L’acqua nel paesaggio costruito: mito, storia, tecnica...totalità della vita. Non è pensabile il...

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Ideazione e realizzazione a cura di: Fabrizio Fronza e-mail: [email protected] Con il patrocinio di: Fondazione Benetton Studi Ricerche - Treviso Ministero dell’Ambiente - Roma Associazione Italiana Architettura del Paesaggio - Milano Il Verde Editoriale - Milano Gruppo di Lavoro Orti Botanici e Giardini Storici della Società Botanica Italiana Foto degli Autori, qualora non diversamente indicato L’acqua nel paesaggio costruito: mito, storia, tecnica Atti del convegno Terme di Comano 29-30 settembre 2000 Servizio Ripristino e Valorizzazione Ambientale Via Guardini, 75 - 38100 TRENTO e-mail: [email protected] Servizio Emigrazione e Relazioni Esterne Piazza Dante 15 - 38100 TRENTO e-mail: [email protected] Terme di Comano 38077 Terme di Comano (TN) tel. 0461 701277 Museo Tridentino di Scienze Naturali

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Ideazione e realizzazione a cura di:

Fabrizio Fronzae-mail: [email protected]

Con il patrocinio di:

Fondazione Benetton Studi Ricerche - Treviso

Ministero dell’Ambiente - Roma

Associazione Italiana Architettura del Paesaggio - Milano

Il Verde Editoriale - Milano

Gruppo di Lavoro Orti Botanici e Giardini Storici della Società Botanica Italiana

Foto degli Autori, qualora non diversamente indicato

L’acqua nel paesaggio costruito:mito, storia, tecnica

Atti del convegno

Terme di Comano 29-30 settembre 2000

Servizio Ripristino e Valorizzazione AmbientaleVia Guardini, 75 - 38100 TRENTOe-mail: [email protected]

Servizio Emigrazione e Relazioni EsternePiazza Dante 15 - 38100 TRENTOe-mail: [email protected]

Terme di Comano38077 Terme di Comano (TN)tel. 0461 701277

Museo Tridentino di Scienze Naturali

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Presentazione

Quali possono essere le interazioni fra paesaggio costruito e l’acqua nella storia del paesaggio an-tropico dalle più remote fasi mitiche e storiche fino all’epoca contemporanea?

Le questioni, approfondite e dibattute nel convegno di Comano, si configurano come un’indaginea tutto campo sul tema delle interazioni fra acqua e paesaggio, con apertura di finestre sui significa-ti simbolici, mitologici e sulla realtà storica dell’acqua nei giardini. Il percorso di studio approda al-le nuove realtà paesaggistiche e comprende parchi, giardini termali e moderne riqualificazioni di realtàindustriali dismesse.

L’acqua, l'oro blu del futuro, assume quindi valore come elemento importante nella progettazionedel paesaggio antico e moderno, non solo per le proprietà estetiche ma anche per i valori legati allasalute e al benessere.

Infinita è l’importanza dell'acqua e necessario è evitarne lo spreco, individuando tutte le soluzionitecniche che ci permettono di utilizzarla nel migliore dei modi.

Iva BerasiAssessore all’Ambiente, Sport e Pari Opportunità

della Provincia Autonoma di Trento

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Il convegno “L’acqua nel paesaggio costruito: mito, storia tecnica”, promosso dal Servizio Ripri-stino e Valorizzazione Ambientale della Provincia Autonoma di Trento nell’autunno 2000, ha spazia-to fra fontane e giardini, parchi e recupero di aree degradate, ma non ha mai perso di vista il suo obiet-tivo finale: quello di presentare esperienze e metodi, tali da poter affrontare il tema decisivo del rap-porto fra “acqua” e “natura”, anche in una zona alpina complessa come il Trentino. Naturale e costruitaa un tempo. Non a caso il convegno si è tenuto alle Terme di Comano, nelle Giudicarie, dove le ac-que non solo sono al centro del paesaggio, ma costituiscono, con il loro valore terapeutico, la risor-sa prima dell’economia locale.

Nelle Alpi, peraltro, le acque sono sempre state viste in maniera pragmatica, funzionale: o fonteenergetica per molini e segherie, o pericolo da cui difendersi in caso di alluvioni. Qualcosa da starcicomunque attenti, se non lontani. Così ancora nei nostri giorni, purtroppo, i paesi trentini, quando han-no qualcosa di scomodo o di brutto da sistemare – un deposito, un capannone – tendono a collocar-lo nel fondo della valle, vicino al torrente, all’acqua. Forse col recondito pensiero che prima o poiuna piena lo porterà via.

Oggi però le cose stanno cambiando. Un po’ per la regimentazione idroelettrica che ha tolto ai fiu-mi gran parte della loro irruenza, un po’ per la dimensione post-moderna che cerca di far interagirela vivibilità dell’uomo con i “dettagli” della natura – reinserendo nel gioco della vita la bellezza –l’approccio all’acqua si presenta sotto aspetti nuovi.

Ecco quindi la sfida che il convegno ha proposto: ripartire l’acqua. Per capirla. Per vederne le po-tenzialità non solo come decoro estetico (o furia distruggitrice da cui fuggire), ma come parte costi-tutiva, fondante di un paesaggio. Di un luogo di vita. Di un lavoro. Se un tempo il giardino, con l’ac-qua come elemento essenziale (senza acqua è deserto), veniva identificato con l’Eden da cui l’uomoera stato cacciato, oggi l’acqua costituisce la nuova speranza verso cui l’uomo può ritornare: lungoun ruscello, ma anche sul bordo di un fiume ripulito, sopra le rive di un lago, ma anche attorno aduno stagno artificiale abbellito da ninfee, a una vecchia cava ripristinata.

Dopo la grande distruzione paesaggistica operata dalla rivoluzione industriale (se ne lamentavanogià i Bolognini e il Payer alla fine dell’Ottocento) si tratta ora di prendere l’acqua a motivo centraleper ricostruire. L’operazione non è soltanto necessaria, ma legittima, perché nelle Alpi il paesaggionon è mai pura espressione naturalistica, ma deriva dalla fatica dell’uomo, e dalla sua fantasia. Dal-l’uomo e dalla sua fatica può quindi essere ripristinato, lì dove è andato perduto.

Sotto questo aspetto il convegno “Le acque nel paesaggio costruito”, con l’accento posto sull’e-sperienza (diversissima da paese a paese) dei “giardini”, non si pone in contrasto con la grande tra-dizione forestale del Trentino, ma la completa, la arricchisce, ne estende la potenzialità. L’acqua re-gimentata fa da base all’acqua vissuta, in un arricchimento reciproco di messaggi.

In questa direzione il convegno di Comano ha portato soprattutto idee. Ha guardato ad esperienze“fuori” del Trentino, ma ognuna di queste esperienze – dalla Germania all’Inghilterra, fino alla sola-rità mediterranea di Ischia – si è saldato con un’urgenza locale, ad una tematica alpina che si inter-roga sulla vera potenzialità dell’acqua (non solo funzionale, non solo aggressiva) in un territorio.

Il Mito, certo, è stato al centro della prima relazione affascinante di Massimo Venturi Ferriolo. Ilmito che nelle Alpi si salda alla religiosità generosa, sociale, di un San Cristoforo, di un San Floria-no che con la sua brocca ricolma spegne gli incendi. Poi il giardino rinascimentale, preso a modellodi tante case nobiliari, ma anche da tanti masi contadini, con la fontana sempre al centro dei paesi,degli spiazzi, delle “viles”.

Sono state proposte poi, al convegno, esperienze più ampie, come quelle inglesi, illustrate da Mi-chael Ridsale, curatore del grande parco di oltre 600 ettari di Fountains Abbey, certo non paragona-

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IntroduzioneFranco de Battaglia

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bile direttamente alle realtà alpine, ma scenario incomparabile per trasmettere il senso di un “altro”tempo, di un’”altra” storia, di un’alternativa alla virtualità che la natura rivendica e il parco rappre-senta. Il paesaggio “costruito” nella natura, insomma, non è la virtualità cliccata. È un messaggio dicoltura – cultura, non un gioco mediatico. Così l’esperienza di Fountains Abbey, presenta un meto-do di intervento e di gestione che anche alle aree alpine può essere trasferito. Torrenti che vengonoinseriti in un percorso paesaggistico, ma che non vengono trasformati in canali; paesaggi di spazi, at-traverso quinte arboree, che danno il senso del “tempo” occorrente per entrare in un paesaggio; in-contri ravvicinati con una fauna, che esistono anche sulle Alpi nel Trentino; paesaggi “artificiali” chel’uomo ha tracciato (i muretti delle coltivazioni, i prati staccionati al limitare del bosco) che non de-vono andare perduti, anche se sono frutto di una cultura popolare ormai sempre più lontana. Ebbenel’esperienza di Fountains Abbey consente di recuperare queste suggestioni, senza rinchiuderle nellabara di cristallo delle esposizioni museali.

Ecco dove il convegno di Comano è stato stimolatore, provocatore anche controcorrente, di ideeattualissime.

Va dato atto ai dirigenti del Servizio Ripristino – in particolar modo a Pierluigi Dal Rì e a Fabri-zio Fronza, all’Assessore all’Ambiente Iva Berasi, di aver appoggiato in maniera convinta questa pro-posta difficile e generosa.

Altre esperienze, funzionali a problemi trentini, sono state presentate al convegno: quella della Tha-mes Strategy per recuperare pezzi di Tamigi degradato (e si pensi ai problemi che il “canale dell’A-dige pone al Trentino, ma anche alle potenzialità che potrebbero offrire), quello della fondazione Be-netton sulla pianificazione per il Ripristino di aree minerarie dismesse nella Germania Orientale (edecco il collegamento con le cave e i detriti presenti nel Trentino). Quello di Ermanno Casasco, spe-cialista nel proporre a giardino tratti di periferie urbane degradate, capannoni delle più derelitte peri-ferie industriali.

Insomma, gli atti di questo convegno non vogliono essere un punto di arrivo, ma un punto di par-tenze di idee, di suggestioni. È per questo che sono stati pubblicati in un volumetto della rivista “Na-tura Alpina”, proprio perché servivano da stimolo. Il paesaggio è la realtà in cui viviamo, ma ancheil sogno di convivenza che vogliamo raggiungere.

Franco De Battaglia è giornalista e scrittore, e fa parte del Comitato di Redazione di Natura Alpi-na. Si occupa di cultura, paesaggio e civiltà alpina.

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MASSIMO VENTURI FERRIOLO

L’acqua nel paesaggio tra mito e storia

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Il mito non appartiene solo al mondo antico,ma all’intera storia dell’umanità; è eterno, con-naturato all’uomo e all’arte. Basti osservare queicontenitori di miti che sono i giardini, soprattut-to nel Rinascimento e nel Barocco. La loro artevera nasce con le Metamorfosi di Ovidio.

I miti testimoniano la natura e il nostro mon-do. Costituiscono le cose e gli eventi che l'uomoha davanti agli occhi in ogni epoca, come sostie-ne Walter Friedrich Otto: “In momenti particola-ri succede anche a noi che di fronte ai fenomenidi ciò che ci circonda, siano essi alberi, animali,monti, acque, avvenimenti celesti, o le condizio-

ni e gli eventi della vita umana, ci troviamo co-me afferrati e proviamo un brivido, come se dalsuo abisso volesse rivelarsi qualcosa che oltre-passa ogni nostra conoscenza e comprensione.Ancora oggi forme della natura come gli alberi,gli animali, e altre ancora, ci servono come sim-boli per tutto ciò che è grande e sacro, e sono co-sì pur sempre una testimonianza della verità delmito … Solo quando non ci sarà più alcuna poe-sia, né arte figurativa, né musica, né architettura,sarà giunta la fine del mito. Ma questo giorno nonverrà mai, se non con il tramonto del genere uma-no”1.

1 OTTO W.F., (1951) - Il volto degli dèi. Legge, archetipo e mito, a cura di G. Moretti, tr. it. di A. Stavru, Fazi,Roma 1996, pp. 76-77.

Fig. 1 - I giardini dell’Alhambra, Granada, Spagna

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Il mito affonda le sue radici nel profondo e in-sondabile pozzo del passato, ricordato da ThomasMann, dal quale attingiamo per prendere e bere lapura acqua della sorgente, secondo la feliceespressione di Kerényi, fonte fertile per tutta l’e-sistenza dell’umanità2.

Ci occuperemo solo della nostra tradizione cul-turale, occidentale. Per quanto riguarda l’Oriente,può forse bastare, qui, un accenno. Nel pensierotaoista, soprattutto nel suo testo fondamentale, ilTao-te-ching, l’acqua ha un significato simbolicoessenziale. È “molle”, “debole”, e in tale debo-lezza sta la sua forza. Se dalla montagna il ru-scello arriva sino al mare, diventando fiume, ciòè dovuto alla singolare capacità dell’acqua di nonaffrontare gli ostacoli tentando di superarli. L'ac-qua non si contrappone a ciò che trova sul pro-prio cammino, ma piuttosto lo aggira.

La lezione dell'acqua - secondo il pensierotaoista - è che il debole vince sul forte, che ilmolle prevale sul duro, e che la vita è tale so-prattutto nel bambino appena nato (nella suamorbidezza implume), mentre non a caso la ri-gidità suprema coincide con la morte. La solapresenza dell'acqua che “scende”, che piana-mente cerca il punto più basso, consente la vi-ta: acqua e radici, in qualche modo, reciproca-mente si cercano.

L’acqua si rivela un tema ampio: quello dellatotalità della vita. Non è pensabile il paesaggiosenz’acqua, se non nell’Utopia di Tommaso Mo-ro con il fiume Anidro, né è immaginabile l’uo-mo senz’acqua. Goethe dinanzi alla cascata del-lo Staubbach compose il celebre Canto degli spi-riti sulle acque, dedicato alla somiglianzadell’acqua con l’anima dell’uomo 3.

Essenza stessa della vita, l’acqua percorre daprotagonista il mito e la Sacra Scrittura, nonchéil pensiero filosofico fin dalle prime riflessionisulla natura. Lo stesso vocabolo greco che indi-cava la totalità del cosmo, physis, trae la sua lin-fa linguistica dall’acqua. Essa è realtà generantepresente nel radicale phy del verbo phyo. È quin-di a) fonte o scaturigine delle cose; b) foce o ter-mine ultimo delle cose; c) permanente sostegnodelle cose (sostanza, diremmo con un termine piùtardo): è acqua in quanto matrice e sostanza. Ilsuccessivo cosmo di Zeus, che ha soppiantato,con la separazione tra il maschile e il femminile,quello unitario della physis, è circondato dalla“gran possanza del fiume Oceano”, figurativa-mente descritta con lo straordinario paesaggio in-ciso da Efesto nello scudo di Achille. Da qui na-scono, secondo l’Inno omerico all’Oceano, “tut-ti i fiumi ed ogni mare e i casti umori delle fontiterrestri”. Oceano (potamos) non è il mare sala-to, ma il grande serbatoio d’acqua dolce situato al-l’estremità del mondo4.

Il mare è anche l’elemento che collega tra diloro diverse culture, come dimostrano i primi ver-si dell’Odissea. Il suo dominio è una capacità del-l’uomo, l’essere più eccezionale del cosmo, comerecita l’Antigone di Sofocle. A questa figura daitratti mitici si collega il giovane Werther goethia-no mentre immagina il percorso infinito dell’ac-qua e le fantastiche regioni verso cui scorre, per-dendosi nella contemplazione di un'invisibile lon-tananza che supera il limite della sua stessaimmaginazione. Egli riconosce che quando Ulis-se parla del mare senza misura e della terra infi-nita, è reale e umano, vivo e ristretto, misteriosoe limitato5.

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2 Cfr. MANN Th., 1990 - Le storie di Giacobbe, tr. it. di B. Arzeni, Mondadori, Milano, p. 23; K. Kerényi, “In-troduzione: Origine e fondazione nella mitologia”, in C. G. Jung - K. Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifi-co della mitologia (1942), tr. it. di A. Brelich, Bollati Boringhieri 1972, pp. 11-43, p. 13.3 Dalla traduzione di Diego Valeri: “Simile all’acqua / è l’anima dell’uomo. / Viene dal cielo,/ risale al cielo, dinuovo scendere / deve alla terra,/ in perpetua vicenda. / Il getto limpido / sgorga dall’arduo / precipite dirupo;/sul sasso liscio si / frange in belle nuvole / di pulviscolo;/ ondeggia accolto / in dolce grembo, /tra veli e mur-muri,/ al basso via scorrendo. / Scogli si rizzano / contro il suo èmpito; / egli spumeggia iroso / di gradino in gra-dino / verso l’abisso. / Indi per lento letto / di prati volgesi, e fa / specchio di lago,/ dove il loro viso miran / tut-te le stelle. / Ma dolce amante / dell’onda è il vento;/ e talvolta dal fondo / flutti spumanti suscita. / O anima del-l’uomo / come all’acqua somigli!/ O destino dell’uomo / come somigli al vento!” ( in J. W. von Goethe, Opere(a cura di V. Santoli), Sansoni, Firenze 1989, pp. 1294-1295).4 Come ricorda BACHELARD G., in L’Eau et les Rêves, testo sul mito contemporaneo dell’acqua: Psicanalisi del-le acque, tr.it. di M. Cohen Hemsi e A.C. Peduzzi , Red, Como 1992, p. 184.5 VON GOETHE J.W., I dolori del giovane Werther, II, lettera del 9 Maggio.

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I Greci hanno collocato all’estremità del co-smo, oltre alla possanza di Oceano, anche i luo-ghi meravigliosi. Aristofane ricorda i giardini delpadre Oceano. Euripide richiama le divine acquesorgive che scorrono nel luogo delle nozze diZeus, “dove ricca di doni la sacra terra / accrescela felicità degli dei”. Allo stesso modo, nel mon-do ebraico-cristiano, un passo dei manoscritti diQumrân canta la gratitudine per il meravigliosogiardino, oasi di vita e di fecondità, posto da Dionel deserto. Il poeta si trova presso una sorgentedi ruscelli portatori di acque abbondanti, convo-gliate su di una terra arida trasformata in un giar-dino: “Ti ringrazio, Adonai, / perché tu mi hai po-sto / alla sorgente dei ruscelli / in una terra sec-ca, / alla fonte delle acque / in una terra arida, /e presso acque irriganti / un giardino nel deserto”.

L’antico mondo mediterraneo, profondo pozzodel passato, ha una sua originaria specificità. Sipresenta dominato dall’idea dell’unità che avvin-ce il tutto senza una chiara distinzione dei sessi,dove non si distingue ancora l’essere dal diveni-re, l’unità dalla pluralità: un mondo rappresenta-to da una dea dalle molteplici manifestazioni6. Ladivinità aveva uno stretto rapporto con i paesag-gi che generava, come il caso di Rea in Apollo-nio. La dea, onorata dai Frigi, si trasforma in unrigoglioso paesaggio: “gli alberi davano frutti /infiniti, la terra da sé, sotto i loro piedi, / genera-va dall’erba tenera i fiori; le belve, / abbandona-te le loro tane / nella foresta, / venivano incontroscondizolando. E ancora / un altro prodigio: nes-suna acqua bagnava / il monte Dindimo prima,ma allora, per essi, / sgorgò dall’arida vetta ine-sauribile: in seguito,/ le genti vicine la chiamaro-no ‘fonte di Giasone’”7. Questo paesaggio dellaGrande Madre è presente anche nel de rerum na-tura di Lucrezio.

Tra la divinità e il paesaggio c’è uno strettorapporto ben studiato da Paula Philippson8.Un’immagine duplice attraversa la vita antropi-ca. Il paesaggio antico è natura, metamorfosi di-vina, cosmo: appartiene alla Grande Dea. Quellodei moderni è immagine di tale unità perduta,spesso malattia del ritorno, nostalgia, che nei Ro-mantici si trasforma nello sguardo rivolto al do-mani, quando uomo e natura si fonderanno in unasola entità divina e il futuro diventerà passato9.Possiamo parlare, per l’antico, di paesaggio “in-castrato” nella natura o nel cosmo e, per il mo-derno, di paesaggio “separato” da questa.

La religione mediterranea della Natura comeGrande Madre, oltre la terra e la luce, trae linfadall’acqua, elemento vitale femminile. La reli-gione delle acque è parallela a quella di Gaia,principio senofaneo di tutte le cose10: i due ele-menti sono uniti. Tutti dalla Terra e dall’acquasiamo nati 11. Afrodite, dea della creatività e del-la cultura, nasce sia dal mare che dalla terra. È ilprodotto della religiosità agraria, l’immagine diun mondo operoso, risultato di un’arte, legato alconnubio acqua-terra, essenziale alla vita, quindialla formazione del paesaggio. La civiltà agrariapresuppone il costruito, il paesaggio. Parlare dipaesaggio costruito è una tautologia: la storia del-l’umanità percorre la dicotomia natura-paesaggioin un contesto di scissione netta per quanto ri-guarda il mondo moderno. Una tarda laude me-dievale collega ancora la Grande Dea, ora MariaVergine, all’Afrodite stella del mare: “Ave marisstella / Dea Mater alma / Atque semper Virgo /Felix coeli porta”12.

Dal mondo mediterraneo giungono, con la re-miniscenza di un diluvio d’immani proporzioni, ilpoema d’Inanna, con il mitico grembo della vita,il Dilmun; la Genesi, il Cantico dei cantici, I Pro-

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6 UNTERSTEINER M., 19722 - La fisiologia del mito, La Nuova Italia, Firenze, p. 43.7 APOLLONIO, Argonautiche 1140-1149 (tr; it. di G. Paduano, Rizzoli, Milano 1986).8 PHILIPPSON P., Griechische Gottheiten in ihren Landschaften, BrØgger, Oslo 1939 (Symbolae Osloenses fasc. sup-plet. IX). Questo rapporto tra divinità e paesaggio è stato ripreso e sviluppato, con riferimento particolare al-l’ambiente della Tessaglia, culla della religione greca, in Thessalische Mythologie, Rhein Verlag, Zürich 1844,tr.it. di A. Brelich, in Origini e forme del mito greco (1949), Boringhieri, Torino 1983, pp. 69-274.9 Sul tema si vede il nostro Giardino e paesaggio dei Romantici, Guerini e Associati, Milano 1998. 10 DK 21B27 e 29.11 DK 21B33. 12 Cfr. CAMPBELL J., EISLER R., GIMBUTAS M., MUSÈS CH., I nomi della dea. Il femminile nella divinità (1991), tr.it. di C.M. Carbone, Ubaldini, Roma 1992, p. 80.

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verbi. Da questa sorgente scaturisce sia il mitodell’uomo che la Sacra Scrittura: l’antichissimomondo mediterraneo e la Grecia; l’universo del-la Grande Dea, prima, degli dèi olimpici e delMonoteismo ebraico-cristiano, dopo. Il mondo de-finito mito dal filosofo neoplatonico Salustio, do-ve appaiono corpi e oggetti materiali che celanoanime ed essenze intellettuali: il mito “immagineconcentrata del mondo” di Nietzsche, che richie-de capacità di comprensione.

Le prime cosmogonie mediterranee ci raccon-tano che, all'origine del cosmo, prima della crea-zione, non esisteva nulla. La vita nasce dal desi-derio dell'acqua e della terra di congiungersi inun'unione feconda, tema ripreso con le sue va-rianti dal successivo patrimonio mitico. La Terrae il Cielo, Enki ed Ereshkigal, Gaia e Urano, Zeus“pioggia d'oro” e Danae. Eschilo ricorderà il de-siderio del Cielo di penetrare la Terra e quellodella Terra di essere posseduta come la fonte del-la fertilità del suolo, dell'albero e i suoi frutti, del-l'erba e del grano, l’origine anche dell’agricoltu-ra che crea il paesaggio: prosperità simbolizzatada un'unione sacra. Nella lingua dei sumeri, ac-qua è identica a seme.

Il mondo sumero deve la sua prosperità alleacque; offre una lettura mitologica della sua esi-stenza attraverso il rapporto instauratosi tra la cittàdi Eridu, colma di giardini rigogliosi, e il suocreatore-protettore Enki, signore delle acque e diodella saggezza. Questa relazione è una delle pri-me testimonianze della genesi della fertilità nelmondo: “Dopo che l'acqua della creazione era sta-ta decretata, dopo che il nome dell'abbondanza,nato in cielo, sotto forma di piante e di erbe, eb-be rivestito la terra, il signore dell'Apsu, il re Enki,il signore che decreta i destini, costruì la sua ca-sa di argento e di lapislazzuli...”13.

Queste cosmogonie riflettono una realtà dovel'uomo vive il rapporto vitale con il suo ambitonaturale, alla ricerca del dominio sulla natura eafferra l'importanza dell'acqua quale elemento pri-

mordiale, che scorre e da cui tutto fluisce. Lacreazione è opera dell’unione tra la saggezza e laforza fecondatrice dell'acqua, miticamente identi-ficate in Enki, espressione di una mentalità com-plessa e ricca di risorse: un modo di pensare ilsaggio utilizzo dell'acqua in vista del fine mi-gliore. Platone, poi, conscio del suo valore, pro-porrà una legge in soccorso dell’acqua, elementodi fondamentale potenza nutritiva, ma facilmentecontaminabile. L’inquinatore non deve essere con-dannato soltanto al pagamento di una multa, ben-sì anche obbligato a purificare la fonte o le acqueda lui avvelenate14.

Il modello mitico è Dilmun: “Il savio Enki de-cise di trasformare le bianche rocce e le colline disabbia in un giardino fiorito, e ordinò al dio Utudi trarre fresche acque dalle viscere della terra.Utu, obbediente, trafisse coi suoi raggi il senodella madre-terra Ninkhursag, così come il cac-ciatore trafigge con le sue frecce le mammelle diuna mucca selvatica. Ed ecco, le rocce possenti sispaccarono, le dune si aprirono, e dalle fessuresprizzarono getti di acqua freschissima, che irri-garono tutta l'isola. Il suolo inumidito si ricoprì diprati, dappertutto sorsero alberi e cespugli, for-mando boschetti ombrosi. Ed Enki creò numero-si animali che vagavano per radure e boschi, non-ché stormi di uccelli che si nascondevano nei cre-pacci e nidificavano sui rami”15.

“Perché gli antichi Persiani tenevano il mare persacro? Perché i Greci gli fissarono un dio a parte,e fratello di Giove?”: sono domande antiche, pre-senti nelle prime pagine di Moby Dick o la Bale-na, romanzo di Herman Melville fondato sul mitoe sull’acqua. La risposta è che “ tutto ciò non è sen-za significato. E ancora più profondo di significa-to è quel racconto di Narciso che, non potendo strin-gere l’immagine tormentosa e soave che vedevanella fonte, vi si tuffò e annegò. Ma quella stessaimmagine noi la vediamo in tutti i fiumi e neglioceani. Essa è l’immagine dell’inafferrabile fanta-sma della vita; e questo è la chiave di tutto” 16.

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13 MATTHIAE P., 1986 - Scoperte di archeologia orientale, Laterza, Bari, p.3.14 Leggi, 842E - 845E15 PRAMPOLINI G., 1974 - Letteratura universale. Antologia di testi, 3 voll., UTET, Torino, vol. II, Letterature an-tiche dell'Asia occidentale, pp. 46-47.16 MELVILLE H., 1987 - Moby Dick o la Balena, tr. it. di C. Pavese, Adelphi, Milano, p. 38.

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Mito e pensiero si confondono nella ricerca diquesta chiave: non solo Platone, Cicerone, Ovidio;anche Boccaccio, Goethe, Michelet, Melville, fi-no ai recentissimi Philip Ball, autore del saggioH2O una biografia dell’acqua17 e John von Düf-fel, col romanzo Vom Wasser, tradotto in italianocon Noi torniamo sempre all’acqua18.

Giovanni Boccaccio nel Proemio delle Ge-nealogie deorum gentilium esplora il grande ma-re senza navi del mito. Si domanda quale dio fos-se ritenuto primo dai pagani, per procedere conordine verso i successivi dei. Alla ricerca del diopagano più antico, incontra Talete di Mileto e glichiede quale sarebbe stato a suo parere il primodegli dei. Il filosofo gli risponde: “Io credo chela causa prima di tutte le cose sia stata l’acqua eche essa abbia in sé una mente divina che tuttoproduce, e che, non diversamente dal modo concui per noi inumidisce le piante, così dall’abisso,mandate fuori le sorgenti fino al cielo, formò conl’umida mano le stelle e tutto il rimanente splen-dore del cielo”19. Talete offre il quadro mitico del-la physis principio del mondo, come testimoniail frammento DK 11A3: “L’acqua è il principiodegli elementi. Il cosmo è animato e pieno di de-moni”.

Anche Goethe ricorda Talete in un significati-vo passo del Secondo Atto (8432-8443) del Fau-st, dove il filosofo ionico esclama:”Evviva! Ev-viva! Evviva di nuovo! / Mi sento sbocciare allagioia, / il bello, il vero mi inonda.. / È dall'acquache tutto scaturisce! / È nell'acqua che tutto siconserva! / Oceano, dacci la tua azione eterna. /Se tu non mandassi le nuvole, / se tu non gonfiassii ruscelli, / se tu non guidassi i torrenti,/ se nonportassi acqua ai grandi fiumi, / che sarebbero imonti, che le pianure e il mondo? / Sei tu checonservi la vita più florida”.

L’acqua s’inquadra nel cosmo, formandoun’entità unitaria sconosciuta ai moderni. Gli an-tichi erano inseriti nel cosmo della physis, prima,in quello di Zeus, dopo. Nel dominio della Gran-de Madre, prima, in quello di Zeus, dopo. I mo-

derni hanno perso quest’unità e ammirano la na-tura perduta attraverso il paesaggio.

La rappresentazione di questo cosmo unitariodomina il frammento 21 dei Physika di Empe-docle; un passo che rende giustizia all’interessedei greci per il loro paesaggio, comprensivo ditutti gli aspetti della vita, aspetti raffigurabili conla pittura oltre che con la poesia. Empedocle par-la degli elementi che costituiscono le cose passa-te, presenti e future, che si uniscono e si brama-no grazie all’amore (Afrodite) tra cui: “gli alberisono germinati, e gli uomini e le donne, / e le fie-re e gli uccelli, ed i pesci che vivono nell’acqua,/ ed anche i numi (theoi) longevi di rango eccel-so. / Sono soltanto quelli, infatti, gli elementi cheesistono, e correndo gli uni attraverso gli altri / di-ventano corpi di ogni genere; questo appunto, cheesiste, la mescolanza tramuta”.

Segue subito dopo un passo di straordinariovalore documentario per comprendere l’esistenzadello “spirito paesaggistico” in Grecia; un passoche ci dà la prova della rappresentazione del pae-saggio come ambito complessivo della vita: “co-me quando i pittori illustrano le variopinte pare-ti, / essendo esperti nel mestiere per loro intelli-genza: / quando con le mani hanno afferrato lesvariate tinture, / che mischiano in armonia, qua-li in maggior misura e quali in minore, / con que-sti colori essi foggiano figure somiglianti a tutto,/ e costruiscono gli alberi e gli uomini e le don-ne, / e le fiere e gli uccelli, ed i pesci che vivo-no nell’acqua, / ed anche i numi longevi di ran-go eccelso. / Pertanto, non prevalga nell’animotuo l’inganno, che da altra origine / sia la fonte deicorpi mortali, che ora sono manifesti e si produ-cono all’infinito; / ma sappi limpidamente tuttoquesto, avendo udito il mio racconto intorno alladea”.

Empedocle ci offre il quadro del paesaggio an-tico nella sua totalità comprensiva dei numi lon-gevi di rango eccelso, gli dei, theoi, visibili, co-me il paesaggio di cui sono l’epifania vivente nel-la mescolanza degli elementi. Essi sono quattro e

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17 Tr. it. di BLUM I, 2000 - Rizzoli, Milano.18 DuMont, Köln 1998, tr. it. di C. Groff, Mondadori, Milano 2000.19 Proemio II 5-6.

