrisposta al duca de’ Sangro nelseguente modo: 30,000 ducati sarebbero stati versati nell’arco di un anno, gli altri30,000 ducati negli anni compresi tra il 1800 e 1801 in “tanne”. L’importo di cia-scun versamento non sarebbe stato inferiore a ducati 10,000.

Fu stabilito, inoltre, che a far data dalla stipula dei Capitoli Matrimoniali efino alla celebrazione delle nozze, i Carafa avrebbero corrisposto al futuro gene-ro un interesse sull’ammontare dell’intero capitale dotale in ragione del 3,5 %, ascalare proporzionatamente alle “tanne” che dei ducati 60,000 sarebbero statepagate. Fu stabilito, altresì, che Nicola avrebbe donato Maria Giuseppa una som-ma pari a ducati 3,000 e che, ogni anno in occasione del suo genetliaco e dell’ono-mastico le avrebbe regalato il corrispettivo di ducati 200 in oggetti di oro: “lacci espille”.

Tra le altre condizioni fu stabilito che, in caso di vedovanza della moglie, gli eredidiretti del duca, i suoi figli, avrebbero corrisposto alla madre un vitalizio di ducati 3,600ripartiti in rate da 300 ducati con l’usufrutto della casa di abitazione. In caso contrario,se avesse lasciato la casa in cui viveva, i figli avrebbero dovuto corrisponderle la sommadi annui ducati 400 affinché potesse vivere, secondo le regole imposte dal rango nobilia-re, in un’altra dimora di suo gradimento. Negli accordi fu inoltre stabilito che, nel casola vedova fosse convolata a nuove nozze, le sarebbero stati corrisposti i frutti sia delladote sia dell’ “antefato”, secondo quanto stabilito dalla Prammatica del Viceré duca diOssuna, in ragione del 3,5 %, senza poter avanzare alcuna pretesa sul capitale dotaleche sarebbe spettato ai figli. In caso di assenza di eredi diretti, alla vedova sarebbe statorestituito il capitale dotale con i frutti dell’ “antefato”.

Nel documento non sono elencate né le proprietà immobiliari assegnate allasposa dalla famiglia, né il corredo né altro. L’atto riporta, inoltre, le condizioni sullemodalità di celebrazione del matrimonio. Per tutti gli altri patti non espressi si rin-via a quanto stabilito dalla Legge allora vigente, mediante decisione del “Consigliodei Savi” riportata nei Rescritti dei nobili appartenenti alle Piazze del Nido e diCapuana della città di Napoli.

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L’aristocrazia napoletana tra Capitanata e Valle d’Itria: i duchi di Sangro

L’unione della coppia fu allietata dalla nascita di otto figli.61 Dal 179762 laduchessa di Sangro fu Dama di Corte con l’incarico di Camerista Maggiore63 e fupromossa d’Onore nel 1831, durante il regno di Ferdinando II. Dal 1818 al 1829 fuIspettrice della Real Casa dei Miracoli, al fianco del marito che rivestiva l’incaricodi Sovrintendente. Il Campanile, prosegue la biografia del duca nel suo dattiloscritto,riportando alcune fasi significative della vita di questo personaggio:

“ […] Il 24 gennaio 1801, dopo il primo ritorno a Napoli di re Ferdinando IV,Don Nicola fu nominato Somigliere del Corpo, al quale incarico attese a vita.Le alte cariche di Corte, con insignita qualifica di Capo di Corte, erano quelledi Maggiordomo Maggiore, Cavallerizzo Maggiore, Capitano della Guardiadel Corpo, alle quali fu aggiunta la carica di Cacciatore Maggiore.Nel 1806 seguì nuovamente i Borbone in Sicilia, dove si trovò nella condizioneancora più difficile degli altri esuli, dovendo provvedere alla sua numerosa fa-miglia, giacché i suoi beni erano stati confiscati dai nuovi re proclamati da Na-poleone.Rientrato a Napoli, durante il regno di Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte,per salvare almeno una parte dei propri beni, assolse ad incarichi di carattereamministrativo.In qualità di Eletto di Città, fece in modo che fossero approvati alcuni provve-dimenti, tra i quali nel 1808 quello di poter instaurare per la prima volta a Na-poli l’illuminazione notturna della città; le lampade installate furono 1920 equesto esempio fu imitato più tardi anche da altre città d’Italia.Nel marzo 1813, già da qualche tempo nuovamente in Sicilia, Don Nicola sirese promotore di un avvenimento di rilevante importanza politica e storicache ebbe un gran peso negli avvenimenti successivi. L’inglese Lord WilliamBentinck, Comandante in Capo delle Forze Britanniche in Sicilia, MinistroPlenipotenziario ed Inviato Straordinario, lanciò un vero e proprio ultima-tum al re Ferdinando. Questi, tenuto prigioniero, stava per cedere quando ilduca di Sangro, forzando la consegna, si precipitò nella casa dov’era il sovra-no e, compiendo un atto di inaudito coraggio, strappò dalle mani del re l’attodi abdicazione, lo ridusse in mille pezzi e lo gettò ai piedi dell’esterrefattodiplomatico.Se il duca di Sangro non fosse intervenuto, i Borbone non sarebbero mai piùritornati nella Reggia di Napoli; Lord Bentinck apprezzò questo atto di de-dizione al sovrano e da quel momento divenne grande amico del duca.

61 BCMF, Archivio privato Caracciolo – de’ Sangro, Successioni, b. 7/2, c. 15r, Capitoli Matrimoniali traNicola de’ Sangro e M. Giuseppa Carafa, stipulati il 10 novembre 1794, notaio Filippo Palomba di Napoli.

62Aquilina OLLEIA, Ricerca documentaria sui Reali Sposi all’Archivio Segreto Vaticano, in AA.VV., FoggiaCapitale, La Festa delle Arti nel Settecento, Napoli, Electa, 1998, pp. 256 e 259, Appendice f. 123r. L’onorifi-cenza fu conferita il 24 giugno di quell’anno in occasione delle nozze a Foggia tra Francesco I e M. Clementinad’Austria.

63Anna Maria ROMANO, Manifattura Napoletana, in AA.VV., Foggia Capitale…, cit., p. 178.

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Lucia Lopriore

Nel 1815, con la Restaurazione di Ferdinando I, il duca de’ Sangro fu promos-so Tenente Generale ed Ispettore della Guardia Reale, dal 1818 al 1829 ricoprìl’incarico di Sovrintendente della Real Casa dei Miracoli, educandato femmini-le alle dipendenze del Ministero dell’Interno, in Santa Maria della Provviden-za, subentrando a Don Giuseppe de’ Sangro, principe di Fondi, e per le sueopere sull’architrave della porta del chiostro fu affissa un’epigrafe che recitacosì:

PER LA GLORIADI FERDINANDO I RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

DALLE CUI PROVVIDE CURE QUESTA R. CASA DEI MIRACOLIALLA PIU’ UTILE E GENEROSA EDUCAZIONE

DI ONESTE DONZELLE FU DESTINATAIL DUCA D. NICOLA DI SANGRO PRESIDENTE DI ESSA

PROMOSSI OGNI MANIERA DI LAVORI E STUDI DONNESCHIINTRODOTTI GLI ORNAMENTI DELLE LETTERE E SCIENZE

ALL’IMPIEGO DEL GENTIL SESSO AGGUAGLIATEE LE REGOLE DI CRISTIANA E MORAL DISCIPLINA

IN BUON ORDINE DISTRIBUITEL’INTERNA E L’ESTERNA FORMA DELL’EDIFIZIO

A SOLIDARIETA’ ELEGANZA E MAGNIFICENZA MAGGIOREHA PROCURATO RIDURRE 64

Nel 1827 Don Nicola ricevette le insegne di Cavaliere di Gran Croce del RealOrdine di San Ferdinando e del Merito, il 28 settembre 1829 quelle di GranCroce dell’Ordine di Francesco I.Queste due onorificenze gli furono conferite dal nuovo re Francesco I diBorbone, il quale era succeduto al defunto padre nel 1825, la seconda decora-zione gli fu decretata in occasione della prima assegnazione delle insegne che ilre volle conferire direttamente, per dar maggiore e particolare importanza allanuova onorificenza. […]”.

L’Ordine di San Ferdinando e del Merito era stato creato il 1° aprile 1800da re Ferdinando IV al ritorno a Napoli, per premiare i sudditi che erano rima-sti fedeli alla sua causa quando si era dovuto rifugiare in Sicilia. I Gran Croce,limitati a ventiquattro, avevano il titolo di Eccellenza ed acquisivano il diritto amantenere il capo coperto alla presenza del re come i grandi di Spagna di Iªclasse. L’Ordine di Francesco I era stato istituito il 28 settembre 1829; esso com-prendeva i gradi di Gran Croce, Commendatore, Cavaliere, Medaglia d’Oro ed’Argento. La decorazione distingueva i benemeriti dell’amministrazione pub-blica, dell’industria, del commercio e dell’arte.65 Per la sua nobiltà, Don Nicola

64 Da un recente sopralluogo si è rilevato che l’epigrafe è stata rimossa e non sono giunte notizie sulla suadestinazione.

65 LANDI, op. cit., p. 151.

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L’aristocrazia napoletana tra Capitanata e Valle d’Itria: i duchi di Sangro

de’ Sangro fu registrato nella Platea delle famiglie Patrizie Napolitane ascritteal Libro d’Oro.66

La figura del duca de’ Sangro appare per la prima volta in relazione alle vi-cende storiche ed economiche della Capitanata nel 1795, ossia quando acquistò ilfeudo allodiale di Orta. Il possesso cessò con l’entrata in vigore della legge del 21maggio 1806.67

La narrazione delle prossime vicende affronterà l’argomento relativo al dirit-to di patronato sulle chiese di Orta, determinatosi con l’acquisto del sito, ma, bre-vemente, occorre accennare al periodo appena successivo all’espulsione dei PadriGesuiti dalla Capitanata.

Nel 1774, dopo la confisca dei beni della “Casa d’Orta” ai PP. Gesuiti, pervolere del marchese Bernardo Tanucci nacquero i cinque “Reali Siti”; con essi sor-gevano nuove speranze, per coloro i quali si erano avventurati popolando i nuovicentri di Orta, Ordona, Stornara, Stornarella e Carapelle, di poter godere dei privi-legi concessi dal sovrano, affinché gli stessi progredissero dal punto di vistasocioeconomico.

I cinque villaggi, prima sorti come masserie, assunsero una diversaconnotazione con il popolamento delle terre. I lotti di terra furono parcellizzati econcessi in enfiteusi a coloni provenienti da altri paesi, gente povera giunta in que-sti luoghi “desolati” in cerca di fortuna, pionieri che colonizzano le terre liberedando origine ai centri urbani.

Con la prima concessione delle terre a coltura i censuari dovevano pagare uncanone annuo di diciotto carlini a versura, mentre per le terre adibite al pascolo, uncanone annuo di venticinque carlini a versura. Nel 1774 furono destinati ai cinquecentri 4.100 versure di terra destinate a 410 famiglie: 105 ad Orta, 93 ad Ordona, 83a Stornara, 73 a Stornarella e 56 a Carapelle.

A ciascuna famiglia furono assegnate 10 versure di terreno, i buoi, le sementi,gli attrezzi agricoli, la casa rurale e quanto altro occorreva per la coltivazione deiterreni. La concessione delle terre fu accordata in enfiteusi ventinovennalerinnovabile.

Con l’entrata in vigore della legge sull’eversione feudale, promulgata il 21maggio 1806, ai censuari fu concesso il dominio utile delle terre in perpetuo, dietropagamento del canone di locazione detto “estaglio” e della fondiaria. I contadinidivennero proprietari assoluti degli appezzamenti loro assegnati. Più tardi, la rifor-ma del Tavoliere regolarizzò la situazione sia dal punto si vista fiscale sia da quelloeconomico. Così, la Giunta del Tavoliere, seguendo la nuova normativa, concesse

66 BCMF, Filiberto CAMPANILE, Storia della Famiglia di Sangro, dattiloscritto inedito, p. 1/d, e BNNA, Sez.Manoscritti e Rari, mss. nn.: XA . 42 c.15r, XA . 41 c. 31r, XA . 45 c. 188r, XIV . F 32 c. 128 r, XVII . 25 c 188r,XVIII . 46. c. 133r.”Notizie sulle principali Famiglie del Regno delle Due Sicilie”. Il titolo riguarda l’ultimomanoscritto.

67 Si riprende in questa sede il discorso già avviato nel contributo Diritto di Patronato del Duca de’ Sangrosulle chiese di Orta di Capitanata e rapporti con il vescovo di Ascoli Satriano, in «la Capitanata», XXXVIII,(2001), 10, (ottobre), p. 149 e segg.

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altre terre in censuazione perpetua ai coloni: furono distribuite altre 2.353 versure e25 catene per un totale complessivo di ducati 6.354,96, che parcellizzati divennero27 carlini annui a versura.68

Nonostante l’impegno ed il lavoro profusi però, le condizioni economiche incui versavano alcuni contadini diventarono difficili quando questi, a causa dellecattive annate, furono costretti a contrarre debiti e molti di essi, non riuscendo a farfronte agli impegni assunti, subirono la confisca dei beni e conseguentemente l’espul-sione dalle terre. Queste ultime, incamerate nuovamente nel Demanio, furonorivendute a privati.

