La zavorra

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Alessandra Murgia

La zavorra

© 2010 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Romawww.gruppoalbatrosilfilo.it

ISBN 978-88-567-XXXXX

I edizione giugno 2010stampato da Digital Team sas, Fano (PU)

Distribuzione per le librerie Mursia s.p.a.

La zavorra

A Sandro

AUTUNNo 1977

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I

Caterina desCrive un idiLLiaCo quadretto di vita famiLiare

mamma babbo e io a tavola cioè una scenetta raccapric-ciante una storia del tipo che se uno non ci conosce pensa che bella famigliola come si amano ah ah una di quelle cose da Famiglia Cristiana roba che il papa si svena eh già la mia mammina fregherebbe chiunque sembra gentile sembra brava brava solo noi la conosciamo bene solo noi lo sappiamo che lei è malata e indifesa

poverina non c’ha l’energia per amare gli altri l’amore lei se lo aspetta e basta non tira fuori nulla e arraffa ogni cosa è un buco nero degli affetti per esempio sono sicura che a babbo lo odia di lasciarlo però non se lo sogna nemmeno cioè figurati se si priva del piacere di rompergli i coglioni

s’inventa un sacco di malattie ha trovato il motivo perfetto per andarsene di casa cioè è tutta contenta che la ricoverano all’ospedale del resto la capisco manco io ci voglio rimanere a soffocare in quest’inferno per un po’ almeno non sentirò le cazzate che dice tipo «come ti sei conciata tuo babbo te li ha dati i soldi comprati vestiti normali» sì certo magari mi com-pro una gonnellina a pieghe e una camicetta

magari mi faccio anche la messa in piega è vero che mi ha dato un casino di soldi il mio bravo babbino per sistemare i suoi sensi di colpa ma ho deciso che li conservo cioè me l’hanno promesso che mi mandano a vivere a Cagliari a novembre però non si sa mai magari la pazza va definitivamente fuori di testa

meglio che c’ho il mio gruzzoletto voglio essere sicura che finisca questa storia allucinante di sedermi a tavola con loro due volte al giorno figurati che peccato non vedere la boccuc-cia laboriosa di mamma che mastica e mastica e non sentire i rumori schifosi che fanno «sclll mi passi il sale» «ffuush sciat sciat ne vuoi altra di carne»

fanno finta che siamo una famiglia normale come cazzo si fa a vivere in questo schifo a volte mi viene anche fame ma

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poi li guardo in faccia e mi passa alla fine non vedo l’ora di sentire quel sospiro squallido di soddisfazione che fa babbo almeno so che la tortura è finita spazzola tutto quello che vede l’ingorda e subito si svacca davanti alla televisione

ora è seduta sul letto con le mani infilate sotto le cosce caz-zo quant’è grassa non se ne accorge che la sto guardando se no non se la sbottonava la gonna fa cagare con quel tailleur ridicolo a quadri la giacca figurati non se la può neanche infi-lare ma se ne fotte

cioè di essere grassa e brutta che cazzo gliene frega lei per un piatto di gnocchi si vende l’anima al diavolo se ne frega Margheritina di come la vedono gli altri si crede il centro del mondo non si distrae mai dal suo corpicino cosa vuoi che sia un quintaletto di grasso il mondo può crollare e lei c’ha trop-po da fare a occuparsi di quella massa di ciccia dolorante

ascolta solo quello che le conviene si interessa solo di se stessa tutto il resto è una rottura di palle ora per esempio sta ascoltando le voci di babbo e di nonna che vengono da sotto stiamo per portarla all’ospedale e non c’è niente che le piace come vedere tutti che si rompono i coglioni per lei poverina Margherita che cazzo di nome le hanno dato se volevano un fiore Ortensia la dovevano chiamare visto che è una palla di lardo magari non sarà stata sempre così

magra però non è stata mai nelle foto non ce la fa manco a tenere le ginocchia unite se ne sta seduta aspetta e sospira la bella Margherita il fiorellino di casa non è mica scazzata anzi ci vuole andare all’ospedale figuriamoci un posto dove sono tutti a sua disposizione me l’immagino che se lo sogna come un albergo di lusso

infermiere che portano la colazione fumante e medici con-tenti di sentire i suoi sintomi poverina la malatina le sembra di andare in villeggiatura la cosa che le piace di più è che se ne sta-rà tutto il giorno coricata manco si deve vestire cioè niente bot-toni che stringono quella povera pancina malata cazzo quando c’ero io dentro sicuramente non si vedeva la differenza

chissà le porcate che mi rovesciava addosso da quella boc-caccia ingorda miracolo che non sono morta lo credo bene che mi sono venute le allergie sicuro che ci vomitavo lì dentro

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quando arrivavano malloreddus e salsiccia pesci arrosto e pa-tate fritte e poi casizzolu e sebadas e di qualche altro dolcetto non ne vorrai fare a meno però alla fine il dolce è nause-ante quindi meglio mangiare ancora casizzolu cioè la piccina c’aveva fame ma una fame ché poi incinta le dicevano «devi mangiare per due» ma cos’avrà capito per due reggimenti ora è tutta soddisfatta che va in clinica

l’ho visto il fotoromanzo che sta leggendo cameretta lumi-nosa fiori freschi sul tavolino e il dottore bellissimo che una si sente meglio solo a guardarlo la malata tutta languida se lo mangia con gli occhi però arriva l’infermiera bona che si spac-ca che peccato il bel dottore si distrae dalla malatina porca puttana vedi che non serve a niente essere magra

magari arriva una lurida stronza che è più bella di te dev’es-sere proprio così che ha pensato la mia mammina che tanto di magre era già pieno il mondo e quindi non conveniva ri-nunciare a tutto quel ben di dio e via a masticare chissà se c’ha pensato che all’ospedale mica te li danno i calamari fritti e le sebadas manco un’aragostella per consolarsi di questo figlio di troia del dottore che le infermiere se le scopa tutte

vabbè pazienza le infermiere vanno e vengono ma la più im-portante è sempre lei il fiorellino nei suoi sogni se la coccolano tutti di sicuro pensa che in ospedale la tratteranno meglio di noi ieri gliel’ho detto «mica è sicuro che guarisci» ma non mi ha ascoltato ha fatto così con la mano come se fossi una mosca

io per lei sono un insetto le ho sempre dato fastidio an-che quando ero piccola glielo chiedevo «perché mi hai fatto nascere» ora non gliela do più la soddisfazione tanto sono sicura che pensa «sei tu che sei venuta a seccarmi» non c’ha il coraggio di dirmelo però aspetta solo che mi levo di torno sai che dispiacere il giorno che li potrò mandare affanculo tutti quanti e lei per prima

vedrai vedrai che sorpresina Margheritina bella quando ti accorgerai che all’ospedale non è tutto rose e fiori e non ti passa il mal di pancia né i reumatismi né l’insonnia né la brutta voglia e soprattutto resterai brutta e grassa come ora vedrai che il bel dottore non ti degnerà neanche di uno sguardo ti vorrò proprio vedere e la colpa non la potrai certo dare a me

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da sotto si sente la voce di babbo che mi chiama il mio bel babbino «che bono» ha detto un giorno Giovanna «che bono tuo padre» non sapevo se essere fiera o incazzarmi cioè quel-la cretina faceva un sacco di mossette «signor Giuseppe brrr mrrr» come una gattina faceva con babbo mio per poco non le cavavo gli occhi però c’avevo solo quindici anni

adesso non me ne frega più un cazzo di lui cioè è un porco maschio sciovinista come tutti gli altri magari a volte è un po’ meglio cioè alla fine è buono o sembra soltanto non lo so questa cosa qui la devo ancora decidere cioè è con me che fa il buono e magari con le donne è un merdoso però a sopportare mamma manco un santo e quindi magari è davvero buono e poi chi lo sa cos’è la bontà egoismo camuffato a coprire la voce dolce del mio babbis ci pensa quella strega di nonna

lei non te lo metti certo il dubbio se è buona quella carogna ritorna nella fogna che è proprio il posto giusto per una fasci-sta come cazzo si fa a essere fascisti nel 1977 una dev’essere proprio nata stronza cioè lei parla da fascista e si comporta da fascista e si veste da fascista con quel tailleur di gabardine blu e le décolleté sembra che c’è nata coi tacchi

mi cago dalle risate a vederle come scendono le scale la vec-chiaccia che sorregge il fiorellino di casa ma cosa sarà mai pesa solo un quintaletto scarso si guarda i piedi ce li ha gonfi che stanno per scoppiare le scarpe sorride la stupida magari pensa che all’ospedale le fanno i piedi da geisha finalmente siamo pronti a partire

babbo ha acceso il motore cioè la puzza si sente in tutta la casa minchia quanto la odio quella macchina lui invece è tutto orgoglioso della sua giulia milletré che borghese ma guarda se mi doveva toccare una famiglia così la giulia milletré che caz-zo gli sembrerà wrroom wrroom a sentirla fa la faccia conten-ta anche la mia adorata mammina vedrai come le passa quel sorrisino ebete lo so io che effetto le fa il viaggio la piccina soffre il mal d’auto eh eh comunque per ora è tutta contenta chissà che cazzo le passa per la testa

magari una cosa tipo «meno male che mi sto allontanando da questa famiglia di merda» sorella non è che mi piace più di quanto piace a te questo passa il convento siamo quattro

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estranei che si stanno ficcando in una scatola puzzolente per un’ora e mezzo sono cazzi acidi si sa che gli spazi stretti fa-voriscono l’aggressività te l’immagini i titoli MASSACRA LA FA-MIGLIA E SI ToGLIE LA VITA ecco un buon argomento per i pensieri del viaggio

chi sarà l’assassino il movente non manca a nessuno per esempio Margheritina bella UCCIDE IL MARITo LA FIGLIA E LA MADRE figurati no no non funziona vigliacca com’è il san-gue le fa orrore poi è inetta mica ci riuscirebbe a ucciderci nonna invece ce la vedo proprio non la sopporta più la figlia che si ammala per farle dispetto

il genero rozzo che non si sa comportare a tavola e la nipote fricchettona e comunista SETTANTENNE PERDE LA TESTA E FA STRAGE DELLA FAMIGLIA anche babbo però non sarebbe male non lo scoprirebbero mai che non era un incidente chi se l’immagina che non ce la faceva più a scoparsi la moglie obesa e a sopportare la suocera cagacazzo sempre in mezzo ai piedi che gli ha rovinato la vita

la figlia magari non l’avrebbe manco ammazzata però decide di buttarsi con la macchina in un burrone e pazienza se ci passa pure lei FAMIGLIA STERMINATA: L’AUTo FINISCE IN UN CRE-PACCIo comunque alla fine sono io quella che c’ha le ragioni mi-gliori cioè chi non la capirebbe una che la mamma non l’ha mai voluta poi il babbo borghese con l’amante e la giulia milletré

per non parlare della nonna fascista SI ACCANISCE SUL CA-DAVERE DELLA NoNNA eh eh ma prima di ammazzarla glie-lo direi proprio quanto la odio questa stronza insomma ci potrebbero campare un anno intero i giornali coi risvolti di questa faccenda e vuoi che non tirano fuori il caldo terribile si sa che la gente stressata col caldo va fuori di testa e via con la sociologia da tre soldi non c’è più famiglia non c’è più religione

ogni tanto scuoto la testa perché i miei capelli a nonna le danno ai nervi e magari dopo confessa il vero motivo UCCIDE LA NIPoTE: ERA TRoPPo SPETTINATA poi faccio tirate lunghe dalla sigaretta e le mando il fumo addosso mentre babbo ca-rica i bagagli ci guardiamo in cagnesco cioè loro mi guardano io no dio quanto mi fanno schifo

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non voglio neppure che se ne accorgano del mio odio mi ac-cuccio nel sedile di dietro e figurati se va tutto liscio cioè mam-ma e nonna cominciano a litigare «vado io dietro» «no vado io» naturalmente la spunta la vecchiaccia lei è sempre la più cazzuta «non lo soffro Io il viaggio» si capisce che per lei soffrire il viag-gio è un’indecenza e una mancanza di volontà e una cosa vol-gare cioè un difetto che si aggiunge agli altri di mamma come l’ingordigia e la pigrizia quindi afferra la sua adorata figlioletta le dà uno strattone al braccio e si sistema dietro a fianco a me non ti dico che scialo però è sempre meglio che rischiare di farmi vomitare addosso la pago cara però

comincia subito a rompere i coglioni «come ti sei vestita fumi come una turca quando ti deciderai a tagliarti quella zaz-zera» belli i suoi capelli azzurrini se li cotona per farli sembra-re molti cioè è quasi pelata lo so io come farla girare dall’altra parte cioè basta fumarle in faccia nel frattempo babbo cerca una stazione alla radio

non si rassegna di sicuro vorrebbe coprire questa voce da cornacchia però niente così ce la becchiamo per una mezz’ora buona mi fa venire in mente esperimenti nazisti tipo asportar-le le corde vocali e poi torturarla e finalmente il colpo di sce-na che stavamo aspettando cioè siamo fermi perché mamma deve vomitare il mezzo quintale di colazione la mia adorata nonnina le tiene la fronte è piegata in avanti coi piedi lontani figuriamoci le décolleté di capretto macchiate di vomito

non c’ero mai entrata in questo ospedale sembra una chiesa con le colonne e il portico c’è pure uno che chiede l’elemosina dentro è bellissimo con gli anditi rotondi quando avrò la mia casa li voglio rotondi gli anditi e anche le stanze tutto roton-do voglio però se vado a vivere in una Comune chissà come saranno i muri vabbè pazienza anche se non saranno rotondi quando faremo la rivoluzione sarà ugualmente una figata

nonna cammina a passo di parata sembra la padrona ferma un’infermiera «voglio parlare col dottor Lecis» la poverina mica la conosce cioè lei non lo sa con chi ha a che fare «dica pure a me signora» non lo sa che s’incazza se le rispondono a tu per tu e infatti ringhia «mi faccia la cortesia» l’infermiera si spaventa «ma

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non so se la può ricevere» la stronza diventa paonazza se c’ho un po’ di fortuna magari le viene un infarto e crepa qui nell’andito rotondo dell’ospedale invece tira fuori il suo asso dalla manica «mi riceverà gli dica che c’è la signora Eugenia Tedde di Tulesu»

un piscio la faccia di quest’infermiera secondo me l’ha presa per pazza non lo so se va a chiamare il dottore oppure quelli del reparto psichiatrico nel frattempo la generalessa si affaccia in una camera e si mette la mano davanti al naso quel nasino nobile e affilato chissà se se lo copre anche quando caga alza gli occhi al cielo «sembra un lazzaretto» babbo le risponde «è un ospedale gente sana non ce n’è»

le fa schifo respirare la stessa aria di quelle donne «chissà da quanto non si lavano mica ce la lascio mia figlia in mezzo a questa gente meno male che ci sono le camere a pagamento» ma chi cazzo si crede spero che prima o poi si ammali davve-ro e che non ci siano camere a pagamento allora sì che verrò volentieri a vederla in mezzo alle puzze e ai rumori

sono sicura che mamma sarebbe più contenta di stare con altra gente in camera ma tanto non decide lei il sorrisino ebete comunque non ce l’ha più eh eh certo l’ospedale non è come nel fotoromanzo la sistemano in una cameretta che sembra l’infermeria di una caserma col pavimento vecchio e una brandina di ferro di fiori neanche l’ombra comunque si corica subito e fa finta di ascoltare nonna che parla col dottore ma io lo so che sta pensando «a che ora si mangia in questo posto»

babbo dà soldi all’infermiera e quella li prende cazzo se li prende con quelle unghie smaltate sembra un rapace alla fine rimaniamo da soli la sacra famiglia riunita sai che spettacolo naturalmente non abbiamo niente da dirci dalla faccia di mam-ma si capisce che è la più contenta quando ce ne andiamo

dal finestrino vedo la gente per strada dev’essere una figata vivere qui per esempio non ti conosce nessuno e non devi sa-lutare nessuno però quei due ragazzi abbracciati si capisce che sono compagni hanno l’aria tenera dio come mi piacerebbe farmeli amici

chissà se mi rispondono a un ciao con la mano che figura di merda vabbè magari stavo salutando uno dietro di loro vaf-fanculo vaffanculo non ci voglio tornare in paese mi viene

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da gridare se penso alle giornate di merda che mi aspettano meno male che non sarà per molto cioè solo fino a novembre nel frattempo nonna e babbo stanno già litigando

la voce della cornacchia copre anche il motore «l’accontentate in tutto la dovevate mandare in collegio» ma io lo so che il mio babbis se una cosa l’ha promessa la mantiene figurati se me ne andavo in un collegio cioè le suore devono essere tutte come nonna non sta zitta un attimo «non ce la fa a vivere da sola» levatelo dalla testa vecchiaccia schifosa vedrai se ci riesco

mi secca solo che non può vedere il ghigno che le faccio ormai è partita e non la finisce più «poteva almeno andare da mia sorella» la faccia di babbo non la vedo ma me l’immagino cioè guance gonfie e occhi al cielo allucinante figurati cosa dev’essere vivere con quella tirchiaccia lagnosa di zia Assunta

babbo mi fa l’occhiolino dallo specchietto peccato che è borghese e ho deciso di non cagarlo altrimenti lo abbraccerei ogni tanto le risponde non lo capisce che parlare con questa strega è fiato sprecato alla fine non li ascolto più mi metto a guardare dal finestrino cazzo che schifo è tutto secco e polve-roso coma farà certa gente a piacergli la campagna

allucinante come le gite che facevamo da bambina tipo con la merda di bue e gli insetti uno schifo questo vecchiume la gente in paese è arretrata lo so che non sono pensieri da compagna cioè la rivoluzione la faremo anche con i contadini però mi sem-bra impossibile questi non sono mica come i contadini cinesi ci sono cresciuta in mezzo a loro tutti democristiani bigotti

mica me l’immagino in marcia verso l’avvenire le donne sono anche peggio tutto il giorno a pulire e cucinare sfornano un sacco di figli che diventeranno stronzi come i padri sono schiave e sono contente su quelle lì non c’è da contarci né per la rivoluzione né per la liberazione della donna quando ci sarà la dittatura del proletariato saranno cazzi acidi cioè chi glielo spiega che non possono più sfilare con gli stendardi appresso alla statua di sant’Agata niente via crucis e novene e tutte le altre stronzate

si dovranno rassegnare bisognerà fare la rieducazione per trasformare tutti in veri rivoluzionari magari quando saranno rieducati ce la farò a sopportarli c’ho provato una volta con

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Cesarina ma quella si è fatta la croce ed è scappata ci penserà qualcun altro a farli diventare comunisti io me ne voglio solo scappare cioè torno quando saranno tutti compagni anche nonna che figata vederla con la giacchetta azzurra

io la conosco bene mica ce la fanno a rieducarla davvero farà solo finta di essere compagna comunque sarà lì in mezzo agli altri col libretto rosso a cantare il sole dell’avvenire sotto sotto c’avrà il voltastomaco comunque dovrà stare zitta e allo-ra potrò tornare in paese per esempio ci saranno le assemblee contadine chissà io che cosa sarò diventata non so bene nean-che se si potrà parlare il sardo cioè non capisco se è una cosa rivoluzionaria parlare in sardo cioè spero di no perché a me mi fa tristezza e mi ricorda questo schifo di vita paesana

appena siamo arrivati me ne scappo in camera mia cazzo viene male pensare al futuro in questa merda di stanza col copriletto di lana fatto a mano i cuscini ricamati i libri di fiabe le bambole e tutte le altre stronzate di quando ero piccola al-lucinante non ce la faccio a immaginare l’avvenire comunista qui me ne sono fatte di notti piangendo

se mi affaccio alla finestra non è meglio cioè galline e alberi di limone minca una non è che se lo può dimenticare di essere in una bidda sperdia chissà quei due compagni che ho visto a Cagliari sicuramente loro se ne vanno insieme abbracciati anche di notte nella strada dove non li conosce nessuno non sanno nemmeno che io esisto porca puttana questa cosa mi fa venire da piangere perché sono sola cioè sarebbe una figata uscire di notte al buio una si sente anche più libera invece qui adesso c’è un sole accecante

la piazza è deserta con questo caldo appiccicoso passa anche la voglia di respirare magari se apro entra un po’ d’aria cazzo che schifo un odore allucinante tipo una cosa unta o una carogna lontana è pieno di cartacce di sputi e di merde di cane rinsecchite non è che se tengo la finestra chiusa è meglio in questa casa c’è sempre odore di cucina o è pesce o è carne dalla mattina presto pensano solo a man-giare anche per quello mi tocca rinchiudermi in camera mi viene l’angoscia soprattutto di notte con le ombre delle bambole e tutte le altre merdate

