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TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE 06081 ASSISI ITALIE ISSN 0391 108X periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi $# Europa sociale: Luci e ombre di uno sviluppo sostenibile Teologia: La fede di Gesù e la nostra fede in Gesù Volti dell’universo femminile Il dialogo tra economia e etica NUMERO 9 Energia: L’anomalia italiana E non se ne vogliono andare Iran: Non è ancora tempo di atomica Giustizia: Il fantasma della pena di morte 1 maggio 2006 e 2,00 ANNO l’alternativa all’«ora di niente»

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TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X

periodico quindicinalePoste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)art. 1, comma 2, DCB Perugia

Rivistadella

Pro Civitate ChristianaAssisi��

Europa sociale: Luci e ombre di uno sviluppo sostenibile

Teologia: La fede di Gesù e la nostra fede in GesùVolti dell’universo femminile Il dialogo tra economia e etica

NUMERO

9 Energia: L’anomalia italiana E non se ne vogliono andareIran: Non è ancora tempo di atomica

Giustizia: Il fantasma della pena di morte

1 maggio 2006

e 2,00

ANNO

l’alternativaall’«ora di niente»

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4 Ci scrivono i lettori

6 Anna PortoghesePrimi Piani Attualità

10 Valentina BalitNotizie dalla scienza

11 VignetteIl meglio della quindicina

13 Raniero La ValleResistenza e paceDivisa, ma come?

14 Maurizio SalviIranDi atomica non è ancora tempo

17 Romolo MenighettiOltre la cronacaEconomia amara

18 Filippo GentiloniPolitica italianaE non se ne vogliono andare

20 Fiorella FarinelliReligioni a scuolaL’alternativa all’«ora di niente»

23 Oliviero MottaTerre di vetroSentiamoci presto

24 Giancarlo FerreroLa giustizia in ItaliaIl fantasma della pena di morte

27 Romolo MenighettiParole chiaveConsociativismo

30 Pietro GrecoEnergiaL’anomalia italiana

33 Maurizio Di GiacomoEuropa socialeLuci e ombre di uno sviluppo sostenibile

36 Giannino PianaEtica politica economiaIl dialogo tra economia e etica

39 Vincenzo AndraousSbarre e dintorniPer tutti i bambini innocenti

40 Rosella De LeonibusCose da grandiaaa.appoggio cercasi

43 Stefano CazzatoLezione spezzataUna carriera… spezzata

44 Giuseppe MoscatiMaestri del nostro tempoGregor ZiemerCome si crea un nazista

46 Marco GallizioliCulture e religioni raccontateVolti dell’universo femminile

49 Adriana ZarriControcorrenteRinascita

50 Carlo MolariTeologiaLa fede di Gesù e la nostra fede in Gesù

52 Rosanna VirgiliLa voce del dissensoIl re e il profeta

54 Lilia SebastianiIl concreto dello spiritoTempo di Pasqua

57 Giacomo GambettiCinemaVolere è potereIl caimano

58 Roberto CarusiTeatroGrottesca tragedia

58 Renzo SalviRF&TVMostri: nel frastuono dei media

59 Mariano ApaArteI Borromeo

59 Alberto PellegrinoFotografiaMarilyn and friends

60 Michele De LucaMostreSophia Loren

60 Giovanni RuggeriSiti InternetTelefonare gratis

61 Libri

62 Carlo TimioRocca schedePaesi in primo pianoEritrea

63 Nello GiostraFraternità

1 maggio2006

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CI SCRIVONO I LETTORI

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Gli interventiqui pubblicatiesprimonolibere opinionied esperienze dei lettori.La redazionenon si rende garantedella veritàdei fatti riportatiné fa suele tesi sostenute

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quindicinaledella Pro Civitate Christiana

Numero 9 – 1 maggio 2006

Gruppo di redazioneGINO BULLACLAUDIA MAZZETTIANNA PORTOGHESEil gruppo di redazione ècollegialmente responsabiledella direzionee gestione della rivista

Progetto graficoCLAUDIO RONCHETTI

FotografieAndreozzi B., Ansa, Associated Press, Ballarini, Be-rengo Gardin P., Berti, Bulla, Carmagnini, Cantone,Caruso, Cascio, Ciol E., Cleto, Contrasto, D’AchilleG.B., D’Amico, Dal Gal, De Toma, Di Ianni, Felici,Foto Express, Funaro, Garrubba, Giacomelli, Gian-nini G., Giordani, Grieco, Keystone, La Piccirella,Lucas, Luchetti, Martino, Merisio P., Migliorati, Oikou-mene, Pino G., Riccardi, Raffini, Robino, Rocca,Rossi-Mori, Turillazzi, Samaritani, Sansone, SantoPiano, Scafidi, Scarpelloni, Scianna, Zizola F.

Redazione-Amministrazionecasella postale 94 - 06081 ASSISItel. 075.813.641e-mail redazione: [email protected] ufficio abbonamenti: [email protected] - www.cittadella.orghttp://procivitate.assisi.museumTelefax 075.812.855conto corrente postale 15157068Bonifico bancario: Banca Pop. di Spoleto – AssisiCin: T – ccb n. 2250 – Abi 5704 – Cab 38270IBAN: IT59T05704382700 0000 000 2250BIC: BPSPIT3SXXX

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Editore: Pro Civitate ChristianaTutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sonoriservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicatinon si restituiscono

Questo numeroè stato chiuso il 24/04/2006 e spedito daCittà di Castello il 28/04/2006

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Mi congratulocon voi

Mi congratulo con voi, don-ne e uomini di chiesa, chein odio a un bene chiamatoricchezza, che Berlusconiha il torto di possedere, ave-te preferito negare il voto achi avrebbe difeso i valoridella vita e della famiglia perdarlo a chi quei valori nonconsidera e umilia.Mi rammarico della vostramiopia, donne e uomini dichiesa, che non vedete ilpericolo e la minaccia pro-venienti da quel fronte si-nistro al quale, nella vo-stra cecità, avete offertosostegno.Detesto la vostra ipocrisia,donne e uomini di chiesa,che, mentre vi proclamatecredenti e praticanti, vi sie-te fatti sordi agli avverti-menti del Papa.Vi ringraziano, donne e uo-mini di chiesa, VladimirLuxuria e il caporione noglobal Enrico Caruso peraver contribuito ad infolti-re i consensi alla coalizionedel Centro-Sinistra, che nonha esitato a spalancare leporte a simili individui perraccogliere qualche altramisera manciata di voti.Invocate dallo Spirito San-to, donne e uomini di chie-sa, il dono dell’intelletto percomprendere e riconoscere,una volta per tutte, che laricchezza, in sé, non è pec-cato: poiché tale voi la con-siderate e, demonizzandola,istigate all’odio verso di lei,come se essa fosse sempree comunque frutto di diso-nestà, conquista immerita-ta, fortezza rinchiusa nel-l’egoismo del possesso.Nasce principalmente daun tale pregiudizio l’avver-sione a Berlusconi, comeda invidia e rancore per lasconfitta del 2001 nasce laguerra che Prodi e compa-gni gli fanno, incapaci dibattersi in un confrontoleale, impegnati solo inuna opposizione demolitri-ce, accaniti nel fomentareodio e divisione: dunquel’insulto di «delinquenza

politica», lanciato alla par-te avversa, si ritorce pro-prio contro di loro.Rallegratevi perciò, donnee uomini di chiesa, peraver contribuito a conse-gnare l’Italia in mano a talegente. E state certi che, pertutto il tempo in cui costeiriuscirà a conservare loscanno, si adopererà perdistruggere tutto quelloche di buono ha fatto il go-verno precedente.

Luisa SpranziSchio

Famigliadifesa della vitama non solo

Da tanto volevo scrivervi,mi sono decisa leggendo lalettera di un gruppo di cop-pie di Torino sulla difesadella vita (Rocca n. 8, pag.5). Anch’io credo che siaora per la chiesa istituzio-nalizzata gerarchizzata dismetterla di spiare morbo-samente nelle camere daletto e di aprirsi finalmen-te al mondo, quello checomincia appunto fuoridalle stanze stesse.Non c’è niente di evangeli-co nei messaggi che osses-sivamente la chiesa va dif-fondendo. Per trovare qual-cosa che si avvicini all’inse-gnamento di Cristo bisognaguardare a qualche sperdu-ta parrocchia, o a piccolecomunità di base o alla te-ologia della liberazione. Esappiamo che fine ha fattoquest’ultima e che vita gra-ma conducano le altre.Sono assolutamente de-moralizzata.

Raffaella BarozziVerbania Pallanza (Vb)

Resistete, resistete

Sono una vostra abbonatae diffondo, ogni volta cheè possibile, la vostra rivi-sta che ritengo un utilefaro in questo momento

così difficile e complessoper l’Italia e anche per laChiesa. Non vi scrivo peressere pubblicata sulla ru-brica dedicata ai lettori, maper ringraziarvi tanto, tan-to per il lavoro di lucidaanalisi del quotidiano chesvolgete in ogni numero.Ho particolarmente apprez-zato il dossier sui program-mi elettorali dei due schie-ramenti che analizza conchiarezza le posizioni, a di-mostrazione che non tuttisono uguali (degenerantequalunquismo che tuttocorrompe... somiglia tantoalla notte della ragione).Mi ha addolorato partico-larmente in questa campa-gna elettorale la posizionedella Chiesa che ancorauna volta non ha saputo ri-vestire i panni del profeta,ma quelli della madre peruna parte politica e dellamatrigna per l’altra. Mi tro-vo veramente in sintoniacon la lettera del gruppo dicoppie di Torino pubblica-ta nel numero del 15 apri-le: con altri amici impegna-ti nella Chiesa ci domanda-vamo proprio la stessacosa. A volte, certi procla-mi (nonostante per certiaspetti siano teologicamen-te fondati) sembrano deglislogan pubblicitari che nonvanno al fondo della real-tà: il vangelo è portatore diuna complessità di valori e,semplicemente, non misembra che l’attuale liberi-smo economico li difenda.Mi chiedo quale Chiesa lai-ca andrà a Verona, se la ge-rarchia è consapevole diaver operato una fratturanel laicato e nella stessaChiesa, di non aver aiutatola riflessione profonda sul-la dottrina sociale, di nonaverne indicato chiara-mente e in tutta la sua am-piezza la portata. E non misi venga a dire che i massmedia hanno interpretatomale, riferito solo quelloche interessava ad una par-te... Il tam tam (nei movi-menti conservatori, su Ra-dio Maria, e non so in qua-li altri ambiti...) è statoquello di votare per la de-

stra e segnatamente perl’Udc (vedi risultati...). Macome fa un cristiano (chea parole si dice tale ma chein prima persona contrad-dice quei valori di cui siproclama difensore...; sa-rebbe affare della sua co-scienza, se non si procla-masse paladino, a votarecerte leggi dell’ormai (spe-riamo) precedente gover-no, a distruggere e infan-gare le istituzioni, a dele-gittimare la magistratura,a creare un clima di oppor-tunismo, cinismo, volgari-tà e competizione estremanella società italiana (sonoun’insegnante e vedo quo-tidianamente e realistica-mente come sono ridotte lefamiglie, quali sono oggi iloro valori, come i bambi-ni sono gettati sul campodella competizione sin dapiccolissimi e vivono stressenormi per la loro età, par-cheggiati da genitori trop-po distratti da telefonini,televisori al plasma e gran-di fratelli...)? Parole comerispetto, carità, solidarietà,stima, condivisione, aper-tura all’altro... questo laChiesa deve indicare: lascelta degli ultimi, pro-grammaticamente del mar-gine (che bello il titolo «Unebreo marginale» dell’ope-ra di Meyer!). Come diceMoretti ne «Il caimano», aldi là di come andranno leelezioni Berlusconi ha vin-to perché con le sue televi-sioni ci ha cambiato la te-sta! L’opera inversa è par-ticolarmente dura e avràbisogno di un grande di-spiego di forze morali.Smetto qui perché di coseda dire ce ne sono e ce nesaranno molte, visto quellocui ancora, giorno per gior-no, siamo costretti a sop-portare... gli ultimi (spero)

disperati colpi di coda del-l’animale ferito a morte.Ma, vi prego, resistete, re-sistete, resistete perché neimomenti di disperazionecivile e religiosa, mi avetedato la speranza di non es-sere sola e questo, con lamia mail, voglio a mia vol-ta comunicarvi.Grazie e buona Pasqua conil rinnovamento e la spe-ranza che solo il Signore ri-sorto sa donare.

Annarita Pasqualini(a nome anche di tanti

altri amici)[email protected]

Questionedi fiducia

Abbiamo scelto tra dueschieramenti che abbiamopotuto vedere concretamen-te all’opera, uno del perio-do 1996/2001 e l’altro nelquinquennio successivo.Chiunque potrà valutare see in quale misura il com-portamento dei politici deidue schieramenti sia statoconforme ai precetti deldiritto naturale e dellamorale religiosa, quellifondati cioè sul rispettodella persona e sul perse-guimento del bene comu-ne. Il senso di responsabi-lità verso le generazionipresenti e quelle futureimpone una valutazioneche superi stereotipi, abi-tudini e pigrizie mentali.Solo chi, secondo il giudi-zio inappellabile della co-scienza personale, abbiaobiettivamente governatomeglio rispetto all’altropuò meritare fiducia.

Aldo AbenavoliRoma

ERRATA CORRIGEIn riferimento alla pubblicità «Atmosfere musica-li», pag. 6 del n. 8/2006, il numero telefonico ripor-tato è errato e va rettificato come segue:

tel/fax 075 812.288

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Russiala patria

e il Concilioortodosso

Le vicende delle Chiese orto-dosse scorrono spesso in stret-ta relazione con la storia deivari paesi e società nelle qua-li vivono, nonché in relazionea orizzonti di pensiero signi-ficativi. La presa di posizionedel decimo concilio ortodos-so (assemblea di rappresen-tanti ecclesiastici, di fedeli erappresentanti dello Stato),svoltosi dal 3 al 7 aprile nelmonastero di san Danilo aMosca, ha sostenuto forte-mente la difesa della patriarussa: «Esistono valori – hadetto il metropolita Kirill,capo del dipartimento degliesteri – che non sono inferio-ri ai diritti umani, quali lafede, la morale, il sacro, lapatria». La dichiarazione delConcilio, redatta al terminedei lavori, evidenzia in parti-colare il diritto alla vita, l’av-versione per tutto quello cheviene assimilato come «dirit-to alla morte». L’aborto, l’eu-tanasia, il matrimonio omo-sessuale, la bestemmia sonoaltrettante offese alla moraletradizionale.Così, continua il testo «il temadei diritti umani dovrà cessa-re di essere visto nello spiritodel nostro popolo come un’ar-ma politica. È inutile piange-re sulla crescita della xenofo-bia quando apriamo prospet-tive a quelli che calpestano ilsacro, sputano sulla patria, di-struggono la loro cultura», conallusione ai recenti scontri acarattere razziale. Anche laChiesa ortodossa russa sembratemere la visione occidentalee liberale dei diritti e percepi-re (come il presidente VladimirPutin) che i diritti umani, so-stenuti dagli Occidentali, sia-no un parametro per indebiteingerenze. Il documento parlainfatti di «tentativi di utilizza-re tali diritti per promuovereinteressi politici, ideologici,militari, ed economici, per im-porre un certo regime politicoe sociale».

Egittoattacco

alle chiesecopte

Scorre sangue nelle chiese cri-stiane copte d’Egitto, mentresi prepara la Pasqua che quiviene celebrata una settimanadopo quella cattolica. Si sonocontati almeno un morto euna cinquantina di feriti il 14aprile in tre chiese di Alessan-dria prese d’assalto contem-poraneamente da integralistiislamici. Sono circa 10 milio-ni i copti egiziani, ossia i cri-stiani nati in Egitto, paese incui l’Islam è religione di Sta-to. Difficile al momento chia-rire le motivazioni dell’attac-co insensato all’arma bianca.I cristiani egiziani sono orto-dossi, anche se esiste una pic-cola minoranza di cattolici;rappresentano il 15% dellapopolazione egiziana. Esserecristiani qui significa però es-sere discriminati nella vitapubblica, sul lavoro, nellascuola, nell’esercito e nellapolizia. Il Rapporto sulla liber-tà religiosa nel mondo sotto-linea il fatto che in Egitto,anche nelle società privategestite da cristiani «non assu-mere musulmani comportaquasi sicuramente severi con-trolli fiscali».

Scoperteenfasi

sulVangelo di GiudaGrande enfasi mediatica sulVangelo di Giuda, un codice inlingua copta del IV secolo, tra-duzione di uno scritto del IIsecolo. In base ad esso, Giudafu l’unico discepolo al qualeGesù rivelò la sua vera essen-za e il suo tradimento fu unsegno di fedeltà a Gesù stesso.Rispondendo alla domanda sela storia raccontata dai vange-li canonici (Matteo, Marco,Luca e Giovanni) debba esse-re riscritta dopo questa scoper-ta, Eric Noffke, studioso pro-testante di teologia neotesta-mentaria e autore di testi sul-la letteratura apocrifa e le ori-gini del Cristianesimo, così ri-sponde: «Il Vangelo di Giudaè uno scritto gnostico del IIsecolo d. C. che non ci dà in-formazioni rilevanti riguardoalle origini del cristianesimo.Nasce nell’ambito di scuole dipensiero teologico che trasfor-mano personaggi negativi del-la Bibbia, descrivendocelicome gli unici che hanno rice-vuto la vera rivelazione, la qua-le poi corrisponde al pensierofilosofico della scuola stessa.Così, nel Vangelo di Giuda sivedono i discepoli derisi daGesù perché adorano un falsoDio – che nel pensiero gnosti-co coincide con il Dio dell’An-tico Testamento –, mentre Giu-da è l’unico che ha capito esegue il vero Dio. Si tratta chia-ramente di un artificio lettera-rio che non ha nessuna prete-sa storica e che serve a espri-mere e divulgare un pensieroteologico posteriore di oltrecento anni agli eventi narratinei vangeli. Il sensazionalismosi spiega con la molta ignoran-za riguardo alle origini cristia-ne e alla Bibbia stessa. Questofa sì che – anche sull’onda delfenomeno Codice da Vinci –ogni nuova scoperta sembrisensazionale, mentre spesso loè solo perché non si hanno glistrumenti minimi per valuta-re i veri motivi d’interesse».(Nev)

Societàuna grande

vogliadi silenzio

Due notizie molto diverse emolto recenti hanno come co-mune denominatore il silen-zio. Le prime: il film di Grö-ning «Il grande silenzio», qua-si senza parole, girato tra i fraticertosini della Grande Char-treuse, che oltre al pubblico disale raddoppiate ha raccoltoriconoscimenti dai maggiorifestival internazionali. C’è poiun progetto elaborato e postoin atto dall’Università di Lap-ponia (Finlandia) di un «turi-smo silenzioso»: una strategiadi immersione nella natura,che lascia spazio al silenziointeriore. L’atmosfera di bellez-za che avvolge entrambe leesperienze spiega, ma forsesolo in parte, il loro successo.Del film i critici notano l’esal-tazione luminosa dell’aspettopercettivo della grazia, della li-bertà interiore, senza comples-si di colpa o di paura nei mo-naci-attori. Del «Turismo delsilenzio» si è fatta eco in Italiail Centro di ecologia alpina(www.cealp.it), importandonela metodologia, perché in Lap-ponia o tra le Alpi, o anche inzone non raggiunte dalla famae marginali, ci si possa aprireall’esperienza dell’Oltre.

Kuwaitle donne votano per la prima volta

Nell’emirato del Kuwait le donne restano tuttora sotto la tute-la giuridica dei mariti e tuttavia, per la prima volta nella storiadel paese, lo scorso aprile hanno potuto esercitare il diritto siadi votare che di candidarsi alle elezioni amministrative di unacircoscrizione (Salmiya). Tra le candidate, due donne, una in-gegnere e l’altra medico, entrambe appartenenti alla minoran-za sciita che costituisce il 30% della popolazione. Una dellecandidate, Jenan Bushehri, aveva potuto tenere un comiziorivolgendosi a centinaia di connazionali sotto una tenda, comela tradizione vuole, con un uditorio rigorosamente separato diuomini e donne. Sono piccoli passi compiuti nei paesi del Golfoin questi ultimi anni, ma la strada è aperta, come ha dimostra-to la conferenza internazionale in Bahreim lo scorso marzoche ha visto la partecipazione di un centinaio di donne in rap-presentanza di 16 Stati arabi.

Katmanduabbasso

il redel Nepal

Continuano le manifestazionidi protesta contro la monar-chia nepalese, forse l’ultimamonarchia assoluta del mon-do. Il 19 aprile centinaia mi-gliaia di persone sono conve-nute a Katmandu dopo unlungo sciopero generale indet-to dall’opposizione dei 7 par-titi dell’arco costituzionale,con esplicito appoggio del mo-vimento guerrigliero. Conti-nuano le pressioni internazio-nali sul re Gynaendra, perchési decida alle concessioni attea risolvere la crisi. Usa, Cinae India chiedono di ripristina-re la democrazia parlamenta-re, in particolare l’India, pre-occupata per la sua frontieracol Nepal.Con 26 milioni di abitanti dicui il 40% sotto la soglia del-la povertà, il Paese è ancheinsidiato da un decennio dal-la ribellione maoista.Amnesty, Human Rights Watche la Commissione internaziona-le dei giuristi, in una dichiara-zione comune, accusano i re e isuoi funzionari di gravi viola-zioni dei diritti umani, con l’ar-resto arbitrario di migliaia dioppositori tra i quali molti gior-nalisti, di tortura e abusi.

RomaniaRazvan10 annisuicida

Il 27 marzo Razvan Suculiuc,10 anni, si è impiccato a Cir-testi, villaggio al nord-est del-la Romania. Si è suicidato per-ché gli mancava sua madre,venuta in Italia a lavorare daqualche mese. Lei gli avrebbecomprato un computer, vole-va offrirgli un futuro miglio-re del suo; lui le telefonavauna volta alla settimana. Duegiorni prima della tragedia,una grande frustrazione affet-tiva: suo padre gli impediscedi telefonare perché non ha i6 euro necessari per comprar-gli la carta telefonica. Razvana questo punto decide per lamorte.Commenta il quotidiano diBucarest: «Il caso del picco-lo Razvan non è un’eccezio-ne, ma riguarda migliaia dibambini che i loro genitori,spinti dal miraggio del dena-ro, hanno lasciato». Circadue milioni e mezzo di Ro-meni in questi anni sono an-dati via dalla patria dove,malgrado la crescita econo-mica, il salario medio men-sile dei 22 milioni di abitan-ti è di 150�. L’Italia e la Spa-gna sono le mete preferiteper l’espatrio.

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seminari&

convegni

1 maggio-23 luglio. Fabria-no (An). Mostra internaziona-le «Gentile da Fabriano e l’al-tro Rinascimento». Esposizio-ne di 32 capolavori allo Spe-dale di Santa Maria del BuonGesù (Piazza Giovanni PaoloII). www.gentiledafabriano.it;tel. 199199111.4-5-6 maggio.Padova. Lafondazione Civitas, con la col-laborazione di vari enti, pro-pone percorsi di conoscenzade «La via Asiatica». Il percor-so degli studenti si conclude-rà il 4 maggio al cinema-tea-tro Mpx di via Bonporti conFolco Terzani. Il 5 maggio alle20,30 all’interno di Civitas, te-stimonianze asiatiche di ospi-ti illustri ( Chea Vannath, Cha-rika Marasinghe, NurjahanBegum, Hu Lambo). Il 6 mag-gio verrà rappresentata alle20,30 nell’auditorium Modi-gliani lo spettacolo «Fram-menti». Infrmazioni: Ufficiostampa Koiné – Comunicazio-ne, Benedetta Frare, tel.0422420 888; cell. 347 0750 714.4-8 maggio. Torino. Fiera in-ternazionale del libro al Lin-gotto, sul tema: «L’avventura,intesa come movimento ele-mentare che ha permesso losviluppo delle società umane»,viaggio interiore o relaziona-le. La parte espositiva è corre-data da numerosissime inizia-tive culturali. Informazioni:www.fieralibro.it.6 maggio. Cefalù (Pa). Nel-l’ambito della Settimana cefa-ludese per l’ecumenismo, con-ferenza di Karima Moual sultema: «Gli immigrati musul-mani in Italia tra identità, in-tegrazione e dialogo», orga-nizzata dal Centro ecumeni-co «La Palma», via Porta Giu-decca 1, Cefalù, tel. 0921 923953, fax 0921 423 738, e-mail:[email protected],15,22,29 maggio. Milano.Cattedra del dialogo. Incon-tri con esponenti del dialo-go interreligioso a livellomondiale, presso l’audito-rium del Centro san Fedele,sul tema: «L’uomo tra paurae speranza: verso dove?» (p.San Fedele 4). Informazioni:[email protected] maggio. Milano. La Comu-nità laicale «S. Angelo» pro-muove un incontro con P. Feli-

ce Scalia sul tema: «La Chiesadi oggi. Preoccupazioni e spe-ranze. Una responsabilità col-lettiva». Convento frati France-scani Minori, P.za S. Angelo 2Milano, ingresso via Bertoni,ore 21.19 maggio. Montevarchi(Ar). A cura del Centro San Lo-dovico, conferenza del p. Fer-dinando Castelli S.J. sul tema«Diego Fabbri: il teatro comeprocesso» (ore 21). Informazio-ni; Centro San Ludovico, ViaP. Bracciolini, 36-40. Montevar-chi (Ar) tel e fax 055 982670, e-mail: [email protected] maggio. Modica (Rs). In-contro sul tema «Africa, leguerre dimenticate» con donTonio dell’Olio di Pax Christi eLibera. Ore 19,30 Domus S.Petri.25-28 maggio. Camaldoli(Ar). Meditazione e preghieraesicastica al Sacro Eremo, in-contro riservato a giovani dai25 ai 35 anni, con la guida delmonaco Alberto Viscardi. In-formazioni: 0575 556 021.1-4 giugno. Assisi. Conve-gno organizzato dalla Picco-la Fraternità Francescana«Santa Elisabetta» sul tema:«Laici come gli altri ma...».È rivolto a giovani in ricercavocazionale. Informazioni:Casa di Accoglienza, PiazzaVescovado, 5 – 06081 Assisi,tel. 075 812 366; e-mail:[email protected] giugno. Assisi. Convegnonazionale «Eucaristia e storiadell’uomo» organizzato daiPadri Sacramentini per il150° di fondazione della Con-gregazione. Relazioni intro-duttive di Enrico Mazza e Pie-rangelo Sequeri. 5 Laborato-ri tematici; liturgie presiedu-te dall’arcivescovo GiuseppeChiaretti di Perugia e P. Fio-renzo Salvi, superiore genera-le dei Sacramentini. Informa-zioni: Andrea Carotene, tel.340 331 2919; Tata Tanara tel.339 719 5571, e-mail:[email protected] giugno Crotone. La Co-operativa sociale «Gettini diVitalba» (palazzo Berlingie-ri, via Cavour 7/9) proponeun seminario per coppieguidato dai coniugi Donatae Nino De Giosa, volontaridella Pro Civitate Christia-

na. Testimonianza su «I no-stri 15 seminari coppia inCittadella: un microcosmo‘a due’ a confronto e in ri-cerca ‘tra coppie’». Relazio-ne (venerdì), laboratori, di-battiti, riflessioni (sabato).Informazioni: cell.333 7432092; 338 787 5188, e-mail:[email protected];www.gettinidivitalba.it; As-sisi tel. 075 813231.25-26 giugno. Assisi. Incontro«Bibbia e Psicologia» organiz-zato dal gruppo Missioni dellaPro civitate christiana. Letturaesegetica e psicologica tratta dafigure e brani biblici, condottadalla psicologa Porzia Quaglia-rella e dai Volontari Bruno Ba-ioli e Leila Carbonara della ProCivitate Christiana. Informa-zioni: Cittadella cristiana,060081 Assisi, tel. 075/ 813231,fax 075/812445; e-mail:ospitalità@cittadella,org;www.cittadella.org.26 giugno-1° luglio. Borgo-nuovo (Bo). Esercizi spiri-tuali mariani organizzati dalCenacolo delle Missionariedell’Immacolata, sul tema:«Finché sia formato Cristo invoi...» (Gal 4,19), predicatida mons. Alberto Di Chio. In-formazioni: tel 051 67 82014– 051 8462 83, e-mail:[email protected] giugno-1° luglio. Ariccia(Rm). Settimana biblica perlaici sul tema: «Nascita deiVangeli. Marco», organizza-ta dall’Associazione biblicaitaliana. Relatori: D. Giaco-mo Morando e d. Marco Ca-iroli. Informazioni: dr. Pro-caccini, via Manzoni 6-04019Terracina (Lt), tel. 06 934861, 338 1129 195; e-mail:[email protected] luglio. Assisi. Conve-gno monastico interreligio-so presso il Monastero bene-dettino femminile San Giu-seppe sul tema: «La Parola,fonte di contemplazione».L’incontro prosegue quellodello scorso anno, col con-fronto tra Monachesimo cri-stiano, il Sufismo e l’Indui-smo. Informazioni: Com-missione italiana per il Dia-logo intermonastico, piazzasan Pietro 1, 06081 Assisi,tel.075 812062, e-mail:[email protected].

Palestina-Israeletragicaderiva

del dialogoLo scorso numero Rocca de-dicava al conflitto palestine-se-israeliano il servizio «unduello senza fine». Ma non sipensava a un immediato ri-lancio della Jihad.Invece, sullo sfondo cupo del-la bandiera di Hamas, abbia-mo visto un volto di adolescen-te dagli occhi belli e tristissi-mi stagliarsi nel video, rimbal-zato il 19 aprile sulle primepagine dei nostri quotidiani. ÈSamir Hamad, il kamikazeautore dell’attentato dellaJihad islamica a Tel Aviv il 18aprile. Il ragazzo si era fattoesplodere davanti a una rostic-ceria, procurando nove mortie una sessantina di feriti. L’at-tentato era stato subito con-dannato dal presidente del-l’Autorità Palestinese Mah-mud Abbas, ma non c’eranodubbi sulla risposta israeliana:«L’Autorità palestinese è diven-tata uno Stato terrorista e oc-corre trattarlo come tale». Aquesto punto però il premierisraeliano Ehut Olmert cam-bia strategia: decide di ferma-re la rappresaglia militare per-ché vuole contrastare Hamascon le «armi» della politica cheritiene più efficaci dei tanks edegli elicotteri. Vuole isolarlosul piano internazionale, im-pedire che gli giungano aiutipolitici ed economici al puntodi far implodere la maggioran-za radicale all’interno del nuo-vo governo palestinese.A sua volta Hamas ora assu-me l’immagine cupa del terro-re. Dopo la strage, anche ilGiappone, seguendo Ue e Ca-nada, fa sapere che potrebbecongelare gli aiuti all’Autori-tà palestinese. La richiesta diaiuti ai paesi arabi finora tro-va risposta solo del regime ira-niano che si dice disposto a unaiuto di 50 milioni di dollari.Sono espulsi i tre parlamen-tari di Hamas che vivono aGerusalemme.La diplomaziaisraeliana ha ora un precisoobiettivo: isolamento.

Karachiil Forumsociale

alter-mondialistaL’ultimo appuntamento delForum sociale mondiale diquest’anno è stato dal 24 al29 marzo a Karachi, Paki-stan. Si era voluto un Forumpolicentrico, scandito tra Ba-mako (Malì), Caracas (Ve-nezuela), e infine – tra note-volissime difficoltà – Kara-chi. Circa 30mila personeprovenienti da 58 Paesi, di-stribuiti nelle 400 attività delForum, hanno potuto inter-scambiare informazioni,commenti, progetti sul Con-tinente asiatico, a comincia-re dalla situazione del Kash-mir, zona notoriamente con-tesa tra India e Pakistan. Cir-ca 20 leader di varie organiz-zazioni politiche, attualmen-te alle prese con defatigantiiniziative di pace dall’una edall’altra parte della linea dicontrollo del Kashmir, sisono trovati concordi alme-no su un punto: non si trattadi territori da distribuire, madi questioni di autonomia edi autodeterminazione. Temicomplessi come gli effetti delneoliberismo economico e lasmilitarizzazione, dei dirittiumani e in particolare deidiritti della donna, della lot-ta contro il patriarcato e per-fino della gestione dei disa-stri naturali e dei rischi di ri-colonizzazione, legati a certicosiddetti aiuti umanitari,sono stati messi sul tappetoe sottoposti un severo vagliocritico. Particolarmente di-battute la guerra in Irak, lanecessità di sostenere il«Tribunale mondiale delle don-ne» sulla resistenza alle guer-re, sulle guerre della globaliz-zazione e sulle guerre contro ledonne. Riunirsi, condividereesperienze, conoscere i movi-menti sociali di altri Paesi – hanotato lo scrittore pakistanoTariq Alì – è stato il segno fortedi questo evento, segno sottoli-neato positivamente anche dal-l’arcivescovo di Karachi, mons.Evaristo Pinto.