Per quanto riguarda il centro di Orta, nel 1792 una parte delle terre confisca-te ai censuari fu venduta in burgensatico, al prezzo di 145,151 ducati, dalla RealeAzienda di Educazione, organo amministrativo competente sul territorio dei RealiSiti, con sede nella capitale, a Don Matteo Scherini di Napoli; sulle stesse non sus-sisteva alcun diritto di prelazione da parte dei coloni.69

Dopo tre anni dall’acquisto da parte di Matteo Scherini, rescisso il contrattosu sua richiesta, il “Sito” di Orta fu venduto allo stesso prezzo, ma con una dedu-zione di ducati 625. Nel corso dell’accertamento del valore era emerso un calo dialcune rendite del sito stesso, che andava ad incidere sul capitale iniziale. Così fudefinitivamente stabilito che il prezzo sarebbe stato di ducati 144,526, versati dalnuovo acquirente nella persona del duca Don Nicola Maria de’ Sangro di Napoli.Durante le trattative furono stabilite le seguenti condizioni: ducati 12,526 da pagarein contanti e subito, i rimanenti ducati 132,000 dovevano essere pagati nel corso dicinquant’anni, con decorrenza dal giorno 19 agosto 1795,70 ripartiti in tante rate,così come deciso dal duca de’ Sangro, a condizione che alla fine di ogni decennio lasomma versata fosse pari a ducati 27,000. In tal modo, trascorsi quarant’anni, ilduca stesso avrebbe pagato la somma di ducati 108,000. Gli fu concesso, inoltre, dipoter pagare anche somme maggiori, in modo tale che il debito residuo dell’ultimodecennio sarebbe stato di ducati 24,000 così come stabilito con Reale Dispaccio del30 giugno 1795.

Fu deciso che il duca avrebbe corrisposto un interesse a favore della RealeAzienda di Educazione compensativo dei “frutti” che avrebbe percepito dalle rendite

68 Addolorata SINISI, I beni dei Gesuiti in Capitanata nei secoli XVII e XVIII, Napoli, C.E.S.P., 1963, pp. 49e 50. Cfr. Lucia LOPRIORE, Origine dei Reali Siti, antica e nuova censuazione, in http://www.mondimedievali.net/Microstorie/realisiti.htm

69 BCMF, Archivio Privato Caracciolo - de’ Sangro, Buccino Generale, b. 170, fasc. 2, c. 30r., Notaio B.Capobianco di Napoli, atto del 19 dicembre 1795. Istrumento della vendita del Real Sito di Orta in Burgensatico,fatta dalla Real Azienda di Educazione al Sig. Duca de’ Sangro. Per l’acquisto ed a garanzia del debito con-tratto con la Reale Azienda di Educazione, Matteo Scherini aveva acceso un’ipoteca legale sui beni immobilidi sua proprietà consistenti in: “[…] una Casa grande del Borgo di Loreto, un’altra casa sita nel Vicolo delleChianche di Toledo, un Casino a Portici, diversi Arrendamenti, ed infine una Masseria sita a Torre del Greconel luogo detto Soda […]”.

70 Il duca cominciò ad effettuare i versamenti ancora prima della definitiva stipula dell’Istrumento, cfr.BCMF, Archivio Privato Caracciolo – de’ Sangro, Buccino Generale, b. 170, fasc. 2, c. 89r., Notaio B. Capobiancodi Napoli, atto del 19 dicembre 1795, Istrumento… doc. cit.

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per affitti ecc, in ragione del 3%, da scalare proporzionalmente alle somme da luiversate in conto dell’intera somma di ducati 132,000.71

Con l’acquisto fu concesso al duca il diretto dominio sulle Mezzane del For-no, Torre Giordana, Fiume Morto, Grascianella e Triunfello, della estensione di363 versure più 18 versure di orto, più 81 partite confiscate ai censuari di Orta, ilmolino, il forno, la taverna del Passo d’Orta, tre stanze della “Palazzina”, nellaquale erano ubicate le abitazioni del Curato e del Vescovo, e due fondaci siti aFoggia nella strada detta di Gesù e Maria, fittati al prezzo di annui ducati 24.72

Nell’acquisto era compreso anche il godimento del diritto di patronato73 sullaChiesa Matrice di Santa Maria delle Grazie74 , e su quella di Santa Caterina di Orta75 .Il duca doveva provvedere direttamente alla nomina del Curato o del Cappellano,dell’Economo e del Guardiano delle chiese, stabilendo per ciascuno un compensoannuo concordato con la Reale Azienda di Educazione, non inferiore a quello pre-cedentemente percepito dagli stessi e corrisposto dal suo predecessore Don MatteoScherini.76

71 F. CAMPANILE, Storia della famiglia di Sangro...; BCMF, Archivio Privato Caracciolo – de’ Sangro, BuccinoGenerale, b. 170, fasc. 2, c. 65r e segg., Notaio Bernardo Capobianco di Napoli, atto del 19/12/1795, Istrumentodella vendita del Real Sito di Orta in Burgensatico fatta dalla Real Azienda di Educazione al Sig. Duca de’Sangro. La somma di 12526 ducati fu versata a mezzo fede di deposito del Banco della Pietà di Napoli. In taleoccasione furono fidejussori del duca: il principe di Melissano Don Giovanni Battista Caracciolo, Don Nico-la Caracciolo e Donn’Anna Francesca Spinelli, conte e contessa di Trivento, tutti suoi parenti nella linea deid’Afflitto, di tale famiglia facevano parte sia la nonna di Nicola, Beatrice, sia la zia Stefania, vedova di Luziode’ Sangro, fratello di Domenico. I titoli di principe di Scanno, duca di Barrea e conte di Trivento, passati aStefania dopo la morte di suo fratello, furono trasmessi ai principi Caracciolo di Melissano dopo la mortedella stessa Stefania per Maggiorasco. Cfr. CANDIDA GONZAGA, op. cit., p. 71.

72 ASFG, Amministrazione del Tavoliere, Scritture dell’Ufficio, s. II, b. 17, fasc. 4, cc. 6v e 8r., e BCMF, Archi-vio Privato Caracciolo – de’ Sangro, Buccino Generale, b. 170, fasc. 2, c. 1r e segg., Notaio Bernardo Capobiancodi Napoli, atto del 19/12/1795, Istrumento …, cit.

73 Quasi sempre tale diritto era concesso ai signori del villaggio o ai feudatari. Chi godeva dello ius patronatusera obbligato a rispettare le condizioni stabilite all’atto del godimento del diritto. Cfr. Emma GESUALDI, Ilpatrimonio della Mensa vescovile di Bovino in una platea del 1694, in «la Capitanata», XXV – XXX (1993-1998), 1, p. 201.

74 Attuale chiesa dell’Addolorata.75 Attuale chiesa del Purgatorio annessa a quella di S. Maria delle Grazie.76 BCMF, Archivio Privato Caracciolo – de’ Sangro, Buccino Generale, b. 170, fasc. 2, c. 1r e segg., Notaio B.

Capobianco di Napoli, atto del 19/12/1795, Istrumento… cit. In tale atto, tra i patti stabiliti al paragrafo XIIsi legge: “Che debbansi al Compratore nell’atto del possesso consegnare le copie in forma valida di tutti gliIstrumenti, e Scritture, che trovansi fatte fra la Reale Azienda, e gli attuali Censuarj, Fittuarj, Fidatarj, Coloni,Detentori de’ beni del suddetto Real Sito d’Orta; per aversi dal Compratore medesimo la certa notizia deltempo delle rispettive scadenze, e per poter nel tempo debito astringere al pagamento li rispettivi debitori percausa di censo, di affitto, di Fida, e per qualsivoglia altro titolo; senza che detto Compratore sia tenuto apagamento alcuno per le suddette copie d’Istrumenti, e Scritture da consegnarseli.”

Al paragrafo XIII si legge: “Che sia lecito alla persona nominanda espellere dalle rispettive concessioniquegli Enfiteuti che o si troveranno morosi, o pure avranno controvenuti ai patti apposti ne’ rispettivi Istrumentidi concessione; e che possa la medesima proseguire contra detti Enfiteuti li giudizi di devoluzione, già da dettaReale Azienda introdotti nella Regia Dogana di Foggia.”

Il paragrafo XV inoltre, stabilisce: “Che sia in piena libertà del Compratore di fare quell’uso, che meglio glipiacerà di tutti li territorj, e stabili annessi a detta Real Casa, devoluti che saranno li censi, ed estinti gli affittide’ rispettivi corpi descritti uno per uno nel quì inserto distinto Notamento, e sua Aggiunzione: e che qualun-

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Le trattative per l’acquisto avvennero con l’allora Amministratore dellaReale Azienda di Educazione Don Giuseppe del Pozzo e con il Regio ingegnereConsalvo Coltellini, che aveva effettuato la perizia stabilendo quale fosse il va-lore dei beni acquistati dallo stesso duca.77 I “Reali Siti” facevano parte delladiocesi di Ascoli Satriano, così il Vescovo, Mons. Emanuele De Tomasi,78 pre-occupato da tempo per lo stato delle chiese, il 2 maggio 1795, scrisse a DonDomenico di Gennaro, duca di Cantalupo, Intendente Generale degli StatiAllodiali di Sua Maestà e della Reale Azienda di Educazione, sollecitando l’in-vio di alcuni arredi sacri occorrenti alla chiesa di Santa Maria Delle Grazie diOrta e nello stesso tempo ribadendo la richiesta per il restauro di alcune partidella stessa; nella lettera evidenziava inoltre che per la chiesa si rendeva necessa-rio anche l’acquisto di un organo da porre sulla cantoria, pertanto alcuni censuarisi erano offerti di contribuire all’acquisto anticipando la somma occorrente conil proprio danaro.79

Intanto il 9 maggio dello stesso anno, il Vescovo ricevette una lettera da partedi Don Luigi Forgioni, rappresentante della Reale Azienda di Educazione, che lo

que diritto all’Azienda suddetta appartenga, tutto s’intenda passato, e trasfuso al Comp., e per esso nellapersona nominanda.”

Al paragrafo XVI si legge: “Che siano tenuti li Fittuarj, e Coloni del medesimo Real Sito pagare alla perso-na nominanda la rata dell’estaglio a die captæ possessionis, senza attendersi qualunque patto in contrario, chetra loro, e la detta Reale Azienda vi fusse.”

Il paragrafo XVII stabilisce: “Che la nomina e destinazione del Curato, Economo, e Guardiano sia delCompratore: e che al medesimo si trasferisca qualunque diritto di patronato, ed altro sulla Parrocchia, che allaReale Azienda di Educazione appartenga, o possa appartenere.”

Il paragrafo XI stabilisce: “Si venderanno i beni suddetti al Compratore con tutti i diritti, che rappresentasopra di essi la Reale Azienda di Educazione: giacché i corpi suddetti si trovano o affittati, o censiti; né vi ha laReale Azienda di Educazione Doti, o Attrezzi, se non ciò che risulta dà rispettivi istrumenti di censuazioni,ed affitti […].”

77 ARCHIVIO STORICO DELLA DIOCESI DI ASCOLI S. – CERIGNOLA, Reali Siti, volume IV, anni 1795-1798, c. 61r,lettera del 02/03/1796.

78 Cfr. AA.VV., Memoria Diocesis Asculi Satriani, Napoli, 1853, p. 140, e AA.VV., Cronotassi…, cit., p. 99.Nacque a Napoli il 25 dicembre 1721, fu Vicario Generale della Metropolia di Benevento, eletto Vescovo

della Diocesi di Ascoli Satriano ed Ordona il 16 dicembre 1771 continuò la sua opera pastorale fino al 1807.Era dottore in Utriusque Iuris molto versato nelle lettere, nelle materie scientifiche e nelle sacre scritture,conferì alla Cattedrale di Ascoli l’attuale stile architettonico arricchendola con stucchi, pitture, anaglifi, altari,balaustre marmoree corredandola, inoltre, di sacre suppellettili d’argento. Ampliò il seminario e l’episcopiofondò l’orfanotrofio per fanciulle assegnando loro una dote di 300 ducati d’oro da corrispondere ogni anno acura della mensa vescovile; celebrò il Sinodo diocesano nel 1735 di cui si custodiscono le bozze presso l’Ar-chivio Storico della Diocesi di Ascoli, gli originali, purtroppo, furono distrutti per mano di ignoti. Decorò icanonici del fiocco color paonazzo sul cappello e delle calze del medesimo colore. Pur avendo seri problemidi salute continuò a svolgere il suo ministero con tranquillità, celebrava la S. Messa quotidianamente ed amavarecitare il sermone al popolo durante le celebrazioni religiose tenute nei giorni festivi.

Nell’agosto del 1775, Ferdinando IV assegnò alla Diocesi di Ascoli l’appartenenza dei 5 Reali Siti e Mons.De Tomasi impiegò tutte le sue forze ed il suo zelo apostolico affinché in quelle zone vi fosse una rifiorituradella vita cristiana, furono infatti numerose le visite pastorali svolte con paterna vigilanza. Cessò di vivere il 5gennaio 1807 all’età di anni 85 compianto da tutti.