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prima di cena è venuto Graziano non è che gli voglio bene perché è mio cugino cioè me l’ha insegnato lui che per i co-munisti i legami di sangue non contano quindi voler bene ai parenti è una cosa borghese infatti lui a suo padre lo odia per-ché è democristiano uno che ha fatto politica da quando era giovane cioè praticamente è un fascista anche se non lo dice prima l’hanno fatto sindaco e poi assessore regionale sempre grazie al clientelismo tanto i democristiani fanno tutti così

è già due volte che tenta di farsi eleggere alla Camera ma lo trombano sempre gli sta bene perché è attaccato al potere e l’unico interesse che vuole tutelare è il suo e dei ricchi come lui ogni domenica se ne va in piazza la gente lo ferma sembra un mafioso è grassissimo cioè è costretto a usare le bretelle perché cinture della sua misura non ne fanno però lui si crede elegante nonna dice che da giovane era un bel ragazzo

dev’essere per quel motivo che zia Ida se l’è sposato stronzo dev’essere stato da quando è nato cioè la tratta da schiava le dice «sei una stupida» che poi questa cosa è anche vera infatti lei fa una faccia mogia e se ne torna zitta in cucina a zia Ida la lascia in paese figurati a Cagliari c’avrà sicuramente l’amante nonna dice «sarà elegante non sarà sciatta come sua moglie» però da lei si fa servire fino ai piedi

la domenica riceve la gente che va a chiedere raccomanda-zioni di sicuro non ci vanno i compagni della sezione loro il voto non gliel’hanno promesso mai li odia i comunisti zio Sal-vatore «quelli obbediscono solo al partito a mio figlio gli han-no fatto il lavaggio del cervello con la rivoluzione da quando era ragazzino se lo portavano in quello sgabuzzino puzzolen-te a imbottirgli la testa me l’ha fatto a sfregio quello stronzo di Peppe Mura sotto i ritratti di Marx di Lenin e di Stalin si crede il prete sotto la Santa Trinità»

quando passa davanti alla sezione sbircia per vedere se c’è Graziano e gira la faccia se vede uno dei suoi braccianti sem-mai gli secca licenziarlo cioè quando comincia a parlare di questa cosa non la finisce più gli sale la pressione al pensiero che Graziano quando sarà morto lui regalerà tutto al Partito

magari a furia di arrabbiarsi gli verrà un infarto grasso com’è meglio sarà anche questo merito del Partito cioè un

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democristiano in meno quando ero più piccola uscivo con Graziano e nonna si incazzava da morire passeggiavamo presi a braccetto mi dava un sacco di consigli «stai attenta con la famiglia che c’hai rischi di diventare una piccolobor-ghese di merda» infatti lo devo a lui se sono una compagna

mi ha spiegato tutto quell’estate quando andavo ancora in chiesa cioè che dio non esiste e la religione è l’oppio dei popo-li e tutte le porcate che ha sempre fatto la chiesa fra cui quella di rincoglionire le povere donne come sua madre per farle rimanere suddite dei mariti all’inizio non capivo un cazzo cioè mi ero convinta che zia Ida era una proletaria oppressa

Graziano mi ha fatto capire un casino di cose quell’estate tipo che zia Ida non è proletaria visto che c’ha la domesti-ca quindi è una borghese di merda pure lei però è oppressa dal marito chissà perché non divorzia ora che c’è la legge si potrebbe liberare di quel marito testa di cazzo certo che in Cina non ce ne sono di donne oppresse il compagno Mao dice che le donne sono l’altra metà del cielo perciò dove c’è il comunismo non ce ne sono donne oppresse del resto non ci sono neanche le casalinghe cioè lavorano tutti nei campi o in fabbrica

Graziano parlava sempre male del babbo «è un servo del sistema non sa prendere neanche una vanga in mano» infatti viene male a immaginarselo zio Salvatore che si inchina gras-so com’è magari se fosse proletario sarebbe magro però se ci penso zio Pietrino quello che vive nelle case popolari è gras-sissimo pure lui comunque Graziano anche se è magro mica ci va a zappare e tutto il resto ma in fondo lui non è ricco perché tutta l’azienda è di zio Salvatore e quando sarà sua la regalerà sicuramente al Partito

quest’anno si è comprato la cinquecento e babbo l’ha preso in giro «che razza di comunista sei che ti compri la cinquecen-to» ma Graziano c’ha sempre la risposta giusta beato lui «es-sere comunisti non vuol dire essere francescani» se ci penso che a quindici anni ero innamorata di Graziano che vergogna mi sembrava un gran figo c’avevo la paranoia che si sposasse mi sembrava vecchio cioè lui c’ha cinque anni più di me lo di-ceva sempre «mi sposo una compagna e la porto a vivere nella

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Comune» è per quello che sono diventata comunista cioè mi volevo sposare con lui sognavo che ce ne andavamo a vivere insieme nella Comune

mi sembrava ovvio che i comunisti vivono nella Comune e Graziano mi spiegava che lì si vive tutti assieme si lavora si studia e si discute io me la figuravo come la colonia tranne che in colonia eravamo tutte femmine e non discutevamo di un cazzo un giorno in sezione Graziano ha detto questa cosa qui della Comune e Francesco Maria Ghisu non era d’accordo «sei matto io a mia moglie a dormire in mezzo agli altri uomi-ni non ce la porterò mai»

Graziano non gli ha risposto ma quando se n’è andato si è messo a ridere «non capisce un cazzo perché è vecchio chi vuoi che gliela tocchi quella racchia di sua moglie c’ha pure i baffi» non gli piaceva a Graziano se non eri d’accordo con lui io non volevo che pensasse che sono piccoloborghese così certe cose mi vergognavo di dirgliele tipo che a me dormire nella camera con altra gente mi fa schifo

l’ultima volta in colonia mi sono ammalata per farmi man-dare nell’infermeria minchia se non cambio non sarò mai una vera compagna ne ho fatti già di progressi però da quell’an-no ero sempre preoccupata che Graziano non mi volesse un giorno gli ho chiesto «come fai se t’innamori di una che co-munista non è» ma lui pensava in un modo tutto diverso da-gli altri «macché l’amore è una cosa borghese di quelle che ti distolgono dalla lotta di classe»

per quello non gliel’ho detto mai che lo amavo comunque alla fine aspettando la rivoluzione una moglie se l’è presa Gra-ziano cioè Mirella non è proprio comunista però è figlia di un compagno e se l’è portata a casa della mamma si sono sposati in chiesa se no la mamma di Mirella ne moriva di crepacuore e hanno pure battezzato il bambino

il giorno del battesimo il più contento era zio Salvatore c’ave-va un sorrisino me l’immagino cosa stava pensando «da grande lo faccio diventare democristiano il bambino per pareggiare i conti con Marx con Lenin e con Peppe Mura» ero un po’ scema quell’estate si capisce dalle foto c’avevo i capelli corti e mi met-tevo le magliette a righe allucinanti che mi comprava nonna

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adesso Graziano mi sembra diverso insomma anche se c’ha i capelli lunghi e la collanina è sempre biddaio cioè ha la cami-cia stirata e gli scarponi lucidi fa discorsi come babbo magari non ci pensa più alla lotta di classe devo scappare da questo posto cioè se rimango qui mi contagiano e mi fanno diventare piccoloborghese come loro

quando sarò a Cagliari potrò uscire di sera cioè non è che sarò felice neanche lì ma almeno potrò parlare con qual-cuno magari mi viene da piangere anche lì però almeno ci saranno i compagni che mi capiscono sempre meglio di sentire Graziano che parla di pascoli con babbo cioè io pri-ma di diventare come lui mi ammazzo non se ne dev’essere mica accorto di come è cambiato certo la vita borghese è subdola ti si appiccica addosso cioè vivere così è pure co-modo poi dopo alla rivoluzione non ci pensi più e alla fine non hai più speranze

magari dopo la rivoluzione dovranno rieducare anche Gra-ziano certo i borghesi non ne avranno voglia all’inizio di es-sere rieducati cioè serve apposta la dittatura del proletariato mica viviamo tutti felici e contenti come nelle fiabe tipo quan-do ero piccola che credevo tutti sono buoni tutti si vogliono bene non lo sapevo che i borghesi sono coglioni

all’inizio mi immaginavo che li mandavano in un posto tipo colonia estiva anzi mi sembrava già una punizione esagera-ta farli dormire tutti insieme l’ho capito dopo che quando la classe operaia avrà conquistato il potere bisognerà impedire con ogni mezzo che le forze controrivoluzionarie prendano il sopravvento

bisognerà anche costringerli a studiare Marx Lenin e Mao e basta pure perché poi tutti gli altri o sono revisionisti o sono traditori o tutt’e due le cose ma mi fa incazzare che mentre la rivoluzione ha bisogno di tutte le energie io sono costretta a stare seduta a sentire i rumori che fa babbo quando succhia una testa di pesce poi si meravigliano che non mangio

io la fame ce l’ho anche però la soddisfazione di vedermi in-gozzare come loro non gliela voglio dare cioè mica voglio di-ventare anch’io borghese come Graziano ne dice di stronzate

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con quell’accento biddaio figurati i compagni di Cagliari chi sa che cosa penserebbero a vedere i parenti che c’ho vedrai che alla fine sarà pure una fortuna che sono nata in paese così nes-suno la conosce a Cagliari la mia famiglia

voglio diventare amica di compagni tipo quelli che ho visto abbracciati nella strada cioè gente con le idee chiare meno male che non lo sapranno mai come viviamo mi vergogno dei miei parenti anche se nonna non ce l’ha l’accento di qui cioè lei le “elle” non le raddoppia di sicuro però è la più stronza di tutti

non è come quella gente che glielo devi indovinare il fa-scismo non lo nasconde per niente tipo ieri alla tele stava-no dando un film western Graziano non li sopporta i film americani «gli americani sono bastardi guarda cos’hanno fatto agli indiani» e nonna gli ha dato ragione «è vero quelli sono specialisti a impicciarsi a casa degli altri anche a casa nostra se non arrivavano loro la guerra la vincevamo gli indiani sono selvaggi come gli abissini che si ammazzavano gli uni con gli altri invece gli americani sono furbi come gli inglesi»

lei ce l’ha sempre con questa Albione che è perfida li odia più di tutti gli inglesi «loro l’impero ce l’avevano ma a noi non ce l’hanno voluto lasciare con la scusa che non eravamo de-mocratici si sono alleati con gli americani che sono invidiosi perché loro non hanno la nobiltà» mi fa cagare quando dice «i soldi non contano se c’è la nascita» però per la vita che vuole fare lei i soldi servono eccome e però alla fine odia abbastanza pure gli americani «sono repubblicani per forza da dove se lo toglievano il re quelli discendono dai galeotti e dalle prostitu-te si vede da come si vestono tutti come i cau boi sembrerà un’altra cosa detto così ma sempre pastori sono e vogliono farci vestire pure a noi con quei pantaloni da pastori»

deve averlo letto su “Selezione Reader’s Digest” che i jeans li portavano i cowboy quando comincia a parlare non la smet-te per un’ora «non si sono accontentati di portarci via l’impe-ro ma hanno convinto anche i ragazzi delle migliori famiglie a vestirsi come pastori e ora saranno soddisfatti perché non sanno neppure cos’è l’eleganza»

babbo non lo capisce quanto sono imperialisti e fascisti gli U.S.A. ogni volta ci prova a difenderli «ci sono anche americani

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eleganti» ma lei non la zittisce nessuno «non saranno contenti finché non ci metteremo tutti quanti i gins ma io morirò pri-ma» mica se l’immagina che si dovrà mettere la divisa della rivoluzione altro che décolleté di capretto deve avere sempre l’ultima parola lei «ci vogliono guastare la razza tanto loro da guastare non c’avevano niente si accoppiano anche con i negri e i figli non si capisce neppure di che colore sono noi ci sia-mo andati in Africa ma nessuno ci pensava ad accoppiarsi coi negri magari qualche soldato l’avrà anche fatto ma rimaneva tutto lì poi dopo non è che i negri comandavano»

fa questi discorsi deliranti che uno non sa manco cosa ri-spondere su una cosa sono d’accordo lei e Graziano cioè quando lui parla contro i sionisti lei si scatena «agli ebrei non gliel’ha fatto fare nessuno di venirsene a casa nostra a tramare loro sono scaltri del resto i banchieri sono tutti ebrei e poi dicono che sono italiani ma dopo tanti anni allora perché se ne ricordano ancora che sono ebrei non si capisce perché se uno è venuto duemila anni fa dalla Francia i discendenti ora non dicono mica siamo francesi e invece gli ebrei si sentono sempre ebrei quindi sono loro in torto si vogliono sempre di-stinguere devono avere qualche scopo nascosto sono potenti e sono alleati degli americani nobiltà non ne hanno neppure loro perché sono i discendenti degli assassini di Gesù perciò sono diventati amici degli americani che sono i discendenti dei malfattori e delle prostitute sono tutt’e due ricchi e tutt’e due rozzi sono invidiosi verso chi ha un po’ di civiltà maga-ri non sarà stato giusto ammazzarli» però sembra dispiaciuta che ne abbiano lasciato abbastanza per raccontarlo

lei è proprio reazionaria cioè morirebbe prima di vedermi sposata con un negro non è come mamma che per un piatto di lasagne mi cederebbe all’ultimo degli africani peccato che a Cagliari di negri non ce ne sono se no me lo cercavo apposta uno per farla crepare quella cornacchia a Graziano comun-que non gli fa piacere essere d’accordo con una fascista «gli ebrei sono stati vittime della mostruosa ideologia nazifascista però anche il compagno Stalin ha dovuto contrastare i loro complotti controrivoluzionari» minca che sfiga essere nata in questa famiglia

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io avrei voluto una famiglia contadina come quella di olmo in “Novecento” mi sarei seduta volentieri a tavola e sicuramente sarei stata una proletaria affamata magari mi sarebbe piaciuto pure il minestrone cioè di proletari come quelli di “Novecento” non ne ho conosciuto mai per esempio Gesuino quello che guarda le bestie di babbo c’ha puzza e non sa l’italiano cioè non capisce un cazzo della lotta di classe figurati a babbo lo chiama «su meri» insomma qui non ce ne sono comunisti veri

poi se una vuole uscire di sera non è come a Cagliari comun-que meglio che restare a casa con babbo e mamma quindi ci vado con Graziano e Mirella a ballare nel cortile del cinema qui operai non ce ne sono tutte coppiette con queste musi-che allucinanti cazzo se mi vergogno le ragazze sono sedute e aspettano che le invitino io rimango in piedi così non mi caga nessuno del resto quelle sono tutte attillate invece io c’ho la gonna lunga e il gilè di babbo

però alla fine sono stanca meno male che c’è Venanzio così mi siedo vicino a lui almeno è un compagno anche se è noioso cioè mi sta sempre appiccicato senza dire niente che gli piaccio si capisce da come mi guarda a dire una frase impiega più di mezzora si imbarazza e diventa rosso mi fa pena come si muo-ve con le braccia troppo lunghe alla fine non è manco brutto però si veste tutto attillato non sembra neppure un compagno

se ne rimane zitto con i gomiti appoggiati sulle ginocchia allucinante è da un’ora così e non ha detto neanche una paro-la mi tocca fumare un casino di sigarette è angosciante avere uno che ti fissa sembra che aspetti qualcosa sbuffo il fumo per fargli capire che mi sto scocciando finalmente si alza l’avrà capito che preferisco restare da sola invece non ha capito un cazzo mi guarda tutto rosso «balliamo»

merda alla sprovvista dico di sì cazzo meno male che i com-pagni di Cagliari non lo vedono come mi prende la mano che paranoia magari domani Graziano mi piglia per culo per fortuna non c’è tanta luce Venanzio comincia subito ad acca-rezzarmi la schiena cioè c’ho il cuore in gola mi secca dirgli di smetterla semmai pensa che sono una bigotta e poi alla fine mi piace anche questa storia delle sue mani grandi e calde nella schiena e nel collo

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che paraculo zitto zitto sta facendo finta di niente gliela sen-to questa frenesia strana come strofina la guancia sulla mia cazzo mi guarda negli occhi che vergogna cioè mi secca se capisce che è la prima volta magari mi innamoro di Venan-zio macché questa cosa è impossibile però non voglio che smetta merda la sta contagiando pure a me la frenesia e mi bacia cazzo non mi conviene scappare cioè non ho mai bacia-to un ragazzo almeno quando bacerò un compagno a Cagliari non sarà la prima volta comunque baciare è una figata cioè una specie di dolcezza che non si vorrebbe interrompere mai invece da bambina guardando i film pensavo «minchia che schifo la bava»

ci siamo un casino di tempo appoggiati al pilastro a baciarci mi vengono un sacco di scemenze in testa tipo che magari adesso Venanzio è il mio ragazzo figurati hanno acceso le luci e siamo ancora presi per mano io comunque lo bacerei ancora anche se al buio sembrava grande e forte invece alla luce è sempre il solito Venanzio

gli vedo quella faccia speranzosa cazzo si starà immaginan-do che ora sono la sua ragazza ma io c’ho altri programmi da domani non lo cago più non mi faccio mica fregare dev’esse-re così che si comincia a diventare piccoloborghesi cioè baci qualcuno di paese e ti dimentichi tutti i progetti che avevi fatto per il futuro come ha fatto Graziano ma io non la voglio fare quella fine

quando c’avrò un ragazzo sarà sicuramente un compagno vero chissà dove andrò a vivere magari in una città tipo Bolo-gna sì mi piacerebbe lì sono tutti compagni quando ero picco-la dicevo «da grande faccio il dottore e non mi sposerò mai» nonna si metteva a ridere «vedrai che ti sposi tutte le ragazze si vogliono sposare» babbo invece era contento «brava fai il dottore e non sposarti così rimani sempre vicino a me»

dopo a quindici anni pensavo di andare a vivere con Gra-ziano nella Comune ora non lo so più neanche se mi sposo cioè se è un matrimonio comunista va bene certo non una di quelle merdate allucinanti col vestito bianco e tutto il resto

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II

margherita rifLette suLL’anima immortaLe e L’ani-ma maLata

dottor Lecis è il primario lui è uno importante non è a tutti che li visita ogni giorno come me infatti lui e mamma sono amici da ragazzini

però c’ha le mani fredde e pelose come mi tocca la pancia mi vergogno che sono troppo grassa comunque sa il fatto suo per esempio è bravissimo a trovare il punto dove fa molto male e schiaccia forte

io il dottore me lo figuravo diverso alto già è alto però c’ha quei capelli che non si capisce se sono gialli o grigi appiccicati nel collo glieli vedo bene quando è inchinato sulla mia pancia e sento anche l’odore sicuramente non è che se li lava tutti i giorni anche la faccia ce l’ha diversa da come me la figuravo io non è mica bello con gli occhi piccoli e peli nel naso

mi fa un sacco di domande io rispondo dopo non dice nien-te solo mi guarda arrabbiato semmai pensa che dico bugie però se faccio «ahi» allora sembra contento fa gli occhi vispi mi fa piegare sulle gambe che questa cosa mi viene difficile con tutto il grasso che c’ho poi mi vergogno

per esempio ieri come ero con la camicia da notte sollevata è entrato un dottore giovane uguale ai dottori che mi figuravo io tutto sorridente bello e biondo dottor Lecis gli ha detto «artrite psoriasica» «un episodio di angina» io lo sapevo già perché i nomi delle malattie non me li dimentico mai

quel dottore bello ha fatto un sorriso con tutti i suoi denti grandi e bianchi io sono diventa tutta rossa allora mi sono coperta col lenzuolo alla fine dottor Lecis mi ha guardato con l’aria schifata e ha detto quello che dicono tutti i dottori «pro-viamo con questo o con quest’altro deve dimagrire signora»

dopo se ne sono andati tutti contenti parlando tra di loro mi sembravano quelli del libro di mitologia Apollo e Giove uno bello e l’altro che fa paura si capiva che c’avevano da parlare di cose più importanti della mia pancia miracolo che mi curano