Chiesapapa Benedetto

un annodopo

«Come passa il tempo», ha det-to papa Benedetto XVI rispon-dendo il 19 aprile ai cinquan-tamila fedeli convenuti in piaz-za san Pietro per gli auguri aun anno dalla sua elezione alpontificato. Ha voluto ricorda-re l’emozione del primo gior-no e chiedere preghiere peressere un pastore «mite e fer-mo», mentre si continua a evi-denziare l’abbandono «garba-to» dello stile del suo predeces-sore. Si direbbe che egli temauna sovraesposizione dellaChiesa e non esita a ripropor-re il suo programma: «quellodi non fare la mia volontà, dinon perseguire le mie idee, madi mettermi in ascolto ...». Si èespresso molto finora da pa-store, soprattutto sull’essenzia-le della fede e su temi etici, madal suo governo i cattolici siaspettano ora una riforma sulrapporto vescovi - primato delPapa. E in campo ecumenico,anche una riflessione teologi-ca: le differenze tra cattolici,ortodossi e protestanti nonsono un accidente della storia,ma esprimono modi diversi diintendere Chiesa e ministeri.Per il resto, troppo presto perun bilancio, anche se la con-sapevolezza della verità com-plessa del reale emerge da tuttigli approcci del papa teologo.

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ValentinaBalit

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da IL CORRIERE MAGAZINE, 6 aprile da LA REPUBBLICA, 12 aprile

da L’UNITÀ, 19 aprile

da IL CORRIERE DELLA SERA, 13 aprile

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da PANORAMA, 20 aprile

da L’UNITÀ, 12 aprile

da IL CORRIERE DELLA SERA, 19 aprile

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da LA REPUBBLICA, 12 aprile

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I primi dentisti 9.000 anni fa

Le prime cure odontoiatriche risalgono a9mila anni fa. Insieme ad agricoltura e alleva-mento, nei più antichi insediamenti dell’etàneolitica nacquero anche i presupposti per laprofessione attuale del dentista. A questa con-clusione è giunta un’équipe di antropologi earcheologi coordinati dal professor AlfredoCoppa dell’Università «La Sapienza» di Romanell’ambito di una campagna internazionaledi scavi diretta dal Musée Guimet di Parigi. Irisultati dello studio sono pubblicati su Natu-re. Oggetto delle indagini è la necropoli delPakistan situata a Mehrgarh, non lontano dalconfine afghano, risalente appunto a circa9mila anni fa. Su un totale di circa 4mila den-ti provenienti da 300 sepolture, sono stati iden-tificati almeno 11 casi inequivoci di perfora-zioni in vivo sulle corone dentali di 9 adulti,probabilmente a scopo terapeutico o palliati-vo. Per offrire la certezza che le trapanazioniritrovate sui denti posteriori degli antichi «pa-zienti» fossero intenzionali ed eseguite su sog-getti in vita, lo studio si è avvalso della micro-scopia elettronica e di tecniche avanzate dimodellizzazione basate sulla microtomogra-fia ad alta risoluzione dei singoli reperti. I daticonfermano anche che, dopo gli interventi, lesuperfici dei denti ripresero la loro normalefunzione masticatoria. Quanto documentatoda questo studio rappresenta non solo le piùantiche pratiche di chirurgia dentistica note,ma anche la documentazione più ricca di que-sto tipo mai scoperta in un singolo sito archeo-logico. I dentisti preistorici operavano sostan-zialmente con le medesime tecniche messe apunto per la fabbricazione delle minuscoleperline in materiali diversi rinvenute in ab-bondanza nel sito. Lo strumento principaleera il trapano in legno attrezzato con una pic-cola punta in selce, azionato mediante un ap-posito archetto. In queste pratiche, gli artigianidi Mehrgarh erano veri esperti, capaci di pro-durre perline di 1 mm provviste di fori del dia-metro di soli pochi decimi di mm. La stessaperizia è stata riscontrata nelle perforazionisui denti. I casi meglio conservati mostranoinfatti delle perforazioni non lontane permorfologia da quelle che si ottengono oggi conben più raffinati strumenti. La necessità diricorrere a questo genere di cure, spiegano gliesperti, è riconducibile alle condizioni gene-rali di vita caratteristiche del Neolitico. La vitanei primi villaggi sedentari comportò infattiun temporaneo peggioramento nei livelli nu-trizionali e nello stato generale di salute. Ri-spetto agli standard qualitativi del Paleoliticosuperiore finale, caratterizzati da diete ricchein proteine e grassi animali derivati dallo sfrut-tamento dei grandi erbivori, la stanzialità, lostadio ancora sperimentale delle prime prati-che agricole e di allevamento, la crescita de-mografica comportarono una riduzione criti-ca nella varietà, qualità e quantità delle risor-se accessibili e, soprattutto, facilitarono la pro-pagazione di malattie infettive e l’insorgere dinuove patologie. Anche le condizioni generalidi salute del cavo orale peggiorarono. Da unlato, l’impiego di macine in pietra per trattarei cereali determinò un forte grado di abrasio-

ne dello smalto, con gravi rischi per l’integri-tà dei denti; dall’altro, la qualità della nuovadieta – più ricca in zuccheri – favorì i processidi acidificazione e lo sviluppo della carie.Più in generale, le campagne di scavo in Paki-stan hanno consentito di superare la visionetradizionale di «mezzaluna fertile» limitataalle sole regioni del Vicino Oriente. Le ricer-che a Mehrgarh hanno infatti dimostrato cheagricoltura e allevamento erano stati inventa-ti ai margini del mondo indiano contempora-neamente a quanto stava avvenendo in Ana-tolia, Israele, Palestina, Egitto. In seguito allescoperte di Mehrgarh, quindi, gli scenari ar-cheologici della «rivoluzione neolitica» si sononotevolmente dilatati e si estendono oggi,quasi senza soluzione di continuità, dal Liba-no alla valle dell’Indo.

Distrofia di Duchennenuova speranzagrazie a un «cerotto» genico

Contro la distrofia muscolare di Duchenne èstata sperimentata una nuova terapia genicache ripara il prodotto del gene malato, anzi-ché tentare di sostituire il gene con una copiasana. La ricerca è stata diretta da Irene Boz-zoni dell’Università «La Sapienza» di Roma epubblicata dalla rivista Proceedings of the Na-tional Academy of Sciences. La distrofia di Du-chenne è una malattia dovuta a una mutazio-ne sul gene che governa la produzione dellaproteina distrofina. Scoperta dal medico fran-cese Duchenne, essa comporta una progres-siva degenerazione dei muscoli costringendo,in breve tempo, all’uso della sedia a rotelle.Trattandosi di una malattia causata da un sologene, è tra quelle che gli scienziati sperano dipoter guarire in futuro con la terapia genica,iniettando cioè nei muscoli dei pazienti un vi-rus «navetta» che traghetta una copia sanadel gene danneggiato. Tuttavia questo tipo ditrattamento è difficilmente applicabile al genedella distrofina a causa delle sue grandi di-mensioni. Per questo gli scienziati italianihanno testato una strategia alternativa che fauso di molecole «antisenso» che, come unasorta di cerotto, riconoscono la regione con-tenente la mutazione e ne impediscono l’in-clusione nell’Rna messaggero. L’effetto finaleè la produzione di una proteina più corta diquella prodotta nei muscoli delle persone sane,ma ancora funzionante. I ricercatori hannodimostrato che iniettando il vettore che tra-sporta il «cerotto genetico» nei topi, questo siritrova in tutti i muscoli dove viene recupera-ta la sintesi della proteina distrofina. Ciò è veroanche nel cuore e nel diaframma che sono idistretti muscolari più gravemente compro-messi dalla malattia. I topolini trattati in la-boratorio hanno beneficiato della terapia:l’analisi compiuta nell’arco di sei mesi dall’inie-zione ha permesso di dimostrare che i mu-scoli trattati migliorano sia in termini di for-za della contrazione, sia in termini di integri-tà. I risultati sono promettenti ma prima dipensare a un trasferimento all’uomo dovran-no essere verificati la tossicità del trattamen-to ed eventuali effetti collaterali.

RESISTENZA E PACE

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cittadella convegni

informazioni - iscrizioni:Cittadella Cristiana - sezione Convegni - via Ancajani 3 – 06081 Assisi/PG –

internet: www.cittadella.org – tel. 075813231; fax 075812445 – e-mail: [email protected]

RanieroLa Valle P

divisa, ma come?4° convegno Terza Età 14-17 maggio

padri e figli … nel fluire delle generazioni“Proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato e il germoglio che hai coltivato” (Salmo 80, 16)

i relatori: Rosella DE LEONIBUS, psicoterapeuta; Tonio DELL’OLIO, teologo; Roberto SEGATORI, sociologo; Tullio SEPPILLI,antropologo

giornate di spiritualità per presbiteri, diaconi, laici, suore 5-9 giugno

nascita e crescita nel conflitto della comunitàcristiana

con Giancarlo BRUNI, servo di santa Maria e fratello della comunità di Bose

Il rapporto cultura-vangelo, è un tema che Paolo interpreta in maniera tutt’altro che apologetica e manichea: di qua laChiesa fedele all’annuncio, di là il mondo infedele all’annuncio…La chiesa di Dio che è in Corinto è la fotografia del rapporto conflittuale sempre attuale, in cui è in gioco la verità dellarelazione con Dio, con l’altro, con il proprio corpo e con la propria morte. Una fotografia che ci riguarda da vicino.

lunedì 5 ore 18,30 introduzione alle giornate – liturgia eucaristica

martedì 6, mercoledì 7 e giovedì 8 ore 9,00 preghiera di lodi e 1a meditazione 11.30 liturgia eucaristica 16,00 2a meditazione 19,15 canto dei vespri

venerdì 9 ore 9,00 meditazione 12,00 liturgia eucaristica

64° corso internazionale di Studi cristiani 20-25 agosto

senza i sandali dell’identità ?“Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero…” (Gal 3, 28-29)

alcune tematiche: paradossi e contraddizioni dell’identità - se l’identità cammina con la storia-nelle derive integraliste…vivere la laicità - culture e religioni: il meticciato, una sfida ineludibile? - crescere con le differenze - l’identità feriale - leidentità negate interpellano la politica - a piedi nudi…consegnarsi all’uomo, consegnarsi a Dio

hanno già assicurato la loro partecipazione: Corrado AUGIAS, giornalista Rai-TV, scrittore; Nacera BENALI, giornalistaalgerina; Eugenio BORGNA, psichiatra; Enzo BIANCHI, priore della comunità ecumenica di Bose; Roberto CARUSI, regi-sta teatrale; Tonio DELL’OLIO, di Libera International; Rosino GIBELLINI, teologo; Sergio GIVONE, filosofo; Kossi KOMLA-EBRI, scrittore migrante; Raniero LA VALLE, giornalista; Giannino PIANA, teologo morale; Renzo SALVI, capoprogetto RaiEducational, Lilia SEBASTIANI, teologa; Rosanna VIRGILI, biblistavideointervista a Raim -o n PANIKKAR, scrittore, interprete dialogo interculturale

er capire quello che è successo con leelezioni, occorre distinguere ciò che èconfuso.Nella competizione del 9 e 10 aprile sisono combattute in realtà tre distintebattaglie elettorali.

La prima è stata un referendum pro o controBerlusconi. Tale referendum, oltre che promos-so dalla forza stessa delle cose, è stato forte-mente voluto dallo stesso premier, e ciò attra-verso due operazioni congiunte: una istituzio-nale e una politico-mediatica.L’operazione istituzionale è stata la legge elet-torale. Questa, essendo fatta, come ha dettoCalderoli, «contro la destra e la sinistra», erafatta per lui. Essa, abolendo le preferenze, haspazzato via dalla campagna elettorale tutti isuoi naturali protagonisti, che sono i candida-ti, ed ha lasciato sussistere solo due nomi sucui i cittadini potessero votare, Berlusconi eProdi. Inoltre ha radicalizzato ed estremizzatoil bipolarismo, costringendo tutte le forze poli-tiche a raggrupparsi in due soli schieramenti,pena la scomparsa, e in ciascuno a impegnarsicon vincolo di mandato (contro la Costituzio-ne) per lo stesso programma e lo stesso leader.Dunque l’elettorato non aveva che due scelte,nonostante l’illusione della pluralità dei parti-ti. Quanti oggi parlano di un’Italia spaccata indue, fanno un’analisi sbagliata: l’Italia eletto-ralmente non poteva che dividersi in due; quan-to alla spaccatura effettivamente la stiamo spac-cando, ma questa spaccatura sarà compiutaquando questo artificio della forzata biparti-zione elettorale avrà disseminato tutte le suetossine e sarà diventato la cultura profonda delPaese, cioè una cultura di conflitto, di disco-noscimento reciproco, di odio, dal Parlamentofino all’ultimo condominio. A quel punto nem-meno l’ipotesi della violenza potrebbe essereesclusa.L’operazione politico-mediatica per fare delleelezioni un referendum su di sé, Berlusconi l’hacompiuta ridicolizzando la pretesa dei suoi al-leati di correre a «tre punte», occupando tuttala scena e presentando se stesso come l’unicascelta possibile. L’altra era una «non scelta»:l’avversario è stato combattuto come non esi-stente, come un Signor Nessuno, utile idiota eprestanome, e tutto lo schieramento alternati-vo è stato delegittimato come una specie di Cor-te dei Miracoli il cui scopo non era gestire ilpotere, ma impadronirsene per distribuire po-sti e soldi agli amici e agli amici degli amici.Questo referendum è stato inspiegabilmente di-

sertato dal centro-sinistra. Esso ha negato cheBerlusconi fosse un pericolo per la democra-zia, non ha rivendicato la Costituzione liqui-data dalla destra, e ha fatto finta di credere chesi trattasse di una normale battaglia elettoraleper l’alternanza. Solo Moretti è riuscito a direal popolo quale fosse il vero pericolo. Ma ilpopolo lo ha capito. Con una straordinaria per-centuale dell’83 per cento è corso alle urne in-nalzando contro Berlusconi uno sbarramentonon di 24.000, ma di 19 milioni di voti, e anchemolti voti dell’Udc e di Alleanza Nazionale sonostati contro Berlusconi nella falsa speranza, fat-ta balenare dai capi, di una alternativa internaalla destra. Sicché, a conti fatti, i veri «sì» alquesito su di lui sono stati i 9 milioni di ForzaItalia, con una perdita di due milioni di votirispetto al 2001 e una caduta in percentualedal 29,4 al 23,7 per cento. Dunque questo refe-rendum è stato clamorosamente perso da Ber-lusconi; il Paese gli ha detto di no.La seconda battaglia elettorale è stata di nuo-vo un referendum, ma questa volta sulle tasse,e in particolare sull’abolizione dell’Ici e dellatassa sulla spazzatura. Anche questo era con-tro la Costituzione, che vieta i referendum fi-scali, ed era un tentativo di corruzione perchéoffriva denaro contante in cambio del voto. Ilcentro-sinistra ha maldestramente fornito l’oc-casione alla trappola. Quale ne è stato l’esito?Se il risultato elettorale viene depurato del votodegli italiani all’estero, che non hanno votatosulle tasse perché non le pagano in Italia, que-sto referendum è stato vinto da Berlusconi alSenato e perso alla Camera; dunque la mag-gioranza degli elettori, compresi i giovani chevotano solo per la Camera, ha eroicamente re-spinto la corruzione sulle tasse pur di votarecontro Berlusconi e il fascio delle sue pretese.La terza battaglia elettorale è stata quella clas-sica sui programmi e sul governo, ed è stata lasola che il centro-sinistra ha veramente com-battuto, vincendola, come si sa, di stretta mi-sura.Contestando l’esito del voto, gli sconfitti pro-mettono ora il sabotaggio di ogni azione digoverno. È la sindrome di Sansone, o quelladella causa portata davanti a Salomone: se ilbambino non mi viene attribuito, meglio squar-tarlo perché non sia di nessuno. Ciò vuol direche non ci vogliono solo rimedi politici, ma isti-tuzionali (a cominciare dal salvataggio dellaCostituzione e da una nuova legge elettorale)perché l’Italia non abbia a ricadere nel bara-tro. ❑

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MaurizioSalvi I

l rischio della proliferazione nuclearein Medio Oriente, insieme al dinami-smo del mondo sciita – che, com’ènoto, guida l’Iran, ha conquistato ilgoverno dell’Iraq e gode di forti sim-patie fra i militanti di Hamas al pote-

re nel cosiddetto Stato palestinese – ali-menta le tensioni internazionali in questesettimane in un contesto di per sé già vi-brante per la forte crescita del prezzo delpetrolio.Ogni giorno che passa il prezzo del bariledi greggio aumenta di valore, e ormai sonopochi gli analisti di Wall Street che nontengono in conto, nella spiegazione del fe-nomeno, la variabile del braccio di ferroche il presidente George W. Bush ha in-gaggiato con le autorità di Teheran sul de-licato tema nucleare. Mentre sono sempredi più quelli che ritengono che la strategiastatunitense serve piú che altro per copri-re l’imbarazzo e le difficoltà di prospettiveche la spedizione militare a stelle e a stri-sce affronta in territorio iracheno.Tale stato d’animo era evidente nel mes-saggio telefonico trasmesso da Bush al neo-eletto premier Jawad al-Maliki, un mode-

rato membro della comunità sciita irania-na su cui vengono riposte tutte le speran-ze di «sconfiggere i terroristi e di unifica-re il paese». La designazione di al-Malikida parte del presidente Jalal Talabani hapermesso di mettere provvisoriamente finea quasi cinque mesi di impasse nella vitapolitica irachena presidiata dagli stessi sci-iti, dai sunniti che organizzano l’opposi-zione armata e dai curdi.

l’ipotesi bellica

E anche se il quotidiano The WashingtonPost ha rivelato che gli Usa progettano unaguerra in territorio iraniano fin dal 2002,l’ipotesi bellica è diventata più concreta apartire dallo scorso autunno, ossia daquando il presidente Mahmoud Ahmadi-nejad è intervenuto all’Assemblea genera-le dell’Onu a New York (17 settembre 2005)per assicurare che l’Iran ha tutto il dirittodi portare avanti il suo programma di ar-ricchimento di uranio, e che quindi non visaranno cedimenti di fronte alle pressioniinternazionali. E di che pressioni possatrattarsi lo ha fatto capire il 23 aprile il

quotidiano Haaretz di Tel Aviv quando harivelato che i responsabili dei servizi d’in-telligence dello Stato ebraico avrebbero di-scusso un piano per l’uccisione del presi-dente Ahmadinejad.Prima di questa minaccia, vi era stata ladecisione dell’Onu, sotto forte spinta sta-tunitense, di dare un ultimatum a Teheranchiedendo l’interruzione immediata delprocesso di arricchimento dell’uranio nellacentrale di Bushehr. Ma questa volta, a dif-ferenza dell’affannosa fase diplomatica vis-suta nel Palazzo di Vetro prima dell’attac-co della coalizione guidata dagli Usa a Ba-ghdad, si è percepito subito che la spinta acacciare l’Iran in un angolo non ha trova-to il consenso di tutti i membri del Consi-glio di sicurezza, ed in particolare di Rus-sia e Cina che hanno voluto precisare leforti differenze di apprezzamento fra loroe l’asse Usa-Gran Bretagna, escludendo ca-tegoricamente qualsiasi possibile ricorsoalle armi in sostituzione della diplomazia.Un dibattito nel quale si è infilato fra l’al-tro volentieri il presidente venezuelanoHugo Chavez, che dispone di importantis-sime riserve petrolifere e di gas, e che ha

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ancora tempo

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OLTRE LA CRONACA

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RomoloMenighetti L

a previsione formulata dal Finan-cial Time di qualche giorno fa, percui l’Italia rischierebbe entro il 2015di uscire dall’area dell’euro a causadella sua disastrata situazione fi-nanziaria e produttiva, e della poca

credibilità che il nuovo governo offrirebbeper il risanamento, va considerata prima ditutto al di fuori di fuorvianti allarmismi.A smorzarli, gli allarmismi – peraltro espressinon come editoriale del giornale inglese macome parere personale del pur autorevolecommentatore – ha già provveduto la stessaCommissione Europea, secondo la quale«non è possibile che l’Italia esca dall’euro».Perché l’Italia dovrebbe uscire dall’euro? Per-ché potrebbe trovare conveniente riguada-gnare quote di mercato con una drastica sva-lutazione. Ma non è immaginabile che part-ner europei quali la Francia, la Spagna, laGermania, nostri concorrenti sui mercatiinternazionali, accettino senza sollevareobiezioni una tale manovra che li danneg-gerebbe, rendendo meno conveniente l’ac-quisto dei loro prodotti rispetto ai nostri. Ildanno che il ritorno di una lira debole fa-rebbe ricadere sui soci dell’euro-area scorag-gerebbe poi anche ogni iniziativa di «espul-sione» nei confronti dell’Italia.Va inoltre considerato che l’allarme del Fi-nancial Time si inquadra nei ricorrenti at-tacchi che la finanza anglosassone, in sinto-nia con quella d’Oltreoceano, sferra al siste-ma monetario europeo, mirando al suo anel-lo più debole, cioè noi. Un’Europa economi-camente e finanziariamente forte, si sa, nonpiace agli Stati Uniti, e ai molti che Oltre-manica assecondano tale orientamento.Ciò detto, i problemi economici che si pro-spettano al governo Prodi sono grossi e gra-vi. Ma prima di esaminarli giova ricordareche questi sono il prodotto di cinque anni digoverno (a maggioranza assoluta) del cen-trodestra. Questo ha peggiorato non poco lasituazione del 2001. Esso ha lasciato un’ere-dità disastrosa, specie se si considera che peranni, e fino a poco fa, l’ex presidente Berlu-sconi e i suoi economisti hanno continuatoa proclamare, negando l’evidenza evidenzia-ta continuamente dall’opposizione gratifica-ta come Cassandra, che tutto andava bene.Ora le Cassandre trovano autorevole confer-

ma nelle parole del capoeconomista del Fon-do monetario internazionale, RaghuramRajan, che afferma dovere il nuovo governoitaliano, affrontare «sfide enormi» per rilan-ciare l’economia.C’è, infatti, il «sostanzioso deficit di bilan-cio», che è previsto per il 2006 al 4 per centodel Pil (4,3 nel 2007) contro l’impegno presodal governo Berlusconi con Bruxelles dimantenerlo al 3,8 (dal Corriere della Sera, 20aprile 2006). Da notare che i precedenti go-verni del centrosinistra l’avevano ridotto, nel2001, al 3,2 per cento (fonte Ministero del-l’economia, da L’Espresso, 2 marzo 2006).C’è il «debito pubblico estremamente alto»,che secondo il Fmi a fine anno sarà a quota106,3 del Pil e a 107,9 nel 2007 (Corriere del-la Sera, idem), mentre i governi di centrosi-nistra dal 1996 al 2001 l’avevano fatto scen-dere di 12,2 punti percentuali (La Repubbli-ca, 18 aprile 2006).C’è la «perdita costante di competitività», cheha visto la posizione dell’Italia scivolare dal2001 al 2005 dal 32° al 53° posto (fonte: In-stitute for Menagement Devolepment).Tutti questi dati risultano in controtenden-za con quelli di gran parte dei paesi europei,anche in previsione.La sfida dunque è veramente grande.Ma a capo del nuovo governo ora c’è un pre-mier, Romano Prodi, che una specie di mi-racolo già lo fece qualche anno fa, guidan-do, assieme a Ciampi, l’Italia nell’euro.Certo, c’è la risicata maggioranza al Senato,ma anche qui giova ricordare il precedentedei governi di centrosinistra che dal 1996 al1999 governarono con soli 6 voti in più allaCamera. Perciò l’impresa non appare impos-sibile. Purché le forze più radicali della coali-zione governante rinuncino responsabilmen-te a sbandierare quegli slogan che, tra l’altro,sarebbe stato più vantaggioso non agitarenemmeno durante la campagna elettorale.Insistendo su questi si avrebbe come risulta-to solo, da un lato un’ulteriore restrizione dellacredibilità da parte degli investitori esteri, edall’altro un accentuarsi della pressione a farela «grande coalizione» con il centrodestra.Ma come si può ragionevolmente credere cheil centrodestra possa contribuire efficace-mente a salvare il paese da quei guai che essostesso ha provocato? ❑

economia amaradeciso di appoggiare senza mezzi terminile ragioni dell’Iran. Perfino una personali-tà non sgradita negli Stati Uniti, come l’av-vocata iraniana Shirin Ebadi, vincitrice nel2003 del Premio Nobel per la pace, hamesso in guardia da un intervento milita-re americano in Iran. «Nonostante tuttele critiche che noi manteniamo nei con-fronti del governo di Teheran – ha spiega-to – non un solo soldato americano puòmettere piede sul suolo iraniano». Al ri-torno nei giorni scorsi da un soggiornostatunitense, Shirin Ebadi ha detto di averavuto l’impressione che l'opinione pubbli-ca fosse come preparata a un attacco al-l’Iran, come lo era stata un anno primadella guerra in Iraq. «Questa volta non sobene se si tratti di una guerra psicologicao invece reale», ha concluso non prima diosservare che «quando un paese commet-te un errore, un altro stato non può ri-spondere con un attacco militare». Vedre-mo poi più avanti se si tratta veramentedi un ‘errore’ iraniano, o se c’è qualcosadi più.Comunque, che qualcosa non funzioni peril verso giusto, neppure all’interno dell’Am-ministrazione del presidente George W.Bush, lo si è visto dalle dichiarazioni dellostesso direttore nazionale dell’intelligence(Dni) americana, John Negroponte che inun intervento giorni fa nel National PressClub di Washington ha detto: «Pensiamoche ci vorranno ancora diversi anni primache (gli iraniani) siano in grado di posse-dere materiale fissile in quantità sufficienteper disporre di un’arma nucleare». Ed haaggiunto: «Forse lo potranno nel corso delprossimo decennio: per tali ragioni pensocomunque che sia importante affrontarela questione in prospettiva». Negropontenon ha fatto altro che ripetere una analisimessa a punto alla fine dello scorso annonel Rapporto di Intelligence Nazionale chepreparano in collegamento fra loro tutti iservizi di spionaggio statunitensi, e che hatrovato eco solo in alcuni giornali statuni-tensi. In esso si assicura che «l’Iran nonsarà in grado di produrre una quantitàsufficiente di uranio altamente arricchito– ingrediente chiave dell’arma atomica –prima dell’inizio della seconda metà dellaprossima decada». Ossia non prima di diecianni.È un po’ nella volontà di ammettere que-sta argomentazione la risposta al presun-to ‘errore’ evocato dalla Premio Nobel Shi-rin Ebadi. Varrà la pena ricordare che l’Iranha firmato il Trattato di non proliferazio-ne nucleare (Tnp, da cui invece è uscita laCorea del Nord) e che l’articolo 4 prevede

il diritto dei paesi di predisporre un pro-gramma di energia nucleare civile, e quin-di il diritto di mettere in marcia le tecni-che di arricchimento dell’uranio. In gene-rale i paesi si procurano sul mercato inter-nazionale la materia prima che è disponi-bile sotto la forma detta convenzionalmen-te ‘yellow cake’ (torta gialla) che contieneil 70% di minerale. Esso viene sottopostoad un processo di purificazione grazie alquale si ottiene esafluoruro di uranio(UF6). Nel nostro caso l’Iran realizza giàtutte queste trasformazioni sotto il control-lo dell’Agenzia internazionale dell’energiaatomica (Aiea). L’ultima tappa è quelladell’arricchimento, necessaria per ottene-re una proporzione sufficiente (3%) di unisotopo, l’uranio 235, che permette di pro-durre energia nucleare. Per essere utiliz-zata in un’arma atomica, il tasso di arric-chimento dell’uranio 235 deve passare al90%.

solo un primo passo

Un cammino lungo che non ha alcuna re-lazione con l’annuncio fatto dal capo dellostato a metà aprile che «l’Iran è entrata afar parte della famiglia nucleare mondia-le». Quello che finora gli scienziati irania-ni hanno potuto ottenere è il funzionamen-to di 164 centrifughe in contemporanea perl’arricchimento dell’uranio. Un primo pas-so, ma con molta strada da fare prima dipoter operare con le migliaia di centrifu-ghe che devono operare contemporanea-mente per ottenere il risultato voluto. Lospecialista Adrian Hamilton ha ricordatosul britannico The Independent (13 aprile2006) che gli iraniani hanno tutto il dirittodi arricchire l’uranio in base al Tnp, e che«essi hanno interrotto questo processo pertre anni solo per rendersi conto di non ave-re ottenuto alcuna concessione dall’Occi-dente». Per Hamilton si deve prenderecome uno degli elementi del problema laretorica nazionalista e antiebraica dei ver-tici iraniani, e non come «il problema».Dato il lungo tempo che ancora separal’Iran dalla possibilità di arricchire l’ura-nio a fini bellici, una strategia possibile asuo avviso è quella di accettare l’idea lan-ciata dal principe Hassan di Giordania diuna Conferenza sulla sicurezza, magarisotto gli auspici dell’Onu, che coinvolgatutti i paesi vicini all’Iraq, e che permettala firma di un patto fra nazioni del calibrodi Turchia, Arabia Saudita, Giordania, Si-ria e, ovviamente, Iran.

Maurizio Salvi

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POLITICA ITALIANA

e nonse ne vogliono

andare

FilippoGentiloni N

on se ne vogliono proprio anda-re!» così viene voglia di dire adue settimane, ormai, dalle ele-zioni politiche. Mentre il centro-sinistra, forte della sua vittoria,prepara faticosamente il nuovo

governo, il centro destra né lascia PalazzoChigi né telefona a Prodi ammettendo lasconfitta. Lo hanno fatto, fra gli altri, an-che Bush e Putin. Il paese, preoccupato, adir poco, cerca di capire, ma è consapevo-le di vivere una delle fasi peggiori della suastoria politica.Al di là delle cifre e delle contestazioni, nonè facile comprendere che cosa è accaduto,che cosa sta accadendo, che cosa accadrà.Il passato. Una delle peggiori campagneelettorali della nostra storia. Acida, violen-

ta, aggressiva. Giocata più sulle falsità chesulla verità. Bassa pubblicità sulle tasse datogliere, un motivo che alla fine è sembra-to a molti determinante. Con l’aggiunta disondaggi ed exitpoll falsi, ingannatori finoall’ultima ora.Quell’ultima ora che non arrivava mai. Poil’annuncio della Cassazione: una vittoriaestremamente risicata e accompagnata an-che da alcune beffe, come il voto degli ita-liani all’estero voluto dal centrodestra e de-terminante, invece, per la vittoria del cen-trosinistra. Così anche per la nuova e di-scussa legge elettorale con il premio dimaggioranza che, invece, conferisce allavittoria del centrosinistra una certa tran-quillità, per lo meno alla Camera.Così fino a ieri. Oggi domina la divisione.

Divisione del paese a metà, senza possibi-lità di serie mediazioni. Divisioni ancheall’interno dei due schieramenti: si ha latriste impressione che ogni gruppo e grup-petto pensi più a se stesso che al bene delpaese e anche della coalizione cui appar-tiene.Uno spettacolo triste, su uno sfondo an-cora più triste: il prezzo del petrolio allestelle, l’occupazione sopraffatta dal preca-riato e, checché se ne dica, lo scontro glo-bale fra le civiltà. Si torna a parlare dellanecessità del nucleare, mentre si infiam-ma, ancora una volta, lo scontro fra israe-liani e palestinesi.Difficile, in questo quadro, parlare di undomani. Di un paese meno diviso, più tran-quillo e più unito. Esclusa la grande coali-

zione alla tedesca, che cosa può accadere?Probabilmente un governo di centrosini-stra molto debole, continuamente conte-stato dal centrodestra che non accetta sin-ceramente la sconfitta e pressato dai pro-blemi ereditati e quasi insanabili.Da una parte e dall’altra la speranza di unpartito unico, come negli States. Soprat-tutto a sinistra i passi in questo senso sonostati abbastanza significativi, ma, anchequi, il rischio di un forte egoismo politicoè alle porte. Si dovrebbe verificare un verocambiamento di cuore, di animo, di valo-ri. Un cambiamento, si potrebbe dire, del-lo spirito morale della politica. Sarà possi-bile?