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ben visibili, cioè divini, come scrive in physiká I53-58: “Senti prima i quattro nomi che sono leradici del tutto: / lo smagliante Zeus ed Hera al-trice, ed Aidoneo / e Nestide, che inonda di la-crime la vasca umana. / Con la terra, infatti, noivediamo la terra, e con l’acqua l’acqua, / e conl’etere l’etere celeste, e con il fuoco il fuoco tre-mendo; / e l’amore vediamo con l’amore, e cosìl’astio con l’astio luttuoso”.

I quattro elementi sono rappresentati con no-mi divini e in due coppie. Zeus ed Hera, sonofuoco ed etere = coppia celeste. Aidoneo e Ne-stide: terra e acqua = coppia terrestre, che ha no-mi più oscuri. L’acqua è necessaria alla vegeta-zione, ma non è nutriente per se stessa. La terraè la vasca umana.

Il cosmo di Zeus presuppone il progetto di unmondo umano: i paesaggi comprensivi di uominie di templi. In questo mondo - come dimostranogli Inni omerici - agisce la prima scissione tra lanatura vergine, selvaggia, simbolizzata da Arte-mide, e il paesaggio, natura addomesticata dal-l’uomo e/o dagli dei, patrocinata dal gemelloApollo, portavoce di Zeus e costruttore di Delfi,primo grande giardino-paesaggio. Il dio demiur-go innalza un tempio vicino alla “fonte dalle bel-le acque”20, probabilmente la ninfa Kastalia, inuna zona ricca di sorgenti, quasi a ribadire l’im-portanza vitale dell’acqua per un paesaggio, con-tenitore di opere dell’uomo (erga) contemplabili,appunto, dal tempio.

A Delfi è presente il culto arcaico delle ninfe,cioè delle fonti vive, dell’elemento fecondo e ri-storatore, che in tutte le mitologie ariane appareil veicolo della forza e anche del pensiero divino,sia che discenda dalle nubi celesti, sia che zam-pilli dal seno della terra, madre comune degli dei.Le ninfe sono rappresentate a Delfi da Kastalia,figlia di Acheloo, il più antico fiume, e dalle Mu-se, poste dalla tradizione sull’olimpo, l’Elicona eil Parnaso. L’acqua versata da Kastalia era l’a-

gente necessario dell’ispirazione profetica e poe-tica21.

Nel rapporto dell’uomo greco con la natura,oggetti naturali fondano le idee mitologiche. Ilpresentimento e la meraviglia sono stimolati dal-la natura22. Da questi deriva il paesaggio anticocome prodotto dello spirito. L’oscurità dell’antroesalta la percezione del mistero. L’ascolto dellasorgente sollecita l’immaginazione. La Musa incui si trasforma la fonte è la fantasia, lo spiritodell’uomo. Non è natura, è paesaggio, come scri-ve Hegel: “la maggior parte delle divinità grechesono individui spirituali; ma il loro primo puntodi partenza era un momento naturale”23. L’uomoè il vero artefice. Dice ancora Hegel: “L’uomodunque esprimeva il significato della natura; l’in-terpretazione appartiene quindi solo all’uomo.Non era la natura che rispondeva al Greco, maera l’uomo, incitato dalla contemplazione dellanatura, che rispondeva a se stesso. Era questa unacontemplazione schiettamente poetica (poetico èciò che l’uomo stesso fa, poiei). L’interpretazio-ne e illustrazione della natura e dei mutamenti na-turali, la dimostrazione del loro senso e signifi-cato: questa è l’opera dello spirito soggettivo, acui i Greci davano il nome di manteia. La man-teia in generale è poesia, non fantasia arbitraria,ma fantasia che inserisce lo spirituale nel natura-le, e che è un sapere intelligente. La possiamoconcepire in generale come il tipo di relazionedell’uomo con la natura”24.

Tra paesaggio e spirito s’instaura una relazio-ne molto stretta e condizionante, dove il primoeduca e ispira l’atto creativo, risultato della com-penetrazione di natura e cultura, l’opera dell’uo-mo nel quadro permesso dalla natura. Ogni pae-saggio è, quindi, un’opera d’arte, paragonabile aqualunque creazione umana, ma molto più com-plessa: mentre un pittore dipinge un quadro, unpoeta scrive una poesia, un intero popolo crea unpaesaggio; costituisce il serbatoio profondo della

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20 Inno ad Apollo 300.21 Cfr. BOUCHÉ-LECLERCQ A., 1879-1882 - Histoire de la divination dans l'Antiquité, 4 voll., Leroux, Paris (re-print Bruxelles 1963), vol. I, p. 352.22 HEGEL G.W.F., 1941-1963 - Lezioni sulla filosofia della storia, tr. it. di G. Calogero e C. Fatta, 4 voll., La Nuo-va Italia, Firenze, vol. II.3, pp. 46-47.23 Ibid., p. 45.24 Ibid., pp. 45-46.

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sua cultura: “reca l’impronta del suo spirito”25.Così ogni paesaggio ha un determinato spirito cheritrova se stesso.

L’esperienza religiosa greca deriva da un le-game profondo dell’uomo con il suo paesaggio.Immagine del mondo, realtà immediata dell’os-servatore (theoros), non pura natura, nel suo sen-so terminologico ed epistemologico di corso na-turale delle cose indipendente dall’intervento uma-no. Il paesaggio antico non è concepibile senzal’uomo e non è immaginabile una natura comealtro da lui. Il nesso tra le figure divine e le for-me della realtà dà vita a un processo creativo26.

Omero, con lo scudo di Achille, mostra il co-smo di Zeus nella sua dimensione unitaria eticacomprensiva del lavoro dell’uomo, considerato daOvidio il vero demiurgo, insieme agli dei, di unaterra originariamente senz’arte né forma27. I pae-saggi sono epifanie di un mondo mitico delle di-vinità ordinatrici: le Muse che trasformano il caosin cosmo, attraverso il progetto del mondo uma-no.

Ogni paesaggio è spazio del mito, come quel-lo celeberrimo descritto da Platone nel Fedro perbocca di Socrate. Nei kepoi di Atene della valledell’Ilisso, nei pressi dei giardini di Afrodite, èpresente una deliziosa sorgente d’acqua fresca chescorre sotto il platano socratico. Le statuette e leimmagini presenti ne fanno un luogo epifanicodelle Ninfe e di Acheloo, con la presenza sacradiffusa degli entopioi theoi, dei “visibili” del luo-go. Alla ninfa Farmacia è consacrata una fontepresso il fiume Ilisso. Le ninfe ispirano il discor-

so di Socrate. Acheloo, dio del fiume con il do-no della metamorfosi, è figlio di Oceano e di Te-ti28, dalla cui unione provengono i fiumi e le nin-fe, tra cui, come abbiamo visto, Kastalia.29. Ache-loo è fratello del Nilo, dell’Istro, dello Scamandroe di tremila altri dei-fiumi. È il fiume più grandedella Grecia, si trova in Eubolia. Teti, ninfa-deaacqua, genera ogni fonte che sgorga dal seno del-le ninfe30.

Apportatrici di fecondità alla terra, e come ta-li protettrici del matrimonio, le ninfe Naiadi cu-stodiscono le acque perenni di Forco ad Itaca, chescorrono in un antro grazioso e buio, con due en-trate: una accessibile agli uomini, l’altra riserva-ta agli dèi31. La grotta è immagine del cosmo espazio di un’arte emula della natura. Natura e ar-te si confrontano confondendosi nell’ingenium,loro vera essenza unitaria.

L’antro comprensivo delle acque è il simbolonon solo del cosmo ma anche del generato e delsensibile32. Qui, tra le ninfe, Demetra alleva Co-re33. Le ninfe sono Naiadi, potenze delle acqueche sgorgano dalle fonti e scorrono portando vi-ta34. Sono quindi spesso associate a Demetra eCore, quest’ultima come espressa patrona di tut-to quanto viene seminato35. Core, forma femmi-nile di koros, virgulto, è il germoglio del fru-mento, che, maturo, è un essere materno: Deme-ter 36.

Questa totalità cosmica è presente anche nel-la grotta di Calipso ad Ogigia, attorno alla quale“si allungava / vigorosa una vite, ed era fiorita digrappoli. / Quattro fonti sgorgavano in fila con

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25 SCHWIND M., 1950 - Senso ed esperienza del paesaggio, tr.it. di A. Iadicicco, Tellus, VI (14, 1995), pp.10-11,p. 10.26 Come sottolineato da OTTO W.F., Gli dèi della Grecia (1929), tr. it. di G. Federici Airoldi, Mondadori, Milano1968. 27 OVIDIO, Metamorfosi, I 32-44 e 87-88.28 ESIODO, Teogonia 340.29 Ibid. 337-370.30 Inno orfico XXII.31 OMERO, Odissea XIII 102-112. Le Naiadi, ricordiamo, sono fonti, fiumi e laghi; le Driadi o Amadriadi, fore-ste; le Oreadi, monti.32 PORFIRIO, L’Antro delle Ninfe nell’Odissea, 7. Trad. it. a cura di L. Simonini, Adelphi, Milano 1986.33 Ibid.34 Ibid., 8-10.35 Ibid., 14.36 KERÉNYI K., 1942 - “Kore”, in JUNG C.G., KERÉNYI K., Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, tr.it. di A. Brelich, Bollati Boringhieri, Torino 1972, pp. 151-220, p. 172.

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limpida acqua, / vicine tra loro e rivolte in partidiverse...” 37. La vite rivela la cultura e il conse-guente incanto del paesaggio, degno dell’ammi-razione di un dio38.

Il demiurgo si confronta da sempre con la na-tura, che gli offre condizioni di possibilità percreare un oggetto che la trascende, composto conelementi da lei stessa offerti. Son tutti materialinaturali utilizzati dal gioco dell’immaginazionesecondo determinate idee estetiche, dice Kant;gioco che stimola l'uomo a modificare in una de-terminata direzione l'ambiente che lo circonda. Inquesto modo si crea un’altra natura, manipolan-do quella reale: un paesaggio, una realtà però chesi differenzia, nella sua essenza, dall’originarianatura, che rimane unica nel suo essere. Questa fa-coltà ideatrice è legata all’esistenza dell’uomo.

Cicerone, in de natura deorum, ricorda l’atti-vità dell’uomo artefice del suo paesaggio. Il la-voro, cioè le abili mani dell’uomo, dice espres-samente, creano città, mura, case, templi; ma so-prattutto con le nostre mani cerchiamo di crearenella natura quasi un’altra natura: “nostri sono ifiumi e i laghi, seminiamo il frumento e piantia-mo gli alberi; diamo fecondità alla terra irrigan-dola, tratteniamo i fiumi nel loro letto, ne rad-drizziamo e deviamo il corso...”39

L’acqua dal mondo antico a oggi ha sempremantenuto un forte significato mitico e vitale, cheviene da lontano, da quando l’uomo la utilizzanelle arti necessarie, prima di tutte l’agricoltura.Tutte le fonti sono concordi nell’indicarla comeelemento principale del paesaggio insieme allaterra con la quale costituisce la coppia terrestredella vita, che dà origine al cosmo, a sua voltarisultato di un’arte. Non esiste arte senza l’acqua:è la lezione del mito. Sia divina che antropica,essa è sempre umana.

L’uomo, abbiamo visto, è demiurgo creatoredi paesaggi, nella loro esteticità diffusa e raccol-

ta; prodotti dell’arte, cioè della libertà, che si dif-ferenzia dalla natura in quanto volontà posta dal-la ragione. La cultura occidentale si fonda sullalimpida distinzione kantiana tra opera d’arte edeffetto naturale. La libertà, il fare e l’agire degliuomini costruisce orizzonti di contemplazione:realtà non solo estetiche, ma soprattutto etiche.

La definizione più chiara di quest’arte la dob-biamo proprio al Kant della Critica del Giudizio,quando accenna all’arte dei giardini quale “ab-bellimento del suolo, per mezzo di quella stessavarietà che la natura offre all’intuizione (prati,fiori, cespugli e alberi, e anche le acque, collinee valli), ma combinata in modo diverso e confor-me a certe idee”. È un’arte definita nella propriaspecificità che rientra nella sfera del mondo pos-sibile; esprime idee estetiche “secondo l’analogiadi un linguaggio”; può comporre persino paginedi un’antica poesia e fa di ogni paesaggio un bel-l’individuo, condizionato dalla sua particolare po-sizione e dal suo ambiente, che può esistere unasola volta come tutti i capolavori dell’arte.

Massimo Venturi Ferriolo è filosofo, editore e cu-ratore di pubblicazioni su giardini e paesaggio. Ha par-tecipato a numerosi gruppi di lavoro, giurie e gruppi diricerca internazionali. È stato membro del ComitatoScientifico per la definizione della I Conferenza nazio-nale sul paesaggio con DM. del Ministro per i Beni ele Attività Culturali del 17 giugno 1999.

Ha introdotto il 15 ottobre 1999, in occasione del-la Ia Conferenza nazionale sul paesaggio, la sessione te-matica Paesaggio comunicazione, educazione, forma-zione con una relazione dal titolo “Per una definizio-ne del paesaggio”.

È responsabile scientifico dell’Unità di Ricerca del-l’Università di Salerno ammessa al cofinanziamentoMURST 1999 sul programma Storia e rinnovamento delGiardino Botanico in Italia.

È Direttore del Centro Interuniversitario di Studi eRicerche sul Giardino e il Paesaggio Mediterraneo(Università degli Studi di Salerno - Politecnico di Mi-lano).

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37 OMERO, Odissea V 63-76, trad. di G.A.Privitera, 6 voll., Fondazione L.Valla - A.Mondadori, Milano 1981-1986,vol. 2. 38 Ibid.. 63-76, trad. di G. A. Privitera, 6 voll., Fondazione L.Valla - A.Mondadori, Milano 1981-1986, vol. 2. 39 CICERONE, De natura deorum, II.60.

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MARGHERITA AZZI VISENTINI

“L’ingegnoso artifizio nuovamente ritrovato di far le fonti”: il ruolo dell’acqua nei giardini italianidel Rinascimento e dell’età barocca

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L'acqua svolge una parte di primo piano nel-l'architettura dei giardini italiani del Rinascimen-to e dell’età barocca. In realtà non c’è giardinosenz’acqua, essa ne è la linfa, la fonte di vita, insua assenza c’è il deserto, un terreno in cui nes-sun tipo di vegetazione può crescere. Quindi intutte le epoche il binomio giardino-acqua risultainscindibile.

Sempre presente, l’acqua tuttavia acquista unruolo di primo piano nell’architettura dei giardi-ni delle ville italiane del tardo Rinascimento inconcomitanza con la graduale dilatazione e qua-lificazione del giardino, che nella prima metà delsecolo da breve prolungamento all'aperto della re-sidenza signorile, alla quale risulta strettamentelegato in quanto sua “integrazione scenica”, se-condo una felice definizione di Giulio Carlo Ar-gan, si espande e dilata, raramente però superan-do un’estensione massima di trecento per trecen-to metri, e insieme si articola e complica,facendosi portatore di complicati messaggi. Apianta generalmente rettangolare, a sua voltascompartito da una rete viaria a griglia in regola-ri riquadri, in genere in diretta relazione con l’ar-chitettura delle adiacenti fabbriche, con cui con-divide la distribuzione assiale, e insieme adattan-dosi alla naturale conformazione del terreno, orain piano, ora, preferibilmente, adagiato su un pen-dio, articolato in terrazze digradanti e scenogra-ficamente aperte verso il circostante paesaggio.

All'interno della relativamente semplice tramadel giardino i vari elementi, dalle statue all'acqua,dai movimenti del terreno alla vegetazione, dap-principio ciascuno concepito individualmente, sifondono, negli esempi più maturi e riusciti, acomporre una perfetta sinfonia. Il legante è rap-presentato, oltre che dal programma iconografico,

filo conduttore del percorso che si snoda lungol'impianto scenografico del giardino, grande tea-tro all'aperto, dalla incessante metamorfosi delleforme che tutto lo permea, saldando in una ar-moniosa unitarietà elementi organici ed inorgani-ci, vivi e inanimati, parti lasciate nel loro sca-broso stato originario e parti raffinatamente ag-giustate dall’arte, natura e ragione, in quellairrazionale magia degli elementi tipica della cul-tura tardo-rinascimentale e manierista, che trovanell’ambito del giardino un eccezionale banco diprova, e nell’acqua un eccezionale, malleabile in-grediente. La costruzione di un giardino rinasci-mentale e barocco implica una molteplicità di ope-razioni, che coinvolgono quasi tutte le arti e letecniche, e richiede pertanto l'intervento di diver-si specialisti: oltre al tecnico idraulico, detto co-munemente “fontaniere”, l'ingegnere, l'architetto,lo scultore e il pittore, il botanico e l'archeologo,oltre naturalmente all'iconologo.

La nuova architettura delle acque, che si qua-lifica sia qualitativamente, per le inaudite raffi-natezze e prodezze in cui l’acqua si esibisce, siaquantitativamente, giungendo, grazie all’apportodi rilevanti quantitativi d’acqua, ad emulare fe-nomeni naturali, come avviene per le cascate diVilla d’Este a Tivoli, le prime artificiali dei giar-dini d’occidente, ha avvio dalla riscoperta di quan-to gli antichi avevano prodotto in questo campo.

Le prime innovazioni riguardano le fontane.Nel medioevo, un’età che aveva riconosciuto al-l’acqua un profondo significato simbolico, so-prattutto nell’iconografia religiosa, in quanto “fonsvitae, fons salutis, fons virtutis, fons iuventutis”e via dicendo, oltre naturalmente al “fons signa-tus” (o "fonte sigillata") del Cantico dei Canticidi Salomone, l’acqua scaturiva generalmente da

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un semplice bacino o da una vasca, analoga aquella battesimale, circolare, poligonale o qua-drilobata, poggiante direttamente sul terreno, dalquale la separavano pochi gradini, o rialzata, tra-mite un pidestallo, a coppa, eventualmente co-perta da una volta retta da colonnine o piccoli pi-lastri. In alcuni casi al centro della vasca si erge-va uno slanciato stelo dal cui apice più o menoelaborato sgorgava l'acqua con vivaci zampilli,mentre altra acqua fuoriusciva più in basso daprotome leonine, secondo un modello di originearaba di cui uno straordinario esempio si trovanel chiostro di Monreale ed un altro, con doppiatazza e in basso, tutt'attorno, statue di leoni, nel-l'Alhambra di Granada.

La fontana a tabernacolo, o a forma di lanter-na di cattedrale, con coperture gotiche culminan-ti in slanciati pinnacoli, era diffusa soprattutto nelTre e Quattrocento in Borgogna, dove era utiliz-zata anche per le piccole, preziose fontane da ta-vola. Le miniature delle Très riches heures duDuc de Berry, oggi a Chantilly, che risalgono al1420 circa, ne mostrano diversi esempi. A questatipologia si collega la fontana raffigurata nellaMadonna del roseto di Stefano da Verona, del1425-28 circa, del Museo di Castelvecchio, a Ve-rona, che in realtà raffigura la Vergine nell’hortusconclusus del Cantico dei Cantici. Elaborazioni inchiave rinascimentale del tipo di fontana a tazzesovrapposte su uno stelo centrale, con figure al-

l'antica attorno ai sostegni e sull'apice, si trovanonegli album di disegni di Jacopo Bellini del Lou-vre e del British Museum, che risalgono alla metàdel Quattrocento, mentre un’interessante fontanadi questo tipo figura negli affreschi dipinti dalPinturicchio alla fine del secolo nell’appartamen-to Borgia, in Vaticano. Decisamente ispirata aimodelli antichi è invece il gruppo del Putto condelfino che spruzza acqua, del Verrocchio, realiz-zato intorno al 1475 per i giardini della villa me-dicea di Careggi e oggi a Palazzo Vecchio, a Fi-renze.

Accanto a queste fontane tradizionali, ornate distatue che gettano acqua in sottostanti vasche,cominciano a diffondersi nei giardini del secon-do Quattrocento altre decisamente innovative, incui l'acqua scaturisce da statue o gruppi plasticibasati su prototipi o su testi letterari antichi, co-me la fontana della ninfa dormiente e quella, incalcedonio, diaspro, porfido, ametista e oro, del-le tre Grazie, che combina diversi motivi classi-ci, dell'Hypnerotomachia Poliphili, l’incunabolocorredato di straordinarie xilografie, scritto daldomenicano Francesco Colonna e pubblicato nel1499 a Venezia da Aldo Manuzio. A volte l’acquaprecipita dall'alto con cascatelle, ristagna in pe-schiere e scorre in rivoletti, animando tutto il giar-dino in modo naturalistico, come scrive PietroBembo negli Asolani, forse rievocando le miti-che sorgenti Ippocrene e Castalia, care alle Mu-se.

Basandosi sugli antichi scritti di idraulica diFrontino, Vitruvio e soprattutto Erone Alessan-drino - di cui nel Cinquecento appaiono le primeedizioni a stampa - che spiegavano come sfrutta-re la forza combinata dell'acqua e dell'aria com-pressa per far sprigionare e scorrere le acque neimodi più impensati, impiegandola anche a scopiludici e spettacolari, per azionare i celebri auto-mata o stupire gli astanti con spruzzi inattesi, ecombinando l'artificioso moto dell'acqua con latipologia classica del ninfeo e della grotta, tantodiffusa presso gli antichi, che usavano rivestirequesti manufatti con mosaici, conchiglie e pietretufacee particolarmente porose, il cui aspetto spu-gnoso era il risultato della millenaria erosione del-l'acqua e del vento (i cosiddetti “tartari”), di cuiil territorio intorno a Roma era particolarmentericco, gli architetti dei giardini romani del primo

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Fig. 1 - Pinturicchio (1454 - 1513): Susanna e i vec-chioni - affresco, Vaticano - Appartamento Borgia

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Cinquecento hanno riscoperto "l'ingegnoso artifi-zio...di far le fonti", come spiega Claudio Tolomeinella sua celebre lettera a Giambattista Grimaldidel 1543, per poi decisamente superarlo.

Sull'impiego a scopo decorativo e ludico del-l'acqua nei giardini si era già soffermato Leonar-do da Vinci nelle annotazioni in margine alla re-sidenza milanese progettata per Carlo d'Amboiseintorno al 1506-1507.

Nel De re aedificatoria, scritto prima del 1452,ma stampato solo nel 1485, Leon Battista Alber-ti aveva ricordato, riprendendo Plinio il Vecchio,l'antica usanza di rivestire l'interno di "grotte ecaverne" naturali o artificiali, con “un rivestientoreso ad arte ruvido col mescolarvi minute scagliedi pomice ovvero spuma di travertino, quella cheOvidio chiama pomice viva”, su cui si applica“ocra verde, per imitare il muschio della grotta”,e Raffaello, con l'aiuto di Giovanni da Udine, ave-va realizzato intorno al 1519-20 una serie di fon-tane all'antica nei giardini di villa Madama, tracui una “salvatica”, “facendo cascare con belloartifizio da tartari e pietre di colatura d’acqua goc-ciole e zampilli, che parevano veramente cosa na-turale; e nel più alto di quelle caverne e di que’sassi spugnosi avendo composta una gran testa dileone, a cui facevano ghirlanda intorno fila di ca-pelvenere ed altre erbe artifiziosamente quivi ac-commodate”, la cui novità e piacevolezza è rile-vata dal Vasari nella Vita di Giovanni da Udine,ma è appunto solo intorno al quarto decennio delCinquecento, a Roma, che la riscoperta dei restidi scenografici ninfei di età imperiale combinatacon lo studio dei trattati di idraulica greci e lati-ni e delle opere letterarie classiche produce unanuova architettura dell'acqua, sulla quale sugge-stivamente si soffermano, con il Tolomei, Anni-bal Caro, Ulisse Aldrovani e altri autorevoli te-stimoni.

Annibal Caro è uno dei primi a menzionarel’impiego dei “tartari” in una lettera all’amicoMonsignor Guidiccione del 1538, in cui descriveil giardino romano di Giovanni Gaddi. “Monsi-gnore - spiega - ha fatto in testa d’una sua granpergola un muro rozzo di certa pietra che a Ro-ma si dice asprone, specie di tufo nero e spugno-so, e sono certi massi posti l’uno sopra l’altro acaso, o per dir meglio con certo ordine disordi-nato, che fanno dove bitorzoli e dove buchi da

piantarvi l’erbe, e tutto ‘l muro insieme rappre-senta come un pezzo d’anticaglia rosa e scanto-nata”, soffermandosi quindi sul modo estrema-mente diversificato in cui scaturiscono le acqueche sono condotte da una canna “divisa in due, el’una, ch’è la maggiore, conduce una gran pollad’acqua per di dentro, in fino in su l’orlo del fiu-me descritto, e quindi, uscendo fuori, trova in-toppo in certi scoglietti, che rompendola, le fan-no far maggior rumore e la spargono in più par-ti, e l’una cade giù a piombo, l’altra corre lungoil letto del fiume, e nel correre trabocca per mol-ti lochi, e per tutti romoreggiando versa nel pilo,e dal pilo (pieno che egli è) da tutto ‘l giro del’orlo cade nel ricetto da basso. L’altra parte diquesta canna, la quale è una cannella piccola, por-ta l’acqua sopra la volta del nicchio, dove è un ca-tino quanto tiene tutta la volta, forato in più lo-chi, per gli quali fori, per certe picciole cannella-te, si mandano solamente gocciole d’acqua sottola volta, e di là quindi come per diversi gemitii,a guisa di pioggia, caggiono nel pilo, e caggendopassano per alcuni tartari bianchi di acqua con-gelata, che si trovano nella caduta di Tivoli, i qua-li vi sono adattati in modo, che par che l’acquagemendo vi sia naturalmente ingrommata. E co-sì tra ‘l grondar di sopra e ‘l correr da ogni par-te si fa una bella vista e un gran mormorio.”

Nella ricordata lettera, di un lustro successivaa quella del Caro, il Tolomei ritorna sull’uso del-le “pietre spognose che nascono a Tivoli, le qua-li essendo formate da l’acque, ritornan con lorfatture al servizio de l’acque; e molto più l’ador-nano co la lor varietà e vaghezza c’hesse nonavean ricevuto ornamento da loro” p. 243 e so-prattutto ammira “in queste nuove fonti…la va-rietà de’ modi co’ quali guidano, parteno, volgo-no, menano, rompeno, e or fanno scender e or sa-lire l’acque”, e, dopo averne descritto le prodezze,“così - conclude - altre acque sono spezzate, al-tre correnti, quelle di zampilli, queste di pispini,l’une di bollori, l’altre di tremoli, e io penso chel’arte andarà tanto innanzi che vi si aggiugneran-no altre di sudori, altre di rugiada, e forse alcunedi viscighe, e alcune di gorgogli e in molte altreguise”.

Al rivestimento interno di grotte e ninfei, e inparticolare ai tartari, al modo di procacciarseli edi applicarli, dedica quindi un intero paragrafo

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delle Vite Giorgio Vasari, mentre Antonio da San-gallo il Giovane affronta il problema pratico delreperimento di questi curiosi “tarteri” o “diaccio-li di saxo” con vivace immediatezza in una lette-ra a Cosimo I de Medici del 1546. Nel suo dia-logo La Villa, pubblicato a Milano nel 1559, Bar-tolomeo Taegio si sofferma sul funzionamentodella fontana del giardino milanese di AlessandroCaimo, che riprende i meccanismi descritti daErone di Alessandria nel suo Pneumatica, la cuieditio princeps, in latino, appare nel 1575, men-tre la prima versione in lingua italiana, curata eillustrata da Giovan Battista Aleotti, è stampatanel 1589 a Ferrara col titolo Gli artifiziosi et cu-riosi moti spiritali di Herone. Nello stesso annoè pubblicata a Urbino la traduzione italiana di Au-tomata, col titolo De gli automati o sia machinese moventi, a cura di Bernardino Baldi. Gli arti-fici dell’acqua raggiungeranno l’apice nelle villedi Frascati del primo Seicento. Nella Relationedella Villa Belvedere, scritta intorno al 1610, pro-babilmente dal coltissimo Giovanni Battista Aguc-chi, segretario di Pietro Aldobrandini, è ben evi-denziato il ruolo fondamentale dell’acqua, che rie-sce a compiere prodezze inaudite. Tra l’altro, sitrovano “doi colonne alte palmi (40 circa) et que-ste sono tutte ornate et incrostate di tasselli devarii colori, quasi di mosaico con stelle et rastel-li (le insegne della famiglia di papa ClementeVIII) et in cima, sopra un capitello ionico hannoun fiocho di tartari dal qual escono doi rampoli diaqua, uno dei quali fa un bollore et poi, per un ca-naletto che a guisa di vite circonda tutta la co-lonna e tutto di tartari che gocciano lavorato, dal-la cima fino alla base se ne scende. Questi doischizzi sopra il capitello delle colonne fanno me-ravigliare chi li vede come possa tanto alto l’aquaessere ascesa…”.

Le grotte si fanno sempre più complesse e piùnumerose, mentre la loro decorazione si arricchi-sce di nuovi materiali e tecniche. Agostino delRiccio ne annovera ben trentadue nel “bosco re-gio” da lui immaginato, animate da automi. Il nin-feo di villa Litta a Lainate, nei dintorni di Mila-no, costruito in un apposito edificio per iniziati-va di Pirro I Visconti Borromeo intorno al 1585,su progetto, pare, di Martino Bassi, è costituitodalla successione di svariati ambienti, con riccadecorazione musiva a ciottoli su pavimenti e pa-

reti, mentre le volte sono dipinte a tempera.Nelle grotte, nei ninfei e nelle fontane l'acqua

scaturisce nei più svariati e bizzarri modi, a goc-cia a goccia o in enorme quantità, imita il delicatostillicidio di un pianto e l'impetuoso scroscio del-le cascate, ma anche l'aria e il fuoco, ora trasudao sobbolle in modo appena percettibile, ora pre-cipita vorticosamente e zampilla con impetuosispruzzi, provoca una gamma di suoni che vannoda terribili fragori a canti soavi, scorre animandola decorazione plastica delle fontane, che a se-zioni rustiche, volutamente improntate su model-li naturali, ne accostano altre architettonicamentearticolate alla stregua di scenari teatrali, popola-te di statue.

Nello stesso tempo la rete idrica del giardinosi espande e dirama, fino a interessarne l'interaplanimetria, sovrapponendosi e intrecciandosi al-la rete viaria, a volte con infossati ninfei, come nelcaso della villa di papa Giulio III a Roma, altrevolte con peschiere, canaletti e un dispiegamen-to di fontane in piano, che accompagnano i per-corsi pedonali, come è il caso del viale delle cen-to fontane di Villa d’Este a Tivoli, e, lì dove vi so-no dei dislivelli, con scale e catene d'acqua il cuifluire viene continuamente variato creando viva-ci effetti visivi e sonori, come è il caso delle vil-le lante a bagnaia e Aldobrandini a Frascati.

È probabile che, accanto all'eredità degli anti-chi, la nuova architettura delle acque sia stata sug-gestionata anche dai giardini islamici, di cui rile-vanti esemplari erano in Andalusia e in Sicilia.Andrea Navagero, nei rapporti inviati all'amico

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Fig. 2 - Ligustri: Villa Lante a Bagnaia - stampa, 1596

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Fig. 3 - Villa Lante a Bagnaia - foto aerea

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Giambattista Ramusio durante la sua missione di-plomatica in Spagna del 1525-1526, indugia conparticolare attenzione sulle prodezze delle acquenei giardini dell'Alhambra e del Generalife a Gra-nada, che anticipano le scale e le catene d'acquadelle ville laziali del secondo Ciquecento.