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certo che mi ero immaginata tutto diverso quando mi hanno detto che andavo all’ospedale mi sembra che qui mi sento anche più male

mi manca la mia poltrona poi c’ho paura di cadere da que-sto lettino stretto dove mi arrivano le puzze dall’andito poi ci sono un sacco di rumori per esempio le altre che russano i lamenti e le ciabatte delle suore qui non c’è buio mai si vede la luce dell’infermeria

la porta non la posso chiudere semmai mi posso sentire male però non mi piace neanche restare in silenzio da sola al buio c’è caldo di notte però se mi scopro si ghiaccia il sudore e dopo ho freddo a volte mi sembra che sta quasi per fare luce e invece non è nemmanco mezzanotte

non è che ci sto male qui se ci penso a come stavo a casa non è che stavo meglio però a sentire tutte queste voci e que-sti odori diversi mi sento strana insomma non sono contenta neppure qui sola ero a casa e triste e così sono adesso

la cosa peggiore è che il sonno mi viene solamente quando è giorno la luce che passa dalle persiane la odio e odio anche la gente allegra che parla negli anditi di mattina presto quando voglio dormire però più di tutti odio questa infermiera che entra col termometro ogni mattina e fa quella voce antipatica «signora adesso arriva la colazione» capirai la colazione solo una tazza di tè mi danno e zucchero contato c’è poco da fe-steggiare

comunque di mattina è l’ora migliore a me mi conoscono tut-ti mi affaccio alla porta per salutare di mattina almeno non mi annoio certe arrivano e certe se ne vanno per esempio oggi una della 35 è morta mi fa impressione che la conoscevo che cavolo può capitare anche a me di morire mi sa che vado a dire una preghiera peccato quella dei defunti non me la ricordo bene

mamma mia come piangono il marito e la mamma sono proprio disperati lei avrà una bella soddisfazione a vedere come le volevano bene magari non vogliono a guardarli però a me mi piace vedere la gente quando piange mi fa un effetto come all’opera quando muore Violetta o Tosca

magari ai parenti gli fa piacere che piango pure io chissà se Caterina e Giuseppe saranno disperati quando muoio io per

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esempio quand’è morta Agnesedda il marito si lamentava che sembrava un bue portandolo al macello anche i figli gridavano forte e si buttavano addosso a Agnesedda

mia figlia sicuramente se ne rimane zitta da una parte e an-che se c’ha poco poco dispiacere non se ne accorge nessuno così la gente dirà «mischinedda quella Margherita Sanna al fu-nerale manco pianta l’hanno i parenti non gliene importava nulla di lei il marito è anche contento perché adesso è libero»

a me non mi vuole bene nessuno e non mi piangeranno neanche dopo morta neanche a mamma me la immagino gri-dando perché non è una cosa da signora babbo poverino è morto prima lui peccato perché mi voleva molto bene e gli uomini quando piangono fanno un certo effetto

meno male che muore solo il corpo e l’anima è immortale questa cosa l’ho imparata bene nel libro di catechismo c’era una domanda «l’anima è mortale?» e bisognava rispondere di no meglio così perché a me mi secca molto di morire chis-sà dove va l’anima magari un pochettino rimane nella stanza semmai vicino al soffitto speriamo che li vedo con gli occhi dell’anima perché ai morti gli occhi veri glieli chiudono chissà se l’anima ci vede a colori o come il televisore in bianco e nero è sicuro che ci rimango male se non piangono

peccato dopo un po’ mi fanno uscire dalla camera perché la morta la devono cambiare chissà perché li lavano ai morti tanto si devono rinchiudere nella bara da soli e poi sicuramen-te puzzano nella tomba sto piangendo nel mio letto ed entra l’infermiera «non faccia così dov’è ora non soffre più»

dicono tutti la stessa cosa quando la gente muore ma mi sembra che non vuole smettere nessuno di soffrire che cosa ne sappiamo come si sta dopo la morte vai e cerca se magari c’è davvero l’inferno io ci finisco di sicuro preferisco avere i miei dolori ma viva però a pensarci bene io che peccati ho fatto soltanto peccati di gola che per quelli si va in purgatorio non sono peccati mortali comunque anche in purgatorio non è che sarà uno scialo sicuramente dieta perché devo scontare i peccati di gola

zia Assunta quando è tornata da Assisi mi ha raccontato che se fai preghiere e offerte ti scontano molti anni di purgatorio

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quando guarisco ci voglio proprio andare ma forse è meglio quando sono sul punto di morire tanto se dopo torno a casa ricomincio a fare peccati di gola e allora è tutto inutile vai e cerca se mi portano ad Assisi quando sono moribonda per gli altri peccati non mi preoccupo perché ce la faccio a resistere comunque c’è sempre la confessione in punto di morte se uno si pente davvero

alla fine dopo quel pianto che mi sono fatta nella 35 mi sen-to meglio forse perché sono ancora viva magari mi mangio un dolcetto però sento i passi dei dottori che fanno il giro tocca nascondere tutto bisogna che sto attenta alle briciole semmai se ne accorgono

mamma mia quando vengono i dottori mi sembra come quando andavo a confessarmi anche il prete cerca di scoprire cos’hai fatto di male e qualche cosa c’è sempre però don Atti-lio anche quando mi rimproverava mi capiva perché lui è bello grasso quindi sicuramente il peccato di gola lo sa bene cos’è invece con dottor Lecis non serve fare la faccia dispiaciuta non è facile da convincere

lui è magrissimo ficca le mani dentro le tasche e mi guarda con i suoi occhietti furbi io non sono stata mai brava a dire bugie almeno questo peccato non lo devo scontare insomma mi fa un paio di domande dottor Lecis e spiffero tutto quello che ho mangiato allora gli viene una ruga in mezzo agli occhi sembra un demonio come scuote la testa

non serve a nulla se dico «dolci non ne mangio più» quello mica ci crede era meglio quando andavo a confessarmi che don Attilio al pentimento ci credeva e poi almeno mi spiegava il motivo «bisogna rinunciare ai piaceri della gola per fare i fio-retti che poi il Signore ce ne rende merito» invece qui non me lo spiega nessuno che cosa c’entrano i dolci con i miei dolori

quando ero piccola ne conoscevo di gente che mangia-vano solo una volta al giorno e anche poco invece a casa mia da mangiare ce n’era a volontà babbo diceva «ringra-ziamo il Signore per questo cibo» e io ringraziavo sempre soprattutto se c’era l’agnello se me lo ricordavo che a casa di Agnesedda c’avevano soltanto una minestra tutta acqua mi veniva di più l’appetito

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dopo che è finita la guerra la gente mica ci pensava alla dieta solo i malati che mangiavano in bianco però una volta suor Gesualda ha raccontato di certi che mangiavano lucertole e vermi ma quelli erano santi e io non c’ho pensato mai a diven-tare santa a parte i santi per gli altri avere fame non era mica una vergogna

babbo mi diceva «guardarti mangiare è un piacere» ora però è tutto diverso se una c’ha voglia di un dolcetto tocca na-scondersi invece prima se uno era magro la gente pensava «mischinetto che non c’ha da mangiare» era meglio in tutte le cose com’era prima

in paese la gente lo sapeva che famiglia eravamo e ci porta-vano rispetto ogni cosa era al suo posto sarà magari perché c’erano il re e la regina e si dava del lei anche ai genitori erano belle quelle domeniche di quando ero piccola mi fanno no-stalgia c’era quasi sempre il sole ma un sole diverso da quello di ora non dava fastidio

anche quando c’era freddo lo sopportavamo tanto nessuno ce l’aveva il riscaldamento in paese neppure noi che eravamo ricchi non ci faceva conto nessuno del freddo poi tutti sa-pevano stare al suo posto c’erano i ricchi e c’erano i poveri c’erano i padroni e c’erano i servi e andava bene così

gli uomini andavano a caccia e non diceva niente nessuno a me mi sembra che se Dio non ce li voleva far gustare non li aveva manco inventati animali come il cinghiale e la pernice adesso c’è gente che non vuole a tirare il collo a una gallina a me mi sembra una scemenza tanto quella non è contenta mai di morire non glie-ne importa nulla se le tiri il collo o l’ammazzi in un altro modo

mi piaceva più di ora quando ero piccola babbo non ci sgri-dava mai invece mamma faceva paura solo come guardava poi dopo la prima comunione è diventato importante anche don Attilio perché i peccati te li poteva togliere solo lui non era mica obbligato a dare l’assoluzione poteva pure dire di no però a me me l’ha data sempre

il prete non la deve dare se uno non si pente davvero ma allora basta fare finta e lo freghi subito comunque non si deve fare perché è un sacrilegio cioè una cosa gravissima il pre-te alla fine era importante anche più dei genitori perché lo

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mandava direttamente Dio a controllarci non è che gli davano molta retta anche allora ai preti perché se erano come don Attilio di peccati ne facevano pure loro ma almeno la gente in chiesa c’andava

adesso è tutto diverso non si può fare affidamento su niente le figlie non obbediscono i mariti vanno con le altre donne le serve lavorano solo in certi orari e vanno anche in ferie poi se le chiami serve si offendono pure

per esempio questa infermiera si crede pari ai dottori intan-to le mance le prende eccome secondo me Dio si è seccato di tutto questo disordine per quello manda un sacco di malattie nuove che prima non si erano mai sentite come quella signora della camera a fianco che c’ha le chiazze in faccia e i dolori dappertutto non ne capiscono nulla neanche i dottori

non è che prima la gente non moriva però si capiva bene di che cosa morivano le malattie erano sempre le stesse ma poi hanno scoperto le medicine per curarle e allora Dio se n’è inventato altre nuove più strane la peggio di tutte è questa malattia dell’anima che c’ho io una tristezza che non passa mai e se ci provi a fare qualche cosa è peggio come le mosche quando tentano di liberarsi dalla ragnatela almeno prima se una era triste si capiva il motivo

è fastidiosa questa infermiera canta sempre e muove il sede-re è massiccia con quel camice attillato che si vedono le forme fa un po’ schifo e un po’ paura entra senza dire buongiorno deve avere qualche cosa in testa fa la voce gentile «non mi dice niente» mica lo capisco cosa vuole è tutta sorrisi meno male perché non mi piace quando mi rimproverano

è una rozza maleducata e si dà arie «sono andata dal parruc-chiere» si è fatta i boccoloni gonfi le coprono la faccia e mi tocca dirle di sì che le stanno bene figurati cosa me ne importa a me dei suoi capelli sono sicura che non ci pensa per niente di essere brutta «ha visto le mesc all’ultima moda» con tutti i dolori che c’ho questa cretina mi scoccia con le mesc

qui ci viene per lavorare con tutte le mance che le dà Giuseppe mi sembra che non sono obbligata a parlare dei suoi capelli co-munque ieri erano neri e ora sono striati di un colore giallognolo

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è convinta che l’hanno fatta bionda invece le mesc sono uscite un po’ verdoline semmai è perché c’ha i capelli da negra è vanitosa la signorina Zuddas per esempio si trucca troppo e la faccia ce l’ha volgare con le sopracciglia grosse e gli zigomi sporgenti poi ha la carnagione scura quasi violetta e anche la bocca del colore delle melanzane quando si arrabbia diventa anche più brutta meglio farle i complimenti che mi deve fare la puntura «le sta benissimo questo colore» il mio parere non è che conta molto per lei però è contenta e la puntura me la fa piano piano

mi secca ogni volta che mi vede spogliata grassa come sono e poi mi fa schifo quando mi tocca con quelle dita grosse come salsicce fanno impressione come sono gonfie e arros-sate intorno alle unghie e si mette anche lo smalto comunque siccome mi vergogno dico una cosa così per dire «che disgra-ziata la mia vita»

lei è una bugiarda «macché vorrei essere io come lei alla sua età» a parte che mi tratta come una vecchia poi mica ci crede alle cose che dice sicuramente sta pensando che stasera per uscire si mette un vestito attillato mi dà fastidio anche sentirla parlare «beata lei che domenica viene suo marito un bell’uo-mo lo vorrei io un marito così ed è anche ricco se era mio marito me lo guardavo non lo lasciavo a casa da solo» questa cosa sono sicura che la pensa davvero perché l’ho vista come lo guarda poi si fa tutta rossa «io non sono di quelle donne che cercano i mariti delle altre se ho detto che è un bell’uomo è per farle un complimento»

se la sapeva la verità non me lo invidiava il marito io non sono mica sicura che domenica viene magari si è stufato oppure si è preso l’influenza ma tanto io penserò lo stesso che non è venuto perché si è stufato comunque voglio sapere cos’è questa puntu-ra che mi ha fatto «per i dolori e per dormire vedrà che dorme come un angioletto poi domenica quando viene suo marito è fresca come una rosa avercelo un marito chissà se lo trovo io» dev’essere per trovare un marito che si concia in quel modo la odio quando mi parla così come una scema e poi con quella cor-poratura che sembra un cavallo da tiro non si sa chi la vorrà

comunque di lei non me ne importa nulla sono preoccupata che la puntura me l’ha fatta anche ieri e non ho dormito nulla

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mica ci credo alle cose che dice «vedrà oggi abbiamo aumen-tato la dose le abbiamo dato questo e quest’altro» parla come se era lei il dottore invece non conta niente comunque è me-glio non dire niente perché è lei che mi guarda mi è antipatica però quando se ne va mi secca restare da sola

di sera dopo la terapia non succede mai nulla bisogna spe-rare che mi addormento subito mi viene l’ansia a pensare che devo aspettare domani mattina poi i dolori quando sono così li sento anche di più di notte è peggio sembra che il corpo mi fa i dispetti nella pancia non si sa che cosa c’è fa impressione se penso alle cose che succedono lì dentro roba che va e che viene

fa un sacco di rumori la mia pancia e non ci posso fare niente mi fa schifo tutta questa roba che c’è lì dentro se tocco dov’è gonfio sparisce e ritorna un po’ più in là a volte mi viene la disperazione più ci penso più mi fa male figurati tutto quel-lo che c’è passato un sacco di porcherie che spingono sulle altre parti mi viene voglia di fare la pipì anche se l’ho fatta da cinque minuti corro in bagno e faccio tre gocce che fastidio tutto questo luridume che c’ho dentro speriamo che con la terapia nuova mi passa

l’ho capito che cosa bisogna fare per convincere le infer-miere a farmi la puntura bisogna scocciarle di notte allora mi accontentano per lasciarle in pace chissà se mi fa effetto meglio che cerco la posizione comoda porca miseria me ne sono dimenticata di chiudere gli occhi starnutendo mi stavo rilassando e mi sono vista le mani quando ero giovane sì che c’avevo le mani bianchissime adesso sono piene di croste di questa maledetta psoriasi

mica lo so se mi devo fidare di questa infermiera tante volte dicono che stai guarendo e non è mica vero poi quella fa finta di essere brava lo fa solo per le mance certe volte le punture mi hanno fatto effetto ma non è sicuro che mi fa lo stesso an-che oggi le cose buone è meglio non aspettarsele ché se non arrivano dopo una ci rimane male

già lo volevo un bicchier d’acqua però ce ne vuole a girarsi magari mi sta facendo effetto o sarà l’impressione mi prende il caldo alle gambe e alle braccia non me ne importa più nulla

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di muovermi anche la pancia è diventata calda respiro bene e il cuore batte calmo calmo mi piace quando mi sento così che non mi fa paura niente

adesso aspetto che arriva il sonno mi piace prima di addor-mentarmi che mi vengono i ricordi di quando ero piccola è quasi come nei sogni c’è una luce strana e c’è mamma e c’è l’infermiera e c’è suor Gesualda tutte insieme che mi vogliono mettere una palma intrecciata in testa c’ho paura mi sembra la corona di spine di Nostro Signore

zio Santino quello che faceva i cestini la domenica prima di Pasqua metteva un banchetto in piazza e vendeva le palme da benedire io e Elena compravamo quelle grandi tutte intreccia-te certe che non c’avevano soldi mischinette compravano un rametto piccolo piccolo entravamo in chiesa con le palme drit-te in alto poi dall’indomani incominciava la settimana santa

non mi piaceva per niente la settimana santa le serve vuo-tavano gli armadi e le credenze passavano la calce in cucina e lucidavano anche le pentole però almeno Emanuela prepara-va i dolci e il pane poi c’erano gattini nuovi e agnellini nuovi e i vestitini leggeri era bello di sera quando andavamo alla via crucis con babbo

il venerdì non c’erano cose tanto buone a tavola però se pensavo ai tormenti che gli avevano fatto passare a Nostro Signore mi consolavo era babbo che ci teneva a rispettare tutte le cose religiose a mamma non gliene importava nulla dopo due giorni arrivava la domenica di Pasqua a me e a Ele-na ci vestivano uguali da bambine me ne ricordo uno blu di vestitino col colletto di pizzo mi dava un fastidio e anche la sottovestina pungeva mamma ci faceva le trecce ci metteva i fiocchi e le scarpe di vernice a me non mi piacevano le scarpe di vernice perché scricchiolavano invece Elena era contenta ma lei è stata sempre vanitosa più di me

l’anno che avevo fatto la comunione mi ero messa a piange-re ché a lei le hanno dato il caffellatte e anche due ciambelline invece io non potevo mangiare niente ché se no si mischiava col corpo di Cristo sembrava una cosa bella fare la comunio-ne l’ho capito dopo che non conveniva sei obbligata a confes-sarti ogni sabato poi di domenica non fai la colazione

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dopo che si fa la prima comunione dopo due o tre anni non mi ricordo si fa anche la cresima babbo diceva che la cresima è più importante però la fai una volta sola mica ogni domenica la cresima e dopo te ne puoi anche dimenticare io la cresima l’ho fatta a undici anni ne sono successe di cose quell’anno il 1947 li ho fatti quell’anno undici anni

il giorno dell’Assunta è il mio compleanno era una festa grande per tutti quella mattina avevo fatto la moltiplicazione undici per dodici centotrentadue mesi e anche i giorni però non me li ricordo quanti sono manco ci riesco più a fare le moltiplicazioni quelle in colonna voglio dire e poi magari era anche sbagliato perché se moltiplichi i mesi per trenta sbagli non è che tutti i mesi hanno trenta giorni quell’anno avevo anche passato l’esame di quinta

mamma mi ha detto «sei quasi una signorina» e mi aveva messo gli orecchini lunghi Elena c’aveva quelli da bambina anche se zia Assunta ce li aveva regalati uguali ma a lei non glieli ha messi era sempre in quell’anno che mi sono cresciute le tette non grandi come adesso ma si vedevano anche se ero grassa e mi facevano male

mamma diceva «somiglia a me le ho sempre avute grandi e mi sono cresciute in fretta perché sono diventata signorina a undici anni» allora mi pareva che signorine si diventa sempre a undici anni che stupida non avevo capito niente comunque mi sembrava già importantissimo che avevo fatto la cresima e l’esame di quinta mi erano cresciute le tette e mi ero messa gli orecchini lunghi

il giorno del mio compleanno faceva gli anni anche non-na Assunta che però non c’entrava nulla con zia Assunta perché lei era figlia dell’altra nonna comunque quel giorno abbiamo pranzato in campagna avevano messo i tavolacci sotto la pergola in cortile e mangiavamo tutti insieme servi e padroni

questa cosa qui a mamma non le piaceva per niente e non le piaceva manco la campagna chissà perché mica si alzava lei a servire ci pensava Agnesedda me lo ricordo com’era contenta quel giorno suo marito era tornato dalla guerra in paese ne erano tornati altri e così avevamo capito che la

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guerra era finita davvero anche se in certe famiglie il babbo non era tornato quindi chi era stato fortunato festeggiava

quando è tornato Peppuccio era magro stracciato pieno di pidocchi Agnesedda non la finiva più di ringraziare il Signore «quest’anno per me è sempre festa questo è il pre-mio perché pregavo sempre» voleva ringraziare tutti i santi che aveva pregato quando Peppuccio non c’era e siccome ogni giorno c’è un santo diverso ogni giorno ringraziava e più di tutti la Madonna che lei è la più importante di tutti i santi meno male che è tornato Peppuccio perché quan-do c’era la guerra le bambine di Agnesedda facevano pena invece io ce l’avevo babbo mio a casa che mi coccolava di notte quando veniva a rimboccarmi le coperte e mi portava una ciambellina

quando mangiavamo da nonna Assunta in campagna io ero vicino alle serve e mamma era lontana meglio così almeno potevo prendere le cose con le mani e fare i bocconi grandi c’erano un sacco di cose buone da mangiare nonna Assunta c’aveva le bestie e tutto quanto era ricca anche se parlava in sardo

io quel giorno carne di pecora non ne ho mangiato per-ché quando sono arrivata di mattina presto sono andata nella lolla a vedere i gattini e Peppuccio ha infilzato il coltello nel collo di una pecora che era appesa a testa in giù con quella faccia cattiva che ha fatto ho pensato che era meglio se non tornava dalla Russia dal buco che c’aveva la pecora nel collo usciva il sangue a spruzzi sempre più poco ché sicuramente si stava vuotando e tremava vicino a lei c’era l’agnellino che piangeva e non gliene importava nulla delle gocce di sangue che gli sporcavano i boccoli bianchi allora io mi sono messa a piangere

mamma li ha sgridati ad Agnesedda e a Peppuccio e babbo mi consolava «gli animali non hanno l’anima come gli uomini non soffrono come noi poi quella pecora ormai era vecchia e per lei era arrivata l’ora di morire» ma questa cosa qui mi ha fatto piangere di più perché nonna Caterina era morta da poco e siccome era vecchia mi sembrava che l’avevano appesa anche a lei al gancio della lolla