79 ARCHIVIO STORICO DELLA DIOCESI DI A. SATRIANO-CERIGNOLA, Reali Siti, volume IV, c.16r.

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informava dell’arrivo di una persona di sua fiducia80 che avrebbe dovuto rendersiconto dello stato dei fabbricati da cedere al duca de’ Sangro. Il 12 dicembre 1795,con una sua lettera, il duca stesso gli preannunciò la sua venuta allo scopo di visionarei locali che gli sarebbero spettati con l’acquisto del sito non avendo preso accordicon la Reale Azienda di Educazione al riguardo; colse l’occasione per chiedere alVescovo stesso di concedergli per la durata di circa 50, al massimo 60 giorni, i suoiappartamenti di Orta che sarebbero stati da lui utilizzati durante la sua permanenzanel Reale Sito, sperando di non arrecargli disturbo.

Dopo questa comunicazione, il 19 dicembre 1795 il Vescovo scrisse al ducadi Cantalupo informandolo sulle intenzioni del nuovo acquirente del sito, e pre-gandolo di intercedere per lui presso il de’ Sangro, al fine di poter mantenere gliaccordi già esistenti concessi alle chiese da Don Matteo Scherini, primo acquiren-te.81 All’epoca dell’acquisto le trattative erano state condotte da Don LuigiForgioni e dal canonico don Nicola Spagnoli, Vicario del Vescovo, il 3 giugno1793, quindi, essendo preesistenti, dovevano essere mantenute anche con il nuo-vo acquirente del sito; in particolare esse riguardavano le spettanze del Vescovocirca gli appartamenti, la rimessa, la stalla e la pagliera, inoltre sollecitava anchel’aumento dell’assegno annuale per le visite pastorali ormai richiesto da tre annima non ancora giuntogli, evidenziando che la richiesta era necessaria perché quelloera per la chiesa un “[…] periodo di umiliante congiuntura […]”. La paglierainoltre, essendo ubicata vicino alla chiesa, era pericolosa in quanto potevano veri-ficarsi incendi, pertanto sin dal 1793 era stata adibita ad alloggio ed occupata daun soldato della Reale Azienda di Educazione, con l’obbligo da parte di quest’ul-tima di provvedere al pagamento dell’affitto per un altro locale in cui riporre lapaglia. Per tale situazione il Vescovo aveva chiesto una somma di 10 ducati annui,ma Don Giuseppe del Pozzo gliene aveva offerti otto, tale somma era ritenutainsufficiente per pagare qualunque affitto ad Orta: i prezzi delle locazioni eranoalti tanto da raggiungere anche i 15 ducati annui per l’affitto di un locale.82 Final-mente, dopo varie insistenze, il 4 luglio 1795 fu accordata la concessione di 10ducati annui per l’affitto del locale, con verbale redatto dallo stesso Don Giusep-pe del Pozzo.

Il 2 gennaio 1796, il duca de’ Sangro scrisse al Vescovo una lettera di conve-nevoli ringraziandolo per avergli messo a disposizione i locali per il tempo richie-sto, assicurandogli che non avrebbe profittato oltre della sua cortesia. Nell’omag-giarlo, gli offrì i propri servigi. Il Vescovo, dopo aver svolto la visita pastorale, il 2

80 BCMF, Archivio Privato Caracciolo - de’ Sangro, Buccino Generale, b. 170 fasc. 2 c. 84r, Istrumento…cit.,dal documento si evince che il duca de’ Sangro elesse suo procuratore Don Carlo Cesare Soriani di Napoli, ilquale si recò ad Orta per prendere possesso dei beni acquistati.

81 Il Vescovo ignorava che nel contratto di compravendita tra il duca de’ Sangro e la Reale Azienda diEducazione le condizioni stabilite per le chiese di Orta fossero rimaste invariate.

82 ASDA, cc. 18r, 49r, 51r.

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marzo 1796 scrisse al duca di Cantalupo sia per informarlo sulla situazione dellechiese dei cinque centri, sia per chiarire la posizione del de’ Sangro in merito allesue competenze sulle chiese di Orta.83 Il 23 aprile 1796, il Vescovo scrisse ancora alduca di Cantalupo che il de’ Sangro aveva il compito di provvedere ai bisogni dellechiese, tuttavia avendo quest’ultimo rinunciato al diritto di patronato sul lato suddella chiesa Matrice e precisamente quello riguardante la cantoria, per aver preferi-to in sua sostituzione alcuni fabbricati per soprelevare la “Palazzina”, le competen-ze su quella parte della chiesa ricadevano sul duca di Cantalupo. Questi dovevapertanto provvedere a far chiudere la parte detta dei “Coretti” in quanto, durante lecelebrazioni religiose, si commettevano “Sconcerie ed irriverenze”. Il Vescovo nonebbe nessuna risposta in merito.

Il 18 febbraio 1797, mosso da dovere pastorale, scrisse al duca de’ Sangroinviandogli una lista per la fornitura di alcuni arredi sacri ritenuti urgenti per lecelebrazioni religiose e sollecitandone l’invio per la chiesa di Santa Maria delle Gra-zie che ne era sprovvista; nella lista egli suddivise le cose più importanti, da spedireal più presto, da quelle meno urgenti da inviare con comodo:

“[…] Tovaglie numero 6Sottotovaglie numero 2Frasche per altari, cioè numero 12per l’altare Maggiore, sei grandie sei piccole, per l’altri due altarinidodici piccoleMessale nuovo numero uno, con i SantiBeneventaniLettorini di Segno numero 3Una Campana nuova GrandeTonnacelle di colore nero numero 2Piviale di tutti i colori numero 1Tonnacelle di tutti i colori, numero 2Pianeta di tutti i colori, numero 1Un PaliottoUn Ombrella […]”.84

Nonostante le promesse epistolari del duca de’ Sangro, a tutto il 25 febbraio1797 né gli arredi sacri furono inviati, né gli altri impegni assunti furono mantenuti,così il Vescovo di Ascoli Satriano decise di scrivergli per inviargli un resocontosulla situazione delle chiese di Orta desunta dalle sue visite pastorali; con l’occasio-ne sollecitò l’invio degli arredi e soprattutto della campana grande spiegandogli che

83 Ibid., c. 53r, 57r.84 Ibid., cc. 69r, 98r, 99r, 101r.

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quella esistente era rotta e, che la sola campana piccola non era sufficiente per ri-chiamare la gente dalle vicine masserie per le celebrazioni religiose. In risposta allalettera del Vescovo, il 25 febbraio di quell’anno, il duca scrisse che aveva già datoordini precisi affinché gli arredi fossero pronti nel più breve tempo possibile. Lacampana era in costruzione: sarebbe stata consegnata appena pronta.85 Fino al 13maggio di quell’anno né gli arredi né la campana furono inviati, questo indusseancora una volta il Vescovo a scrivere al duca sia per sollecitargli l’invio di quantopiù volte richiesto, sia per informarlo che, durante la sua ultima visita pastoralead Orta durata quattro giorni, aveva avuto problemi per l’alloggio in quanto ilsuo agente, Giuseppe Colelli, e la sua famiglia si erano impossessati degli apparta-menti che utilizzava durante la permanenza in occasione delle visite pastorali oc-cupandoli e deturpando anche i mobili. Sollecitò l’ultimazione delle fabbrichedella Palazzina in modo tale che l’agente stesso potesse trasferirsi ed evitare ulte-riori disdicevoli situazioni.86 Il duca rispose al Vescovo il 20 maggio 1797 riba-dendo che gli arredi sacri erano in lavorazione. Mostrandosi dispiaciuto per ildisagio nel quale il Vescovo si era trovato durante la sua permanenza ad Orta, gligarantì che:

“[…] alla fine del prossimo mese di settembre, egli 87 evacuerà il detto palazzo,fabbricata o no che sia la mia Palazzina […]”.

Inoltre, nel pregarlo di pazientare gli promise che tutti i danni causati dal suoagente e dalla famiglia gli sarebbero stati rimborsati, e lo pregò di compilare unalista dei mobili danneggiati che avrebbe a sue spese sostituito.88 Il 23 dicembre 1797il Vescovo inviò una relazione dettagliata sulla situazione delle chiese dei cinquecentri alla Reale Azienda di Educazione. Per conoscenza, una copia della stessa fuspedita anche a Michele Filangieri,89 alter ego del duca, segretario e curatore deisuoi affari, nonché suo cugino. Nella sua relazione, il Vescovo evidenziava la neces-sità di aumentare le quote annuali che fino allora con Reale Dispaccio erano statefissate a 130 ducati annui, ma che per le esigenze delle chiese erano insufficienti. PerOrta presentò la richiesta di far costruire una cripta per le sepolture nella chiesa

85 Ibid., c. 103r, dalla ricerca non è emerso né il prezzo pagato per la campana né da quale fonderia napole-tana fosse stata costruita.

86 Ibid., c.120r.87 Giuseppe Colelli.88 ASDA, Reali Siti, volume IV, c. 122r.89 CANDIDA GONZAGA, op. cit., vol. I, p. 223, e vol. VI, p. 88, ed Erasmo RICCA, La Nobiltà delle Due

Sicilie..., cit., vol. I, p. 525. Principe di Arianiello, figlio di Cesare, 1° principe di Arianiello, di Giovanni edAnna d’Aponte, e Marianna Montalto di Fragnito, figlia di Antonio e Maddalena Imperiale, di Domenicomarchese di Latiano e M. Teresa Spinola. Fu l’ultimo principe di Arianiello, il titolo gli fu trasmesso dopo lamorte del fratello Gaetano, illustre giurista ed illuminista; Michele fu Commendatore di più Ordini e nel 1808fu nominato Presidente del Senato di Napoli, successivamente ricoprì la carica di Intendente della Provinciadi Napoli, ebbe una sola figlia legittima che morì nubile.

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Matrice della quale avrebbero usufruito solo i censuari pagando 10 carlini per ognisepoltura destinata agli adulti e cinque carlini per i ragazzi. Invece per le sepolturedei locati e dei forestieri sarebbe stata utilizzata la chiesa di Santa Caterina, nono-stante fosse in precarie condizioni di agibilità perché pericolante.90 La relazione siconcludeva con l’accenno alle controversie sorte tra alcuni censuari ed il duca de’Sangro a causa del suo dispotismo.

Il 24 febbraio 1798 il Vescovo, ancora una volta, inviò una lettera al ducade’ Sangro per sollecitare l’invio degli arredi sacri che erano diventati urgenti perle celebrazioni religiose, allegando un’altra lista con l’aggiunta di altro materia-le.91

Evidentemente stanco delle continue lagnanze del Vescovo, il duca diede in-carico a Michele Filangieri, di curare personalmente la questione con le chiese diOrta; questi, con una lettera del 24 marzo 1798 riferì al Vescovo che, a causa diurgenti impegni, il duca non aveva potuto far fronte alle richieste avanzate, ma cheal di là delle sue spettanze non si potevano lasciare abbandonate le chiese sia che ildiritto di patronato fosse goduto dal duca, sia che fosse stato affidato ad altri, per-tanto scrisse:

“[…] bisogna riflettere […] alla necessità positiva del Culto Divino agli obbli-ghi della Chiesa, che non possono essere molti, perché non ha Rendite, ed al-tro[…]”.

Pertanto, alla luce degli ultimi avvenimenti egli stesso agendo per conto delduca, si impegnò a fornire sia gli arredi sia a seguire con maggiore attenzione lenecessità delle chiese.92 La situazione rimase invariata fino al 1° settembre 1798,quando il Filangieri con una lettera assicurò al Vescovo che entro i primi giorni dinovembre di quell’anno sarebbero stati consegnati tutti gli arredi liturgici, compre-sa la campana nuova.93 Con l’occasione preannunciava la venuta dell’ingegnere dicasa de’ Sangro94 che sarebbe andato ad Orta per completare le fabbriche della Pa-lazzina. Sia gli arredi sia la campana furono consegnati entro i termini stabiliti, sullastessa fu apposto il suo stemma95 con la seguente didascalia:

90 Nell’Istrumento di acquisto del Sito d’Orta, tra le condizioni stabilite, era compreso anche il rifacimentodella chiesa di S. Caterina; a tale riguardo l’ing. Coltellini aveva compilato il progetto di ricostruzione. Perragioni non meglio accertate, però, la chiesa non fu mai ricostruita. Cfr. BCMF, Istrumento…, cit., c. 102 r.

91 Ibid., cc. 154r, 161r, 163r e 164r.92 Ibid., c. 167r.93 Ibid., volume V, anno 1798, c. 14r.94 BCMF, Archivio Privato Caracciolo – De’Sangro, Buccino Generale, b. 170, carte varie; in un documento

che elenca gli arredi per la Palazzina di Orta inviati al Vescovo in sostituzione di quelli danneggiati da Giusep-pe Colelli, si evince che l’ingegnere della casa de’ Sangro è il Dott. Mastiviani.

95 Arme: Partito. A destra: di Oro a tre bande di Azzurro; a sinistra: di Rosso a tre fasce d’Argento. Scudoinscritto nell’insegna di Gran Croce del Sovrano Militare Ordine di Malta. Cimiero: due leoni uscenti affron-tati al naturale codati di oro e lampassati; quello di sinistra caricato di stadera, simbolo della casata dei Carafa,al centro: drago nascente di verde lampassato. Ornamenti ducali.

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L’aristocrazia napoletana tra Capitanata e Valle d’Itria: i duchi di Sangro

DVX NICOLAVS MARIA DÈ SANGRO REGALI MVNIFICENTIAPATRONVS RESTAVRAVIT ANNO SALVTIS MDCCXCVIII 96

La campana fu collocata nel campanile a vela del palazzo ex Gesuitico, doverimase fino agli anni ’90 del 1900. Successivamente fu rimossa per essere collocatanella torre campanaria della nuova chiesa del SS. Crocifisso di Orta Nova, dove èrimasta fino al 2001. Ultimati i restauri del Palazzo ex gesuitico, è stata ricollocatanell’originario luogo di appartenenza.