La definizione “catena d’acqua” è stata per laprima volta impiegata da Fabio Arditio, segreta-rio di papa Gregorio XIII che accompagna nelpellegrinaggio alla Madonna della Quercia pas-sando, il 14 settembre 1578, per Bagnaia, dove ilpapa è accolto dal cardinal Francesco Gambaranella villa da lui appena costruita, meglio notacome Villa Lante, dal nome dei successivi pro-prietari. L’Arditio spiega come ad un certo pun-to l’acqua “va ad essere tutta sorbita da un gam-baro - esplicito omaggio al committente, cardinalGambara - per il quale la trasmette giù per un ca-nale di marmo lunghissimo, che per esser inta-gliato nel fondo hor alto hor basso, nel discenderche fa l’acqua giù con molto impeto fra questi in-toppi si rompe et alzandosi con molta spuma de

Fig. 4 - Villa Lante a Bagnaia: cascata d’acqua

lontano sembrano annella di una grossissima ca-tena d’argento”.

Pirro Ligorio, che ha diretto i lavori di villad'Este a Tivoli, si sofferma su "la mirabile natu-ra dell'acque correnti le quali versando da perpe-tui fonti arricchiscono la terra e la bagnano et l'a-limentano a guisa de le vene del corpo umano, siseparano in rami, traboccando dall'altissime mon-tagne o nascendo dalle radici d'essi, o spargen-dosi per larghi recano le commodità ai mortali dela copia de le frugge...", (43) e cerca di rievocar-ne la distribuzione nel sistema idrico della villa ti-burtina.

Per lasciar scorrere liberamente le acque lun-go la trama del giardino gli edifici si ritraggonoriducendosi a scenografiche quinte o fondali, co-me è il caso di villa Lante a Bagnaia, le cui fon-tane, vasche, la catene d’acqua e peschiere sus-segguentisi lungo il pendio, in corrispondenza del-l’asse mediano, colpiscono l'Arditio, che hal’impressione di trovarsi di fronte non ad “unafontana sola, ma mille, anzi tutto un colle, orna-to di purissimo cristallo”, mentre le fabbriche -le due palazzine e alcuni padiglioni - sdoppiate,sono poste, a mo’ di quinte, sui lati del comples-so, e di villa d'Este a Tivoli, dove addirittura si ve-rifica una scissione tra la facciata della rinnova-ta residenza, concepita come spettacolare fonda-le del giardino, e la retrostante costruzione,l’antico convento francescano, che, pur rinnova-to, non rispecchia affatto la simmetrica articola-zione del prospetto. In villa Aldobrandini a Fra-scati si realizza invece una vicendevole compe-netrazione tra l'architettura degli edifici e quelladell'acqua che scende dal colle alle spalle delcomplesso in modo tale che chi guarda l'edificiodall'alto ha l'impressione che l'acqua penetri di-rettamente al suo interno, mentre vista da dentrol'acqua si svela gradualmente, salendo da un pia-no all'altro della residenza, sopraelevata apposi-tamente nel versante a monte con la loggetta del-l'attico per permettere di abbracciare lo spettaco-lo delle acque nella sua interezza, seppur a scapitodell'armonia architettonica generale dell'edificio.

La parte superiore dell’asse mediano del giar-dino della reggia di Caserta è una ininterrotta ca-scata che precipita lungo lo scosceso pendio.

A volte la zona in cui si intende costruire ilgiardino è carente d’acqua, come nel caso delle

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ville medicee di Castello e di Pratolino, di villad’Este a Tivoli, di villa Aldobrandini a Frascati edella reggia di Caserta, per cui si provvede a far-la venire da lontano, incanalandola in ingegnosicondotti capaci di superare ogni ostacolo. Si trat-ta di una straordinaria vittoria della ragione sullanatura: Daniele Barbaro resta attonito al cospettodelle imprese realizzate da Ippolito d’Este a Ti-voli, in un sito originariamente senza forma e vi-ta, arido e impervio, ”nelle quali la natura con-viene confessare di essere stata superata dall’ar-te, come che in uno instante siano nati i giardini,et cresciute le selve, et gli alberi pieni di soavis-simi frutti, in una notte ritrovati, anzi delle valliusciti i monti, et ne i monti di durissime rocchefatto i letti a i fiumi, et aperta la pietra per dar luo-go alle acque, et allagato il secco terreno, et irri-gato di fonti, et di rivi correnti, et di peschiererarissime”.

Il costo degli impianti idraulici per l’approv-vigionamento idrico di villa Aldobrandini a Fra-scati è stato altissimo. Nel 1604 Francesco MariaViolando rileva, a tale proposito, che “la villa nonvale tanto quanto l’acqua”.

Con l'acquedotto carolino che rifornisce d'ac-qua la reggia di Caserta il Vanvitelli ha compiu-to, a metà Settecento, un’impresa equiparabile aquelle promosse dagli imperatori dell’antica Ro-ma.

Varie testimonianze straniere hanno fatto subitoconoscere oltralpe le prodezze realizzate da abi-lissimi “fontanieri” nei giardini d’Italia. Ricor-diamo, tra gli altri, Heinrich Schickhardt, archi-tetto del principe del Württemberg, che nel diario,rimasto allo stadio di manoscritto, del viaggio inItalia da lui compiuto allo scadere del Cinque-cento, annota e disegna le fontane e gli automiammirati nei giardini dell’Italia settentrionale edella Toscana, soffermandosi sui relativi mecca-nismi. Joseph Furttenbach, che risiede in Italia trail 1610 e il 1616, nel suo Itinerarium Italiae(1627) spiega nei dettagli, con l'ausilio di effica-ci immagini, come costruire grotte artificiali sulmodello di quelle genovesi, dove procacciarsi leconchiglie per il loro rivestimento e come di-sporle, mentre Salomon De Caus si occupa dicomplicati congegni idraulici, in gran parte ispi-rati a quelli della villa medicea di Pratolino, cheaveva visitato alla fine del Cinquecento, a livel-lo teorico, ne Les raisons des forces mouvantes(1615 e 1624), e, concretamente, nella costruzio-ne dei giardini della residenza di Federico V delPalatinato a Heidelberg, la cui costruzione iniziònel 1614, e che il de Caus illustra nel suo Hor-tus Palatinus, stampato nel 1620.

Una serie di vedute - dipinti e, soprattutto,stampe - dei giardini e delle loro fontane, tra cui,per il Lazio, quelle del Falda, del Venturini e delBarriere, hanno contribuito notevolmente a diffon-derne la conoscenza e a emularne l’esempio.

Così Marcus Sitticus, principe vescovo di Sa-lisburgo, affida a tecnici italiani la realizzazionedei giochi d’acqua della sua residenza suburbanadi Hellbrunn, realizzata nei primi decenni del Sei-cento e definita la Pratolino del nord.

Nei giardini dei castelli di Sceaux, Rueil eSaint-Cloud, nei dintorni di Parigi, è riproposto,in termini ben più enfatici, il motivo delle scali-

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Fig. 5 - Matteo Grunter: Veduta di Frascati con VillaAldobrandini - particolare, 1620

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nate d’acqua di Villa Lante a Bagnaia, del Villi-no Farnese a Caprarola e delle ville di Frascati,avvalendosi anche, per l’ultima, della consulenzadel Bernini, a Parigi nel 1665 per il progetto delLouvre.

Il giovane langravio Karl von Hessen-Kassel,reduce da un viaggio di studio in Italia dove erastato impressionato dall’architettura dei giardinie dai loro spettacolari giochi d’acqua, commis-siona nel 1701 all’italiano Giovanni FrancescoGuerniero la costruzione della residenza diWilhelmshöhe, nelle vicinanze di Kassel, in cuiun’intera collina, Karlsberg, è trasformata in unamonumentale scalinata d’acqua, a tratti interrottada scenografiche fontane, dominata da una gi-gantesca riproduzione dell’Ercole Farnese che sierge sull’apice del colle, e pochi anni dopo Pie-tro il Grande fa costruire una monumentale, du-plice scalinata d’acqua, che rievoca nella forma imodelli italiani, ma la cui decorazione, consistentedi un’infinità di statue e ornamenti, tra cui la vi-stosa fontana di Sansone, rivestite di lamine d’o-ro, rispecchiano un gusto prettamente nordico,

nella sua residenza sul Baltico, Peterhof, nelle vi-cinanze della nuova capitale, San Pietroburgo.L’architetto francese Alexandre Le Blond, colla-boratore di Dezallier d’Argenville, ha lavorato al-la costruzione del complesso tra il 1716 e il 1719,mentre l’ingegnere idraulico russo Vasily Tu-volkov si è occupato dell’aprovvigionamento edella distribuzione dell’acqua.

Poco dopo, tuttavia, la diffusione del gustopaesaggistico, che dall’Inghilterra ha poi interes-sato tutta l’Europa, decreta, in nome della recu-perata libertà politica, il superamento dei model-li italiani auspicando, con un impianto planime-trico irregolare, anche un più naturale trattamentodegli elementi decorativi, della vegetazione e del-l’acqua. Solo nella seconda metà dell’Ottocento lacritica e il grande pubblico riscoprono i prodigid’acqua dei giardini tardo rinascimentali e baroc-chi, come spiega nel suo intervento VincenzoCazzato.

Per un approfondimento dei temi trattati, e perle fonti da cui sono tratte le citazioni, rimando aimiei La villa in Italia. Quattrocento e Cinque-cento, Milano, Electa, 1995, e Arte dei giardini.Scritti teorici e pratici, 2 voll., vol. I, Milano, Il Polifilo, 1999, e alla bibliografia ivi indicata.

Margherita Azzi Visentini ha studiato a Roma e allaUniversity of Pennsylvania, Philadelphia. È docente diStoria dell’architettura al Politecnico di Milano; ha alsuo attivo numerose pubblicazioni in tema di storia deigiardini e del paesaggio. E’ membro del Comitato Giar-dini Storici del Ministero dei Beni Culturali e Ambien-tali, del Comité International d’Histoire de l’Art , del-l’AIAPP, dell’Ateneo Veneto e della Society of Archi-tectural Historians. Ha tenuto conferenze pressouniversità italiane e straniere. Ha al suo attivo nume-rose pubblicazioni, libri e saggi in tema di storia deigiardini e del paesaggio.

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Fig. 6 - G.B. Falda: Scalinata d’acqua di Villa Aldo-brandini - stampa acquarellata, 1680 ca.

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VINCENZO CAZZATO

L’acqua nella storiografia e in alcune realizzazioni di primo Novecento

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“Giardini d'ltalia!... Austera bellezza di ci-pressi, splendore di pini, biancore dei marmi...Anfiteatri di terrazze, mosaici di parterres, mor-morio di fontane, asprezza di profumi quante co-se sono racchiuse in queste due parole” scrivevaGromort. “Sembra quasi che l'aria che si respiracontenga, nella sua luminosa leggerezza, il prin-cipio di qualche penetrante filtro magico. Il visi-tatore che vi entra incurante la prima volta per ri-posarsi un istante all'ombra dei folti rami, ripartecambiato, affetto per sempre da una sorta di no-stalgia che si potrebbe definire mal di giardino”1.

Edith Wharton, prima del Gromort, è convin-ta che un viaggiatore, di ritorno dall'Italia, “sa diessere stato stregato” dalla magìa ineffabile deisuoi giardini2.

Al di là del tempo e del luogo, negli scritti de-gli inizi del Novecento vengono individuati unaserie di fattori che esercitano un forte potere di at-trazione sui “pellegrini” provenienti dalla lontanaAmerica e da altri Paesi: dall’impianto planime-trico alla dimensione domestica dei giardini, dal-l’adesione alle curve di livello alla patina del tem-po, dai suoni ai colori3. Analizzeremo in questasede l’attenzione riservata alle acque dalla proli-

fica storiografia, prevalentemente d’Oltralpe ed’Oltreoceano (“Su cento libri d’oggi che studia-no e descrivono il giardino italiano, novantanovesono stranieri, e i più in lingua inglese” scriveOjetti nel 1931)4.

Fra tutte le componenti, due erano - a pareredi Rose Standish Nichols - quelle indispensabiliper dar vita a un giardino italiano: “Un pendìoboscoso esposto al sole, che permettesse un’am-pia visuale della campagna circostante almeno inuna direzione, e un’abbondanza di acqua”5.

Si tratta di un ciclé che ricorre in maniera qua-si ossessiva: nel 1931, in occasione della Mostrafiorentina, non viene portata a compimento la ri-costruzione “al vero” nel parco delle Cascine divarie tipologie di giardino storico (“giardini nelgiardino”) sia per l’impossibilità di poter dispor-re di uno degli ingredienti fondamentali in ungiardino italiano, la patina del tempo, sia per l’as-senza di movimenti del terreno e di acqua6.

La mancanza di una delle due componenti “pe-sava negativamente sull’altra, né alcun giardinoitaliano poteva considerarsi perfetto senza en-trambe”7.

L’acqua segna con i suoi percorsi gli assi prin-

1 GROMORT G., 1922 - Jardins d’Italie, Parigi.2 WHARTON E., 1983 - Italian villas and their gardens; trad. it. Ville italiane e loro giardini (con prefazione di H.Acton), Firenze.3 Sull’argomento cfr. CAZZATO V., 1994 - Il fascino del giardino italiano nella storiografia del Novecento, in Vil-le e parchi storici. Storia, conservazione e tutela, a cura di A. Campitelli, Roma 1994, pp. 231-242; anche in Ilgiardino: tipologie e restauro, “Edizioni per la conservazione/31-32”, 1995, pp. 21-41.4 OJETTI U., 1931 - (a cura di), Mostra del giardino italiano, Firenze.5 NICHOLS R.S., 1928 - Italian pleasure gardens, New York.6 Sull’argomento cfr. CAZZATO V., I giardini del desiderio. La Mostra del giardino italiano, in Il giardino italia-no, Firenze 1986, pp. 80-88. Sulla complementarietà di questi due fattori - il sito collinare e l’acqua - si soffer-ma soprattutto James S. Pray: “La conformazione orografica dell’Italia offriva un’abbondanza di siti elevati e giàdi per sé attraenti che venivano scelti in virtù del panorama e della maggiore o minore pendenza. Queste condi-zioni naturali, unite all’abbondanza d’acqua tipica delle alture, (…) determinarono la tipologia del giardino ita-liano, con i suoi terrazzamenti e la sua successione di bacini posti su differenti livelli” (The Italian Garden, in“American Architect and Building News”, 1900).7 PRAY J.S., op. cit.

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cipali ed è il principale fattore di quella organi-cità tipica del giardino italiano: “Il più delle vol-te” scrive Gromort “queste fontane costituisconoun sistema”8.

Sono le scelte progettuali differenziate a darvita a un modello di giardino fortemente struttu-rato per parti, pur nella sua unitarietà. Annota Ja-mes S. Pray: “Punto di partenza delle riserve idri-che era il grande serbatoio artificiale situato inuna zona boscosa (dove) spesso la vegetazioneera mantenuta fitta soprattutto in prossimità delbacino”9. Da qui l’acqua era convogliata giù peri terrazzamenti fino al parterre, ricadendo “in ca-scate più o meno impetuose a seconda della pen-denza”, oppure attraversando “grotte, anfratti ogiardini rocciosi addossati ai muri delle terrazze,

da dove, alimentata da innumerevoli piccoli get-ti e raccolta in vasche via via sempre più grandi,proseguiva fino a raggiungere il parterre, il gran-de piazzale ai piedi del sistema terrazzato”10.

La descrizione di Pray coincide - senza cheegli lo denunci esplicitamente - con un giardinomolto simile a quello di Villa Lante a Bagnaia,uno fra i più accreditati dalla storiografia d’iniziosecolo soprattutto per la sua dimensione dome-stica.

È soprattutto la varietas delle scelte a colpirestudiosi e visitatori. Scrive Gromort: “Villa d’E-ste è attraversata da torrenti (ed è) il suono dellecascate ad animare le ville Torlonia, Aldobrandi-ni, Lante. Le acque diventano specchi a Marlia,a Frascati, a Villa Gamberaia a Settignano”11.

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8 GROMORT G., 1934 - L’Art des Jardins, Paris. 9 PRAY J.S., op. cit. E prosegue: “Negli esempi più suggestivi si lasciava che gli alberi crescessero molto viciniallo specchio d’acqua, affinché la bellezza delle forme e dei colori si riflettesse sulla superficie di questo laghet-to di montagna in miniatura”.10 Ibid.11 GROMORT G., 1934, op. cit. “Le acque diventano specchi a Villa Marlia, a Frascati, a Villa Gamberaia a Setti-gnano. Il loro fluire è un pretesto per le più svariate composizioni architettoniche”.

Fig. 1 - Settignano: Villa Gamberaia, veduta del giardino con il parterre d’acqua (foto tratta da Ch. Latham, 1905)

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Figg. 2-3 - Fontana e parterre d’acqua a Villa Gamberaia, Settignano (foto F. Fronza)

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Di esse gli studiosi scrutano i percorsi, quelliin superficie e quelli sotterranei: “Lanciata versol’alto in piccoli getti” scrive Hamlin “si riversa dibacino in bacino nelle fontane, in specchi moltosottili e al tempo stesso brillanti o in piccoli ru-scelli, per riemergere poi, dopo essere passata at-traverso condotti sotterranei, in forma di cascate(…), di bacini e di composizioni rocciose, di mas-sicce cateratte e di getti maestosi”12.

La varietà non sembra tuttavia degenerare inquegli eccessi che Gromort riscontra invece nelgiardino francese quando scrive: “I rivoli, le va-sche e i grandi bacini, le cascate, i getti e gli zam-pilli, anche se numerosi, sono lungi dall’esserlocome a Versailles dove, ricadendo copiosi, na-scondono le preziose sculture e attirano lo sguar-do soltanto per la loro quantità e le loro forme”13.

Anche la sonorità, sempre diversa, dà rara-mente luogo a situazioni esasperanti: “Il rumoree il movimento di violente masse d’acqua” scri-ve Hamlin “sarebbero stati in disarmonia con laraffinata eleganza dei giardini”14.

La presenza dell’acqua è talvolta posta in re-lazione con le condizioni climatiche della Peni-sola. Il suo mormorìo accresce “la sensazione direfrigerio”15; soprattutto in agosto, a mezzogior-no, quando “lasciare la casa fresca e in ombra ècome imbattersi nel calore ardente di una forna-ce” e “l’afa e l’aridità di una lunga giornata sen-za nuvole esauriscono persino le energie di un in-glese amante del sole” aggiunge Arthur Bolton

nella prefazione al volume di Evelyn March Phil-lipps edito a Londra nel 191916.

Il giardino italiano non è il podotto - a pareredegli stranieri - di grandi disponibilità di mezzima, “anche quando si disponeva di poco”, scriveLe Blond “si progettavano deliziose vasche e fon-tane, ciascuna di una bellezza particolare”17. L’ac-qua è un bene “troppo prezioso per essere sfrut-tato una sola volta”18.

Ad essere maggiormente blasonati ai primi delNovecento sono soprattutto i giardini di Capraro-la, Villa d’Este, Villa Lante (per la catena d’acquae il parterre d’eau), Villa Falconieri (per il la-ghetto con gli alti cipressi tutt’intorno). Hamlinaggiunge anche - ed è una scelta coraggiosa perquegli anni - il parco della Reggia di Caserta, “unesempio unico per i giochi d’acqua a dimensionepaesaggistica all’interno di un giardino italiano”,nel quale l’acqua è impiegata “su scala colossaleed è adeguata alla grande estensione dei terreni ealla notevole dimensione del palazzo. Si tratta”conclude “di un palazzo reale, non del giardino diun cittadino qualunque”19.

Villa d’Este resta comunque il giardino per ec-cellenza; Jellicoe ne parla come del “giardinod’acqua più completo nel suo genere”, che “nonrappresenta soltanto uno spettacolo meraviglioso,ma anche un immenso organo sonoro”20; conce-pito - scrive Evelyn March Phillipps - “per esal-tare il suono prodotto dalle acque”. Proprio la fon-tana dell’Organo “può considerarsi la chiave di

12 HAMLIN A.D.F., 1902 - The Italian Formal Garden, in European and Japanese Gardens, Papers read before theAmerican Institute of Architects, Philadelphia.13 GROMORT G., 1934, op. cit.14 HAMLIN A.D.F., op. cit.15 PRAY J.S., op. cit.16 MARCH PHILLIPPS E., 1919 - The gardens of Italy, London-New York.17 LE BLOND A., 1912 - The old gardens of Italy. How to visit them, London-New York. 18 È per questo - aggiunge L. Einstein (The Tuscan Garden, in “The Architectural Review”, February 1927) - che“viene utilizzata per dare un’impressione di abbondanza, moltiplicandosi mediante alcuni accorgimenti, quali l’im-piego di sottili getti provenienti da ogni possibile orifizio che l’inventiva di artisti, ingegneri e scultori era in gra-do di ideare”.La strategia è quella adottata per il giardino italiano nel suo insieme, ben messa a fuoco dagli studiosi dell’epo-ca: come un giardino di piccole dimensioni dà l’impressione di essere più grande rispetto alla realtà grazie allasua organizzazione per parti (vedi l’esempio della Gamberaia), così “il minimo volume d’acqua è sfruttato in ma-niera da produrre il massimo risultato estetico e la massima varietà di effetti” (Hamlin) e “anche nel giardino piùmodesto un rigagnolo dà una sensazione di abbondanza” (Einstein).19 HAMLIN A.D.F. - op. cit.20 SHEPHERD J.C., JELLICOE G.A., 1925 - Italian gardens of the Renaissance, London.

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lettura di un progetto finalizzato a distribuire laforza di un torrente di montagna sul pendìo delgiardino, in modo da dare vita a un grande poe-ma sinfonico di acque in movimento. Il lungo via-le delle Cento Cannelle dà l’idea del recitativo. Lecascate spumeggianti diffondono un profluvio disuoni che aumentano e diminuiscono col variaredel volume delle acque. Anche il singolo getto,proteso verso l’alto, esegue la propria fantasiamusicale”21.

L’acqua non è soltanto suono; è anche colore.È George Sitwell a sottolineare la poesia del co-lore; e porta ad esempio l’azzurro della fontanadel Vaticano (persino in una giornata senza sole),la tinta verdognola del bacino di Caprarola, i mi-steriosi riflessi del parterre d’acqua di Villa Lan-te, “dove i colori del cielo si riflettono in manie-ra inconsueta”22.

Il confronto con la pittura è d’obbligo: “Que-sti grandi artefici italiani avevano imparato a di-vertirsi con l’acqua come un sultano con i suoigioielli, come Turner con la luce, imprigionandol’acqua del mare in una piccola vasca, il verde

del crisoprasio nel bacino di una fontana, l’iridedell’arcobaleno in un getto cristallino; facendolabrillare come un rubino mediante marmi colorsanguigno o vibrare al sole nella luce azzurra diCapri, o utilizzando l’acqua come uno specchio,per riflettere il profondo azzurro del cielo italia-no”23.

Se la storiografia d’Oltralpe propone riflessio-ni sul tema delle acque in forme poetiche e for-temente liriche, quella italiana sembra invece uti-lizzare questo elemento in maniera del tutto stru-mentale, per esaltare il primato di questo giardinosugli altri. Scrive il Dami: “L’acqua nel giardinoformale non appare mai nelle sue forme naturali,ma sempre attraverso forme artificiali d’arte. Ilruscello pastorizio e idillico, così caro alla poesiageorgica del Quattrocento, che corre e piega glisteli delle lunghe erbe, che rode con qualche pic-colo gorgo le sponde tenere, che fa acquitrino; illaghetto che mostra il suo fondo di ghiaia colo-rata o di pelliccia verde e ondosa d’un muschio,son proscritti inesorabilmente”24. Non è, quelladel Dami, una voce isolata nel panorama italiano;

21 MARCH PHILLIPPS E., op. cit. Le acque di Tivoli determinano un’attrazione fatale: “Provenienti dal vecchio edal nuovo mondo” scrive Gromort “i pellegrini che hanno ascoltato una volta il canto delle fontane di Tivoli vitorneranno nella speranza di ritrovare la freschezza della loro prima impressione e quella ebrezza misteriosa chesembra emanare dai legni amari e dagli alberi centenari”, scrive G. Gromort in Jardins d’Italie.Alla musicalità di Villa d’Este - una musicalità più accentuata nel tratto in pendenza e più silenziosa nella zonadelle peschiere - risponde la rumorosità della vicina Villa Gregoriana. “Il famoso Tempio di Vesta è un’opera ar-chitettonica inserita in un ambiente naturale di grande effetto che ha il potere di catturare e sgomentare anche lapersona meno sensibile. Mentre scendiamo nel grande cratere, la crescente forza dell’acqua che scorre veloce fi-no a perdersi nelle profondità impenetrabili e nelle caverne segrete colpisce l’immaginazione. Il tumulto pervadei sensi stimolati dalla meravigliosa freschezza dell’atmosfera dovuta ai vapori dell’acqua, che fa sì che le roccesi rivestano di un velo sottile di verde. La dimensione quotidiana della vita langue di fronte alle forze viventi del-la natura e il senso dell’abnorme di attenua fino a percepire la voce della Sibilla” (E. March Phillipps, op. cit.).22 SITWELL G., 1909 - An essay on the making of gardens, London. “La bellezza dei colori dei laghi di Como eMaggiore o delle rive cristalline del Garda, dove la luce del sole danza di continuo componendo una magica tra-ma sui ciottoli” aggiunge “è stata attribuita ai motivi più disparati, tranne che a quello vero: al caso fortuito, allaprofondità o alla purezza dell’acqua, alla limpidezza dell’aria e al bagliore accecante del sole del sud. Nella Vil-la Borghese di Frascati il segreto è svelato da un piccolo bacino che ha una larghezza di dodici piedi; la siepe dilecci potati che lo circonda elimina i riflessi laterali, consentendo così l’ingresso della luce del sole solo dall’al-to; la sua bellezza non è dovuta al caso, ma è frutto di un attento studio”.23 SITWELL G., op. cit.24 DAMI L., 1924 - Il giardino italiano, Milano. “La principale risorsa, la origine massima di bellezza del giardi-no italiano è l'acqua. Acqua e verde sono due termini complementari nella natura. Ovunque un albero si levi estenda contro il sole le rame a ombreggiare lo spazio sotto di sé, ivi il nostro desiderio invoca il romorìo e lo scin-tillìo di un’acqua corrente tra le freschissime erbe e i muschi”. “Era naturale che il costruttore della rinascenza siimpadronisse di questo elemento essenziale, e tentasse di sfruttarne le possibilità di impiego. Lo sottomette an-ch’esso come la terra e gli alberi alle leggi della sua arte e alle vaghezze della sua fantasia. L’acqua appare sem-pre nel giardino della rinascenza in forma stilizzata; scaturisce dal getto di una fontana; si raccoglie in bacini elaghetti marmorei, ove si specchiano le statue; cade non traverso i massi naturali, ma traverso forme architettoni-

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a distanza di alcuni anni, anche Recchi contrap-pone “il rivo, già vanto del precedente paesaggio,ora rapido e rotto, spumeggiante in cascate, oramollemente mordente i bordi fioriti del prato, si-nuoso e tenero o stagnante in placido laghetto”alla più rassicurante acqua “irregimentata in ca-nali, canaletti e peschiere, drittamente segnata dal-l’implacabile bordo di pietra, (che) scorre veloce,si acquieta in tersi specchi e scroscia in fontane,tracciando complicati arabeschi, o coagulandosiin argentee costruzioni fra il verde, irrigidita e re-sa pur essa materia plasmabile e solida”25.

Sarebbe a questo punto interessante analizza-re come gli architetti stranieri hanno trasferitoquesta visione poetica del giardino italiano e del-le sue acque nella progettazione dei giardini d’Ol-tralpe e d’Oltreoceano; in quest’ottica il giardinoamericano dei primi del Novecento è un terrenofertile di rilettura, quando non di pedissequa ri-proposizione, di forme e di elementi scultorei:dalle tranquille peschiere alle cascate d’acqua,dalle piccole catenelle ai bordi delle scalinate al-l’isola26.

Restando in Italia, vorremmo invece segnala-re alcuni giardini oggetto in quegli anni di restauriche utilizzano l’acqua in maniera del tutto origi-nale; a partire dalla villa Gamberaia a Settignano,che occupa nella storiografia d'inizio secolo unposto di primo piano, tanto da essere preferita adaltri giardini italiani più famosi; persino alla tria-de sacra indicata da sir George Sitwell e com-prendente Villa d'Este, Villa Lante e il GiardinoGiusti di Verona27.

Già dalla fine dell'Ottocento, la principessaGhyka con l'amica pittrice Miss Blood intrapren-de la trasformazione della parte del giardino cheaveva avuto una ricca redazione settecentesca, mache si presentava - a giudizio dei contemporanei- “old fashioned”28. Il lavoro delle due signoreporta all’invenzione di un parterre d'acqua, cheriprende soluzioni cinque-seicentesche (Villa Lan-te, Villa Marlia).

Villa Gamberaia finisce col rappresentare, so-prattutto nella sua redazione moderna, il giardinoitaliano ideale.

È interessante notare come gli studiosi di que-gli anni siano pienamente coscienti del fatto cheil fascino di questo luogo sia legato a un inter-vento di restauro che fa largo impiego dell’acqua,storicizzato in un breve lasso di tempo. Già ilTriggs ricordava come la principessa avesse di-mostrato "tanta abilità e consapevolezza nei con-fronti di un'antica villa toscana, al punto che ilsuo fascino da vecchio continente si è notevol-mente accresciuto grazie al suo gusto e alla suasensibilità artistica"29. L’allusione al parterre d’ac-qua è evidente.

Apprezzamenti sull'opera di "restauro" emer-gono anche in altri scritti: "Una villa è stata pre-sa integra, immutata, e posta nelle mani, amoro-se e piene di sapere, dei proprietari che nel re-staurare sono attenti nel non andare troppo lontanoe ancora che hanno iniziativa, che non si di-spiacciono di mostrare che il mondo è andatoavanti, e che l'oggi può aggiungere bellezza per-fino alle più belle creazioni di ieri"30. Anche in

che o scultoree, nelle quali il filo o la corrente dell’acqua è parte integrante della immaginazione artistica, che sen-za essa rimarrebbe monca e atrofica (…). Non fragore di cascate, ma piccolo e roco chiocciolìo di getti; e una so-litudine verde che ammorza i rumori lontani; e che invoglia ad ascoltare qualche cinguettìo tra i rami, a seguirecon lo sguardo la foglia che cade, a mirarsi lungamente nello specchio verde e fermo dell'acqua conchiusa; chesolo il vento talora increspa a fiore, e trascorre senza turbarla qualche insetto nero dalle lunghe gambe veloci” (L.Dami, L’arte italiana dei giardini, in “Rivista del Touring Club Italiano”, agosto 1914).25 RECCHI M., 1937 - La villa e il giardino nel concetto della Rinascenza italiana, in “Critica d’Arte”, pp. 134-135.26 CAZZATO V., 1991 - La "decontestualizzazione" americana del giardino italiano, in "Arte dei Giardini", n.1/1991, pp. 65-81.27 SITWELL G., op. cit. 28 ROSS J., 1901, Florentine Villas, London-New York. Cfr. M. Pozzana, Restauri in stile e progetto del nuovo aFirenze (1900-1940); in V. Cazzato (a cura di), La memoria, il tempo, la storia nel giardino italiano fra Otto eNovecento, Roma 1999.29 INIGO TRIGGS H., op. cit., p. 23.30 LATHAM Ch., 1905 - The Gardens of Italy, with descriptions by E. March Phillipps, London, vol. II.

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questo caso il riferimento è alla valorizzazioneoperata grazie all’aggiunta dei quattro specchid’acqua.

Più critiche sono le parole di Edith Wharton:"Fino a pochi anni fa questo giardino, un appez-zamento di forma rettangolare, aveva al centrouna vasca di pesci rotonda, contornata da sim-metrici impianti di roseti ed ortaggi, e nel suoschema generale doveva aver subito ben pochemodifiche dalla costruzione della villa. È statoora modellato in maniera elaborata, senza alcunrapporto con lo stile circostante; ma fortunata-mente nessun'altra modifica è stata operata nelloschema e nell'impianto nella restante parte"31.