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in ottobre mi hanno mandato alla scuola media la profes-soressa di lettere si chiamava signorina Mulas la incontravo anche fuori dalla scuola andava a prendere il caffè da zia Ma-rietta poverina adesso è morta zia Marietta peccato lei prepa-rava merende buonissime dev’essere che piacevano anche alla signorina Mulas c’andava tutti i giorni all’ora di fare merenda

si lamentava sempre che non c’aveva marito che voleva tor-nare al suo paese però non voleva che zia Marietta si offen-deva «è un bel paese anche qui» le diceva ma non ci credeva mica a questa cosa era disperata perché abitava a pensione da zia Angioletta Bruscu c’aveva un brutto carattere quella don-na il marito l’aveva lasciata senza soldi e affittava la stanza la signorina Mulas raccontava un sacco di cose di zia Angioletta Bruscu «il primo giorno mi ha accompagnato alla stanza e siamo passate davanti a una specie di altarino con i lumini e una fotografia sicuramente era il marito ma pareva un santo lì davanti si è segnata ma dopo ha alzato il pugno e ha detto parole strane ha fatto una faccia brutta si capiva che erano bestemmie»

la signorina Mulas non lo capiva il dialetto nostro perché lei era del capo di sopra le scendevano le lacrime come rac-contava allora zia Marietta la consolava «ne prenda un altro di piricchitto» la signorina Mulas anche se era triste mica le passava la fame infatti io c’avevo paura che se li mangiava tutti i piricchitti poi parlava anche con la bocca piena che è una cosa maleducatissima «il gabinetto fa schifo non svengo solo perché il pavimento è troppo sporco c’è solo un buco nero come l’inferno e uno spiedo con i ritagli di giornale infilzati lei non se l’immagina cos’è»

zia Marietta rideva e lei si lamentava sempre «l’unica cosa buona è che quella strega cucina bene ma i figli mi prendono in giro anche a scuola quando scrivo nella lavagna sento le risatine delle alunne la mia consolazione è Margherita sempre con le treccine in ordine e il colletto di pizzo» io le volevo bene alla signorina Mulas ogni mattina le portavo i fiori e glieli mettevo sulla cattedra per quello ero la sua preferita

le piaceva che c’avevo sempre le scarpe e le calze perché le mie compagne certe erano povere e c’avevano solo gli zoccoli

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comunque a una certa ora guardava il suo orologino d’oro si alzava si sistemava la gonna e si puliva dalla briciole che c’aveva nel petto zia Marietta la invitava a cenare ma non rimaneva mai «non mi sento tanto bene» zia Marietta me l’ha spiegato che la cena da zia Angioletta l’aveva già pagata e non gliela voleva far risparmiare io invece ci rimanevo volentieri da zia Marietta tanto la signorina Mulas la rivedevo l’indomani a scuola

una volta non mi ha saputo spiegare perché Dante aveva scritto “etterno” con due “ti” me lo ricordo perché stavo leg-gendo io mi sono fatta tutta rossa quello era un errore di or-tografia di quelli che quando li facevo me li segnava in rosso la signorina Mulas due volte c’era quell’errore non lo capivo perché solo i miei erano gravi di errori di ortografia babbo ci teneva molto anche lui all’ortografia mi sembra che lo sento ancora «controlla sempre il vocabolario»

magari ai tempi di Dante non c’erano i vocabolari chissà come facevano se gli veniva un dubbio di ortografia comun-que Dante era un grande scrittore e non ne doveva fare lo stesso di errori così mi è pure venuto il dubbio che sbagliava il vocabolario e che Dante c’aveva ragione ma allora come si fa se non ti puoi fidare manco del vocabolario così possono sbagliare tutti la signorina Mulas mica me l’ha saputa spiegare bene questa cosa a me però mi è rimasta l’idea che non era giusto segnarmeli in rosso gli errori

succedevano un sacco di ingiustizie per quello non vedevo l’ora di essere grande ma tanto non è servito a nulla tanto mamma mi comanda anche ora per esempio io le bugie le dovevo confessare invece una volta abbiamo incontrato la moglie del farmacista la signora onnis era sempre profumata «cara signora ieri sera sono venuta a trovarla peccato la dome-stica mi ha detto che era uscita» mamma ha fatto quello sguar-do di ogni volta che non le interessa niente uno sguardo che fa quasi a tutti «come mi dispiace» ma io me lo ricordavo bene che era in casa e quindi non le dispiaceva proprio per niente

mi è dispiaciuto che le ha detto una bugia a quella signora affettuosa mischinetta mi accarezzava sempre però mamma c’aveva le idee tutte sue «quella è una scocciatrice e poi certe bugie non sono gravi» quel giorno ho capito che le regole

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dell’ortografia e anche quelle dei peccati valgono solo per cer-te che non decidono niente come le bambine perché le donne grandi quando gli conviene le bugie le dicono

quell’anno stesso l’ho capito com’è che si diventa signorine eravamo ai primi dell’anno nuovo sono andata a fare la pipì a scuola e mi sono vista tutta sporca di sangue nelle mutande sembrava quella volta che Peppuccio ha ammazzato la pecora quasi quasi cadevo dallo spavento ho pensato che morivo nel bagno della scuola come una bestia macellata c’avevo paura che mi era venuta una malattia brutta meno male che è arrivata zia Annetta la bidella «non ti devi spaventare adesso sei una signo-rina e puoi fare bambini quando arriveranno altro che questo di sangue» per quello avevo deciso che di figli non ne facevo mai

a casa Emanuela mi ha fatto gli auguri e mi stavo consolando perché gli auguri si fanno solo per le cose belle comunque ero lo stesso tutta sporca e mi volevo fare il bagno invece mamma non ha voluto «niente bagno finché non ti passa quest’affare» neanche i capelli mi ha fatto lavare io ce li ho grassi che fanno schifo dopo due giorni figuriamoci otto giorni mi è durato la prima volta la testa sembrava bagnata nell’olio comunque mamma mi ha dato un panno di lino di quelli che Emanue-la li stendeva nell’angolo nascosto del cortile «piegalo così e mettitelo lì» che schifo essere tutta bagnata di sangue poi mi faceva male la pancia

mi sono sdraiata nel letto e guardavo la finestra il cielo era nero anche se era quasi ora di pranzo si capiva che era suc-cessa una cosa grave di quelle che dopo le cose non ritornano come prima certi momenti ero fiera perché zia Annetta aveva detto «sei una signorina» e Emanuela mi aveva fatto gli auguri però mi vergognavo

mi sembrava una punizione mi toccavo sempre lì semmai non usciva fuori il sangue e sporcavo il letto come a scuola che mi ero sporcata la gonna e l’avevano visto tutti che por-cheria mettersi il panno come i neonati mi sono guardata allo specchio non si vedeva niente e neanche dalla faccia questa cosa mi sembrava strana perché era importante e succedeva tutto di nascosto lì sotto così gli altri se stavi attenta non se ne accorgevano

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non era come quando diventi grande che cambi a poco a poco e una lo vede solo guardando le foto vecchie invece quella cosa era tutta in una volta comunque se mi guardavo da dietro si vedeva un po’ il gonfietto del panno mi sono messa a piangere perché babbo semmai non me lo diceva più «sei la mia bambina» c’avevo paura che le coccole magari non me le faceva più comunque non era mica colpa mia per me io se potevo restavo bambina per sempre

sono tornata in cucina Emanuela stava facendo il sugo c’aveva lo stesso colore del sangue allora mi sono rimessa a piangere e si è adirata «smettila che ora sei grande» io mi sen-tivo quello schifo di cosa caldiccia che colava a mamma le ho chiesto «che cosa dirà babbo» lei stava ricamando e mi ha guardato sopra le lenti grosse «non sono cose da uomini non glielo devi dire» così ho capito che era un segreto schifoso quella cosa

Emanuela gli gnocchi non me li ha fatti fare «quando c’hai questa cosa ti esce tutto male» che cosa orrenda che mi era capitata e non c’era rimedio mi fa schifo anche adesso l’unica consolazione è che viene a tutte le donne l’ho capito quel giorno che essere maschi è meglio per esempio i maschi il ba-gno se lo fanno quando vogliono e non ce n’è di giorni che gli esce tutto male non gli esce sangue da lì sotto che è una cosa schifosissima infatti si può dire solo con le altre donne

dopo è arrivata nonna Assunta «come mai la bambina non è a scuola» Emanuela era una pettegola «le faccia gli auguri che è diventata signorina» le volevo dare uno schiaffo semmai lo diceva a tutti però anche nonna era contenta dietro di lei è arrivato babbo Elena è andata a salutarlo io non c’avevo il co-raggio di correre a baciare babbo come una bambina è venuto da me «cos’hai la sposa» poi si è girato da mamma «male si sente» lei l’ha guardato fisso negli occhi «è una cosa che passa» babbo si è fatto rosso e dopo non mi ha accarezzato più

come abbiamo finito di pranzare mamma mi ha detto «vai a cambiarti il panno e mettilo ammollo» mi ha fatto schifo quel panno sporco c’aveva un odore strano un odore che non ha nessun’altra cosa io volevo rimanere a letto finché non la smetteva quella porcheria di colare mamma però non mi ha

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lasciato «non puoi rimanere a letto una settimana non sei mica malata vedrai che ti abitui» e mi ha portato da zia Claretta

non ha aspettato manco il caffè «Claretta lo sai che Marghe è diventata signorina» io mi sono offesa non è che le mie cose vo-levo dirle a tutti zia Claretta era contenta «che brava già signorina c’ha anche le tette» mi ha infilato la mano sotto il maglione tocca-va come una che se ne intende non la finiva più a me mi sembra-va di essere una bestia al mercato era una cosa strana perché da quando mi lavavo da sola non mi toccava più nessuno.

la signorina Mulas interrogava sempre le declinazioni per-ché era sicura che non le sapevano mai le mie compagne so-prattutto a Secci Paoletta la chiamava sempre alla lavagna era bella Secci Paoletta era la più alta di tutte mischina quando la interrogavano nella faccia e nel collo le venivano macchie rosse poi le veniva un odore strano per me era l’odore della paura o magari a casa sua non c’avevano l’acqua comunque non le sapeva mai le declinazioni

dalla pena che faceva smettevamo anche di fare chiasso però a lei non le conveniva perché nel silenzio si capiva di più che non sapeva nulla quella scena era come i funerali che fanno tristezza però mi piacciono e dev’essere che anche per la signorina Mulas era così faceva una faccia soddisfatta «vai a posto non sai niente ti metto due» Paoletta andando al suo banco passava vicino a me con quell’odore forte c’aveva una faccia come un cristo in croce la signorina Mulas il voto se era brutto lo scriveva sicuramente a penna

faceva paura con i capelli tutti appiccicati inchinata sul re-gistro sembrava Minosse anche lei era orribile e senza mise-ricordia per ultima chiamava sempre a me io ero la più brava della classe «tu l’hai studiata la seconda declinazione» lei lo sapeva in anticipo che io l’avevo studiata a me mi piaceva sa-pere tutto con i professori

all’inizio dell’anno mi prendevano in giro le compagne non è solo perché ero grassa era colpa di mamma che mi mandava a scuola vestita da bambina però quando copiavano i compiti erano gentili alla fine invece non mi parlavano più quando suonava la campanella correvano in cortile senza guardarmi in classe ci rimanevamo solo io e Fadda Gesuina

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anche a lei non la voleva nessuna perché c’aveva la faccia bianca come una morta suo babbo era il padrone del bar quel-lo della piazza loro vivevano dietro e andavano nel gabinetto del bar perché altro non ne avevano il bagno non se lo face-vano mai non c’avevano manco la tinozza infatti si sentiva la puzza di Gesuina anche di pipì puzzava però era simpatica e non gliene fregava niente se non la calcolavano le compagne

nel banco era sempre da sola finché non si è seduta con me c’aveva una tracolla di quelle fatte al telaio con le bamboline colorate dentro ci metteva i quaderni i fazzoletti sporchi il panino morsicato le penne senza tappo che le mele si mac-chiavano di inchiostro le fette di mortadella invece le metteva in mezzo al libro era una molto disordinata Gesuina

i dolcetti che tirava fuori da quella bisaccia non li accettava mai nessuna manco se diceva «li ha fatti mamma» zia Melina si chiamava sua mamma io me l’immaginavo che le mani se le lavava poco però mi seccava rifiutare i dolcetti anche quando si soffiava il naso con quel fazzoletto marroncino mi giravo dall’altra parte ma non dicevo niente a casa sua erano molti figli suo babbo era un uomo grande e grosso rassomigliava all’orco del libro di fiabe però era bravo quando passavamo vicino al bar con Gesuina mi offriva sempre la gazosa

un giorno gliel’ho chiesto ad Agnesedda «bravo è zio Tom-masino Fadda» lei fa «sì che è bravo, bravissimo» e si sono messi a parlare con Peppuccio che zio Tommasino è un uomo fortissimo che a bere vino non lo vince nessuno poi un gior-no i suoi cani hanno trovato una cerva ma lui non aveva il fucile e l’ha catturata con le mani si è aggrappato al collo della cerva e non la lasciava anche se quella lo sbatteva e volavano i corbezzoli e le foglie comunque alla fine i cani l’hanno az-zannata ed è morta allora io mi stavo mettendo a piangere per quella cerva ma Agnesedda mi ha consolato «che cosa ci fa una cerva nel bosco se non è per farsi prendere»

che poi alla fine mi piaceva pure a me la carne di cervo dopo lei e Peppuccio si sono messi a parlare a voce bassa si capiva che era per non farsi sentire lo sapevo che i grandi quando parlano così è per dire cose di sesso allora ho fatto finta che stavo giocando col gatto Peppuccio fa «è famoso per una cosa

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zio Tommasino ma lo sa soltanto chi rimane al bar fino a tardi quando beve molto quelli là insistono allora si apre la bra-ghetta e lo appoggia tutto lungo su un tavolino devi sentirle le risate si mettono tutti intorno come i pastori con Gesù Bam-bino e fischiano e dicono porcherie e ogni volta sembra che non l’hanno visto mai sono maleducati quando sono ubriachi dicono anche cose poco rispettose per zia Melina lei mischi-nedda sta dormendo e non se l’immagina quanta gente lo sta guardando il suo tesoro» Peppuccio e Agnesedda ridevano raccontando quelle cose e credevano che io non lo capivo co-munque sono sicura che anche Gesuina non ne sapeva nulla di questo segreto di babbo suo

dopo che si è seduta al primo banco con me la signorina Mu-las ha iniziato a tormentarla la interrogava ogni giorno però Gesuina la fregava sapeva sempre tutto lei era studiosa non ser-viva a niente che la signorina Mulas faceva la faccia feroce come con Secci Paoletta allora ringhiava come Minosse «maledetto questo posto di selvaggi» poi andava a spalancare la finestra «c’è puzza qui dentro» e guardava fissa fissa Gesuina «lavatevi»

io non lo so se Gesuina ci rimaneva male sotto sotto però non lo dava a vedere sorrideva e basta non era contenta la si-gnorina Mulas che io mi ero fatta amica con Gesuina me l’im-maginavo che neanche mamma poteva essere contenta così non la nominavo mai a casa comunque alla fine è tutta colpa sua se non sono andata più a scuola

il giorno del compleanno di babbo sono venuti a prendermi e mamma l’ha vista era stranissimo perché a mamma di uscire in paese non le è piaciuto mai siccome non c’aveva voglia di salutare la gente babbo però ci teneva al suo compleanno mischinetto in queste cose era come i bambini anche l’anno che è morto gliel’abbiamo fatta la torta l’abbiamo mangiata in camera sua tutti intorno al letto Caterina era piccola e gli ha tirato i capelli ma lui era contento lo stesso

è stata una disgrazia che quel giorno sono venuti a prender-mi già mamma era isterica perché c’era vento forte lei non lo sopporta il vento non sopporta un sacco di cose le ho detto alla signorina Mulas «ci sono babbo e mamma» così lei si è av-vicinata mamma l’ha guardata con la faccia schifata non è che

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si vestiva bene e neppure si lucidava le scarpe mamma non le ha neanche stretto la mano meno male che gliel’ha stretta babbo lui era sempre gentile con tutti

io lo sapevo cosa stava pensando mamma che era una donna volgare certo per lei sono tutte volgari quel giorno c’aveva an-che la camicetta con una macchia la signorina Mulas era tutta emozionata come sentiva babbo «Margherita ci parla tanto di lei» non l’avevo mai vista così intrecciava le gambe e gonfiava il petto i bottoni della camicetta sembrava che stavano per saltare mamma le guardava i piedi c’aveva le caviglie grosse la signorina Mulas figuriamoci per mamma avere le caviglie grosse è una vergogna peggio di andare nuda

mamma era sempre nervosa me l’avrà sistemato dieci volte il fiocco la signorina Mulas parlava con babbo e si rigirava i capelli nel dito «la compagna di banco non è al suo livello» mamma come ha sentito così ha fatto gli occhi stretti per lei queste cose del livello e dello stile sono le cose più importanti si è girata da me «chi è la tua compagna di banco» proprio in quel momento è passata Gesuina strisciando gli zoccoletti «è lei» mamma non ha detto più nulla si capiva che stava pensan-do cose tutte sue e non erano cose belle quelle che pensava di Gesuina e della signorina Mulas

quando siamo arrivate a casa ha detto «non lo sapevo che eri nel banco con una zingara» non serviva a niente che negavo lei a me non mi calcolava nemmeno parlava con babbo «vedi cos’ha fatto la democrazia quella lì ti sembra una professores-sa? i figli dei contadini devono fare i contadini e le figlie dei baristi devono fare le cameriere da quando abbiamo perduto la guerra sta andando tutto a rotoli dove andremo a finire la gente non sa più stare al posto suo ed è pure sciatta vedi che studiare non serve a nulla quella è laureata non vorrai che tua figlia finisce così»

babbo cercava di dire qualche cosa ma lei lo zittiva subito «lascia perdere i tuoi studi tu sei un uomo e poi mica ne avevi necessità e anche Giovanni Maria che lui è stato sem-pre un eccentrico infatti non si è manco sposato alla fine sui libri si è pure rovinato la salute e non se ne faceva nulla avevo ragione io a non volerla mandare alla scuola media

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vuoi che diventa come quella megera guarda me che non ho studiato non ti ho fatto mai sfigurare»

mamma ha parlato più di un’ora l’ho capito da subito che non mi voleva mandare più a scuola se lei aveva deciso non c’era niente da fare babbo c’ha provato ma lei sapeva dire le cose giuste per convincerlo «io voglio che le mie figlie diven-tano felici come me tu manco mi guardavi se ero come quella donna anche se l’ho vista che faceva la smorfiosa»

babbo si è fatto tutto rosso «sì sì non fare così l’ho vista comunque Margherita è anche stanca lo dice solo per vederti contento che le piace la scuola la stai tormentando con lo studio è tutta colpa mia che non ti ho dato il figlio maschio» quando tirava fuori la storia del figlio maschio la discussione era finita babbo rispondeva sempre la stessa cosa «sono fe-licissimo di essere l’unico maschio in casa» ma si capiva che non era vero

finiva sempre allo stesso modo «decidi tu Eugenia» così a scuola non ci sono andata più i primi giorni ero contenta che non mi alzavo presto e che non c’avevo i compiti però mica mi è convenuto magari se studiavo diventavo dottore non come ora che questa stupida di infermiera ne sa più di me ma ero una cretina me ne rimanevo tutto il giorno vicino al caminetto con Emanuela lei mi raccontava le storie di quando c’era la guerra un giorno mamma si è arrabbiata «se rimani tutto il giorno con le serve è peggio di andare a scuola» allora mi ha mandato a ricamare dalle suore

i fiori li portavo come a scuola però li mettevo nella cappella sotto la Madonnina le suore però non dicevano manco grazie e neanche lei la Madonnina non ha mai fatto niente per me lo so che era di gesso però quando voleva sì che si faceva sentire per esempio ha parlato con quella ragazzina di Lourdes e con quelli di Fatima io le portavo i fiori più belli del nostro giardi-no e mamma mi sgridava soprattutto per le rose bianche che sono le sue preferite

la Madonnina non mi ha detto manco una parola non se n’è manco accorta di quelle rose oppure sarà stato che quei bam-bini erano poveri e non mangiavano così li ha consolati forse se ero più magra mi parlava pure a me la Madonna