Come Nicola, anche i suoi successori si distinsero per le loro gesta eroiche;suo figlio Riccardo fu il terzo duca di Sangro. Sposò Maria Argentina Caracciolodei duchi di Martina Franca.

Seconda di tre figli, Maria Argentina, contessa di Brienza e di Buccino, quan-do era già sposata con Riccardo de’ Sangro ereditò il titolo di duchessa di MartinaFranca dopo l’avvenuto decesso della madre, Francesca del Giudice Caracciolo che,a sua volta, lo aveva ereditato dal figlio maggiore Petraccone, ottavo duca con que-sto nome, il quale si spense prematuramente il 13 agosto 1827.97 Dal matrimonionacquero cinque figli. Il nome di Riccardo de’ Sangro è legato ad una rapida carrie-ra militare. Dopo la Restaurazione, per dimostrare la sua riconoscenza verso lafamiglia per essergli stata fedele, il sovrano promosse Riccardo al grado di TenenteColonnello del primo Reggimento Lancieri. I riconoscimenti onorifici furono con-feriti nel 1843 con l’investitura di Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro. Fu Cava-liere di compagnia del re Ferdinando II, che lo volle al sua fianco nel maggio del1848 durante la campagna nello Stato Pontificio ed il 15 giugno 1849 lo promosseGenerale. Nel 1855 Riccardo di Sangro fu promosso Maresciallo di Campo ed aiu-tante generale del re ed ebbe il comando della Divisione di Cavalleria Leggera edelle Guardie d’Onore; nel maggio del 1859, durante gli ultimi giorni di vita del reFerdinando II98 egli fu il più assiduo assistente del sovrano.

96 Dalla didascalia sulla campana si evince la fedeltà del duca verso il sovrano con l’affermazione: “[…]Regali Munificentia Patronus […]”. Non è un caso che Don Nicola de’ Sangro abbia fatto questa precisazio-ne, poiché nel 1798, anno in cui fu donata la campana, com’è noto, nella capitale del Regno dilagava ilgiacobinismo che aveva già raccolto entusiastici consensi da parte di molti nobili, tra cui Ettore Carafa cogna-to di Nicola, i quali, come già accennato nella parte introduttiva di questo saggio, facendo propri i princìpi dilibertà della rivoluzione francese cospiravano contro la monarchia. I pochi nobili rimasti fedeli al sovrano,quindi, evidenziavano la loro devozione anche attraverso gli scritti, così come si evince nell’atto relativo allanomina del cappellano, del guardiano e dell’economo della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Orta, rilascia-to dalla segreteria della casa ducale de’ Sangro, che recita: “Spettando a noi per sovrana concessione […]”. Cfr.BCMF, Buccino Generale, b. 172, fasc. 15.

97 Lucia PORTOLANO, Conduzione del patrimonio dei de’ Sangro fra Ottocento e Novecento, in Umanesimodella Pietra, Martina Franca, Edizioni Pugliesi, 1991, pp. 113-122. L’intero patrimonio dei Caracciolo dopo ildecesso della stessa Aregentina avvenuto nel 1849 passò ai suoi figli Nicola e Placido che ereditarono i beni nelseguente modo: Nicola oltre ai titoli di conte di Brienza e conte di Buccino ebbe alcune masserie in territoriodi Mottola, Placido ereditò il titolo di duca di Martina ed altre masserie in territorio di Mottola, Massafra,Taranto, Grottaglie ed Ostuni.

98 Deceduto per coxite.

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Lucia Lopriore

Confermato in tutte le sue cariche dal nuovo re Francesco II, divenne il suoattento consigliere e fu al suo seguito quando, ancora duca di Calabria, si recò inPuglia per ricevere la sua futura sposa, la Principessa Maria Sofia di Baviera. Suc-cessivamente lo seguì a Gaeta, imbarcandosi con lui il 6 settembre 1860 sulla naveSaetta.99 L’8 ottobre 1860, per premiare il suo fedele attaccamento, il giovane sovra-no lo promosse Tenente Generale.

Nel castello di Gaeta, assediato dalle truppe piemontesi, contrasse il tifo. Ildecorso della malattia fu da lui accettato con rassegnazione tanto da farlo assurgereagli onori della cronaca con il titolo di difensore di Gaeta. La morte lo raggiunsenella notte tra il 5 ed il 6 febbraio 1861.100

Un aspetto interessante si coglie dai profili dei figli di Riccardo tratteggiatidal Campanile:

“[…] Nicola ereditò il titolo di IV duca di Sangro, sposò nel 1851 Isabellade’Medici dei principi di Ottajano e dei duchi di Sarno dalla quale ebbe diecifigli; tra questi Riccardo, nato a Napoli, all’età di sette anni fu condotto a Pari-gi, dove la famiglia era stata costretta a rifugiarsi in volontario esilio per sfuggi-re alle rappresaglie in atto contro tutti coloro che erano rimasti fedeli ai lorosovrani. Fu decorato del titolo di Patrizio Napolitano. A Parigi ebbe per mae-stro l’Abate Eugenio Fabre, al quale restò legato da affetto filiale per tutta lasua breve vita, anche quando rientrò a Napoli insieme ai suoi, nell’ottobre 1869.Fu Vice Presidente dell’Associazione giovanile intitolata a S. Alfonso Mariade’Liguori, fondata nel settembre del 1871, sotto la presidenza del suo amicofraterno Nazario Sanfelice, duca di Bagnoli, il quale sposò tre anni dopo suasorella Marianna.Purtroppo, il 7 febbraio 1872 a causa di una inesorabile malattia, Riccardo spi-rò non ancora ventenne. La cerimonia funebre ebbe luogo nella chiesa di S.Ferdinando, ad essa parteciparono gli associati di Sant’Alfonso al completo,quelli della gioventù cattolica ed oltre 400 amici. Il feretro fu tumulato nellachiesa di S. Maria della Rotonda. Grande fu il cordoglio generale, e per l’occa-sione fu composto un libretto aureo ad opera di Felice Retez, che riportava lenumerose necrologie pronunciate per suo conto, unitamente ai commenti deigiornali dell’epoca ed a varie poesie commemorative.Di lui scrissero il duca di Bagnoli Nazario Sanfelice, Giovanni Pignatelli, Gio-vanni Caracciolo Pinelli, il Canonico Don Gaetano Sanfelice, il duca diCastellaneta, Francesco de Mari, Ferdinando de Vargas, il sacerdote SalvatoreTalamo, Cesare Palomba, Giulio Ferrari e Felice Retez, che fu anche promoto-re dell’iniziativa.Fra i giornali si annoverarono: «Il Contemporaneo», «La Libertà Cattolica»,«Il Trovatore», «Il Vero Messaggero», «Il Conciliatore» di Napoli, «Il Conser-vatore» di Firenze. Per lui scrissero poesie, il nonno materno Giuseppe de’

99 CANDIDA GONZAGA, op. cit., p. 215.100 DELLA MONICA, op. cit., p. 332.

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L’aristocrazia napoletana tra Capitanata e Valle d’Itria: i duchi di Sangro

Medici d’Ottajano, Ercole Caporale, Giuseppe Piccolo, Nicola Pandolfo, Feli-ce e Francesco Retez e, da Parigi, il suo maestro l’Abate Eugenio Fabre.Nella chiesa di San Basilio il padre fece erigere in sua memoria un monumentofunebre.[…]”.

Il secondogenito di Riccardo ed Argentina Caracciolo, Placido, ereditò dallamadre il titolo di 16° duca di Martina,101 sposò nel 1851 Maria Cunegonda Caracciolodi Santa Teodora ed ebbe un solo figlio, Riccardo, morto suicida a Parigi per amore.Placido fu un grandissimo collezionista di ceramiche e di opere d’arte che, dopo lasua morte, donò al nipote omonimo.

Degli altri due figli maschi minori di Nicola ed Isabella ricordiamo Placido,conte dei Marsi.

Questi si adoperò affinché fosse allestito il museo in cui esporre la collezionedi ceramiche raccolta dallo zio.102 Dopo la sua morte, il compito di continuare l’al-lestimento del museo fu affidato dalla vedova contessa Maria Spinelli dei principi diScalea al duca Carlo Giovene di Girasole.

Placido, morto senza prole, volle dare seguito al desiderio del giovane cuginoRiccardo, il quale, prima di morire, in una lettera indirizzata al padre, scrisse chetutta la collezione a lui destinata fosse donata alla città di Napoli.

Placido, erede di tale collezione, allestì il museo lasciando l’usufrutto dellaraccolta alla moglie. Dopo la morte del consorte, la contessa fece trasferire la colle-zione dal Palazzo Spinelli, dove era stata sistemata, alla nuova sede del museo pres-so la villa Floridiana. La Spinelli volle assumersi anche l’onere di provvedere allespese di trasporto e, dopo la sua morte dispose nelle sue volontà testamentarie chequanto non fosse ancora stato trasferito nella Floridiana fosse spostato con unasomma di danaro da lei destinata per ultimare l’operazione; alla raccolta de’ Sangroaggiunse un suo personale ed importante legato di maioliche ispano - moresche e diCastelli.103

Giuseppe, fratello di Placido, fu conte di Brienza ma non poté mai fregiarsidel titolo principale di duca di Sangro essendo premorto al padre. Il 18 febbraio1888, sposò a Napoli Maria Guevara Suardo dei duchi di Bovino, Castell’Airola e

101 CANDIDA GONZAGA, op. cit., vol. V, p. 10. Placido de’ Sangro fu decorato del titolo di duca di MartinaFranca il 20/05/1850, tale titolo, refutato dal fratello Nicola, gli fu trasmesso con i beni della casa Caracciolodi Martina per volere della madre. Alla sua morte il titolo di duca di Martina passò al fratello Nicola IV ducadi Sangro, mentre il secondogenito di Nicola, Placido, con testamento del gennaio 1891 fu nominato eredeuniversale dei suoi beni. Cfr. L. PORTOLANO, Conduzione del patrimonio dei de’ Sangro..., cit., p. 114.

102 CAMPANILE, op. cit., p. 1/f, dattiloscritto inedito; e ibid., Successioni, bb. 9/5 anno 1849 e 9/6 anno 1858.Cfr. SPRETI, op. cit., vol. VI, p. 92. Alla morte di Placido avvenuta nel 1911, i beni passarono ai figli di Giusep-pe, suo defunto fratello: Riccardo, Giovanni Battista e Nicola. L’intera proprietà ereditata dai minori de’Sangro fu curata e seguita per i primi quindici anni del 1900 dal Cavalier Giulio Lecca Ducagini, secondomarito di Maria Guevara Suardo, vedova di Giuseppe de’ Sangro. Cfr. PORTOLANO, op. cit. p. 114.

103 AA.VV., Il Museo Duca di Martina, Napoli, Guide Artistiche Electa, 1994, pp. 19 e 20.

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Lucia Lopriore

Savignano, dal matrimonio nacquero cinque figli, il maggiore, Riccardo, fu decora-to del titolo di diciottesimo conte di Buccino titolo che, in seguito, fu trasmessocon Decreto Luogotenenziale del 15 giugno 1919 e con le Lettere Patenti Luogote-nenziali del 28 dicembre 1919 al fratello minore Giovanni Battista.

Riccardo, V duca di Sangro e 18° duca di Martina, il 10 settembre 1919 sposòa Stresa Oliva Vivina Lanza dei conti di Mazzarino e nobili di Trabia. Dalla lorounione nacque Giuseppe, perito in un incidente automobilistico il 14 luglio 1958.

Dopo pochi anni dalla nascita di Giuseppe, i due coniugi si separarono; illoro matrimonio fu sciolto con sentenza della Corte d’Appello di Torino del 18-22ottobre 1926.

Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, Riccardo intraprese lacarriere militare. Fu Cavaliere di Onore e Devozione del Sovrano OrdineGerosolimitano di Malta, ricevuto il 28 luglio 1922 con Decreto n. 3996 proc. n.2498; fu Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e fu Aiutante inCampo di Sua Altezza Reale il principe ereditario, Umberto II di Savoia.

Durante il secondo conflitto mondiale, Don Riccardo diede alloggio nellasua villa di Ravello alle LL. MM. re Vittorio Emanuele III e alla regina Elena.104

Nel dopoguerra contribuì alla ricostruzione del patrimonio artistico delMuseo Filangieri danneggiato dalla guerra, insieme ad alcuni membri dell’aristo-crazia e della borghesia napoletana, tra cui la nipote Maruska Monticelli Obizzi diSangro, figlia della sorella Isabella.105

Nel 1978 Riccardo, seguendo l’esempio dello zio, donò al Museo Duca diMartina di Napoli la restante collezione di ceramiche ed altri oggetti in suo posses-so, appartenuti in massima parte a Don Placido de’ Sangro, duca di Martina, inte-grando, così, la pregevole e cospicua collezione dell’antenato.

Oggi la linea maschile dei duchi di Sangro è estinta. Prosegue in quella fem-minile che è rappresentata attualmente dai pronipoti di Riccardo, i nobili Notar-bartolo e Monticelli Obizzi.