Nel Veneto, fra gli interventi effettuati nelgiardino settecentesco della Villa Pisani a Stra nei

primi decenni del Novecento, significativa è, frail 1911 e il 1913, l’aggiunta della vasca nel par-terre centrale. Secondo le indicazioni fornite dal-la Soprintendenza, l’invaso doveva dare l’im-pressione “di un vero parterre d’eau esteso fra idue avancorpi centrali del palazzo e delle scude-rie”32.

Fra i progetti redatti per l’adeguamento stili-stico dell’invaso si segnala quello baroccheggiantedell’architetto Max Ongaro che disegna un baci-no davanti alla vasca dalla parte della villa in ma-niera da abbellire l’affaccio e da rendere grade-vole il primo impatto che si ha del parco una vol-ta usciti dall’androne dell’edificio principale.Statue settecentesche, vasi in pietra tenera su unabalaustra e addirittura una Venere su finta roccia

31 WHARTON E., op. cit. 32 Cfr. RALLO G., 1999 - Nuove geometrie negli antichi giardini: note su alcuni interventi novecenteschi in areaveneta, in Cazzato V., op. cit., pp. 159-164.

Fig. 4 - Stra (Venezia): Villa Pisani, la vasca con le scuderie sullo sfondo nel 1931

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33 Ibid., p. 161.34 MAZZA A., 1999 - Il potere dell’apparenza. Quattro giardini di Tomaso Buzzi, in V. Cazzato, op. cit., p. 120.

completano l’arredo scultoreo e, insieme a basseaiuole geometriche, ornano lo spazio che dividela villa dal bacino33.

Il tipo di decorazione, i materiali proposti peril rivestimento, le statue collocatevi successiva-mente, il completamento del disegno con bassesiepi di bosso e piccoli parterres a broderie po-sti davanti evidenziano la volontà di uniformarsiai modi del giardino e al suo linguaggio oltrechéal mondo delle composizioni “barocche”.

In larga parte creativo è il restauro del giardi-no della villa di Trenzanesio alle porte di Milano,progettato da Tomaso Buzzi per conto della fa-miglia Invernizzi in anni più recenti, a partire dal1955.

Il "giardino delle acque” è conclusione e cul-mine dell'intero complesso. “Una personalissimacreazione del Buzzi, che sposa filologia e imma-

ginazione fantastica” è stato scritto. “La trasfigu-razione totale della materia viene operata comeper una sintesi alchemica: una materia divenutaschermo, non più sostanza né scavo, ma puro,vertiginoso riflesso. Il terreno, ormai incolto do-po l'ultimo conflitto, viene concepito dall'archi-tetto come un tracciato di arabeschi, la trama diun arazzo. Tra un percorso e l'altro, le superfici aprato vengono svuotate e riempite d'acqua, circo-lante attraverso un sistema di collegamenti inter-ni che ne evitano l'impaludamento”34.

Ricordando questa parte del giardino, Buzziscriverà alcuni anni più tardi: “Il mio giardinod'acqua che ho creato a Trenzanesio per gli In-vernizzi anni orsono e che Gian Felice Ponti inuna cartolina lo definisce ‘un giardino damasca-to d'acqua’ e che io vorrei dire (il modo di) im-prigionare il cielo in un gioco di riflessi o più

Fig. 5 - Rodano, Trenzanesio: Villa Invernizzi, il “giardino delle acque” nella sistemazione di Tomaso Buzzi

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gentilmente di incastonare il cielo in un cloisonnédi erba e di fiori”35.

Anche molti giardini realizzati ex novo guar-dano alla tradizione riprendendone alcuni motivi.Un giardino che coniuga questa tradizione con lacultura orientale è quello di Villa Toeplitz a S.Ambrogio Olona in provincia di Varese. Realiz-zato negli anni Venti, è legato alla personalità diGiovanni (fondatore della Banca CommercialeItaliana) e di sua moglie Edvige, che in esso tra-sferisce le esperienze di viaggio in Africa e inOriente36. Gli architetti parigini Adam e Collinsridefiniscono l’orografia del luogo, il disegno deiviali, il sistema di piantumazione e la strutturadei giochi d’acqua, nei quali sono adattati al gu-sto e al costume occidentale le suggestioni deigiardini visitati nel 1927 durante una spedizionenell’alta valle dell’Indo, quando la donna rimaseparticolarmente colpita dai giardini fatti realizza-re dal primo imperatore mongolo Babar, “il padredei giardini”.

La ricchezza della sistemazione è accresciutaed esaltata dai materiali e dalle tecnologie impie-gate, come il conglomerato cementizio e il metalloper gli arredi o le piccole mattonelle di maiolicaazzurra originarie dell’India, utilizzate per il ri-vestimento delle vasche e delle cascatelle o, an-cora, il sistema di illuminazione, con oltre 200punti luce (alcuni subacquei, altri nascosti dentrole fontane, le siepi e gli angoli più reconditi) che,anche con l’ausilio di filtri colorati, creavano gio-chi luminosi particolari. Si legge sulle pagine del-la rivista “Casabella” del 1929: “La luce elettri-

ca, permettendo di associare al fascino dell’acquache mormora (…) anche il fascino dei riflessi lu-minosi e dei colori cangianti, ha recato alla fon-tana un aspetto nuovo e modernissimo. Le acquechiamate a sprigionare sotto l’azione della lucetutto il mistero dei prismi e degli arcobaleni, eb-bero dal progresso un nuovo e più alto compitodi bellezza affascinante”37.

La luce, in questo caso artificiale. Per tornarealla grande Mostra del giardino italiano del 1931potremmo ricordare il Concorso per un giardinopubblico nel quale un linguaggio più aggiornatocerca di farsi spazio a fatica fra le maglie dellatradizione. In esso si assume “che nella parte piùalta esista una sorgente o una presa abbondante diacqua, la quale potrà essere usata come elemen-to decorativo”; puntualmente, nel progetto vinci-tore “colonna vertebrale” è un “grande viale conaree verdi e specchi d’acqua, concluso da unamontagnola geometrica ai piedi della quale la fon-tana delle armonie lascia cadere fili d’acqua dasette differenti altezze in sette coppe di bronzo”38.

Ancora l’acqua, con i suoi suoni e i suoi co-lori, asse primario che qualifica il giardino e adesso conferisce significati.

Vincenzo Cazzato, architetto, è ricercatore presso l’Uf-ficio Studi del Ministero dei Beni Culturali. Coordina-tore dal 1989 del Centro studi sul Barocco di Lecce èmembro di commissioni e comitati ministeriali per lostudio e la tutela dei giardini storici. Curatore di mo-stre e convegni, ha al suo attivo numerose pubblica-zioni sulle tematiche dei giardini storici.

35 Ibid.36 DELL’ORTO M., 1999 - Villa Toeplitz di S. Ambrogio Olona (Varese), in V. Cazzato, op. cit., p. 84.37 EGO SUM, Giuochi d’acqua e di luce in un parco moderno, in “Casabella”, 6 giugno 1929; cit. in M. Dall’Orto,op. cit., p. 85.38 Cfr. CAZZATO V., 1986, op. cit.

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Fig. 6 - S. Ambrogio Olona (Varese): Villa Toeplitz, il giardino formale

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ADA SEGRE

Gli impianti di irrigazione nei giardini storici:studio preliminare

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Non molto è noto sugli impianti di irrigazio-ne dei giardini italiani tardo-rinascimentali e ba-rocchi. I trattati di agricoltura ed architettura so-no parchi di informazioni, e pertanto, lo studio diquesto importante aspetto è stato quasi del tuttoignorato dalla ricerca. Questo piccolo contributosi prefigge di mettere in evidenza le informazio-ni che sono emerse sinora, cercando di proporreuna prima classificazione tipologica e di indicarequali sono le possibili direzioni di indagine dapoter perseguire in futuro.

È utile iniziare questo excursus dalla distin-zione fra parti sotterranee e di superficie: le pri-me celate all’occhio, le seconde visibili. In qua-si tutti gli impianti di irrigazione esiste un’alter-nanza fra queste e quelle: i canali di adduzionedell’acqua che corrono nascosti a 1 m. di profon-dità, confluiscono in un pozzo, conserva o fon-te, ove l’acqua si sprigiona creando l’illusioneche proprio in quel punto la terra pianga1, perpoi scomparire nuovamente sottoterra racco-gliendo le acque reflue. La maggior parte dei si-stemi di irrigazione e dei giochi d’acqua nei giar-dini storici funziona per forza di gravità, sfrut-tando la pendenza naturale o artificiale delterreno. Spesso la linea d’acqua e l’asse pro-spettico principale sono una cosa sola (p.e. Vil-la Garzoni a Collodi): per questo motivo i giar-dini storici creati nel Cinquecento e Seicento sitrovano in siti collinari. Nelle zone di pianura delnord Italia, invece, è stato necessario provvede-re con mulini o pompe azionati da animali (p.e.la torre dell’acqua nella seicentesca Villa Litta aLainate con ruota motrice azionata da cavalli) oad attente sistemazioni di canali e chiuse deriva-

ti da fiumi che sfruttavano anche i dislivelli mi-nimi del terreno, avvalendosi delle tecniche dibonifica in uso in queste regioni (p.e. i giardiniestensi nel ferrarese).

È evidente che la tendenza alla trasformazio-ne nel tempo del semplice pozzo centrale in fon-tana più o meno riccamente decorata è una diret-ta conseguenza della sua visibilità e, molto spes-so, della sua centralità all’interno del giardino.Per comprendere meglio il rapporto fra rete idri-ca e disegno del giardino, è opportuno ricordareche la sorgente molto spesso è ubicata in un pun-to a volte anche molto distante dal giardino stes-so. Pertanto, il suo sviluppo deriva dalla necessitàdi condurla ove si desidera irrigare, attraverso deisistemi di canalizzazione sotterranei, di superficieo sopraelevati. La rete idrica è una componenteimportante della struttura profonda del giardino,ovvero di quella parte non visibile che ne deter-mina il funzionamento.

L’acqua deve essere sempre presente laddovevengono coltivate delle piante, sia per scopo pro-duttivo che ornamentale. La quadripartitura deigiardini formali occidentali dipende, dal punto divista funzionale, dalla necessità di portare l’ acquanel punto più centrale possibile, che corrispondealla distanza più breve alle parti da irrigare. Nelleforme più arcaiche, un semplice pozzo funge daconserva, dalla quale si attinge l’acqua, che si por-ta manualmente al terreno da irrigare. In quelle piùevolute, canali di distribuzione si dipartono da everso il centro e conducono alle parti coltivate:questi sono disposti ortogonalmente al punto d’ac-qua e ripartiscono il giardino in quattro parti2. Siottiene pertanto una suddivisione dello spazio del

1 Vedi la voce “ein”, termine che designa sia l’occhio, che la sorgente in arabo ed ebraico.2 Naturalmente, si intende per ‘quadripartitura’, la suddivisione in quattro parti di un sito quadrato o rettangola-re, che può essere ripetuta da ulteriori serie di quadripartiture secondo un ordine gerarchico di suddivisioni (in 4per il primo ordine, in 16 per il secondo, in 64 per il terzo ecc.).

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giardino simile al chahar bag3 dei giardini orien-tali, spesso attraversato da canali sopraelevati (Fig.1). Nella tradizione occidentale, questa conforma-zione è sicuramente conforme al modello di ripar-tizione delle città romane imperniate su decumanus(asse est-ovest) e cardus (asse sud-nord). La mo-dalità di suddivisione dello spazio nel giardino in-dubbiamente nasce da questa tradizione architetto-nica, sulla quale tuttavia si innesta anche la confor-mazione della rete idrica. Nei giardini quadripartiti,ove in superficie si vedono i sentieri che portanoal punto d’acqua centrale, questa si trova incana-lata in tubazioni sotterranee sottostanti ai sentieristessi.

Si ricorda che esiste un gioco di alternanza fracanale/solco di irrigazione e sentiero, in quantoun canale a cielo aperto, quando non vi scorrel’acqua, altro non è che un sentiero. Una dellepratiche agronomiche più antiche è l’aratura, la-vorazione che produce una sistemazione di colmie solchi alternati l’uno all’altro. Tali solchi sonospesso usati come canali di scorrimento a cieloaperto, per gli adacquamenti per sommersione,imbibizione e tracimamento. La trasposizione delsistema ‘solco-colmo-solco’ dalla campagna algiardino è all’ origine delle aiuole. Questo pas-saggio è ben visibile nelle forme più antiche digiardino medievale, ove aiuole lievemente rialza-te e oblunghe sono disposte parallele le une allealtre, e intercalate da sentieri. Un esempio che ri-sale al IX secolo è quello del giardino dell’Ab-bazia di San Gallo in Svizzera, nella cui plani-metria si vede chiaramente questa conformazione.In un’immagine di giardino che trovasi in un’e-dizione tardo-quattrocentesca del trattato di agri-coltura di Pier De’ Crescenzi, si notano i colmi esolchi prodotti dalla lavorazione del terreno, chesembrano delle pre-aiuole.4 (Fig. 2) La formaliz-zazione di questa configurazione avviene con ladelimitazione dei colmi, costituita da una bordu-ra di piante, o da un cordolo in mattoni, pietra, le-gno o altro materiale. Ancor oggi nei giardini sto-rici, a ben guardare, si possono trovare forme si-mili a questa nelle parti secondarie, in particolare

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Fig. 1 - Il chahar bag del ‘Giardino della Fedeltà’ a Ka-bul (dettaglio di miniatura Moghul - metà sec. XVI - cheillustra le Cronache di Babur, da TITLEY & WOOD, p. 49)

3 Chahar bag - sistema di disegno di giardino a quattro, originario dell’Iran. Quattro canali scorrono ad angoloretto tra aiuole fiorite verso una fonte d’acqua centrale.4 DE’ CRESCENZI P., 1478, c.121r.

Fig. 2 - Dettaglio della planimetria del giardino dell’abbazia di San Gallo del 820 d.C. (in alto): veduta digiardino tardo-quattrocentesco in un’edizione a stampadel trattato di agricoltura di Piero De’ Crescenzi

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nelle aree dedicate alla riproduzione e propaga-zione delle piante, come è ben visibile nel Giar-dino Buonaccorsi a Potenza Picena. Esistono inol-tre, estesi compartimenti quadrati o rettangolari,lavorati manualmente secondo la stessa modalità,in particolare negli orti-giardino, come ancora av-viene nel Giardino Il Pozzino a Castello vicinoSesto Fiorentino. Pertanto, se questo tipo di aiuo-le è il prodotto della trasposizione e adattamentodi una forma di lavorazione agronomica all’ in-terno del giardino, la sovrapposizione fra concet-to di solco e quella di sentiero diviene più evi-dente. La dimostrazione di questa interpretazioneè anche filologica, in quanto le aiuole nel giardi-no sono designate con gli stessi termini che indi-cano le sistemazioni del terreno in campagna: ar-

gini5, ‘arginuzzi6, colle,7 magolati,8 (h)orticini,9

porche,10 prode,11 resole12 vaneggie o vanezze.13

È evidente che, con la convergenza di tradi-zione agronomica e architettura nel giardino cheavviene nel corso del Cinquecento, questo tipo diaiuole, direttamente derivate dalla configurazio-ne ‘solco-colmo-solco’, viene gradualmente rele-gato in categoria minore e superato da aiuole diforma più fantasiosa, componenti di un disegnoornamentale globale, e non più necessariamenteparallele le une alle altre. Tuttavia, le aiuoleoblunghe non scompaiono completamente, man-tenendosi come fasce14 e come aiuole rettangola-ri addossate al muro di cinta dei giardini, nonché,come già ricordato, nei giardini minori e negli or-ti. Sono proprio queste aiuole di tipo più arcaico

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5 STEFANO - 1545 (1539), p. 20.6 TATTI - 1560., p.n.n.7 GALLO - 1566 (1550), p.143 e STEFANO-LIÉBAULT-CATO 1577, p.116.8 SODERINI - 1903 (c.1588), p.199.9 FIRENZUOLA - 1552, f.99r, SODERINI 1902 (c.1588), I, p.274 e AGOSTINO DEL RICCIO, Agr. Sperimentata, (c.1594),II, fols.7r-10r.10 TANARA - 1649, p. 210.11 SODERINI - 1903 (c.1588), II, pp. 15-6.12 SODERINI - 1903 (c.1588), II, p. 14.13 STEFANO-LIÉBAULT-CATO 1577 - TANARA 1649 e p. 273, CLARICI 1726, p. 5.14 Le fasce (anche corone) sono aiuole rettangolari e quasi sempre continue, che contornano i compartimenti deigiardini rinascimentali, facendo loro da cornice.

Fig. 3: Il giardino di Villa IlPozzino a Castello (Firenze).Si tratta di un orto-giardino;la canaletta di irrigazione sitrova lungo l’aiuola rialzataa ridosso della limonaia,esposta a mezzogiorno.

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ad essersi mantenute nel tempo, non modificateforse perché meno di rappresentanza di quellecentrali. Assieme a loro, sono giunti fino a noi, inmolti casi, impianti di distribuzione dell’acqua acielo aperto, canalette in pietra o terracotta inter-calate da vaschette di tracimazione poste a di-stanze fisse, parallele all’aiuola da adacquare esostitutive del cordolo. Queste strutture sono sta-te localizzate principalmente nelle aiuole addos-sate al muro di cinta, esposte per la maggior par-te a mezzogiorno, e qualche volta anche ad orien-te e occidente, ma mai a tramontana. È il casodel giardino di Villa Il Pozzino a Castello (Fig. 3),di quello di Poggio Torselli a San Casciano (Fig.4), di Villa La Gressa a Firenze (Fig. 5), di VillaGarzoni a Collodi (Fig. 6) e di Palazzo Verthe-mate a Piuro in Valtellina (Fig.7a e 7b). Il soloesempio di impianto di adacquamento nelle fasceche contornano i compartimenti è stato localizza-to nei due giardini gemelli di Villa Gori a Celledi Santomato (Fig. 8). Il dettaglio della lunetta diGiusto Utens (c.1599) che raffigura il giardinodella villa medicea L’Ambrogiana indica che ca-nalette simili erano usate anche nella parte cen-trale del giardino (Fig. 9). Ulteriore conferma del-l’uso di impianti siffatti si ha nel trattato di agri-coltura di Girolamo Gatteschi da Firenzuola(c.1552) che così le descrive: ‘È ncess.o ancora

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Fig. 4 - Veduta parziale delgiardino di Poggio Torselli aSan Casciano. La canalettadi irrigazione si trova siasulla aiuola rialzata che vol-ge a mezzogiorno (nella fo-to), sia su quelle a ridossodell’edificio sul lato di po-nente e di levante.

Fig. 5 - Particolare di vaschetta angolare nell’impiantoa canaletta a Villa La Gressa a Firenze

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Fig. 6 - Particolare dell’ impianto di adacquamento delGiardino degli Aranci a Villa Garzoni a Collodi

Fig. 7 - Giardino di Palazzo Verthemate a Piuro: la fontana a muro che alimenta la canaletta (a sinistra);la canaletta che sommerge l’aiuola rialzata a ridosso del muro in funzione (a destra). Notare i solchi di scorri-mento che si formano in corrispondenza delle vaschette di tracimazione.

Fig. 8 - Particolare del sistema di canalette con vaschettein terracotta a Villa Gori a Celle di Santomato. Si trat-ta di un raro esempio di impianto ubicato in posizionecentrale al giardino, parallelo alla fascia di contorno.

Fig. 9 - Particolare del giardino della villa mediceaL’Ambrogiana, nella lunetta di G. Utens (c.1599). Notare la canaletta con vaschette che attraversa la par-te centrale dei compartimenti.

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fare et creare gl’ orticini intorno al giardino mu-rati co’ buona distanzia, co’ i suoi andarj dell’acqua murati di pietra, con certe pilette ad ognitante b.a p.’ posser ricever’ l’acqua d’ an’affiar lastate, non solo le spalliere, ma li erbaggi, col pen-sare al modo di co’durvy l’acqua co’ facilità, op.’via di fontana, di vivaio, ò altro modo piu facileche sia possibile et secondo la fertilità et copiadell’ acque di paese. Et in essi orticini trapia’-tare ogni sorte di herbette et fiorj sco’mparten-do tutto verso il sole...’15 È stato possibile veri-ficare il funzionamento delle canalette adaquatri-ci nell’unico impianto ancora funzionante a Piuro,ove l’acqua che sgorga da una fontana a muroscorre lungo le canalette; una zolla di terra iner-bita viene usata come paratia nel punto che sivuole irrigare; lentamente il livello dell’acqua siinnalza, riempiendo le vaschette per poi tracima-re all’interno dell’aiuola. Il tempo che intercorredall’inizio della distribuzione permette alla acquafredda che fuoriesce dalla fonte di scaldarsi sinoa raggiungere la temperatura ambiente, ottimaleper le irrigazioni delle piante.16 (Fig.10). Il DeCoppet testimonia che ai primi del Novecentoquesto sistema era ancora in uso negli orti e neipomari: ‘Fortunati coloro che posseggono un cor-so d’acqua irrigatorie, assai più efficace, soprat-tutto perché riesce un lavoro meno pesante e piùsollecito degli innaffiamenti a mano. Allora me-diante piccoli canaletti praticati rasenti alle tavolecoltivate si può facilmente farvi scorrere l’acquadirigendola or sopra un punto or sopra l’ altro,a seconda dell’occorrenza’.17 Questo sistema diadacquamento per tracimazione è indubbiamenteun adattamento da giardino di una pratica irriguagià in uso in campagna.

Fra gli impianti a canaletta ritrovati, quasi tut-ti sono parzialmente interrati e non attivi, anchese alcuni potrebbero essere agevolmente restaurati

(Poggio Torselli) o integrati. A Villa Il Pozzino ea Piuro, le vaschette di tracimazione scolpite aforma di conchiglia trasformano l’impianto in ele-mento decorativo. (Fig.11). La canaletta del giar-dino degli aranci a Villa Garzoni è priva di va-schette di tracimazione: al loro posto vi sono del-

15 GIROLAMO GATTESCHI DA FIRENZUOLA, Trattato di Agricoltura, 1552, Firenze, Bibl. Laurenziana, Cod. Ash-burnham n.538, Libro V, Ch. XVI, c.9916 È noto che l’acqua per l’irrigazione, anche in campagna, deve essere a temperatura ambiente poichè quella cor-rente è sempre troppo fredda. Ciò è in ogni caso ribadito anche da G.B. Ferrari, 1638, p.248: ‘Tra le acque la mi-gliore e la più profittevole per innaffiare , é tanto quella che scorre, la quale con quel moto, e dibattimento si as-sottiglia, e riscalda; quanto la piovana, che raccogliesi nelle cisterne; come quella, che piena di vapori di fuo-co, e d’aria, che hanno del vitale, a maraviglia conferisce alla naturale fecondità degli Horti’.17 DE COPPET P., 1921 - pp. 14-5.

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Fig. 10 - Particolare dell’impianto a canaletta di Palaz-zo Verthemate a Piuro: la zolla con cotico erboso postaa valle della vaschetta permette l’innalzamento del li-vello ed il riscaldamento dell’acqua prima della distri-buzione nell’aiuola.

Fig. 11 - Particolare di vaschetta di tracimazione scol-pita a conchiglia nel giardino di Villa Il Pozzino a Ca-stello (Firenze)

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le derivazioni a canale in direzione dell’ aiuola,addossata al muro della prima terrazza ed espo-sta a mezzogiorno. Si ritiene che tale canalettapossa avere avuto una funzione doppia: di allog-giamento delle finestre di protezione degli agru-mi in inverno e di impianto di irrigazione in esta-te. Se così fosse, ma questa ipotesi necessita diconferme ulteriori, si potrebbe anche pensare cheesistevano forme più semplici di canalette, privedi vaschette di tracimazione (Fig.6). Questo po-trebbe essere stato il caso del giardino di Palaz-zo del Principe a Genova, dove l’indagine ar-cheologica ha messo in luce numerosi segmenti dicanalette di irrigazione alimentate da due fonta-ne a muro, privi di vaschette. La ricostruzione èstata effettuata in sintonia con i manufatti ritrovati(Fig.12) e ha messo in evidenza la necessità distudiare bene l’inclinazione di tali canalette: oltreal leggero dislivello necessario perché l’acquapossa scorrere, è bene verificare che la tracima-zione dell’acqua avvenga verso l’interno del-l’aiuola e non dalla parte opposta.

Si auspica che sia possibile in un futuro nontroppo lontano completare la ricerca di altri im-

pianti a canaletta che ancora esistono nei giardi-ni storici italiani, per poter redarre un elenco esau-riente dell’esistente. Si spera che l’importanza ditali manufatti possa essere valutata appieno e chesia possibile indurre il restauro e la riattivazionedegli impianti più belli, sia pure a fini dimostra-tivi e non utilitari.

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GIROLAMO GATTESCHI DA FIRENZUOLA, Trattato di Agri-coltura, III, Firenze, Bibl. Med. Laurenziana, Ms.Ashb.n.538, (c.1552).

Fig. 12 - Giardino di Palazzo del Principe a Genova: la canaletta ricostruita con il restauro del giardino, in baseai segmenti originali ritrovati

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Ada Segre, laureata in Scienze Agrarie presso l’Uni-versità di Bologna, con Ph.D. (dottorato di ricerca) inConservazione di Parchi e Giardini Storici conseguitopresso l’ Institute of Advanced Architectural Studies dell’Università di York (Gran Bretagna), Master of Arts inConservazione di Parchi e Giardini Storici conseguitopresso l’Institute of Advanced Architectural Studies, Uni-versità di York (GB) e Bachelor of Science (laurea bre-ve) in Orticoltura Ornamentale conseguita presso laFacoltà di Agraria dell’Università Ebraica di Gerusa-lemme, Rechovoth (Israele), ha svolto attività di do-cenza in numerosi corsi in Italia, USA e Israele. Haavuto incarichi per progetti e consulenze riguardanti ilrestauro di giardini a Bologna, Firenze, Roma, Geno-va, pubblicando numerosi articoli in riviste scientifichee di settore, oltre a testi per la University of Pennsyl-vania Press, Philadelphia e Dumbarton Oaks Landsca-pe Series, Washington DC.

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GIORGIO GALLETTI

I giochi d’acqua nelle grotte dei giardini medicei: problemi d’indagine storica e di restauro

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Quello dell’acqua nei giardini storici e nel pae-saggio è un tema importante, che ha ancora bi-sogno di indagini e di conoscenze.

Oltre alle interpretazioni simboliche, forniteda anni di studio, occorre rivolgere la nostra at-tenzione alla migliore conoscenza del tema del-l’acqua nei giardini storici italiani.

Si parlerà oggi di giardini medicei di Castel-lo, Petraia, Boboli, che non hanno più acqua: gliimpianti e le fontane non funzionano da tempoper mancanza cronica di finanziamenti. I proble-mi legati alla conservazione del patrimonio scul-toreo, delle grotte e delle fontane hanno messo insecondo piano il restauro degli impianti idrici.

L’esame dei documenti storici ci fa capirecom’erano costruiti gli impianti, che sono giuntiintatti fino a noi anche se non più funzionanti.Riprendendo le parole di Margherita Azzi Visen-

tini, che ha parlato di arterie del giardino, en-trando nei cunicoli dei giardini medicei si com-prende come tutte queste strutture invisibili que-sto giardino nascoste che esistono a Castello, aBagnaia come in tanti altri grandi giardini italia-ni sono forse la struttura, l’ossatura fondamenta-le per comprendere e per capire la costruzionestessa del giardino. Se non si conosce questomondo dimenticato forse risulta difficile anchecapire appieno l’essenza di questi giardini.

La documentazione esistente ci parla di operedi manutenzione del 1620, di canalette che servi-vano per raccogliere il troppo pieno. Nelle im-magini si vede il “fungo” di Castello, una vera epropria macchina idraulica, una struttura fonda-mentale, elemento generatore dei complessi gio-chi d’acqua del giardino: da una specie di cap-puccio uscivano gli schizzi d’acqua descritti dai

Fig. 1 - L’isolotto dei giardini di Boboli, Firenze: in secondo piano, copia della celebre fontana realizzata dalGianbologna nel 1576, rappresentante l’Oceano con i quattro fiumi sacri (foto F. Fronza)

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documenti di Praga. Il meccanismo idraulico ri-sente attualmente della mancanza d’acqua, pocaacqua arriva al “vivaio”, il serbatoio dell’acquaed esistono grandi problemi di restauro.

Scavando all’estradosso della grotta è statopossibile trovare la rete idraulica che comandavai giochi d’acqua che spruzzavano dalla volta del-la grotta degli animali di Castello, detta più pro-priamente “Grotta del Diluvio”, perché era stata

costruita ad imitazione del diluvio. Un anello pe-riferico conduceva l’acqua alle spugne della grot-ta.; l’impianto idraulico, studiato in modo da sfrut-tare al massimo la pressione, progettato da Ge-nio del Tribolo, si è conservato ma non funzionapiù perché danneggiato nel 1700. La conserva-zione di questo impianto è legata all’impianto diuna moderna rete di tubi che affiancheranno ilvecchio sistema idraulico in modo da non com-

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Fig. 2 - La “fontana deimostaccini”, abbevveratoioper uccelli nel giardino diBoboli, è composta da unaserie di canalette a cascatadove l'acqua, che sgorgada piccoli mostri, arriva fino alla vasca dell’isola (foto F. Fronza).

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prometterlo con il funzionamento, potendo cosìconservare questo straordinario reperto archeolo-gico.

Le diapositive mostrano una carrellata di sca-vi, con tubi parte in terracotta e parte in piombo,con il pettine che attraversa l’estradosso della vol-ta della grotta, con le calate che schizzavano l’ac-qua.

Nel 1600 l’acquedotto di Boboli viene am-

pliato perché il giardino s’ingrandisce e la grottasparisce. Tutte le canalizzazione sono esibite ester-namente e vanno ad alimentare i giochi d’acquadel grande bacino della vasca dell’isola che con-clude la parte secentesca del Giardino di Boboli.Gli sfiatatoi servono per dare aria ai condotti, co-me citato dall’Alberti “per crebra e su aria” (pertogliere esalazioni venefiche ai condotti) in realtàper dare ossigeno; la camera delle sorgenti con i

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Fig. 3 - La Cavalcata diPerseo nel canale

dell’isolotto di Boboli(foto F. Fronza)

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“gemitii che provengono dalle viscere della terra”.La grotta del Bontalenti con l’albero che è unafontana, dove lo stillicidio non è più in funzione.Nel 1881 la grotta subisce un notevole restauro edesistono ancora le tubazioni del secolo scorso.Tutto questo mondo è oggi inattivo e morto.

Nel ‘600 l’acqua è esibita in modo diverso; lagrotta perde la sua importanza perché le tecnicheidrauliche sono tali che c’è la volontà e possibi-lità di esibirsi con effetti spettacolari – vedi Vil-la d’Este fino ad arrivare a Versailles. Dalla con-serva (serbatoio) secentesca di Boboli l’acqua escee scorre per arrivare alla vasca dell’isola su unacanaletta a cielo aperto la fontana di mostaccini,così chiamata perché presenta dei piccoli mostrida cui fuoriesce l’acqua e scorre in canalette fi-no ad arrivare all’isola.

Nell’isola, attorno alla balaustra che delimita-va la vasca, esistevano degli zampilli, oggi in con-dizioni disastrose.

Questo ci fa pensare alla necessità di ap-profondire la conoscenza del modo sotterraneodegli acquedotti, anima della struttura morfologi-ca di molti giardini italiani”. Attraverso la cono-scenza di questo mondo e il suo recupero si puòarrivare ad approfondimenti e verifiche sul mes-saggio che il giardiniere del passato ci ha volutolasciare.

Giorgio Galletti, architetto, è direttore dell’Ufficio Giar-dini della Sovrintendenza per i Beni ambientali e ar-chitettonici di Firenze. Autore di pubblicazioni sul temadei giardini storici, è responsabile dei giardini ai Bo-boli, Petraia e Castello a Firenze.