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ogni martedì e ogni giovedì andavo a ricamare dalle suore lì si pagava le suore la chiamavano offerta però era obbligatoria se non pagavi niente ricamo infatti di ragazze povere non ce n’erano lì solo Caterina Ibba la mamma faceva le pulizie del convento lei ne aveva bisogno perché se imparava bene dopo poteva fare lavori da vendere a lei glielo insegnavano gratis a ricamare però in cambio faceva le commissioni e poi il marte-dì e il giovedì quando andavamo via lavava in terra e passava la cera

il convento era il posto più pulito del mondo zia Nannedda lavava tutto ogni giorno anche dentro i mobili e disinfetta-va tutto con la varechina poi quando andava via prendeva la biancheria sporca pure quella la lavava con la varechina nel cortile di casa sua c’aveva un lavandino e lì strofinava le len-zuola le tovaglie e gli strofinacci delle suore e ce n’era sempre così zia Nannedda o sotto la pioggia o sotto il sole tutto il tempo che non puliva il convento lavava la roba

le sue mani erano bianche come i panni che lavava non è che c’aveva la pelle chiara zia Nannedda anzi la faccia ce l’aveva marroncina è che a furia di strofinare le mani si erano scor-ticate sembravano guanti bianchi però dal polso si vedeva la sua pelle vera che sembravano le maniche di una camicia co-munque anche se aveva le dita grosse come salsicce faceva i raviolini di mandorle delicatissimi e le suore glieli ordinavano sempre

chi comandava più di tutte al convento era suor Gesualda una magra magra che sembrava sempre triste magari non era vero però c’aveva la faccia gialla con i denti lunghi come il lupo del libro di fiabe i denti erano anche più gialli della faccia ma non è che glieli vedevi sempre sorrideva poco e anche quando sorrideva non è che sembrava allegra

suor Gesualda faceva paura a tutti anche alle altre suore ma non sgridava mai non c’era bisogno bastava la faccia come ti guardava con quegli occhi tristi e una pensava subito «cos’ho sbagliato» insomma tutte la volevano accontentare ma tanto era inutile perché era molto pignola

per esempio zia Nannedda quando riportava la biancheria lavata e stirata rimaneva in piedi zitta zitta si capiva che non

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stava respirando suor Gesualda controllava se le macchie era-no andate via e zia Nannedda tremava come col prete quando ti chiede «che peccati hai fatto» e mica se l’aspetta che una risponde «non ne ho fatti di peccati»

questa cosa è logica se una non ne ha fatto non ci va mica a confessarsi comunque prima di fare la comunione bisogna sempre confessarsi perché alla fin fine è impossibile non farne e il corpo di Cristo si troverebbe male dentro la pancia di una peccatrice magari quei bambini che gli ha parlato la Madonna loro non ne avevano fatti di peccati insomma suor Gesualda era come un prete le sembrava impossibile che le macchie era-no andate via tutte infatti zia Nannedda tremava anche quan-do c’era caldo una volta che se ne stava andando l’ho vista che si faceva la croce semmai aveva visto il demonio

suor Gesualda era la superiora perché tutte dicevano «sì su-periora» e facevano sempre quello che voleva lei sicuramente c’avevano paura di quegli occhi verdini normalmente quando una c’ha gli occhi verdi la gente dice che sono belli ma quelli di suor Gesualda erano strani c’aveva le ciglia biondine sem-bravano gli occhi di una sosoga mi sembra che la vedo anche ora come ti guardava cercando nella faccia qualche cosa che non andava bene

suor Gesualda accudiva suor Chiara che era la superiora prima di lei ma poi si era ammalata e non si alzava più dal letto all’inizio facevano i turni di notte però era lamentosa chiamava a tutte le ore insomma si era rimbambita ed era di-ventata molto golosa chiamava molte volte per farsi dare da mangiare e faceva un sacco di bisogni allora chiamava per la padella si capisce che chi la guardava si conquistava il paradiso dev’essere per quello che suor Gesualda si è trasferita nella sua camera

non lo so che peccati doveva scontare comunque quando la chiamava suor Chiara correva sorridendo con i suoi denti lun-ghi e gialli magari le altre suore erano contente che si sacrifica-va sempre lei però forse la invidiavano un pochettino perché guardando suor Chiara si stava conquistando il paradiso

magari sarà per quello che era antipatica a tutte e poi era la più brava a ricamare con quelle dita lunghe e fini l’ago lo

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mandava sempre nel punto preciso pareva che sotto c’era una calamita e non lo tirava mai troppo il filo meno male che non aveva tempo di insegnarci lei a ricamare rimaneva sempre nel-la camera a fianco con la porta aperta e faceva i conti

scriveva tutto in un quaderno ogni tanto ci chiamava per vedere i nostri lavori un giorno che c’ero io nello studio lei si è allonta-nata perché l’ha chiamata suor Chiara non ho resistito a leggere nel suo quaderno «la giornata è nuvolosa Suor Chiara ha qualche grado di febbre due ragazze nuove sono iscritte alla scuola di ricamo hanno versato l’offerta in anticipo per mesi due» segreti non ce n’erano era tutto scritto bene ordinato con le date

quel quaderno le serviva molto per esempio controllava nel quaderno e diceva «sorella non è esatto il giorno che abbiamo fatto la conserva di cotogne è stato il ventidue di novembre è scritto qui» noi ricamavamo e lei era nella camera a fianco con la porta aperta di fronte alla sua scrivania c’era un quadro di Nostro Signore tormentato dalla corona di spine lo guardava sempre quel quadro e sorrideva

era fatta così suor Gesualda le piaceva la sofferenza di No-stro Signore secondo me le piacevano anche le piaghe di suor Chiara così se una aveva una ferita o un dispiacere lei ascolta-va e curava ed era contenta come quella volta che sono caduta perché c’avevo fretta di tornare a casa che stavo morendo di fame magari Emanuela mi preparava una fetta di pane abbru-stolito col lardo sono scivolata e ho sbattuto la testa sul gradi-no allora mi sono messa a piangere perché mi ero sporcata il vestito e mamma si arrabbiava

è arrivata suor Gesualda mi ha preso in braccio per portar-mi sul suo divanetto io ho chiuso gli occhi perché si vedevano i denti come le zanne del lupo però l’odore lo sentivo di sa-pone con un altro odore forte che mi sembrava l’alito e rasso-migliava all’odore di Peppuccio suor Gesualda dava gli ordini come piaceva a lei «suor Cristina la cassetta dei medicamenti Nannedda un asciugamano bagnato» ero tutta sangue in fac-cia come Nostro Signore e infatti lei sorrideva

comunque mi ha curato bene e mi ha accarezzato «Nanned-da andando a casa passi dai Sanna dica di venire a prendere la bambina» poi si è girata da me «ora viene la tua mamma» ma

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io ero sicura di no perché mamma non esce mai di sera in in-verno peccato perché le volevo vedere vicine come erano di-verse per esempio mamma era grassa e poi era elegante però una cosa ce l’avevano simile che tutt’e due facevano paura e sapevano sempre che cosa si deve fare e tutt’e due facevano quello sguardo che vuole dire che una cosa la vogliono mol-tissimo e guai se non la fai

dalle suore mamma si era fidata a mandarmi senza cono-scerle si capisce erano suore e anche se non sono eleganti le suore sono sicuramente per bene invece quando ha deci-so che dovevo imparare a cantare dalla signorina Angela mi ha accompagnato lei la prima volta semmai era una sporca o volgare era lunedì di sicuro perché le cose si incominciano sempre di lunedì stavamo aspettando fuori mamma aveva già bussato ma non apriva nessuno

era seccata perché rimanendo nella strada passava la gente e lei non c’aveva voglia di salutare mi avrà sistemato il paltò cento volte faceva sempre così la signorina Angela ci metteva un sacco di tempo ad aprire prima sbirciava dalla tendina e poi rimaneva dietro la porta chiusa per un po’ vai e cerca per-ché lo faceva era strana quella lì comunque alla fine ha aperto e mamma l’ha squadrata ben bene

dev’essere rimasta soddisfatta perché le ha stretto la mano tutto si poteva dire della signorina Angela tranne che non era pulita e ordinata non era né bassa né alta né magra né grassa la sua faccia non lo so dire com’era una di quelle facce che si dimenticano in fretta i capelli ce li aveva come gli occhi mar-roncini l’unica cosa che si notava molto erano tutte le smorfie e le vocine che faceva sorrideva sempre ma non come suor Gesualda la signorina Angela sorrideva davvero

quando era proprio contenta si muoveva tutta e sfregava le mani sulla gonna la cosa più strana era come parlava con quella vocina fine fine come una bambina e anche le cose che diceva erano uguali ai bambini per esempio «vado a fare la pappa» e anche quando le hanno rubato tutte le galline per i ladri diceva «quei monelli» forse lei era diventata anziana ma non se n’era accorta perché era zitella o forse non si voleva rassegnare

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mamma diceva «fa l’effetto di un caffè troppo zuccherato» quel giorno controllava tutto in giro lo so cosa stava pensan-do che la casa era miserabile la guardava con una faccia e la signorina Angela era emozionata dopo quando siamo tornate a casa ha detto «è un’oca» ma per mamma essere un’oca non è importante è più grave essere maleducata o sporca o grassa

ci siamo rimaste un bel po’ a parlare non si capivano quelle due per esempio le ha chiesto «cosa le posso offrire signora» e mamma «se ce l’ha un bicchierino di mirto» la signorina Angela si è fatta tutta rossa e gliene ha portato un bicchierino piccolo pic-colo e neanche pieno che mamma se l’è bevuto tutto in una volta poi ha detto «lei non beve» e quella «mi fa male al pancino»

anche a mettersi d’accordo per le lezioni di canto ci hanno messo un sacco la signorina Angela non era una sbrigativa come mamma le piaceva chiacchierare senza dire nulla se ne rimaneva con le mani sopra le gambe «che freddo che fa» e si dondolava sulla poltrona mamma ha fatto gli occhi stretti «al-lora quando la mando Margherita» e siccome non ha risposto subito fa «certo lei ne avrà molti di allievi»

allora la signorina Angela si è fatta tutta rossa e si è messa la faccia nelle mani «Dio mio allievi no» mamma non ci capiva nulla però ci teneva proprio a mandarmi da quella lì a lezione di canto le parlava gentile come non faceva mai con nessuno ne ha detto di bugie quel giorno «nella nostra famiglia abbiamo una passione per la musica Margherita ha preso da mio padre»

la signorina Angela ha ricominciato a dondolarsi «che bello che bello sono tanto tanto tanto contenta» allora mamma è ridiventata un po’ severa «mi dica se la vuole fra i suoi di-scepoli» la signorina Angela è ridiventata rossa «no signora discepoli no maschi no io sono una signorina e non posso stare da sola in casa con un uomo in questa casa vengono solo ragazze» mamma era molto soddisfatta e si è messa d’accordo io invece non ero contenta per niente perché c’era un freddo terribile in quella casa

avevo fatto male a illudermi quando ho compiuto undici anni diventare signorina non è bello ti esce il sangue ogni mese e poi devi imparare un sacco di cose invece quando sei piccola devi giocare e basta a me di ricamare e di cantare non me ne

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importava nulla a scuola invece mi piaceva perché la signorina Mulas mi voleva bene ma tanto le cose della mia vita le sceglie sempre mamma a me se me lo chiedono non lo so dire cos’è meglio e poi non se ne capiva nulla per certe cose mi dicevano «sei grande» e per certe cose mi dicevano «sei piccola»

crescere non mi piaceva per esempio le mani non sapevo dove metterle le tette diventavano sempre più grandi mi sem-brava che me le guardavano tutti i vestitini col nido d’ape non me li potevo più mettere anche il reggiseno mi dava fastidio e non lo sopporto neppure ora solo le calze velate mi piacevano ma per quelle ero troppo piccola poi le gambe non me le face-vano rasare così dal traforo dei calzettoni uscivano i peli

comunque si capiva che non c’era niente da fare e mi toccava diventare grande per forza io ero contenta se diventavo come Mariangela che si era fidanzata da poco ed era sempre allegra e tutti «si capisce è innamorata» allora anche io non vedevo l’ora di innamorarmi così diventavo contenta come Mariangela

l’unica cosa che era meglio è che da quando ero signorina mamma mi portava dappertutto anche ai funerali come quel-la volta che è morta la mamma del farmacista mi ha spiegato come si fanno le condoglianze per esempio che non dovevo andare con le braccia conserte e non dovevo ridere ma neanche piangere tanto la signora onnis non era mica nostra parente

Elena si è ingelosita che voleva venire pure lei allora Ema-nuela per consolarla ha detto «fai da brava che ti faccio il gat-tò» così non volevo andare più neanche io però mi hanno pro-messo che me ne lasciavano mi sembra che è morta proprio in questo periodo la madre del farmacista sì era come oggi era il giorno dei morti sicuramente viene mamma per andare in cimitero speriamo che mi porta dolci qui la colazione è una schifezza solo il tè mi hanno dato e zucchero contato figurati la fame che c’ho con tutto che l’ho bevuto freddo perché do-vevo fare la comunione

è venuto padre Cosimo con quel chierichetto dondolando l’acquasantiera sempre le stesse cose dice «la nostra vita è nel-le mani del Signore su questa terra siamo di passaggio» non mi sembra mica giusto che ci ricorda la morte ogni volta già siamo ammalati qui dentro

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non ci riuscivo ad ascoltarlo con quell’odore che c’ha sono sicura che non si fa il bagno da un mese e continuamente sta parlando di cose tristi «quando moriremo andremo nelle braccia del Padre» io spero che ce ne passano ancora di anni magari non si dovrà dire per un prete ma a me mi è antipatico sono sicura che all’uscita è andato a mangiare

ora si sentono le campane di Sant’Anna me l’immagino la gente tutta elegante che va a messa e dopo al cimitero se ero in paese andavo a mettere i fiori a babbo poverino.

Dottor Lecis guarda la cartella e mi fa occhiate brutte che paura quando pensa in silenzio dottor Lecis fa un rumore strano con la gola come un cane che ringhia piano piano pri-ma o poi mi manderà via da qui in uno di quei ricoveri dove legano i malati al letto col buco sotto il materasso per fare i bisogni come arriva il dottore dell’altra volta gli viene il sorri-so si chiama Gabriele questo dottore giovane è un nome che gli sta bene perché è come l’arcangelo Gabriele quando c’è lui dottor Lecis diventa più bravo

da oggi mi cambiano la terapia finalmente se ne sono accor-ti che mi stavano ammazzando crisoterapia si chiama questa nuova che mi devono fare sicuro che me lo ricordo io i nomi delle malattie e delle medicine non me li dimentico l’ha deciso dottor Gabriele secondo me è pure più bravo di dottor Lecis «cominciamo con dieci milligrammi»

meno male che c’è lui se no dottor Lecis mi lasciava morire di dolore infatti come si gira dalla mia parte fa di nuovo la fac-cia scorbutica «se la terapia funziona la mandiamo a casa deve muoversi fare passeggiate prendere sole dimagrire» muove quel dito grosso e peloso davanti alla mia faccia me lo sono anche sognato quel dito suo una notte

mi sta venendo voglia di piangere sono sicura che non ce la farò a fare passeggiate a dimagrire a prendere sole meglio morire io non me ne voglio andare dall’ospedale alla fine mi scendono davvero le lacrime e dottor Lecis è tutto soddisfatto si capisce da quel rumore che fa con la gola

dopo che se ne sono andati mi posso mangiare l’ultimo dol-cetto l’avevo nascosto quando stavano entrando meno male che stanno portando il pranzo dall’odore mi sembra che c’è

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brodo con che cosa lo faranno il brodo non c’ha sapore di nulla comunque me lo mangio lo stesso stanno cominciando le visite c’hanno tutti le facce brave brave

capirai facile essere bravi dopo che escono da qui vanno a casa a mangiare un sacco di cose buone mica come me che c’ho an-cora fame e non mi danno più niente sono tutti allegri i parenti in visita vai e cerca tutta la contentezza che c’hanno sarà perché sono sani a me la gente contenta nei giorni di festa mi fa tristezza mi sembra che sono tutti contenti e solo io sono triste

per esempio di domenica quando vengono Giuseppe e Cate-rina alle volte mi viene anche voglia di trattarli bene poi però li vedo tutti allegri e mi sono antipatici non gliene frega niente se sono malata altrimenti non ce l’avevano la voglia di scherzare allora incomincio a lamentarmi lo so che gli do fastidio poi a Ca-terina per farla rimanere male basta dirle «come ti sei conciata»

certe volte manco mi risponde che maleducata mica ci com-portavamo così noi con i genitori alla fine ogni domenica non vedo l’ora che se ne vanno tanto lo so che non gli piace ri-manere con me subito come passa l’ora mi baciano il bacio di Giuda brutti ipocriti magari se ci crepavo in questo lettino erano anche contenti

dall’andito si sente la voce di zia Assunta e poi quella di mamma che mi fa sempre lo stesso effetto come quando ero piccola e facevo una cosa sbagliata meno male che ora sono ammalata così non si può arrabbiare entrano tutte dritte e ele-ganti meno male che dietro di loro c’è Caterina con i capelli arruffati speriamo che mamma se la prende con lei e a me mi lascia in pace come si avvicina le dico «manco le zingare si vestono così non ti sei nemmeno pettinata»

lei fa la faccia strafottente e sbuffa mamma la guarda male «non c’è mai stata una così trasandata nella nostra famiglia» però dopo attacca con me «come ti senti» c’ha quel tono della voce come quando una pensa che le dicono una bugia non si sa mai cosa vuole sentire meglio rispondere una cosa che non vuol dire niente «così così»

si adira ugualmente «non lo sai manco tu come ti senti chissà ai medici che cosa gli dici» nel frattempo mette a

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posto il letto e mi tira più in alto «che cosa dice il primario» mi guarda seccata magari se le dico di questa nuova terapia che c’ha l’oro è contenta a lei le piacciono le cose d’oro poi comincia con la solita tiritera «non ti sforzi di guarire non hai volontà con la scusa dei dolori non c’hai voglia di fare niente queste chiazze che c’hai nelle mani ti fanno sembra-re ancora più sciatta la pancia ti fa male perché ti ingozzi come un’oca ti fa comodo essere malata così hai la scusa per restare tutto il giorno a letto» lei non ci crede davvero che sono malata a lei le sembra che se mangio più poco e vado dal parrucchiere e mi faccio la manicure è meglio di una medicina

non mi lasciano in pace non mi vogliono bene se no mi da-vano medicine per i dolori senza farmi sforzare di fare questo o quell’altro se ero magra e bella e allegra allora sì che mi vo-levano bene facile così mi devono volere bene grassa e triste come sono che bello un mondo dove tutti sono grassi e pol-troni e golosi anche più di me sono stata troppo scalognata a nascere in una famiglia dove tutti sono magri e belli e sanno fare di tutto meno male che c’è Caterina che si veste come le zingare e non sa fare niente ma lei è magra anche troppo

solo per rimproverarmi è venuta mamma non mi ha portato nemmeno un dolcetto almeno Giuseppe mi porta un sacco di cose per esempio domenica scorsa un sacco di pacchetti ravio-lini fritti fatti da Maria Giovanna amaretti fatti da Emanuela pane con olive da zia Lucia formaggio di capra me lo manda sempre zio Gesuino mi sembra che lo sento «glielo porti alla merixedda» lui mi chiama sempre così anche da quando sono sposata «io lo so che le piace e tanti auguri mì da zio Gesuino» pabassine buone come le fa zia Claretta nessuno ho conserva-to tutto nascosto bene bene se no l’infermiera fa la spia

zia Assunta non sa niente delle cose di casa mia se no mica me lo diceva «scommetto che non vedi l’ora di tornare a casa» vogliono tutti che torno a casa tranne mio marito lui si diverte di più se non ci sono dev’essere bello quando una ce l’ha una casa davvero un posto dove si sente sicura invece la nostra casa fa venire il freddo quando sono lì mi sembra di essere in un posto estraneo

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a me non mi protegge nessuno c’ho sempre paura in quel-la casa mi sembra che non ne ho di bei ricordi Giuseppe non c’è mai e anche quando c’è è uguale tanto non parliamo di nulla mamma dice «quella è la casa dove hai cresciuto tua figlia» mica ci pensa che per me non è come per lei che a me non mi dà retta mia figlia mica mi vuole bene lei vive per conto suo non è che pensa a me certo magari non lo posso dire a nessuno però mi sembra che mi ha scocciato da quando è nata

quando ero piccola sì che mi sentivo a casa se passo in quell’andito mi sembra ancora di sentire la voce di babbo o la risata di Elena che stupide che eravamo da ragazze non è successo nulla di quello che speravamo dopo che mi sono sposata quella non era più casa mia e neppure l’altra così sono rimasta senza casa meglio questa cameretta dell’ospedale al-meno non ci sono i ricordi che mi fanno tristezza e non penso a dove sarà Giuseppe

meno male che l’infermiera le manda via che io il coraggio non ce l’ho ce ne passa di tempo prima dell’ora di dormire sono le sette la terapia me la danno verso le nove poi devo aspettare che fa effetto se ci penso al tempo che manca mi viene la disperazione la gente stasera è tutta contenta certo oggi è festa anche se è la festa dei morti

a me mi piace che arriva un po’ il freddo poi fra poco è Na-tale meglio se sono ancora qui magari facciamo un po’ di festa con le altre signore tanto a casa mia non mi piace il Natale l’anno scorso per accontentarmi Giuseppe ha fatto il presepio ma era misero misero con poche statuine si capiva che era una cosa fatta tanto per farla con un Gesù bambino rosa rosa sembrava un maialino però faceva tenerezza lo stesso

a casa babbo lo faceva bellissimo il presepio Elena voleva l’albero però mamma diceva che il presepio è fascista e io ero d’accordo con lei perché nel presepio uno si può sbizzarrire infatti babbo ci metteva i pastori e i re magi gli angioletti e le contadinelle poi il telo con le stelle e la cometa le aveva ricamate nonna Assunta e anche aveva fatto la copertina di Gesù bambino tutto intorno ci mettevamo il muschio e in mezzo c’era anche un fiume piccolo piccolo di acqua vera