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RELIGIONI A SCUOLA

l’alternativaall’«ora di niente»

e ne discute da decenni ma la que-stione dell’insegnamento religiosonel nostro sistema educativo con-tinua a restare sostanzialmente ir-risolta. È l’approccio, forse, chedovrebbe cambiare. È sensato, in

un mondo affollato di tensioni e attraver-sato da conflitti che si ammantano di ra-gioni religiose, che 500.000 studenti discuola primaria e secondaria – quelli cheogni anno «non si avvalgono» dell’insegna-mento concordatario – non ricevano nes-suna formazione culturale, e neppure nes-suna seria informazione, sulle religioni esulla loro influenza sulle mentalità, sulleidentità individuali e collettive, sull’etica,sulla politica? È sensato, in una scuola incui crescono a ritmo esponenziale le pre-senze di ragazzi e famiglie di culture di-verse, rinunciare a quell’educazione al plu-ralismo di cui è elemento essenziale unastoria delle religioni insegnata laicamen-te? L’alternativa che ha animato il dibatti-to degli ultimi settanta anni tra laicità to-tale della scuola e insegnamento religiosoconcordatario è ormai, con tutta eviden-za, un quadro di riferimento vecchio e lo-gorato. Incapace di misurarsi con le urgen-ze determinate dai nuovi fenomeni cultu-rali e politici di un mondo globalizzato,dall’insorgere di pericolosi integralismi,dagli assalti alla libertà religiosa condotti

FiorellaFarinelli S

con il pretesto di combattere l’islamismo,dal bisogno dei giovani di orientarsi incampi così complessi ed inquietanti. Sel’insegnamento religioso, proprio perchéconfessionale, da un lato esclude i non cre-denti e i credenti di altre fedi ed è comun-que inadatto, per la sua stessa natura, acostruire i ponti che oggi sono indispen-sabili, anche l’idea della laicità totale dellascuola pubblica non funziona, respinge edesclude, inasprisce le incomprensioni in-terculturali. Lo si è ben visto in Francia,nella lunga e tormentosa vicenda sulla li-ceità, nel contesto scolastico, del velo «isla-mico» imposto da famiglie e comunità:non solo un certo numero di ragazze dicultura musulmana sono state escluse dal-la possibilità di maturare, attraverso glistrumenti culturali e le relazioni nel grup-po dei pari che offre l’esperienza scolasti-ca, una propria personale mediazione e unproprio personale equilibrio tra le radicicomunitarie e l’ambiente di inserimento,ma nuova benzina è stata versata sul fuo-co degli integralismi, nuovi pericolosissi-mi argomenti sono stati regalati al vero opresunto conflitto di civiltà.

una terza via

Dobbiamo, dunque, tornare alla «terzavia» proposta invano più di venti anni fa

da Pietro Scoppola? All’introduzione all’in-terno dell’impianto curricolare, e quindiper tutti gli studenti, di una materia dedi-cata alle scienze della religione? La solle-citazione a ridiscuterne è venuta, in que-sti ultimi mesi, dalla richiesta delle comu-nità islamiche di attivare, in base a unalogica concordataria che certo non preve-deva un impatto così forte e così irreversi-bile dell’immigrazione, l’insegnamentoscolastico anche della religione musulma-na. Una strada, finora sempre rifiutatadalle minoranze religiose presenti nel no-stro paese, a partire dai valdesi, che po-trebbe dar luogo a pericolose caratteriz-zazioni confessionali della scuola pubbli-ca: senza, beninteso, far avanzare di unsolo passo l’educazione al pluralismo e alconfronto tra diverse culture e identità.Sono sempre più numerose, infatti, le vocidi studiosi e politici, anche appartenenti almondo cattolico, che auspicano se non ilsuperamento immediato dell’insegnamen-to concordatario – che implicherebbe for-zature politiche per lo più considerate as-sai poco probabili – la trasformazione del-la cosidetta «ora di niente», cioè delle atti-vità alternative previste per coloro che «nonsi avvalgono», in un insegnamento acon-fessionale di storia o di scienze delle reli-gioni per tutti gli studenti, curato da do-centi pubblici appositamente formati e sot-

toposto a normale valutazione dei risultati,proprio come ogni altra materia curricola-re. In questo modo, oltre che un depoten-ziamento delle insorgenze confessionali divaria provenienza, si avvierebbe un proces-so di riappropriazione da parte della scuo-la di una piena titolarità formativa anchein questo campo. Con il vantaggio, da unlato, di non ledere i diritti di quelle famigliecattoliche che chiedono l’insegnamentoconfessionale; dall’altro, di mettere fine auna incultura religiosa diffusissima ed evi-dentemente insostenibile perché foriera dichiusure e di intolleranze. L’ipotesi, discus-sa in un incontro nazionale del dicembrescorso, organizzato da diversi autorevolisoggetti: il movimento «Agire politicamen-te», l’Università di Perugia, l’Istituto Stata-le di cultura religiosa di Trento, la Facoltàvaldese di teologia, viene commentata e di-scussa con interesse negli ambienti cultu-rali e politici più attenti al ruolo che l’edu-cazione pubblica deve avere nelle societàinvestite dai fenomeni dell’immigrazione,della mondializzazione, del rinfocolarsi divecchi e nuovi integralismi.

il vuoto delle università

È possibile, dunque, che nonostante lenumerose perplessità o contrarietà che sifondano su ragioni od opportunità di na-

TERRE DI VETRO

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tura politica ma anche sulle difficoltà diuna ridefinizione non laicista della laicitàdello Stato, stiano per maturare approccial problema più maturi e più adeguati alleurgenze di oggi.Non mancano però obiezioni di natura di-versa, che meritano anch’esse di essereconsiderate. La più importante riguardal’assenza, nel nostro paese, di percorsi uni-versitari pubblici in grado di formare edabilitare in scienza e storia delle religioniun nuovo corpo professionale di insegnan-ti. È vero: con la rinuncia della scuola pub-blica e, più in generale, della cultura laicaa misurarsi in modo non confessionale conquella «polifonia» e quell’«integrazione»tra culture e tradizioni cristiane che carat-terizza – come ha recentemente sottoline-ato Benedetto XVI – il tessuto etico e de-mocratico del continente europeo, anchele università pubbliche hanno finito coltenersi fuori da uno sviluppo organico esistematico della ricerca scientifica e diappositi percorsi formativi in questo cam-po. Un paradosso – ma solo apparente – inun paese che rivendica a ogni pie’ sospin-to il suo fermo ancoraggio alle radici dellacristianità. Occorrerebbero dunque nuovenorme, e sarebbero necessari investimen-ti dedicati, non solo nella scuola ma an-che nelle università, per superare questogap. Un’impresa del resto non impossibi-le, anche se non risolvibile in tempi bre-vissimi.

gli insegnanti di religione

Più insidiose e imbarazzanti sono invecele obiezioni che, guardando alla probabileprogressiva trasmigrazione degli studentiiscritti all’insegnamento religioso concor-datario verso un insegnamento non con-fessionale, mettono al centro il destinodegli attuali insegnanti di religione. Unacategoria di circa 25.000 professori, forma-ta ormai per oltre tre quarti di personalelaico e fortemente femminilizzata (51,9%)che, in base a una legge del 2003, è statagenerosamente sottratta sia alla condizio-ne di precari a vita sia ai rischi di perditadel lavoro connessi con la sempre possibi-le cessazione del riconoscimento dell’ido-neità ad insegnare da parte delle autoritàecclesiastiche: con l’impegno del Miur e dellegislatore non solo ad una progressiva im-missione in ruolo ma anche ad un loro riu-tilizzo su altre discipline nel caso disgra-ziato di perdita dell’accreditamento pro-fessionale. Potrebbero, nell’ipotesi caldeg-giata dal professor Pietro Scoppola e daaltri, accedere a una riconversione profes-

sionale orientata a ricoprire le cattedre del-l’insegnamento di scienza e storia delle re-ligioni? E come conseguire i necessari ti-toli universitari senza essere costretti a fre-quentare i lunghi percorsi formativi abili-tanti che dovrebbero essere attivati, in que-sto caso, dalle università?Si tratta, anche in questo caso, di proble-mi non insuperabili. Nei processi di rifor-ma e di innovazione del sistema scolasticoitaliano, sia quelli previsti dalle norme pro-mosse dal ministro Moratti sia quelli chesono comunque indispensabili per miglio-rarne il funzionamento e i risultati, saran-no certamente moltissimi gli insegnanti ditutte o molte discipline che, per il muta-mento della composizione delle cattedre,l’introduzione di nuovi ruoli e funzioni, losviluppo della formazione degli adulti, lenuove esigenze determinate dai flussi mi-gratori, l’introduzione di nuovi saperi e dinuove tecnologie di insegnamento e di ap-prendimento, dovranno non solo aggior-nare le loro competenze ma rientrare inautentici ed organici percorsi formativi.

riconversione possibile

Niente di terribile né di impraticabile se aquesti processi di riconversione professio-nale dovessero partecipare anche quote, piùo meno significative, degli insegnanti di re-ligione. Sarebbero in buona compagnia, ol-tre che con i loro colleghi di altre discipli-ne, con le decine di migliaia di studenti-la-voratori – o di lavoratori che, nel mondodell’«apprendimento per tutto il corso del-la vita», già oggi combinano gli studi conl’occupazione e con gli impegni della vitaadulta. Disponiamo, per fortuna, di tecno-logie in grado di realizzare la «formazionea distanza», di consorzi universitari che dadiversi anni la realizzano con buoni risul-tati, di esperienze positive nell’istruzionescolastica e nell’alta formazione.Non sono qui, dunque, i principali ostacolial superamento di quel «vuoto pedagogico»nel campo delle scienze della religione chePietro Scoppola rimprovera al nostro siste-ma educativo. Sono in una tradizione dialtri tempi, in una concezione della laicitàdello Stato che non tiene più di fronte ainuovi bisogni di educazione al pluralismoe al dialogo interculturale delle nostre so-cietà complesse, in un rapporto tra Stato eChiese che richiede il coraggio culturale epolitico del rinnovamento. E in un diffusis-simo timore del mondo politico a guardarein faccia le cose e a ridiscuterle.

Fiorella Farinelli

RELIGIONIASCUOLA

sentiamoci presto

OlivieroMotta

Quando bussa pare che debba ab-battere la porta: due o tre pesan-ti colpi di fila che fanno tremareil vetro centrale e lo annuncianosenza ombra di dubbio. Poi, ra-pido, compare lui, con la consue-ta espressione furba e sorriden-

te: della serie «ti ho fatto spaventare, eh?».Un’irruzione, più che una entrata.Roberto è proprio così, come la rapida suc-cessione di emozioni che suscita il suo in-gresso in una stanza: una inquietante molefuori dall’ordinario mixata con un cando-re disarmante, un omone dalla faccia diragazzino.Trent’anni vissuti tra molte difficoltà: ilprecoce abbandono scolastico per un lie-ve ritardo mentale, una vita affettiva e re-lazionale molto precaria, fino al litigio e aldistacco dalla famiglia d’origine e qualchemese da homeless. Senza fissa dimora nel-la stessa piccola cittadina natale: anche inquesto Roberto era riuscito a fare qualco-sa di stra-ordinario. In quel periodo lo in-crociavo spesso per le strade del centro,con le sue borse di plastica, il sacco a peloe il cappello calato sugli occhi che lo face-va ancora più uomo-buffo-delle-caverne.Lo incontrai anche il giorno della mortedi suo padre, con tutta la disperazione dichi non aveva potuto esserci e il rammari-co delle furibonde litigate durate fino al-l’altro ieri.Poi, al contrario, la progressiva risalita: lamensa dei poveri come primo punto di ri-ferimento, il sostegno dei servizi sociali edei volontari della Caritas, infine l’assegna-zione di una casa popolare tutta sua dovericominciare.Ma, nonostante questo significativo percor-so di reinserimento, un lavoro serio anco-ra non ce l’ha e si arrangia con occupazio-ni saltuarie e occasionali: volantinaggi,sgomberi, montaggio e smontaggio di

stand.E tra un lavoro e l’altro, una settimana sì euna anche, arriva a «bussare» a questaporta.Se i primi incontri erano soprattutto di ri-chiesta e di aiuto, ora non c’è più un moti-vo particolare per vedersi. E così Robertosi siede di fronte alla scrivania e aspettache sia io a porgergli qualche domanda aproposito della sua vita quotidiana: la sa-lute, la madre che ora rivede frequente-mente, incontri e scontri di ogni giorno.Domande e risposte ordinarie, insomma,di chi si incrocia ogni tanto e si aggiornasulle ultime nuove.A dire il vero non è raro che l’«irruzione»di Roberto avvenga quando il lavoro incorso non lascia tempo a un dialogo veroe proprio; ma anche in questi casi lui pren-de posto con rapidità e aspetta: qualchemonosillabo qua e là, per il resto il silen-zio tutt’altro che imbarazzato di chi si co-nosce da tempo e può permettersi di starecosì, senza apparente costrutto.Le prime volte ho avvertito un certo disa-gio perché il fatto di continuare a lavorareappariva ai miei stessi occhi come unamancanza di rispetto o la certificazione diuna fastidiosa asimmetria tra di noi. Coltempo, invece, mi è sembrato di coglierein queste strane parentesi un modo di co-municare «diverso», un ascolto fatto nontanto con l’udito ma con altri irrintraccia-bili sensi.E Roberto oggi non è l’unico a praticarequesto singolare linguaggio non verbaledalla grammatica e dal vocabolario sem-plicissimi: stare, permanere, guardare, es-serci. Accontentarsi.È come se alcune persone venissero a «sen-tirti» più che ad ascoltare o parlare con te.«Sentire», insomma, che ci sei, con i modie i tempi che le circostanze permettono.Semplicemente.

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LA GIUSTIZIA IN ITALIA

il fantasmadellapena di morte

GiancarloFerrero È

del tutto comprensibile sul pianoumano la violenta reazione popo-lare di fronte all’efferato delittocommesso a Casalbaroncolo adanno del piccolo Tommaso. Adeterminarla concorrono con for-

za sinergica diversi fattori, quasi tutti dicarattere prevalentemente emotivo comela pietà, il dolore, la condivisione, il sensodi giustizia, l’inconscia necessità di alleg-gerire l’insopportabile tensione provocatadal crimine, la rimozione del senso dell’or-rore, il ripristino dell’ordine e della sicu-rezza attraverso il castigo. Decisamentediversa, per natura e finalità, deve, invece,essere la risposta dello Stato, nella sua con-figurazione più moderna e civile. Secoli dievoluzione etico-giuridica, di studi crimi-nologici, di conoscenze psichiatriche e psi-cologiche hanno portato a valutazioni ar-ticolate e più approfondite dei fenomenidelittuosi e corrispondentemente a ricer-che di modalità diverse di prevenzione epunizione dei crimini in un’ottica di mag-giore razionalità ed efficacia pratica.

un anacronismo storico e etico

La brutale legge del taglione: occhio perocchio, dente per dente, ha nella violenza

e nella vendetta le sue origini e le sue fina-lità, si perde nella notte dei tempi quandoetica e diritto rispondevano a provocazio-ni istintuali ed a regole tribali che non fan-no e non debbono più far parte della sto-ria umana e dell’evoluzione degli stati didiritto a base democratica. Rappresenta unanacronismo storico ed etico la previsio-ne della pena di morte in alcuni stati con-siderati moderni; si tratta in realtà di unancestrale residuo della memoria primiti-va a cui si tenta di fornire un alibi sostan-zialmente insostenibile sul piano morale efalso sul piano pragmatico.Già nel 1700, con un’anticipazione profe-tica e culturale, C. Beccaria bene illustra-va nel suo editorialmente modesto, maconcettualmente superbo volumetto «Deidelitti e delle pene», che il castigo inflittodal potere pubblico al responsabile del cri-mine deve porsi su di un piano etico edemotivo nettamente diversi da quello cheha mosso il delinquente. La reazione vio-lenta e passionale dequalifica la pena pub-blica, le toglie quel significato e quel valo-re che sempre deve avere per porsi al disopra delle parti ed essere espressione divera giustizia e di concreta tutela della so-cietà. La crudeltà della pena non rispondeminimamente a questi essenziali ed irri-

nunciabili requisiti e non ha alcuna giu-stificazione giuridica e valida efficacia so-ciale. È ormai un fatto notorio che l’effe-ratezza della punizione non aumenta mi-nimamente la funzione preventiva dellapena, come inequivocamente dimostral’esperienza storico-sociale in epoche epaesi diversi dove i delitti più gravi hannoconvissuto perfettamente con i castighi piùcrudeli, senza venirne non solo condizio-nati, ma neppure in qualche modo influen-zati.La psicologia e la criminologia hanno stu-diato a fondo il fenomeno ed hanno forni-to molteplici spiegazioni di non semplicelettura, alcune delle quali fanno leva, al-meno per i delitti più passionali, impulsivie violenti, ad una sorta di offuscamentodell’intelligenza e del senso morale tale daimpedire la coscienza e la percezione del-le proprie azioni criminose nel momentoin cui le si compiono. Ciò ovviamente nonesclude, salvo in casi eccezionali, l’impu-tabilità e una sufficiente capacità di inten-dere e di volere da consentire di essere giu-dicati e subire la pena prevista.Il problema non è la durezza del castigo,ma la sua certezza e rapidità di esecuzio-ne. Come già scriveva nella seconda metàdel ’700 il Beccaria: «Uno dei più gran fre-

ni dei delitti non è la crudeltà delle pene,ma l’infallibilità di esse ‘ed ancora’ quan-to la pena sarà più pronta e più vicina aldelitto commesso tanto più giusta e tantopiù utile... quanto è minore la distanza deltempo che passa tanto più forte e più du-revole nell’animo umano l’associazioneDelitto e pena» (e, quindi, più incisiva lasua efficacia «intimidatoria e preventiva»)L’avversione del Beccaria alla pena dimorte è totale non solo per la sua inutili-tà (ed aggiungiamo noi per l’irreparabili-tà dei non infrequenti errori giudiziari),ma perché, «se le passioni e le guerre han-no insegnato a spargere il sangue umano,le leggi della condotta degli uomini nondovrebbero aumentare il fiero esempio,tanto più funesto quanto la morte legaleè data con studio e con formalità. Parmiun assurdo che le leggi... che detestano epuniscono l’omicidio, ne commettano unoesse medesime».

paralisi della funzione giudiziaria

Il vero problema è da noi l’estrema lentez-za dei processi che ha come inevitabileconseguenza il ritardo nell’esecuzione dellepene e spesso la loro incertezza, facendocosì venir meno in gran parte la natura e

PAROLE CHIAVE

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le finalità della pena stessa sul piano indi-viduale e sociale.L’opinione pubblica rimane a ragione di-sorientata ed è questa una delle principalicause della poca simpatia dei cittadini ver-so la magistratura. Oltretutto questi ritar-di stanno determinando, dopo l’entrata invigore della c.d. legge Pinto sul risarcimen-to per ritardata conclusione dei processi,un vero e proprio salasso alle casse delloStato, sempre più di frequente condannatoa pagare i danni agli utenti della giustiziain lunga e non più paziente attesa (si trattadi milioni di euro in costante crescita).Per combattere questo gravissimo e croni-co fenomeno che dequalifica ed a voltedeforma la giustizia ben poco è stato sino-ra fatto. Anzi proprio in questi giorni sistanno varando decreti legislativi in attua-zione della riforma dell’ordinamento giu-diziario, una vera e propria vergogna van-tata per insipienza (a non dir d’altro) dellapassata maggioranza politica. Se, infatti,la riforma venisse completamente attuatasi arriverebbe ben presto, per la sua farra-ginosità e disarmonia con il complesso si-stema, alla paralisi della funzione giudi-ziaria, con conseguenze imprevedibili sulpiano interno ed internazionale. Il proble-ma da tempo insostenibile ed indegno diun paese civile va affrontato in termini dia-metralmente opposti a quello recentemen-te spacciato come riforma, cioè andandoverso la semplificazione organizzativa eprocessuale per ottenere un ben diversorendimento sostanziale.Più fattori incidono negativamente sul fun-zionamento della giustizia, dal numeroassolutamente sproporzionato (rispetto atutti gli altri paesi) di avvocati, alla frantu-mata distribuzione delle sedi giudiziariesul territorio nazionale (in un’ottica dacalesse ed in uno spirito campanilistico;decine di tribunali con i loro edifici e costiper una sola regione), un sistema proces-suale irto di preclusioni, difficoltà e tra-bocchetti, un’incredibile povertà di strut-ture e personale ausiliario, modalità obso-lete di reclutamento ed impiego dei nuovimagistrati, non poche volte cattiva orga-nizzazione all’interno degli uffici (è unalodevole eccezione, tra le grandi sedi, il tri-bunale di Torino che ha trovato un’onore-vole collocazione nel programma giudizia-rio di Strasburgo).

la vita è sempre sacra

Poiché la lentezza della giustizia italiananon ha riscontro in altri paesi europei èdifficile comprendere la ragione per cui

non si adotti anche da noi il sistema vi-gente nel paese più efficiente, senza ov-viamente nulla cedere al rispetto dellegaranzie dei cittadini. In verità la soluzio-ne migliore e di gran lunga auspicabilesarebbe quella di addivenire al più prestoad un sistema unico per tutta la comuni-tà, almeno per gli stati di più antica for-mazione europea e di analoga cultura giu-ridica.Se consideriamo questo deleterio, croni-cizzato male della nostra giustizia, la suaestrema lentezza, la pena di morte divieneancora più assurda e ripugnante di quan-to già non lo sia. Condurre al patibolo, conun cerimoniale degno di un film dell’orro-re, un essere umano dopo 10 o 20 annidalla commissione del delitto costituisceun tale obbrobrio etico ed oltraggio giuri-dico da far dubitare dell’intelligenza, dellaciviltà e della coscienza morale di tutti queicittadini che ammettono, anche solo pas-sivamente, la pena di morte. Chiunque ab-bia letto l’agghiacciante libro di Chessman:Cella 2455 braccio della morte e si ricordidell’esecuzione del suo autore dopo decen-ni di straziante attesa non ha bisogno dialtre parole.

la barriera costituzionale

Per fortuna da noi c’è una barriera insu-perabile eretta dalla non mai abbastanzalodata Costituzione:art. 27 «non è ammes-sa la pena di morte», poche, inequivocabi-li parole scolpite nel cuore del nostro si-stema giuridico e che ne qualifica l’essen-za stessa. Ha scritto di recente GustavoZagrebelsky, uno dei nostri migliori saggi-sti e profondo conoscitore della Costitu-zione: «morte e guerra sono decisioni ir-reversibili, dalle conseguenze irreparabili.Il divieto della morte come pena dispensa-ta dagli uomini contro altri uomini, signi-fica che la vita non è mezzo, ma fine. Nonè lecito allo Stato sottrarla nemmeno a chisi è macchiato dei crimini più terribili... lavita non può infatti considerarsi sacraquando è quella della vittima e non piùsacra quando è quella dell’omicida. O è unfine in tutti i casi o si corre il rischio chediventi un mezzo, quando occorre in vistadi qualche altro valore, brandito come unaclava tra gli esseri umani. Se abbracciamoquesta seconda possibilità, siamo prontiper lo Stato totalitario, lo Stato per l’ap-punto che considera gli individui al servi-zio dei suoi scopi e dispone di loro come equando vuole».

Giancarlo Ferrero

LAGIUSTIZIAIN ITALIA

l consociativismo è una pratica poli-tica per la quale le forze di opposizio-ne vengono coinvolte nelle scelte di go-verno e nella gestione del Paese. Essointende garantire la stabilità attraver-so la corresponsabilità nelle decisio-

ni. L’esigenza di intese corporative si affac-cia in momenti di particolari e gravi emer-genze (i «gabinetti di guerra» della GranBretagna durante il secondo conflitto mon-diale), o quando si tratta di ricostruire unpaese lacerato da dittatura o guerra (la Spa-gna postfranchista, l’Italia dopo la cadutadel fascismo, con i governi Dc-Pci). In as-senza di emergenza, il consociativismo sot-tintende solamente una volontà spartitoriadi potere, risorse e di cariche pubbliche daparte della corporazione dei politici.Il consociativismo può essere proposto an-che quando risulti impossibile coagulare, at-traverso le elezioni, una maggioranza in gra-do di garantire la governabilità. In tale con-testo è facile che venga alterata la limpidez-za del confronto democratico, e che si pro-ducano due conseguenze di segno opposto:una carenza e un eccesso di decisioni.La carenza decisionale porta all’immobili-smo e riguarda l’impossibilità a prendere de-cisioni profondamente innovative e radica-li, a causa del veto che, di fatto, possono op-porre le forze di opposizione. Per contro, l’ec-cesso può derivare dal fatto che, per vincereil potere di veto, si prendono decisioni, com-portanti uscite di denaro pubblico, poco pro-ducenti per la collettività, ma gradite all’op-posizione. Questa combinazione di carenzaed eccesso costituisce una delle cause fon-damentali del buco nella pubblica finanza.Nell’Italia recente il consociativismo si èsviluppato negli anni Settanta ed Ottanta.In quegli anni i partiti di governo e di op-posizione (sostanzialmente la Democraziacristiana di Aldo Moro e il Partito comu-nista di Enrico Berlinguer) costatata l’im-possibilità dell’alternanza, a causa delladivisione del mondo in due blocchi con-trapposti, e stretti dalla necessità di dareuna risposta alle tensioni causate dalla crisieconomica, dalle trame antidemocratichedei servizi segreti, dalle violenze perpetra-te dalle opposizioni extraparlamentari di

consociativismoRomoloMenighetti I

destra e di sinistra, da un’inflazione oltreil 15 per cento, hanno tentato di dare ri-sposte convergenti onde garantire la sta-bilità del sistema politico italiano.Nei fatti, il consociativismo si concretizzònel governo monocolore di «solidarietà na-zionale» presieduto da Andreotti negli anni’76-’79. Il governo Andreotti del 1976 («mo-nocolore delle astensioni») nacque con i votidella Dc e con l’astensione di tutti i partiti diquel che allora era chiamato «arco costitu-zionale», sulla base di un programma con-cordato e verificato, in via ufficiosa, da tuttele forze dell’astensione. Tale politica permi-se, in quegli anni, a Giulio Carlo Argan, diessere il primo sindaco comunista di Roma,e a Pietro Ingrao, pure lui comunista, di es-sere eletto presidente della Camera.La politica del consociativismo ufficiosofu pagata cara dalla Dc e dal Pci. Quest’ul-timo perse, nelle elezioni del 1979, circa il4 per cento dei voti rispetto alle politicheprecedenti, mentre la Dc uscì sfilacciatain mille rivoli. Dopo la parentesi Spadoli-ni, Craxi porterà il sistema politico italia-no dal consociativismo alla logica sparti-toria del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani),con conseguente degenerazione nella cor-ruzione elevata a sistema, fino allo scan-dalo di Tangentopoli.Con Berlusconi si ritornò alla logica e allapolitica dello scontro frontale, dello spoilsystem, del «non faremo prigionieri». Talepolitica è stata da lui praticata e teorizzatafinché ha avuto la maggioranza parlamen-tare, salvo poi a proporre il consociativismonon appena questa gli è venuta meno.Il consociativismo, comunque, conservauna connotazione positiva unicamente afronte di gravi emergenze.Entro queste eventualità, esso può risolver-si in bene per la collettività solo se: tutte leparti si riconoscono e si legittimano senzariserve mentali; se vi è unanime e pienaadesione al metodo democratico intesocome sistema di regole, cui assoggettarsianche quando non conviene alla propriaparte; se l’obiettivo da raggiungersi da par-te di tutte le componenti è il bene comunedel Paese, e non il mantenimento, comun-que, di una qualche porzione di potere.

Rosella De LeonibusPSICOLOGIA DEL QUOTIDIANO

AMORE E DINTORNIVorrei che fosse amoreCoppia, il catalogo è questoL’amore gayIl romanzo della coppia tra parole e silenziL’altro/a: un mistero da riscoprireUno più uno uguale treIl nido vuotoPadri cercansi, disperatamenteFiglie di madriAdulti ed adolescenti: cinque parole per dirloPSICHE E DINTORNIE se l’io diventasse meno ingombrante?Sulle tracce dei cambiamentiConvivere col caosMalati immaginari?Fuggire col fumoMi gioco tuttoMagra per rabbia, magra per amoreDesiderare il futuroSiamo rete-dipendenti?CONVIVENZA SOCIALE E DINTORNIAppunti per un io postmodernoDietro le quinte della persuasioneIl marketing delle ideeTempo per vivereDel Più e del MenoLe scorciatoie del pensieroFare la differenzaLe sfide dell’interculturaI frutti della pauraFiducia o buon senso?La cura della relazioneDesiderio di “noi”

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Giannino PianaETICA SCIENZA SOCIETÀi nodi critici emergenti

LE CATEGORIE ANTROPOLOGICHEL’uomo e il suo corpoChe cos’è la naturaLa vita mistero e donoLa morte e il morireSalute e cura nel contesto del limite umano

I CRITERI DEL GIUDIZIO ETICONon uccidereLa responsabilità morale oggiL’etica del rischioLa gerarchia dei beniQuattro principi-base della bioeticaI Comitati di bioeticaBioetica e biodirittoI cattolici, la bioetica e la legge

LA MANIPOLAZIONE DELLA VITA UMANAL’embrione è persona?La fecondazione assistita e l’inizio della vita personaleReferendum procreazione assistita: perché sì perché noVita e qualità della vitaLa clonazione terapeuticaDiritto a morire?Il testamento di vitaTra eutanasia passiva e accanimento terapeutico

LA CURA DELLA SALUTEIl diritto alla saluteIl rapporto medico-pazienteLa verità al malatoIl consenso informato: come, perché, chiNon esistono malati incurabiliSalute e risorse: a chi la precedenza?

ETICA AMBIENTALE E ANIMALISTAIl rapporto uomo-naturaGli animali soggetto di dirittiOGM: risorsa o rischio?

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Romolo MenighettiLE IDEE CHE DIVENTANO POLITICAlinee di storiadalla polis alla democraziapartecipativa

La polisL’umanità come comunitàLo stato nazionaleIl liberalismoMarxismo e comunismoNazionalsocialismo e fascismoLa democraziaDelusione e speranze per la democrazia

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Pietro GrecoBIOTECNOLOGIEscienza e nuove tecniche biomedicheverso quale umanità?