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ALESSANDRO PASETTI MEDIN

Acqua e fontane nei giardini storici del Trentino: una prima ricognizione

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L’abbondanza d’acque, lodata fin dai tempi an-tichi, che ha sempre caratterizzato la regione tri-dentina, appare poco o nulla indagata per quantoriguarda la forma che va assumendo in ville egiardini, sorti per lo più nella valle dell’Adige,con la massima concentrazione sulle colline neipressi del capoluogo, che offrono favorevole espo-sizione, ampie vedute e temperature più miti ri-spetto alla conca in cui questo è adagiato.

Si espongono qui i primissimi risultati di unapiù ampia ricerca, tuttora in corso, mirata al giar-dino storico trentino nella sua globalità, integra-zione di architettura, scultura e vegetazione. Lasituazione degli studi ha finora conosciuto pochiprogressi dalla monografia sulle ville del Trenti-no di Bruno Passamani, uscita nel 1965 e tuttorainsostituibile punto di riferimento1. Uno degliostacoli principali è costituito dall’estrema scar-sità di materiale archivistico, dovuta talvolta alledolorose vicende belliche che hanno colpito conparticolare durezza il territorio. Ma non è questal’unica causa, se ad esempio recenti ricerche sul-la committenza dei Bortolazzi2, famiglia di mer-canti nobilitati patroni delle arti che ci hanno da-to con l’Acquaviva il più fastoso complesso divilla del Settecento trentino, hanno lasciato an-

cora nell’ombra i nomi degli artefici che ne af-frescarono le sale e ne popolarono il giardino distatue mitologiche.

Una seppur condensata disamina non può cheavere come punto di partenza il complesso mo-numentale del castello del Buonconsiglio, fasto-sa residenza dei principi vescovi la cui storia, perquanto riguarda il giardino, è stata indagata dal-la conservatrice Lia Camerlengo3. Disponiamo inquesto caso, ed è una felice eccezione, di un te-sto quale il poema encomiastico del Mattioli4, me-dico del principe vescovo Bernardo Clesio, checi dà un’accurata descrizione del complesso, ap-pena definito e splendidamente decorato. Già al-la fine del Trecento, col vescovo moravo Giorgiodi Liechtenstein, splendido patrono delle arti com-mittente del ciclo di affreschi di Torre Aquila, ilcastello era stato però dotato di un giardino, og-getto poi di particolari attenzioni nella secondametà del Quattrocento da parte del principe ve-scovo Giovanni Hinderbach, che rinnovò il com-plesso con precisi riferimenti all’antichità classi-ca e alla Roma del tempo, costruendo un giardi-no pensile sul quale si apriva un loggiato. Tra icodici della sua biblioteca figurava il “RuraliumCommodorum” del Crescenzi, con precise indi-

1 PASSAMANI B., 1965 - Ville del Trentino, Trento, al quale si rinvia per la bibliografia storica sugli edifici che siandranno via via menzionando. Per motivi di spazio ci si limiterà, nel testo e nelle note successive, a fornire in-dicazioni bibliografiche essenziali, rinviando a successivi approfondimenti (il primo dei quali, incentrato sullascultura nei giardini, è previsto nell’ambito del volume Scultura del Sei e Settecento in Trentino, a c. di BACCHI

A. e GIACOMELLI L., in corso di pubblicazione).2 Ci si riferisce alla tesi di laurea in lettere moderne di ARTINI N., La committenza artistica della famiglia Borto-lazzi, Università degli Studi di Trento, a.a. 1998/99 (relatore dott. BACCHI A.).3 CAMERLENGO L., Grotta del giardino e fontana dei Leoni nel Castello del Buonconsiglio, in Atlante delle grot-te e dei ninfei in Italia, a c. di CAZZATO V. , in corso di pubblicazione.4 MATTIOLI P.A., 1539 - Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento, Venezia, recentemente ripubblicato, con ap-parati critici, da LUPO M. (Il Magno Palazzo annotato, ne Il Castello del Buonconsiglio, a c. di CASTELNUOVO E.,Trento 1995, I, pp. 67-231). Agli altri saggi, di BACCHI A. e LONGO L. in particolare, contenuti nella medesimaopera, si rinvia per approfondimenti sugli artisti coinvolti nella realizzazione della fontana del cortile dei Leoni ecomunque per quanto riguarda la fabbrica clesiana.

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cazioni, in parte desunte dalla letteratura di etàclassica, circa la realizzazione di giardini e an-che, quel che qui più ci interessa, una dettagliatadisamina delle opere idrauliche per l’alimenta-zione delle fontane e l’irrigazione delle coltiva-zioni. Tuttora esistente è il grandioso impianto dicanalizzazione, che convoglia le acque provenientidalla sorgente di Fontanasanta, sulla collina allespalle del complesso. L’eco romana si può facil-mente cogliere, a monte, nell’acquedotto ad ar-cate sovrapposte, ed era probabilmente percepibileanche a valle, nella fontana antistante il castellooggi perduta. Si deve però a Bernardo Clesio, co-struttore fra 1527 e 1536 della nuova, fastosa aladenominata Magno Palazzo con i cicli affrescatidei Dossi, di Romanino e Fogolino, nel clima pre-paratorio del Concilio, la definizione dei giardinila cui estensione spaziale ci è stata tramandata,al di là delle modifiche del terzo quarto del Set-tecento (principe vescovo Francesco Felice Al-berti d’Enno, 1758-1762), della pressoché com-pleta distruzione nel periodo asburgico e del ri-pristino operato da Giuseppe Gerola negli anniVenti del Novecento, contestuale al restauro delcomplesso monumentale e all’allestimento delmuseo.

Certo è perduta ogni traccia, al di là di testi-monianze grafiche e letterarie, della fontana mar-morea sormontata da una statua di Nettuno che sitrovava nel mezzo del settore centrale, quadran-golare e con aiuole quadrate distribuite simmetri-camente attorno ad essa, tra una profusione diagrumi in vaso: una veduta un po’ naïf di fineSettecento5 , poco prima quindi della soppressio-ne del principato vescovile e della successiva tra-sformazione in caserma del Castello, documentala risistemazione settecentesca, con una nuovafontana attorniata da statue alternate a vasi. Lostesso destino è purtroppo toccato alla grotta conautomi da chiare onde bagnata, / Tutta è coper-ta d’herbe, e di verdura / Di quella, ch’in opache,

e fredde valli,/ Nasce fra sassi, e liquidi cristal-li6, vero incunabolo per la sua precocità rispettoagli esempi centroitaliani, che si trovava nella log-gia sul giardino, e di cui ancora potrebbe esservitraccia, insieme ad affreschi forse del Romanino,in quella che, intonacata e divisa con tramezzi,divenne poi la prigione di Cesare Battisti e di al-tri martiri dell’irredentismo. Ad essa, originaria-mente a un piano, era sovrapposta un’uccelliera,e sappiamo che il principe vescovo non badò aspese, purché la fontana (…) sia di tal vagezza etornamento che abbia meritatamente a piaserni7.Più cospicui invece i resti dell’assetto originaledel cortile detto oggi “dei Leoni”, che riprendeubicazione ed elementi del giardino pensile quat-trocentesco, ovvero la loggia sul lato meridiona-le e la fontana, nello stesso luogo di una prece-dente concava colona di marmo8.. Proprio la fon-tana era il fulcro della corte, e si trattava di unelaborato manufatto dal piede di marmo decora-to da quattro delfini intrecciati, con una conca al-la quale si abbeveravano i due leoni e nella qua-le si bagnavano le statue bronzee di Diana con leninfe e di Atteone trasformato in cervo; un basa-mento con quattro mascheroni e quattro putti zam-pillanti reggeva poi una colonna pure bronzea sor-montata dalle figure di Dafne e Apollo. Di tuttociò, a seguito di rimaneggiamenti settecenteschi,quel che ci resta oggi è la conca circolare bac-cellata, in pietra rossa di Trento, la vasca inferio-re ad emiciclo di maggiori dimensioni, pure inpietra rossa e i due leoni, collocati un po’ malde-stramente sullo spigolo della nicchia a grotta, nonattestata dai documenti né dal Mattioli, ma certocostruita secondo le tecniche canoniche del Cin-quecento (base in muratura con blocchi irregola-ri di pietra, alla quale aderiscono tramite una mal-ta grossolana e agganci in filo di rame pezzi ditravertino locale). Il discorso a proposito dellefontane del Buonconsiglio non sarebbe però con-cluso senza menzionare la fontanella, sempre di

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5 Disegno del 1794 di Antonio Daldoss, oggi nelle collezioni museali del castello del Buonconsiglio.6 MATTIOLI, op. cit., p. 220.7 lettera da Vienna, 8 aprile 1533, in AUSSERER C. - GEROLA G., I documenti clesiani del Buonconsiglio, Venezia1924, pp. 94-95.8 PINCIO G.P., 1648 - Annali ovvero Croniche di Trento, Trento (trad.di De gestis Ducum Tridentinorum, Manto-va 1546), rist anast. Bologna 1987, pp. 138-140.

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epoca clesiana e forse opera del lombardo-vero-nese Alessio Longhi, che si trova tuttora nel re-fettorio o revolto avanti la chaneva, nobil fonte/Da guazzar i cristalli, e vasi d’oro9, e costituiscel’esempio più antico e di più alta qualità di unatipologia, la fontanella interna a servizio della sa-la da pranzo, che vedremo ripetersi fino al di-ciannovesimo secolo, elemento posto a conclu-sione di un ideale percorso lungo il quale, in for-me progressivamente più elaborate, si collocanoil lavatoio, la fonte rustica e la fontana del giar-dino, negli esempi più raffinati inserita in un par-terre formale.

Perdute, com’è noto, gran parte delle residen-ze di epoca conciliare, accenneremo almeno alpalazzo delle Albere voluto alla metà del Cin-quecento dal principe vescovo Cristoforo Ma-druzzo quale residenza suburbana10: il restaurodell’edificio, condotto dalla Provincia un venten-nio orsono per adibirlo a sede del museo d’artemoderna, non si è però ancora esteso al terrenocircostante, che in un disegno dell’inizio dell’Ot-tocento11 conserva traccia della peschiera circo-stante, con torrette angolari all’interno dei suoivertici: ancor oggi leggibile è il livello inferioredi quella a sud-ovest, originariamente pare confunzioni di ninfeo e decorata ad affresco con ele-menti fitomorfi. Di un’altra residenza suburbanamadruzziana, la villa della Torricella, al di là de-gli scarsi resti oggi incorporati al convento di SanBernardino, abbiamo un’interessante testimo-nianza grafica nella veduta del Sardagna (1660ca.)12, in cui l’edificio appare incorniciato da ci-pressi, nel mezzo di un ampio giardino tra le cuiaiuole spicca una grande fontana a due vasche so-

vrapposte: dovrebbe trattarsi però di un’opera po-steriore agli anni del Concilio, dato che solo nel1595 un documento attesta che si ottenne licenzadi condur l’acqua con li cannoni (…) alla Torre-sella13. Oltre la metà del Seicento, quando -or-mai estinta la famiglia che per oltre un secoloaveva con alterne fortune retto le sorti del prin-cipato vescovile- la tenuta era passata di mano, ilMariani, colto descrittore del territorio tridenti-no14, testimonia l’esistenza di una Fonte d’Acqualimpida, e fresca condotta di lungi, che sgorgan-do in copia davanti le Case, ne fa saltar’ un’al-tra per i Giardini.

L’interesse dei Madruzzo per l’argomento chequi trattiamo è comunque comprovato dalla rea-lizzazione di un’elaborata fontana marmorea, dicui si sono purtroppo perse le tracce al punto chenon ci è chiaro nemmeno quale ne fosse l’esattaubicazione, chiamata da Cristoforo Madruzzo fon-te Giulia in onore del nuovo papa Giulio III delMonte, che a Trento come cardinale legato ave-va apprezzato questa sorgente: il diarista Massa-rello15 descrive come da vivo e durissimo sassosgorga un rivo di limpidissima e freschissima ac-qua, presso il quale il cardinale trovando il luo-go amenissimo e ristoro dal bever di quell’acqua,spesse fiate usò portarsi a desinare e cenare;smorzando colla freschezza di quella vena gli ar-dentissimi calori estivi. La fonte venne anche can-tata in versi latini dall’umanista trevigiano Mar-cantonio Flaminio.

Il principe vescovo Cristoforo Madruzzo, chein omaggio ai princìpi umanistici manifestò unaparticolare predilezione “antiurbana” e un marca-to interesse per gli edifici di villa anche a Roma,

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9 MATTIOLI, op.cit., p. 220.10 Cfr. da ultimo SARTORI, M., I luoghi madruzziani a Trento e nel principato, in I Madruzzo e l’Europa 1539-1658: i principi vescovi di Trento tra Papato e Impero, cat. mostra Trento a c. di L. DAL PRÀ, Milano- Firenze1993, pp. 521-547, e Il viaggio a Trento di Andrea Palladio, ivi, pp. 513-519.11 Opera di DALDOSS A., datata 1806, nelle collezioni museali del castello del Buonconsiglio.12 Riscoperta nel 1983, la tavola, disegnata a penna su carta, si conserva presso il Tiroler Landesmuseum Ferdi-nandeum di Innsbruck ed è stata pubblicata con un analitico commento da BOCCHI R. in “Studi Trentini di Scien-ze Storiche”, LXII (1983), sez. II, I, pp. 49-84.13 GHETTA F., Inventario dell’archivio del castello Madruzzo 1642, “Studi Trentini di Scienze Storiche”, LXIX(1990), pp. 291-351. Per le residenze dei Madruzzo, si veda in particolare SARTORI M., op.cit.14 MARIANI M.A., 1673 - Trento con il Sacro Concilio ed altri notabili, Augusta-Trento (rist.anast. a c. di CHE-MELLI A., Trento 1989, p. 451).15 Cfr. GIULIANI C., 1884 - Trento al tempo del Concilio. II 1551-1552, “Archivio Trentino”, II, p. 139.

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dove si trasferì attorno al 1560 ponendo mano al-la villa di Soriano nel Cimino- in amichevolecompetizione con l’Orsini a Bomarzo e il Farne-se a Caprarola16,- sarebbe stato, secondo una tra-dizione suggestiva ancora però tutta da verifica-re, il il proprietario della villa poi Melchiori e oraCeschi a Sprè di Povo. L’edificio, indubbiamen-te di origine cinquecentesca, com’è evidente nelprospetto con serliana, che sembra una declina-zione più raccolta, domestica e tarda di quello delpalazzo delle Albere, presenta da un lato un an-drone carrabile con una vasca rettangolare, orna-ta da specchi con semplici decori geometrici, ad-dossata alla parete: quest’ultima, rivestita di roc-ce tufacee a mo’ di grotta, presenta a un esame piùattento degli incavi, quasi delle minuscole nicchie

che avrebbero forse potuto ospitare sculture oframmenti. Nei pressi della villa, addossato allaparete di un edificio rurale sopra una rustica fon-tana a bacino di età posteriore, è una testa di Bac-co di indubbio interesse, in cui il cannello mo-derno copre quello antico, a conferma della me-desima funzione fin dall’origine. L’elemento dimaggior spicco sono però, nel cortile antistantela facciata della villa, due monumentali fontane,collocate simmetricamente entro nicchie a grotta,con Nereide l’una e Tritone l’altra (Fig. 1). Se-condo Passamani si tratterebbe di opere giovani-li del Giongo, precedenti la fontana del Nettunodi piazza Duomo e collocabili quindi attorno al-la metà del Settecento17: questa attribuzione de-ve a mio avviso essere riconsiderata alla luce de-

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Fig. 1 - Fontana con Tritone entro nicchia a Villa Ceschi a Povo

Fig. 2 - Fontana nel parterre della Villa già Vescovilea Villazzano

16 KEHL P., La villa di Papacqua a Soriano nel Cimino, in I Madruzzo e l’Europa, cit, pp. 710-715.17 PASSAMANI B., op. cit., p. 155.

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gli studi in corso sulla scultura barocca in Tren-tino e di nuove acquisizioni critiche sullo sculto-re, in base alle quali non mi sentirei di escludereuna datazione ben precedente, addirittura in am-bito tardomanierista.

Certamente eseguita per i Madruzzo è invecela fontana cinquecentesca inserita dal principiodell’Ottocento nel cortile di villa Ciani Bassetti aLasino e purtroppo recentemente danneggiata dal-la caduta di un albero: la sappiamo infatti acqui-stata dagli avi degli attuali proprietari dal vicinoe allora semidiroccato Castel Madruzzo18. Parti-colarmente notevole è da un lato la nobilitazionedegli specchi con i tondi in pietra di paragone,dall’altro la sua tipologia, che unisce alla basequadrata, che si ritrova anche in semplici fonta-ne di paese, lo stelo centrale con coppa e decoririnascimentali a festone e teste di cherubino.

Parimenti interessante, e inedita, appare unafontana situata nell’ex-villa Vescovile di Villaz-zano, semplice edificio realizzato in età neoclas-sica su preesistenze più antiche, che dagli anniSettanta ospita l’Istituto Sperimentale per l’Asse-stamento Forestale e l’Alpicoltura: un’abbondan-te caduta d’acqua a monte dell’edificio alimentainfatti la fontana al centro del piccolo giardinoall’italiana, reimpiantato all’inizio degli anni No-vanta nel terrazzamento a valle, in aderenza alquale è collocata una fontana a bacino rettango-lare per gli usi domestici. Dopo un recente, op-portuno restauro promosso dall’Istituto, si è ri-collocata al centro del parterre la fontana (Fig.2), negli ultimi anni ubicata altrove: è costituitada un piede svasato in pietra bianca, con scana-lature e foglie d’acanto, su cui s’imposta la con-ca in pietra rosa con baccellature, che regge quat-tro delfini, sostenenti a loro volta una conca piùpiccola, con un gruppo di tre puttini reggenti unelemento superiore oggi illeggibile. Uno stemmamolto abraso, sul fianco della coppa principale, èidentificabile con quello della famiglia patriziadei Ciurletti, che furono proprietari della vicina

villa Belfonte, nota per una fontana oggi perdu-ta. Tra gli esponenti di spicco della famiglia si ri-corda il vescovo Giampaolo, che eresse la vicinachiesetta dedicata alla Madonna di Loreto e funel secondo decennio del Seicento suffraganeo diun patrono delle arti come Paride Lodron, arci-vescovo di Salisburgo19.

Si deve al padre di quest’ultimo, Nicolò, la de-finizione del palazzo suburbano di Nogaredo20,ancor oggi di proprietà della famiglia, nella cuicorte si trova un’altra fontana, con il leone aral-dico dei Lodron e il motto di famiglia inciso sul-lo scudo.

Il Seicento conosce comunque una stasi dopoi fasti del periodo conciliare, anche e soprattuttoa motivo delle difficili condizioni economiche incui versa il principato in seguito alla guerra deiTrent’anni, e nel clima controriformistico la com-mittenza privilegia comunque l’erezione di chie-se e conventi piuttosto che di ville e palazzi: bi-sogna giungere al secolo seguente per incontrarealcuni dei complessi di villa più rilevanti: tra ipiù articolati, frutto di ripetuti interventi nell’ar-co di due secoli, è quello già Salvadori a Gabio-lo di Povo, in cui due edifici padronali, la sem-plice casa grande forse ancora secentesca e la fo-resteria edificata nella prima metà del Settecento,sorgono su terrazze digradanti al centro di un mi-nuscolo borgo patrizio-rurale. Qui è ancora pos-sibile leggere con relativa completezza un siste-ma quasi gerarchico delle acque, dal lavatoio co-mune nella piazzetta centrale alla fontanellaesterna presso la villa piccola, e dal lavatoio pri-vato della villa, con un interessante affresco ot-tocentesco di gusto nazareno purtroppo in pessi-me condizioni, alla fontanella interna, con proto-me leonina, nel salone principale dell’edificio.Nel giardinetto della foresteria è poi da segnala-re la fontanella ottocentesca, opera del Malfatti,del putto con l’oca, mentre nel rifatto giardinodella villa grande è stato recentemente inserito, a

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18 Comunicazione orale del dott. CIANI BASSETTI F., agosto 1999.19 COVI C., 1988 - Il Santuario della Grotta di Villazzano e i conti Ciurletti di Belfonte, Trento.20 La data è riportata nell’iscrizione sopra il portale d’ingresso della residenza, che attesta la paternità dell’inter-vento (“NICOLAUS .P. COMES. LODRONI.DNI. CASTRI. NOVI. PARIS. FILIUS.1593”). Per notizie sulla fa-miglia, cfr. il recente catalogo della mostra itinerante Sulle tracce dei Lodron, Tione –Trento 1999.

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filo del terreno, un rosone in pietra rosa a mo’ difontana: in questa operazione è venuta alla luceun’antica pavimentazione in pietra, forse resto diuna precedente fonte. Nei pressi è una fontanellaa coppa baccellata, declinazione di una tipologiatradizionale –simile all’acquasantiera- che perdu-ra nei secoli e che qui collocherei tra fine Sei-cento e primo Settecento per la presenza delle duevolute del basamento e del mascherone centrale,che richiama quelli del palazzo Trautmannsdorf,appartenuto poi proprio ai Salvadori.

L’elemento di maggior spicco era comunqueuna fontana settecentesca, attribuita a FrancescoAntonio Giongo, che si scorge appena in una ve-duta ottocentesca del complesso, opera di Basilio

Armani21. Vi si riconoscono anche una fontanarustica in primo piano e la grotta artificiale, an-cor oggi esistente nel terrazzamento inferiore, cheera alimentata appunto da quest’elaborato manu-fatto in pietra bianca, composto da una vasca po-lilobata interrata con al centro un fusto lavoratocon cornici, volute e specchiature reggente un’am-pia coppa baccellata, sulla quale si elevava unostelo coronato da due delfini e da un cigno22. Del-la fontana originale -al di là dei frammenti offer-ti negli anni Venti dal barone Salvadori al lapi-dario del castello del Buonconsiglio- rimane og-gi solo la bella vasca inferiore, al centro dellaquale venne trasportato un importante stelo dellaprima metà del Cinquecento (Fig. 3), provenien-te dal castello di Fornace dei Roccabruna, fami-glia la cui eredità passò in parte ai Salvadori. Ladatazione dell’importante manufatto, in pietratrentina bianca, rosa e rossa e in eccellente statograzie a un recentissimo restauro, è possibile -ol-tre che in base all’analisi stilistica dei fitti moti-vi decorativi che la adornano - grazie alla pre-senza degli stemmi Roccabruna e Caldes retti daiputti a figura intera della parte superiore dello ste-lo: il monumento funebre di Baldessarre Rocca-bruna e di Caterina Caldes, nella pieve di Civez-zano, venne infatti commissionato dai loro figlinel 1564.

Non si può tacere la presenza, nel vasto e sce-nografico complesso monumentale della villa Bor-tolazzi all’Acquaviva, di un piccolo padiglionesettecentesco nel giardino, decorato internamen-te a trompe l’oeil, costruito nel punto in cui sgor-ga la “nobil Sorgente, ò Scaturiggine dell’Acquaviva”23 che dà il nome alla località. All’internodella costruzione, un bacile alimentato dalla fon-te dava refrigerio nella calura estiva.

Alla metà del Settecento sono databili due del-le ville architettonicamente più rilevanti della col-lina di Trento, la Mersi a Villazzano e la Saracinia Povo. Nel caso di villa Mersi, una decina d’an-ni fa passata al comune di Trento e sottoposta adun impegnativo restauro, si tratta della ricostru-zione, scenografica per la posizione eminente e il

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21 Riprodotta da PASSAMANI B., op. cit., p. 185.22 MAYR A., 1989 - Le fontane di Trento, Trento, ne riproduce (p. 20) un disegno di Basilio Armani datato 1928.23 MARIANI M.A., op. cit., p. 470.

Fig. 3 - Fontana con vasca settecentesca e stelo cinque-centesco nella Villa già Salvadori a Gabbiolo di Povo

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frontone curvilineo, di una villa distrutta da un in-cendio nella prima metà del Seicento. In asse conil salone centrale, nel mezzo di un terrazzamentoadorno di statue è una semplice fontana circolarecon alto zampillo, già visibile in un’incisione del-la fine del Settecento e in alcuni gradevoli acque-relli di primo Novecento24 (Fig. 4). Anche nel li-vello inferiore del giardino, grazie all’abbondan-za d’acqua tuttora esistente (si tratta di antichidiritti d’acqua che si sono conservati nei secoli),compare sullo stesso asse un mascherone con va-sca sottostante, mentre di lato alla villa un inter-vento ottocentesco ha creato come spesso accade-va una zona “all’inglese”, comprendente ancheuna vasca con roccaglie in cui cade l’acqua pro-veniente dal monte. Mi scuso di non mostrare leimmagini ma i lavori di restauro ancora in corsonon consentono riprese fotografiche soddisfacen-ti. Nel caso di villa Mersi abbiamo pure, entro unanicchia nel salone principale, una fontana di no-tevoli dimensioni ed impegno formale, raffiguranteDiana cacciatrice con la presenza del riccio, ani-male araldico dei Mersi. Un’iscrizione in bassopermette di datarla al 1674.

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Fig. 4 - Scorcio del giardino di Villa Mersi a Villazzano

Fig. 5 - Villa Saracini a Povo

24 Coll. privata de Mersi, in copia al Servizio Restauri del Comune di Trento (grazie alla cortesia dell’arch. Tes-sarin).

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Il complesso Saracini (Fig. 5) è databile al1753 grazie a una lapide documentaria tuttora esi-stente, ed è ancor oggi di proprietà della famigliache lo costruì. Anche in questo caso, pur sorgen-do la villa su un pianoro, si è ottenuto un note-vole effetto scenografico: si tratta sostanzialmen-te di due bassi fabbricati simmetrici, che essendoperpendicolari al corpo centrale eminente creanoun cortile d’onore, schermato da un capricciosomuro a volute. Allo scenario naturale incontami-nato (la villa si staglia sul fondale del monte Ca-lisio ed è circondata da un’ampia tenuta agrico-la) si aggiunge un corredo scultoreo di notevolequalità, con putti, urne decorative con fiamme,statue delle stagioni. Si ripete poi la “gerarchia”delle fontane, con fontana-lavatoio rustica nelleadiacenze, significativamente duplicata per ri-marcare la distinzione tra la “fontana dei manen-ti” ovvero dei contadini e quella “dei signori”,anche qui mascheroni simmetrici con vasca sot-tostante nel prospetto principale, e fontanella in-terna a servizio della sala da pranzo in un picco-lo vano di passaggio, suggestivamente dipinto “agrotta” ormai in pieno Ottocento, forse in prossi-mità del soggiorno in villa dell’arciduca Carlo

Ludovico, luogotenente del Tirolo, e della con-sorte Margherita di Sassonia, nel 185825. Anchein questa villa venne realizzato un giardino otto-centesco: a valle con dislivelli e alberi d’alto fu-sto, tra i quali compariva anche, sul fianco di unacollinetta, una minuscola grotta; a monte inveceun parterre nel gusto dell’epoca, con ampie aiuo-le curvilinee a prato, piante esotiche come palmee banani: al centro una fontanella circolare conroccaglie, che ancora esiste ma non è più ali-mentata.

Siamo ormai in epoca neoclassica con la pal-ladiana villa di Fontanasanta, eretta da Sebastia-no de Boni per i conti Consolati nel 1815 in un’a-mena valletta, dove scaturisce la fonte che comeabbiamo visto alimenta il castello del Buoncon-siglio. Un’ampia terrazza si apre a sud sul sotto-stante giardino all’italiana, al centro del quale èuna fontana ottagonale, mentre sullo sfondo si de-linea la città.

Assai meno nota è invece Camparta, che fuuna delle villeggiature di Paolo Oss Mazzurana,l’industriale, podestà di Trento nell’ultimo quar-to dell’Ottocento, che contribuì decisivamente al-lo sviluppo della città e del suo territorio (tra l’al-

25 La villa Saracini prescelta a soggiorno nel MDCCCLVIII dalle loro Altezze II.RR. Il Serenissimo Arciduca Car-lo Lodovico sposo di Margherita Serenissima Principessa reale di Sassonia, Trento 1858.

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Fig. 6 - Piscina nella tenutagià Oss Mazzurana a Cam-parta di Meano

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tro fu il primo a intuire il valore delle risorse ener-getiche dovute all’acqua, e usando la caduta deltorrente Fersina fece sì che Trento nel 1890 fos-se l’unica città della monarchia austroungarica aessere dotata di impianto elettrico per uso pub-blico e privato)26. Purtroppo una serie di passag-gi di proprietà attorno alla metà del secolo appe-na concluso ha portato al declino del complesso,con la distruzione dapprima del patrimonio arbo-reo del vasto parco e poi addirittura dell’edificiopadronale a causa di un incendio. Tra i singoliepisodi che sono sopravvissuti, mantenuti con cu-ra dalla comunità che vi ha sede, sono la chie-setta, la fattoria, la scuderia e una notevolissimapiscina (Fig. 6), per alimentare la quale venne co-struito un apposito acquedotto. Di forma ellittica,è scavata nella viva roccia, con due costruzioni li-gnee sul tipo dello châlet svizzero, molto in vo-ga nella seconda metà dell’Ottocento, con fun-zione di ingresso e spogliatoio. La posizione ele-vata consente, al di sopra del muro di cinta chescherma la vegetazione circostante, un eccezio-nale belvedere sulla Paganella e le cime più altedella valle dell’Adige.

Giungiamo infine ai giorni nostri con il giar-dino di villa Salvotti sul colle di San Giorgio al-la Vela: l’edificio, come oggi si presenta, è la ri-strutturazione ottocentesca di uno stabile preesi-stente, con rifacimenti e aggiunte del secondodopoguerra. Il giardino, in particolare, è stato og-getto a partire dagli anni Cinquanta di moltepliciinterventi da parte dell’attuale proprietario, l’ar-

chitetto Gian Leo Salvotti, tendenti a conferire alcomplesso, incorniciato di cipressi e di altri sem-preverdi, un’aura di classicità. In questa chiavesono da leggere l’inserimento di un ricco corre-do lapideo, con manufatti novecenteschi in pietradi Vicenza ma anche con alcune statue e vasi del-lo scultore trentino Andrea Malfatti, e la creazio-ne di direttrici assiali e di terrazzamenti sceno-grafici permessi dalla particolare conformazionedel sito. In tale contesto l’acqua è naturalmente unelemento irrinunciabile, ed ecco la divisione indue della classica fontana circolare antistante lafacciata principale della villa, simile a quella divilla Mersi, per creare due simmetriche fontanesemicircolari alle estremità, alimentate dai sopra-stanti mascheroni, oppure l’inserimento di una va-sca allungata, citazione delle antiche peschiere,in uno dei terrazzamenti digradanti sul versantemeridionale del colle, interventi che apparentanoquesta villa trentina agli esempi centroitaliani, nelquadro della ritrovata fortuna degli impianti for-mali nel Novecento.

Alessandro Pasetti Medin, nato a Roma nel 1961, è sto-rico dell’arte presso il Servizio Beni Culturali della Pro-vincia Autonoma di Trento. Si è formato nelle Univer-sità di Padova, Berkeley e Bologna. Ha collaboratocon la Soprintendenza dei Beni Storici e Artistici delVeneto, con l’Istituto Universitario di Architettura diVenezia, con il Politecnico di Milano e con la Fonda-zione Benetton Studi Ricerche di Treviso. Le sue ricer-che riguardano principalmente argomenti di storia del-l’architettura, con particolare attenzione per i giardinie la decorazione.

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26 RICCADONNA G., - Paolo Oss Mazzurana: il progresso al potere, Trento 1996.

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MICHAEL RIDSDALE

Studley Royal e Fountains Abbey Water Garden, il paesaggio del XVIII secolo

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Studley Royal e Fountains Abbey sono un luo-go d’incomparabile bellezza che si trova nel cuo-re dello Yorkshire ed è stato designato World he-ritage site dall’UNESCO nel 1987. Esso è atutt’oggi uno fra i parchi di maggiore fascino fraquelli progettati nel XVIII secolo.