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da quando babbo è morto mamma non lo fa più mi sa che mi faccio prestare tutte le cose per farlo qui all’ospedale se ci rimango anche per Natale

almeno mi hanno portato i giornali il fotoromanzo lo leggo dopo ché devo aspettare una settimana per l’altro poi è quel-lo che mi piace di più faccio come con la roba da mangiare che il boccone più buono lo lascio all’ultimo CHAMPAGNE E CoCCoLE questa attrice giovane non me lo ricordo come si chiama fidanzata con un pleiboi IL CUoRE DI MoNICA BAT-TE DI NUoVo quella della televisione abbracciata con uno ma non si vede tanto bene magari è sposato tutte bagasse queste della televisione basta leggere il titolo grande tanto è sempre la stessa storia

ANNA: SoNo DISTRUTTA poverina questa mi vengono le la-crime non ci riesco neanche a girare la pagina quasi quasi non si riconosce senza trucco è una famosa vicino hanno messo la foto del marito abbracciato con un’altra anche a quelle magre e famose i mariti le tradiscono meglio che mi leggo il fotoro-manzo così mi consolo sono giovani e magri poi sono sempre innamorati certo che ci sono le difficoltà anche lì però prima o poi l’amore trionfa e gli amanti si dicono cose bellissime di quelle che io non le ho dette mai e neppure me le hanno dette peccato perché l’ho sognato sempre che mi dicevano cose così

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III

Caterina, in Città, sperimenta iL dissidio fra L’indi-viduo e La rivoLuzione

che abitudine di merda questa di andare al cimitero lo odio questo posto la ghiaia mi entra negli zoccoli cioè nonna mi guarda male perché strascico i piedi lei e zia Assunta con quei tacchi sembrano due cavalle vecchie che borghesi con le borse di rettile e i colli di pelliccia più squallide di così non si può si fermano davanti alle lapidi «la figlia di questa che ha sposato questo qui mi faceva la corte te lo ricordi che civetta che era quest’altra la moglie di questo ancora viva è» quella crastula di zia Assunta la aggiorna su tutto solo davanti alla cappella di famiglia si mettono a pregare

è inutile che mi fanno quelle occhiate non mi fregano mica ci credo che sono tristi per i morti è il pensiero che ci finisco-no anche loro prima o poi lì dentro è quello che le rattrista non vedo l’ora che se le mangino i vermi sperano che non se ne accorga nessuno che mi sto pisciando dalle risate ma non è che mi possono sgridare a voce alta al cimitero io non sarò così falsa quando saranno crepate manco per sogno che ci verrò al cimitero a vedere le loro tombe schifose

la cosa più squallida è davanti alla tomba di zio Giommaria che ipocrite non gli hanno mai voluto bene cioè nonna ogni volta che ne parla fa quel sorrisino da stronza è meglio zia Elena che non ci viene a portare i fiori al marito per quello che gliene fregava di lui anche oggi non è venuta ci ha salutato con la mano quando siamo partiti con l’altra si stringeva il col-lo del maglione c’era vento e i capelli le andavano sugli occhi volevo vedere se babbo la guardava lui ha fatto solo un cenno con la mano e così non l’ho potuto capire se si emoziona an-cora a vederla così bella

questa storia della bellezza di zia Elena mi ha rotto i coglio-ni il massimo dei complimenti che mi fa nonna è «rassomigli a tua zia però lei è stata sempre elegante» allucinante come se me ne fottesse qualcosa di essere elegante finalmente alla

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tomba di zio Mario quella faccia di topo di zia Assunta si è messa a piangere davvero al marito gli ha voluto bene anche se l’ha tormentato con tutte le sue cazzate borghesi non ho riso manco io lì perché anche se non l’ho conosciuto era un compagno i fascisti l’hanno anche perseguitato l’unico decen-te di questa famiglia peccato che non ho fatto in tempo a co-noscerlo insomma una bella giornatina mi hanno organizza-to queste cornacchie cioè dopo il cimitero dobbiamo andare all’ospedale dalla mammina adorata

il massimo della goduria pranzo a casa di zia Assunta cazzo quanto odio stare con i parenti c’è un odore schifoso di cera per i mobili e di pesce in questa casa figurati si dovevano in-gozzare con la scusa del mio compleanno minca che noia mi butto sul divano non c’è speranza c’ha tutto odore di polvere è tutto stantio

di lasciarmi un attimo in pace non ci pensano proprio zia Assunta mi chiama e quell’altra cariatide «lo vedi è sempre così manco il giorno del suo compleanno è contenta» che caz-zo c’avrò da festeggiare con loro e poi non me ne frega nulla dei compleanni zia Assunta con le sue stronzate mi fa incaz-zare anche più di nonna «lasciala stare è nell’età ingrata vedrai che quando cresce cambia» cioè sarà convinta che da grande cambio figurati se divento come loro mi ammazzo

la ciliegina sulla torta è quel coglione di Enrico ci manca-va solo lui si vede alla prima occhiata che è un borghese di merda cioè si capisce dal loden e dai capelli ordinati e poi c’ha quella sicurezza odiosa di uno che non fa in tempo a desiderare una cosa e se l’è già comprata è biondo alto e sportivo quindi sono sicura che piace alle ragazze almeno a quelle fighette come lui insomma c’ha tutto quello che fa impazzire nonna di gioia naturalmente è anche bravo all’università

diventerà un avvocato squallido con la valigetta e la cravatta e sposerà una borghese stronza come lui quello che mi dà più fa-stidio è che si ostina a chiamarmi cuginetta e mi chiede «sempre comunista?» come se essere comunisti fosse una cazzata che ti svegli una mattina e hai cambiato idea lui dice «la politica non

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m’interessa» che qualunquista di merda bel pranzetto che mi aspetta con una cricca di fascisti nonna neanche lo nega babbo e zio Salvatore con la tessera della DC Enrico è qualunquista

zia Assunta non lo sa manco lei a un certo punto grida «a tavola» si vanta che sa ricevere una storia disgustosa vederli tutti contenti che mangiano come maiali almeno masticasse-ro e basta no ogni tanto fanno riposare le mascelle per dire stronzate tipo «le stagioni sono cambiate» «questa inflazione ci ridurrà sul lastrico» «certo che in Russia non fanno la vita che facciamo qui» che incazzo non c’ho voglia di parlarci al-trimenti glielo direi che neanche in Italia vivono tutti come loro gli starebbe proprio bene vivere in Russia ed essere uguali agli altri anzi a loro li manderebbero in Siberia e allora lì vedi come cambiano le stagioni

già vederli mangiare non è un bello spettacolo una non può neanche sperare di pensare ad altro ma la cosa più schifosa è che parlano di cibo tipo «buona l’orata però l’altra volta era meglio questa volta l’ho presa al mercato di San Benedetto» e naturalmente ci scappa che neanche i pesci sono più quelli di una volta e quel cretino «zietta zietta come cucini tu nes-suno» e allora la stronza figurati comincia «Caterina invece non mangia niente me lo fa per dispetto» che un po’ è anche vero cioè non mangerei mai in mezzo ai fascisti e se la faccio incazzare meglio così

figurati se a una le viene la fame a vederli con quelle fac-ce rosse e sudaticce meno male che non ho la loro bestiali-tà cioè assisto in silenzio alla degenerazione della borghesia zia Assunta alla fine porta una torta con le candeline e mi fa un’occhiata di sfida cioè lei lo sa che i dolci mi piacciono figu-rati se l’assaggio mica gliela do la soddisfazione fa in tempo a crepare prima

che faccia da scema «da brava spegnile tutte insieme come quando eri piccola» nonna mi guarda con l’aria scet-tica non posso mica dare una delusione alla mia adorata nonnetta quindi mi accendo una sigaretta nelle candeline allora la cornacchia fa quel sorriso cattivo e soddisfatto lei se l’aspettava Enrico scoppia a ridere babbo scuote la testa zia Assunta fa la faccia da roditore ma la cosa più comica

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è zio Salvatore si alza di scatto come un tarantolato «porta male spegnile e riaccendile se non soffia lei soffio io» e si mette a soffiare ma gli esce un rantolo da quei polmoni catarrosi almeno ho movimentato un po’ il pranzo

finalmente me ne torno a casa mia porca puttana quanto ci metto ad aprire questa serratura difettosa ce n’è voluto per convincere babbo «non ti mando a vivere in questa grotta» meno male che ci abita Antonia babbo e mamma di lei si fi-dano ciecamente che cosa gli sembrerà che è al quarto anno di medicina poi quando ha visto le altre che abitano qui si è tranquillizzato cioè due che nonna direbbe «sono brave ragaz-ze» con un sorrisino di disprezzo si capisce che sono povere c’hanno i pantaloni larghi il cappotto e i maglioncini fatti dalla mamma tutto grigio e blu così non sbagliano mai gli abbina-menti i vestiti li comprano al paese loro «c’è una bottega che sembra una boutique»

sono due soggette qualunquiste vanno a lezione di sera pas-seggiano con i fidanzati una roba allucinante sanno esatta-mente che cosa faranno da grandi cioè si vogliono laureare e dopo si sposeranno al paese loro e faranno figli con quelle teste di cazzo dei fidanzati

figurati che vanno a pulirgli la stanza non mi piace parlare con due cretine così però un giorno gliel’ho detto «non se la può pulire da solo la stanza il tuo ragazzo» e lei «un uomo mica può lavare in terra» per colpa di stronze del genere le donne non si emanciperanno mai si fanno anche dire come si devono vestire certe storie tipo «la gonna è troppo corta» «sei troppo truccata» le rimandano in camera a cambiarsi

cazzo quanto sono loffie con i capelli crespi una è grassa cioè deve avere minimo la quarantadue e poi sono pelose con i baffi e tutto il resto Antonia è diversa lei se ne frega dei vesti-ti cioè si mette quello che capita quando esce quelle due ridac-chiano ma quando sono di fronte a lei la perdono quell’aria da piglianculo cioè lei non parla né di ragazzi né di vestiti

mi sembra che le prende per culo fra sé e sé lei è contenta solo se può parlare di studio si capisce che quella è una cosa che la interessa veramente si vuole laureare in fretta nella sua

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famiglia sono poveri la mamma è diplomata il babbo invece è ignorante nonna dice «è rozza anche la mamma studiare non le è servito a nulla perché poi ha sposato lo stesso un anal-fabeta povero e rozzo come lei» però mamma dice sempre che Gesuina Fadda era intelligentissima e io ci credo perché Antonia le assomiglia

a casa sua è l’unica femmina i fratelli sono cretini il babbo se la voleva tenere a casa a fare la serva poi alla fine si è rassegna-to a mandarla a studiare adesso se ne vanta che la figlia si sta per laureare con Antonia si può parlare di politica cioè anche se non viene alle manifestazioni è informata alla fine però mi rompo i coglioni pure di lei cioè mi fa un sacco di storie perché non studio e perché non mangio dopo se ne ritorna nella sua cameretta dove non c’ha manco una stufetta per risparmiare si infila sotto le coperte col libro e quando ne esce c’ha l’aria più decisa che mai beata lei che sa quello che vuol diventare io non so niente l’unica cosa sicura è che non voglio tornare in quel paese di merda e che non voglio diventare come mamma

è una figata svegliarsi senza orario nessuno che mi rompe i coglioni come quando andavo a scuola me ne rimango tutto il tempo che voglio sotto le coperte a contare i pallini di luce sul muro mi metto il lenzuolo sopra la testa e rimango a girarmi sotto le coperte come una primitiva senza pensieri e senza ansia cioè muovo le gambe e le braccia piano piano come vogliono loro mi godo il calduccio

lo stomaco brontola sono così contenta di essere in que-sta casa che potrei anche mangiare peccato che il dormiveglia dura poco mi piace la sensazione di pesantezza degli occhi che si aprono a fatica però dopo un minuto sono sveglissima cioè le gambe non vedono l’ora di camminare e ogni volta faccio lo stesso pensiero cioè peccato essermi svegliata

chissà chi sono quando dormo se ripenso a certi sogni che faccio mi sembra impossibile essere la stessa persona un po’ mi fa paura questo fatto di non essere proprio io cioè faccio cose che normalmente non le farei mai

per riconoscere questa bestiolina che ero nel sonno mi sol-levo la maglietta e annuso il mio odore credo che ognuno c’ha

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il suo inconfondibile cioè penso che se fossi un animale i miei simili mi riconoscerebbero da questo odore chissà se si sento-no così quegli animaletti che vanno in letargo e si risvegliano nel nido tutto foderato di paglia calda e dopo escono tutti insieme dal letargo chissà come faranno a capire che è il mo-mento giusto che figata si annusano e si leccano come i cani

piacerebbe anche a me trovare qualcuno che mi annusa e mi lecca quando esco dal letto ma sono sola così me le tocco io le tette prima una e poi l’altra no è meglio tutt’e due insieme chissà come sarà quando me le toccherà qualcuno mica sono sicura che mi piacerà è una figata l’osso dell’anca che si sente proprio bene c’è solo la pelle sopra e anche nelle gambe non si afferra niente forse me li dovrei togliere questi pelacci duri ma in fondo che cazzo me ne frega tanto sono un animaletto cioè gli animali non si vergognano del loro corpo e figuriamoci dei peli

lì in mezzo vediamo se sono sveglia sembra una prugna ma-tura però viva e vellutata con quell’umidità liscia che non ho mai sentito da nessun’altra parte chissà che cazzo ho fatto nel sogno per bagnarla così mi odoro la mano si sente ancora l’odore di saponetta di ieri notte però c’ha anche quell’altro odorino tutto suo di patata appena tagliata

mi metto a pensare a certe cose che so io e l’accarezzo all’inizio bisogna fare piano perché altrimenti s’indispettisce certe volte non c’è niente da fare cioè se insisto mi fa anche male che porcate che mi vengono in testa cose allucinanti tipo una con la maschera bianca però se mi metto a pensare alla Sartiglia mi distraggo e mi passa tutta la voglia

lei non vuole e piange ma le fanno fare di tutto allora si sottomette non si ribella piange e basta ma io lo so perché cioè anche se non vuole le piace e non ce la fa a resistere non è che le facciano del male neanche un po’ però lei ha paura e insieme sta godendo che non ce la fa più e si vergogna di farsi vedere con le cosce tutte aperte e dopo la girano lei si vorrebbe coprire ma la scoprono sempre e poi la guardano e la toccano e alla fine quando glielo infilano non ce la fa più e viene insieme a me mi vergogno sempre dopo così mi alzo di scatto ogni volta c’ho questa paranoia che mi ha visto qualcu-no anche se so che è impossibile

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è una bella giornata però quando c’è il sole così dalla matti-na presto c’è gelo infatti sento lo spiffero porco dio non ce n’è una che si chiude bene di finestra in questa casa beh la volevo proletaria vado a farmi un caffè così mi riscaldo le mani cazzo come brontola lo stomaco no cara niente mangiare oggi la bestiolina le ha già avute le sue soddisfazioni ogni volta mi brucio la lingua non le voglio incontrare le altre ragazze in cucina mi fa venire la nausea l’odore del latte quindi appena entra Maria Cristina scappo a farmi una doccia

porca puttana acqua ghiacciata acqua bollente acqua ghiac-ciata acqua bollente maledetta ora che ho finito è giusta un po’ di kajal per rimpicciolire gli occhi li odio questi occhi trop-po grandi mica mi piace guardarmi allo specchio cioè c’ho i fianchi troppo larghi magari divento grassa come mamma però i capelli sono ok che figata non sentire nonna «asciuga-teli che se no ti vengono i reumatismi» figurati se io voglio diventare vecchia come lei morirò prima non faccio mica in tempo a prendermi i reumatismi vado a piedi oggi in facoltà nella salita del terrapieno i gabbiani mi volano sulla testa lan-ciano certe urla però che figata come sono liberi vorrei urlare anch’io come loro

c’è un vento gelido che mi porta via lo scialle è una figata di mattina quando l’aria è così pulita è strana questa città vista da qui sembrano due cioè a sinistra è alta e superba sembra un giocattolo rosa e celeste vicino al cielo invece a destra sembra un paese con le strisce rosse dei tetti fino al porto la cosa più bella è vedere il mare dorato con tutte le scintille

la luce di Cagliari è speciale di mattina è frizzante mica me ne sono accorta che stavo quasi correndo cioè mi è venuto il fiatone lo stomaco si è incazzato magari oggi mangio magari vado al bar che cosa borghese la colazione al bar meglio la mensa universitaria quella è una cosa abbastanza proletaria però lo so già che non ci mangio lì mi fa schifo mangiare in mezzo alla gente meno male che almeno il freddo mi è passato

i compagni sono davanti all’ingresso che figata guardarli dall’alto tutti colorati che si abbracciano e ridono fanno un casino col megafono si capisce che oggi zero lezione cazzo

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che sballo sembra una festa qualcuno entra altri escono tutti si incontrano e si baciano cioè li invidio io non conosco ancora nessuno solo quelle due soggette della lezione di francese ma quelle non sembrano neppure compagne

comunque anche se le saluto mica ci baciamo quello che vorrei salutare io c’ha sempre il megafono in mano cioè quan-do parla lui «compagni compagni un attimo di attenzione» tutti fanno più silenzio però dura solo un minuto e ricomincia subito il casino non si sente bene quello che dice ho capito solo “assemblea permanente” e “aula magna” mi sembra che non c’ha voglia nessuno di entrare a fare l’assemblea con que-sto sole capirai era una settimana che pioveva fisso

c’è uno che sta gridando «crumiro sta entrando» si affaccia quello di Storia Medievale e scuote la testa però con le cose che gli urlano se ne scappa dentro è una figata quando siamo tutti compagni e cantiamo tutti insieme e gridiamo gli slogan sembra una voce sola potentissima sono sicura che ai borghe-si gli tremano le gambe quello col megafono grida di nuovo «compagni compagni» così tutti si rassegnano e entriamo

non lo so se è bello questo qui col megafono però ogni volta io mi incanto a guardarlo lo riconosco da lontano mica ne ha mai di libri in mano solo il megafono grigio con la falce e il martello si capisce che lui sa quello che si deve fare con quei riccioli che gli nascondono la faccia non gliela vedo bene è bianco bianco e c’ha gli occhi azzurri senza occhiali non l’ho visto mai vorrei sapere come si chiama

sto per entrare dietro di lui e arriva quel cretino di Enrico «ciao cuginetta ce ne andiamo a spasso» non capisce proprio un cazzo «io vado all’assemblea tu cosa ci fai qui» come faran-no a dire che è bello ha una faccia da fesso «sto cercando la mia ragazza forse la conosci» mi rompe anche rispondergli «di borghesi non ne conosco» e mi allontano cioè non voglio che mi vedano con uno vestito da fighetto però mica si arrende «venerdì sera faccio una festa a casa» sono così sola che mi viene anche voglia di andare alle feste dei fascisti

mi mette la mano nei capelli è una cosa che mi fa incaz-zare e lo sa bene «che scorbutica ne vedrai di eskimo e di barbe lunghe ho invitato tutti quelli che conosco ci sono