Ritorna Frankestein?Potenzialità e rischi della geneticaPiante e cibi transgeniciTerapie genicheLa nuova frontiera della biomedicinaClonazione terapeuticaFecondazione assistitaIl dibattito all’OnuChi è l’embrione?Armi biologiche e geneticheBioetica e bioeticheTecnologia scienza e sviluppo umanoDibattito tra scienziati, teologi, filosofi e politici

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3. Marco GallizioliLA RELIGIONE FAI DA TEil fascino del sacro nel postmoderno

IL FASCINO DELL’ORIENTEL’Oriente come metaforaParamahansa Yogananda: la vita come abbando-no misticoKrishnamurti, un profeta del nostro tempoGandhi: il sentiero dell’azione

ESPLORANDO LA GALASSIA NEW AGENew Age: un caleidoscopio religiosoL’etica della New AgeL’emozione religiosa di Paulo Coelho e JamesRedfield

ALCUNE SUGGESTIONIDAI MONDI RELIGIOSI CONTEMPORANEILa reincarnazione nel mondo delle religioniCarlos Castaneda: il fascino dello sciamanesimoIl Candomblé: la trance come festaApocalisse: un’idea perduta?New global: una provocazione anche religiosa

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Carlo MolariCREDENTILAICAMENTENEL MONDO

RILEVANZA SOCIALE DELLA FEDE IN DIOLa speranza nei tempi della disperazioneDecadenza della fede, relativismo, religione civileLa fede in Dio nella pratica politicaPolitica e profeziaGuai a voi!Secolarizzazione e dialogo interreligiosoLa nuova Europa: radici e identitàLe Chiese in difesa dell’ambiente

FEDE E CULTURALe tracce di Dio nella cultura umanaScienza e trascendenzaL’azione di Dio in un contesto evolutivoCreazionisti e neodarwinistiTeilhard de Chardin e il problema del Male

NEL VORTICE DELLA STORIALa crisi della ChiesaCome e perché cambiareLe componenti della conversioneTransizioni traumaticheLetture divergenti del ConcilioLa missione della Chiesa nel mondo attualeRitrovare l’essenzialeI laici nella chiesaI laici nel mondoIl primato della coscienzaFunzioni e limiti del Magistero

UOMINI NUOVIL’esperienza religiosaLe emozioni nell’esperienza di fedeCammini di libertàSpiritualità del gratuitoLeggi umane e fedeltà alla vitaSpiritualità della liberazione

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ENERGIA

l’anomaliaitaliana

PietroGreco I

l 26 aprile del 1986, venti anni fa,un’esplosione nella centrale nuclearedi Chernobyl nell’Unione Sovietica diMichail Gorbaciov riproponeva, intutto il mondo, il tema del rischio as-sociato all’uso civile dell’atomo. E, di

lì a poco, portava l’Italia ad abbandonareper via referendaria il suo progetto nucle-are.Nei mesi successivi a quel 26 aprile, secon-do alcuni, nasce l’ennesima anomalia ita-liana: l’anomalia energetica. Si potrebbedimostrare che l’Italia aveva, di fatto, ri-nunciato all’opzione atomica almeno ven-ti anni prima, il 3 marzo 1964, quando unastrana operazione giudiziaria portò in ga-lera Felice Ippolito, il capo del Comitatonazionale per l’energia nucleare (Cnen). Esi potrebbe dimostrare che, ancora neglianni ’80, i socialisti al governo erano mol-to tiepidi se non proprio avversi alla viaatomica verso l’indipendenza energetica.Tuttavia è vero che lo sviluppo della vicen-da nucleare italiana successiva all’esplosio-ne di Chernobyl ha contribuito non pocoa definire e a far emergere il problema ener-getico italiano. Di cosa consiste questo pro-blema, oggi, venti anni dopo Chernobyl?Di almeno tre componenti.

crisi dei combustibili fossili

La prima è comune anche ad altri paesi.Ed è la crisi profonda dei sistemi energeti-ci fondati sui combustibili fossili. Una cri-si che, a sua volta, è costituita solo in par-te da una componente che potremmo de-finire di depletion, di esaurimento delle ri-

sorse: problema che riguarda o riguarderàin un futuro più o meno prossimo il petro-lio. Ma che ha anche e soprattutto unacomponente di pollution, di inquinamen-to. Il cambiamento del clima globale im-pone a tutti i paesi industrializzati unaprogressiva riduzione nell’utilizzo dellefonti ricche di carbonio: ivi inclusi il car-bone (compreso quello cosiddetto pulito)e il metano. La versione italiana del pro-blema consiste nel fatto che il nostro pae-se deve ridurre nel prossimo quinquenniodi almeno il 13% le sue emissioni di gasserra rispetto ai livelli attuali e tra le po-che opzioni disponibili c’è quella di abbat-tere drasticamente l’uso dei combustibilifossili, che costituiscono oltre l’80% dellesue fonti energetiche. Ma entro la fine delsecolo dovremo giungere presumibilmen-te a tagli dell’ordine del 60/80% delle emis-sioni di gas serra. Alcuni paesi – tra cui laGran Bretagna e la Germania – stanno giàpreparando il phase out, l’uscita, dai com-bustibili fossili. Noi ancora no.La seconda componente è tipicamente ita-liana e costituisce, appunto, l’anomaliaenergetica del nostro paese. Siamo dipen-denti da troppe poche fonti energetiche(petrolio e metano) e dipendiamo troppodall’estero: compriamo fuori dai nostriconfini oltre l’80% delle risorse energeti-che che consumiamo. Ciò ci rende parti-colarmente vulnerabili: basta che la Rus-sia e/o l’Ucraina riducano un po’ i riforni-menti di metano per spingere il nostro si-stema elettrico sull’orlo del black out. Ba-sta un’impennata dei prezzi del petrolio perfar lievitare la nostra inflazione più che in

altri paesi.La terza componente non è solo italiana,ma in Italia è particolarmente tenace: sitratta della sindrome Nimby (not in mybackyard, non nel mio giardino). La costru-zione di una nuova centrale, sia essa a car-bone o a eolico, o di un degassificatoresuscita veementi proteste da parte dellapopolazione locale. La insostenibilità del-la sindrome Nimby viene anche evocata damolti per ricordarci che la rinuncia unila-terale all’atomo sarebbe sbagliata perché

tutt’intorno all’Italia è un proliferare dicentrali nucleari.

un mix di soluzioni

Considerata, dunque, questa situazionecosa è possibile fare per risolvere il pro-blema energetico italiano? Beh, dovrem-mo distinguere il breve periodo dal perio-do medio e lungo.Nel breve periodo occorre certamente di-versificare le fonti energetiche e i paesi

Impiantoall’idrogeno solarein miniaturarealizzatodall’Itip “L. Bucci”di Faenza.I componentisono identicia quelli usatinegli impiantiindustrialima di dimensioniridotte

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EUROPA SOCIALE

luci e ombredi uno sviluppo sostenibileMaurizioDi Giacomo U

presso cui ci approvvigioniamo. Per cuiben vengano anche i degassificatori, checonsentono di rifornirci di gas non solo daipaesi vicini e comunque con cui siamocollegati mediante metanodotti. Ma l’altragrande opzione, già nel breve periodo, è ilrisparmio energetico. Con l’uso sistemati-co di tecnologie esistenti – dicono peresempio i movimenti ambientalisti – po-tremmo evitare una quota notevole (finoal 20%) dei nostri consumi energetici.C’è, infine, il ricorso alle energie rinnova-bili: geotermico, eolico e solare, nelle suediverse opzioni. Ma queste fonti possonoavere un notevole sviluppo, cosicché oltreche nel breve ci proiettano già nel medioperiodo. In ciascuno di questi settori l’Ita-lia può ambire a diventare uno dei paesileader al mondo. Molto c’è ancora da farein ricerca, ma moltissimo si può già farecon l’uso di tecnologie esistenti. Non è deltutto infondato immaginare – come deci-so in sede politica europea – che il 15 o20% del nostro fabbisogno di energia pos-sa essere soddisfatto da queste fonti nelgiro di uno o due lustri.Se, però, ci proiettiamo nel medio e lungoperiodo conviene puntare anche sui bio-combustibili. Ovvero usare come fonteenergetica olio o alcol prodotto mediantela messa a coltura di alcune piante. Con ilprezzo del petrolio a 60 dollari a barile,l’etanolo diventa competitivo, non solo seprodotto come in Brasile da canna da zuc-chero, ma anche se prodotto da mais e fi-bre di cellulosa. Al prezzo di 60 dollari albarile potrebbe diventare competitivo an-che il biodisel: prodotto da soia, da colza eda degassificazione delle biomasse. L’usodei campi per produrre combustibili avreb-be un ulteriore triplo vantaggio: fornirenuova occupazione e, comunque, nuoveopzioni di mercato in agricoltura; sottrar-re una parte delle coltivazioni italiane alsistema protezionistico dell’agricoltura eu-ropea che tante risorse drena nell’Unionee tanta ingiustizia crea nel mondo; utiliz-zare una fonte di energia che non inquina:il carbonio liberato in atmosfera dai bio-combustibili verrebbe, infatti, assorbitodalle piante coltivate.

il nucleare di IV generazione

Non c’è in questo mix di soluzioni per laquestione energetica italiana quello spazioper il nucleare evocato da molti rappresen-tanti del passato governo Berlusconi? Beh,se per nucleare si intende quello classico, dagrandi centrali, probabilmente no. Per i so-liti tre motivi. Per costruire un sistema ener-

getico fondato sul nucleare occorrono: mol-to tempo (almeno 15 anni); grandi investi-menti; superare le sindromi Nimby (che inpresenza di grandi centrali diventano gran-di sindromi) e, soprattutto, risolvere il pro-blema – a tutt’oggi irrisolto – delle scorie.L’insieme di questi problemi rende davveropoco realistico un nuovo programma ener-getico fondato sul nucleare classico.Tuttavia, per chi non ha obiezioni controla tecnologia in sé, c’è un percorso che con-viene intraprendere in ambito nucleare. Èun percorso di ricerca, scientifica e tecno-logica, per verificare se è possibile realiz-zare un programma fondato sul cosiddet-to nucleare di IV generazione. Si tratta diun nucleare profondamente diverso daquello del passato. Non solo perché, alme-no in prospettiva, è fondato su piccole cen-trali a sicurezza intrinseca. Ma anche per-ché promette di risolvere alla radice il pro-blema delle scorie, in quanto non ne pro-duce. La strada verso il nucleare di IV ge-nerazione è ancora lunga. Tuttavia le pro-spettive che evoca rendono convenientetentare di percorrerla.

la speranza idrogeno

E l’idrogeno? Forse non è stato detto che èin questa molecola – H2 – che si concentrala gran parte delle speranze energetiche delmondo? Certo, anche l’Italia – con i suoiricercatori e le sue industrie – deve verifi-care se l’idrogeno può diventare il fulcrointorno a cui ruoterà il sistema energeticodel futuro. Ma occorre anche ricordare chel’idrogeno non è una fonte di energia (sul-la Terra non esistono grandi quantità diidrogeno molecolare), bensì un vettore. Unvettore che si candida a sostituire il vetto-re petrolio e tutti i suoi derivati (benzina,olio combustibile) in una parte notevoledei luoghi di consumo dell’energia, peresempio nei trasporti. Tuttavia il vettoreidrogeno occorre produrlo. E per produr-lo – a titolo di esempio, mediante disso-ciazione elettrolitica dell’acqua – occorreenergia. E dove si trova l’energia necessa-ria a produrre l’idrogeno?Per rispondere a questa domanda non pos-siamo fare altro che rimandare al mix disoluzioni prospettate più in alto. E, soprat-tutto, ricordare un altro fattore da mette-re in campo. La volontà e la lucidità di cam-biare registro in fatto di energia, prima chel’anomalia energetica italiana si affermicome un ostacolo insuperabile per lo svi-luppo del paese.

Pietro Greco

ENERGIA

n tema spinoso, con ricadute mol-to vaste e che continuerà a aleg-giare anche nel panorama dell’Ita-lia del dopo elezioni politiche del9-10 aprile 2006, quello affronta-to, a Roma, il 16-17 marzo, dal-

l’Istituto Eurispes e dalla Fondazione Frie-drich Ebert, tedesca, vicina al partito so-cialdemocratico (Spd) «Europa sociale perun progetto comune di sviluppo socialmen-te sostenibile».Su questo terreno, alla luce della non rea-lizzazione degli obiettivi fissati nel 2002alla conferenza internazionale di Lisbona(Portogallo). Con l’Unione Europea a 25(che dal 2007, tranne slittamenti, si apriràanche a Romania e Bulgaria) – è inutilenasconderselo – il rischio di vaste regres-sioni è dietro l’angolo.Le cifre fornite da Gian Mario Fara, presi-dente dell’Eurispes e basate su rapporti ericerche realizzate da organismi comuni-tari, parlano chiaro. In Europa 72.000.000di persone – ovvero il 16% dell’intera po-polazione – sono a rischio povertà.In Italia coloro che si trovano in questecondizioni, secondo una ricerca del 2004,sono 2 milioni e 674 famiglie per un com-plesso di 8.000.000 di persone coinvolte.La percentuale italiana – 19% – pari al li-vello di Portogallo e Spagna è inferiore solodi un 2% rispetto al 21% che accomunaIrlanda, Grecia e Slovacchia.Se si aggiunge che il 20% di europei in buo-ne condizioni economiche possiede da soloquasi 5 volte in più ricchezza di quanta neabbia il 20% dei cittadini meno abbienti eche 3.500.000 europei sono coinvolti nel fe-nomeno del precariato, che rende impossi-bile una ‘buona flessibilità, in presenze ditutela scarse e diseguali, il terreno sul qua-le intervenire appare molto accidentato.

la situazione Italia

In un quadro di stallo dell’occupazione la-vorativa nell’Ue in Italia, sulla base di sti-me dell’Ires – un centro studi espressione

della Cgil – i lavoratori atipici sono oltre 4milioni. In tale contesto va segnalato chequasi a prevedere una cronicizzazione diquesto fenomeno nel tempo, di recente,Banca Intesa, prima in Italia, ha lanciatouna particolare proposta per l’accesso almutuo per la prima casa. Questi atipici mo-nitorati più da vicino risultano così scom-posti: 1,6 milioni assunti con contratto atempo determinato, 1.117.200 collabora-tori coordinati e continuativi o a progetto.Esistono poi 502.000 assunti con contrat-to di somministrazione, ai quali si aggiun-gono 106.000 collaboratori occasionali,311.000 collaboratori con partita Iva e400.000 associati in partecipazione.Se si aggiunge che nel biennio 2002-2004gli iscritti al fondo speciale per la gestioneseparata dell’Inps, aperto ai lavoratori pa-rasubordinati, è cresciuto di 500.000 iscrit-ti e tenendo conto che nel 2005 i lavorato-ri detti Co.Co.Co. hanno raggiunto il 14,9%del totale degli occupati, si può stimare chel’incidenza del lavoro ‘atipico’ pesa per il17 % al Centro, al Nord per il 16% e al Sudper l’11,1%: «una realtà più contenuta manon marginale» annota la scheda distribui-ta dall’Eurispes.Nel Sud in particolare il lavoro atipicocoinvolge il 24,9% di donne contro il 18,7%di uomini.

dalle cifre ai problemi

Qual’è uno degli snodi? In Italia solo unquinto dei disoccupati beneficia di trasferi-menti statali in caso di perdita del posto dilavoro, mentre in molti paesi europei inter-venti analoghi coprono l’80% dei potenzia-li beneficiari e ancora in Italia non esisteun sistema di protezione di ultima istanza.La scheda Eurispes ha richiamato in sinte-si il caso della Danimarca, evocato dallo stu-dioso di economia Francesco Giavazzi ediventato una sorta di icona nel senso chelì vi sarebbe un mixer positivo tra la libertàdi impresa e una rete sociale di protezioneper i senza lavoro, nella campagna comu-

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EUROPASOCIALE

nicativa de «La Rosa nel pugno».In Danimarca il lavoratore è scarsamenteprotetto dal licenziamento, ma, in caso diperdita del lavoro, può usufruire di un sus-sidio di disoccupazione che gli garantisce itre quarti del salario anche dopo tre anni.La Danimarca spende per la rete di prote-zione sociale il 30% del prodotto interno lor-do, con il 9,2% destinato ai disoccupati. InItalia la spesa per la rete sociale tocca il 26,1%del prodotto interno lordo mentre ai disoc-cupati è destinato l’1,7% e in presenza di undeficit pubblico italiano estremamente alto,a differenza di altri paesi dell’Unione Euro-pea. (Secondo una stima di Luca Ricolfi ne«La Stampa» di lunedì 3 aprile 2006 ciò im-plicherà nel 2007 una manovra correttiva dicirca 30 miliardi di euro ovvero una cifra –con un arrotondamento di 1 Euro = 2000lire anziché 1936 – a 12 zeri sulla base dellevecchie lire: 60.000.000.000.000. Ne occor-reranno, infatti, tante per restare dentro iparametri fissati dall’Unione Europea di undeficit nazionale contenuto al 3% del pro-dotto interno lordo). Con quali conseguen-ze sul livello attuale delle tasse e sul ridimen-sionamento dei servizi sociali anche essen-ziali, è facile intuire.Tali scenari incombono mentre la schedaEurispes ha ricordato che rispetto alla do-manda di nidi pubblici in Italia il 32,7% del-le richieste restano senza ascolto, il che èanche un freno a tassi di occupazione lavo-rativa più alti tra le donne.Altro aspetto problematico: la crescita del-l’edilizia sociale con sussidi governativi. InItalia vi viene destinato lo 0,007% del pro-dotto interno lordo, a un livello inferiore sitrovano solo Spagna e Portogallo. Senza di-menticare, per restare in Italia, che i quar-tieri e gli insediamenti di edilizia popolare,se non correlati con un minimo di rete diservizi e di strutture tipo collegamenti infor-matici rischiano di trasformarsi in una sor-ta di incubatrici del disagio sociale con com-portamenti violenti e con l’irrobustimentodi un’economia criminogena. Alcuni mesiorsono il sociologo Marzio Barbagli ha pub-blicato con Il Mulino una serie di rilevazioniurbane (riconosciute fondate persino dalministro agli Interni on. Giuseppe Pisanu)che hanno lasciato intravvedere l’esplodere,nel giro di alcuni anni (se non si intervienecon tempestività), di rivolte come quelle chehanno segnato e scosso diverse banlieu diParigi; un fenomeno al quale, di recente, hadedicato persino un suo editoriale il quindi-cinale «La Civiltà Cattolica», espressione diun collegio scelto di gesuiti e i cui testi sonovisionati in via preventiva da un officiale dellasegreteria di stato vaticana.Sulla forbice che si è allargata tra gruppi ri-stretti di investitori con enormi quantità di

liquidità e settore crescenti di piccoli rispar-miatori che hanno visto i loro depositi bru-ciati in una serie di «bond» con molta super-ficialità consigliati da numerose banche,sull’indebitamento col ricorso al prestito adusura, su diverse Caritas diocesane obbliga-te a pagare le bollette a pensionati che nonarrivano a fine mese, sui libretti di rispar-mio svuotati perché non si riesce a rispar-miare, in questi mesi si è scritto e polemiz-zato in abbondanza.Tutti questi filoni si stanno intrecciando conil consolidarsi dell’immigrazione struttura-le extracomunitaria nel nostro paese. Secon-do alcune proiezioni stastistiche di Giancar-lo Biangiardi, docente all’università Bicoc-ca di Milano (cfr. Il Sole 24 Ore di lunedi 3/aprile/2006), nel 2020 in Italia ogni 3 nati 1sarà di origine straniera, con un salto nelledomande di richiesta di cittadinanza italia-na «dalle poche centinaia di quest’anno aquasi 10.000 tra sei anni a più di 30.000 nel2020». Questo mutamento profondo coesi-ste con le scene da romanzo delle file deiclandestini/e di fronte agli uffici postali perottenere un permesso di soggiorno lavorati-vo e col mutamento ormai consolidato nellecarceri italiane in gran parte sovraffollate damolti detenuti non italiani tra europei e noneuropei.

le possibili risposte

Il convegno qui analizzato ha lasciato unasensazione a tratti di sgomento osservandoil divario tra i problemi individuati e le pos-sibili risposte da attuare, anche perché ilquadro dell’Unione Europea attuale non ètra i più incoraggianti. Le riduzioni di bilan-cio hanno decurtato la possibilità per un cer-to numero di studenti universitari di com-piere esperienze di studio-lavoro al di fuoridella propria nazione tramite il circuito «Era-smus». L’applicazione della direttiva Bolke-stein per la fornitura di servizi e prestazio-ni, sia pure in versione alleggerita, rimanenella pratica molto impegnativa. Essa nellaversione originaria prevedeva che un’impre-sa potesse fornire una serie di servizi per tuttal’area dell’Ue applicando la tariffa più bassapraticata nella nazione dove essa aveva sta-bilito la sua base operativa di partenza, il cheavrebbe significato per un lavoratore italia-no essere esposto alla concorrenza di un ope-raio a tariffa più bassa legato a un gruppoindustriale che si diramava dalla repubblicaCeka. Indubbiamente se la liberalizzazioneha i suoi vantaggi offrendo tariffe meno care,tuttavia, presenta contraccolpi sul piano so-ciale molto problematici perché getta, di fat-to, le basi per una sorta di guerra di tutticontro tutti simboleggiata dall’idraulico po-lacco (che si accontenta di tariffe più basse

rispetto all’artigiano francese), respinto agrande maggioranza nel referendum in Fran-cia che doveva confermare l’adesione di quel-la nazione all’Unione Europea. Nel corso delconvegno di Roma il direttore della ErbertFoundation, Michael Brown, ha rilanciatouna modalità operativa escogitata dal fran-cese Guy Monnet, uno dei padri dell’unifi-cazione europea, che nella prima parte de-gli anni Cinquanta mentre l’ideale europei-sta ristagnava aveva promosso una rete dinuclei o commando culturali per radicarequella prospettiva in città e in villaggi delusie ancora ostili per le ferite allora recenti del-la seconda guerra mondiale da poco termi-nata. Sarà un caso, ma una strategia analo-ga è stata invocata dal presidente Carlo Aze-glio Ciampi in Germania in occasione dellasua ultima visita di stato quasi al terminedel suo settennato come presidente della Re-pubblica Italiana.L’aspetto problematico di questo convegno èemerso sul piano delle proposte concrete peruscire in avanti rispetto a un quadro sociale epolitico molto pesante. Alcuni esempi su que-sta linea. Salvatore Artzeni, direttore dellasezione piccola e media industria e sviluppolocale dell’Oecd (un’articolazione dell’UnioneEuropea) con sede a Parigi, ha spezzato unalancia in favore del piano di edilizia popolareportato avanti dal governo laburista di TonyBlair. Esso ha fatto leva sui prezzi relativa-mente bassi di queste nuove abitazioni co-struite in aree industriali dismesse.La riflessione di Henng Meyer della Metro-politan University di Londra ha fornito ulte-riori dettagli su tale tema non sottacendo chetale scelta del governo Blair è stata resa pos-sibile dalla terziarizzazione crescente del-l’economia.Il fatto è che tale terziarizzazione applicataall’Italia mette in evidenza i lati molto debolidel nostro sistema. Su tale punto la «Fonda-zione Giulio Pastore» ha presentato due co-municazioni convergenti su questo punto. Illavoro del futuro in Europa appare semprepiù fondato su un mixer tra servizi integraticon il comparto finanziario e della logisticacome i trasporti e la grande distribuzione (checreano nuovi posti di lavoro) e servizi «rela-zionali» ovvero di sostegno alla famiglia cheriescono a stare in piedi perché basati sui bassisalari erogati a coloro che li mandano avanti.Una via di uscita suggerita dalle due comuni-cazioni della fondazione sopra citata è quelladi aprire maggiormente alle organizzazioni«no profit» anche di matrice industriale cheentrerebbero in partenariato nella gestione dialcuni servizi essenziali che lo stato da solonon puo’ più garantire.Ulteriore tassello. L’Unione Nazionale per lalotta all’Analfabetismo (Unla) che ha meritistorici per contrastare questa piaga in parti-

colare nel meridione d’Italia ha prospettatouna diffusione capillare della cultura infor-matica di base che può agire da stimolo e darinforzo alla fruizione dell’enorme patrimo-nio paesaggistico e naturale e in termini dibeni culturali di quella parte del paese. Sce-nario valido e stimolante che presuppone,però, un’efficace intervento dello stato percontrastare l’espansione di un’economia cri-minale particolarmente prospera in Calabria.Senza dimenticare la realizzazione di unarete viaria all’altezza della situazione e cheeviti le ore di ingorgo da affrontare lungol’autostrada Salerno-Reggio Calabria, primadi poter arrivare a tratti di mare che – nono-stante recenti processi di degrado ambien-tale – restano tra i più belli e i più ricercati ditutta l’Europa.

flessibilità sostenibile

Anche sul terreno del come andare oltre lacosidetta legge Biagi per l’occupazione a tem-po, il convegno Eurispes-Herbet Foundationnon ha fornito spunti convicenti per affron-tare un tema cruciale: come passare dallaprecarietà alla flessibilità sostenibile? Essoè stato al centro della campagna elettoralecon le diverse posizioni tra la strategia de«L’Unione» guidata da Romano Prodi e quel-la della Confindustria che si è espressa perritocchi solo parziali di questa legge. Men-tre dalle colonne del quotidiano «Europa»Savino Pezzotta, segretario nazionale uscen-te della Cisl e il suo successore Raffaele Bo-nanni, pressoché isolati, hanno messo inguardia sul fatto che il contrasto assai duroin Francia tra il governo e una parte deglistudenti e il movimento sindacale sulla leg-ge circa «il primo impiego» non va snobba-to. Secondo le loro valutazioni esso è il cam-panello d’allarme di un disagio che prima opoi può manifestarsi anche in Italia, con con-seguenze non facilmente calcolabili.In conclusione va segnalato e suona comeuna sorta di richiamo al fatto che modelliesportabili da un contesto nazionale a unaltro non esistono, se si vuole realizzareun’autentica coesione sociale, tanto che an-che in Danimarca le cose stanno per cam-biare. Il governo ha varato misure per innal-zare il tetto dell’età pensionabile e per restrin-gere i criteri di accesso alla rete dei sussidi edegli ammortizzatori sociali che erano statifino a qualche tempo fa «il segreto» di unsistema sociale capace di aiutare a cambia-re condizione sociale (passare da occupatoa disoccupato) senza contraccolpi troppoalti, in un’epoca nella quale sotto la spintadella globalizzazione la concorrenza si fa piùserrata.

Maurizio Di Giacomo

ETICA POLITICA ECONOMIA

il dialogotraeconomia e etica

l rapporto tra economia ed etica nonè mai stato pacifico. Le maggiori dif-ficoltà sono originate dal fatto che ledue discipline fanno riferimento a dueforme di ragione non immediatamen-te conciliabili. Da una parte vi è infat-

ti la razionalità economica, il cui criterioinformatore è l’efficienza nella produzio-ne dei beni; dall’altra, la razionalità etica,che si ispira al paradigma della solidarie-tà, per il quale ciò che conta è l’equa di-stribuzione dei beni prodotti, con partico-lare attenzione alle fasce più deboli dellapopolazione.La ricerca di un terreno comune di con-fronto è, tuttavia, oggi ineludibile. I muta-menti intervenuti, in questi ultimi decen-ni, nel campo dell’economia, grazie soprat-tutto agli sviluppi dell’innovazione tecno-logica, fanno affiorare interrogativi inquie-tanti, ai quali non è possibile dare risposteadeguate sul terreno puramente tecnico.Le leggi tradizionali dell’economia sembra-no, d’altronde, incapaci da sole di control-lare processi che coinvolgono variabiliumane e ambientali e che hanno a che farecon la stessa funzionalità del sistema pro-duttivo.L’esigenza che emerge è dunque quella didare vita a un nuovo modello di rapportitra economia ed etica; un modello che, siapure nel rispetto dell’autonomia delle ri-spettive sfere di competenza e di azione,crei le condizioni per un loro fecondo in-terscambio. Un modello che, in altri ter-mini, lungi dall’opporre le due razionalitàcome radicalmente alternative, tenda piut-tosto a farle entrare in interazione tra loro,rintracciando un punto di convergenza –un vero e proprio «zoccolo duro» – costi-tuito dal comune interesse per il bene

GianninoPiana I

umano.

dalla dipendenza all’opposizione

La storia del pensiero economico occiden-tale non è, al riguardo, di grande utilità.L’epoca moderna è stata infatti contrasse-gnata dallo sforzo di una graduale (e giu-stificata) emancipazione dell’economiadall’etica, la quale era, a sua volta, dipen-dente da un orizzonte «sacrale» di inter-pretazione della realtà. L’acquisizione delcarattere di «scienza», dotata di fini pro-pri e di un proprio statuto epistemologi-co, fa dell’economia una disciplina auto-noma, caratterizzata da specifiche leggiche vanno conosciute e rispettate. Questoprocesso, in realtà, già antecedentementeiniziato – dal Quattrocento in poi non man-cano importanti studi che tendono a leg-gere i fenomeni economici a partire da sestessi –, ha trovato piena espressione allafine del Settecento, a seguito soprattuttodella rivoluzione industriale.Ad essere contestata è, in un primo tem-po, l’etica fissista, di stampo «naturalisti-co», che, imponendo all’economia regoleassolute, le impedisce di perseguire i pro-pri obiettivi. Ciò che, tuttavia, successiva-mente avviene è la negazione di ogni rife-rimento all’etica, quale realtà estranea epersino disturbante. Acquisendo il carat-tere di «scienza naturale» ed esatta guida-ta da leggi matematico-fisiche – è questala concezione propria dei fisiocrati – lascienza economica non si limita a rivendi-care la propria indipendenza dall’etica matende a rifiutare radicalmente ogni rappor-to con essa, fino ad assumere un atteggia-mento di aperta contrapposizione. Razio-nalità economica e razionalità etica, am-

bedue declinate in termini «naturalistici»,si presentano pertanto come mondi chiu-si e impenetrabili, come forme di ragioneincompatibili. L’etica tenta, invano, di af-fermare la sua supremazia sull’economia,asservendola alle proprie regole immuta-bili; l’economia, a sua volta, rifiuta a prio-ri ogni riferimento all’etica, considerandolacome una indebita (e nociva) invasione dicampo.

il modello della correlazione

A provocare il superamento di questa si-tuazione di stallo è stato, in questi ultimidecenni, un insieme di fenomeni che sisono sviluppati, in modo concomitante, suambedue i fronti e che hanno reso traspa-rente l’insufficienza del modello in passa-

to dominante. Sul fronte dell’economia (edella razionalità economica) ad entrare incrisi è stata, anzitutto, la legge della mas-simizzazione della produttività e del pro-fitto, in conseguenza di una serie di feno-meni, che meritano di essere, sia pure ra-pidamente, richiamati.La crisi ecologica ha sollevato la questio-ne del limite delle risorse e della difficoltàdi far fronte a forme di inquinamento sem-pre più allarmanti; l’accentuarsi degli squi-libri tra Nord e Sud del mondo, oltre a de-nunciare il fallimento della famosa teoriadella «mano invisibile» di Adam Smith (lamano che distribuisce equamente quantoviene prodotto), ha alimentato la conflit-tualità, rendendo sempre più precaria lasituazione internazionale; l’incremento,anche in Occidente, di sacche consistentidi vecchie e nuove povertà e la crescita (alivelli patologici) della disoccupazione haprovocato l’inasprirsi dell’insicurezza conriflessi immediati (e profondi) sulla con-duzione della intera vita associata. Questasituazione non si ripercuote negativamen-te soltanto sul versante etico, ma anche suquello economico. Mentre diviene infattievidente, da un lato, la non plausibilitàdella tesi di uno sviluppo lineare, comequello ipotizzato dalla teoria economicaclassica (dietro la quale si nascondeval’ideologia del progresso indefinito di ma-trice illuminista), si rende necessaria, dal-l’altro, la predisposizione di strumenti perarginare una situazione di instabilità so-ciale, che impedisce la creazione di condi-zioni favorevoli allo sviluppo della produ-zione e determina l’inevitabile riduzionedelle possibilità di consumo.La domanda etica ricupera dunque legitti-mità e consistenza per ragioni di ordine

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strettamente economico. È chiaro infattiche produttività e profitto non possonoessere perseguiti senza attenzione alla di-sponibilità reale delle risorse e senzaun’adeguata considerazione degli equilibriecologici – il disinquinamento (laddove èancora possibile) ha costi anche economi-ci, che vanno messi in bilancio –, mentrealtrettanto chiara è la necessità di un tes-suto sociale ben compaginato quale baseper un positivo sviluppo dell’economia.Ma – è bene ricordarlo – l’etica cui l’eco-nomia deve potersi riferire, deve essereun’etica duttile, che non si accontenta diformule generiche, ma che si misura con-cretamente con la realtà economica, pren-dendone sul serio le dinamiche ed entran-do con essa in un dialogo costruttivo. Inaltre parole, si esige sul fronte dell’etica –ed è quanto è avvenuto negli ultimi decen-ni – il ricupero della dimensione storicacome condizione per sottrarsi a una for-ma di radicale assolutismo e creare le con-dizioni per un confronto diretto con la re-altà nel suo costante divenire; confrontoche consenta l’elaborazione di norme dicomportamento efficaci.

efficienza e solidarietà

Il dialogo tra economia ed etica è reso, indefinitiva, possibile dal riconoscimentoche l’economia è, a tutti gli effetti, unascienza umana, la quale esige come tale diporsi al servizio del bene integrale dell’uo-mo, e che l’etica non è, dal canto suo, iden-tificabile con un insieme di precetti impo-sti dall’alto, ma è impegno a tradurre gliorizzonti valoriali in indicazioni di com-portamento, che traggono la loro signifi-catività dalla capacità di interpretare ade-guatamente le esigenze delle varie situa-zioni esistenziali.Le istanze etiche, che vanno poste alla basedell’economia, sono riconducibili al valo-re della solidarietà, la quale ha assunto, aseguito del fenomeno della globalizzazio-ne, una dimensione sempre più universa-listica e che costituisce il criterio ultimo (edecisivo) della valutazione di ogni proces-so economico. Ma la solidarietà non puòprescindere dall’efficienza, che è il valoreproprio dell’economia. Non si dà infattipossibilità di corretta distribuzione deibeni se questi non vengono anzitutto pro-dotti; se non si rispettano cioè le leggi del-l’economia, prima fra tutte quella riguar-dante la crescita produttiva. D’altra partenon si può dimenticare – per le ragioni ri-cordate – che l’efficienza non va misuratain termini meramente quantitativi ma che

esige attenzione anche agli aspetti quali-tativi; che non è sufficiente, in altre paro-le, considerare i livelli di produttività rag-giunti, ma è anche necessario fare i conticon il tipo di sviluppo che si intende rea-lizzare e che presuppone, per essere cor-retto, il rispetto delle risorse umane e am-bientali.Solidarietà ed efficienza pertanto, lungi daldover essere considerate come grandezzeantitetiche, sono valori che si richiamanoreciprocamente: la vera solidarietà nonpuò infatti fare a meno, per essere concre-tamente praticata, di un serio confrontocon l’efficienza; mentre, a sua volta, l’effi-cienza deve necessariamente rinviare allasolidarietà per potersi definire in terminiadeguati.

distribuzione e produzione

La logica di solidarietà, all’interno dellaquale l’economia è chiamata a sviluppar-si, impone come esigenza immediata l’equaripartizione dei beni, l’esercizio cioè di unacorretta giustizia distributiva, che consentaa tutti l’accesso ad essi, e perciò la soddi-sfazione dei bisogni. Ciò era particolar-mente vero in una società – come quelladella prima industrializzazione – nella qua-le si trattava di dare risposta ad esigenzefondamentali per la sopravvivenza. Nellasituazione attuale (ci riferiamo al mondooccidentale), l’istanza distributiva, perquanto irrinunciabile, non è più da solasufficiente. La centralità assunta dal con-sumo – la nostra società è detta giustamen-te «società dei consumi» – alimenta il ri-corso, sempre più frequente, all’induzionedei bisogni, con il pericolo di generare, daun lato, forme crescenti di alienazione – ibisogni indotti sono spesso falsi e talorapersino dannosi – e di accentuare, dall’al-tro, il gap tra ricchi e poveri, tra aree svi-luppate e aree sottosviluppate del mondo.Un ruolo di prima importanza, nel quadrodella riflessione etica sull’economia, vadunque oggi assegnato alla questione del-la produzione, del che cosa si produce edel per chi lo si produce. È come dire chediventa essenziale l’elaborazione di un’eti-ca che sappia fare accuratamente discer-nimento dei bisogni, promuovendo quelliche rispondono ad esigenze vere e respin-gendo quelli indirizzati a soddisfare esigen-ze del tutto superflue, e che sappia, nellostesso tempo, individuare criteri valutati-vi che tengano in seria considerazione idiritti fondamentali di tutti gli uomini.