È questo un mondo di continue sorprese emutevoli emozioni. Per apprezzare la genialitàe l’inventiva del suo autore è necessario innan-zi tutto comprenderne lo spirito: sicuramentequesto paesaggio è opera del genio di John Ai-slabie e successivamente, anche se in misura mi-nore, di suo figlio William; essi riuscirono in-dubbiamente a cogliere lo spirito e l’atmosfera

dell’epoca quando decisero di creare questo par-co, trasferendo in lui tutte le caratteristiche so-ciali e politiche che distinguevano il XVIII se-colo.

Nato dal desiderio di incarnare lo spirito dinazionalismo e da un ancor più profondo aneli-to di personale soddisfazione, questo mosaicoche ci è stato trasmesso racchiude in sé il tem-po e lo spazio.

Nella progettazione ed esecuzione di parchi egiardini “più ovvi” e meno originali utilizziamoforme e strutture che si annunciano nel modopiù grandioso possibile, siano esse artificiali onaturali.

Ma la nostra storia non inizia con la più ov-via e appariscente delle strutture, Fountains Ab-bey, bensì con il più dolce paesaggio della cam-pagna circostante. Qui inizia il nostro viaggio al-la scoperta del parco.

Il verde paesaggio della campagna inglese ècome il preludio ad un’ouverture. Attraversiamoil paesaggio, di recente curato, della campagnainglese del 18° secolo e giungiamo ad un luogodi bellezza e fascino pastorale. Siepi, pascoli edalberi sapientemente collocati abbelliscono il pae-saggio.

“Unico” è un aggettivo spesso abusato ma quia Studley si addice benissimo alla descrizione del-la scena. Abbiamo visto e vedremo una serie dicomposizioni: come avviene per tutte le grandiopere d’arte ci si sente attratti in modo quasi su-bliminale dal paesaggio. A Studley si è osserva-tore e nel frattempo parte integrante del paesag-gio.

Come vediamo in questi dipinti di Studley del18° secolo, che ritraggono il paesaggio verso lacittà di Ripso, le scene pastorali di là dei margi-ni del parco disegnano i confini della scena e noidiveniamo parte quasi inconsapevole dell’effettodesiderato dall’autore: una scena, non nascosta da

Fig. 1 - Le rovine della cattedrale cistercense di Foun-tains Abbey, Yorkshire (Inghilterra)

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Figg. 2, 3, 4 - Vedute invernali di Fountains Abbey e Studley

Royal Water Garden

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rilievi o fossati, che ammiriamo dalla carrozzache ci ha trasportato qui.

Quanto a lungo può essere sostenuto l’effettodesiderato dall’autore? Questo paesaggio, cometutti i paesaggi di campagna dell’epoca, ha rag-giunto e superato lo stato di pieno sviluppo e an-che con le migliori intenzioni esso non è più so-stenibile. E non lo dovrebbe essere, ma perché?Perché è un paesaggio che non ha mai raggiuntoe tanto meno superato il suo pieno sviluppo: co-me vedremo più tardi, infatti, l’idea di pieno svi-luppo o del suo superamento sono concetti fasul-li ottenuti artificialmente ed intenzionalmente.Forse gli autori ricercavano un paesaggio idealefresco e vigoroso.

Usciamo dal parco e scendiamo lungo gli om-breggiati viali alberati che ci conducono ad unmondo d’incommensurabili piaceri dello spirito.

Nascosto alla vista di Studley Royal da dolcideclini, questo luogo si presenta in un crescendodi forme e strutture. Il laghetto di forma circola-re prelude e accenna non solo a quanto ci aspet-ta innanzi ma agisce da filo conduttore tra parcoe giardino. Queste aree non solo hanno una pro-pria particolare identità ma sono anche in gradodi agire da filo conduttore. Questo è un aspettomolto importante di Studley: non lo dovremmomai dimenticarcene in particolare quando ci oc-cupiamo di un restauro o ritocco del paesaggioche richiederà per molto tempo il nostro inter-vento.

Prima di procedere verso il giardino principa-le visitiamo un luogo dimenticato nella storia diStudley, che è divenuto una gemma perduta: lavalle dei 7 Ponti. Si trova dopo la cascata allosbocco del lago principale e ci riporta indietro neltempo, ad un altro luogo ed un altro continente.Immaginate, se potete, le acque impetuose e avolte vorticose di fiumi che scorrono in letti dipietra calcarea nelle vallate cinesi del XVI e XVIIsecolo, con la loro atmosfera unica, selvaggia e in-contaminata, interrotta a tratti dall’eco del verna-colo locale. Spingetevi ad immaginare che questopaesaggio possa essere trasportato e riprodottonella campagna inglese. Devo ammettere che intutti i miei viaggi non ho mai trovato un giardi-no che riesca a riprodurre così fedelmente lo spi-rito dell’oriente come Studley. Nella loro anticaforma templi e pagode, costruiti su terrazzamen-

ti in pietra calcarea e incorniciati da conifere svi-luppate ad angolo acuto, riproducevano fedel-mente gli originali con finezza di dettagli, conponti in legno stilizzati in stile cinese, disposti adarte per attraversare le acque turbolente.

Come per altri stili paesaggistici del passato,il cambiamento di gusto e delle mode segnò lafine dello stile orientaleggiante, che fu sostituitoda scenari pittorici e sublimi. Ci addentriamo nel-la valletta e notiamo come l’autore abbia sapien-temente utilizzato le caratteristiche naturali del-l’ambiente. Antichi alberi, versanti rocciosi fra-stagliati, corsi d’acqua indomiti e turbinosi sonostati addomesticati, togliendo i ponti in legno chesono stati sostituiti da ponti di pietra calcarea re-perita in loco.

Ed è qui che iniziamo a cogliere la fragilitàdella composizione. Come per i dipinti ad olioove l’usura del tempo crea fessurazioni e crepe,gli elementi e le caratteristiche originarie del pae-saggio sono andate perdute o danneggiate moltorapidamente.

Una volta un mio illustre collega affermò chequesto corso d’acqua è una “caratteristica morta”ma credo non vi sia nulla di più lontano dal ve-ro. I corsi d’acqua sono entità viventi, che re-spirano e sono in grado di operare immense di-struzioni nell’arco di un secondo e anche nel cor-so di lunghi periodi. In un paesaggio costruito,ove il corso naturale dei fiumi è stato modificatooltre i limiti di sicurezza non bisogna mai di-menticare la natura “vivente” del fiume: chi com-pie questo errore lo fa a proprio rischio e perico-lo e potrà pentirsene amaramente!

Ove sono operati profondi cambiamenti del-l’ambiente naturale nel corso di un intervento direstauro, come avvenuto a Studley, gli interventiper ripristinare le caratteristiche naturali origina-rie sono forse più impegnativi e radicali del re-stauro stesso. Ci si deve opporre non solo al pro-cesso di usura e deterioramento del tempo e de-gli agenti atmosferici ma anche contro l’effettopotenziale di interventi estetici e migliorie ap-portate. Ogni intervento deve essere valutato perdeterminare in modo preciso se si aggiunge o sot-trae qualcosa al paesaggio originario.

Procediamo ora nel giardino inferiore: qui unpaesaggio del tardo XVII secolo, con le sue origi-narie forme e strutture, è stato costretto all’interno

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di strutture lineari, rappresentate dalla sponda delfiume e dai confini tra zone coltivate e prati.

Notiamo anche in questo caso come l’autoreabbia utilizzato gli elementi topografici per otte-nere effetti grandiosi. Gli anfiteatri naturali sonosottolineati da forme e paesaggio. L’effettoprofondità è esaltato dalla presenza di piccolestrutture, templi in miniatura collocati sapiente-mente per abbellire la composizione e migliorarela prospettiva dalle due opposte sponde del fiume.

Il paesaggio è nel contempo grandioso, perso-nale ed intimo. L’effetto sull’osservatore è note-vole, tanto diverse sono le emozioni percepite nel-l’attraversare questo paesaggio. Le caratteristi-che particolari dei diversi ambienti generanoumori e sensazioni a volte contrastanti fra loro. I

contrasti tra luce ed oscurità, fresco e tepore, mo-vimento e calma, consistenze e colori, si insinua-no nel paesaggio e ci sorprendono.

La teoria ci insegna che questi effetti possonoessere ottenuti ma nella pratica gli interventi perconservare, restaurare o ricreare possono richie-dere scelta molto radicali, costose e a volte anchedistruttive. Il superamento della fase di pieno svi-luppo, ove indesiderato, può essere nemico di co-loro che si occupano della conservazione di me-ravigliosi paesaggi come questo.

Il nostro viaggio procede ora verso quello cheera originariamente il Grand finale, la più impor-tante composizione in assoluto. Ancora una vol-ta l’autore consente agli osservatori non solo diammirare la sua composizione ma li invita anchea divenirne parte integrante.

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Fig. 5 - Rovine della cattedra-le di Fountains Abbey con ilFiume Skell che scorre nelleimmediate vicinanze (foto F. Fronza)

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Fig. 6 - Rovine della cattedrale di Fountains Abbey, con navata centrale e torre (foto F. Fronza)

Fig. 7 - Parterre d’acqua e Temple of piety di Studley Royal, Yorkshire (Inghilterra) (foto F. Fronza)

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Siamo chiamati a compiere un viaggio nellaspazio ed attraverso il tempo. Siamo alla fine delXVIII secolo. I vincoli degli anni precedenti sonoalle nostre spalle ed ora la libertà di intervenire emanipolare la natura per migliorarla è portata ver-so nuovi orizzonti. Non vi sono confini fra l’ele-mento naturale e quello organizzato: la composi-zione li racchiude entrambi in un tutt’uno.

Ma anche in questo caso si ripresentano i pro-blemi del passato. Gli interventi costruttivi su cor-si d’acqua turbolenti hanno effetti ai fini della re-sponsabilità civile, per le possibili alluvioni e laformazione di sedimenti che hanno effetti di-struttivi, con il rischio non solo di catastrofi na-turali ma anche di rovinare gli effetti paesaggi-stici che si era desiderato ottenere.

Il paesaggio del tardo 18° secolo inganna lamente e vi impedisce di capire se siete un geor-giano del 1780, un cistercense del 1300 o un tu-

rista del ventunesimo secolo. Le possibilità di pro-vare queste emozioni così uniche e contrastanti,nel tempo e nello spazio, non sono state ancorapienamente colte e sfruttate.

L’unica costante che ci accompagna nel nostroviaggio è l’acqua: controllare e comprendere que-sto elemento vitale è fondamentale per il buonesito del nostro lavoro. E’ una sfida che non dob-biamo prendere con leggerezza poiché essa im-plica una responsabilità enorme; conservare unpaesaggio per un altro millennio è una sfida mol-to impegnativa ma nel contempo emozionante edovremmo tutti tentare di preservare questi luo-ghi unici, per il presente e per le generazioni fu-ture.

Michael Ridsdale è curatore di Fountains Abbey andStudley Royal Water Garden

Fig. 8 - Canale e cascatella a Studley Royal, Yorkshire (Inghilterra) (foto F. Fronza)

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MARCO BATTAGGIA

Thames Landscape Strategy

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Il tratto del Tamigi che scorre attraverso Lon-dra è diventato, con il passare del tempo, il ful-cro su cui si incentrano sia la preoccupazione sial'ottimismo nei confronti della città. Il fiume èstato identificato come "una delle risorse più im-portanti, ma anche più sottovalutate, della Capi-tale" e come "il più importante elemento natura-le e ambientale nell'architettura urbana caratteri-stica di Londra". Thames Landscape Strategy fuconcepita nel 1991, in occasione della ThamesConnection Exhibition voluta dalla Royal FineArt Commission. Le idee riguardanti la rete dilinee visive storiche attraverso Londra suscitaro-no la curiosità di alcuni gruppi locali, e coinci-sero con una preoccupazione crescente rivolta atrovare un modo per tramandare nei piani per ilfuturo il carattere particolare del paesaggio. Ciòè particolarmente vero se si considerano luoghicome Kingston, dove quasi il quaranta per cen-to del lungofiume sta subendo trasformazioni, ecome Brentford, dove l'intera riva industriale ècaduta in disuso ed è oggetto di studi per il suorecupero.

Alexander Pope, uno dei poeti, pensatori e teo-rici inglesi più illustri, vissuto lungo le sponde diquesto tratto del Tamigi, fu l’ispiratore della stra-tegia. Tra i suoi contemporanei egli ebbe proba-bilmente l’idea più chiara di paesaggio, e insiemea Addison, Thomson e Turner, ebbe un’enormeinfluenza sul concetto di "bellezza naturale", unaparticolare ossessione inglese. Nella sua quartaEpistola a Lord Burlington, Pope scrive “tutto sideve adattare al Genius e all’Uso del Luogo e leBellezze non devono essere forzate in esso, ma ri-sultare da questo”.

Il pensiero di Pope delinea tre principi fonda-mentali per la Thames Landscape Strategy: primoper pianificare e progettare il paesaggio, è neces-sario comprendere il genius loci, come caratterepeculiare e destinazione d'uso del luogo, in rap-

porto al modo in cui le persone percepiscono, vi-vono, lavorano e giocano nel paesaggio d’oggi;secondo, poiché quello spirito del luogo risiedenelle persone che abitano, usufruiscono e perce-piscono il paesaggio, c’è bisogno di lavorare conil più largo numero di consensi di queste perso-ne; da ultimo, per incoraggiare la bellezza chescaturisce dal luogo, qualsiasi strategia del pae-saggio deve essere impostata in modo tale chepossa essere strumento sia di controllo che di sti-molo e ispirazione.

Nel 1992 la Royal Fine Art Commission inconcerto con la Countryside Commission e l’En-glish Heritage commissionarono uno studio di fat-tibilità. Vennero consultati i maggiori proprietarie gruppi locali. I risultati di questo studio permi-sero di prendere atto di alcune peculiarità e diprocedere allo studio della strategia del paesaggio.

Il fiume assume caratteri diversi attraversandoLondra. Da Hampton a Kew il fiume scorre at-traverso uno dei paesaggi metropolitani più sug-gestivi del mondo. Si tratta di un territorio di pa-lazzi, ville, spazi aperti e attività lavorative che sisvolgono sulle banchine. Tra il ponte di Kew equello di Chelsea il paesaggio rimane verdeg-giante, ma gradualmente si fa più urbano. Il ve-ro centro della città si colloca tra il ponte di Chel-sea e il Tower Bridge, poi il fiume scorre attra-verso la grande area dei Docklands fino alla TidalBarrier. Oltre la barriera, il paesaggio si trasfor-ma in una combinazione di paludi dell’estuario edi complessi industriali dell’ est di Londra.

La Strategia Paesaggistica del Tamigi è parti-ta dalla sezione occidentale. La particolarità diquesti primi venti chilometri del Tamigi londine-se è dovuta ad una combinazione di fattori. Il fiu-me compie degli ampi meandri, costretto a de-viare il suo corso verso nord dalla collina di Ri-chmond, una grande massa di argilla. Questasituazione geomorfologica fu strategica e ideale

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per l’insediamento di dimore reali e ville di “vil-leggiatura”, lontano dalla confusione e dai fumilondinesi, trovandosi, oltretutto, sopravento ri-spetto ai venti dominanti provenienti da sud-ove-st. È interessante notare che l'unica altra parte diLondra dove una collina ed un'ansa si trovano vi-cine è Greenwich.

I palazzi reali di Shene (ora Richmond),Hampton Court e Kew furono edificati lungo le

rive del Tamigi sia come luoghi di piacere, maanche come rifugio dalla peste, facilmente colle-gati via acqua a Westminster. Hampton Court eb-be il suo massimo splendore nel diciottesimo se-colo grazie all'asma di Guglielmo III d’Orange,che fu costretto a spostarsi a monte, non potendosopportare l’aria insalubre di Greenwich e la puz-za di Londra. Il Palazzo di Richmond, la cui co-struzione risale al XIV sec., fu più volte rima-

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Fig. 1 - Estratto da “Thames Landscape Strategy”

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neggiato e con la morte del principe Enrico, figliodi Giacomo I, nel 1612, i lavori di ricostruzionevennero interrotti e mai portai a termine. Oggi ri-mangono alcuni frammenti dell’impianto origi-nale. Il Palazzo di Kew, che ora si trova all’ in-terno dell’omonimo giardino botanico, costruitonel 1632, fu adottato come residenza reale nelXVIII dalla regina Carolina.

Questo tratto del fiume è anche un paesaggio"aristocratico" decorato com'è dalle ville dei cor-tigiani. Syon House del duca di Northumberlande Ham House sono tra le prime ad essere state co-struite. Più tardi, nel settecento, secondo il pen-siero e la moda del tempo, il Tamigi si popolò diville in stile più o meno palladiano. Pope’s Villadi cui rimane solamente la grotta sottostante fufatta costruire da Alexander Pope uno dei mag-giori scrittori e pensatori del settecento che, con lesue idee, pose le basi dell’ “English LandscapeMovement”. Marble Hill dimora di HenriettaHoward, amante di Giorgio II, si trova aTwickenham. Chiswick House fu voluta da LordBurlington nel 1725 ispirandosi a villa Capra (LaRotonda). La villa di Garrick, attore di teatro, conil suo Tempietto intitolato a Shakespeare si affac-cia sul Tamigi ad Hampton. Ed infine StrawberryHill fu costruita da Horace Walpole in stile goti-cheggiante verso la fine del secolo. Questo trattofu il fulcro del mecenatismo reale ed aristocraticodurante il XVII e XVIII secolo e diventò la culladel Movimento Paesaggista Inglese.

Strettamente intessuto a quest'elegante pae-saggio arcadico, costituito da parchi e ville è sem-pre esistito il paesaggio vibrante del lavoro uma-no, in armonia al primo e la suo servizio. Pope erafiancheggiato da concerie. Questo paesaggio in-dustriale contribuisce alla formazione del carat-tere del fiume tanto quanto le ville: questi dueaspetti sono stati sempre giustapposti. Ironica-mente è il futuro dei cantieri navali ad essere mi-nacciato più di quello dei palazzi. Il carattere delpaesaggio è determinato da questa contrapposi-zione di utilizzi e dalla mescolanza degli stili sto-rici e delle memorie. Guardando dal fiume è an-cora possibile individuare la configurazione del-le diverse comunità: ad esempio i villaggi diHampton e Isleworth. Questo fatto permette allagente di acquisire identità locale su una scala suf-ficientemente piccola da permetter loro di perce-

pire un senso di appartenenza e la possibilità diagire efficacemente sull'ambiente che gli è vici-no. Uno dei principali obiettivi della ThamesLandscape Strategy è quello analizzare e spiega-re la complessità dei molteplici caratteri del pae-saggio. Come è fondamentale capire cosa rende lesingole parti del paesaggio particolari e analiz-zarne le differenze, così è determinante apprez-zare i vincoli che tengono unita la città.

Il vincolo più importante è il fiume stesso.Seppure il Tamigi scorra nel bel mezzo di Lon-dra, spesso costituisce la barriera fisica e ammi-nistrativa anziché l’elemento di collegamento.Reinserire il ruolo centrale del fiume è stato unodei più importanti obiettivi del Thames Landsca-pe Strategy. Ci sono quattro tipi particolari di col-legamenti visivi che attraversano i confini dellediverse comunità e dei distretti amministrativi. Ilprimo è la rete di vedute formali che risalgonoper lo meno al XVII secolo. Il paesaggio delleville ha lasciato in eredità centinaia di viali che at-traversano la pianura fluviale e collegano le gran-di case, le chiese e i villaggi. Uno dei più evi-denti è il tridente che si irradia da Hampton Court,progettato in modo da risultare allineato con latorre campanaria della chiesa di All Saints’ aKingston. Questa veduta assiale, se non fosse sta-ta segnalata e protetta accuratamente, probabil-mente sarebbe scomparsa. Il secondo tipo di col-legamento ha a che fare con la comunicazione. Ilmonticello di Enrico VIII, nei pressi della scarpatadi Richmond Park, originariamente un tumulo fu-nerario, venne usato dal Re per essere avvisato,dalla Torre di Londra, della decapitazione di An-na Bolena, che l'avrebbe reso libero di andarsenea sposare Jane Seymour. Il terzo collegamento hale sue origini nelle osservazioni astronomiche co-me quelle attorno all’Osservatorio del Re a Kew.Nel 1769 Chambers progettò un osservatorio perGiorgio III per osservare il passaggio di Venere.

Le vedute panoramiche costituiscono il quar-to collegamento. hanno contribuito alla distribu-zione dello sviluppo urbano e residenziale: quel-la da Richmond Terrace, vero e proprio fulcrodello sviluppo del villaggio di Richmond, fu pro-tetta con Atto del Parlamento nel 1902 in rispo-sta alle “indignazioni locali”, preoccupate dallaprospettiva della costruzione di nuovi quartieriedilizi nella vallata. Il suggestivo panorama da

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Richmond Hill è stato sempre apprezzato ancheda pittori come Knyff nel settecento, Turner nell’ottocento e da artisti contemporanei come Koko-schka. Fu questa veduta panoramica che ispirò laregina Carolina a progettare La Serpentina a Hy-de Park e William Byrd a fondare la città di Ri-chmond sulla curva del fiume James in Virginia.Canaletto, pure, nella sua permanenza inglese di-pinse questo paesaggio.

L’ironia della sorte ha voluto che quel pae-saggio, che fu progettato per l’uso esclusivo diuna piccola élite, diventasse ora la parte più ac-cessibile della capitale. I parchi, un tempo de-sinati alla caccia al cervo e alle feste di corte,costituiscono ora una singolare rete urbana dispazi pubblici collegati dal fiume e dalle sue alzaie.

Fondamentale per la comprensione del pae-saggio nella sua integrità è la valutazione degliusi di questa rete fluviale e delle sue sponde. Ilfiume, così spesso confine amministrativo e li-mite periferico delle politiche ambientali, è inrealtà il punto focale del paesaggio geomorfolo-gico, ecologico, culturale e visivo. Il Tamigi nonsolo è il fulcro della capitale, ma è anche un cor-ridoio utile alla natura, alla popolazione, alle at-tività sportive ed al trasporto. È un parco linea-re che attraversa la città rendendo possibile laconvivenza dell’uomo con la natura nella metro-poli. Tra Hampton e Kew ci sono più spazi aper-ti che in tutto il resto di Londra. Uno dei grandivantaggi dell'uso del fiume come area di svagoè la compatibilità con il rispetto della flora e del-la fauna selvatica lungo il fiume La varietà dihabitat in quest’area non è paragonabile a quel-la di nessun altra parte della metropoli. Secoli dipastorizia senza concimi chimici o diserbanti neiparchi reali e a Syon hanno permesso a pianterare come la scilla autunnale di crescere in ab-bondanza in città più che in campagna. Questosottile equilibrio tra uomo e natura è il risultatodi centinaia d’anni di sapiente gestione che vamantenuta e incentivata. La natura, così varia al-l’interno della metropoli, costituisce un elemen-to educativo prezioso di facile accesso. Il turi-smo e l'educazione, nelle loro forme migliori, po-trebbero dare un notevole contributo all'economialocale ed alla vita della zona.

La Thames Landscape Strategy è stata conce-

pita come un aiuto ad informare, coordinare glienti nazionali e le autorità locali e, nello stessomomento, per fornire una guida e una visione delterritorio accessibili ai residenti che sono respon-sabili in ultima istanza del paesaggio in cui vi-vono. Non si è voluto con questo ridurre la Stra-tegia ad uno strumento di protezione e conserva-zione del territorio, bensì si è cercato di creareuna struttura nella quale inserire nuovi progetti.Commissionata e diretta dal “Thames LandscapeSteering Group” nel 1993, è composta da rap-presentanti dei maggiori enti britannici e dai co-muni di Elmbridge, Richmond Kingston e Houn-slow. La Strategia è stata co-finanziata dai prin-cipali enti nazionali responsabili per l’ambiente:Countryside Commission (ora CountrysideAgency), English Heritage, Royal Fine Art Com-mission Trust, English Nature, l’ex National Ri-vers Authority, ora Environment Agency e da con-tribuenti privati.

Dopo un lungo processo di consultazioni a tut-ti i livelli, dagli enti nazionali alle associazionilocali si è arrivati alla stesura del documento fi-nale. La strategia ha avuto lo scopo sia di deter-minare un complesso di politiche ambientali, siadi proporre singoli progetti che potessero essereapprovati dai Comuni e dai singoli proprietari. Inprimo luogo, si è considerato il corridoio del Ta-migi come una struttura paesaggistica unica, ana-lizzando le risorse e le problematiche che ne sca-turivano.

In secondo luogo, questo tratto del Tamigi èstato suddiviso in una serie di dodici sub-aree di-stinte per il loro carattere paesaggistico, ognunacon la sua identità e le proposte particolari. Sitratta di un progetto a lungo termine teso a pia-nificare e preservare questa zona di Londra per iprossimi cent’anni, in modo che il Tamigi e lesue sponde conservino le caratteristiche specialidel paesaggio nei piani che in futuro si renderan-no necessari per le nuove esigenze dei Londine-si del XXI secolo. Un secolo è un lasso di tem-po che ha senso per la vita di una città. È il pe-riodo medio di cui un albero ha bisogno di percompletare la sua crescita. Dopo cento anni gliedifici che non si inseriscono bene nel tessuto ur-bano o che ostacolano panorami e collegamentistorici non avranno più la stessa importanza eco-nomica.

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La continuità di questa Strategia è assicuratadalla presenza di un coordinatore che ha il com-pito di promuovere e indirizzare la realizzazionedi questo piano, controllare e dirigere i numero-si progetti e la manutenzione suggeriti dalla stra-tegia stessa, raccogliere fondi e sponsorizzazioniche ne consentano l’attuazione. Numerosi sonogià stati i progetti indicati dalla Thames Land-scape Strategy portati a termine. Questo docu-mento è stato più volte usato come punto di rife-rimento nella concessione o rifiuto di licenze co-munali.

A partire da questo progetto, si sono susse-guite numerose altre iniziative che considerano ilTamigi un aspetto fondamentale della realtà me-tropolitana. Il Segretario di Stato per l'Ambienteha istituito un gruppo di professionisti ed esper-ti, chiamato Thames Advisory Group, con finalitàdi guida e consulenza. Lo stesso ministro, attra-verso il Government Office for London, ha pub-blicato la Thames Strategy estesa al tratto di Ta-migi che attraversa Londra usando come prototi-po la Thames Landscape Strategy. Il fiume è statoidentificato come una zona di pianificazione spe-cifica: Thames Policy Area come un'autorità pia-nificatoria propria. Il ministro ha commissionatouno studio riguardante il successivo tratto di fiu-me, quello tra Kew e Chelsea.

La Thames Landscape Strategy rappresenta unapproccio pionieristico alla pianificazione urba-na. Fu sviluppata dalla mente aperta e innovatri-ce di architetti paesaggisti e si allontana dai me-todi tradizionali pianificatori. Quest'ultimi sonofrutto di studi imposti dall'alto piuttosto che dal-la visione delle persone che vivono sul posto. Ècome se l'anima della città venisse lasciata fuori.

Il successo di questa strategia ha generato lacommissione di altri progetti di strategia paesag-gistica come The Crown Estate Landscape Stra-tegy riguardante l'Old Deer Park, che prevede lariapertura delle vedute, la ristrutturazione dellearee edificate esistenti e stabilisce un programmadi tutela che dovrebbe salvaguardare la zona ri-coperta dal parco per il secolo a venire. Un con-cetto che è scaturito da questo progetto è che que-sti spazi verdi, spesso di proprietà pubblica, nonsono mantenuti in modo adeguato per la man-

canza di fondi e di competenze delle autorità lo-cali. Ma questi spazi sono la vera forza di Lon-dra, anche a livello internazionale, se sono pro-gettati e mantenuti bene non solo costituisconoun polmone per la città, la salute mentale, ma pos-sono contribuire alla riduzione di crimini e di vio-lenza.

On the Ground è un altro progetto sorto in con-seguenza alla Strategia. Consiste in uno studio deiparchi urbani londinesi dei loro collegamenti esi-stenti e potenziali, per creare una rete percorribi-le a piedi nel centro di Londra e lungo il Tamigi.

La strategia paesaggistica dell'area che gravi-ta attorno al Mercato di Borough e alla stazioneè una continuazione della Thames Landscape Stra-tegy applicata ad una delle zone più in fermentodal punto di vista di cambiamenti. Molti sono iprogetti appena completati o in cantiere: la TateModern, il complesso di Vinopolis, l'allargamen-to del viadotto ferroviario, l'edificio che ospiteràil sindaco di Londra e l'ampliamento della catte-drale di Southwark. English Heritage ha sentitol'obbligo di commissionare uno studio della zonateso a comprendere la molteplicità dei caratteri, laviabilità degli automezzi, i percorsi pedonali, leviste principali in modo che vengano integrati neiprogetti proposti in quest'area.

E per concludere, tutta la capitale ormai rico-nosce il valore del Tamigi e delle sue vedute. Dal-la mostra Thames Connection nel 1991 allestitaper sensibilizzare l'opinione pubblica verso il Ta-migi, molti sono stati i progetti, più o meno disuccesso, frutto di quell'iniziale atmosfera che havisto nascere la Strategia Paesaggistica del Tami-gi, tra questi il Dome, la Tate Modern e il Mil-lennium Bridge e London Eye.

Marco Battaggia, laureato in Scienze Forestali a Pa-dova, con degree in Landscape Architecture all’Uni-versity of Central England, ha lavorato a più di 100progetti con lo studio Kim Wilkie Environmental Desi-gn. Dal 1991 lavora come libero professionista con se-de a Richmond, Inghilterra, occupandosi di progetta-zione e direzione di lavori in campo ambientale-pae-saggistico (disegno e pianificazione urbana, parchi egiardini storici, Land art ecc.). Ha tenuto seminari econferenze presso varie sedi universitarie e la Fonda-zione Benetton Studi Ricerche.

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DREW FITZMORRIS

La creazione del paesaggio acquatico nell’esperienzadi John Lyle: nuove prospettive ed esperienze negliStati Uniti

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Si desidera qui illustrare la filosofia di JohnLyle attraverso i suoi progetti e le sue opere. Ilprimo progetto è il Center for Rigenerative Stu-dies del Politecnico universitario della Californiaa Pomona (Cal Poly Pomona) ed il secondo è laSchool of Environmental Studies presso OberlinCollege nell’Ohio. Si intende soffermarsi sul ruo-lo di acque ed energia in questi due progetti.

Ho vissuto e lavorato nel Trentino per un cer-to periodo 12 anni fa.

Nel corso di quella prima visita in Italia ci sioccupò di due progetti ambientali che riguarda-vano il Lago di Loppio e la cave di porfido del-la Val di Cembra. La Provincia di Trento avevaorganizzato un corso interdisciplinare per forma-re un gruppo di giovani laureati che sarebbero poistati assunti presso la costituenda Agenzia pro-vinciale per la protezione ambientale. Stavo con-cludendo il mio master in Architettura del pae-saggio e mi trovai al posto giusto al momentogiusto. John Lyle scelse me, uno dei suoi studen-ti, come suo assistente al corso.

Quando incontrai John Lyle per la prima voltaera preside del Dipartimento di architettura del pae-saggio a Cal Poly, Pomona. Il suo libro Design forHuman Ecosystems era già un caposaldo nell’am-bito della pianificazione ambientale ed avrebbe ri-cevuto un premio, e non fu l’unico, da parte del-l’American Society of Landscape Architects. Il suolibro ebbe fama internazionale: non ha caso fu no-tato anche dagli organizzatori del corso sull’am-biente in Trentino. John Lyle era dotato di grandeintuizione e conosceva le strategie di studio am-bientale, insegnando e eseguendo i progetti chel’Agenzia per la protezione ambientale stava cer-cando.