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anche un sacco di comunisti come te vado ho visto Marta ciao a venerdì alle otto» forse ci vado davvero cazzo di sera mi annoio sempre

chissà se è vero che ci sono anche compagni magari l’ha det-to per convincermi quel compagno che mi piace non credo che vada da Enrico ora è al tavolo della presidenza c’ha tutti intorno si capisce che il leader è lui sento che lo chiamano Marcello dio quanto li invidio quelli che sono vicino a lui e specialmente una ragazza che la vedo sempre con lui secondo me stanno insieme certo lei è molto bella figurati se a me mi guarderebbe uno così come prende il microfono si avvicinano due compagni

li conosco sono della FGCI erano candidati agli organi colle-giali Marcello sorride si capisce che li manderebbe affanculo volentieri però li ascolta a braccia conserte gli altri fanno un casino che metà basta quei due non vogliono che la presie-da Marcello l’assemblea cioè dicono che bisogna eleggerlo il presidente e magari anche il segretario sono proprio scemi minca lo capisce anche un ritardato che non serve a un cazzo votare per eleggere il presidente c’è uno vicino a me che parla «questi stronzi della FGCI ci fanno perdere tempo con le loro organizzazioni» ci mettiamo un casino di tempo a votare che è inutile perché quasi tutti votano per Marcello

che scemi quei due lo dovevano capire che con quell’aria per bene non li caga nessuno sono di quelli che piacciono alle mamme figurati chi se li incula due così in quest’assemblea che cazzo avranno da proporre quello vicino a me è sem-pre più incazzato «compromessi e mediazioni come se non ci fossimo già rotti i coglioni di aspettare le decisioni degli altri questi non lo capiscono che noi vogliamo essere liberi vogliamo una società comunista giusta e senza repressione e la vogliamo subito» io sono d’accordissimo

Marcello è bellissimo una scema si gira dall’amica «non è bello ma gli direi ti amo a occhi chiusi» cazzo che vergogna meno male che non la poteva sentire questa gaggiata Marcello prende il microfono «compagni votiamo a favore dell’assem-blea permanente» c’ha l’espressione sicura che voteremo a fa-vore infatti solleviamo quasi tutti il pugno

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uno della FGCI prende il microfono «compagni compagni» non lo ascolta nessuno finché Marcello non fa un cenno «l’as-semblea non rappresenta la maggioranza degli studenti non è democratico decidere per tutti gli studenti della facoltà» si mettono a gridare tutti «vaffanculo» c’è un casino che non può più parlare

Marcello mica si agita cioè sta scrivendo e ridacchiando sod-disfatto poi prende il microfono cioè quando parla lui siamo tutti attenti le cose che dice ci piacciono tipo «l’assemblea è l’unico organo rappresentativo cioè chi non partecipa dovrà rimettersi alle nostre decisioni noi la interpretiamo benissimo la volontà dei compagni anche di quelli che non sono qui per-ché non vai a guardare se nelle aule c’è qualcuno a fare lezione vedrai che domani saremo di più però votiamo per l’assem-blea permanente così non ci sono più dubbi»

è una figata solleviamo tutti il pugno cantiamo l’internazio-nale e gli slogan i compagni si abbracciano c’è un casino che non si sente neanche più la voce di Marcello ma lui non è seccato anzi sembra un generale dopo la vittoria lui lo sa che ci fidiamo di lui dopo ci sediamo di nuovo merda però parla sempre con la sua ragazza minca quanto la invidio quella lì prima di parlare Marcello le fa una carezza

«compagni» uno della FGCI si avvicina di nuovo Marcello lo ascolta e si mette a ridere «compagni Paolo Mura dice che bisogna fare un verbale e prendere le iscrizioni a parlare noi ce ne potremmo fottere delle loro organizzazioni borghesi e ce ne potremmo fottere di un segretario» si mettono tutti a urla-re «ma che cazzo segretario Paolo Mura vattene torna da papà sei un servo del potere» però Marcello continua «facciamoli contenti questi fanatici dell’organizzazione il segretario lo fa Giangi» dev’essere quel compagno alto e magro secondo me sta crepando perché c’è un caldo boia e lui c’ha l’eskimo e la sciarpa comunque si avvicina con la penna e un foglio

Paolo Mura alza la mano «mi iscrivo io a parlare» dev’essere proprio scemo non l’ha ancora capito che qui dentro non ci fa un cazzo che ridicolo col golfino blu e la camicia bianca fa scendere le palle a terra già con quella voce calma poi le cose che dice tipo «bisogna avere chiara una piattaforma di rivendi-

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cazioni aspettando la rivoluzione abbiamo problemi da risolve-re» un compagno grida «che cazzo ne sai tu della rivoluzione» e lui fa finta di niente si vede che è abituato a parlare davanti alla gente «aspettando la rivoluzione dobbiamo lottare per il dirit-to allo studio» e quello grida ancora «noi la rivoluzione non la aspettiamo come te noi la facciamo» Paolo Mura non si scom-pone per niente «non la farete né oggi né il mese prossimo e intanto c’è gente che non ha i mezzi per studiare e ci vogliono i libri gratuiti e la mensa» alla fine qualcuno applaude

magari convinceva pure qualcuno meno male che dopo di lui parla Marcello «certo che vogliamo ottenere i libri e la mensa Paolo Mura ne parla con ironia della rivoluzione però io vorrei ricordargli che in Cina gli studenti hanno fatto la rivoluzione culturale la rivoluzione non è un sogno in Cina gli intellettuali borghesi come Paolo Mura li rieducano» alla fine tutti sono di nuovo d’accordo con Marcello sembra che la possiamo fare oggi stesso la rivoluzione cazzo è proprio un leader basta che fa così con la mano e stanno tutti zitti «noi dobbiamo fare la nostra parte nelle rivoluzione anche se quelli della FGCI cioè i revisionisti vogliono frammentare gli obiettivi e limitarci a rivendicazioni di retroguardia del resto è la strategia del sindacato con la classe operaia»

cazzo come parla bene una ci può stare ore ad ascoltarlo «spaz-ziamo via la cultura borghese riappropriamoci delle strutture costruite col sudore dei proletari facciamo i gruppi di studio di letteratura e di storia dell’arte la facoltà è a nostra disposizione» questa cosa è una figata magari capito proprio nel gruppo di studio con lui cioè mica lo so come farò con la sua ragazza beh vedremo c’è una compagna grassa che gli prende il microfono porca puttana c’ha un’aria questa qui che sembra incazzatissima cioè Marcello sta dicendo «ci sarà il collettivo delle compagne» ma quella non lo fa finire «lo so dire da sola il collettivo è vener-dì alle cinque nell’aula 27» che stronza lui voleva essere gentile le sorride dolce dolce mi sa che vado pure a quello femminista c’ho un sacco di cose da imparare

dopo che quella si allontana Marcello continua «dobbiamo essere i protagonisti e non le vittime dell’istruzione organiz-ziamo i collettivi basta con le lezioni dei professori» ci alziamo

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tutti e ci mettiamo a gridare dopo intervengono altri due com-pagni però non li ascolta nessuno tanto le cose importanti le ha già dette Marcello

prima di andarcene ci avviciniamo da Giangi a iscriverci ai collettivi mi voglio iscrivere dove c’è Marcello mi va di lusso la sua firma è la prima del collettivo di storia dell’arte cazzo però magari se ne accorge che mi sono iscritta lì per lui allora mi iscrivo anche in un altro foglio

quello del collettivo femminista non c’è lo chiedo a quella grassa con me è gentile non fa mica come con Marcello cioè è tutta sorrisi «non c’è bisogno di iscrizioni al collettivo fem-minista vieni però che ci tengo» me ne sto per andare insieme a tutti gli altri quando Marcello mi dice «ciao compagna» così questa è stata proprio una giornata perfetta

c’ho l’ansia cioè non è che non ci voglio andare al collettivo però una paranoia io non so dire niente cazzo magari a Mar-cello gli sembrerò una cretina se sto zitta e se parlo è anche peggio è inutile che programmo «faccio così e mi siedo lì» lo so che non serve a niente tanto tutto dopo è diverso da come me l’ero immaginato

proprio come entro me lo trovo seduto con quella ragazza sulle ginocchia se lo sapevo me ne andavo da un’altra parte è che mi vergogno altrimenti mi alzavo subito merda merda sono una deficiente vabbè mi toccherà una di quelle serate allucinanti non sarà la prima e neanche l’ultima lui però mi sorride «vieni compagna» cioè non è che ci sia niente di spe-ciale però lo dice in un modo affettuoso mi sembra che come l’ha detto a me non l’avrebbe potuto dire a un’altra insomma mi sento speciale anche da come mi guarda

mi siedo e lui «come ti chiami» porca puttana se sono emo-zionata quasi quasi non ce la faccio a dire il mio nome che stronza a volte faccio certe figure di merda sembro una sor-domuta comunque c’è anche la vergogna che devo rispondere «Caterina» maledetti babbo e mamma un nome più paesano di questo non me lo potevano dare cioè Marcello è un nome da compagno il mio invece è biddaio quando sarò vecchia se rimango in paese mi chiameranno zia Caterina anzi zia Ca-

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terina Pinna mi fa una rabbia giuro che se non me ne posso andare da quel posto di merda mi ammazzo

la ragazza di Marcello si chiama Camilla beata lei è un nome fighissimo stanno parlando sicuramente di cose intelligenti cioè figurati se due così parlano delle cose normali come a casa mia prendo un libro dalla borsa e mi metto a leggere cioè è un atteggio mica leggo davvero però almeno non rimango senza fare niente

li invidio quelli che riescono a stare in mezzo alla gente fer-mi in silenzio cioè magari hanno una sicurezza di quello che sono e se ne stanno lì tranquilli senza dire niente ma quelli che sono fatti in quel modo sono i belli che è un piacere guardarli invece a me se mi guardano quando sono ferma e zitta comin-cio a pensare che sono stupida meno male che sta arrivando qualcun altro ma siamo in pochi cioè a me non me ne frega un cazzo ma mi dispiace per Marcello c’ha la voce delusa «siamo l’avanguardia vedrete che ai prossimi collettivi saremo di più»

si mette a parlare di cose intelligentissime sul materialismo dialettico questa qui è una cosa che sapevo bene l’ho studiata l’anno scorso in filosofia ora se me lo chiedono mica la so spiegare comunque non devo essere l’unica perché quando dice «sono aperte le iscrizioni a parlare» non si alza nessu-no magari si stanno tutti cagando sotto comunque dopo di lui parla Camilla mi concentro a guardarla cioè voglio capire cos’è che gli piace di lei merda non mi vorrà mai Marcello se non ce la faccio a parlare così a un collettivo

dopo interviene un compagno alto e biondo è tutto con-tento di stare lì a farsi guardare bello con i suoi occhi az-zurri dello stesso colore della sciarpa «l’arte deve aderire alle esigenze della rivoluzione e deve uscire dalle posizioni dell’individualismo» certo che ne ho di cose da imparare per esempio tutti questi nomi tipo “Malevic” e “il Lef ” chissà che cazzo è roba russa di sicuro comunque questo se lo lasci può parlarne per due ore del dissidio fra l’io individuale e la rivoluzione non ci capisco quasi un cazzo di questi discorsi è che mi vergogno troppo altrimenti segnerei tutto su un quaderno per andarmeli a cercare merda mi sta venendo il malumore come farà ad amarmi Marcello visto che non so

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niente di Malevic e del Lef certo Camilla sicuramente sa tut-to e infatti lei e Marcello si stanno dicendo cose all’orecchio

ora interviene un altro non lo capisco se è d’accordo con quello biondo «bisogna assimilare la lezione costruttivista cioè l’arte è una menzogna perciò sarà cancellata dalla rivoluzione e non resterà altro che la tecnica» Marcello fa di sì con la testa poi parla una vecchia con i capelli grigi almeno quarant’an-ni deve avere «facciamo un collettivo sulle donne nell’arte» e non capisco perché a Marcello gli lancia certe occhiate si capisce che le sta sul cazzo lui invece le sorride «naturalmente le compagne sono libere di riunirsi fra loro quando e come vogliono» ma quella non è contenta lo stesso «non c’è biso-gno del tuo consenso»

se ne va e sembra incazzata nera chissà perché lo trattano così male queste tipe del collettivo femminista lui prende il microfono «gli artisti decadenti controrivoluzionari espressio-ne della piccola borghesia spazzata via dalla rivoluzione» min-chia come vorrei saperle dire cose così fighe «le loro pretese di ricerca formale erano stravaganze borghesi» poi parla di nuovo quello di prima chissà su che cosa non sono d’accordo ma è chiaro che non la pensano proprio allo stesso modo comunque non si capisce più nulla così quando Marcello dice «c’è qualcuno che vuole intervenire» mi prende una fifa che al confronto l’esame di maturità era niente

al massimo poteva succedere che mi bocciavano cioè essere bocciati alla fine può essere una cosa carica di significati rivo-luzionari ma a intervenire al collettivo invece non ce la faccio proprio perché sicuramente Marcello sottopone quello che dico al vaglio del materialismo dialettico e io non so neppure bene che cos’è

di facce spaventate come la mia ce ne sono altre sono proprio una cretina piccoloborghese se non mi piacesse lui a questi collet-tivi non ci verrei più comunque mi dispiace vederlo deluso «com-pagni non ci sono altri interventi» dio che cosa darei per saper dire qualcosa e vederlo soddisfatto insomma dopo neanche due ore non c’è più niente da dire Marcello deglutisce si capisce che non è contento se ne stanno andando tutti invece lui e gli amici si siedono in terra che figata mi piacerebbe sedermi con loro

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quando me ne sto andando succede un miracolo cioè mi chiama «compagna vuoi fumare» in questo momento è bel-lissimo circondato dal fumo sembra la statua del Cristo Re avvolto dall’incenso mi tende la mano con una sigaretta gros-sa e lunga anche se non ne ho visto mai lo capisco che è uno spinello merda sto diventando rossa cioè mi viene in mente una di quelle cose che potrebbe pensare nonna del tipo «è una sigaretta drogata»

peggio per me c’ho messo troppo tempo e Marcello l’ha passato a Camilla lo spinello così mi sento definitivamente cretina però lui mi fissa con gli occhi rossi «siediti qui» allora mi siedo vicino a lui cazzo il pavimento è ghiacciato mi metto lo scialle sotto il culo gli sorrido e faccio finta di essere tran-quilla ma porca puttana c’ho il cuore che mi scoppia

Marcello e gli amici mi sembrano di quelli che fanno riti se-greti io non capisco un cazzo figurati sono cresciuta in quella bidda sperdia meglio che osservo tutto almeno la prossima volta non faccio la figura della scema mi viene anche voglia di andarmene ma proprio ora Marcello si appoggia con la testa sulla mia spalla mi viene un accidenti quasi quasi non ce la faccio nemmeno a stare dritta

Camilla si alza «compagni ci vediamo domani» Marcello la guarda con gli occhi socchiusi «te ne vai?» ma non le dice mica «rimani» lei gli fa un’occhiata incazzata ed esce allora lui mi mette il braccio sulla spalla per sempre me lo ricorderò quell’odore selvatico di bruciato che fa Giangi sbriciolando l’hashish è un odore buonissimo ma ogni tanto la piccolobor-ghese viene fuori con questa paranoia che sto per diventare una drogata

la mano di Marcello mi stringe la spalla e quando mi passa di nuovo lo spinello lo fumo ma mi viene una tosse alluci-nante merda una vergogna però lui mi accarezza la guancia «è normale se non sei abituata» sarebbe una figata stare con Marcello che mi insegna tutte le cose infatti mi insegna a fu-mare tenendo lo spinello nella mano a fare boccate piccole e a trattenere il fumo

la cosa strana è che se ne stanno tutti zitti come una cerimo-nia cioè anche io non dico niente ma dopo un po’ mi viene da

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ridere non so più come fare a trattenermi cioè che cazzo ne so se ridere è normale quando si fuma magari è una cosa che capita solo a me

sono in paranoia ma non ce la faccio più e rido mi sento tutti i muscoletti delle guance anche quelli che non lo sapevo mica di averli c’ho un casino di pensieri una cosa dietro l’al-tra cioè mi sento intelligentissima vedo le cose tutte collegate anche quelle che normalmente non c’entrano nulla capisco il significato di tutto ma mica a velocità normale cioè ho i pensieri accelerati non faccio in tempo a seguire tutte le idee e in più sono abbracciata a Marcello una figata i pensieri sono veloci invece la mano si muove lentissima cioè dev’essere che tutta l’energia va nella testa e manca nelle mani

magari lo amo a Marcello non è come con Graziano cioè adesso capisco di più prima sognavo di essere libera invece ora non c’è più bisogno di sognare e poi Graziano mica mi accarezzava la nuca come fa lui come cazzo fa a venirmi in mente nonna proprio ora certo se mi vedesse abbracciata con un ragazzo seduta in terra a fumare spinelli quasi quasi mi dispiace che non mi vede

magari Marcello mi porta a vivere con lui peccato a un certo punto si alzano ce ne dobbiamo andare mi sto pure rasse-gnando a salutarlo invece lui mi chiede «dove abiti se vuoi ti accompagno» cazzo come mi guarda con quegli occhi che sembrano enormi dietro le lenti mi sento le gambe molli co-munque mi metto a cavalcioni dietro di lui nella moto e c’ho la scusa buona per stringerlo non sono mai stata così felice come in questo momento che la gonna svolazza e Marcello mi accarezza la mano

cazzo che figura di merda sono in ritardo il collettivo fem-minista era alle quattro e mezzo e sono le sei comunque ci provo magari non è ancora finito la porta è chiusa come mi affaccio vedo una donna coi capelli grigi magari ho sbagliato aula invece è quella dell’altra volta cioè quella che guardava male Marcello cazzo c’ha gli occhiali sul naso come nonna «entra compagna peccato che sei in ritardo stiamo per andare via» meno male cioè a me non mi dispiace mica

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ci sono un casino di compagne sedute attorno a quella don-na porca puttana mi verrà la tristezza sembra di essere in pa-ese in casa di una zia con le comari intorno al caminetto mi siedo vicino alla porta magari appena si distraggono me ne scappo parlano tutte inseme qui cioè mica c’è il microfono è proprio uguale a casa di zia

c’è una coi capelli rossi che sta piangendo si soffia il naso e le altre dicono cose tipo «è uno stronzo sono tutti uguali man-dalo a cagare» cioè si capisce che stanno parlando di un ra-gazzo quella anziana non dice nulla solo fuma e le guarda non me l’immaginavo mica che erano così i collettivi femministi cioè pensavo che si parlasse di cose importanti tipo l’aborto la liberazione della donna eccetera vabbè che magari se una entrava l’altro giorno al collettivo e ci trovava seduti in terra a fumare spinelli chissà che cosa pensava comunque sembra di essere al liceo quando a una la lasciava il ragazzo

ce n’è una biondina abbracciata a quella che sta piangendo «Ale trovatene un altro» un’altra coi capelli corti è la più in-cazzata «che cazzo te ne fai non ne abbiamo bisogno di loro» minchia qui non ci faccio un cazzo come faccio ad andarme-ne sono appena arrivata alla fine mi viene pure la curiosità di sapere cos’è successo come nei filmini alla tv la cosa più allucinante è quella anziana che non dice nulla

cioè lei sembra anche una che può fare discorsi intelligenti e invece rimane a parlare di cazzate con questa che piange e le chiede «che cosa devo fare Gemma» le risponde pure «sei in-namorata» meno male che una alta si alza e dice una cosa che la direi anch’io se non mi vergognassi «cioè che cazzo vuol dire innamorata sembrano i discorsi di mia mamma» a me mi sembra questa la più intelligente comunque quando parla Gemma stanno tutte zitte «non se ne può più di questo modo di parlare con riferimenti coprofili e sessuali non è mica una vergogna essere innamorate semmai il problema è la gelosia»

la biondina dev’essere la più scema «certo se quella stronza non si metteva in mezzo Ale non diventava gelosa» Gemma si incazza moltissimo «è una compagna anche lei ci manca solo che ci mettiamo a litigare fra di noi per un maschio» poi accarezza quella che piange «devi parlare con Camilla» io non

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mi perdo più una parola cioè non è che ce ne sono tante di Camille magari lo stronzo di cui stanno parlando è Marcello

la biondina non è mica d’accordo con Gemma «che cazzo parlare con lei quella è una cogliona che le ha fregato il ragaz-zo e poi non è una compagna ai nostri collettivi non ci viene mai» anche questa Ale non sembra tanto contenta di parlare con Camilla Gemma fa gli occhi al cielo «tutte le donne sono nostre compagne l’unico coglione semmai è lui anche se non mi piacciono queste parole perché i coglioni noi non ce li abbiamo quello lì con la scusa che è il leader del movimento scopa quando vuole e con chi vuole e noi gli nutriamo il nar-cisismo tu con Camilla ci devi parlare così magari la convinci pure a venire al nostro collettivo anziché annoiarsi agli altri per compiacere Marcello»

la biondina non si arrende «sì parlaci dille che certe cose non si fanno» sicuramente Camilla le sta proprio sul cazzo e in effetti sta sul cazzo pure a me perché è la ragazza di Mar-cello Gemma parolacce non ne dirà però bestemmie sì «porco dio Marcello non è proprietà di nessuno la gelosia è un sen-timento borghese» però fa la voce gentile «diglielo a Camilla che stai soffrendo ma dille anche che non la odi pensa che tu hai tutte noi dalla tua parte mentre lei ha solo Marcello»

figurati quella piange più di prima io la capisco che cazzo di consolazione questa vecchia che ti accarezza la testa quando l’unica persona che vuoi vicino è proprio lui cioè anch’io la vorrei prendere a schiaffi una che mi porta via Marcello però certo queste cose mica si possono dire in un collettivo femmi-nista insomma è una storia strana questo collettivo una specie di riunione tipo quelle che facevamo al liceo

sicuramente prima che arrivassi io hanno detto cose impor-tantissime e intelligentissime merda la prossima volta meglio che arrivo in orario se no non mi serve a niente però almeno ho scoperto una cosa cioè che Camilla e Marcello non stanno insieme da molto cioè ce ne sono state altre prima di lei e quindi ce ne potranno essere altre dopo

infatti se ci penso bene avantieri mi ha abbracciato quando Camilla se n’è andata magari se n’è andata proprio perché l’ha visto appoggiato sulla mia spalla così adesso io le rendo la