104 CAMPANILE, op. cit., p. 1/f.105 Dopo il decesso dello zio, il patrimonio de’ Sangro fu ereditato dai Monticelli Obizzi insieme ai cugini

Carla e Blasco Notarbartolo. Questi hanno donato l’archivio di famiglia alla città di Martina Franca negli anni’90 del 1900. La notizia è stata cortesemente fornita dalla signora Carla Notarbartolo di Villarosa.

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APPENDICE

- Gli affreschi di Palazzo de’ Sangro: ipotesi di lettura,di Colomba Masotti

- Pittori di casa de’ Sangro attivi a Napoli nei Secoli XVII, XVIII e XIX,di Lucia Lopriore

- Genealogia della famiglia de’ Sangro,di Lucia Lopriore

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Lucia Lopriore

Gli affreschi di Palazzo de’ Sangro: ipotesi di letturadi Colomba Masotti

Gli affreschi oggetto del nostro studio si trovano sul soffitto di due camere,site, al primo piano del palazzo dei de’ Sangro marchesi di San Lucido a Napoli.

Edificato nel 1506 dal duca di Vietri, il palazzo fu acquistato dalla famigliade’ Sangro che lo possedette fino ai primi anni del 1900. Passò, quindi, ad altriproprietari, che nei decenni successivi provvidero a parcellizzarlo in vari apparta-menti, in seguito venduti a terzi. Ne consegue che nell’ultimo mezzo secolo lo sta-bile ha subito dei rifacimenti di cui è impossibile rilevare la consistenza. Perché,non essendo il palazzo sottoposto a vincoli da parte della Soprintendenza, non si èmai provveduto a produrre una documentazione attestante le manomissioni avve-nute e, tanto meno, a redigere una descrizione dello stato dell’immobile precedenteagli interventi. Il che, per quanto riguarda il nostro studio, significa essere statiprivati di dati essenziali circa la datazione e il contesto culturale dei due affreschi dicui uno è completamente anonimo mentre il secondo porta una firma e una data:“Guardascione 1931”.

È da aggiungere che solo fortuitamente, durante una fase di ristrutturazionedegli ambienti, e grazie alla cortesia dei proprietari si è avuto momentaneamenteaccesso ai due affreschi. Si è così provveduto a fotografarli, ma in modo amatorialenon certo da professionisti. L’analisi, quindi, è stata svolta su queste foto che, perquanto nel complesso ben riuscite, non possono certo sostituire la visione diretta.Ne consegue che la lettura iconografica e iconologica degli affreschi, volta a perve-nire ad un chiarimento circa i soggetti rappresentati e i contesti culturali ed artisticiche a loro volta potrebbero giustificarli, è stata privata di dati essenziali (ad esempionon è stato possibile condurre alcuna riflessione sul colore) per essere di per séesauriente. Il che non toglie che non possa fornire delle risposte fondate.

In effetti, la prima domanda a cui una lettura deve dare una risposta è checosa l’opera, presa in esame, rappresenti.

Considerando l’affresco non firmato del palazzo dei de’ Sangro esso raffigu-ra un ameno paesaggio costituito da un lago o da un ampio alveolo fluviale incasto-nato tra alture, maestose all’orizzonte ma che degradano in popolose spiagge. Inprimo piano, lo specchio d’acqua si restringe in un corso dalle rive in parte scoscesema anche pianeggianti e persino sabbiose.

Quindi un contesto paesaggistico piuttosto variegato, fatto, questo, che in-duce a ritenerlo più confacente ad uno scenario teatrale che riferimento puntuale ad

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Appendice

un sito geografico o anche culturale di una certa pregnanza ideale se non ideologica.Ma scenario di che?Di un avvenimento di cui sono protagonisti cinque personaggi, inquadrati sul-

la linea orizzontale in medio piano rispetto a tutta la composizione e alla cornice.Chi sono questi cinque personaggi e di cosa sono attori?Il personaggio a destra di chi guarda ci sembra il più facile da individuare;

dalla foggia e dai colori del suo abbigliamento, dal nobile incedere, dal gesto calmoe imperioso (riecheggiante quello della chiamata di Levi del Caravaggio in San Lui-gi dei Francesi), ci sembra infatti plausibile possa trattarsi di Cristo.

Egli sta ordinando qualcosa probabilmente a tre personaggi su una barca, alcentro della raffigurazione, data la direzione della sua mano sollevata.

Di questi, poi, uno a prua della barca fa leva su un remo al chiaro fine discostare l’imbarcazione dalla riva, un secondo personaggio si volta, presumibilmenteverso il Cristo, con un ampio gesto, ridondato da un rosso mantello, e sembra, così,richiamare l’attenzione di un terzo personaggio seduto nella barca che perciò sivolge nella stessa direzione. Sulla riva sinistra un quinto personaggio è rivolto alcielo, in ginocchio con le braccia aperte, in una posa che ricorda tanti eremiti inpreghiera.

Ciò che balza agli occhi è la poca corrispondenza interlocutrice dei perso-naggi dato che la loro gestualità non sempre è accompagnata dall’incrociarsi deglisguardi. Se a ciò si aggiunge le loro dimensioni prospettiche e l’inquadratura che liriprende in medio piano risulta che essi non solo non siano protagonisti rispetto alpaesaggio ma come tutta la raffigurazione sia di difficile lettura. Infatti se di Cristoe degli apostoli si tratta a quale episodio dei Vangeli far risalire la scena? La chiama-ta dei primi discepoli come suggerirebbe il gesto di Cristo e la presenza della barca(Matteo: 4, 18-22; Marco: 1, 16-20; Luca: 5, 1-11 )?

Ma allora cosa c’entra il personaggio sulla riva e come giustificare il suo gestodi per sé già ambiguo dato che potrebbe essere di preghiera ma anche di meraviglia?

Esso non trova corrispondenza nel racconto evangelico citato.Cambiamo prospettiva e partiamo proprio dal personaggio di sinistra e dal

suo gesto. Si tratta di un individuo anziano, calvo e piuttosto tarchiato. Potrebbeessere Pietro, la fisionomia del personaggio corrisponderebbe a quella dell’aposto-lo così come, fin dai primi secoli, è stata caratterizzata nell’arte. Ma nei Vangelil’unico episodio in cui un gesto come quello raffigurato potrebbe essere giustificatoè il riconoscimento del Risorto dopo una pesca miracolosa. Tale riferimento, però,è piuttosto forzato rispetto all’immagine esaminata. È vero c’è Gesù che potrebbeindicare il lato della barca dove gettare le reti e ci sono tre pescatori che sembranoche si sforzino di girare la barca verso il punto indicato ma non c’è la rete piena dipesci, iconografia classica delle pesche evangeliche e, soprattutto, il gesto di ricono-scimento sarebbe più esatto attribuirlo a Giovanni che a Pietro. Ma Giovanni, fuoridai riferimenti alle apparizioni apocalittiche, viene sempre rappresentato giovane equindi non può essere il personaggio dell’affresco e (per lo stesso motivo) neppureil pescatore dal mantello rosso il cui gesto, di aprirlo di scatto, potrebbe suggerire

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Lucia Lopriore

l’intenzione di sottolineare l’intuizione rivelatrice dell’apostolo. Non solo, ma ap-profondendo, è da notare come tre siano le pesche miracolose citate nei Vangeli. Laprima è legata alla chiamata degli apostoli (Luca cap.5; vv.1 – 11). La seconda, unametafora del Giudizio Universale, compare in una parabola (Matteo cap. 13; vv.47– 57). La terza è appunto quella legata all’apparizione di Cristo, di cui sopra, e sipuò leggere nel Vangelo di Giovanni, il più teologo degli evangelisti (cap. 21; vv.1-14).

Dei tre episodi quest’ultimo è certamente il più difficile da rendere in imma-gine perché attesta l’attesa di imminenti venute escatologiche proprie delle primecomunità cristiane. Infatti, parla della misteriosa natura assunta dal Risorto, dellaSua provvidenziale presenza tra i suoi fino alla fine dei tempi, del primato di Pietroe si chiude, infine, con una sibillina profezia circa la diversa sorte di Pietro rispettoa Giovanni, forse un accenno alla diversità nell’unicità della Chiesa.

Si comprende a questo punto come solo una particolare funzione della stan-za o una particolare sensibilità dell’eventuale committente avrebbe potuto giustifi-care la scelta di un tema tanto impegnativo. Ma, allora, qualche eco sarebbe perve-nuta fino a noi a chiarire di poco o di tanto il buio intorno ad un’opera che rimanemisteriosa perché misterioso rispetto ai racconti evangelici resta il personaggio an-ziano sulla riva.

A questo punto, però, si può indicare un’altra possibilità interpretativa.È noto che nella storia dell’arte non è raro che nei dipinti compaiano perso-

naggi in fondo avulsi dalla rappresentazione. È il caso dei committenti spesso testi-moni di sacre conversazioni o di episodi evangelici. Ma è anche il caso di santi, coltinell’atto di riflettere su una pagina del Vangelo che si concretizza in immagine.106

Quindi la nostra rappresentazione potrebbe essere una sorte di dissolvenza visivanel passato da parte del personaggio misterioso, un santo eremita presso il Giordanoo il lago di Genèsaret, i cui occhi della mente vedono, durante una meditazione,Cristo che chiama i primi discepoli.

Se così fosse due sono le possibili spiegazioni; la prima è quella di ritenere ilsanto protagonista della raffigurazione un santo a cui i de’ Sangro fossero partico-larmente devoti. La seconda che la raffigurazione non sia altro che un prodotto digenere e di bottega di indubbia piacevolezza e buona esecuzione priva però di si-gnificati emotivi per i committenti. Allo stato attuale delle conoscenze mi sembrache la seconda ipotesi sia la più plausibile.

Quanto all’esecuzione tecnica essa appare ineccepibile nell’impianto prospet-tico a due fuochi simmetrici sulla linea mediana orizzontale, con direttici incrociatein diagonale verso il centro, in primo piano. Ne risulta la sensazione di essere difronte a un paesaggio molto vasto, vastità ulteriormente ampliata dalle due cornici

106 In tal senso un caso illustre è ad esempio la presenza di San Domenico nell’Annunciazione del BeatoAngelico nel convento di San Marco a Firenze. Ma sulla stessa falsariga sono tutte le apparizioni a santi inmeditazione.

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Appendice

parallele, mistilinee e dorate, che inquadrano la raffigurazione in modo tale che lapiù interna sembra tagliare un orizzonte visivo che si intuisce molto più ampio e laseconda ribadisce il concetto della prima perché quasi “incolla” quello spicchio divastità al soffitto della camera dei de’ Sangro.

A questo punto, per quanto fin qui detto, si potrebbe anche ipotizzare unadatazione dell’affresco il cui limite, ante quam non, è chiaramente l’affresco diCaravaggio in San Luigi dei Francesi e quindi il 1598-1600. Mentre la luminositàdella cromìa e la classicità delle altre figure che vi compaiono lo avvicinano più aidettami dell’Accademia degli Incamminati. In definitiva è probabile che l’affrescorisalga alla prima metà del ‘600, non sembra infatti dalle fotografie un lacerto ridipintoné una sintesi eclettica propria di età più recenti della storia dell’arte.

Naturalmente solo un esame diretto dell’affresco può fornire dati più certi.Il secondo affresco del palazzo dei de’ Sangro è sito su un soffitto sempre del

primo piano e come è stato già detto presenta una data, 1931, e una firma. In unprimo momento la firma è stata letta: “Guardaccione” in seguito la si è letta:“Guardascione” grazie ad un suggerimento della soprintendenza ai beni culturalidi Napoli, confermato da due fonti letterarie: Artisti Napoletani Viventi di EnricoGiannelli107 e Arte e Artisti a Napoli [1800-1943] di Paolo Ricci.108

Entrambe riportano una breve biografia di Ezechiele Guardascione, nato aPozzuoli nel 1875, scomparso nel 1948, pittore di marine partenopee, “d’ingegnovivace e versatile” che lavorava, “con la medesima disinvoltura, a tempera e a olio”109

e che, per il suo lavoro, utilizzò persino come studio un’imbarcazione messagli adisposizione da un suo mecenate, Roberto De Sanna, quest’ultimo era una figuranota a Napoli perché fu anche impresario del teatro San Carlo.

Il Giannelli definisce espressamente Guardascione pittore impressionista. IlRicci, a sua volta, commenta che, intorno al 1910, la produzione del Guardascionedà “un’interpretazione visionaria della vita portuale di una grande città; un temaricorrente nella pittura liberty, specie in quella belga, che il Gardascione rende at-traverso un colore fuligginoso, mentre le forme si impastano in una atmosfera gri-gia, in cui emergono, come fantasmi, sartiame, gru, fumaioli, in un intrigo fitto disegni neri che danno un senso dinamico e inquieto del porto”. Sembra la descrizio-ne in scuro di “Impressione del sole che sorge”110 di Claude Monet manifesto suigeneris dell’Impressionismo.

A questo punto ci pare evidente lo stridore nell’accostare alla pittura libertyuna raffigurazione portuale come quella descritta. La pittura liberty è infatti chiaranella composizione, lineare, mossa, definita nei contorni, preziosa nella cromìa evisionaria si ma perché spesso mitica, leggendaria e fiabesca nei soggetti.

107 Enrico GIANNELLI, Artisti Napoletani viventi, Napoli, Tipografia Melfi & Joele, 1916, p. 275.108 Paolo RICCI, Arte e Artisti a Napoli [1800 – 1943], Napoli, Edizione Banco di Napoli, 1981 p. 111.109 E. GIANNELLI, Artisti Napoletani…., cit.110 P. RICCI, Arte e Artisti…, cit.