Giunsi in Trentino nel giugno del 1988 per ini-

ziare il corso. John amava recarsi sul sito di pro-getto per studiarne di persona le caratteristiche.

È utile analizzare alcuni suoi interventi perprecisare meglio il quadro della sua personalitàdi architetto e spiegare come nacquero le sue ideesulla progettazione e l’ambiente.

Salton Sea si trova nel centro del deserto del-la California del Sud vicino a Palm Springs, a cir-ca 150 miglia ad est di Los Angeles, a due ore di

Fig. 1 - Progetto di giardino con acqua realizzato daJohn Lyle

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automobile da Cal Poly. Questa zona è stata ari-da e desertica per decine di migliaia di anni. Nel1905 alcuni intraprendenti deviarono accidental-mente il corso del fiume Colorado. Ogni giorno,per due anni, circa 40.000.000 di litri d’acqua siriversarono in questo bacino desertico. Ben pre-sto si formò il Salton Sea, un corpo idrico mera-viglioso per molti punti di vista, sia per scopi ri-creativi sia di conservazione. John Lyle era affa-scinato dall’idea che questo corpo idrico fossestato creato, per quanto accidentalmente, dallamano dell’uomo. Esso accoglie una grande va-rietà di piante ed animali e funge da importantezona di sosta per le specie migratorie.

Il Prof. Lyle stava sviluppando una propria fi-losofia progettuale per l’ambiente ed iniziò adusare l’ecosistema come modello per il lavoro diprogettazione. Riteneva che l’ecosistema fosse ilmodello più efficiente di utilizzo dell’energia, conil riciclo di materiale che rasenta la perfezione.All’epoca coniò il termine “progettazione ecosi-stemica”, iniziando a chiedersi quale fosse il nes-

so tra un ecosistema “naturale” ed un sistema an-tropizzato che riesce comunque ad alimentare lavita di numerose specie animali e vegetali, co-niugando anche altre possibilità, come ad esem-pio l’uso ricreativo.

Si tratta ovviamente di un ambito di studioestremamente complesso per cui John decise discomporre il sistema nei suoi elementi fonda-mentali. Come osservato anche da altri, i due ele-menti fondamentali di un ecosistema sono mate-ria ed energia. Egli notò che quanto più fedel-mente l’uomo riesce a riprodurre l’ambientenaturale in un suo progetto, tanto maggiore saràla salute dell’ambiente nella sua totalità. Purtrop-po tale logica è in palese contrasto con la filoso-fia consumistica occidentale che domina la culturaamericana, ossia “Usa e getta” Il prof. Lyle si op-poneva spesso a questa logica convenzionale econsumistica applicando sistemi che consentiva-no di riciclare in modo efficiente quanto reso di-sponibile dall’ambiente, I suoi progetti e la suaattività di insegnante gli consentirono di mettere

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Fig. 2 - Paesaggio acquatico creato da John Lyle

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alla prova le sue teorie per lungo tempo. Nel cor-so degli anni elaborò il suo progetto più grandio-so e complesso.

La sua idea di una comunità integrata in cuisi potessero dimostrare e sperimentare i princi-pi progettuali ecosistemici può diventare partedell’esperienza quotidiana. Tali idee furono in-fine realizzate nel Centre for Regenerative Stu-dies.

La California State University e Solid Waste

Commission (ente per i rifiuti solidi) della conteadi Los Angeles decisero di collaborare per crea-re un luogo ove attuare il progetto grandioso diJohn e per finanziarne l’avvio.

Drew Fitzmorris è architetto, specialista in pianifica-zione e progettazione del paesaggio. Si è formato pres-so l’Università di Pomona,California. USA. È titolaredi progetti e attività legate al paesaggio in varie zonedegli Stati Uniti.

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Fig 3 - Bacino di ecosistemaacquatico artificiale

Fig. 4 - Particolare di ecosi-stema acquatico progettatoda John Lyle

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Fig. 5 - Progetto di giardino acquatico realizzato secondo principi ecologici

Fig. 6 - Sperimentazioni vivaistiche per la selezione di specie da impiegarsi in “progetti ecosistemici”

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LUIGI LATINI

Nuovi paesaggi lacustri nell’area mineraria dellaGoitzsche, Germania

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Fig. 2 - Paesaggi della miniera abbandonata nei pressidel villaggio di Pouch

Prima, durante, dopo la miniera

“Le miniere diventano laghi. Metamorfosi neipaesaggi della Braunkohle”, il titolo di questo re-cente seminario1 sul paesaggio della Goitzschepuò risolvere ogni ambiguità contenuta nell’e-spressione “nuovi paesaggi lacustri”. Prima dellaminiera di lignite - Braunkohle nella lingua tede-sca - nell’area della Goitzsche non c’erano, in-fatti, dei laghi, ma un paesaggio governato da unatrama di molti segni legati all’acqua: fiumi, pra-

1 “Le miniere diventano laghi. Metamorfosi nei pae-saggi della Braunkohle”, seminario svoltosi a Trevisoil 19 gennaio 2001 presso la Fondazione Benetton Stu-di Ricerche.

Fig. 1 - Il paesaggio della Braunkohle di Goitzsche in fase di rinaturalizzazione

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ti inondabili, stagni, fosse, canali; un paesaggioche, successivamente, i grandi Tagebau dell’e-scavazione a cielo aperto di lignite hanno pro-gressivamente, e in modo definitivo, cancellato.

“Goitzsche”, toponimo che un tempo ha datoil nome a una foresta a nord di Lipsia, tra De-litzsch e Bitterfeld, oggi sta a indicare un’area dicirca 165 chilometri quadrati di estensione, al-l’interno della quale il grande scavo lasciato dal-la miniera a cielo aperto occupa ben 62 chilome-tri quadrati. Ai margini di esso, la cittadina di Bit-terfeld, compressa com’è tra le miniere e leindustrie chimiche, che dalla combustione di quel-la lignite traevano il proprio sostegno energetico,

si presenta oggi come uno dei luoghi più inqui-nati dell’Europa postindustriale. In questo scena-rio, si è individuata nell’acqua che i fiumi river-sano, più a nord, nell’Elba, l’unica via di uscitaa una condizione ambientale allarmante.

Nel 1991, quando le mutate condizioni eco-nomiche portano all’arresto del processo di esca-vazione della lignite, il paesaggio della Braun-kohle si manifesta in tutta la sua drammatica prov-visorietà. L’immenso scavo, disseminato di cu-muli di detriti e tracce di un lavoro interrotto, di-venta il segno più evidente e palpabile di un cam-biamento economico radicale e di una condizionesociale del tutto nuova, ferma in attesa di un suo

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Figg. 3, 4 - Il bordo delloscavo lasciato dalla minierae una strada storica che siinterrompe in corrisponden-za di esso, presso Sausedlitz

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paesaggio. La miniera aveva inghiottito villaggi,coltivazioni e foreste, deviato il corso dei fiumi,interrotto strade. Questo consumo viscerale dipaesaggio aveva assicurato lavoro e stabilità eco-nomica a un sistema sociale che, con l’arresto del-l’attività mineraria, si trova ora a fare i conti conla disoccupazione, le esigenze di bonifica di aree

enormemente inquinate, la ricerca di forme oc-cupazionali che possano nascere da queste atti-vità alternative. Tutto ciò in un quadro politicoradicalmente cambiato, dove i processi di tra-sformazione si misurano con nuove opportunità,ma anche con i conflitti che permangono tra un“est” ed un “ovest” della nazione.

In questo quadro, La LMBV (Lausitzer und Mit-teldeutsche Bergbau - Verwaltungsgesellschaft),società che gestisce le zone minerarie nell’areacentrale della Germania, decide di utilizzare l’ac-qua della Mulde, il fiume che, prima di giungerea Dessau, attualmente lambisce la grande area di

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Fig. 5 - Pannello dell’Lmbv (Lausitzer und Mitteldeut-sche Bergbau - Verwaltungsgesellschaft) indicante il pia-no delle inondazioni nell’area mineriaria della Goitz-sche. In azzurro chiaro sono indicati i nuovi laghi; in az-zurro scuro il corso deviato (per una lunghezza di 9,2km) del fiume Mulde che si immette nella Muldestau-see, ex cava convertita in bacino negli anni settanta.

Figg. 6-7 - Due fasi di immissione dell’acqua del fiume Mulde nei nuovi laghi

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escavazione. Con quest’acqua si pensa di inon-dare le grandi cavità, nel tentativo sia di impie-gare nell’opera una parte della popolazione di-soccupata, sia di arginare i fenomeni degenerati-vi conseguenti all’inquinamento avvenuto nellefalde aquifere. Questa ingente operazione impli-ca un nuovo “rivolgimento” del paesaggio e creamolti interrogativi, sulle condizioni ambientali chesi prefigurano e sul rapporto che questo ennesimocambiamento potrà instaurare con la vita socio-culturale di quei luoghi.

A Bitterfeld, non si assiste a un “ritorno” del-l’acqua come elemento ordinatore del paesaggio, néal risveglio di un qualche equilibrio naturale com-promesso; vediamo, semmai, una sorta di “impo-sizione” dell’acqua sul paesaggio dove l’elementoliquido si espande sul territorio come necessariaoperazione di Sanierung, intesa come forma di ar-resto di processi degenerativi. Nella Goitzsche “nonci sono ragioni simboliche, né paesaggistiche, mapragmatiche valutazioni dello stato di fatto: unagrande massa d’acqua “pulita” (se ne prevede laderivazione dal fiume Mulde, previo risanamento,già avviato) è l’unico elemento, secondo gli scien-ziati, in grado di fermare (provvisoriamente) una si-tuazione ecologicamente drammatica, ai limiti delcollasso. A Bitterfeld la falda acquifera è forte-mente inquinata in tratti molto estesi a circa 60metri di profondità e quest’acqua avvelenata simuove verso la Goitzsche, dove potrebbe riaffio-rare. La pressione idrostatica esercitata dall’acquaintrodotta artificialmente potrebbe bloccare i mo-vimenti idrici del sottosuolo, consentendo agli

scienziati di rinviare alla prossima generazione lasoluzione al problema della bomba chimica mo-mentaneamente tenuta ferma” 2.

Gli infiniti strati del paesaggio

Colpisce, nell’avvicinarsi a questo paesaggio,la sua apparente nudità, il procedere incerto del-le attività umane e dei processi biologici che gra-vitano intorno al vuoto degli scavi. La trama ter-ritoriale appare in più punti lacerata da uno “strap-po” che ha interrotto la continuità di un processostorico, vitale. Dopo questa prima impressione, auna lettura più attenta, si resta sorpresi dalla stu-pefacente ricchezza della stratificazione storica diquesti paesaggi.

Il territorio compreso tra le città di Bitterfeld,Dessau e Wittemberg ha infatti visto modifica-zioni che fanno seguito a momenti centrali dellacultura europea. Questi eventi e questi cambia-menti vengono oggi indicati come termine di con-fronto per la nuova identità dei paesaggi dellaGoitzsche: Wittemberg, città di Lutero, che ha vi-sto nascere la Riforma; l’intero territorio del prin-cipato di Anhalt-Dessau, il cui paesaggio ricevetra Sette e Ottocento, dal disegno illuminato delprincipe Franz, un’impronta di estremo interes-se3; infine, il trasferimento, da Weimar a Dessau,nel 1925, della scuola della Bauhaus, una delleespressioni più incisive della cultura artistica nel-l’era della industrializzazione4.

Di queste vicende restano, nel paesaggio intor-

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2 ZANON S., 1999 - La Goitzsche risanata: trasformazioni e problemi di un’area post-industriale, “Silis, Annalidi Civiltà dell’Acqua”, 1, pp. 84-87.3 Con il termine Gartenreich, “regno dei giardini” si intende un vasto programma di riforme e interventi sul pae-saggio che, a partire dal 1764, per oltre mezzo secolo, interessa l’intero territorio governato dal principe LeopoldFriedrich Franz von Anhalt-Dessau (1740-1817). Si veda a questo proposito i materiali relativi all’ottava edizio-ne (1997) del Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino Dessau-Wörlitzer Gartenreich, in Luoghi. For-ma e vita di giardini e paesaggi, a cura di LUCIANI D., Fondazione Benetton Studi Ricerche/Canova, Treviso,2001, pp. 213-272.4 “Tutto ciò che ci sta di fronte è il risultato di una lunga stratificazione (di cose, di idee) indispensabile per orien-tare il nostro cammino … la svolta cruciale del luteranesimo e il particolare valore che con essa assume il rap-porto con la natura nella fatica quotidiana e nella sobrietà dello stile di vita; il capitolo sorprendente e magnifi-cente di governo del paesaggio e di arte a scala territoriale costituito dal Dessau-Wörlitzer Gartenreich del prin-cipe Franz; la concentrazione di saperi, di arti e di mestieri che ha reso possibile la formazione di uno dei verticidell’innovazione scientifica, tecnica e artistica nella esperienza della Bauhaus di Dessau, ma contemporaneamen-te ha determinato pesanti consumi di natura e inquinamenti d’aria e d’acqua nella zona industriale di Bitterfeld eWolfen.” LUCIANI D., Prima e dopo lo strappo. Immaginare nuovi paesaggi nel sud est Goitzsche, scritto distri-buito in occasione del seminario indicato in nota 1.

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no alla miniera, testimonianze e strutture insedia-tive che indicano, in più direzioni, possibili formedi trasformazione futura: dalle molte e suggestiverovine dell’industrializzazione - testimonianze diun “gigantismo” industriale come, ad esempio, lacentrale elettrica di Vockerode, ai margini del par-co di Wörlitz, oppure le escavatrici ancora visibi-li a Ferropolis - sino alla trama, meno spettacola-re, ma per noi più utile e istruttiva, del paesaggiostorico sopravvissuto ai margini dello “strappo”.

In questo contesto appare fondamentale lacomprensione della memoria della permanenzadell’acqua, elemento chiave della vita dei pae-saggi intorno alla Goitzsche: fiumi, meandri, pra-ti rivieraschi; argini, boschi e coltivazioni, stradee piccoli corsi d’acqua che formavano, in perfet-ta coerenza estetica e funzionale, l’orditura delpaesaggio immaginato dal principe Franz. Primache la manipolazione delle acque, nell’era indu-striale, diventasse un gesto di semplice sfrutta-mento, complementare all’attività estrattiva e alciclo di trasformazione in energia della lignite.

Verso una trasformazione futura

Una maggiore concentrazione di elementi didiscussione e di interessi economici si verifica,in questa parte della Germania riunita, quando,nel 1995, l’ente Expo 2000 di Hannover decide diistituire in quest’area una “regione di corrispon-denza”, iniziativa concepita come laboratorio incui si sviluppano idee e progetti centrati soprat-tutto sugli aspetti ambientali ed ecologici dei pae-saggi postindustriali.

Sia il consorzio degli enti locali che si affac-ciano sui nuovi laghi accomunati da un “Contrattodi riva” -, sia società dei minatori che ha messoin atto il processo di riconversione delle minierein bacini, dispongono da questo momento del-l’opportunità di inserirsi in un processo che cer-ca di conferire spessore e incisività culturale allavena di pragmatismo che anima il meccanismodegli allagamenti. Intanto, là dove il fondo degliscavi è stato livellato, le sponde consolidate e ilbordo ridotto a una generica linea ondulata, siapre un primo canale che dal fiume immette ac-qua “pulita” nel primo nuovo invaso, in attesa cheil tempo e la lenta immissione dell’acqua siano in

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Fig. 9 - Ferropolis, grandi macchine escavatrici ai mar-gini della miniera di lignite

Fig. 8 - Il paesaggio dell’Elba visto dal tetto della cen-trale elettrica di Vockerode, presso Wörlitz

Fig. 10 - Dessau-Wörlitzer Gartenreich, veduta del giar-dino cinese di Oranienbaum (1793-1797)

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grado di ripristinare quei processi naturali che,oggi, si scontrano con un livello di inquinamen-to ancora altissimo, con un pH molto elevato. Siprevede che l’acqua, con un flusso di tre metricubi al secondo, salga di livello nell’intero siste-ma di circa uno-due centimetri al giorno, per rag-giungere la quota prevista di 75 metri in circaquattro-cinque anni.

L’insediamento, a Dessau, della sede distacca-ta dell’Expo 2000 (Expo 2000 Sachsen-AnhaltGmbH) comporta, tra l’altro, la creazione di unorganismo che si occupa di scegliere, orientare epromuovere i progetti che interessano l’intera areanella quale si inscrive la Goitzsche. Si forma perquesto un Kuratorium, un comitato di cui fannoparte rappresentanti degli enti pubblici locali, del-la società mineraria, studiosi ed esperti. Tra imembri stranieri, Domenico Luciani, direttore del-la Fondazione Benetton Studi Ricerche, è l’unicocomponente italiano.

Un grande disegno che prende il nome di“Kulturlandschaft Goitzsche” investe aspetti di-versi della riqualificazione ambientale dell’area,

dai progetti di recupero ecologico ad esempi divero e proprio disegno urbano come quelli ese-guiti per il wasserfront di Bitterfeld5. “Kunst inder Landschaft”, “arte nel paesaggio” sarà unadelle parole d’ordine che esprimono il desideriodi trovare un’identità e una fisionomia più preci-sa a queste “terre di nessuno”. I paesaggi lunaripostindustriali della miniera diventano così uncrocevia di figure che si interrogano sul possibi-le destino di forme e funzioni per questi luoghi.Nella penisola presso il villaggio di Pouch, aesempio, un nutrito numero di artisti realizza, do-ve il terreno si spinge verso i futuri laghi, unaprima serie di opere che vorrebbero dare una ri-sposta ai paesaggi prefigurati dal semplice mec-canismo di inondamento e di sistemazione dellerive come teatro di attività per il tempo libero edi sviluppo turistico.

Questa seconda ipotesi di intervento sui pae-saggi della miniera - che si richiama per certi ver-si alla precedente, fortunata esperienza dell’IBA

Emscher Park6 - , ci mostra tutte le suggestioni ei limiti che l’arte può contenere, quando essa vie-

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5 L’insieme di questi progetti è visibile nel catalogo Land gewinnen. Die Goitzsche - das weltweit größte Land-schaftkunstprojekt, a cura di SCHIERZ H., Mitteldeutscher Verlag, Halle 2000, pp. 151-162 (catalogo dei progettie della mostra “Kulturlandschaft Goitzsche”, promossa dalla Expo 2000 Sachsen Anhalt GmbH) e nel volume DerProjektkatalog. Verwandlungen. Schriftenreihe 2, Expo 2000 Sachsen Anhalt GmbH, 2000.6 L’esperienza dell’Emscher Park, nel suo decennio di durata 1989-1999, ha interessato un’area di oltre 400 kmq.Gli interventi di riqualificazione ambientale proposti si sono misurati, in questo caso, con una realtà - la regione

Fig. 11 - Dettaglio dalla car-ta topografica 1:25.000 del1851 (Archivio di Stato diBerlino). È visibile il pae-saggio fluviale dell’anticopercorso del fiume Mulde,nei pressi di Pouch, e i duevillaggi scomparsi di Nie-megk e Döbern.

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ne convocata “a posteriori” invece di prender par-te, sin dalle prime mosse, al proceso ideativo diun progetto paesaggistico.

Un’altra traccia di lavoro è stata presentata dalgruppo7 che si è occupato dell’area del “sud estGoitzsche”, del quale ha fatto parte anche chi scri-ve, con un’ipotesi che si sofferma sulla lettura cri-tica del patrimonio di “natura e memoria” di quelterritorio, e individua nella linea di rottura di que-sta continuità storica - il margine della miniera - ilmomento di maggiore attenzione progettuale. Ta-le lavoro ricava dalla lettura delle carte e dei do-cumenti storici uno strumento di osservazione ana-litica dell’andamento dei fiumi, della posizione dipaleoalvei, prati umidi, boschi; dei villaggi scom-parsi e dei tracciati di strade, sentieri, ferrovie. Dalquadro che emerge, appartenente a un processo nonpercorribile a ritroso, si propone di utilizzare lamemoria di questo “prima” come traccia per ri-solvere il limes tra territorio rimasto fuori e dentrolo scavo. Con un lavoro che si concentra sulla ric-

ca articolazione, e sulla varietà, suggerita dal “fuo-ri”, lavorando con la fantasia “non tanto alla di-slocazione di oggetti artistici più o meno talentuo-si, ma alla invenzione di fili e nodi di una rete al-la scala del paesaggio, così come propone latrigonometria dei villaggi, così come lo sono i se-gni del Gartenreich”.

BIBLIOGRAFIA

Tutti i materiali indicati in bibliografia sono reperibilipresso il centro documentazione della Fondazione Be-netton Studi Ricerche (in Piazza Crispi 8, a Treviso).Dei testi in lingua tedesca ritenuti di maggiore utilità èdisponibile anche una traduzione in italiano.

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KNOLL S. & VON KORFF J., 1992 - Es werden Narbenbleiben / Scars will remain, Anthos, 2, pp. 22-27.

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della Ruhr - che rappresenta il cuore industriale storico della ex Germania dell’ovest. Si vedano a questo propo-sito i recenti Internationale Bauausstellung Emscher Park, numero monografico di “Topos”, 26, 1999 e IBA Em-scher Park, “Folia”, inserto di architettura del paesaggio di “Acer”, 2, 1999, pp. 97-112.7 Nel corso di questa esperienza, si è formato un gruppo di lavoro per l’area “sud-est Goitzsche”, coordinato daDomenico Luciani, di cui fanno parte Simonetta Zanon e Luigi Latini (Fondazione Benetton Studi Ricerche, Tre-viso), Eduard Neuenschwander e Anja Bandorf (Atelier Neuenschwander, Zurigo). I risultati del lavoro sono pub-blicati nel catalogo Land gewinnen (cfr. nota 5), alle pagine 151-162. I brani riportati tra virgolette appartengonoal testo Prima e dopo lo strappo citato in nota 4.

Fig. 12 - Strade storiche so-pravvissute ai margini delloscavo

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Indirizzi internet di interesse:www.expo2000-sachsen-anhalt.de (in particolare Landschaftskunst Goitzsche) ewww.verwandlungen.de (in particolare Landschafts-Kunstprojekt).

L'architetto Luigi Latini ha svolto, dal 1986 al 1997,attività didattiche e di ricerca orientate all'architetturadel paesaggio presso il Dipartimento di Urbanistica ePianificazione del Territorio dell’Università di Firenze. Dal 1998 lavora presso la Fondazione Benetton StudiRicerche di Treviso nell'ambito delle iniziative sul pae-saggio.Ha al suo attivo numerosi interventi, conferenze e lavoriin gruppi di ricerca di livello europeo, nonché pubbli-cazioni scientifiche e attività professionali.

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ERMANNO CASASCO

La progettazione del giardino acquatico moderno: l’esperienza del giardino termale del Negombo

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Ognuno di noi ha un’immagine sua “persona-le” del giardino legata alla propria infanzia, aquello che potremmo chiamare il primo incontrocon la Terra o meglio con un determinato pae-saggio. Ha dunque una visione incantata. E’ que-sta una mia profonda convinzione che mi viene

dal trentennale lavoro come paesaggista, (termi-ne che ho adottato non essendo architetto): ognicommittente ha la sua visione incantata, un Edenin cui ritornare attraverso il giardino.

Ricordo anche che a San Francisco, città no-toriamente multietnica, durante i miei ormai lon-

Figg. 1, 2 - Paesaggi acquatici creati da Ermanno Casasco inSicilia: Rio Colorado, Minoa

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Fig. 3 - Paesaggi acquatici creati da Ermanno Casasco inSicilia: Rio Colorado, Minoa

tani studi, l’insegnante mi fece notare come os-servando i giardini della città fosse possibile ri-salire alle origini del suo proprietario. Certo perchi conosce la storia e le forme del giardino. Iostesso del resto sento profondamente la mia ap-partenenza all’Appennino emiliano: i miei pae-saggi e i miei giardini inseguono e ridisegnano inmille modi quel particolare disporsi e susseguir-si di monti e di valli e il sinuoso fluire del Taro.Eppure ho a lungo viaggiato e incontrato i millepaesaggi e giardini della terra e ne ho sentitoprofondamente il fascino e lo spessore culturale.E tuttavia posso dire che, anche se essi sono im-portanti nella mia progettazione e ricerca, è dal-l’Appennino emiliano che mi viene il modo par-ticolare di trattare l’acqua, che non penso mai informa di fontana, ma come stagno, lago, traccia-to di canali, cascata, un’acqua che si dispone inun avvallamento, un’acqua che scende e mai sa-le come invece avviene con le fontane, con glizampilli e schizzi e getti, che il vento fa semprefuoriuscire e che a me paiono puri effetti sceno-grafici.

E sempre dall’Appennino mi viene l’istanza amodellare il terreno, a creare armonie e raccordi.Il giardino per me è sempre una radura nel bosco.In esso le piante vivono libere e il disegno si ap-parenta con i tracciati contadini, che un tempo,ricordo, tenevano pulito il sottobosco dei casta-gneti quasi fosse un giardino all’inglese.

E visto che siamo venuti a discorrere di prati,voglio ancora dire che anche il prato deve segnareil trascorrere delle stagioni e non deve essere sem-pre verde come di solito vuole il committente.

Il giardino da me progettato nel Lazio con lesue zone più esterne di prati gialli richiama i cam-pi di grano, e quello in Lomellina si riconnette algiallo estivo delle risaie. Non solo gli alberi, maanche il prato vive e segna le stagioni. A prima-vera i prati dei miei giardini hanno i loro fiori, co-me le margherite e le viole, e d’estate nelle zonemeno vicine alla casa diventano gialli, così io livoglio e li penso.

E con ciò voglio anche dire che proprio per-ché l’acqua mi affascina ed è un elemento essen-ziale della mia progettazione, i miei giardini so-no pensati in modo che l’acqua non venga maisprecata e che possano anche vivere nei periodi incui scarseggia o addirittura manca. Le piante eso-tiche che inserisco nei miei giardini mediterranei,anche quelle che vengono dall’Australia, come hofatto al Negombo a Ischia, sono piante che vivo-no in zone aride, come ad esempio: Melaleuca,Metrosyderos, Callistemon, si apparentano per-fettamente al mirto, al corbezzolo, al lentisco, al-l’ulivo. I miei sonni non sono mai turbati da istan-ze di autoctonia, che è sempre inventata, ma ilmio operare si è sempre ispirato alla millenaria sa-pienza contadina, alla botanica e alla storicità delpaesaggio.

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E ci tengo a dire che fin dagli anni Settanta,quando ho iniziato a lavorare in Sicilia per il co-mune di Gibellina, ho cominciato a recuperarel’ulivo, che veniva estirpato per far posto ai vi-gneti, e l’ho usato come pianta da giardino per-ché è una pianta mediterranea che non ha bisognodi acqua. Seguendo l’esempio dei Romani che loavevano immesso in Lombardia, nel Veneto, nel-le valli dell’Appennino, ho portato l’ulivo al nord,facendolo conoscere al Miflor di quegli anni, e

l’ho inserito in tutti i miei giardini: l’ulivo è sem-pre stato per me il simbolo del giardino mediter-raneo. E non era facile allora convincere com-mittenti, colleghi e critici “integralisti e autocto-ni” che fosse una meravigliosa e giusta presenzain un giardino, certamente non monco e storpia-to come viene commercializzato oggi. Infatti so-lo in seguito è diventato uno straordinario busi-ness e l’ulivo è emigrato in tutta Europa in mo-do trionfale. E come ho fatto per l’ulivo ho

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Fig. 5 - Nuovi terrazza-menti, nel giardino Negombo

Fig. 4 - Il paesaggio delgiardino termale Negombo a Ischia

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inserito altre piante, piante dell’orto come il me-lograno e della macchia mediterranea come laChamaerops humilis.

L’immaginario dell’acqua è stato la mia guidanella costruzione del giardino e nella scelta dellepiante. E progettare il giardino termale del Ne-gombo ha costituito una vera gioia: mi ha dato lapossibilità di giocare con l’acqua in più modi,senza doverla sprecare perché qui il suo sgorga-re è in funzione della salute dell’uomo.

Il Negombo è il trionfo dell’acqua: le calde efeconde sorgenti sono la sua ragion d’essere. Illoro sgorgare mi ha dato un’emozione simile aquella provata quando ho visto la prima volta lesorgenti termali di Pamukkale in Turchia, che so-no forse tra le prime terme romane. Nel paesag-gio brullo le cascate e le azzurre acque risplen-devano nell’unione di natura e arte che la inter-preta. Rivedendole l’anno scorso, ho dovutoconstatare che l’insensato sfruttamento turistico

del luogo ha distrutto la benefica fonte, le cui ac-que sono state deviate, le cascate sono diventatenere e la ricostruzione attuale è una morta simu-lazione.

Ritornando al Negombo, ho avuto la fortuna ditrovare le tracce dei terrazzamenti contadini, deisegni che avevano segnato in linee rette e pianeil terreno del monte Vico e sulle sue orme ho co-struito il giardino e incanalato e fatto sgorgare lesorgenti. Non ho costruito piscine, la grande pi-scina d’acqua marina del Negombo non è operamia. I miei interventi sono “nascosti”: in Chiaiadi luna” le acque sgorgano dalla roccia, sono den-tro una grotta. “Il templare” è come una rovina ro-mana che si scopre quando si arriva (naturalmenteil materiale impiegato è dovuto a motivi igienicie tecnici). L’acqua sgorga sempre dall’alto in ca-scate o si raccoglie in pozze. Ed inoltre la suapresenza deve sempre accogliere e non deve maiessere pericolosa o ispirare paura Nell’acqua ci

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Fig. 6 - Chiaia di Luna, giardino Negombo, Ischia Fig. 7 - Cascate d’acqua a Negombo

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si deve poter immergere e uscire con facilità egradualmente, come avviene con il mare.

L’acqua non è presente solo dove la si vede,ma il suo uso è sempre determinante per il giar-dino e il paesaggio. L’acqua modifica il paesag-gio: se osserviamo dall’alto i paesaggi dei paesisviluppati, vediamo che hanno assunto una for-ma circolare. Non sono più quadrati o rettango-lari come li strutturavano gli aratri e l’irrigazio-ne a canali, ma hanno assunto la forma circolaredeterminata dall’irrigazione automatica.

Val la pena allora di spendere una parola con-tro gli stereotipi del giardino all’inglese che ap-pare nelle fotografie con lucenti prati sempre ver-di. Ma i prati di Hyde Park sono tutt’altro cheverdi in estate, sono ovviamente gialli. I suoi pra-ti non sono affatto irrigati. È con le prime piog-ge autunnali che il prato ritorna a vivere bello euniforme, splendidamente verde.

Il giardino all’inglese richiede grandi spazi;così è nato in tempi in cui ancora pascolavano glianimali e si andava a caccia. In spazi piccoli, co-

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Figg. 8, 9 - Cascate d’acqua a Negombo

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me sono quelli che il paesaggio metropolitano perlo più offre, diventano morte e irrigidite simula-zioni. Non solo per le mie origini culturali, maanche per questo non trovo particolarmente affa-scinanti i giardini all’inglese e trovo invece mol-to più stimolanti tutte le tradizioni e gli stili cheda sempre costruiscono il giardino nel piccolo,non fingono di imitare la natura, ma perseguonoil sogno del giardino dell’Eden. E mi riferisco conciò al giardino all’italiana, a quello arabo e ro-mano e persiano.

Il mio sogno è ora quello di progettare un’oa-si nel deserto, in cui l’Eden è costruito dall’acqua.

Ermanno Casasco è un paesaggista con esperienza incampo internazionale. Ha curato la progettazione e rea-lizzazione di numerosi giardini privati e pubblici, par-chi termali e acquaticiCollabora con riviste specializzate di settore ed inter-viene in corsi di formazione e trasmissioni televisive suitemi del giardino e paesaggio.