Giannino Piana

ETICAPOLITICAECONOMIA

SBARRE E DINTORNI

per tuttii bambini innocenti

VincenzoAndraous R

ileggendo il libro di uno dei mieiautori preferiti, tra le sue paroletutte a dritta, ho avvistato unapoesia a me dedicata.Ho ripercorso quel sentiero congli occhi del poeta, ne ho urtato

le insidie, ne ho carpito i segreti, snervatidalla mia ottusa presunzione.«Solo andata» ha intitolato l’amico Erri,solo andata per gli inferociti dai capelliimbiancati, mai addomesticati, né più at-tuali, perché estinti dalle colpe dico io.In quelle righe, fotogrammi impolverati daisecoli trapassati, nei vicoli ciechi scelti enelle solitudini cadute giù a grappolo,

come i vincoli, quelli bastardi destinati almacero.Riconoscere i suoni della strada, nei ru-mori degli sguardi, lo sferragliare dei pu-gni e degli spari, righe sgangherate di ognistoria di allora, segni diritti senza inverso,privi di rese d’accatto.Rileggere quelle parole, e sentire nel pro-fondo il rigetto per il rapimento del picco-lo Tommaso, strappato di brutto al cuore,per essere ghermito come una clava.Di fronte a accadimenti così denudati diogni dignità, ci si ritrova con le spalle almuro, senza alcuna giustificazione plau-sibile, neppure quella dell’indifferenza, odell’omertà scambiata per solidarietà, nonc’è più neanche sipario da calare per evita-re l’oppressione dell’offesa.Non c’è più sceneggiatura né romanzo scal-tro che contenga lo scempio per azioni cosìmorte di fierezza, non c’è rapinatore néassassino da fiera da esibire per tentare diallontanare le miserie inconfessabili chepossono indurre qualcuno a fare male aun bambino.Chi ha un’alta considerazione di se stesso,è poco influenzato dai giudizi altrui, manelle righe di quel libro, c’è intero il sus-sulto e il diniego per questo strappo allaragione, per quel bimbo trascinato via, chenon ha scelto di seguire i cattivi, è statocostretto a farlo, senza neppure essere con-sapevole della vita a un palmo dal baratro.Rileggo ancora i versi, e mi accorgo che inTommaso c’è l’urlo e la preghiera per unrilascio che non consente dilazioni.Proprio in Tommaso, anche se non ritor-na alla sua casa, c’è un nuovo futuro ovemigliorarsi e tentare di cambiare ciò che èestremamente sbagliato, perché controna-tura, persino per gli inferociti di un tem-po, e certamente Tommaso potrebbesenz’altro dire: mi avete fatto inferocire,ma io sono rimasto un uomo.

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COSE DA GRANDI

aaa.appoggiocercasi

’è una fiaba che narra di un bam-bino che giocava tra i rami di unalbero e si nutriva con i suoi frut-ti. Non gli mancava nulla, tutto ciòdi cui aveva bisogno era là, allaportata delle sue mani.

Una volta cresciuto, il ragazzo sente il de-siderio di farsi una casa, e l’albero, gene-roso e soccorrevole, gli dà i suoi rami percostruirsi un riparo. Poi il ragazzo diventaun uomo, e gli viene voglia di partire permare, e stavolta l’albero gli mette a dispo-sizione il suo tronco, per farne una barcasolida e sicura. Dopo molti e molti annil’uomo, ormai vecchio e stanco di vagareper i mari del mondo, torna a trovare l’al-bero, che ormai è ridotto solo ad un mise-ro ceppo e non ha più nulla da dare all’ami-co di un tempo. Ma il vecchio desidera soloriposare, e si siede sul ceppo del tronco chetanti anni prima aveva tagliato, e là si fer-ma. Ancora una volta l’albero gli aveva datoqualcosa di prezioso e vitale.

le stelle e le stalle

Molto rasserenante questo racconto, dalpunto di vista del bambino, e poi dell’uo-mo e del vecchio.Avere di sicuro qualcosa o qualcuno chesta là a disposizione per soddisfare ognimio bisogno. Il mondo esiste per la miagratificazione, io ne sono il re, e posso faredel mondo quel che voglio. Le persone chemi hanno messo al mondo, e poi l’uomo ola donna che incontrerò, sono là per nu-trirmi, proteggermi e prendersi cura di me.Esattamente al contrario di quello che af-fermava Jean Paul (Sartre), gli altri sono ilmio paradiso, nel senso che sono vincolatiall’obbligo preciso di rendermi felice. Nonsolo i genitori, ma il fidanzato o la fidan-zata, i datori di lavoro e i colleghi, gli ami-ci e i vicini di casa, il mondo intero mi deveun tributo di felicità.

Non posso pensare che questo paradisodebba finire, che io ne debba uscire, unavolta per tutte, andando a cercare con lamia personale fatica la gioia, l’amore, lasicurezza. E quando mi succede di sentir-mi buttato fuori da questo quadretto damulino bianco, allora mi sento abbando-nato/a, tradito/a, vittima della sfortuna.Giovanna aveva (già) venticinque anni quan-do le cadde addosso La Crisi. Con la maiu-scola, perché così lei si esprimeva, accen-tuando in un suo modo particolare, mentrela pronunciava, la prima lettera di ciascunadelle due parole: La Crisi. Il suo problema difondo si celava sotto le spoglie di un dilem-ma, pronunciato ancora una volta con lemaiuscole: Ho Fatto Bene o Male a LasciareIl Mio Fidanzato di Nove Anni?A parte l’uso linguistico di datare i fidan-zati con gli anni come si fa con i vini, conla differenza che, non invecchiando in bar-rique, non si sa mai se reggono bene al tem-po, Giovanna stava davvero vivendo il suoproblema sotto forma di interrogativo sullaopportunità della scelta fatta. Ed ha avutobisogno di continuare a porre la questionein questo modo per un po’ di tempo, al-l’inizio, perché non poteva neppure pen-sare che non ci fosse da qualche parte LaRisposta Giusta. Per settimane si è dedi-cata a contabilizzare gli utili e le perdite diquesta sua storica relazione, nel tentativodi trovare un saldo certo ed univoco che,nelle sue speranze, avrebbe dovuto cancel-lare tutti i suoi dubbi.Perché il Fidanzato (anche lui con la suadebita maiuscola) era stato molto rassicu-rante per lei, molto generoso, molto pre-sente in tutti i momenti della sua vita, dal-l’acquisto del computer fino alla scelta del-la facoltà universitaria, dalla consulenzasulla migliore assicurazione per la macchi-na fino al controllo sulla dieta anticelluli-te. Forse proprio per questo l’attrazione trai due si era presto spenta. Lui aveva avuto

un altro amore, lei non lo aveva potutosopportare, e allora su due piedi lo avevapiantato e aveva iniziato un’altra storia, perpoi pentirsi l’indomani mattina e precipi-tare Nella Crisi.

la rabbia e la paura

Ma i calcoli nelle cose dell’anima servonoa ben poco, e finalmente Giovanna era ar-rivata a comprendere che dentro La Crisic’era dell’altro. Per esempio c’era la suarabbia, la sua profonda terribile rabbia peressere stata privata di qualcosa che lei con-siderava assolutamente vitale.E il suo profondo, angoscioso disorienta-mento per percepirsi, esattamente comedicono i filosofi, «sola davanti al mondo»,incapace di fare qualcosa di buono per sestessa. E bloccata nel circolo vizioso delripetere un’altra esperienza di coppia com-pensativa. Inchiodata alla sua confusione,al suo annaspare disperato nell’inaccetta-bile insicurezza che le era spuntata den-tro, che non la faceva più dormire, non larendeva più efficace nello studio, non lefaceva più desiderare di vivere.Tutto ad un tratto l’orizzonte si era oscura-to, le era piombata addosso la sfortuna. Cosìlei si raccontava la sua vicenda, del tutto in-capace, ancora, di collocarsi come soggettodentro la sua vita, di cogliere un attimo diconsapevolezza, un po’ di responsabilità per-sonale negli snodi della sua storia.Il suo Fidanzato si era comportato per noveanni come l’albero della fiaba, ma un belgiorno, semplicemente, aveva smesso diaccudirla in esclusiva. È qui che Giovannasi è sentita ingannata, delusa, è qui che ilsuo bel quadretto di finta felicità si è spez-zato, e forse per la prima volta nella suavita si è trovata a sperimentare la perdita,l’imperfezione, la impossibilità di affidar-si ciecamente e completamente.Il mondo non era più come avrebbe dovu-

to essere, c’era nel puzzle qualche tassellosbagliato da rimettere a posto, bisognavaalla svelta ripristinare la copertura di si-curezza.Ma i conti non tornavano più. Le illusioni,una volta crollate, sono come i cristallirotti, non tornano mai più interi e splen-denti. Ed ecco la caduta, tanto più a preci-pizio quanto più l’illusione era stata man-tenuta a lungo e strenuamente preservatadal contatto con la realtà.Il mondo era improvvisamente diventatoostile, e lei improvvisamente molto fragi-le. Tanto incerta da aver bisogno di unacontabilità delle emozioni per darsi pace.

il prima e il dopo

In questi frangenti le persone, quando spe-rimentano la caduta possono essere moltovulnerabili, possono cercare di coprire lapaura e il vuoto con ogni sorta di dipen-denze, di cui quella affettiva è una delleversioni più raffinate. Come Potrei Soprav-vivere Senza? – era questa la disarmanteconclusione di Giovanna quando riflette-va sulla scarsa significatività della sua nuo-va relazione.La paura e il vuoto, come sentimenti difondo, ma la paura è paura di sentirsi im-potente, proprio laddove prima mi senti-vo onnipotente, e il vuoto è quello lasciatodall’abbandono, laddove prima, magari larelazione non era un gran che, ma almenomi sentivo al sicuro.Ecco un’altra dimensione nella quale spes-so le persone in questi frangenti si intrap-polano: è la mitologia del Prima, di questoEden perduto che cerco in tutti i modi diritrovare, ricostruire, rattoppare almeno,se proprio non lo ritrovo.E poi c’è la rabbia, contro tutti e tutto, e allafine anche contro se stessi, per esserci lasciatisfuggire di mano la felicità del Prima.È faticoso attraversare questa palude emo-

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zionale. Ci si perde dentro molto facilmen-te.La strada è piena di incontri difficili. Usci-re dalla beata innocenza, uscire dalla in-genua posizione di dipendenza, anche usci-re dalla paradossale tirannia che da que-sta posizione si esercita sugli altri.E poi c’è da imparare a guardare in facciala sofferenza della perdita, senza scapparesubito a cercare compensazioni. E acco-gliere la mancanza, il dolore, come fattidella vita, e rinunciare a cercare per l’en-nesima volta qualcuno cui delegare la feli-cità, sperimentare pian piano il fai-da-tedella sicurezza, il bricolage più o menoimpacciato della costruzione della mia vitacon le mie stesse mani. Attraverserò poiun passaggio dove non mi fido più di nes-suno, dove mi viene voglia di chiudermi aquattro mandate davanti al rischio di es-sere ferita di nuovo, e poi un bel giorno miaccorgerò che posso ancora sperare e fi-darmi.Non sarà mai più come Prima. Ecco il pas-saggio più importante del viaggio, questarinuncia a tornare nell’innocenza origina-ria, questa accettazione profonda della cre-scita, dell’evoluzione umana che è possi-bile solo se passo attraverso la caduta.Qualche volta la caduta è una perdita, lafine di una relazione di tipo dipendente, ladelusione naturale dell’adolescente davantiai propri genitori che non sono più perfet-ti come sembravano, o il dover uscire dauna istituzione, da un gruppo che rappre-sentavano la Certezza e la Verità. La crisidi un’appartenenza, la fine di una storiad’amore, la disillusione su un ideale o unmito personale. Allora il viaggio è nell’in-trecciare relazioni più adulte, nel costrui-re da soli la propria verità, nel cercare unriferimento interno per il principio di au-torità e di sicurezza.Altre volte la caduta non c’è neppure, e suc-cede che le persone sono anagraficamenteadulte, ma non hanno mai fatto l’esperien-za di badare a se stesse, e proprio non cela fanno, non sono neppure capaci di con-cepire una simile idea. Non sanno da dovesi comincia, diventano disperate e ango-sciate appena c’è da prendere una scelta,appena l’appoggio viene a mancare, appe-na si staccano dalla madre terra per fareun piccolissimo salto.Se la disperazione è la zavorra, allora laspinta verrà dal ricomporre briciole di spe-ranza, di fiducia in se stessi.

l’aiuto e l’inganno

Vedrai che non muori! – Sopravviverai! –

Va’, prova e vedrai che domani sarai anco-ra viva per raccontarmelo! – a volte questesono le parole con cui si ricomincia a nu-trire la speranza delle Persone Cadute.Dalla base, dal prendere sul serio la tre-menda paura di morire che attanaglia lepersone che si trovano in questo passag-gio. Dal sostenere con fermezza ogni pic-colo passaggio di autonomia, anche quelliapparentemente più insignificanti, cele-brandoli, festeggiandoli. E, ripercorrendocon attenzione tutte le tappe e tutte leemozioni che si sono avvicendate nel frat-tempo, aiutare le Persone Cadute a daresolidità e rendere ripetibile questa piccolaesperienza di autonomia.Il passaggio più difficile è l’ultimo: non ce-dere alla lusinga di diventare il sostegnoindispensabile di una persona che sta di-ventando per merito nostro finalmente unpo’ più autonoma. Ci sono blandizie e se-duzioni sottili su questa linea: tra il graziesincero della persona che sta finalmentecrescendo e la richiesta di consigli e rassi-curazioni non più necessari, c’è un confi-ne sfumato.A volte è molto gratificante restare ancoraun po’ ad aiutare chi ci è così riconoscen-te, rallentare un pochino la sua strada,sgombrargli ancora un po’ il cammino, emagari convincersi che sì, c’è veramenteancora bisogno di noi, che l’altro/a è anco-ra fragile, che davvero senza di noi non cela può ancora fare…Tra chi aiuta e chi si fa aiutare ci sono le-gami molto speciali, non sempre ovvi, qua-si mai del tutto limpidi. Forse come quan-do si gioca a guardie e ladri, nel gioco del-le parti tra chi tende la mano e chi se lalascia afferrare c’è una complicità tutta dailluminare, e un sottile gioco di interscam-bi tutto da verificare, e per favore conmolta lucidità.Se guardiamo la fiaba iniziale dal puntodi vista dell’albero scopriamo qualcosa disorprendente: il vecchio torna all’albero,da lui dipende, ma anche l’albero trova ilsenso del suo esistere esattamente in que-sta dipendenza, dal lato di chi certamentefa più bella figura, perché si mostra – è –assai generoso, fino al limite dell’annulla-mento di sé.È proprio questo annullarsi e farsi fare apezzi fino a diventare poltrona e rifugio perl’altro che ci Deve Insospettire (stavolta usia-mo la maiuscola come Giovanna) quandodovessimo guardare bene noi stessi e tro-vare troppi episodi di questo tipo.

Rosella De Leonibus

COSEDAGRANDI

LEZIONE SPEZZATA

una carriera... spezzatato per addormentarmi quando, con uncolpo secco sotto le costole, il collegaVivanti mi riporta allo stato cosciente.

«La preside ti guarda» mi suggerisceterrorizzato e zelante.

«Vivanti, sei tu che hai l’anno di prova, nonio, lasciami perdere, non vedi che questo col-legio è di una noia mortale, che ipocrita chesei a fingere attenzione mentre tutti si fannoi cavoli propri».

La preside, alias professoressa Bottacchini,ex classe di concorso 37, storia e filosofia neilicei, ha iniziato da mezz’ora la sua ennesimapredica sulla culla del sapere e la civiltà dellelettere. Nonostante Vivanti, provo a ripren-dere sonno, a isolarmi, dietro a una paginadel Corriere della sera, da questo collegio-do-centi incapace, come tutti i collegi che ho vi-sto nella mia vita, di occuparsi dei problemireali della scuola; ma ormai l’attimo propizioè fuggito e la voce stridula della Bottacchinirimbomba, al pieno della sua foga tribunizia,nella sala austera del «Gilberto Contacchi».Dietro la Bottacchini un busto marmoreo ri-corda il preside Crodelli che «resse la scuolanei difficili anni della guerra». A destra altretarghe commemorative, una ha a che farepure col Risorgimento. A sinistra, accatastatialla rinfusa per essere portati via, ci sono de-gli alambicchi, un corpo umano di plasticafatto a pezzi e non ricomposto, la milza diqua e il cuore di là, ampolline di varie dimen-sioni, un Brionvega in bianco e nero, dei pac-chi di compiti vecchi di lustri, un circuito elet-trico, delle coppe arrugginite dei Giochi dellagioventù degli anni ’80, una carta geograficaeuropea preperestroika e una tenia sotto al-col che fa bella mostra di sé davanti alla per-manente della collega Seccardi. Questi cime-li (compresa la permanente della Seccardi)sostano qui da alcuni giorni dopo aver giro-vagato per anni dal primo al sesto piano, dallaboratorio di fisica alla stanza dei bidelli,passato due inverni nella II A e qualche mesein V C. Stonano con la realtà di fuori, ma noncon questo mondo antidiluviano, tutto auto-referenziale e chiuso in se stesso. Un mondoin cui persino l’inno della Bottacchini a unanuova paidèia umanistica ha il suo senso.

«La scuola mi ha preso l’anima, e forse mi ha

troncato la carriera letteraria» mi ha rivelatol’anno scorso mentre le chiedevo l’autorizza-zione per l’attività pubblicistica. «Tra noi let-terati ci si capisce, vero professore?».

«Bah, letterato è un po’ troppo, preside, di-ciamo un divulgatore, un osservatore…, ungiornalista part-time, insomma mi piace scri-vere ma, mi creda, niente a che vedere con lapoesia... figuriamoci!

«Dedichi più tempo alla poesia professore, solol’arte può restaurare i valori di un tempo, nonfaccia come me che le ho dedicato solo le bri-ciole».

Chiama briciole dodici volumi di liriche nel-le quali invece di trovare un linguaggio tuttosuo ha pensato bene di replicare quello di al-tri. La Bottacchini è stata stilnovista, ermeti-ca, crepuscolare, futurista marinettiana, esi-stenzialista, realista magica, strutturalista,oggi è metafisica. Nel suo ultimo volume, in-titolato «Primavere» la quarta di copertinadice che «l’autrice si confronta con il mondocontemporaneo con la consapevolezza, però,di abitare altri mondi, di frequentare altri luo-ghi. È un altrove dell’essere, dunque, quelloche la poesia metafisica della Bottacchini cer-ca felicemente di evocare».Sarà... ma l’unico mondo nel quale io la vedoè quello fisico della scuola. È qui che pensaalle sue liriche. Tra un consiglio di classe e unaltro. Tra un ricevimento di genitori e una riu-nione di presidi. Dopo aver letto un verbale.Mentre sta studiando la normativa sugli esa-mi di stato. Quando tratta con la Rsu. Appe-na suonata la campanella. Una volta predi-sposte le sostituzioni degli assenti. Se riceveuna delegazione di studenti e di famiglie. Orache firma ingressi e uscite anticipate. Quan-do striglia il personale ausiliario. Tutte le vol-te che analizza con desiderio la sua busta-pagadi dirigente.

«La poesia è dappertutto» dice lei.

Poi, tornata a casa, prima di addormentarsi,sente i pensieri poetici della giornata che ur-gono, li mette nero su bianco e scrive di pri-mavere e di autunni delle nostre vite, dellerose che non colse, in attesa di rivestire il gior-no dopo l’abito della preside-manager nellascuola dell’autonomia e delle tre i.

StefanoCazzato S

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Gregor Ziemercome si crea un nazista

ove nasce il largo consenso dibase della società tedesca al regi-me nazista? Dev’essere stata que-sta la domanda della vita di unautore come Gregor Ziemer(1899-1982), la martellante osses-

sione che lo ha sempre accompagnato inogni sua pagina scritta come pure in ognisua ricerca sul campo.E d’altra parte è senza dubbio quella del-l’educazione la cifra essenziale dell’operadi Ziemer, intellettuale americano (delMichigan, ma laureato nel Minnesota), cor-rispondente da Berlino del «New YorkHerald», del «Chigaco Tribune» e del «Dai-ly Mail» di Londra, ma che è conosciutosoprattutto per aver realizzato – prima del-l’entrata in guerra degli Stati Uniti e du-rante il periodo di massimo splendore delTerzo Reich – un importantissimo repor-tage sul mondo scolastico della Germaniadi Hitler.

dentro la struttura formativa

Uno dei meriti della sua ricerca è quello diaver compreso a fondo come un regimenon nasca dalla pura volontà, per quantoforte e pervicace, di un singolo, cioè deldittatore che soggioga le masse e le indi-rizza in una determinata direzione. Que-sto mito viene scardinato alla sua base pro-prio dall’analisi diretta del modello scola-stico tedesco in vigore sotto il nazismo.Tutto è partito dall’autorizzazione che Zie-mer, in qualità di direttore della scuolaamericana che nel 1929 aveva fondato aBerlino, ottenne da Bernard Rust, l’alloraministro dell’Educazione. Quest’ultimo difatto gli permise di visitare diversi istitutiscolastici di vario grado, ma anche le sedidi collegi, organizzazioni assistenziali eassociazioni giovanili tedesche dell’epoca,svolgendovi numerose interviste e racco-gliendo tutta una serie significativa di dati,utili poi a ricostruire un quadro generalesia dell’impostazione didattica sia della

vera e propria ideologia dominante. Ne ènato così il saggio Education for Death,pubblicato nel 1941 a Londra, arrivato inItalia nel ’44 con traduzione approssima-tiva e opportunamente riproposto di recen-te come Educazione alla morte (1) proprioa sottolineare quel percorso formativo chetendeva a plasmare adolescenti e giovanitedeschi in vista di una loro perfetta inte-grazione nel sistema nazista. In questo sen-so Bruno Maida ha parlato giustamente di«un libro in divisa» (2) evidenziandone ela sua ‘volontà militante’ e la sua capacitàdi penetrare il rapporto tra il fanatismo diregime, l’esaltazione politico-militare el’entusiasmo giovanile di una Germania inguerra con il mondo, ma che direi anchefortemente in lotta con se stessa, con ilbuon senso, con la vita.Per avere un’idea dell’eco creata dal libronel panorama internazionale, bisogna ri-cordare che esso venne da subito diffusoin varie lingue nei paesi liberati; che, sullabase dell’opera-reportage di Ziemer, il re-gista Edward Dmytrik ha realizzato nel ’42un film di gran successo, Hitler’s Children[Bambini di Hitler], visto dagli americaninel ’43; che, sempre nello stesso anno, laWalt Disney ha addirittura prodotto uncartone animato ispirato al libro e che, in-fine, lo stesso Ziemer è stato convocatocome testimone diretto al celebre proces-so di Norimberga.Il viaggio compiuto da Ziemer all’internodi quella che era la struttura educativadestinata a formare le nuove leve del regi-me, allora, segue un itinerario ben preci-so. L’obiettivo dell’educatore americano èquello di sviscerare la fenomenologia delnazismo per risalire alla strategia pseudo-educativa in base alla quale si crea un na-zista. La strategia adottata è quella di pe-netrare la cortina di segreto che protegge-va la metodologia scolastica e smaschera-re dall’interno – appunto interrogando eraccogliendo da insegnanti e funzionari,da ragazzi e genitori sia testimonianze che

umori il più possibile quotidiani – unascuola che Ziemer considerava una vera epropria «arma ausiliare» in dotazione al-l’esercito nazista.Dicevo prima che un regime come quellodel nazionalsocialismo non nasce dalla‘semplice’ volontà distorta di un singololeader; in realtà sin dall’inizio del suo folleprogramma politico il Führer aveva biso-gno di un consenso larghissimo, in altreparole non poteva autolegittimarsi come«conduttore della nazione» senza il soste-gno aperto e diffuso di milioni di tedeschi.Ebbene, come dimostra ampiamente laricerca di Ziemer e come pure anche altristudi confermano, gran parte di questimilioni erano giovani tedeschi.

decostruzione di una macchina di morte

Se il consenso più forte al potere politico emilitare di Hitler veniva dalle nuove gene-razioni, dunque, non poteva che essere ilmondo della scuola e della formazionequello più interessato dall’esercizio del-l’ideologia negativa messo in atto dai col-laboratori del Führer. Ziemer parte da qui,dall’ideologia come dato di fatto, incontro-vertibile appunto, per lavorare – attraver-so la disamina del sistema didattico-forma-tivo – a una decostruzione del consensopopolare e quindi della stessa condivisio-ne, da parte dei giovani, dei miti di quel-l’ideologia. Non a caso, muovendo da talimiti della forza, della razza, della conqui-sta militare e del potere politico assoluto etenendo presenti i libri e i comunicati dipropaganda dell’epoca, egli individua conestrema lucidità tutti gli elementi fonda-mentali della ritualità tipicamente nazista.Trovo particolarmente indicativo, a tal pro-posito, il brano nel quale Ziemer conden-sa il significato ultimo proprio del mito del-la forza. Visitando una classe durante l’oradi lettura, egli si imbatté in un vecchiomaestro che stava recitando agli scolariuna poesia tedesca che poi loro avrebberodovuto ripetere a memoria. La poesia met-teva in scena la legge di natura per la qua-le una mosca nega pietà ad un insetto piùpiccolo, ma è mangiata da un ragno, che asua volta viene preso da un passero, il qualeè poi ghermito da un falco subito cattura-to da una volpe; quest’ultima cade predadi un cane, ucciso senza pietà da un lupocui alla fine spara un cacciatore. In ognidrammatico passaggio si ripeteva il deci-so rifiuto di graziare l’essere più debole ead ogni uccisione aumentava l’entusiasmotrasmesso agli scolari. L’anziano maestrovolle infine sottolineare la morale della

poesia con parole che Ziemer annota concura: «Questa lotta è una lotta naturale.Senza di essa, la vita non potrebbe conti-nuare. Ecco perché il Führer vuol vedere isuoi ragazzi forti, così che possano essereloro gli aggressori e i vincitori, non le vitti-me. La Germania sarà forte. Il Führer lafarà tanto forte che potrà entrare in lizza eattaccare qualunque nemico in tutto ilmondo» (3).Ziemer dà dimostrazione di saper leggerea fondo, d’altra parte, anche le motivazio-ni dei genitori tedeschi che egli vede sem-pre attenti e solleciti a rendere i propri fi-gli lodabili da Hitler: loro, nota l’autore,sono pronti senza esitazione alcuna a por-tarli «all’altare nazista» allo stesso modoin cui un tempo i genitori recavano i pro-pri nati agli altari delle divinità pagane. Equel che è più terribile è che già prima del-l’età scolare il Führer pretende di ognibambino tedesco, che considera figlio in-discusso della patria, il possesso del corpoe dell’anima!Le interviste di Ziemer, i suoi commenti,le sue stesse descrizioni del mondo scola-stico osservato sono mirate, da un lato, aprivilegiare un metodo di sostanziale ade-renza realistica alla realtà in oggetto, sep-pure non manca a volte una tentazioneromanzesca, e, dall’altro, a impostare undiscorso che possa spingersi oltre fino asuggerire strategie d’intervento in chiaveapertamente antidittatoriale.Grazie ai racconti e a quelle che chiame-rei ‘intuizioni educative’ di Ziemer, insom-ma, il totalitarismo, la negazione delle li-bertà, la logica chiusa del pensiero unicoche caratterizzavano il regime hitlerianovengono così ‘denudati’ della loro vesteretorica, della loro copertura demagogicae di tutto quell’apparato linguistico-cultu-rale che ne mascherava brutture, atrocità,indicibilità. La sua denuncia andava quin-di a colpire il male assoluto del regimenazista perché venisse nell’immediato con-trastato e fermato, ma anche perché a piùlivelli – dagli intellettuali alle masse – po-tesse progressivamente prendere corpouna criticità tale da non permettere maipiù nella storia il riproporsi di simili mali.

Giuseppe Moscati

Note

(1) G. Ziemer, Educazione alla morte. Comesi crea un nazista, a cura di B. Maida, Cit-tà Aperta, Troina (En) 2006.(2) Cfr. ivi, pp. 7-26.(3) Cfr. ivi, pp. 78-79.