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Il secondo affresco del palazzo dei de’ Sangro corrisponde a queste caratteri-stiche.

Guardando di sotto in su sembra di assistere, sul soffitto della stanza, ad unateofania pagana in un ameno boschetto. In realtà, prendendo quale riferimento di-rezionale la porta che introduce nella camera, è chiaro che la scena ha una sua coe-renza di lettura. Il filo conduttore parte dallo sguardo, fuori campo in diagonaleverso l’alto, della figura femminile dai capelli fluenti seminascosta in basso dietroun masso, per innalzarsi nel cielo, tramite due flessuosi alberelli. Qui due figureabbracciate sembrano veleggiare nell’aria insieme a dei putti dando le spalle a unaltro gruppo composto da due figure femminili che semisdraiate sulle nubi volgonolo sguardo in basso, chiudendo così il percorso visivo, in direzione dei parapettimarmorei dei gradini di un tempietto ionico sui quali altri personaggi si intratten-gono conversando.

Si è tentato di dare una spiegazione logica alla scena partendo dal dato difatto che la produzione del Guardascione privilegiasse vedute del golfo di Napoli.Si è infatti pensato ad una rivisitazione delle coste partenopee e campane attraversole antiche leggende ad esse legate. Ma nessuna pista battuta ha permesso il ricono-scimento certo di alcuna delle figure dell’affresco confrontata con le iconografieclassiche della mitologia.111 Si è anche valutata la possibilità che le figure fosserolegate alla famiglia acquirente del palazzo i conti Mangoni di Santo Stefano che,avendolo acquistato agli inizi del ‘900, potevano aver chiesto al Guardascione diaffrescare una sua sala di rappresentanza con riferimenti ai loro possedimenti aviti.Ma sinceramente non è parso plausibile riconoscere nell’ameno paesaggio (da etàdell’oro) raffigurato l’aspro paesaggio montano calabrese di Santo Stefano, così comeviene descritto dal Giustiniani112 . Né in tal senso sono stati possibili ulteriori ri-scontri dati i tempi ristretti della ricerca. Questi e l’impossibilità di accedere diret-tamente al dipinto non consentono alcuna certezza neppure intorno alla datazionedell’opera. Infatti, nonostante la citazione specifica 1931, presente insieme alla fir-

111 A tal proposito sembrava promettente il masso dietro il quale emerge la donna dai capelli fluenti perché dauna delle angolazioni delle istantanee passata allo scanner è parso che questi avesse il profilo del Vesuvio per cuisi è verificato se la donna dietro di esso potesse essere Partenope. Mentre per le figure abbracciate fluttuantinell’aria si è ipotizzato potessero essere la personificazione dei venti del golfo di Napoli. Infine si è ravvisata,nella figura femminile a seno scoperto seduta in alto contro il tempietto, Venere perché affianco, un po’ più inbasso, le siede l’unico putto di cui si distinguono delle ali ed è perciò riconoscibile in Cupido e, ancora, perchésotto Cupido compaiono due colombe, animali sacri alla dea. Le altre figure non essendo chiaramente leggibilinon hanno permesso alcun tentativo di interpretazione. È da dire che al confronto incrociato tra fontiiconografiche, iconologiche e letterarie hanno retto solo le figure di Venere Cupido. Le altre angolazioni delleistantanee infatti non hanno confermato quella suddetta e soprattutto la citazione figurata è troppo succintarispetto al mito di Partenope. Quanto alle figure aeree è da aggiungere che una esse regge uno specchio a cuientrambe si specchiano e che nel loro volo sono accompagnate da putti uno dei quali porta aggrovigliato albraccio un serpente. Ebbene l’iconografia accertata più vicina ad una raffigurazione del genere è quella dellaPrudenza. Cfr. Norma CECCHINI, Dizionario Sinottico di Iconologia, Bologna, Patron 1981, passim.

112 Lorenzo GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Bologna, Forni, 1969, vol.V, p. 345.

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ma su uno dei parapetti marmorei del tempio raffigurato, non si può non riflettereche gli stilemi dell’affresco erano più attuali ancora vent’anni prima, dopo averfuroreggiato a cavallo tra Ottocento e Novecento. Agli inizi degli anni trenta eranoun tantino obsoleti soprattutto se consideriamo il fatto che ci troviamo a Napoli,una capitale culturale.

A questo punto sono possibili tre spiegazioni. La più ardita è che il Guarda-scione fosse stato chiamato a ritoccare un dipinto più antico addirittura rococò,dato il soggetto e gli stucchi e le cornici che lo contornano, secondo una deplorevo-le idea di restauro, ancora in auge nei primi decenni del ‘900, che voleva tout-courtil ripristino visivo dell’opera d’arte. Per tale ragione il pittore avrebbe potuto attin-gere ad un linguaggio artistico nello stesso tempo più consono a soddisfare unarichiesta del genere e più vicino alla sua cultura pittorica di formazione. La secondaè che il Guardascione fosse intervenuto a restaurare una sua opera di qualche de-cennio prima, da qui la perentorietà della firma e la giustificazione della presenza distilemi d’inizio secolo. La terza è che l’opera rispondesse ad una precisa richiestadel committente, semmai anche in riferimento a soggetti analoghi presenti negliambienti vicini alla stanza dell’affresco di cui non ci è pervenuto nulla. In questocaso il Guardascione sarebbe stato scelto per la sua riconosciuta versatilità.

In definitiva, per entrambi i dipinti più oltre a quanto sopra detto non è sem-brato lecito andare, certo in conclusione ci si rende conto che più che trovare dellerisposte si sono, in fondo, formulate ulteriori domande. Ci conforta la convinzioneche ciò non è avulso alla ricerca in senso lato anzi è connaturata ad essa e contribu-isce a renderla legittima proprio quando indica nuovi probabili percorsi d’indagine,nonostante i limiti contingenti dei suoi esiti.

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Pittori di casa de’ Sangro attivi aNapoli nei secoli XVII, XVIII e XIX

di Lucia Lopriore

GIOVANNI MARIA DELLE PIANE(* Genova 1660 + Monticelli d’Ongina 1745)

Figlio di Giovanni Battista, esperto schermidore, fu soprannominato il“Mulinaretto” dall’avo mugnaio. All’età di dieci anni cominciò a frequentare labottega di G. B. Merano dove rimase fino all’età di sedici anni, quando si trasferì aRoma presso G. B. Gaulli detto il “Baciccio”, che lo tenne come un figlio. In questaimportante bottega romana, il Delle Piane, sotto la guida del Galulli si esercitò sulleopere dei grandi maestri: Giulio Romano, Guido Reni, Annibale Carracci ed ilDomenichino, traendone copie apprezzate dai critici dell’epoca. Sempre presso labottega del Galulli si esercitò nella ritrattistica. Si trasferì a Genova nel 1684, unanno dopo la morte di G. B. Carbone, erede della tradizione ritrattistica genovesedella prima metà del XVII secolo.

L’aristocrazia locale riconobbe in lui l’arte e la sensibilità celebrativa del tem-po, capace di adeguarsi alle nuove mode, vestendo le sue figure definite dal Ratticon “drappi maestosi ed eleganti cogliendole in certe nuove e spiritose movenze”.Nel 1695, su invito del conte Morando, compì un primo viaggio a Parma, città doveera stato recentemente attivo il suo maestro G.B. Merano. Trovò committenti sianelle città farnesiane sia a Genova e fra Emilia e Liguria, si spostò da un luogoall’altro eseguendo ritratti ed opere di carattere sacro. Nel 1705 il cardinale G.Alberoni, inviato dal duca Francesco, incaricò l’Artista, che sembra risiedesse inquel momento a Piacenza, di ritrarre il duca di Vendôme, comandante delle truppefranco-spagnole. Nel 1706 l’Artista era ancora a Parma impegnato a ritrarre il ducaFrancesco, la duchessa Dorotea e la principessa Elisabetta Farnese giovinetta.

Due anni dopo a Milano eseguì il ritratto di Elisabetta Cristina di Wolfenbüttel.Successivamente ritornò più volte a Milano. Nel 1709 ritrasse il principe AntonioFarnese e già da quell’anno, fu nominato pittore di corte e si trasferì a Parma dadove, anche in seguito, ritornò a Genova per impegni di lavoro. Il 21 aprile 1745 ilDelle Piane divenne l’artista della duchessa Farnese ricevendo uno stipendio di L.165, compreso vitto ed alloggio. Era ancora titolare di una provvigione nel 1734.Tra il 1714 ed il 1715 ritrasse la principessa Elisabetta in occasione delle nozze conFilippo V di Spagna; dal 1715 risiedeva stabilmente con la famiglia a Piacenza dove

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rimase fino al 1737. Nel 1719 fu invitato a recarsi in Spagna, probabilmente daElisabetta Farnese, che lo considerava suo ritrattista di fiducia, ma il viaggio non fumai intrapreso. Già anziano nel 1737, affrontò una lunga trasferta a Napoli dove sitrattenne alcuni anni alla corte del giovane re Carlo III di Borbone, già duca diParma. Pittore di camera fu impegnato a ritrarre il re Carlo e sua moglie MariaAmalia di Sassonia. Proprio in quegli anni due suoi ritratti femminili furono pre-sentati all’esposizione fiorentina dell’Accademia del disegno. Nel 1741 l’Artista stes-so consigliò come nuovo pittore di corte Clemente Ruta, da lui conosciuto a Parmae nel giugno dello stesso anno lasciò Napoli per Genova. In questa città dipinseancora ritratti per la nobiltà locale ed infine, nel 1744, si ritirò a Monticelli d’Ongina,presso Piacenza, dove morì il 28 giugno 1745.

L’attività artistica del Delle Piane, durata oltre sessant’anni, fu estremamenteintensa. Le prime opere si devono inserire ancora in quel filone tipico della ritrattisticagenovese che dal Carbone risale al Van Dyck. La tecnica usata nella ritrattistica ècondotta con robusta incisività nel volto dei personaggi ritratti e con un’esuberan-za decorativa inserita in una sfarzosa scenografia con minuziosa attenzione per gliattributi di casta del soggetto rappresentato.113

Così, il ritratto di Nicolò di Sangro, custodito presso il Museo FilangieriPrincipe di Satriano di Napoli, dipinto nel periodo in cui l’Artista fu attivo in que-sta città, si inserisce nella ritrattistica del suo tempo con tutte le peculiarità evidenziatenello sfarzo scenografico.

FRANCESCO LIANI(conosciuto anche come “il Liano”)

Pittore di origine parmense si trasferì a Napoli dove fu attivo tra il 1740 ed il1777 al seguito di Carlo III di Borbone. Noto ritrattista di corte, dipinse il ritrattodi Ferdinando IV di Borbone nel 1766 ed uno smarrito ritratto, sempre del sovranoin abiti militari, da cui nel 1772 fu ricavato un arazzo custodito nel Museo diCapodimonte a Napoli. Le qualità dell’Artista però emergono soprattutto da unalunga serie di dipinti di soggetto sacro, finora per lo più sconosciuti o ignorati daglistudiosi, in cui su un fondo di pittura emiliana, si sono innestati elementi di chiaraderivazione napoletana che richiamano le tendenze di artisti quali Domenico Mon-do e Pietro Bardellino. Filtrati attraverso la conoscenza delle opere dipinte dal Mengsa Napoli.

Si tratta di una intera serie della Via Crucis nella cattedrale di Capua, di unaNatività, di una Presentazione al tempio presso il museo di Capodimonte a Na-poli, di tre tele con episodi della nascita di Cristo e un’adorazione dei Magi pres-

113 Berengario BIAGINI, Dizionario Biografico Degli Italiani, Roma, Istituto Enciclopedia Italiana, 1990,vol. XXXVIII, pp. 45, 46 e 47.

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so il palazzo Reale a Napoli e di un’ultima cena nel museo Campano di Capua.Fu ritrattista presso molte famiglie appartenenti alla nobiltà napoletana, tra

queste si annovera quella dei de’ Sangro nella linea dei Marchesi di San Lucido educhi di Sangro.114

SALVATORE POSTIGLIONE(*Napoli 20/12/1861 + ivi 28/11/1906)

Figlio di Luigi apprese dal padre, modesto pittore e decoratore di arredi sa-cri, le elementari nozioni di disegno che gli consentirono di sbarcare il lunario emantenere la numerosa famiglia dopo la morte dei genitori. Si specializzò inritrattistica riuscendo a frequentare poi, l’Istituto di Belle Arti di Napoli, grazieall’aiuto economico dello zio Raffaele, pittore di quadri sacri ed insegnante nel-l’Accademia dal 1861. Allievo di Domenico Morelli al quale rimase legato comesuo seguace nella qualità delle immaginazioni coloristiche, si distinse dal maestroper la personale tendenza ad insistere sul pittoresco realistico e su sgargianti inten-sità cromatiche, come si può evincere dai dipinti dedicati a San Pier Damiani eAdelaide di Susa, ma soprattutto nei vivaci ritratti dello scultore Stanislao Lista,nell’Istituto napoletano di Belle Arti e quello più solenne e vistoso del duca diMartina, nel Museo della Floridiana a Napoli.