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Fig. 10 - Cascate d’acqua a Negombo

Fig. 11 - Vasche termali,pozze e sorgenti del par-co termale Negombo

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Figg. 12, 13 - Vaschetermali del parco termale Negombo

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PIERLUIGI DAL RÌ

Valorizzazione degli ambienti perilacuali e perifluvialinella Provincia di Trento

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Con 297 specchi d'acqua prevalentemente diorigine glaciale, che costituiscono quasi il 10 %dei 3000 laghi dell'arco alpino, il Trentino è da al-cuni definito “Finlandia d’Italia”. I laghi costi-tuiscono un’importante risorsa ambientale ed eco-nomica che da più di dieci anni la Provincia havoluto tutelare. Dopo la fase di “conquista antro-pica”, durata fino agli anni 70 e inizio ’80, in cuiil paesaggio dei laghi era vissuto come una sortadi frontiera da colonizzare e sfruttare, nel 1987ci si orientò verso una politica di salvaguardia evalorizzazione con l’entrata in vigore del nuovopiano urbanistico provinciale. I paesaggi delle ri-ve dei laghi della provincia di Trento furono clas-sificati come “zone di rispetto” e la loro integritàfu “tutelata ai fini della conservazione ambienta-le e dei utilizzazione sociale” secondo l’art. 9 del-le norme di attuazione del piano. Questa fu lapremessa per una serie di interventi rivolti al re-cupero paesaggistico di molti laghi; in seguito fuapprovata una legge, tuttora vigente, che vietavala navigazione a motore.

Gli interventi di recupero rive laghi realizzatia partire dalla fine degli anni ’80 non riguardanogeneralmente gli specchi d’acqua alpini delle quo-te più alte, ma quelli di fondovalle, già sottopo-sti ad un certo carico antropico, e comprendonoopere di:

- consolidamento di sponde: le opere di di-fesa sono molte volte la premessa per poter re-cuperare il paesaggio della sponda del lago. Sitratta generalmente di scogliere e riporti di mate-riale inerte per il rimodellamento ecc.

- realizzazione di passeggiate circumlacua-li: piste ciclabili, passerelle e sentieri sono co-struite a scopo turistico e/o naturalistico (es.: per-corsi di visita a biotopi realizzati in collaborazio-ne con il Servizio Parchi).

- rinaturalizzazione spondale: sono state rea-lizzate scogliere e opere d’ingegneria naturalisti-

ca (coperture diffuse, fascinate vive, movimenta-zione delle sponde, impianto di specie igrofile,creazione di ambiti protetti adatti a ospitare lafauna).

- creazione di spazi verdi accessibili al pub-blico: molte aree limitrofe alle sponde dei laghisono state recuperate a verde pubblico. La ge-stione è stata in seguito affidata alle comunità lo-cali.

- rimodellamento delle sponde: il recuperodegli spazi interclusi è in linea con gli orienta-menti della Legge “Galasso”. Mediante la realiz-zazione di colmate o con l’acquisizione di terre-ni privati è stato possibile recuperare delle vastefasce di territorio, restituito alla fruizione del pub-blico.

Molti progetti di tipo paesaggistico compren-dono inoltre la realizzazione di piccoli specchid’acqua, sfruttando le numerose sorgenti dispo-nibili.

Nel corso di dieci anni dall’inizio delle atti-vità del Servizio Ripristino e Valorizzazione am-bientale sono stati realizzati 17 interventi di ri-pristino delle rive di laghi, 6 nuovi laghi di variedimensioni (dai piccoli laghetti a grandi specchid’acqua) oltre a 10 parchi fluviali, per i quali laProvincia di Trento sta emanando una legge spe-cifica.

L’architetto Pierluigi Dal Rì è dirigente del Servizio Ri-pristino e Valorizzazione ambientale, un settore del-l’amministrazione provinciale che si occupa della curadel paesaggio offrendo occasioni d’impiego a personeprecedentemente espulse dai processi produttivi. Il pia-no d’interventi comprende ripristini ambientali, parchiurbani, giardini storici, sentieri e passeggiate, recupe-ro di manufatti minori, di aree di frana ed ex cave.Il Servizio gestisce il piano delle piste ciclabili d’inte-resse provinciale, curandone progettazione, realizza-zione e manutenzione.

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Fig. 1 - Una passerella in legno collega con la terraferma l’isolotto di Bior, ramo del Lago di Molveno ripristi-nato nell’ambito del progetto di riqualificazione paesaggistica del Lago di Molveno (foto archivio S.R.V.A.).

Fig. 2 - La nuova spiaggia di Torbole fa parte del progetto di riqualificazione della sponda trentina del Lago diGarda (foto archivio S.R.V.A.).

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Fig. 3 - L’intervento di riqualificazione delle spiagge di Riva del Garda comprende opere di rinaturalizzazione spon-dale, percorsi ciclopedonali, aree verdi e zone attrezzate (foto archivio S.R.V.A.).

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Fig. 4 - Scogliere di protezione delle spiagge a Riva del Garda (foto archivio S.R.V.A.)

Fig. 5 - Percorso ciclopedonale lungo la spiaggia di Riva del Garda (foto archivio S.R.V.A.)

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Fig. 5 - Laghetto del parco termale di Molveno (foto archivio S.R.V.A.)

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Fig. 6 - Le nuove spiagge di Torbole durante l’esecuzione delle opere (foto L. Dorigatti)

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Fig. 7 - Costruzione di passerelle pedonali presso il Lago di Toblino (foto archivio S.R.V.A.)

Fig. 8 - Il lago delle Buse, creato exnovo nell’ambito di un intervento diriqualificazione paesaggistica a Bru-sago, altopiano di Piné (foto archivioS.R.V.A.)

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MARIO BRANDAZZI

Specie ornamentali per i giardini acquatici

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Si tratterà in questa sede di piante per ambien-ti acquatici, per giardini acquatici in particolare.

Per facilitarne la comprensione si è pensato disuddividere le diverse piante in vari gruppi, inrelazione alle diverse zone di crescita nell’ambitodi un ipotetico ideale laghetto ornamentale (qual-cosa di simile alle cosiddette fasce vegetazionalinegli studi di fitogeografia, per intenderci).

Entrando in acqua, nel cuore del bacino acqua-tico troviamo le piante comunemente chiamate“ossigenanti”, fra cui le più interessanti sono:Ceratophyllum demersum, Myriophyllum pro-sperpinacoides, Vallisneria spiralis ed Elodeacanadensis.

Tutte queste piante, simili alle alghe, pur nonavendo un gran valore ornamentale, hanno una

fondamentale importanza nella creazione di unecosistema acquatico in equilibrio. Sono questele caratteristiche essenziali: ottima capacità diossigenazione dell’acqua; buona capacità diassorbimento di sali minerali, con sottrazioneall’acqua di nutrienti ed elementi solitamentecorresponsabili della crescita di microscopichealghe unicellulari che intorbidiscono l’acqua o dialghe coloniali filamentose in genere; costitui-scono inoltre ottimi nascondigli, in particolareper avannotti, piccoli pesci ed altre specie di pic-cole dimensioni.

In superficie si trovano differenti piante “gal-leggianti”, che fluttuano mantenendo un apparatoradicale fascicolato in sospensione nell’acqua.Molto conosciuta è l’Eichhornia crassipes, o

Fig. 1 - Fogliame di Loto, Nelumbo nucifera (foto O. Negra)

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Giacinto d’acqua, e la Pistia stratiotes, o Lattugad’acqua, entrambe originarie dell’America tropi-cale centromeridionale.

Queste ed altre graziose piante galleggiantisono da annoverare fra quelle da introdurre in unbacino ornamentale poiché hanno tutte una buonacapacità di depurazione, sottraggono cioè grandiquantità di sali minerali ed elementi nutritiviall’acqua (nitrati e fosfati in particolare) contri-buendo così a mantenere limpida l’acqua e favo-rendo nello stesso tempo la formazione di un eco-sistema acquatico in equilibrio.

Probabilmente tutti, anche i non “addetti ailavori”, conoscono, o hanno visto almeno unavolta nella loro vita, le ninfee ed i fior di loto,appartenenti alla grande famiglia delleNymphaeaceae, importanti specie per i progettistidi laghetti o di bacini acquatici in tutto il mondo.Ve ne mostrerò un piccola significativa rappre-sentanza, che fa parte della mia collezione perso-nale.

Poche e abbastanza rare sono le specie botani-che naturali, ma numerosissime le varietà ibrida-te da specialisti di tutto il mondo in questi ultimi100 anni.

Esistono numerose varietà e specie sia di “nin-fee” che di “fior di loto” di piccole o minuscoledimensioni. Vengono perciò spesso indicate connomi comune di “ninfee piccole e nane”, e di“fior di loto piccoli e nani”, in relazione alla più omeno minuscola dimensione di tutta la pianta.

Ci si potrà così sbizzarrire a coltivare piccoleninfee in minuscole vaschette o in bacini acquati-ci di ridotte profondità. La più piccola ninfea almondo attualmente conosciuta è la Nymphaeatatragona diffusa in diverse zone di tutto ilmondo, comunque rarissima, dal fiore delledimensioni di una moneta da 50 £. Sono suffi-cienti 10 soli centimetri d’acqua per poterla colti-vare e crescere con successo. In casi estremi sipotrà avere bisogno di introdurre ninfee in bacinicon profondità normalmente superiori. È possibi-le utilizzare per esempio la Nymphaea alba, spe-cie spontanea in Italia anche se però purtroppoquasi estinta, in grado di prosperare a profonditàprossime ai due metri.

Moltissimi sono gli ibridi e le varietà che sipossono utilizzare per le più disparate tipologie eprofondità.

Grazie a scambi sempre più frequenti di pian-te ed informazioni con collezionisti in tutto ilmondo si può affermare che esistono più di 300differenti varietà di Nelumbo.

Se lo stagno sarà molto piccolo si potrà sce-gliere una delle innumerevoli forme nane o pic-cole di fior di loto.

Nel caso invece si avesse la fortuna di posse-dere o di progettare un bacino acquatico di unacerta dimensione, si potrà godere di una bellissi-ma Nelumbo nucifera var. “rosea” dagli enormifiori fino a 35 cm di diametro e dalle giganteschefoglie di quasi un metro di diametro.

In vicinanza delle rive nelle zone di acquabassa, si possono trovare ed ambientare una mol-titudine di piante cosiddette “palustri” e “di riva”.

Iris di svariati colori, piante dalle più dispara-te infiorescenze, giunchi e carici di diverse altez-ze, saranno da utilizzare nelle forme e varietà giu-ste per ogni tipologia di lavoro, tenendo sempre inconsiderazione non semplicemente l’aspetto este-tico della singola pianta, ma la valenza estetica efunzionale di tutta l’associazione di organismiche andremo ad unire. Determinanti sono anchealtri fattori, come la latitudine ed il sito del baci-no acquatico, la chimica dell’acqua, le temperatu-re massime e minime raggiungibili, le differentiprofondità del laghetto o stagno che sia. Tutti que-sti ed altri fattori ancora saranno determinantinella scelta delle differenti specie e varietà dipiante acquatiche.

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Fig. 2 - Fioritura di Giacinto d’acqua,Eichhornia crassipes (foto F. Fronza)

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Realizzare un bacino acquatico ornamentalenon significa semplicemente scavare una bucariempirla d’acqua, ed indiscriminatamente dipiante e pesci magari scelti a caso perché piace-vano più di altri, ma presuppone una conoscenzaed uno studio teorico e sperimentale costante.

Un bacino acquatico ornamentale, pur piccoloche sia è un complesso sistema in cui vivono instretta associazione una moltitudine di piante edorganismi animali che devono convivere e pro-sperare collaborando alla creazione di ecosistemiestremamente affascinanti e complessi, quantobilanciati ed equilibrati solo nel caso si studinoprima ed instaurino poi le giuste associazioni fraspecifiche piante ed i giusti organismi animali.

BIBLIOGRAFIA:

SLOCUM P.D. & ROBINSON P., with PERRY F., WaterGardening, Water Lilies and Lotuses, Timber Press

PERRY F., Collins Guide to Waterlilies and other aqua-tic plants, Collins

ROBINSON P., The Water Garden, The RoyalHorticultural Society Collection

ROBINSON P., Water Gardening, The Royal HorticulturalSociety Collection

Mario Brandazzi ha fondato e gestisce un vivaio spe-cializzato in piante acquatiche e bambù; collabora conriviste di settore.

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Fig. 3 - Fioritura di Ninfea,Nynphaea alba (foto O. Negra)

Fig. 4 - Fioritura di Nannufaro,Nuphar lutea (foto O. Negra)

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GIOVANNI AGOSTINI

Masse d’acqua ed effetti bioclimatologici

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Premessa

Per comprendere e pieno il significato del no-stro intervento e per valutare correttamente il mo-do con il quale l’elemento acqua partecipi al de-terminismo del clima di una data regione credia-mo che si indispensabile, anzitutto precisare lanatura della sostanza chimica nota come acqua.Questa sostanza chimica, caratterizzata dal pos-sedere una formula semplicissima, è in realtà unodei composti più complessi esistenti in natura. Bi-sogna ammettere che, nonostante i numerosi stu-di svolti al riguardo, non sono state ancora com-piutamente comprese l’insieme delle sue caratte-ristiche chimico – fisiche e la sua precisa strutturaspaziale.

In base alla formula chimica potremmo defi-nirla un ossido di idrogeno e, quindi, con una for-mula simile a quella di altri ossidi (potassio, cal-cio, ferro etc.).

Ma già a questo punto possiamo domandarciperché gli altri ossidi hanno una loro specifica na-tura solida o gassosa (Biossido di carbonio CO2mentre l’acqua, alo stato naturale, si trova indif-ferentemente come solido, come liquido o comevapore. Ricordiamoci subito questa netta precisa-zione: vapore non gas.

Se poi osserviamo alcuni prodotti dell’idroge-no, ad esempio quelli formati con gli elementi delVI gruppo osserviamo un altro paradosso, ossiache mentre la temperatura di ebollizione dimi-nuisce con il diminuire del peso atomico dellamolecola, l’acqua che dovrebbe bollire a – 80°Csecondo i calcoli teorici, presente invece uno scar-to incomprensibile e bolle a + 100°C. Ben 180°Cdi differenza fra quanto dovremmo attendere equello che invece ritroviamo.

Ecco un primo paradosso di questa sostanzaed ecco una prova che nella scienza è vero sol-tanto quanto è sperimentalmente misurabile, ve-

rificabile e riproducibile. Tutto il resto è filosofia.Se proseguiamo nella nostra ricerca vediamo

che di paradossi ne troveremo altri. Così emergecon chiarezza anche il fatto che l’acqua, pur es-sendo una sostanza a basso peso molecolare, sipresenta in condizioni normali di temperatura epressione sotto forma di liquido mentre altri com-posti talora con peso molecolare maggiore pos-sono trovarsi sotto forma di gas.

Dobbiamo quindi cominciare a farci qualchedomanda circa la reale natura dell’acqua.

Questo è si un ossido di idrogeno, con la for-mula

H – O – HMa la sua struttura non è lineare come per al-

tri ossidi, ad esempio l’anidride carbonica:O = C = O

Nella molecola idrica fra ossigeno e idrogeniil legame chimico si instaura secondo un angolodi circa 105°

O

H H

Che rende non complanari i due atomi di idro-geno rispetto all’atomo di ossigeno.

Da questa piccola anomali derivano tutte lepeculiarità della molecola che noi chiamiamo ac-qua, ma che, come vedremo, non può essere con-siderata la stessa cosa.

Una sola molecola infatti non è ancora “ac-qua” e tante molecole messe insieme non sonopiù o non sono soltanto una semplice somma dimolecole di H2O.

Infatti la molecola riportata negli schemi pre-cedenti consente all’ossigeno, elettronegativo, diatrarre verso di sé le cariche elettriche dell’idro-geno per cui, nella sua globale neutralità, la mo-lecola idrica può essere considerata come un di-polo nel quale prevalgono le cariche negative sul

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settore occupato dall’ossigeno e quelle positivein quello occupato dagli idrogeni.

La conseguenza inevitabile di una massa com-patta, a mo’ di gelatina, ma di ben precisi rag-gruppamenti di vita brevissima (10-10 – 10-11 sec.)in continua formazione <==> demolizione.

Tali strutture, per questo motivo, sono chia-mate “clusters flickering” o “grappoli tremolan-ti” se vogliamo tradurre il termine in italiano.

Una struttura più compatta si trova invece nelghiaccio, dove le molecole idriche si aggreganosecondo uno schema tetraedrico.

Tale struttura è la ragione ultima per cui ilghiaccio galleggia sulla restante massa idrica: èintuibile infatti che le maglie di una struttura cri-stallina occupino più spazio, a livello molecola-re, di un coacervo caotico. L’acqua gelando “cri-stallizza”, aumenta di volume e quindi diminuiscedi densità, galleggia.

Si potrebbe dire che sarebbe sufficiente questaragione per giustificare la vita sulla terra. Se ilghiaccio fosse più pesante e sprofondasse, tuttele acque sarebbero bloccate ai due poli e la vitanon potrebbe sussistere.

A questo punto siamo in gradi di farci qualchedomanda sulla natura dell’acqua che dovrebbe es-sere un gas, ma che un gas non è, che dovrebbealmeno essere un liquido o un solido e che inve-ce è una sostanza pseudo–cristallina o, se si pre-ferisce, a molecole orientate.

Non ci dimentichiamo che, finora, abbiamoparlato di acqua chimicamente pura. In realtà que-sto tipo di acqua non esiste anche perché l’acqua, per la sua natura di molecola a cariche elettri-che distinte o, come si dice a “dipolo”, è uno deipiù potenti solventi naturali per tutti i compostipolari. Tutto ciò che è polare di scioglie in acquae ne altera la struttura “cristallina”.

A titolo di esempio possiamo ricordare cosasuccede quando, ad esempio, l’acqua incontra ilcloruro di sodio. Questo, in soluzione, si scioglieimmediatamente in Na+ e Cl- in quanto la forzadi attrazione delle cariche possedute dall’acqua esuperiore alla forza del legame ionico che lega ilsodio al cloro. Questi due ioni di comportano inmodo antitetico. Il cloro si circonda di molecoleidriche con gli idrogeni (positivi) orientati versol’interno (B) mentre il sodio ha una disposizioneinversa (A).

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H H

O

HO

H

HO

H

O

H H

Na+

A) Sodio

H H

O

H

O

H

H

O

H

O

H H

Cl-

B) Cloro

Con questa lunga premessa, che forse per i piùesperti è eccessiva, ma che penso avvia un di-screto significato propedeutico per i “non addet-ti ai lavori” possiamo comprendere come le mas-se idriche siano in grado di modificare il clima diun determinato territorio.

Influenza dell’acqua sul clima

L’energia elettrostatica che “lega” le diversemolecole idriche è debolissima. Tuttavia, dato l’e-norme numero di legami presente tra le moleco-le, ne risulta un livello energetico incredibilmen-te elevato. Si pensi che per trasformare in vapo-re un grammo d’acqua sono richieste circa 580calorie e subito si comprende la funzione termo-regolatrice del sudore. Già da questo dato – mol-to approssimato e grossolano per ovvi motivi dischematizzazione – è facile valutare, l’effetto del-

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l’acqua sulle influenze climatiche, come vedere-mo tra poco.

Nel meccanismo dell’evaporazione il volanomotore è ovviamente il calore solare. La massaidrica totale a seguito di un adeguato apporto ter-mico, aumenta in proporzione la sua attività ci-netica e la sua attività di rotazione molecolare,con maggiore o minore influenza sulla vita mediadei clusters flickering. Se l’energia fornita è suf-ficiente le molecole idriche di superficie hannoun maggior margine di libertà ed è più facile cheriescano a staccarsi dalla massa sottostante sottoforma di vapore. Ogni molecola che si stacca siporta dietro la sua quota di energia necessaria perliberarsi, detta calore latente di evaporazione.

Si calcola che nell’atmosfera si trovino circa9600 km3 di acqua. Ogni grammo di quest’acquaha in dote le sue 580 calorie, che si liberano nuo-vamente nell’atmosfera quando l’acqua condensacome pioggia o cristallizza come ghiaccio (eccoperché quando nevica la temperatura si innalza).

Questa enorme quantità di energia potenzialeche prende il nome di entalpia agisce, da una par-te come sistema di stabilizzazione e, dall’altra,come volano termico accessorio (il principale ri-mane la radiazione solare) per tutto quanto si ve-rifica nella regolazione dei moti atmosferici.

Se confrontiamo la composizione media deiprincipali componenti gassosi dell’aria secca at-mosferica con le sostanze chimiche abitualmentepresenti nell’atmosfera si può osservare che il va-pore acqueo oscilla nella quantità di 1-4%. Si ri-corda che si tratta sempre di valori medi perchéesistono aree desertiche nelle quali il vapore ac-queo può essere presente in quantità vicine allozero e aree tropicali nelle quali si può raggiungerela saturazione.

Se facciamo un po’ di conti vediamo che lasemplice somma di azoto e di ossigeno rappre-senta circa il 99% di tutti i gas presenti. Il loro pe-so molecolare è, rispettivamente, pari a 28 perN2, e a 32 per O2 mentre l’acqua ha un peso mo-lecolare di 18.

E’ quindi evidente che, con l’aumentare del-l’umidità atmosferica diminuisca il peso e, quin-di, la pressione atmosferica della colonna d’ariasovrastante la regione. Ma un’area di bassa pres-sione è un’area di richiamo o se si preferisce,un’area temporalesca entro cui affluisce aria più

pesante e più fredda che provoca la condensazio-ne del vapore d’acqua e precipitazioni.

Le precipitazioni favoriscono la vegetazionela quale per traspirazione produce altro vaporeacqueo.

Si ricordi che un ettaro di bosco con centogrossi alberi immette nell’atmosfera circa 10 – 15milioni di litri di vapore acqueo per anno con unaproduzione primaria di circa 2 – 4 grammi di pe-so secco ogni litro d’acqua traspirata.

Da tutti questi dati si può dedurre una serienutrita di osservazioni.1. Un’area fittamente boschiva ha una maggiore

stabilità termica (giorno - notte, estate – in-verno, etc.).

2. Un ampio bacino idrico grazie all’alta capa-cità termica dell’acqua, svolge una funzionedi bilanciamento e impedisce freddi eccessivid’inverno e caldi eccessivi d’estate.

3. La diversa capacità di riscaldarsi dell’acqua ri-spetto alle rocce consente la formazione dibrezze che assumono diverse tra giorno e not-te in rapporto ai distinti gradienti termici ac-qua <==> terra.

4. La presenza delle brezze comporta una più fa-cile “detersione” dei polluenti atmosferici. Co-sì durante lo spirare di brezze di lago o di ma-re l’aria è priva di granuli pollinici o di aller-geni e il soggiorno può essere consigliatoanche a soggetti sofferenti di gravi BPCO(asma, etc.).

Le aree di costa come siti climatoterapici

Per tutte le ragioni prima elencate si com-prende come, almeno nel passato, avessero as-sunto grande importanza climatoterapica alcunelocalità costiere sia marine che lacustri.

Non crediamo opportuno approfondire tal ar-gomento che però merita qualche cenno, almenonei suoi aspetti più essenziali.

Climatoterapia marina

Sfrutta alcune caratteristiche dell’ambientequali ridotta escursione termica, temperatura me-dio mite in inverno e in estate, elevata insolazio-

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ne, aerosol ricco di elementi di grande rilievo bio-logico (iodio in primis, etc)

Si distingue un clima marino forte, tipico del-le spiagge oceaniche (coste atlantiche) o dell’a-driatico, specie in inverno, per la presenza di unaelevata ventosità e clima marino debole, tipicodelle spiagge versiliesi e della costa ligure, pro-tette dai venti del nord dalla presenza della bar-riera montuosa costituita dalle Alpi Apuane.

Clima lacustre

È un clima caratterizzato da grande stabilità eha effetti sedativi. Per tale ragione si consiglia insoggetti eretistici, ansiosi, negli ipertesi e nellariabilitazione dei cardiopatici (esiti di infarto).

Conclusioni

Era inevitabile, nel chiudere ili nostro incon-tro citare i due siti climatoterapici nei quali il fat-tore ambientale idrico assurge a elemento por-tante. Da quanto premesso, appare tuttavia evi-

dente che il livello igrometrico o, meglio ancora,dell’Umidità Relativa (U.R.), è pur sempre diestremo interesse nel definire la tolleranza o labontà climatica di un determinato ambiente.

Si pensi a quanto meglio si accettino climi cal-do-secchi o freddo-secchi rispetto a climi calo ofreddo umidi, si pensi alle estreme variabilità gior-no notte degli ambienti desertici per comprende-re le influenze esercitate da una idonea quantitàdi acqua presente nell’atmosfera. Il senso di be-nessere che si prova all’interno di un bosco tro-va giustificazioni diverse, come intensità e natu-ra del campo elettrico, purezza atmosferica, scar-sa ventosità etc. Sicuramente l’igrometria non haminore interesse e crediamo di non sbagliare seaffermiamo che la fortuna di Comano Terme, ol-tre che dalla sua fonte minerale, trae origine an-che dalla masse idriche dei laghi e delle forestedel Trentino.

Giovanni Agostini, medico e biologo specializzato inClinica Dermatologica e in Idrologia Medica, professoreAssociato di Terapia Medica e Medicina Termale è Di-rettore della Scuola di Specializzazione di Idrologia Me-dica dell’Università di Pisa.

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ROBERTO OMETTO

Moderni impianti d’irrigazione a pioggia

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L’acqua è un elemento fondamentale per la vi-ta e uno dei materiali più potenti che la naturamette a disposizione dell’uomo. Nella storia, tut-te le civiltà sono sorte e si sono sviluppate inprossimità dell’acqua. L’uomo fin dall’antichitàimparò ad irrigare per sopravvivere, affrontandoe risolvendo nuove problematiche e affinando pro-gressivamente le tecniche. Nelle piante è l’acquail vettore delle sostanze nutritive, come i glucidie i protidi.

Possiamo riconoscere nel processo che portaalla creazione di un impianto irriguo alcune fasi:

La prima fase è quella agronomica: si devo-no valutare le interazioni e i bilanci dell’acquanel terreno.

L’acqua è nel terreno ed è captata dalla pian-ta con processi osmotici e reimmessa nell’atmo-sfera con il processo della traspirazione. Tema de-gli studi preliminari è cercare di capire, con unostudio agronomico o quantomeno con l’analisi deidati statistici, come si può fare per mantenere unabuona dotazione d’acqua nel terreno, conserva-re l’equilibrio fra l’acqua che entra e l’acqua cheesce dal terreno per gravità, per traspirazione oper traspirazione diretta.

Conoscendo la tessitura del terreno si ha un’i-dea del suo comportamento nei confronti dell’ac-qua, in particolare sulle sue capacità di trattene-re o rilasciare l’acqua stessa.

La capacità media di perdita di acqua dal ter-reno nel nord Italia va valutata in 5 l/mq al gior-no. Questo può essere considerato come dato diriferimento per le superfici prative (ValoreET=Evapotraspirazione).

Nella seconda fase (progettuale) si approfon-discono scelta e posizionamento degli elementidell’impianto irriguo, di quei componenti che cipermettono di compensare la quantità di acqua ilterreno ha perso.

Conoscendo il bilancio idrico del terreno èpossibile stabilire l’apporto necessario evitandosprechi. Si deve inoltre valutare la distribuzioneottimizzandola e omogeneizzandola; questo aspet-to è solo apparentemente banale ma in realtà mol-to complesso. Gli irrigatori sono delle macchineche hanno curve di distribuzione che variano aseconda della distanza dal corpo dell’irrigatorestesso: materiali e posizioni vanno scelte con cu-ra dal tecnico in modo da distribuire l’acqua conla stessa intensità in tutte le zone irrigate, possi-bilità che è solo teorica, mentre in pratica è pos-sibile raggiungere indici di uniformità che arri-vano solo al 92-93%. Anche la distribuzione deisingoli irrigatori influisce sull’uniformità di di-stribuzione, per questo gli irrigatori vanno dispo-sti secondo geometrie collaudate. Le reti di ad-duzione vanno inoltre studiate ad hoc: la loro pro-gettazione è infine molto importante ai fini delladistribuzione.

La terza fase, quella dell’installazione, ri-guarda la scelta delle aziende fornitrici e instal-latrici. Al fine di perseguire un ottimo risultato sidevono preferire aziende specializzate e compe-tenti, adeguatamente attrezzate, che possano rea-lizzare tutte le fasi dell’installazione a partire da-gli scavi fino alla posa dei materiali ed ai reinterri.

La differenza fra un’azienda e un’altra si mi-sura sui mezzi e sui materiali. Dal punto di vistadei materiali specifici per l’uso irriguo (irrigato-ri, valvole, centraline) le diverse aziende si sonoallineate su standard elevati, con un notevole sal-to in avanti dagli anni ’60. Esistono produttori dilivello internazionale che sono dei veri e propricolossi in grado di tenere il passo con gli svilup-pi tecnologici.

Per la costruzione degli irrigatori si è passatidall’uso di materiali abbastanza discutibili comeil metallo, all’uso generalizzato di resine partico-

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lari non attaccabili da agenti chimico-fisici delterreno. I vecchi modelli a martelletto sono statisostituiti da irrigatori a motore idraulico, che pre-sentano una migliore distribuzione e maggioripossibilità di regolazione e velocità di rotazione,ottimali fra 2 e 4 giri al minuto.

Il mondo delle valvole si è evoluto e differen-ziato: esistono valvole a comando idraulico o elet-trico a seconda delle diverse esigenze.

Forse il settore dei programmatori è quello cheè più progredito negli ultimi anni. Sparito il vec-chio programmatore elettromeccanico è stata pro-dotta una enorme varietà di nuovi modelli elet-tronici che controllano la frequenza irrigua e laquantità di acqua emessa. Nuove centrali compu-terizzate sono in grado di controllare intere cittàvia modem o via radio. Questi sistemi sono mol-to evoluti e permettono di controllare i consumiper aree o per singole aiuole, arrivando al detta-glio delle singole valvole (p.e. è possibile risali-re ai guasti sui singoli settori irrigui). Brescia è unesempio noto.

Il mondo dell’irrigazione si compenetra conquello della distribuzione dell’acqua. I materialidelle tubazioni sono passati dall’acciaio zincatoai prodotti di sintesi, come il PVC e il Polietile-ne, materiale che viene utilizzato anche nella pro-duzione delle raccorderie, anch’esse miglioratenella loro qualità.

Dal punto di vista delle attrezzature si può in-fine affermare che è inutile pensare di arrivare aulteriori miglioramenti, in quanto gli standard at-

tuali sono già molto elevati. Si può invece pen-sare a lavorare, almeno in Italia, sul migliora-mento delle tecniche di progettazione e posa de-gli impianti. Il problema attuale non è quello didisporre di materiali di buona qualità, ma quellodi scegliere prodotti e tecniche appropriate ad ognisituazione.

In Italia non esiste una scuola d’irrigazione; lescuole di agraria non prevedono studi specifici.Si deve investire in formazione in modo da for-mare tecnici con nozioni teoriche ed anche prati-che su tutti gli aspetti che concorrono alla co-struzione di un impianto di ottima qualità ed ef-ficienza. Il settore dell’irrigazione deve elevarsialla stregua degli altri settori di impiantistica, co-me quello elettrico o quello dell’idraulica tradi-zionale.

In sede di Comunità Europea c’è uno studioper definire delle norme specifiche anche su que-sti impianti. Un miglioramento delle tecniche ir-rigue porterà anche al miglioramento della situa-zione dal punto di vista ecologico, consentendo dirisparmiare acqua ed elettricità attraverso una mi-gliore calibrazione e scelta delle pompe.

Nei prossimi anni si può quindi affermare chel’evoluzione nel settore dell’irrigazione sarà tesaal miglioramento della qualità di progettazione edinstallazione.

Roberto Ometto è responsabile del settore forma-zione della Prato Verde S.p.A.

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Finito di stamparenel mese di maggio 2002

dalla Tipolitografia TEMI - Trento

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