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CULTURE E RELIGIONI RACCONTATE

volti dell’universo femminilestata recentemente pubblicataun’interessante antologia di raccon-ti scritti da autrici israeliane con-temporanee, preziosa soprattuttoperché espressione di un modo re-ale, quotidiano e vitalissimo di es-

sere donne, ebree e israeliane. Leggendo ilvolume – intitolato proprio Israeliane (1) –il primo dato che emerge con chiarezza è laforte dissonanza dei registri linguistici, delletematiche e delle psicologie femminili pro-poste, dissonanza che, ben lungi dall’esserestonata, risulta affascinante e, a suo modo,armonica.Nei racconti si stagliano, insieme, donneforti e donne deboli, intraprendenti e apa-tiche, ironiche e tremendamente seriose,nevrotiche e risolte, mitiche – quasi bibliche– e comuni, nostalgiche e in carriera, pie eagnostiche: insomma, un coacervo di im-magini, di volti, di modi di raccontare, dipunti di vista, capaci di produrre una viva-cissima accumulazione di intenti, visioni delmondo e desideri. Ma, meditando su que-sta ridda di temi, al lettore non riuscirà dif-ficile accorgersi della presenza di fili invisi-bili che legano le storie del passato a quelledel presente, le dinamiche donnepostmoderne alle nonne appoggiate sunugoli di ricordi, dolci e, nel contempo,dolorosi. Sì, qua e là si annodano in manie-ra inestricabile dei motivi che uniscono fradi loro le esistenze di persone apparente-mente inconciliabili, esattamente come, inogni cultura e in ogni società, ciascun mododi essere è legato ad un altro o ai preceden-ti in linea cronologica, in quanto frutto direazioni chimiche profondissime e inespli-cabili. Proprio per questi motivi, vorreimettere l’accento su due racconti estrema-mente distanti tra loro, per dimostrarequanto sia stata intelligente, da parte deicuratori, la scelta di proporre una riflessio-ne così satura di contrasti sulla donna israe-liana contemporanea.

i due racconti

Da un lato, infatti, mi ha conquistato l’iro-nia dissacratoria e, in fondo, disarmante di

Sarah, la protagonista del racconto d’aper-tura, affidato a Gafi Amir (2) e intitolatoDio 90210, tutto giocato sulle frenesie di unasingle precipitata nel gorgo della rincorsaprofessionale. Dall’altro, invece, mi ha toc-cato la prosa intonata e venata di lirismo diNava Semel (3), che, nel racconto Una pic-cola rosa nel Mediterraneo, offre in pochepagine uno spaccato insieme personale eantropologico della donna ebrea novecen-tesca. Due modi di intendere la letteratura,due modelli diversi di ritrarre la psicologiafemminile, sicuramente espressione anchedel divario generazionale che intercorre trala giovane Amir e la più matura Semel, ep-pure, testimonianza anche di un denomi-natore comune: la capacità di mettere inevidenza l’ostinata caparbietà delle prota-goniste, che non si arrendono davanti ai si-gnificati troppo pragmatici, troppo sconta-ti e condivisi, usando, là, l’autoironia, co-mica e malinconica, qua la forza di una sor-vegliatissima prosa lirica.Puntando il microscopio sul racconto dellaAmir, Dio 90210, poi, non può sfuggire laparticolarità dell’esordio, nel quale la pro-tagonista si lamenta del fatto che il suo ca-poufficio, Shirhaz, di cui è segretamenteinnamorata, le ha sottoposto del lavoro dasbrigare in fretta, senza pensare che quelloè il giorno della memoria dell’Olocausto.Dietro l’apparente tono leggero della recri-minazione, Sarah denuncia un’indifferen-za culturale che la fa sentire estranea al suoambiente di lavoro e, più in generale, allanuova cultura del suo paese. La logica eco-nomica e produttiva, infatti, ha talmenteassorbito i suoi colleghi – tutti rinchiusi eisolati in minuscoli cubicoli di vetro – chenon vi è più posto per onorare il giorno del-la memoria. Essere simpatici, efficienti eanche «ebrei» risulta per palese ammissio-ne di Sarah, come un compito estremamen-te complesso. Non deve sfuggire anche unulteriore e implicito atto d’accusa nei con-fronti della forza mistificante della moder-nità capitalistica: l’ordine che Shirhaz leimpartisce non è pronunciato in modo pe-rentorio, ma con un finto andamento inter-rogativo («Sarah, mi fai un favore? Dai

un’occhiata al backup…» (4)). Si tratta quin-di di una falsa domanda che nasconde unarichiesta netta, del tutto diversa, quindi,dalla domanda filosofica che caratterizzala speculazione ebraica tradizionale. Unadomanda vuota di senso a cui si contrap-pone, quasi distrattamente, ma in modomolto efficace, l’annotazione della protago-nista che, poco più avanti afferma: «È daun anno ormai che sto cercando un qual-che dio» (5). E non importa neanche che,subito dopo, Sarah sembri quasi mescola-re le carte e confondere il lettore, facendo-gli credere che il Dio di cui è alla ricercanon è affatto quello biblico e trascendente,ma una divinità minuscola, in carne ed ossa,ossia un uomo con cui potersi sposare econdurre una vita beatamente borghese.Non importa perché, leggendo ancora, sicomprende che queste affermazioni sonospostamenti di un desiderio di verità deci-samente più perentorio, di una domandadi senso che assomiglia molto, senza maichiamarle in causa direttamente, alle gran-di questioni che aspettano una risposta at-tendibile da Dio proposte da tutta la teolo-gia nata dopo Auschwitz. Nel mondo diSarah, infatti, tutti sono divorati dall’ambi-zione, sono trasformati in piccoli personag-gi negativi, incapaci di rivestire anche ilruolo solenne e definito del malvagio, tipi-co della letteratura epica o romantica. Tut-ti corrono, schiacciati da un inconscio de-siderio irrefrenabile di conquistare presti-gio e visibilità, risultando, alla fine, sola-mente piccoli e massificati, ridotti a nullada un’operatività inconcludente, in cui ci sidimentica anche del desiderio stesso di ar-rivare a qualcosa.

la tremenda lezione della storia

Così a Sarah, che ha perso la nonna nei cam-pi di sterminio, il nuovo Israele, moderno eindustrializzato, scosso dai fremiti della ri-voluzione informatica, non concede nem-meno un secondo per riflettere al momen-to in cui suona la sirena e tutti dovrebberoalzarsi in piedi. Sarah si deve rifugiare nel-la toilette, imbarazzata dal fatto di trovarsi

tra il w.c. e il lavandino, per assolvere a quel-lo che dentro di sé sente essere un dovere euna necessità, ma viene raggiunta anche làda un incredulo capoufficio, troppo allamoda, nei suoi vestiti firmati, per ritenereche questi gesti simbolici abbiano una qual-che validità. Il tono autoironico lascia tra-sparire la malinconia quasi in maniera di-stratta, grazie al magistero della Amir chevuole chiaramente porre in evidenza quan-to, al di là delle ipocrisie, sia davvero diffi-cile lasciare spazio al ricordo in società com-plesse come le nostre; come sia quasi im-possibile far sì che la tremenda lezione del-la storia rimanga vivida anche nelle gene-razioni che quegli eventi non li hanno vis-suti. Sarah vuole pervicacemente salvarequalcosa del suo essere osservante; è perSarah indispensabile, per non dichiarare laresa di fronte ai nuovi templi della postmo-dernità, quali «i centri commerciali immersinell’aria condizionata e le palestre (…)» (6)dove, parafrasando in terza persona il rac-conto, Sarah stessa a volte si sforza di di-minuire le sue circonferenze senza reperi-re nemmeno un po’ di pathos.Davanti a tutto ciò, Sarah ha bisogno di unDio, umano, da amare nel volto di un uomo,e, forse, trascendente, da onorare con la tra-dizione dell’osservanza dei precetti. Così,quando ad un rinfresco per la nascita dellafiglia di una collega, si rifiuta di mangiareuna tartina al fegato di struzzo, Sarah, fe-dele all’alimentazione kasher, si trova a di-sagio, osservata da tutti e incalzata dalla ne-omamma, preoccupata del fatto che la suaamica stia diventando «religiosa», sotto gliocchi silenti del capoufficio Shirhaz. Nonle rimane che approfittare di un momentodi distrazione per defilarsi e andarsene. Ma,mentre aspetta il taxi sotto una pioggia tor-renziale, ripetendosi che in fondo lei sta solocercando un Dio e un po’ di saggezza, vieneraggiunta da Shirhaz che la invita a bereun caffè. Sarah accetta e qui si conclude ilracconto, lasciando al lettore la doppia chia-ve di lettura: forse Sarah è veramente riu-scita a cambiare di un millimetro il mondorimanendo in qualche modo fedele a se stes-sa e Shirhaz, redento, è la materializzazio-

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CULTUREERELIGIONIRACCONTATE rinascita

ne di quel dio disperatamente cercato; o for-se Sarah è ancora vittima di un inganno, diun abbaglio, che la porta ad aggrapparsi di-speratamente ad una illusione dal voltoumano. È, quindi, una donna contempora-nea, con i suoi dubbi interiori, con la volon-tà di non rinunciare senza lottare ad unmondo un poco più complesso e più pro-fondo di quello che ci siamo costruiti intor-no, ma anche con le fragilità di una personache non si stima e cerca in un dio troppoumano delle risposte forti.

l’eco poetica della vita

Nella prosa lirica della Semel, invece, la nar-razione è affidata alla voce della stessa au-trice adulta che rievoca un pomeriggio esti-vo passato al mare con sua nonna Rayziel,la quale cerca di insegnare alla nipote a nuo-tare. A questa rievocazione si contrappun-tano stralci di giovinezza della nonna, pre-sentata come una donna forte, intraprenden-te e dolce insieme, fino ad assumere i carat-teri mitici della narrazione biblica. Appren-dere la difficile arte del nuoto è sicuramenteun’allegoria di un’iniziazione all’età adulta,con le sue complessità e con le sue proble-matiche, mentre il nuoto in sé simboleggiala ricerca di una libertà esistenziale incapa-ce di scendere a compromessi e che coinci-de con il desiderio di contrapporre leggerez-za e semplicità alle pesantezze che la vitaspesso propone. La profondità dell’acqua ela zavorra degli abiti bagnati sono gli impe-dimenti che portano la Semel bambina a ri-tenere che sia impossibile poter vincere ledifficoltà e lasciarsi andare, ma la nonna,amorevolmente insisterà che l’acqua «è sta-ta la prima a cantare gloria al Creatore»,quando venne separata dal cielo. Nuotare,quindi, rappresenta per Rayziel un mettersiin sintonia con il lamento delle onde, con lapoesia che il mare eleva per lodare il Signo-re, sottolineando implicitamente che anchela più prosaica o la più drammatica delle esi-stenze nutre in sé un’eco poetica che occor-re sempre ascoltare.Questa poesia dell’esistente sembra coinci-dere, dunque, con il coraggio di non rifiuta-re la vita stessa e, insieme, con la determi-nazione di non accettare mai il mondo cosìcom’è, impegnandosi nel cercare di rovescia-re le logiche superficiali della storia fino adacciuffarne il senso profondo e autentico (7).Questo insegna la nonna alla nipote: la vitaè poesia, ma per potersi trasformare in poe-ti occorre non adeguarsi alle apparenze, allelogiche dominanti, fidandosi di Dio. E la ni-pote, adulta, dimostra di aver compreso lalezione che, attraverso il nuoto, la nonna ha

cercato di impartirle, proprio impastando ilracconto di quel pomeriggio con il contro-canto delle peripezie occorse alla nonna dagiovane: la decisione di sposare lo spiantatoZelig Chayim contro il parere della sua fa-miglia benestante, la decisione di lasciare ilvillaggio nei Carpazi e di trasferirsi col ma-rito in Palestina, a coltivare una terra pro-messa fatta di sabbia, contro il consiglio ditutti i suoi compaesani convinti che la nuo-va terra promessa fosse l’America; la deci-sione di amare quella terra improduttiva soloper il fatto che si affaccia sul mare. La Selimadulta ha capito, dunque, che la nonna cre-de nella poesia della vita, ma senza deriveromantiche o superficiali, perché per Ray-ziel poesia significa soprattutto avere unoscopo nella vita e lottare per realizzarlo, no-nostante – o grazie a – tutto e tutti. E, senzadichiararlo, la Semel rende omaggio al pen-siero di Victor Frankl, padre della logotera-pia (8), il quale sosteneva proprio che la re-alizzazione di sé è intrinsecamente legata al-l’individuazione di uno scopo per cui vivere,uno scopo che ci aiuti ad uscire dal narcisi-smo dell’essere prigionieri di sé e a cogliereil mistero dell’alterità. La Semel e l’Amir,dunque, da vie differenti arrivano ad indi-care la medesima soluzione per superare lecontraddizioni di un mondo che si contorcenegli ideali malati del consumismo e dell’au-toreferenzialità: semplicemente vivere sfi-dando il consueto, alla ricerca di significati,insieme, antichi e nuovi.

Marco Gallizioli

Note

1 Aa.Vv., Israeliane. L’universo femminile raccon-tato da 13 scrittrici contemporanee, con una pre-fazione di E. Loewenthal, Stampa alternativa,Viterbo 2005.2 Gafi Amir, nata in Israele nel 1966, è giornali-sta della carta stampata e televisiva, autrice diprogrammi tv e di spettacoli teatrali.3 Nava Semel, nata in Israele nel 1954, è criticad’arte, giornalista, autrice di libri per l’infanzia,spettacoli teatrali, raccolte poetiche e numerosiromanzi, tra cui La Casa Usher, tradotto anchein italiano per Mondadori.4 G. Amir, Dio 90210, in Israeliane, cit., p. 11.5 Ib., p. 12.6 Ib., p. 18. In queste pagine, l’Amir sembra ri-solvere in chiave letteraria l’analisi sociologicasulla «religione del consumo» proposta da: G.Ritzer, La religione dei consumi. Cattedrali, pelle-grinaggi e riti dell’iperconsumismo, Il Mulino, Bo-logna 1999.7 N. Semel, Una piccola rosa nel Mediterraneo,in Israeliane, cit., p. 265.8 Cfr. V. Frankl, Alla ricerca di un significato nel-la vita, Mursia, Milano 1974.

AdrianaZarri L

a Pasqua è passata ma il tempopasquale dura ancora a lungo, pre-cisamente fino al 25 giugno, quan-do il calendario liturgico segna ilritorno al tempo ordinario. Quelloche stiamo vivendo è infatti un tem-

po straordinario. Due, com’è noto, sono itempi forti dell’anno: l’avvento e il ciclopasquale, che inizia con la quaresima eculmina nella Pasqua per prolungarsi neltempo pasquale, fino alla domenica delCorpus Domini e settimana seguente, perterminare con la ripresa del tempo ordi-nario che, quest’anno, cade appunto il 25giugno. Da allora in poi dovremo medita-re sull’ordinarietà; ma non è ancora ilmomento. Ora siamo in un tempo forte: ilpiù solenne dell’anno, ed è opportuno me-ditare e celebrare la resurrezione. Resur-rezione che è quella di Cristo e, in lui, ditutte le forme della vita. Per una felice coin-cidenza la Pasqua cade nella primavera chesegna la resurrezione della terra; dopo lamorte dell’inverno. Noi, giustamente, par-liamo della Pasqua di resurrezione ma c’èuna dizione laica che recita «Pasqua d’uo-vo» perché l’uovo è la segreta gestazioneda cui nasce la vita; e le figurazioni laichedella Pasqua sono costellate di pulcini,come di rami in fiore: tutta vita nascente,anzi rinascente perché il ramo fiorisce tuttigli anni, sull’albero della scorsa primave-ra e il pulcino esce fuori dall’uovo: unasorta di grembo materno che si rifà allavita della madre.In questo tempo l’erba perfora la crostadella terra, con un premere fragile e po-tente che vince la durezza del gelo, poispuntano le pratoline che, al caldo dellaprimavera, allargano le ciglia e aprono gliocchi: anzi l’unico occhio che riposa, tra ipetali, come un piccolo sole. E poi, via via,le primule, le viole; e tutti i prati son para-ti a festa.Ma, come la nascita dell’uomo inizia novemesi prima della venuta al mondo del bam-

bino, così la primavera nasce prima dellaprimavera, nasce in autunno ed ha unagestazione più breve ma altrettanto fecon-da e attiva. Nasce sui rami spogli, o in viadi spogliazione, che sotto alla foglia caden-te mostrano già la gemma da cui nasceràla foglia nuova.E la vita terrena è tutta un simbolo e unaripresa, in chiave agreste, del mistero cri-stiano della croce e resurrezione di Cristo.Anche in lui la resurrezione comincia pri-ma del glorioso risorgere; nel tragico mo-rire; e il sepolcro è come l’uovo ancorachiuso ma già pieno di vita: un uovo chepoi si schiuderà, nel mattino di Pasqua. Eil nato, da quell’uovo dischiuso, sarà cosìtrasfigurato che Maria non lo riconosceràe dovrà esser nominata da lui – nuovoAdamo che, come il primo, dà il nome adogni cosa – per riconoscerlo e riconoscerse stessa. Ma questo uomo così trasfigura-to è lo stesso tragicamente sfigurato du-rante il cammino doloroso: il ramo seccoche metterà foglie e fiori.Molte figurazioni medievali rappresenta-no un Cristo in croce senza dolore: sere-no, ieratico e solenne come un re assiso introno; ed il patibolo è il suo trono. Là ap-peso è già trasfigurato: risorto ancora pri-ma di risorgere, in una passione che è giàpreludio della resurrezione. E i tre giornipassati nel sepolcro figurano i nove mesinecessari per mettere al mondo un uomonuovo. E anche il Cristo risorto è nuovo:tanto nuovo che, come già abbiamo visto,non fu da Maria riconosciuto. Così comenon fu riconosciuto dai discepoli in cam-mino verso Emmaus; e occorse una paro-la o un segno per disvelarlo agli occhi igna-ri e legare il passato al presente: egualeeppur diverso. Questa ci appare la resur-rezione: una continuità discontinua,un’eguaglianza diseguale, come eguale ediversa sarà l’eternità rispetto al tempo ela vita beata rispetto a questa valle di la-crime che pur la prefigura. ❑

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TEOLOGIA

la fede di Gesùe la nostra fede

in Gesùiventano sempre più numerosi iteologi e gli esegeti che si richia-mano alla fede di Gesù, ne illu-strano le espressioni nella sua esi-stenza terrena e le incidenze nel-la storia avviata dalla sua viva te-

stimonianza.Ho avuto occasione di ricordare altre vol-te che nelle scuole cattoliche di teologia siè cominciato a parlare della fede di Gesùsolo verso la metà del secolo scorso. Pri-ma si negava che si potesse parlare dellafede esercitata da Gesù perché, fin dalmomento della sua concezione, Gli si at-tribuivano particolari conoscenze infuseper grazia e persino la visione di tutte lecose in Dio, che rendevano impossibileogni atto di fede in Dio. S. Tommasod’Aquino (+ 1274) argomentava in modoapodittico: «Oggetto della fede... è la real-tà divina non vista. Ora l’abito della fede,come ogni altro, riceve la sua specificazio-ne dall’oggetto. Se dunque si toglie l’inevi-denza dalla realtà divina, viene meno lafede. Ma il Cristo nel primo istante del suoconcepimento ebbe piena visione dell’essen-za di Dio... Dunque non ci può essere statafede in lui» (Somma di teologia 3a parte, q.7, a. 3). Questa opinione era diventata dot-trina comune anche nella catechesi e nelmagistero ordinario della chiesa, al puntoche il S. Uffizio intervenne all’inizio delsecolo scorso per riprovare la posizione dialcuni modernisti che la mettevano in di-scussione (Decreto del S. Uffizio Lamenta-bili, 3 luglio 1907 n. 32 DHü 3432; n. 34DHü 3434).

la terminologia paolina

Non intendo ora ripercorrere il camminocompiuto dalla teologia nell’ultimo secolo a

partire dagli anni ’950. Vorrei solo illustrarela terminologia di S. Paolo, su cui è in corsouna ampia discussione fra gli esegeti.S. Paolo utilizza tre formule quando parladella fede in rapporto a Gesù: parla dellanostra fede in Cristo, della fede di Cristoin Dio e della nostra fede in Dio vissuta inCristo. La seconda formula (in greco pistisXristou, fede di Cristo), riferita soprattuttoall’esperienza di Gesù in croce, è presente8 volte nelle sue lettere: Fil. 3,9, Rom.3,22,26; Gal 2,16 (2 volte); Gal 2,20; Gal3,22; Ef 3,12. La prima formula (la fede inCristo) è più frequente e si riferisce allafede del discepolo in Gesù come Messia eSignore (cfr. ad es. Gal 2,16; Rom 10,14;Fil 1,29; Col 1,5). La terza formula (la fedevissuta in Cristo) si riferisce alla fede inDio esercitata dal discepolo per la testimo-nianza di Gesù e in simbiosi con la sua fede(es. Gal 2,19-20; 3,26).La maggioranza però degli esegeti, anchefra i più autorevoli, e quasi tutte le tradu-zioni (anche quella italiana della Cei), nondistingue le diverse formule e le interpretatutte nel senso della fede esercitata dal di-scepolo in Gesù come Messia e salvatore ecome «icona di Dio» (Col 1,15). Si pensaquindi che le formule si riferiscano sem-pre e solo alla nostra fede in Gesù (chia-mata fede oggettiva perché Cristo glorifi-cato ne è l’oggetto) e mai alla sua fede inDio (fede soggettiva).Paolo Domenico Dognin, un domenicanodel Convento di Lilla, in un recente studiosu «La fede di Gesù in S. Paolo», (Revuedes Sciences Phil. et Théol. n. 4/2005, pp.713-728) ricordava che già dal 1891 unostudio sulla lettera ai Romani di un esege-ta tedesco (J. Haussleiter) sottolineava l’im-portanza della distinzione fatta da S. Pao-lo tra la fede di Gesù in Dio e la nostra fedein Gesù. All’inizio del secolo scorso (1906)un altro celebre esegeta tedesco, G. Kittel,«deplorava il fatto che quell’articolo nonavesse avuto l’accoglienza che meritava».Eppure, osserva Padre Dognin, si tratta diuna questione che ha notevole incidenzanell’analisi del pensiero di Paolo e nella vitadel credente cristiano. Paolo infatti utiliz-za queste formule in rapporto al modocome Gesù ha vissuto l’esperienza dellacroce. La croce è la rivelazione della fededel Figlio di Dio (Gal 3,23 e 2,20). Se l’es-senziale dell’esperienza di Gesù sulla cro-ce è la sofferenza sostenuta per amore, ar-gomenta Dognin, «si penserà che sonoqueste sofferenze a salvarci. Ma se questo‘essenziale’ è una fede umana che soppor-ta vittoriosamente un parossismo di soffe-renza tentatrice, pervenendo in tale modo

a una ineguagliabile ‘perfezione’, si dovràgiustamente pensare che a salvarci sia que-sta fede vittoriosa. Si scoprirà allora cheper la sua fede donata ‘al Cristo’ il fedeleottiene il privilegio inaudito di poter vive-re la sua povera fede in simbiosi con la fedeinvincibile ‘del’ Figlio di Dio (Gal 2,20) insenso proprio» (ib., p. 713).

crocifisso e presenza

Già H. Urs von Balthasar in un articolo cheavviò la riflessione tra i cattolici sulla fededi Gesù (Fides Christi, in Sponsa Verbi,Morcelliana, Brescia 1969, pp. 41-72) os-servava che la fede è realmente cristiana,non solo quando Cristo ne è l’oggetto, bensìanche quando egli ne è il principio, il sog-getto trascendente che con la sua grazia fapartecipare l’uomo alla sua fede. «La cosapiù importante è il riconoscimento che lafede cristiana non può intendersi che comeun inserimento nell’atteggiamento più inti-mo di Gesù» (Id., ib., p. 58). Gesù, infatti,«rende possibile la nostra fede, la fede cioè,che non deve abolire, ma perfezionare daldi dentro tutto l’atteggiamento veterotesta-mentario di fronte a Dio (cfr. Mt 5,7). Il chepuò avvenire soltanto se Gesù non solo pro-voca in qualità di causa questo perfeziona-mento, ma lo vive per il primo come proto-tipo, e quindi riceve da Dio il potere salvifi-co di esprimere e di imprimere in noi que-sta sua esemplarità vissuta» (Id., ib., p. 48).È facile capire, osserva P. D. Dognin, comenon valorizzando la fede di Gesù vengonotrascurati due fatti fondamentali: l’unioneprofonda del discepolo con il crocifisso e lapresenza in lui della vita di Cristo. Senza ilriferimento alla fede di Gesù sulla croce,inoltre, la fede del discepolo verrebbe a pog-giarsi esclusivamente sulla risurrezione diGesù e non sulla fede esercitata da Gesùnella croce. La spiritualità cristiana acqui-sta un carattere diverso. La fede che salvasarebbe la nostra fede in Gesù risorto e nonla fede esercitata come abbandono fiducio-so in Dio da Gesù sulla croce. Per cui difatto il credente è giustificato «dalla fede diGesù Cristo (che si espande) in tutti i cre-denti» (Rom 3,22). La fede che salva non èla nostra fede in Cristo bensì la sua fede inDio che ha avuto nella croce la sua espres-sione suprema. È la fede di Gesù in Dio chesalva, quella fede che il discepolo di Gesùesercita per la sua testimonianza, in virtùdel suo Spirito e quindi in comunione conLui. Il discepolo di Gesù vive la fede in Dioin simbiosi con la Sua fede.Anche Roberto Vignolo, in uno studio ac-curato – La fede portata da Cristo, in La fede

di Gesù (G. Canobbio cur.) Edb, Bologna2000, pp. 43-67 – interpreta le otto formu-le citate di Paolo nel senso della sua fedesoggettiva. Egli la chiama fede di relazionee la descrive con queste parole: «fede at-tuata, istituita da Cristo, meglio ancorafede portata da Cristo; intendendo l’attua-zione vuoi in riferimento a Cristo comesingolare soggetto di fede, vuoi a Cristocome istituente una fede correlata a lui,affidabilmente fondata su di lui» (ib., p.67). Egli oltre agli 8 testi ricordati esami-na anche Gal 3,26: «tutti infatti siete figlidi Dio per la fede di Cristo Gesù» secondola variante di un papiro autorevole.P. D. Dognin osserva che nella prospettivadella fede soggettiva di Gesù altre sette af-fermazioni dell’Apostolo Paolo considera-te fino ad oggi oscure o di incerto signifi-cato diventano chiare. Non possiamo se-guirlo nella sua dettagliata analisi. Citosolo un esempio per mostrare come am-messa la fede in Gesù e considerata la cro-ce come il momento supremo del suo eser-cizio dal parte di Gesù, effettivamente al-cune espressioni paoline acquistano unsignificato prima non percettibile.Si veda ad es. l’affermazione di Paolo nellalettera ai Romani: «Non mi vergogno delVangelo, perché è potenza di Dio per la sal-vezza di chiunque crede, del Giudeo primae poi del Greco. È in esso che si rivela lagiustizia di Dio di fede in fede» (1,16-17).La traduzione ecumenica francese (Tob, Edital. Ldc) osserva che «la formula è oscura... sono state proposte diverse interpreta-zioni». P. D. Dognin osserva: «Per chi am-mette che l’uomo è giustificato ‘dalla fededi Gesù Cristo’ (Rom 3,22), questa ‘rivela-zione’ che va ‘dalla fede alla fede’ può es-sere intesa come procedente dalla fede diCristo (cioè dalla croce) alla fede del cre-dente, quest’ultima intesa nel senso di unafede rivolta a Cristo prima di diventare unafede vissuta in Cristo». Paolo ripete la stes-sa cosa in maniera più esplicita in Rom 3,21-22: ‘Ma ora la giustizia di Dio si è mani-festata… giustizia di Dio per la fede di GesùCristo (che si espande) verso tutti i creden-ti’ (a. c., p. 720). Dalla fede di Gesù sullacroce, alla fede del discepolo in questomodo l’azione giustificatrice di Dio attra-verso la fede di Gesù attinge il discepoloche vive la fede attraverso di Lui. «Lo sguar-do del credente nei confronti di Gesù nondeve fermarsi alle sofferenze. Egli deve ineffetti sorpassarla... per cogliere il cuoredel ‘Figlio di Dio’ (Gal 2,20) che riportasulla Croce la vittoria della Fede» (p. 728).