Nella produzione dell’Artista che spazia dal paesaggio al quadro di “gene-re”, alle caratteristiche tele di soggetto monastico più legate alle tendenze del tem-po, qualche interesse rivestono quella dell’Immacolata Concezione per il Duomodi Nola, gli affreschi nel castello di Miramare e, a Napoli, le decorazioni eseguitenel palazzo de Riseis.115 Nel 1902 fu nominato insegnante di pittura Modena, dalui venne istradato all’arte il fratello Luca, valente pittore di “genere” e di ritratti.L’Artista si spense prematuramente nella sua città dopo una intensa attività arti-stica.116

EZECHIELE GUARDASCIONE (*Pozzuoli 2/09/1875 + 1948)

Cominciò a muovere i primi passi del mondo dell’Arte presso l’Istituto diBelle Arti di Napoli, sotto la direzione del Palizzi. I soggetti da lui preferiti furonole marine del porto di Napoli e Pozzuoli nelle ore misteriose e silenti. Fu unimpressionista d’ingegno vivace e versatile, lavorò con la stessa disinvoltura a tem-

114 AA.VV., Dizionario Enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, Torino, Giulio Bolaffi Edito-re, 1974, vol. VI, pp. 418 e 419.

115Ibid., vol. IX, pp. 192 e 193.116 AA.VV., Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, Istituto Enciclopedico Italiano,1949, vol. XXVIII, p. 98.

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pera ed a olio. Per quanto fosse stata vasta la sua produzione artistica non preseparte a molte esposizioni. Dimorò a Pozzuoli ed a Napoli.

Nel 1910 ebbe uno studio natante: una zattera messa a sua disposizione da ungrande industriale del carbone, Roberto De Sanna, che fu per un certo tempo ancheimpresario del teatro S. Carlo, un vero e proprio self-made man amico ed ispiratoredi Eduardo Scarfoglio.

“Quando Roberto De Sanna vide alcune macchie – racconta il Guardascionein Napoli pittorica – mi domandò se conoscevo il latro del porto dover si attraccavanoi grandi vapori del carbone. Andate mi disse, telefonerò al capo guardiano che simettea a vostra disposizione. Così ebbi una vecchia zattera sulla quale era statacostruita una specie di baracca che venne imbiancata al mio arrivo”.

Le opere del Guardascione dipinte in quel tempo costituirono un’interpreta-zione visionaria della vita portuale di una grande città; un tema ricorrente nellapittura liberty specie in quella belga, che Guardascione rese attraverso un colorefuligginoso, mentre le forme si impastavano in un’atmosfera grigia, in cui emerge-vano, come fantasmi, sartiame, gru, fumaioli, in un intrigo fitto di segni neri chedavano un senso dinamico ed inquieto del porto.117

Si ricordano di lui alcune opere presentate alle Mostre della PromotriceSalvator Rosa, che hanno avuto un ottimo successo. Nel 1897 espose il dipintoVerso Sera, nel 1904 Paranzelle (in b/n), fu acquistato dalla Società e fu destinato alMinistero dell’Agricoltura, Industria e Commercio; Barche a sera e Marina diPozzuoli; nel 1911, Nel Porto, Sera, premiato con medaglia d’oro piccolo conio delR. Istituto d’Incoraggiamento di Napoli ed acquistato dall’ing. Comm. AchilleMinozzi, il Pino, Barche, fu offerto gentilmente dall’autore alla Società, e fu desti-nato alla Banca Generale della penisola sorrentina. Nel 1898 a Torino prese parteall’Esposizione Nazionale, Cinquantesimo anniversario della proclamazione delloStatuto con il dipinto dal titolo: Nel Pantano.118

117 RICCI, op. cit., p. 111 e segg.118 GIANNELLI, op. cit., p. 275.

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Napoli - Museo Civico “Gaetano Filangieri Principe di Satriano”. G. M. Delle Piane, 1741- Ritratto di Nicolò de’ Sangro (autorizzazione prot. n. 03-01-05 del 11-01-05).

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Napoli - Museo Civico “Gaetano Filangieri Principe di Satriano”. Francesco Liani (attribuitoa) - Ritratto di Domenico de’ Sangro (autorizzazione prot. n. 03-01-05 del 11-01-05).

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Napoli - Museo Duca di Martina Salvatore Postiglione - Ritratto di Placido de’ Sangro(autorizzazione prot. n. 5258 del 16-09-02).

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Ritratto di Riccardo de’ Sangro ultimo (Collezione Privata Davide Shamà).

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Genealogia della famiglia de’ Sangro 119

di Lucia Lopriore

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119 ASNA – Sez. Diplomatica-Politica, Archivio Privato Serra di Gerace, vol. III, cc. 1187r, 1200r, 1204r. Linea diappartenenza incerta fino ad Oderisio. Cfr. http://www.sardimpex.com. Poiché nel corso della presente ricerca sono stateriscontrate dicotomie tra le diverse fonti consultate e citate in questo saggio, si è pensato di riportare comunque in questagenealogia tutti i personaggi menzionati in modo da evidenziarne le discrepanze.

120 Filiberto CAMPANILE, L’historia dell’illustrissima famiglia de’ Sangro scritta dal signor Filiberto Campanile,Napoli, nella stamperia di Tarquinio Longo, 1615, passim. Signore de’Marsi, fu detto “il Francese”. Di dubbiaappartenenza alla famiglia.

121 Ibid., conte de’ Marsi, nel 960 riceve dall’Abate Aligerno l’Istrumento di concessione del Monastero di S.Maria di Leuca.

122 Ibid., nel 1093 fu conte de’ Marsi e conte di Sangro, secondo Davide Shamà risulterebbe figlio di un conteOderisio non ben individuato; apparteneva ad un’illustre e potente casata e professava la legge longobarda.

123 Ibid., fu signore di Belmonte, di Castiglione e d’Acquaviva. Secondo Davide Shamà la parentela è incerta, fuconte di Sangro e de’ Marsi, in un atto del 1098 cedeva tutti i beni allodiali presenti a Monte Aze (Montazzolo) almonastero di San Benedetto Frattura.

124 Nato nel 1040 secondo Davide Shamà la parentela è incerta, in quanto è menzionata solo dal Serra ed ignoratada altre fonti, i suoi figli sono attribuiti al fratello presunto Berardo I.

125 Cardinale., nomina incerta.126 Ibid., conte di Sangro nel 1069.127 Ibid., fu nominato conte forse de’Marsi nel 1154 da Guglielmo II Re di Sicilia, partecipò alla congiura contro

Maione Ammiraglio del Regno di Sicilia nel 1153 ma ottenne il perdono; con Roberto conte di Caserta e Boemondoconte di Monopoli, fu Giudice nella causa riguardante Riccardo di Mandra conte del Molise. Morì nella prima metàdel regno di Guglielmo II di Sicilia.

128 Ibid., conte di Sangro.129 Ibid., secondo Davide Shamà da questo personaggio segue la successione genealogica sicura della famiglia.130 Ibid., morto nel 1273.131 Ibid., morto prima del 1269, sposa Stefania d’Anglone, risposata a Tommaso d’Aquino dei conti di Acerra e

madre di Beatrice d’Aquino moglie di Odorisio de’ Sangro signore di Belmonte.132 Ibid., signore di Joranello e Specchia, nel 1269 il Re di Sicilia gli proibiva di molestare il dominio dei nipoti

Gualtieri, Gemma e Tommaso sui loro feudi. Secondo l’Ammirato ebbe una figlia di nome Teodora, che sposò nel1278 Gentile di Pettorano, ma la sua esistenza è incerta.

133 Ibid., signore di Belmonte.134 Ibid., sposa Matteo Acquaviva signore di Canzano.

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135 Ibid., morta dopo il 1308, sposa Cristoforo d’Aquino 1° conte d’Ascoli.136 Ibid., secondo il Litta: Anna, di Gualtieri Acquaviva signore di Canzano. Cfr. http://www.sardimepx.com.137 Ibid., forse identico ad uno dei personaggio citati dall’Ammirato nel 1338 ed uno degli stipulanti il

contratto del 2 ottobre 1347 in cui si acquisiva 1/6 del castello di San Giorgio (insieme con Gentile, probabilefratello, e forse ai cugini Ugo, Giovanni e Niccolò).

138 Ibid., menzionato per errore come cardinale, probabilmente è uno dei personaggi menzionati dall’Am-mirato in data 1338 ed uno degli stipulanti il contratto del 1347.

139 Ibid., sposa Amelio di Corbano dei signori di Dragonara.140 Ibid., di Rinaldo, conte d’Aversa.141 Ibid. ,familiare di Re Roberto, morto nel 1346.142 Ibid., vescovo forse di Valenza dal 1343.143 Ibid., sposa Francesco Acquaviva, signore di Castrelvecchio.144 Ibid., sposa Giovanni di Saliaco, signore di Castelfusco.145 Ibid., fu signore di Rotella, Torremaggiore e Bugnara.146 Ibid., morto strangolato a Genova nel dicembre 1386, Protonotario Apostolico, eletto cardinale diacono

con il titolo di San Adriano al Foro il 18/09/1378, Legato a Napoli nel 1381, incorona la Regina Margherita diDurazzo nel Duomo della città il 25/11/1381. Risulta essere uno degli autori della congiura che doveva assas-sinare il Papa Urbano VI. Scoperto ed arrestato l’11/01/1385 assieme ai cardinali Adam Easton, LudovicoDonato, Bartolomeo Coturno e Marino Giudice, fu imprigionato il giorno seguente nel castello di NoceraUmbra, fu trasferito successivamente con la corte papale a Genova e fu imprigionato fino al momento dellacondanna a morte. Il suo corpo fu gettato in mare.

147 Ibid., monaca nel monastero di Santa Chiara a Sulmona.148 Iibdem, già sposata, si fece monaca nel monastero di Santa Chiara a Sulmona nel 1355.149 Ibid., signore di Bugnara e conte di Agnone nel 1410.150 Ibid., Signore di Bugnara, cavaliere di re Ladislao I. Cfr. http://www.sardimpex.com.151 Ibid., signore di Bugnara, castellano di Castel Sant’Angelo a Roma, morto nel 1405.152 Ibid., sposa Aldobrandino Conti, signore di Segni, Valmonte, Sacco, Fulminara, Gavignano, Montelanico,

Pruni, Montelungo, Lugnano, Zancati, Carpineto, Gorga, Villamagna, Pisterzo, Prossedi, Patrica, Roccasecca,Giuglianello e Tiberia; morta dopo il 1425.

153 Ibid., morto nel XV sec. fu al servizio di Carlo III d’Angiò e da questi fu investito dei feudi di Serracapriola,Torremaggiore, Fossacieca e Rotello nel 1383.

154 Ibid., capostipite dei principi di Fondi e marchesi di San Lucido.155 Ibid., signore di Bugnara.156 Ibid., abate di San Clemente.157 Ibid., di Torto Signore di Bugnara e di Giovannella Pappacoda.158 Ibid., Barone di Bugnara, sposa Antonella Lalle Camponeschi dei conti di Montorio.159 Ibid., morto nel 1480, Consignore di Bugnara.160 Ibid., capostipite dei duchi di Vietri.161 Ibid., capostipite dei duchi di Casacalenda.162 Ibid., sposa Polissena Caracciolo.163 Ibid., Cavaliere dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme dal 1477.164 Ibid., Consignore di Bugnara, sposa Camilla di Durazzo, di Rinaldo pr. Di Capua e di Lisiola Castaldo.165 Ibid., Consignore di Bugnara, cavaliere dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme dal 1519.166 Ibid., morto il 31/03/1552 Barone di Bugnara e Patrizio Napolitano, nel 1536 acquisisce parti della

baronia di Bugnara che in maggior parte apparteneva ai Colonna di Paliano.167 Ibid., morta nel 1518 sposa 1° Francesco Pastore; 2° Francesco Pandone, Patrizio Napolitano.168 Ibid., Luigia secondo Davide Shamà . Cfr. http://www.sardimpex.com .169 Ibid., Barone di Bugnara e Patrizio Napolitano morto il 20/04/1570, sposa Beatrice Carafa.170 Ibid., Barone di Bugnara e Patrizio Napolitano morto il 21/12/1572, sposa Isabella Brancaccio.171 Ibid., Patrizio Napolitano.172 Ibid., morta nel 1573, baronessa di Casignano.173 Ibid., morto il 05/09/1575, Barone di Casignano e Patrizio Napolitano.174 Ibid., morto il 02/03/1607, Patrizio Napolitano.

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Lucia Lopriore

175 Ibid., sposa Luigi della Marra.176 Ibid., sposa 1° Giovan Camillo Saraceno; 2° Fabio Sifola; 3° Fabrizio Dentice.177 Ibid., Barone di Casignano e Toritto , titoli ceduti ai discendenti e Patrizio Napolitano, m. 29/06/1623.178 Ibid., morta il 15/03/1612, erede del marchesato di S. Lucido, di Giovanni Battista, 2° conte di Serino e

Giovanna Carafa, marchesa di S. Lucido; la sorella Isabella sposerà in seconde nozze Giovan Francesco de’Sangro, 2° principe di S. Severo, di Paolo e Geronima Caracciolo.

179 Ibid. e http://www.sardimpex.com nato nel 1590 morto il 05/07/1666 marchese di S. Lucido, PatrizioNapolitano; sp. il 20/06/1619 Alivina Frangipane della Tolfa di Orazio conte di Serino e Diana della Tolfa delconti di San Valentino, vedova di Giovanni Milano d’Aragona, morta il 23/07/1664.

180 Ibid., nato il 17/06/1597 e morto il 26/08/1669, principe di Viggiano.181 Ibid., nata il 09/10/1598, monaca “suor Maria” nel Monastero della SS. Trinità dal 1615.182 Ibid., nata il 02/12/1599, entrò nel Monastero della SS. Trinità nel 1615, con il nome di “suor Beatrice”.183 Ibid., nato il 29/12/1602. Patrizio Napolitano184 Ibid., morta il 29/09/1609.185 Ibid., nata il 03/01/1629, monaca con il nome di M. Cecilia dal 1647.186 BNNA – Sez. Manoscritti e rari, ms. XVIII.46, c. 133r. Notizie… cit., e http://www.sardimpex.com capostipite

dei principi di Fondi , 2° marchese di San Lucido dal 1666, barone di Casoria, Casignano ed Olivola che riacquistòpoco prima del 1672, sposò il 13/12/1639 Isabella di Sangro, morì il 25/11/1672.

187 ASNA – Sez. Diplomatica, Archivi Privati, Archivio Privato Serra di Gerace, vol. III, cc. 1200 e 1204 e2066 morto nel 1672. Patrizio Napiolitano, abate. Cfr. http://www.sardimpex.com .

188 Ibid., nato il 10/01/1624, Patrizio Napolitano.189 Ibid., nata il 16/01/1625, diviene monaca nel 1645 entrando nel Monastero di Regina Coeli di Napoli.190 Ibid., nato a Marano il 16/04/1626 morto il 11/05/1699, Patrizio Napolitano; sposa il 18/11/1674 Beatri-

ce d’Afflitto.191 Ibid., Barbara n. il 12/03/1631, Antonio m. 1694 vescovo di Troia, Giovanna n. il 07/09/1634 e m. 21/11/

1673, sposerà il 15 maggio 1650 Giovan Francesco de Sangro, 4°Principe di S. Severo e duca di Torremaggiore.192 Ibid., di Tommaso principe di Scanno e Patrizio Napolitano e Giulia d’Afflitto, n. 24/08/1645 m. 17/10/

1709. Cfr. BNNA – Sez. Manoscritti e rari, ms. n. XVIII . 46, c. 133r. Notizie … cit.193 Ibid., nato il 14/06/1677 m. il 05/11/1764, Partizio Napolitano, sp. il 24/06/1731 Stefania d’Afflitto, dei

principi di Scanno morta il 11/01/1781.194 Ibid., nato il 10/09/1678, morto il 06/05/1750, Tenente Generale dal 12/04/1737 e Cap. Gen. dal 20/11/

1741. Patrizio Napolitano195 Ibid., capostipite dei duchi di Sangro dal 1760. Patrizio Napolitano.196 Ibid., nato il 28/04/1682 m. 29/01/1755. Patrizio Napolitano.197 Ibid., nato il 12/11/1683 morto il 09/11/1687. Patrizio Napolitano.198 Ibid., di Antonio duca di Fragnito Patrizio Napolitano e Maria Maddalena Imperiale, di Domenico,

marchese di Latiano, e Maria Teresa Spinola.199 ASNA, Sez. Diplomatica-Politica, Archivi Privati, Archivio Livio Serra di Gerace, vol. III, c. 1204 e 2066.200 2° duca di Sangro.201 Ibid., 6° duca di Salandra, Patrizio Napolitano; nato a Tricarico (MT) il 09/02/1754 e morto a Palermo il

07/10/1810. In alcune fonti appare solo con il nome di Vincenzo in altre solo con quello di Tommaso, poichénelle genealogie ufficiali quest’ultimo nome non compare, è probabile che si tratti del terzo nome di battesimoampiamente utilizzato dal personaggio.

202 Ibid., di Riccardo di Ettore di Fabrizio, 12° duca di Andria, 4° duca di Castel del Monte, 15°conte diRuvo, marchese di Corato, patrizio Napolitano dal 1764, e di Margherita Pignatelli di Monteleone. Casata:Carafa della Stadera. Cfr. http://www.sardimpex.com

203 Ibid., nata il 09/09/1795, morta il 15/02/1872.204 Ibid., nata e morta nel 1796.205 Ibid., nata a Firenze nel 1798 morta a Napoli il 18/01/1874, Dama di Corte delle Due Sicilie, sposa il 10/

09/1817 Nicola Maresca Donnorso 3° duca di Serracapriola e 1° conte di Tronco. n. San Pietroburgo il 13/08/1790 m. Portici il 17/11/1870.

206 Ibid., nato a Palermo il 10/08/1799 morto a Napoli il 15/01/1805, Patrizio Napolitano.207 Ibid., nata a Palermo il 02/09/1800 morta a Napoli il 10/07/1859, sposa il 3/07/1822 Francesco Carafa,

duca di Forlì, conte di Policastro e Patrizio Napolitano.

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Appendice

208 Ibid., nato a Napoli il 20/07/1803 morto il 05/02/1861, 3° duca di Sangro, Patrizio Napolitano.209 Ibid., nato il 22/05/1805 si ignora la data di morte, Patrizio Napolitano.210 Ibid., nata a Genova nel 1808 morta a Napoli il 22/11/1855, sposa il 16/05/1832 il conte Francesco de la

Tour-en-Voivre.211 Nato il 14/07/1797 morto il 14/02/1883.212 Ibid., di Placido e Francesca del Giudice Caracciolo, 15ª duchessa di Martina Franca, 15ª contessa di

Buccino, nata a San Giorgio a Cremano il 11/10/1805 morta il 30/11/ 1849.213 Ibid., nata a Napoli il 29/12/1825 morta il 16/11/1909, sposa il 07/06/1848 Giuseppe Caracciolo, 4° duca

di Castelluccio.214 Ibid., 4° duca di Sangro, nato a Napoli il 27/08/1827 morto ivi il 14/02/1901, 17° duca di Martina, conte

di Buccino e conte di Brienza dal 1881, Patrizio Napolitano. Cfr. http://www.sardimpex.com215 Ibid., 16° duca di Martina, nato il 29/08/1829 morto nel 1891, sposa il 18/06/1851 Maria C. Caracciolo di

Carlo Luigi duca di Santa Teodora nata il 03/03/1835 m. 08/11/1855, dal matrimonio nascerà Riccardo nato il3/07/1855, morto il 03/04/1881, Patrizio Napolitano.

216 Ibid., nata il 11/07/1831 morta il 24/09/1835.217 Ibid., nata il 07/09/1833 morta il 30/05/1840.218 Ibid., nata il 30/07/1836 morta il 02/10/1874, sposa il 14/02/1855 Luigi Pignatelli della Leonessa princi-

pe di Monteroduni, conte di Tuhegl, barone di Gallo e Patrizio Napolitano; nato a Napoli il 23/03/1836morto ivi il 29/08/1871.

219IIbid., nato morto il 18/08/1838.220 Ibid., nato morto nel 1849.221Ibid., di Giuseppe, 8° Principe di Ottajano e Marianna Gaetani duchessa di Miranda, nata a Napoli il 10/

12/1831, ivi morta il 12/06/1879. Cfr. http://www.sardimpex.com222 Ibid., nato a Napoli il 27/03/1853 morto il 07/02/1872, Patrizio Napolitano.223 Ibid., nata il 10/05/1854 morta il 14/12/1878.224 Ibid., nata a Napoli il 09/06/1856 ivi morta il 11/02/1887, sposa il 24/06/1874 Nazario Sanfelice, 11°

duca di Bagnoli e 3° duca di S. Ciprano, di Fabio e Giustina Monforte, nato a S. Giovanni a Teduccio il 07/11/1854 morto a Napoli il 28/12/1920.

225 Ibid., nata il 01/02/1859 morta il 26/12/1887, sposa il 17/10/1881 Diego Pignatelli d’Angiò di Vincenzoprincipe del S.R.I. e Tommasa Pignatelli, nato il 20/11/1855.

226 Ibid., nato a Parigi il 14/06/1861 morto a San Giorgio a Cremano il 18/09/1897, conte di Buccino, sposail 18/02/1888 Maria Guevara Suardo di G. Battista duca di Bovino e Carolina Filangieri dei principi di Satriano,nata a Napoli il 10/02/1867 morta a Roma il 10/11/1931.

227 Ibid., nata a Parigi il 31/04/1863 morta ivi il 15/01/1880.228 Ibid., nata il 04/10/1864 morta il 23/10/1904, sposa il 06/10/1900 Giulio dei baroni Zezza.229 Ibid., nato il 17/06/1866 morto a Castellammare di Stabia il 15/09/1911, conte dei Marsi, sposa il 10/01/

1894 Maria Spinelli dei principi di Scalea, di Carlo e Felicita Nolli dei baroni di Tollo, nata il 8/08/1867.230 Ibid., nato nel 1868 a Parigi e ivi morto.231 Ibid., nata a Napoli il 21/11/1874 morta il 14/11/1902, sposa il 27/04/1897 Carlo dei baroni Zezza.232 Ibid., nato a Napoli il 04/04/1889 morto a Roma nel 1978, 18° duca di Martina, 18° conte di Buccino e

conte di Brienza dal 1901, Patrizio Napolitano.233 Ibid., nato a Napoli il 10/10/1890 morto il 05/05/1972, barone di Mottola e 20° conte di Buccino, sposa

il 10/07/1919 a Venezia, Lydia Franceschini nata a Vittorio Veneto il 13/01/1897.234 Ibid., nata a Napoli il 23/03/1892 morta a Roma il 29/01/1970; sposa il 20/04/1921 Gian Antonio mar-

chese Monticelli Obizzi, nobile di Crema n. a Milano il 05/10/1890 m. a Roma il 10/01/1965, da cui nasceran-no Obizzo e Maruska.

235 Ibid., nata a Portici il 10/09/1893 morta a Roma il 19/03/1943; sposa in prime nozze il 05/02/1919Michele Avarna dei duchi di Gualtieri Siscaminò, nato a Vienna il 24/10/1888 morto a Nizza il 28/02/1919,dal matrimonio nascerà Michela. Carolina sposerà in seconde nozze il 28/12/1922 Giovanni dei conti Naselli,nato a New York il 06/12/1896 morto a Città del Messico il 16/04/1972; dal matrimonio nascerà Maria Ameliache sposerà Fabrizio Notarbartolo dei duchi di Villarosa da cui nasceranno Carla e Blasco. Le notizie sugliultimi matrimoni sono state cortesemente fornite dalla signora Carla Notarbartolo di Villarosa.

236 Ibid., nato a Napoli il 04/01/1897 morto a Roma il 04/08/1972 sposa il 13/10/1932 a Parigi, Angelica deGainza nata a Buenos Aires il 19/12/1904 morta a Roma il 03/01/1953. Cfr. http://www.sardimpex.com.

237 Ibid., di Giovanni conte di Mazzarino e Luisa Ruffo dei duchi di Bagnara, nata a Palermo il 03/02/1893morta a Roma il 07/03/1970. Cfr. http://www.sardimpex.com .

238Ibid., nato il 03/02/1921, morto il 14/07/1958, Patrizio Napolitano.

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Lucia Lopriore

FONTI DOCUMENTARIE

ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI:Sez. Diplomatica – Politica:- Archivi Privati: Archivio Serra di Gerace.- Repertorio dei Quinternioni Feudali.- Refute dei Quinternioni.- Significatorie dei Relevi.- Cedolari dei Feudi: San Lucido.

ARCHIVIO PRIVATO DELLA COMMISSIONE ARALDICA NAPOLETANA:- Platea delle Famiglie nuovamente ascritte al Libro d’Oro.- Libro d’Oro altri Registri di Nobiltà ed Ordini Cavallereschi.- Platea delle Famiglie Patrizie Napolitane.

ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO:- Archivio della Consulta Araldica – Presidenza del Consiglio dei Ministri.

ARCHIVIO STORICO DIOCESI DI ASCOLI S. – CERIGNOLA:- Reali Siti: Voll. IV e V.

ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA:- Dogana delle pecore di Puglia, s. I. – Amministrazione del Tavoliere s. II.

BIBLIOTECA COMUNALE DI MARTINA FRANCA:

ARCHIVIO PRIVATO CARACCIOLO – DE’ SANGRO:- Buccino Generale.- Successioni.- Filiberto CAMPANILE, Storia della Famiglia de’ Sangro, dattiloscritto inedito.

BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI:Sez. Manoscritti e Rari:- mss. nn. XA . 40 – XA . 41 – XA . 42 – XA . 45 – XIV F 32 – XVII 25 – XVIII . 46.

ABBREVIAZIONI

ASNA: Archivio di Stato di Napoli.ASFG: Archivio di Stato di Foggia.ASDA: Archivio Storico della Diocesi Ascoli S. – Cerignola.BCMF: Biblioteca Comunale di Martina Franca.BNNA: Biblioteca Nazionale di Napoli.

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Appendice

r. : rectov. : versob. : bustafasc.: fascicolof.: foglioc./cc.: carta/evol.: volumevoll.: volumipag. : paginapp.: pagineduc.: ducato/ims./mss.: manoscritto/is.: serien./nn.: numero/isegg.: seguentiop. cit.: opera citatadoc. cit.: documento citato

La pubblicazione della foto del duca di Martina è stata autorizzata dal Ministero per i Beni ele Attività Culturali e dalla Soprintendenza Speciale per il Polo Museale di Napoli.La pubblicazione delle foto dei duchi di Sangro è stata autorizzata dal Museo Civico “GaetanoFilangieri Principe di Satriano” di Napoli.È tassativamente vietata ogni ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.