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LA VOCE DEL DISSENSO

il re e il profetaa figura del profeta assume un va-lore fondamentale al sorgere dellamonarchia in Israele, non solo: saràil profeta stesso a dare al popolo unre, e lo farà suo malgrado: «Quan-do Samuele fu vecchio, stabilì giu-

dici di Israele i suoi figli (...). I figli di lui,però, non camminavano sulle sue orme,perché deviavano dietro il lucro, accetta-vano regali e sovvertivano il giudizio. Siradunarono, allora, tutti gli anziani di Isra-ele e andarono da Samuele a Rama. Glidissero: Tu ormai sei vecchio e i tuoi figlinon ricalcano le tue orme. Ora stabilisciper noi un re che ci governi, come avvieneper tutti i popoli» (1 Sam 8,1-5).Come è evidente la decisione di stabilire unnuovo tipo di governo deriva dalla corru-zione di quelli che lo hanno preceduto ed èla saggezza degli anziani a coglierne la ne-cessità. Il senato, insomma, è il vero registadella storia politica di Israele. Fatto sta cheSamuele non può svincolarsi dalla volontàdei rappresentanti del popolo: «Agli occhidi Samuele era cattiva la proposta perchéavevano detto: “Dacci un re che ci governi”.Perciò Samuele pregò il Signore. Il Signorerispose a Samuele: ascolta la voce del popo-lo per quanto ti ha detto (...). Ascolta pure laloro richiesta, però annunzia loro chiara-mente le pretese del re che regnerà su di loro»(1 Sam 8,6-7.9).È chiaro che il governo dei re non viene im-posto dall’alto, ma è una scelta del popolo,quanto basta a dimostrare la natura essen-zialmente democratica della gestione delpotere in Israele, sin dai tempi più remoti.Sia il profeta, infatti, sia il Signore, non pos-sono nulla dinanzi al volere del popolo. ASamuele, infatti, pareva cosa cattiva la mo-narchia e Dio parla a lungo con il suo profe-ta considerando gli enormi rischi cui Israelesi espone con questa decisione: «Samueleriferì tutte le parole del Signore al popoloche gli aveva chiesto un re. Disse loro:“Queste saranno le pretese del re che re-gnerà su di voi: prenderà i vostri figli perdestinarli ai suoi carri (...). Metterà la de-cima sui vostri greggi e voi stessi divente-

RosannaVirgili L

rete suoi schiavi. Allora griderete a causadel re che avrete voluto eleggere, ma il Si-gnore non vi ascolterà”. Il popolo non die-de retta a Samuele e rifiutò di ascoltare lasua voce, ma gridò: “No, ci sia un re su dinoi”» (1Sam 8,10-11.17-19).La monarchia è pretesa dal popolo ed il reviene da esso eletto: questo è il fondamen-to della regalità in Israele. Tale supremavolontà non esclude, tuttavia, l’interventodell’autorità profetica e, attraverso la stes-sa, di quella divina: «C’era un uomo diBeniamino, chiamato Kis (...). Costui ave-va un figlio chiamato Saul, alto e bello: nonc’era nessuno più bello di lui tra gli israeli-ti (...). Samuele prese allora l’ampolla del-l’olio e gliela versò sulla testa, poi lo baciòdicendo: “Ecco il Signore ti ha unto caposopra Israele suo popolo. Tu avrai poteresul popolo del Signore”» (1Sam 9,1-2.10,1).Il Signore rimane sempre vigile sul destinodel suo popolo; attraverso l’occhio del suoprofeta lo custodisce con amore ed estremaattenzione, senza mai tuttavia, sostituirsi adesso, senza mai forzarne le scelte.

una demo-teocrazia dell’alternanza

La fortuna del primo re di Israele non sarà,purtroppo, molto lunga. Presto Dio sceglie-rà un altro re al posto di Saul! Il Signore simostra libero di cambiare la persona del re,come si mostra libero di cambiare, se neces-sario, anche il tipo di governo: se con la di-scendenza di Eli il potere era, infatti, dei sa-cerdoti (cf. 1 Sam 2,27 ss.), con Samuele e isuoi figli, esso era passato ai giudici (cf. 1Sam 2,7.15) e, dopo di loro, ai re. Ma neppu-re i re sono definitivi.Ciò che importa a Dio è che il popolo trovila pace e il futuro, attraverso l’opera deisuoi preposti. Soltanto la fedeltà alla giu-stizia, la promozione della vita di tutto ilpopolo, l’ubbidienza alla parola del Signo-re, può garantire la permanenza al poteredi un uomo o dei suoi discendenti. Non cisono diritti di ereditarietà. Anzi sembravigere una vera e propria demo-teocraziadell’alternanza. Chi ha un ruolo determinan-

te, ancora una volta, è il popolo di Israele,che, dopo aver eletto i suoi governanti, con-trolla da vicino, rigorosamente, il loro ope-rato e pretende che essi vengano sostituitida altri, quando non agiscono per il suobene. Chi difende il popolo dai nemici, per-mettendogli di vivere in pace, questi saràdegno di continuare a governare.

il peccato originale del re

Seguendo il filo della narrazione dei capito-li 13-15 del primo libro di Samuele, venia-mo a conoscenza dei motivi per cui Saulperderà la sua regalità. L’origine del suo «pec-cato» viene indicata in un errore di prospet-tiva del re, che porta, inesorabilmente, allacorruzione di tutte le sue relazioni.L’orizzonte è quello di un io onnipotente edimpotente, allo stesso tempo, ed ancora,solo e contro tutti. Saul ci appare come unafigura tragica, uno di quegli uomini politi-ci che il talento conduce facilmente nellestanze del Palazzo, ma che pian piano, quasisenza rendersene conto, si trasformano iningenui e crudeli tiranni. La sua figura dileader è quella di un uomo poco pondera-to, che agisce spesso empiricamente, spin-to dalla paura, dalla fretta, dall’orgoglio, dalvoler tenere tutto sotto controllo, dall’am-bizione, dalla fame di affermare il suo po-tere. Ma il suo peccato originale sta nellasuo assoluto isolamento. Saul agisce sem-pre da solo, il suo cuore non si fida di nes-suno, non ha autentici collaboratori, sospet-ta di tutti, finanche di suo figlio Gionata. Epensare che egli aveva tutti dalla sua parte:Dio, il profeta, il popolo e Gionata!

la potenza del miele

Dopo aver combattuto con successo controi nemici Filistei, gli Israeliti: «erano sfiniti inquel giorno» (1 Sam 14,24).Ma Saul interviene per chiedere loro un sup-plemento di fatica, suggellato da un giura-mento: digiunare fino a sera. Il popolo ubbi-disce; pur se: «passò per la selva ed ecco sivedeva colare il miele, nessuno stese la manoe la portò alla bocca, perché il popolo teme-va il giuramento» (1 Sam 14,29).Gionata, invece, ignaro del giuramento, ap-profitta del miele con piacere: «Allungò lapunta del bastone che teneva in mano e laintinse nel favo di miele, poi riportò la manoalla bocca e i suoi occhi si rischiararono»(14,27); rendendosi colpevole, così, di unpeccato che gli faceva meritare la morte.Quando Gionata confesserà la sua trasgres-

sione, il re Saul decreterà, infatti, sul figlioGionata: «Faccia Dio a me questo e anche dipeggio, se non andrai a morte Gionata!»(14,44), trasformando il giorno della vittorianel giorno dell’angoscia e della morte e impe-dendo al popolo di far festa, quel giorno.Ma il popolo si riscatterà dalla paura di Saule si farà giudice tra il re e Gionata, rivelandouna saggezza più grande di quella del re:«Dovrà forse morire Gionata che ha ottenu-to questa grande vittoria in Israele? Non siamai! (...) Così il popolo salvò Gionata chenon fu messo a morte» (14,45).In realtà il decreto del popolo stabilisce ilcriterio di comunicazione autentica che unmonarca deve avere con il Signore: quellache passa nella verifica concreta della sto-ria del popolo, riconoscendovi i segni obiet-tivi della Sua presenza. La voce del popoloè autenticamente profetica e pronuncia lagiusta sentenza: «Per la vita del Signore,non cadrà a terra un capello della sua te-sta, perché in questo giorno egli ha agitocon Dio» (14,45).Essa è sapiente, innanzitutto perché non de-creta la morte, ma la salvezza, la vita e lagioia (cf. il re Salomone in 1 Re 3,16-28).

la sapienza del re come frutto dell’ascolto

Il monarca biblico deve coltivare la saggez-za (cf. 1Re 3,9), deve sapere, cioè, che il suopotere è limitato e che è inserito in una retedi rapporti in cui a lui spetta di attenderesoltanto ad una specifica funzione, mentreulteriori ruoli sono riservati ad altri. La suanon è una monarchia assoluta, che può di-sporre di ogni arbitrio e sfuggire ad ognicontrollo!Ciò che distingue un monarca «come tuttigli altri», dal monarca di Israele sta nel fat-to che quest’ultimo rappresenta il Signorein mezzo al popolo e non viene da se stes-so. I testi ci dicono che l’etica del potere nonpuò essere autonoma, se vuole essere au-tentica. Essa deve rispondere di legami,deve rendere ragione all’ansia di vita di unpopolo ed alla presenza viva di un Dio chelo ama. Deve cogliere e collaborare alla fe-licità dell’uno e dell’altro. La voce dei pro-feti è scomoda e ingrata perché ricorda epretende questo.La bellezza triste e muta di Saul non giovòalla salvezza di Israele, e la sua storia finìtragicamente, poiché: «Saul dunque interro-gò Dio (....), ma quel giorno non gli rispose»(1Sam 14,37).

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IL CONCRETO DELLO SPIRITO

tempo di Pasquaa Pasqua, in senso stretto, è ‘un’ gior-no; e si rischia di non sentirlo nep-pure molto, questo giorno, anche sesiamo credenti e praticanti. Dopol’intensità del Triduo Sacro, dopo lagrande veglia notturna, il giorno di

Pasqua può trascinarsi a volte nella letiziaun po’ convenzionale e sfuggente dei giornifestivi, senza un elemento forte che facciapresa sulle emozioni e sulla riflessione.Nella tradizione cristiana, la preparazione– la Quaresima – ha sempre avuto un pesomaggiore della Pasqua stessa. Tanto chequalcuno è giunto ad affermare che la Qua-resima esprime il tutto dell’esistenza cristia-na, la sua condizione abituale e normativa.

Pasqua come tempo rinnovato

Vi entrano forse le compiacenze peniten-ziali e l’ascesi del sospetto che hanno carat-terizzato la storia del cristianesimo vissu-to, il fatto insomma che l’essere contenti,lo ‘star bene’ anche giusto e illuminato, lagioia…, sono immediatamente avvolti daun’aura di sospetto: sospetto di leggerezza,di incoscienza, di almeno potenziale egoi-smo – e questo è l’aspetto debole della tra-dizione che abbiamo tutti in qualche modointeriorizzato. Vi è però anche un altroaspetto che ha una sua validità. La Quare-sima, se vissuta in modo consapevole e au-tentico, è un periodo, un cammino…, unEsodo; la Pasqua invece può sembrare un‘punto’, un giorno e basta, anche se è la metaa cui si tende. E si sa che un giorno di festapuò scorrere in fretta e lasciare anche uncerto senso di vuoto, tanto più se è un gior-no a cui si annette, per qualsiasi ragione,un’importanza speciale.Per questo è importante ricordare, e soprat-tutto avvalorare nel vissuto, il fatto che laPasqua non è tanto un giorno quanto unperiodo, un tempo. In prospettiva spiritualepoi coincide – la Pasqua, non la quaresima!– con la stessa vita cristiana, che è vita ‘nuo-va in Cristo’, germogliata dalla sua morte edalla sua vittoria sulla morte; non quindisemplicemente vita ripulita e aggiustata.Sette settimane, con tutto ciò che questo

implica in senso simbolico: il sette nella tra-dizione biblica è il numero della totalità.«Sette settimane di anni», cinquant’annicioè, nel Primo Testamento sono il periodoche va da un Giubileo all’altro.Un tempo che scorre e che si ripropone ognianno, ma non come un tornare al punto dipartenza, bensì come un procedere a spira-le. Un tempo umano e misurabile (insom-ma krònos), ma chiamato a farsi trasparen-te e intenso fino a rendere sperimentabilein termini umani il kairòs, il tempo dellasalvezza.Nello spirito della Pasqua storia ed eternitàsi toccano: la nostra vicenda personale siarricchisce di profondità nuove, di miste-riose risonanze, e con un’inedita concretez-za. La Pasqua vissuta come un camminoallude alla nostra vita come cammino, chesi estende senza fine e si approfondisce ci-clicamente tra resurrezione e dono delloSpirito. Il tempo umano si apre al tempoeterno: cioè superiore ai ritmi e ai condi-zionamenti che conosciamo, ma non im-mobile, non pietrificato in un’astratta su-blimità, non svuotato del divenire e dellascoperta.

tempo di grazia e di gloria

La condizione normale dei cristiani sareb-be la gioia, se la vita fosse quale deve esse-re: gioia e festa e la fraternità che scaturi-sce dalla vita nuova e la manifesta, il rendi-mento di grazie non formale né rituale, mavitale e spontaneo.La gioia e la festa hanno un valore di con-versione permanente: non solo la quaresi-ma con i suoi ovvi (e non trascurabili) ri-chiami all’ascesi, che dopotutto potrebbe edovrebbe essere intesa anche come richia-mo a una maggiore umanità, autenticità econsapevolezza. Sappiamo che sfocia nel-l’appello alla conversione anche l’annunciodella Resurrezione, il discorso di Pietro aPentecoste (At 3,19, I lettura della terzadomenica di Pasqua). E questo può giusti-ficare la tradizionale connessione tra esi-stenza cristiana in statu viatoris e tempo diQuaresima, quindi tra Quaresima e Pasqua:

LiliaSebastiani L

non nella chiave negativa/contrita che sem-bra inevitabile associare al termine e al con-cetto di penitenza, ma come un progredirenella luce.Avanzando nella luce, avviene che certeombre nostre e altrui si vedano meglio, manon è un sentire fallimentare: piuttosto unfatto di grazia e di gloria.Tempo di Pasqua, tempo di gioia, che nonvuol dire di allegrezza olimpica né di simil-mistica atarassia tagliata fuori dai conflittidella storia, dal dolore del mondo, dal sen-so del limite…

tempo della chiesa

L’annuncio della Pasqua – «È risorto, non èqui – deve risuonare come una memoriaimpegnativa anche nel vissuto ecclesiale.«Non è qui», il Vivente non può stare con imorti, l’ultima parola non può essere quel-la del potere e della violenza: e sappiamoche, al di là di quella esplicita, ufficiale, ri-conoscibile, la violenza ha tante forme an-che insospettabili e può annidarsi anche nelnostro cuore – magari decorosamente tra-vestita, certo – e richiede attenzione e di-scernimento.Liturgicamente parlando, il tempo di Pa-squa costituisce un’esposizione simbolica,narrativa e contemplativa, di ciò che la vitacristiana è chiamata a essere, dalle sue ori-gini nella storia di Gesù e della prima co-munità fino al suo approdo nel tempo eter-no di Dio.Una storia vera, non iperuranica, è quella cheha il suo senso e il suo approdo in Dio e cheviene abbozzata nel tempo pasquale; una sto-ria ‘storica’, che tuttavia sembra procedere insenso contrario alla storia umana sperimen-tabile nel quotidiano, che troppo spesso ap-pare come una storia di conflitti e concupi-scenze, come un bisogno confuso di sempre-più-vita che non sa guardarsi nel profondo efinisce col rovesciarsi nella morte.No, la storia della chiesa che il libro degliAtti pone sotto i nostri occhi come impulsoal discernimento permanente è una storiavissuta nello Spirito e nella logica pasqua-le, all’insegna dell’amore fraterno. È unamemoria da attualizzare, un termine di con-fronto, un’utopia. Sì, dichiaratamenteun’utopia, non solo rispetto ad ora ma, permolti aspetti, già anche rispetto ad allora,nel senso che già allora il vissuto comuni-tario presentava molti aspetti incompiuti eapprossimativi: ma il suo carattere utopicoha una natura e una vocazione profonda-mente progettuale, e proprio questo suocarattere costituisce il fondamento dellaChiesa.Negli Atti oltre che una storia liberamente

selezionata si trova un sogno di Chiesa, for-se; ma sappiamo quanto è importante nel-la Scrittura il sogno, non sempre distintodalla profezia!Siamo abituati a leggere gli Atti filtrandoliattraverso una nostalgica luce ideale, tantoil quadro della chiesa degli inizi è diversoda quello offerto dalla chiesa, dalle chiesedi oggi. Anche per ovvie ragioni storiche chenon vanno deplorate, ma solo conosciute esempre meglio comprese.Tendiamo a idealizzare tutte le fasi ‘auro-rali’, ma si sa che nemmeno quella situa-zione, quella prima chiesa per noi carissi-ma e fondamentale, erano realtà idilliachee senza ombre. Anzi, se quella situazione èper noi carissima e fondamentale, lo è pro-prio per quanto riguarda il modo di viverealla presenza del Signore e in spirito di verafraternità anche le sue ombre.I credenti, dice Luca, erano un cuore solo eun’anima sola. Affermazione che esalta eintenerisce e tuttavia subito allerta dentrodi noi le antenne del sospetto, ed è giusto.Perché ormai sappiamo che si può essere«un cuore solo e un’anima sola» (di chi?)solo quando gli altri cuori e le altre animesono azzerati o ridotti al silenzio, e il no-stro pensiero va a certa grigia uniformitàdisciplinare, a certa concordia apparente oimposta spacciata per unità o per comunio-ne. Leggendo con attenzione gli Atti si tro-vano difficoltà e resistenze, incomprensio-ni e conflitti, non solo da parte degli oppo-sitori, ma anche da parte dei fratelli di fede;ma le oscurità, così come i successi, vengo-no assunti e letti nell’orizzonte dello Spiri-to, si fanno eventi di una storia diversa, cheinterpella e stimola a una lettura più pro-fonda.

tempo dello Spirito

Chi è il protagonista degli Atti degli Apo-stoli? Non Pietro, anche se se ne parla mol-to nella prima parte; non Paolo, anche se laseconda parte degli Atti appunta l’attenzio-ne sulle sue vicende; non la comunità cri-stiana, che appare in primo piano in certimomenti ma in altri no. Il vero protagoni-sta degli Atti è lo Spirito santo. O la Paroladi Dio, secondo un’altra validissima inter-pretazione: ma è lo Spirito a far diffonderequella Parola, oppure, secondo il punto divista, quella Parola è promessa e primiziadello Spirito; perciò non vi è differenza.Protagonista vero è lo Spirito, animatoredell’esistenza del singolo credente, guida eriferimento supremo della Chiesa come co-munione dei credenti e mistero di salvezza;lo Spirito sorgente e nutrimento di un amo-re più grande, lucido e profetico, capace di

CINEMAGiacomo Gambetti

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ILCONCRETODELLOSPIRITO

guardare oltre le apparenze, di illuminare,di rinnovare e di risanare. Questo protago-nismo dello Spirito deve diventare una real-tà sperimentabile. Troppo spesso, lo Spiritosembra latitante nella Chiesa istituzione,troppo spesso viene dimenticato di fatto;anche se debitamente rispettato a parole, eanche se (o proprio perché) troppo spessochiamato in questione per giustificare scel-te e decisioni e rifiuti un po’ troppo umani.Nella celebrazione del Venerdì Santo si leg-ge la passione secondo Giovanni: piuttostodiversa da quella raccontata dagli altri evan-gelisti, regale e austera, senza agonia nelGetsemani, senza aspetti di sconfitta uma-na, drammatica ma già trionfale, culminanel momento della morte di Gesù in crocecon la misteriosa annotazione: parèdoke topnèuma (‘diede’, ‘consegnò’ lo Spirito; anchese di solito viene tradotto con ‘spirò’, assolu-tamente insufficiente). Quello pnèuma è ilsuo respiro supremo di uomo soggetto allamorte, ma è anche lo Spirito. Non è neces-sario operare una scelta fra le due letture:spiritualmente è molto più ricco tenerle in-sieme.Da questa prima effusione dello Spirito, co-smica e tuttavia implicita, sembra snodarsiil cammino della primissima comunità, maanche in germe il cammino nostro, verso l’ap-prodo universale del dono visibile dello Spi-rito.

tempo di vita intensificata

L’evento pasquale integra dimensioni chesembravano inconciliabili: storia e mistero,terra e cielo, carne e parola. Siamo chiamatia realizzare anche nel nostro intimo unanuova integrazione. La stessa unità di spiri-to e corpo nell’essere umano è in nuce unapromessa adempiuta e nello stesso tempo lapromessa di qualcosa di ancor più grandeche deve venire: il corpo, come organismovivente e come sacramento dello spirito, co-mincia ad adempiere già qui e ora una pro-messa fatta all’intera evoluzione del cosmoe del genere umano. Il corpo del primo esse-re umano animato dal soffio divino è prefi-gurazione, il corpo risorto di Gesù è il com-pimento della promessa di Dio.Nello spirito della Pasqua siamo chiamati ariconciliarci con la morte, anzi con la mor-talità: con la nostra e con quella degli altri.Siamo chiamati a riconciliarci con il limite,riconciliazione che è premessa indispensa-bile a ogni superamento.Potrebbe assumere una singolare profondi-tà in questo senso la II domenica di Pasqua(meglio ‘di Pasqua’ che ‘dopo Pasqua’, ciò chepotrebbe dar l’idea di qualcosa di passato,di trascorso). Si sa che per consuetudine li-turgica veniva chiamata la domenica in al-

bis: il termine intero sarebbe in albis deposi-tis (o deponendis).Nell’ottavo giorno dalla Pasqua i neofiti, cheavevano ricevuto il battesimo nella vegliapasquale – si parla ovviamente di adulti – sitoglievano la veste bianca segno del loronuovo status di cristiani, che avevano porta-to durante tutta la settimana in cui avevaluogo la loro iniziazione al mistero che ave-vano vissuto – la mistagogia – e cominciavala vita solita, per così dire: comune, ‘feriale’,ma nuova e assolutamente diversa da pri-ma, perché era la vita di coloro che eranodivenuti cristiani ed erano partecipi del mi-stero della resurrezione di Cristo. Questo haun valore di segno e di memoria anche pernoi che, di solito, non possiamo avere il ri-cordo vissuto del nostro battesimo e ci sia-mo abituati ad esso, fino al punto di nonsaperne più avvertire la carica di novità.Il Tempo di Pasqua sembra diventare piùtrasparente e leggibile verso la fine: con lasettima domenica in cui celebriamo l’Ascen-sione. Una festa infinitamente suggestiva evera, se si riesce a purificarla dai residui‘ascensionistici’ dell’infanzia e del catechi-smo; si sa che non è tanto facile liberarci dairiflessi infantili, nonostante tutta la culturae la riflessione che possiamo avervi messosopra in seguito.Una festa in cui ricordiamo il passaggio diGesù dalla terra, che esprime condizioneumana, al cielo, che esprime condizione di-vina, «alla destra di Dio». Un passaggio checerto non è da collocare in un momento pre-ciso, riconoscibile (la tradizione sinottica lodifferenzia dalla Resurrezione, il quartoevangelista no) e che soprattutto non riguar-da Gesù solo, anche se Gesù ci apre la stra-da: l’Ascensione è memoria del fatto che an-che noi siamo protesi fra terra e cielo e an-che noi un giorno, come dice il Salmo re-sponsoriale, gusteremo dolcezze senza finealla destra di Dio.Questo tempo ci ricorda la nostra impegna-tiva libertà.Ogni giorno siamo chiamati a un ri-orienta-mento nello Spirito, a rinnovare la nostraadesione – e ciò non significa ripetere, signi-fica immergersi nel flusso del piano di Dio eimparare a leggere la storia con altri occhi.Il tempo di Pasqua è tempo della fede pereccellenza. Dunque anche tempo della spe-ranza, che è la fede stessa nel suo risvoltodinamico; e tempo della carità, perché l’amo-re fraterno, esteso fino a ‘fraternizzare’ tuttala comunità umana e il cosmo, manifesta erende sperimentabile, comunicativa la sal-vezza in cui abbiamo creduto, e diventa stru-mento dello Spirito per la trasformazione delmondo.

Lilia Sebastiani

Volere è potereIl caimano

Il regista Nanni Moret-ti, specialmente negliultimi tempi, ha sem-

pre organizzato, attorno aipropri film, una abile cam-pagna pubblicitaria. Laqual cosa è assolutamentelegittima. Da tempo si par-lava di questo Il Caimano,in una atmosfera di miste-ro e insieme di allusioni.Sono trapelate indiscrezio-ni, abbastanza consistenti,sui riferimenti politici del-la trama. Addirittura sui ri-ferimenti biografici: si erainfatti detto che si trattavaaddirittura di un film sulPresidente del Consigliodei Ministri, Silvio Berlu-sconi. Con questa pseudo-informazione – in realtàmai ufficialmente avvalo-rata da nessuno – si è an-dati avanti fino all’uscitadel film sugli schermi, unadecina di giorni prima del-le elezioni politiche del 9/10 aprile.Precisando, a puro titolo dicronaca, che il sottoscrit-to scrive queste note primadell’esito delle elezionisuddette (intendendo co-munque parlare di cinema,non di politica), occorredire che si tratta innanzi-tutto di un film moralisti-co e sentimentale su pro-blemi di famiglia e di soli-tudine. Del resto, moltifilm di Moretti hanno co-munque uno sfondo narra-tivo di carattere più omeno politico, anche sel’origine politica di oggi èassai concreta. Ma è dav-vero così?Il personaggio-Berlusconi,in realtà, è un protagoni-sta soltanto casuale, maqui occorre forse rifletteresu quel che il film non è.Non è, infatti, un film bio-grafico, e non è neppureun film particolarmentepolemico, considerandoche gli aspetti polemici at-torno al personaggio sonoda tempo molto noti – esi-stono molti libri al riguar-do –, e non hanno per va-rie ragioni chiuso la que-

stione né sul piano moralené sul piano politico. Perdirla chiara si può ipotiz-zare che Moretti – che, ol-tre che regista, è il princi-pale autore della sceneggia-tura – avesse forse intenzio-ne di realizzare un film tut-to attorno al complessopersonaggio del Presiden-te del Consiglio, ma chestrada facendo non abbiaavuto la volontà di portarefino in fondo il suo proget-to. In tal modo il progettoè rimasto uno spunto an-nacquato in una storia inparte malamente desuntadall’8½ di Fellini, in partemodernizzata col porrel’accento su una crisi co-niugale. A questo punto letre – chiamiamole – storiesi intrecciano abbastanzacasualmente, e il registaMoretti (sullo schermo l’at-tore Silvio Orlando) nonriesce a portare avanti ilprimo progetto. L’attoreche doveva interpretareBerlusconi – cioè MichelePlacido – si ritira perché hapaura del suo stesso perso-naggio, e a chi qui scrive

pare che lo stesso timore diaffrontare fino in fondo ilPersonaggio sia del registaMoretti, intendiamo il re-gista del film Il Caimano.Rimangono così incom-piute sia la storia della cri-si coniugale sia quella del-la crisi professionale, men-tre nel finale del film ri-spunta, con una concioneche sa molto di appiccica-ticcio, il personaggio Mo-retti-Berlusconi.Se è così, se la nostra in-terpretazione si avvicinaalla verosimiglianza, oc-corre dire che è spiacevoleche il primissimo progettodel film non sia andatoavanti completamente.Forse Moretti non ha né lecorde spettacolari di unsolido film americano (adesempio Tutti gli uomini delPresidente) né quelle comi-co-drammatiche delChaplin de Il grande ditta-tore. Il suo film migliore èe rimane La Messa è finita,in cui con semplicità echiarezza pone in eviden-za alcuni elementi politico-morali della vita di oggi. Il

Caimano è di certo indu-strialmente più ricco deifilm precedenti, rispetto alregista Moretti (complessi-tà intellettuale, ricerchepsicologiche a volte un po’forzate), ma la sua ambi-zione di offrire il quadrodegli anni Duemila rimanefrustrata da una mancanzadi coordinamento prima ditutto nella sceneggiatura epoi da una stringatezza re-gistica imprecisa e incom-piuta.In parte la sorte de Il Cai-mano è simile a quella deLa tigre e la neve. Infatti idue temi forti, rispettiva-mente nel film di Benignila guerra in Iraq, in quellodi Moretti il personaggio ele vicende-Berlusconi risul-tano appena sfiorati. Sem-bravano voler essere al cen-tro di tutto, ma poi vengo-no lasciati in disparte, qua-si che non si abbia la forzadi portarli fino in fondo. Ilrisultato è di una sostanzia-le evasione, di una evane-scenza nel complesso al-quanto deludente.Ci rendiamo conto chel’analisi del film può ancheessere, in qualche modo,rovesciata fino a rivalutareuna apparente ricchezzanarrativa: ma il sostanzia-le disordine strutturale incui Il Caimano troppo spes-so naviga ci fa propendere,non senza dispiacere, perl’ipotesi meno nobile.Azzardiamo una previsio-ne? Se la candidatura dipartecipazione del film alfestival di Cannes – che èuna eventualità al momen-to in cui scriviamo – andràin porto, quasi quasi scom-mettiamo su un forte ap-prezzamento de Il caimanoda parte dei «cugini» fran-cesi: il film ha molti carat-teri vicini a una certa «in-tellettualità» a loro cara.Una osservazione non solodi pura curiosità: è bravissi-mo, in un ruolo d’attore nontanto di fianco, un granderegista, il caro amico Giulia-no Montaldo. ❑

Roberto Carusi

TEATRORenzo Salvi

RF&TVMariano Apa

ARTEAlberto Pellegrino

FOTOGRAFIA

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Grottesca tragedia

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I BorromeoMostri: nel frastuono dei media

Si dice della Milano diRosmini e di Manzo-ni e, magari, viene da

pensare al Gallarati Scottie al Fogazzaro se si pensaa taluni sviluppi della cul-tura della modernità. Edunque si deve nominarela realtà di quella novitàassoluta che è la testimo-nianza radicale della radi-calità evangelica, nel cor-po straziato e glorioso diCarlo Borromeo e nel cor-po austero e di autoritàpastorale, di Federico.Così il Concilio di Trentosviluppa la Riforma Catto-lica dell’Europa futura edisegna una qualità eccle-siale dell’arte che rende ilDuomo la casa del popolodi Dio. La mostra che Pao-lo Biscottini propone nelMuseo Diocesano che diri-ge, fino a maggio, «Carlo eFederico. La luce dei Bor-romeo nella Milano spa-gnola» è una esposizionemolto importante e moltopertinente in questa attua-le Europa, ed è un utileconfronto a cui tutti siamochiamati a rispondere. IlCardinal Tettamanzi scri-ve: « I due arcivescovi Bor-romeo hanno saputo, inmodi diversi, interpretareil loro tempo e, pur nellenon piccole angustie epo-cali, liberare le forze posi-tive della speranza in Cri-sto e nella sua Chiesa. Ladominazione spagnola, lapeste, ma anche le difficol-tà di una Chiesa che cercadi rinnovarsi secondo gliindirizzi emanati dal Con-cilio di Trento – nonostan-te le eresie – anziché incep-pare il cammino di sanCarlo lo rendono via viasempre più vigoroso nelladonazione totale di sé aDio e al suo popolo. Si rac-conta che, morendo, eglicontemplasse il dipinto»,continua il Cardinale, «diGiulio Campi raffigurante

Cristo nell’orto: l’arte, dun-que, come riproposizionedella storia sacra e insiemecome occasione per ripen-sare al suo mistero. Questamostra, parlandoci del pe-riodo di san Carlo e di Fe-derico Borromeo», conclu-de l’Arcivescovo di Milano,«non può non prescindereda una simile concezionedell’arte, che in questa oc-casione viene presentatanon solo sotto il profilo sto-rico, artistico e culturale,ma anche come meravi-gliosa opera della creativi-tà dell’uomo alla ricerca diDio».Da Paolo Biscottini che in-troduce, a Luigi Crivelliche spiega San Carlo Bor-romeo, alla AntoniettaCrippa che analizza l’iconadell’altare, a Ernesto Brivioche spiega il rapporto tra iBorromeo e il Duomo, inumerosi saggi del volumebene ci guidano al viaggiosplendido dentro la mostraquale itinerario del corpoglorioso. E scorrono allo-ra le opere di GaudenzioFerrari e del Moretto, Gio-vanni da Monte e dei Cam-pi, il Cerano, il Morazzone,Cairo, Lo Mazzo e Figino,Peterzano e Procaccini, Se-rodine, il Nuvolone. E sonoe saranno ancora le grandimovimentate scene delleVisite Pastorali e le Proces-sioni per il Sacro Chiodo,a portarci la creativa in-quietudine delle SacreRappresentazioni ai SacriMonti e dunque a ricorda-re il giovane Testori chescopriva il Seicento Lom-bardo e da cui quel suoscrivere nella sapienza ora-toriale che, ancora una vol-ta, attraversando i decennie i secoli si portò a ricon-giungersi nella condizionedel rito ambrosiano alManzoni e al San CarloBorromeo.

Nella prestigiosa sedefiorentina di Palaz-zo Vecchio gli Alina-

ri hanno allestito nel perio-do dicembre 2005-gennaio2006 la mostra Marilyn andfriends (Catalogo FratelliAlinari, Firenze, 2004) de-dicata alle opere del fo-tografo americano SamShaw (1912-1999) e del fi-glio Larry (1937), che rap-presentano l’universo di«celluloide che ruota intor-no alla mitica figura diMarilyn Monroe. RolandBarhes ha scritto nel 1957un saggio (Mythologies), incui sostiene che i miti delXX secolo sono una formadi linguaggio e che, costi-tuiscono, all’interno deiloro limiti storici, un siste-ma di comunicazione ca-pace di trasmettere precisimessaggi ed usa comeesemplificazione due volti«mitologici» di quel perio-do: Greta Garbo e AudreyHepburn. Marilyn Monroerappresenta il mito dellagenerazione successiva perla sua bellezza fisica, per letragiche vicende della suavita, per quel suo essere at-traente e sfuggente, sedu-cente e peccaminosa agliocchi di molti. Sam Shawha il merito di rappresen-tare in queste foto una don-na semplice e vivace, natu-rale e spontanea, quasisempre lontana da queimodelli figurativi spessostandardizzati che ne han-no fatto un’icona universa-le del XX secolo immorta-lata persino da Andy War-rol. Shaw, insieme al figlioLarry, ricostruisce anche ilmondo del cinema che ruo-tava intorno a Marilyn conimmagini scattate non soload Hollywood, ma anche aParigi e a Roma, dove ne-gli anni Sessanta passavamolta parte del cinema in-ternazionale. Sam Shaw,che il regista-attore John

Cassavetes da definito «ilmoderno Prassitele che ri-vela la bellezza della nuo-va Afrodite», realizza im-magini particolarmentesuggestive di Marlon Bran-do e di altri divi fra cuiClark Gable, Gregory Peck,Cary Grant, Antony Quinn,Paul Newman, Sean Con-nery, Woody Allen, Elisa-beth Taylor, Ursula An-dress, Mia Farrow, MelinaMercuri, Jane Fonda,Romy Schneider; le france-si Catherine Daneuve e Ju-liette Greco; le «stelle» ita-liane Anna Magnani, Silva-na Mangano, Gina Lollo-brigida, Sophia Loren,Claudia Cardinale e Mar-cello Mastroianni; infine iregisti Alfred Hitchcock,Jean Renoir, Otto Premin-ger e Vittorio De Sica. L’as-semblaggio di tutti questiritratti riesce non solo arappresentare gran partedel mondo cinematografi-co, ma anche uno spacca-to di costume del Novecen-to.

L’incipit dello spetta-colo Lasciami anda-re madre è un incubo

– che dal sonno proseguenella veglia – per la prota-gonista. Intorno a lei una«selva oscura» che, a se-conda della illuminazione,rivela sotto tronchi e radi-ci apparenti la realtà diinerti corpi umani. È unbell’impianto scenico ide-ato da Enrico Job. Questoinsolito libro musikdramadi Lina Wertmüller e Hel-ga Schneider (autrice del-l’omonimo libro da cui ètratta la pièce) prendespunto dalla vicenda au-tobiografica della scrittri-ce. La madre l’abbandonòquand’era ancor bambinaper seguire la follia hitle-riana e mettersi al serviziodel regime nazista. Andòinfatti a svolgere con tota-le dedizione il ruolo diguardia cinica e spietatadelle SS. È la donna stes-sa – ormai novantenne – arivelarlo nell’incontro conla figlia ritrovata, dellaquale tuttavia l’anziana si-gnora continua, lucida ovaneggiante che sia, a vo-lere negare l’esistenza invita.La figlia, da parte sua, sidibatte con disperazionetra il ricordo – che cercadi fare riaffiorare nellamadre – dei tempi andatie la insopprimibile esigen-za di liberarsene lei stes-sa. Una azione che non èazione, se non quella dirivivere interiormente –ciascuna a suo modo –l’angosciosa vicenda. Unpreciso riferimento stori-co: il nazismo, che si faemblema tuttavia di unapiù complessa disumani-tà nella negazione della re-altà. Oggetto o simbolo diquesto tempo senza tem-

po è una grande pendolache Job ha posto al centrodella sua scenografia ed èun orologio senza lancet-te.Milena Vukotic è lucida estruggente nei panni del-la figlia, combattuta tra ilrimpianto e il rifiuto diuna madre siffatta. A daregesto e voce alla vecchiaterribile sua genitrice è in-vece nientemeno che ilbravo Roberto Herlitzka,che riesce a dare credibi-lità all’incredibile perso-naggio.Alla Wertmüller autrice eregista va il merito di ave-re accentuato con rigoreil versante grottesco deldiagolo tra le due donne.E lo fa incorniciandonetalora le battute con uncoinvolgente sottofondomusicale – dovuto a ItaloGreco e Lucio Gregoretti– che evoca l’atmosfera dicerte ballate di BertoltBrecht e Kurt Weill. Il cheaiuta anche lo spettatorea prendere – per così dire– le distanze dall’ango-sciosa atmosfera. Sicchéil distacco finale tra ledue donne (ennesimo as-sopimento o commiato,forse definitivo, della ma-dre o – più probabilmen-te – la scelta della figlia diliberarsi finalmente daquel luttuoso capestroombelicale) fa tirare unsospiro di sollievo anchea chi vi assiste.Con la valida coerenza sti-listica della messinscena,lo spettacolo – pur appar-tenendo al cosiddetto tea-tro di narrazione – ne evi-ta scogli e secche per la for-za con cui i due eccellentiinterpreti riescono a evi-denziarne le due figure daloro impersonate.

Convenzionalmentesi definisce «withenoise», rumore bian-

co: è il sussurro diffuso, ilmormorio di fondo, la base,sonora e non solo, di cui èsparsa la vita quotidiana peril fluire, il sommarsi ed ilfrangersi dei mezzi di comu-nicazione soprattutto audio/e/visivi. È entrato – questorumore – nella nostra abitu-dine percettiva: non lo co-gliamo più anche se fa da pa-esaggio sonoro sottotracciadelle nostre vite: musiche,notizie, informazioni, im-magini, commenti, opinioni,vaneggiamenti, chiacchiera,jingle, spot…Ma talora dirompe: sale neitoni, muta di livello comu-nicativo, assorda. Accadenella prossimità di eventi dialta intensità emotiva: è ac-caduto nel caso, drammati-co sin oltre la tragedia dellamorte, del rapimento e del-l’uccisione di un bimbo dairiccioli biondi e dai grandiocchi chiari, di nome Tom-maso. Lo scatenamento èstato immediato e senza re-gole: dalla cronaca è passa-to a precipizio agli appro-fondimenti giornalistici (ra-dio e televisivi) e da questiai contenitori di banalitàchiacchierata dei pomeriggitv ed ai programmi/rissanotturni delle emittenti tele-visive locali. Ciascun ambi-to è riuscito – accade in que-sti casi – a dare il peggio disé: sino alla scoperta con te-lecamera del Tg1 al seguito,da parte delle forze di poli-zia, di una (ad oggi almenoincerta) prigione preparataper il piccino rapito; sino al-l’aggrovigliarsi del comuni-care, per interviste, battuteed allusioni, nei meandrimeno chiari scoperti a mar-gine della tragedia in corso;sino a protagonismi del tut-to inattesi persino per il fra-stornante e frastornatomondo dei media.

Nel tormentone mediaticoin cui compariva un padrestremato ma perennementein video forse persino per un(quanto ben inteso?) sensodel dovere, e in cui si intrec-ciavano i confronti e le mil-le parodie del confronto traesperti ed «opinionisti»,dentro il susseguirsi di diret-te tv in postazione esternaper dire che non c’era nullada dire, è così accaduto divedere la recita di uno, al-meno, dei sequestratori/as-sassini nel ruolo di chi siappella alla dignità, all’uma-nità e alla giustizia.Il mostro s’è nascosto nelfrastuono, perché il frastuo-no consente ai mostri dimimetizzarsi. Esponendosi.Perché il frastuono proponemostri: mascherandoli.E questo è possibile perchénon è la realtà quella che vain pagina e va in onda, inquesti casi, ma una sorta direality che nella realtà ha sol-tanto tragiche radici. Poi tut-to diviene costruzione del ve-rosimile e dell’inverosimilenarrati come realtà. Per gior-ni il bimbo Tommaso sem-brava essere scomparso daun’informazione tutta voltaa fatti laterali morbosi, aduna scatola con molto dena-ro, ad improbabili rincorsedi un povero cagnetto.La magistratura, il suo one-sto silenzio e la sua doloro-sa autocritica per non averpotuto salvare il piccolo puravendo raggiunto i colpevo-li, in conferenza/stampa èstata svillaneggiata da qual-cuno che aveva partecipatoalla costruzione del frastuo-no confuso. È parsa unavendetta ed una chiamata arender conto di un manca-to allineamento alla scom-binata farsa della cattiva co-municazione. Quei magi-strati sono invece da ringra-ziare: per aver lavorato se-riamente. E per averlo fattoin silenzio. ❑

Michele De Luca

MOSTREGiovanni Ruggeri

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Nadine GordimerSvegliaFeltrinelli, Milano 2006,pp. 175

La Gordimer, dalla vita lun-ga e travagliata ma calda eimpavida, con «Sveglia» sidiscosta dai temi che le sonostati più cari, vissuti in pri-ma persona: l’apartheid, iltotalitarismo, l’inizio dellademocrazia in quel Sud Afri-ca, del quale è figlia, vessatoe sfruttato per troppi anni.Ha più di ottant’anni maancora tanta voglia di ci-mentarsi con la pagina bian-ca che, con «La storia di miofiglio», le valse nel 1991 ilNobel per la letteratura.Per questa sua ultima faticadismette i panni della dolen-te cronista di martiri e so-prusi consumati in unaJohannesburg che, se ci ar-rivi dal cielo, ti accoglie sudi un tappeto lilla di petalidella jacaranda, quasi a na-scondere e obliterare il san-gue nero di cui è intrisa, peraffrontare l’attualità piùstringente e dolorosa . Vadalla malattia del figlio, alnucleare, ai dissennati pro-getti di stravolgimento eco-logico, ma sottotraccia per-mane la dura realtà del quo-tidiano rapportarsi con gliamori viscerali, i rapporti in-terpersonali, l’urlante san-gue della madre davanti allamalattia del figlio Paul.Questi si trova a vivere unaquarantena lontano dallasua famiglia, con una mo-glie in carriera e un figliopiccolo che non può abbrac-ciare e del quale non puògodere l’imparare quotidia-no del suo crescere, perchéè «luminescente» dopo unaserie di applicazioni radio-attive per sconfiggere uncancro alla tiroide. E alloraè il giardino della sua casanatale il luogo deputato allospaesamento, alla confiden-za, al pianto, all’amore, al re-cupero dei rapporti con i ge-nitori- gente borghese ed eli-taria- dove ogni identità èlabile. La solitudine in cui èconfinato e i pensieri diven-tano l’obiettivo di un foto-grafo che ingrandisce le im-

magini facendo affioraredall’indistinto sempre parti-colari nuovi, scoprendo uni-versi incasellati uno nell’al-tro: le infedeltà del cuore, lecontraddizioni fondamenta-li fra i valori che guidano ilsuo lavoro di impegnatoecologista e quelli della mo-glie che dirige un’agenziapubblicitaria, i rapporti al-l’interno della sua famigliadi origine dove tutto si sfal-da nelle regresse infedeltàdella madre e le scelte ulti-me del padre che se ne va inMessico sì per sete di sape-re , ma anche per trovarviuna nuova dimensione affet-tiva. Sdoganato finalmentedalla luminescenza, consa-pevole di aver perdutol’amore della familiaritàquotidiana, la capacità disentirsi appagato e felicedella ripartizione semprenuova di ciò che rende in-cantevole lo scorrere deltempo, deve cominciare aricostruire il proprio sé e ilproprio posto nel mondo incui nulla in apparenza ècambiato.

Caterina Dalle Ave

C.M. Martini, D. Tetta-manzi, F. Riva, S. XeresDalla città accoglientealla città apertaCittà Aperta Edizioni, Tro-ina (En) 2005, pp. 166

Da diverse prospettive gliautori affrontano uno deitemi attualmente più dibat-tuti: la crisi della città comeluogo di appartenenza e dipartecipazione.La violenza nelle periferiedelle grandi capitali euro-pee, per diversi giorni sullaprima pagina dei quotidia-ni nazionali, è un segnaled’allarme, e punta il ditosulla mancanza di politichesociali capaci di ridurrel’emarginazione e la pover-tà. Oggi più che mai occor-re ripensare la città a parti-re dalle periferie, dove le dif-ferenze possano avere il di-ritto di esistere.«Una città per tutti» sostie-ne Franco Riva, docente di

Sophia Loren Telefonare gratis

S cicolone, Lazzaro,Loren. Tre cognomiper una vita». È que-

sto il titolo della bella mo-stra allestita nelle sale delVittoriano a Roma per ce-lebrare cinquant’anni dicarriera della nostra attri-ce più amata ed apprezza-ta nel mondo; a Sophia: ba-sterebbe il nome di batte-simo soltanto per identifi-carla inequivocabilmentein tutti i continenti del pia-neta, come Leonardo, oRaffaello… eppure l’attricelungo la sua carriera haavuto un cognome vero(Scicolone) e due cognomi«adottati», e cioè Lazzaroe Loren, il primo per il pe-riodo degli esordi e dei con-corsi di bellezza, il secon-do per il resto della vitacontrassegnato dalle mas-sime affermazioni nel cine-ma italiano ed internazio-nale.A questa indiscussa iconadel cinema e della bellezzaitaliana è dunque dedicatauna rassegna (curata daVincenzo Mollica) allestitanell’Ala Brasini del biancomonumento che dominasu Piazza Venezia. Un per-corso senza segreti, dai pri-mi concorsi di bellezza,come il «Principessa delMare» nella natia Pozzuolifino ad arrivare alla parte-cipazione a «Miss Italia»del 1950; per proseguire aRoma dove comincia come«comparsa» a Cinecittà nelcolosso Quo Vadis (unaacerba Sophia che saluta icondottieri delle legioniromane lanciando fiori tragrida di gioia) e approdaalla realizzazione dei primifotoromanzi e cineroman-zi in cui incomincia ad im-porsi la sua personalità ar-tistica. Tra il ’50 e il ’52 alsuo nome seguiva il cogno-me Lazzaro; e qui fu fon-damentale l’incontro con ilproduttore Goffredo Lom-

bardo che durante le ripre-se del film Africa sotto i maricambiò «d’ufficio» il suocognome in quello che sa-rebbe rimasto come defini-tivo, e cioè Loren.Le bellissime foto di scena,i ritratti realizzati da mae-stri dell’obiettivo come Ri-chard Avedon e Tazio Sec-chiaroli, gli abiti firmati daDior, Armani, i gadget, tuttele locandine e i manifesti, ipremi, i copioni dei suoifilm e, su maxischermi, loscorrere dolcemente osses-sivo delle pellicole più famo-se e di rari spezzoni: unagoduria. Da La bella mugna-ia a Ladro lui, ladra lei, daArabesque con il mitico Gre-gory Peck a La Miliardaria,da Il Viaggio con Burton aLa moglie del Prete, da C’erauna volta di Rosi, sullo sfon-do della Certosa di Padula,a Pane amore e… con il«Mambo Italiano» ballatocon un De Sica magistral-mente «turbato» da talestraripante bellezza, da Unagiornata particolare, al fian-co del grande Marcello (concui ha girato ben quattordi-ci film, i più amati dall’at-trice), fino al capolavoro deLa ciociara, che le valse l’am-bitissima statuetta d’oro del-l’Oscar. «Tutte le cose che hoscelto per questa mostra –ha detto ancora la Loren –hanno un senso preciso, ri-cordo perfettamente tutte lecose a cui sono legate». ❑

Una rivoluzione per-manente, con conti-nui colpi di scena,

sofisticate innovazioni tec-nologiche, agguerrite cam-pagne commerciali. Si pre-senta così il frastagliato pa-norama della telefonia (ita-liana e internazionale), am-bito imprescindibile dellavita quotidiana che si arric-chisce ora di strabilianti in-novazioni provenienti da In-ternet, la cui nuova frontie-ra si chiama VoIP. Già unanno e mezzo fa avevamosegnalato questo fenomeno,all’epoca poco più che agliinizi (cfr. Rocca, n. 22, 2004),ma sappiamo già come, inambito tecnologico-infor-matico, un tale lasso di tem-po sia fin troppo ampio. Lastruttura tecnologica dibase non è cambiata (VoIPsignifica Voice Over InternetProtocol, ossia comunica-zioni audio-video effettuatemediante la rete/protocolloInternet da computer acomputer, da computer atelefono fisso e cellulare, datelefono fisso a computer),ma sono cambiate alcunecondizioni che ne condeter-minano qualità e praticabi-lità: prima tra tutte, la dif-fusione di connessioni Inter-net veloci, a costi accessibi-li e disponibili 24 ore su 24(non è per nulla il massimo,ma la stessa Adsl nostrana,commercializzata da Tele-com Italia o da altri opera-tori, dà già risultati soddi-sfacenti).La novità di rilievo è la dif-fusione di programmi checonsentono di telefonare acosti ridottissimi, o addi-rittura gratis, da compu-ter a telefono fisso o cel-lulare, come pure effettua-re gratuitamente audio evideoconferenze di quali-tà a costo zero. Il miglioresempio nella prima cate-goria, da noi personal-mente testato, è offerto daVoipstunt, un programmagratuito e ancora in fasedi sviluppo con il quale sipuò telefonare gratuita-

mente (avete letto bene:gratuitamente) in Italia ein una cinquantina di Pa-esi di tutto il mondo, dal-la Germania alla Georgia,dalla Colombia alla Cina,dal Venezuela a Spagna,Irlanda, Ungheria ecc.(www.voipstunt.com) .Decisiva, per avere una buo-na qualità audio, è la con-nessione Adsl, mentre percomunicare bastano un co-mune microfono e cuffia oaltoparlanti per computer.Tuttora in prima linea nel-la telefonia VoIP è l’ottimoSkype (www.skype.com),programma sviluppato an-che in lingua italiana chespicca tra tutti per qualitàdi comunicazioni da com-puter a computer, con buo-ni risultati anche nella vi-deochiamata da pc a pc.Skype, come del resto Voip-stunt e analoghi program-mi, prevede anche la possi-bilità di acquistare creditotelefonico per chiamare intutto il mondo da computera telefono, ma le sue tariffenon riescono a competerecon quelle di Voipstunt (inmolti casi gratuito, comesegnalato).Mentre i grandi protagonistidi Internet si sono già attrez-zati (vedi Yahoo!) o si stan-no attrezzando (vedi Micro-soft) per competere su que-sta nuova frontiera (Skypeconta ben 23 milioni di ab-bonati), nuovi soggetti sor-gono, spesso con apprezza-bili risultati: è il caso, adesempio, del francese Wen-goPhone e dell’italianoSkypho, disponibili rispetti-vamente in www.wengo.come www.skypho.net. Per nondire poi delle molteplici fun-zionalità che tali programmiassicurano, dalla segreteriatelefonica gratuita all’asse-gnazione di un nuovo nu-mero gratuito e inoltro di te-lefonate su altri numeri, ecc.Insomma, una vera e pro-pria fioritura di innovazio-ni, che ce ne farà sentire evedere – letteralmente – del-le belle. ❑

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Etica sociale, dove non ci siaesclusione per nessuno. Unacittà che recupera i ‘volti’mediante la costruzione diluoghi d’incontro ed è acco-gliente perché promuove lapartecipazione, la giustiziae la solidarietà.La città è il luogo della iden-tità, aggiunge il cardinaleMartini, che si «ricostruiscecontinuamente a partire dalnuovo e dal diverso». Il com-pito precipuo della città è lapromozione di tutti gli uo-mini.Un’attenzione particolare edoverosa va rivolta agli im-migrati, ricorda Dionigi Tet-tamanzi, l’attuale arcivesco-vo di Milano, di cui occorrefavorire il «radicamento»nella città che li ospita.Nella città nessuno deve sen-tirsi «forestiero», nel sensopiù ampio della parola: puòesserlo l’indigente che nontrova solidarietà, il malatodimenticato, l’anziano solo,il giovane senza prospettiveper il suo futuro.Occorre, allora, rimettere alcentro i diritti fondamentalidegli uomini e progettareuna città che abbia il voltodella nuova Gerusalemme,la città santa, accogliente eaperta, «un luogo in cui lemoltitudini vivono in armo-nia, in un intreccio di rela-zioni molteplici e costrutti-ve». In questa città ideale iltempo ha un ritmo piùumano, non schiavo dellafrenesia: è tempo per l’arte,la musica, il teatro, la cul-tura, la relazione. Infine perSaverio Xeres, nell’epocaattuale della globalizzazio-ne, forse, non c’è più postoper le città, nel senso chesembra ridursi nelle perso-ne la possibilità di sentirsipartecipi delle scelte di unacomunità che diventa sem-pre più complessa e ampia.Sembra anche che non cisia nella città un posto pre-ciso per la Chiesa cattoli-ca, dal momento che nella«città globale» coesistonoculture, costumi e religio-ni diverse. Tuttavia, anchein una situazione di taleprecarietà si rende semprepossibile l’incontro tra Dioe l’uomo, che è alla base diuna convivenza dal volto

umano.

Franca Cicoria

Aldo BodratoScritte sulla pelleEdiz. Portalupi, CasaleMonferrato (To) 2005,pp. 112

Questo libro di poesia cisembra richiedere due livel-li di lettura. Il primo, imme-diato, estetico; l’altro, filoso-fico-teologico. Non nel sen-so che troviamo da una par-te i versi e dall’altra i versicon i pensieri e le riflessioni,ma il registro estetico è quel-lo più facilmente fruibile per-ché la sua forma è data dauna polifonia drammaticache raggiunge i toni ora sus-surrati ora urlati della con-temporaneità, come nellapoesia del terrorista: «Sonoun corpo imbottito di trito-lo,/destinato a esplodere/ nel-l’abbraccio con l’altro./Sonouno che vola in brandelli/inmezzo a una folla di bambi-ni, /di donne,di giovanili vec-chi/ per straziarli straziando-si»(…) «sono una scolarettaricamata di porpora /da unasventagliata di kalashnikov/sulla scuolabus di una colo-nia…». Oppure nell’eternalotta dell’uomo con Dio: «In-visibile,/ non inafferrabile.Uno come me/che sa beneincassare».Versi spezzati, anche nel re-sto del libro, che ripercorro-no un notevole arco di annidell’Autore, e fanno riviveregli incontri dolcissimi con lanatura e le notti di luna e isogni e l’amore, e si fannopreghiera. «Il travestimentoestetico è sempre una minac-cia per l’esperienza religiosa»,avvertiva Kierkegaard. Ma lapreghiera di Bodrato non si«traveste» di rime, semmai lapreghiera è il registro nottur-no della sua ricerca che diceinquietudine e intreccio dipensieri profondi. Forse per-ché di Dio non si può parlarema si può solo invocarlo, gliinterrogativi stessi in questepagine trascolorano nei tonidel vocativo.

Anna Portoghese

roccaschedepaesi

in primopiano

Carlo Timio FRATERNITÀ

«Ogni volta che avete fatto qualcosaa uno dei più piccoli di

questi miei fratellilo avete fatto a me» Matteo 25, 40

Nello Giostra

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Stato dell’Africa orien-tale, l’Eritrea è bagna-ta a est dal Mar Ros-

so (da cui il Paese prendeil nome; dal grecoerythros, «rosso») e confi-na a sud-est con Gibuti, asud e a ovest con l’Etiopiae a nord e a nord-ovest conil Sudan. Verso la metà delXVI secolo i turchi si im-padronirono di tutta lazona costiera e la domina-rono per i successivi tre-cento anni. Dopo una bre-ve parentesi di dominioegiziano intorno alla metàdel XIX secolo, fu la voltadegli italiani, che nel 1882intrapresero una politicadi colonizzazione dell’Eri-trea meridionale. Nel 1889l’imperatore etiope Mene-lik firmò un accordo cono-sciuto come il trattato de-gli Uccialli, nel quale ce-deva agli italiani la regio-ne che poi divenne l’Eri-trea. L’Italia cominciò a fi-nanziare lo sviluppo diquesta nuova colonia, eco-nomicamente strategica,portando a termine gran-di opere, tra cui un’impor-tante linea ferroviaria checollegava Massaua aAsmara (la capitale), oltrea strade, ponti, gallerie eun sistema di telecomuni-cazioni molto efficienteper quei tempi. Negli anniTrenta l’Eritrea era la co-lonia più industrializzatadell’Africa, sebbene le po-polazioni locali, spogliatedella maggior parte delleterre e costrette a subire ilgiogo della colonizzazio-ne, pagavano caro il prez-zo dello sviluppo. Il domi-nio italiano cominciò adeclinare quando, all’ini-zio del secondo conflitto

mondiale, l’Italia dichiaròguerra all’Inghilterra. Gliinglesi ebbero la meglio ecosì l’Eritrea divenne un ter-ritorio sotto mandato bri-tannico, nonostante la vec-chia amministrazione ita-liana continuò a occuparsidelle colonie fino al termi-ne della guerra. Con una ri-soluzione delle NazioniUnite del 1950, l’Eritrea di-venne una provincia del-l’Etiopia. Emerse da subitoun profondo malcontentotra la popolazione eritrea,che si trovò sommersa in unvero e proprio giogo cultu-rale. Nel 1960 l’Etiopia pro-clamò l’annessione formale,sebbene illegale, del territo-rio eritreo al proprio impe-ro. L’anno seguente l’Eritreaentrò in lotta per l’indipen-denza. La più lunga guerraafricana del XX secolo duròpiù di trenta anni e costò lavita a più di 70.000 perso-ne. Alla fine degli anni Ot-tanta, il disimpegno del-l’Unione sovietica provocòil definitivo indebolimentodel regime di Hailé MariamMenghistu, che venne scon-fitto nel 1991. Dopo dueanni l’indipendenza del Pa-ese fu ratificata da un refe-rendum popolare. L’Eritreasi trovò così a dover affron-tare una grave crisi econo-mica e sociale, dovuta prin-cipalmente alle impellentiesigenze della ricostruzio-ne. Nella seconda metà de-gli anni Novanta comparvenel Paese un’opposizionearmata legata al fondamen-talismo islamico, sostenutodal regime sudanese, cheavviò sanguinose operazio-ni di guerriglia. Quandol’Eritrea decise di adottareuna nuova moneta, la nakfa

e di stipulare accordi com-merciali poco equi, si riac-cese l’atavica rivalità conl’Etiopia. Nel 1998, un con-tenzioso territoriale tra idue paesi sulla sovranitàdel «Triangolo di Yirga» esul diritto etiopico all’ac-cesso al mare, si trasformòin una violentissima guer-ra che provocò decine dimigliaia di morti e più diun milione di profughi.Colpiti da embargo inter-nazionale e afflitti da unapesante crisi economica,nell’ottobre del 2000 i duepaesi firmarono un tratta-to di pace. Le Nazioni Uni-te, due anni dopo, hannocreato una zona tamponelungo la linea di confine,affidandone il controllo a4200 Caschi Blu e a 200osservatori.Popolazione: la composi-zione della popolazione eri-trea (che raggiunge i quat-tro milioni e mezzo di abi-tanti) è formata per un ter-zo da nomadi o semi-no-madi, etnicamente divisi innove gruppi. Ciò nonostan-te, gli scontri tra i differen-ti gruppi etnici non hannomai provocato seri proble-mi, dato che gli eritrei sonorimasti uniti dalla comuneopposizione al dominioetiopico. Un recente rap-porto di Amnesty Interna-tional riferisce di costantipersecuzioni religiose eaumenti delle violazioni deldiritto alla libertà di opi-nione e di coscienza. I dis-sidenti religiosi sono abi-tualmente sottoposti acruenti metodi di tortura.Religione: circa la metàdegli abitanti professa ilcristianesimo copto, sebbe-ne vi sia una sparuta mino-

ranza di cattolici e di pro-testanti. L’altra metà è rap-presentata da musulmaniprincipalmente sunniti,con una minoranza di su-fiti.Economia: la mancatasoluzione della questionedi confine con l’Etiopiaspinge verso una costan-te mobilitazione militareche comporta ingenti spe-se che inevitabilmente ag-gravano la già precaria si-tuazione economica. Inaggiunta, il Paese, scon-volto anche da frequentisiccità, è ormai allo stre-mo e si stima che circa uncittadino su tre soffre digrave mancanza di cibo.Le risorse agricole costi-tuiscono la fonte di sussi-stenza primaria per lamaggioranza della popo-lazione, mentre l’indu-stria leggera, sviluppatadurante il periodo colo-niale italiano e britanni-co, svolge un ruolo di se-condaria importanza.Situazione politica e re-lazioni internazionali: sela situazione diplomaticatra Eritrea e Etiopia nonsi sblocca, i due paesi ri-schiano di precipitare dinuovo nella spirale dellaguerra. Bloccati ormai dacinque anni su posizioniinconciliabili, essi sono aiferri corti e continuano adammassare truppe vicinoalla zona-cuscinetto. Il 7dicembre 2005 l’Eritrea haespulso dal proprio terri-torio alcuni membri dellamissione di peacekeepinginviata dalle Nazioni Uni-te per monitorare la situa-zione di tensione al confi-ne con l’Etiopia, la Unmee(United Nations Missionin Ethiopia and Eritrea).Nel marzo 2006 alcuni me-diatori internazionali sisono incontrati a Londraed hanno iniziato i primicolloqui per tentare di ri-solvere l’annoso problemadei confini.

Ho bloccato, ma ...

Sono a disagio... e mi ver-gogno di battere ancora alvostro cuore, cari Rocchi-giani. Da sei anni a MariaElena è morto il maritoconsunto da un male incu-rabile a soli 47 anni. Tuttoè stato speso per la lungamalattia, anzi c’è da estin-guere ancora un prestitofatto con la banca e il pros-simo mese scade l’ultimarata di mille euro. Recen-temente ho provveduto ioa non far pignorare quelpoco che ha e ho bloccatotutto con 500 euro. Lavoraassistendo vecchietti qua elà; ha cercato finora di far-cela da sola tra un rinno-vare le cambiali e riman-dare i pagamenti, ma oraha bisogno di una mano.Confido nella comprensio-ne dei lettori più generosi.Ho sempre amato la vostraCittadella, ho diffuso«Rocca» e ho un ricordomeraviglioso di voi tutticompreso Don GiovanniRossi, il vostro fondatore.La luce di Gesù brilli sututti voi e sul mondo. P.T.

Ai cancelli ad aspettare

Quando questa lettera viarriverà sarete già alla finedella Quaresima, invitodel Signore alla preghiera,alla mortificazione, adamare il prossimo. Nono-stante tante belle iniziati-ve quanta povertà ancora,quanta tristezza qui in In-dia. Abbiamo avuto recen-temente diversi casi di sui-cidio di uomini stanchi diaffrontare tanta miserianelle loro famiglie. Qui vi-cino a noi c’è un lebbro-sario dove ci sono diversigenitori e i bimbi ai can-celli ad aspettare. Ci sonoi ragazzi della strada del-la nostra Bombay, ricca di14 milioni di abitanti, ba-raccati, povere mammeecc. Scusate la triste, pur-troppo vecchia storia che

non cambia nonostante lapresenza di diverse opere,nonostante anche la no-stra presenza con la cari-tà di tanti benefattori.Senza di loro quanti i fra-telli e sorelle, quanti bam-bini con gli occhi spalan-cati partirebbero lacri-mando! Noi siamo ricono-scenti ai Rocchigiani checi danno la gioia di poterfare un po’ di bene. Vi rac-comandiamo sempre i no-stri poveri e con loro pre-ghiamo perché Dio vi be-nedica sempre. Sentite nelvostro cuore il Suo: «Loavete fatto a Me». PadreE.D.

È molto grave

Sicuramente ricordateCarmelo di 65 anni che datempo convive con un tu-moren che è stato causa disofferenza e di disagioeconomico. In questi ulti-mi mesi le sue condizionisi sono aggravate e nono-stante la chemioterapia èarrivato alla fine. Le spe-se per i viaggi frequentisono tante e i debiti sisono accumulati. Vi rin-graziamo di cuore se po-trete dare un aiuto a que-st’uomo buono e pazienteil cui unico sollievo eraquello di recarsi ogni gior-no in una villetta poco di-stante da casa sua dovetroneggia una bella statuain bronzo di Padre Pio, se-dersi in raccoglimento vi-cino a lui, chiedendogli lapazienza e il coraggio diandare avanti secondo lavolontà del Signore. Lamoglie lo assiste amore-volmente e non ha più la-crime da versare. Grazieper quello che i cari amicidi «Fraternità» potrannofare. S.C.

Un ghetto all’interno del-la città

Si è presentata presso laCaritas parrocchiale, cheregolarmente la assistefornendole generi di pri-ma necessità, la signoraConsolata esibendo la vo-stra lettera in cui chiede-vate una presentazione delParroco. Nel territorioparrocchiale c’è un consi-stente agglomerato di casepopolari che costituisceun ghetto all’interno dellacittà. In questi tempi didifficile congiuntura eco-nomica sono oltre un cen-tinaio le famiglie che as-sistiamo settimanalmen-te. Naturalmente non ci èpossibile esaudire tutte lerichieste come bollettenon pagate, medicinalinon mutuabili, casi di ra-gazze madri, ecc. Conso-lata ha quattro figli; duesono andati a cercare la-voro al nord, una è sposa-ta e l’ultimo di trenta anni,separato, vive con la mam-ma. È disoccupato, faqualche lavoretto saltua-riamente; la mamma fapulizie per qualche oraalla settimana, ma quan-to guadagna non bastaneppure per mangiare. Ha57 anni ed è tanto avvilitaperché non ce la fa più erischia di cadere in de-pressione. Vi ringraziamodi cuore per quanto «Fra-ternità» e i cari lettori fan-no in campo caritativo.Don A.R.

Occorrerebbero molte pa-gine per pubblicare le let-tere di ringraziamento per-venuteci dai beneficatidopo le feste pasquali; nepresentiamo alcune e perle altre vale, ai generosiamici, il nostro grazie!

... Dio vi benedica, vi diatanta gioia come quellache ho provato io leggen-do la vostra lettera proprionel giorno delle mie nozzed’oro con l’altare del Signo-re! Questi vostri preziosis-simi soldi (1.000 euro) ser-viranno per le nostre 50culle «abitate» da neonatipoverissimi. Nonostante imiei 74 anni sono conten-tissimo di servire ancora ipoveri qui in Brasile. Au-guro ancora molti anni ame e a tutti quelli che vo-gliono bene ai miei piccolilebbrosi. Grazie. Padre A.T.«È ancora troppa».

... carissimi di «Fraterni-tà», vi ringrazio ancoramoltissimo per l’aiuto di200 euro che mi ha dato lapossibilità di pagare unaspesa tra le più urgenti. Vichiedo con tutto il cuoreuna preghiera per la miafamiglia tanto disgraziata.E.P. «Da offerte libere».

... grazie infinite per il vo-stro provvidenziale donopasquale di 300 euro. Gra-zie anche perché con il vo-stro conforto spirituale sa-pete condividere la pena dichi, come me, è nella pro-va e riuscite a consolare lamia sofferenza. Vi ringra-zio ancora e vi saluto fra-ternamente. M.I. «Dopoogni sconfitta».

... cari amici, ci avete rag-giunto, oltre che con la vo-stra amicizia spirituale eumana, con l’offerta di 500euro, mediante assegno.Sempre grazie di cuore. Avoi tutti il mio ricordo fra-terno e la mia infinita gra-titudine. Gesù Risorto vibenedica. Don G.B. «Daofferte libere».

Si possono inviare offertecon assegni bancari, vagliapostali o tramite c.c.p. n.10635068 intestato a «Fra-ternità» – Cittadella Cristia-na – 06081 Assisi.

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