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pariglia per quello che ha fatto soffrire a questa Ale mi sento anche una gran donna cioè una vendicatrice così se me lo prendo a Marcello Camilla non potrà dire nulla anzi magari se ne andrà a piangere al collettivo vedrai se non sarà contenta Gemma mi sembra tutto fighissimo che io e lui stiamo sem-pre insieme e ci baciamo eccetera approfitto di un momento che sono tutte intorno a Gemma e me la squaglio

cazzo fuori è nottissima c’è un freddo cane non ne ho voglia di rinchiudermi in quella cameretta gelida magari vado alla festa di Enrico tanto se mi fa cagare mando tutti affanculo e buona-sera semmai è meglio andare a casa a rifarmi il trucco ma chi se ne fotte per un paio di fascisti deficienti e poi andando a casa allungo troppo invece a casa di Enrico ci sono quasi

mi sembra impossibile che sono proprio io che sto bussan-do a questo campanello Fam. Chessa targhetta e pulsantini d’ottone lucidissimi una merda di Fam borghese questa qui è che non c’ho mai un cazzo da fare di sera e poi magari è anche vero che ci troverò qualche compagno Enrico mi apre la porta tutto sorridente come cazzo farà a essere sempre di buonumore non lo perde il vizio di toccarmi i capelli e di chia-marmi cuginetta «la casa la conosci in cucina c’è da mangiare e da bere in salotto si balla» mi sono già pentita di essere venuta ma ormai do un’occhiata vassoi pieni di pizzette e tramezzini Coca-Cola Fanta e birre a volontà

si vede che non c’ha problemi di soldi lo stronzo magari mangio qualcosa sono digiuna tutto il giorno però mi secca che davanti al tavolo ci sono due o tre figurati la fila biso-gna fare mi è già passata la voglia apro il frigo e prendo una birra magari se la bevo a bruncu si scandalizzano gli amici fighetti di Enrico però è vero che ce n’è di gente tipo questa col poncho minchia che stronza travestita da compagna con i tronchetti di rettile c’ha una puzza di profumo costoso che si sente da lontano

il salotto è pieno c’è buio all’inizio non vedo un accidenti almeno la musica è giusta De Gregori mi piace un casino è un compagno anche se Graziano dice che scrive canzoni intimi-stiche «roba per borghesi insoddisfatti l’anticamera del fasci-smo» così mi ha detto «gli Inti Illimani sì che vanno bene loro

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fanno davvero musica popolare» un piscio sarebbe mettere un LP degli Inti Illimani qui adesso vedi che gli passerebbe a tutti questi fighetti la voglia di toccarsi e di sbaciucchiarsi

però è seccante che ogni volta mi tocca vergognarmi delle cose che mi piacciono magari c’ha pure ragione Graziano per-ché questa qui della canzone si mette il collo di pelliccia quin-di proletaria non è di sicuro chissà che cosa ne pensa Marcello se questa canzone è bella oppure no cioè se è organica con la lotta di classe

aveva detto la verità Enrico ce ne sono di compagni c’è pure uno che al collettivo era seduto vicino a Marcello perciò ci posso rimanere anche io magari mi faccio un’altra birra e li guardo ancora un po’ sono tutti a coppie abbracciati che bal-lano alla fine se non fosse per l’atteggio che hanno sareb-be proprio uguale ai balli del cortile del cinema tutti presi da questa frenesia di strusciarsi come se non ci fosse la fame nel mondo e la violenza sulle donne

magari quello lì glielo dice a Marcello che mi ha incontrato qui beh io posso sempre dire che studio la borghesia nelle sue manifestazioni giovanili mi appoggio al muro e li osservo devo avere un sorrisino ironico meglio se lo capiscono quanto le disprezzo le loro feste borghesi è inutile che si camuffino da compagni Enrico va a cambiare disco peccato che sia fascista Battisti perché mi piace un casino non ne devo fare più di questi errori alla fine sarò da rieducare pure io se non cambio gusti merda proprio con questa canzone mi doveva chiedere «balliamo» l’amico di Marcello cioè se me l’avesse chiesto un fighetto non gli avrei manco risposto però con lui è diverso cioè è un compagno a parte che l’ho visto all’assemblea poi si capisce da come è vestito

mi tira in mezzo a tutti nel buio è alto ma non come Venan-zio c’ho il cuore in gola comunque lo abbraccio e rimaniamo in silenzio meglio che non ci penso che sto ciondolando ap-pesa al collo di uno ballando “Emozioni” se no me ne scappo lui magari se ne frega della lotta di classe magari invece sono io che non ho capito un cazzo e ballare a una festa alla fine stai a vedere che magari è un gesto carico di significati rivo-luzionari

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dev’essere proprio una cosa contagiosa perché mi prende pure a me la frenesia di abbracciarmi con questo che non ho manco capito se è un vero compagno cioè sta andando come quella volta con Venanzio infatti ora mi sta baciando il collo ed è una figata magari mi posso rilassare se non era un com-pagno mica si sedeva al tavolo della presidenza con Marcello è anche bellino c’ha una barbetta biondina e i riccioletti mi piace come mi mette le mani fra i capelli e ci baciamo che cazzo di storia neppure lo conosco e sono tutta bagnata lo stesso dev’essere proprio la bestiolina che c’è dentro di me che viene fuori

magari non è solo sesso cioè è una cosa dolce e struggente magari questo è uno intelligentissimo anche più di Marcello così gliela lascio mettere la mano sotto il maglione e gli dico «sì» quando mi chiede «andiamo in un’altra camera» minchia se c’ho paura però lo devo proprio fare cioè questo è un com-pagno ed è pure carino insomma mi prende per mano e mi lascio trascinare in una camera alla fine mi dà pure soddisfa-zione questa profanazione cioè speriamo che mi faccio sver-ginare sul letto di zia Elena ci buttiamo in mezzo ai cappotti cazzo che fretta che c’ha questo mi vuole togliere i jeans meno male che siamo al buio cioè mica me lo ricordo che mutande mi sono messa

sono stressata comunque alla fine mi tolgo una gamba dei jeans lui si avvicina porca puttana chissà come farò c’ho il cuore che mi sta scoppiando e sento una cosa caldiccia e vi-schiosa nella coscia poi lui comincia a balbettare «scusa scusa non lo so cosa scusa» quindi capisco che non dobbiamo fare più niente e mi rivesto che schifo questa bagnaticcio mi secca rimettermi i jeans ma mica posso uscire dalla camera in mu-tande meglio che me ne vado subito lui cerca di fermarmi «ci vediamo un’altra volta» cazzo magari ci rivedremo anche ma di baciarlo ora non ne ho proprio voglia uscendo dalla camera vedo Enrico appoggiato al muro se la ride il bastardo manco lo saluto questo stronzo sennò mi prende anche per culo e mi sbatto dietro la porta

DAL 1954 AL 1968

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IV

eLena, oppressa daLLo sguardo deL mondo, riCorda di quando era sCioCCa e vanesia

non l’ho fatto il conto di quante domeniche sono rimasta ad aspettarlo la odio la domenica non vado più neanche a messa tanto sto peccando e continuerò a peccare poi la gente dopo la messa si mettono a guardare e parlano ce n’è per tutti ma per me anche di più fino all’anno scorso li sfidavo ci mettevo un’ora a prepararmi il vestito rosso era troppo vivace quello blu era troppo scollato quello grigio era troppo serio semmai pensano che davanti a loro mi voglio mortificare

quando attraverso la piazza mi sento nuda non è per le oc-chiate delle donne da quando è morto babbo mi danno fa-stidio gli uomini come mi guardano e parlano lo so che cosa pensano «visto che sei bagassa dammelo pure a me quello che dai al marito di tua sorella» di babbo c’avevano rispetto di Giuseppe no perché lui se ne va in giro col rimorso stampato in faccia e tutti sempre «poverina Margherita»

mi odiano tutti in questo paese si capisce anche da quella lettera anonima che mi è arrivata il mese scorso mica ce l’ho fatta a buttarla ogni volta che la vedo mi metto a piangere non è per quello che c’è scritto è il pensiero che c’è gente che mi vuole così male il primo giorno ho pensato è una donna e magari la conosco pure magari è Grazietta quella che viene a pulirmi la casa

ogni tanto mi guarda strano è bruttissima con quella pelle gialla gialla e i capelli rossi magari quelle manine invecchiate dalla varechina hanno scritto tutte quelle cattiverie che cosa le avrò fatto per trattarmi così dev’essere l’invidia perché a lei non la vuole nessuno

magari però non è lei non ce ne sono errori in quella lettera Grazietta non sa manco parlare figuriamoci scrivere no no non è lei dev’essere Antonietta Lindiri quella che abita qui dietro lei è diplomata lei sì che la sa scrivere una lettera senza errori quella lì è acida ed è zitella le dà fastidio tutto secondo me è lei che

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mi ha avvelenato il gattino quando mi vede sta sempre borbot-tando sembra che lancia maledizioni manco me lo godo più il giardinetto magari lei ogni volta che vede Giuseppe come passa dal cortile le viene la rabbia che da lei non ci va nessuno

però nella lettera ci sono scritte cose troppo volgari mi sem-bra che una così certe parole manco le conosce e poi la scrit-tura è disordinata invece quella lì è maniaca dell’ordine magari è un uomo sarà Emilio onnis il farmacista mi voleva sem-pre anche quando eravamo ragazzini mi aspettava all’uscita di scuola una volta c’ha provato a darmi un bacio quando faceva tempo bello mi lanciava i bigliettini dalla finestra

dev’essere proprio lui ce l’aveva già da ragazzino la mania di scrivere e siccome non l’ho voluto adesso mi odia ed è geloso di Giuseppe mi sta facendo impazzire questa lettera meglio che la straccio tanto non lo scopro mai chi l’ha scritta ma è uguale perché qui mi odiano tutti

certo quando ero ragazza non ne avevo paura di uscire se mi ricordo come ero contenta quella vigilia di Natale del ‘54 mamma l’ho assillata tutto il giorno per portarci alla messa di mezzanotte figurati non le piaceva uscire manco di giorno c’era un freddo cane mamma non ne aveva voglia di fare gli auguri alla gente dopo la messa si è seduta a tavola senza cambiarsi

mi è venuta la disperazione se non si cambiava voleva dire «oggi non si esce» mangiava come una che dopo non ha im-pegni a Emanuela le ha detto «non portare tutto in fretta che ci va di traverso» mischina Emanuela ci voleva andare pure lei alla messa di mezzanotte non ci riuscivo a gustare la cena mica ero come adesso da ragazza ero golosa soprattutto mi piaceva il capretto ma quel giorno c’avevo lo stomaco chiuso

mi ero confidata con Marghe quella mattina anche se non c’era tanto da dire di Giuseppe lei non ci capiva nulla «cosa fa se non lo incontri proprio oggi lo incontrerai un’altra volta mica scappa» però io mi ero fatta la messa in piega e il vestito nuovo mi stava benissimo mi guardavo allo specchio mi vede-vo bella e volevo che anche Giuseppe mi vedeva così

però questa cosa mi seccava dirgliela a mia sorella lei era grassa e non le stava bene niente la colpa era sua magari se mangiava di meno non era neanche brutta anche in camera

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quando stavamo parlando stava mangiando amaretti di uscire non ne aveva voglia lei è stata sempre poltrona io cercavo di convincerla «gliel’ho promesso a Giuseppe di andare alla messa di mezzanotte» non è proprio che gliel’avevo promesso però «ti prego ti prego insisti con mamma»

a tavola non aveva ancora detto nulla così quando Ema-nuela ha portato il mirto a babbo mi è venuta la disperazione ecco adesso se ne vanno tutti a letto ci ho provato a insistere e mamma «c’è un gelo sta anche nevicando» era vero scende-vano i fiocchetti calmi calmi una notte bella così e io me ne dovevo restare a casa a me la neve mi è sempre piaciuta figu-riamoci a Natale «è poca la neve si scioglie subito» ma non è che ci speravo tanto

Margherita sbadigliava mamma era sicura che diceva di no «ci vuoi andare tu alla messa» mi sono messa dietro le spalle di mamma e le facevo di sì con la testa quel giorno è stata brava «sì voglio andare anch’io» dopo di notte me l’ha detto «mi faceva dispiacere vederti così pareva che se non uscivi impaz-zivi» mamma era seccatissima «in una notte così mi fate uscire mi prenderò un accidenti che cosa vi sembrerà ogni anno la messa di mezzanotte» e questo e quell’altro sicuro che l’indo-mani ce la faceva pagare meno male che babbo le ha detto di rimanere a casa che ci accompagnava lui

era una cosa stranissima perché babbo senza di lei non vole-va uscire mai però lui ci teneva a santificare le feste poverino c’aveva sempre paura di scontentarla comunque così era mol-to meglio senza mamma stavamo più tranquilli io e Marghe siamo salite a prepararci mamma le aveva fatto fare un tailleur da vecchia io le ho fatto mettere la gonna nera che la snelliva lei protestava «sono ingrassata mi stringe che cosa dirà mam-ma che non mi metto il tailleur nuovo»

non ci teneva a essere carina «che cosa fa se ti stringe è solo per un’oretta mettiti la pancera» le ho dovuto sistema-re anche il golfino a vestirsi non c’è riuscita mai mia sorella l’ho anche truccata e si sentiva strana «mi guarderanno tut-ti» figurati che io mi preparavo proprio per farmi guardare da tutti l’ho capito soltanto adesso cosa vuol dire la paura che la gente ti guarda per strada

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quando ero ragazza ero bella mi piaceva farmi ammirare eravamo contente quel giorno con Marghe ed era strano per-ché non siamo mai andate tanto d’accordo io e lei dopo siamo scese a salutare mamma figurati se era contenta «avete esage-rato col trucco quel rossetto è volgare Margherita non è da signora» quella scema per poco si metteva a piangere per for-tuna c’era babbo «che belle le mie figlie stasera sono proprio fiero di uscire con due belle ragazze» c’era un gelo fuori ma quando mai una ragazza innamorata si è preoccupata del fred-do la gente era tutta in ghingheri anche i poveri si erano fatti il bagno attraversando la chiesa camminavo piano ho sempre avuto belle gambe anche ora che sono invecchiata sono belle figurati quell’anno e poi non c’avevo paura dell’invidia e delle critiche

dopo la messa babbo se n’è andato a salutare gli amici suoi noi siamo andate a salutare la sorella di Giuseppe era con la mamma una signora simpatica mi faceva sempre complimenti c’era un buio pesto era inutile che lo cercavo come si è avvici-nato non l’ho visto l’ho riconosciuto dalla voce era timido gli auguri li ha fatti prima a Margherita ma dopo la mia mano se l’è tenuta per molto tempo se non c’era buio se ne accorgeva-no tutti che sono diventata rossa

Maria Giovanna e la mamma erano chiacchierone «siete invitate al matrimonio di Rosa Pisu?» «voglio vedere se non sono invitate sei matta il babbo l’ha cresimato allo sposo» così ero contentissima che Giuseppe lo rivedevo al matrimonio alla fine babbo si è avvicinato a fare gli auguri

lui e zia Antonietta si conoscevano da quando erano ragazzi e scherzavano sempre «ancora giovane e bella sei Antonietta però adesso la gente si gira a guardare tua figlia» «smettila Nin-ni Sanna bella non sono stata mai e ora sono anche vecchia tu invece sei uguale a quando eri ancora a casa di tua mamma» si guardavano e ridevano che strano ho pensato saranno stati innamorati anche loro da giovani si saranno sentiti come me andando via mi sono girata e Giuseppe mi stava guardando

Rosa Pisu sposava il nove di gennaio io e lei siamo amiche da quando eravamo piccoline andavo a giocare a casa sua zia Pinuccia ci dava un pezzo di stoffa coi disegni da ricamare

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a punto croce ce l’ho ancora uno di quei centrini erano set-te figlie femmine rassomigliavano tutte alla mamma e anche zia Pinuccia era uguale alla madre in quella casa le femmine sembravano fatte con lo stampino tutte alte e robuste con le guance larghe e rosse tutte coi baffetti e tutte coi capelli uguali che simpatiche mi piaceva restare con loro in quella cucina

Rosa è sempre stata il contrario di me lei era calma e io ero ner-vosa lei era forte e io non ce la facevo a sollevare niente e anche ora siamo così non è cambiato niente ci vogliamo sempre bene uomini non ce n’erano in casa di Rosa il babbo era morto c’era-no solo i cognati e uno zio ma tanto non li calcolava nessuna zia Pinuccia con le sorelle e le figlie decidevano tutto loro

Rosa e le sorelle non ci tenevano per niente ai trucchi e ai ve-stiti si mettevano le gonne solo perché in quel periodo le donne non li usavano i pantaloni non erano belle e non erano vanitose però di corteggiatori ne avevano sempre si sono prese tutte mariti bruttini e magrolini di quelli che si fanno comandare

facevano ridere a vederli quei due sui gradini della chiesa per la fotografia lei era più alta di Antoniccu e il vestito era troppo corto si vedevano le ginocchia grosse però com’era contenta sembrava bellina lui la guardava ogni tanto si capiva che era imbarazzato si sarà consolato a pensare alla prima notte certo era tutto diverso noi ci tenevamo alla verginità mica come ora che mio figlio se le porta a casa da solo le ragazze sono sicura che fanno tutto

quel giorno la invidiavo a Rosa non ce l’avevo avuto mai io l’innamorato mi figuravo a uscire dalla chiesa col marito a braccetto ci siamo messi in corteo dietro la famiglia quelle donne sembravano un esercito pronto alla battaglia in casa c’avevano tutto aperto dentro c’era freddo come fuori zia Pi-nuccia ci ha fatto vedere i regali ci dava pacche sulle spalle e ci costringeva a dire «che bello»

Giuseppe si è seduto vicino a me mamma mia me lo ri-cordo ancora come mi batteva il cuore non lo so come l’ho trovato il coraggio di guardarlo in faccia me ne sono ac-corta che era emozionato anche lui mi serviva le pietanze e stava zitto lui è stato sempre così anche ora non è che parla tanto a Maria Giovanna non l’abbiamo calcolata molto

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lei scherzava col fratello «cos’è non hai fame a casa non fac-ciamo in tempo a metterti la roba nel piatto e invece oggi non ti va neppure il vino» l’ho visto che le faceva una smorfia dietro la mia spalla nel piatto c’aveva la gallina ripiena non l’aveva nep-pure toccata me l’ha detto da poco che si vergognava perché non sapeva usare le posate invece quel giorno diceva «non è che ho tanta fame» io ho detto una cosa tanto per dire «la faccio più buona io la gallina ripiena» e lui «allora me la farai assaggiare» ha fatto quel sorriso buono che non l’ha cambiato mai solo la speranza che c’aveva allora quella non ce l’ha più

che civetta che ero a sedici anni lo volevo provocare «ma-gari al mio matrimonio la mangerai» l’ho fatto apposta a dire così semmai s’ingelosiva e infatti ha fatto una faccia triste mi sono pentita subito lui è timido però quando vuole già si fa capire «spero che non sarò invitato al tuo matrimonio» chis-sà com’era languida quell’occhiata che gli ho fatto intorno la gente faceva bisboccia gli uomini bevevano con le camicie aperte e le guance rosse stavano cantando di quelle canzoni sporche che si usano ai matrimoni nei paesi sono sicura che se non c’ero io le cantava pure lui

non è che mi piacevano quelle canzoni ma c’era un’aria stra-na mi sembrava di essere io la sposa e che mi ritrovavo io la prima notte con Giuseppe le mani non sapevo dove metterle allora stavo prendendo una fetta di pane tanto per fare qual-che cosa e la stessa cosa ha fatto lui così ci siamo sfiorati la mano ero emozionata lui mi guardava fisso fisso poi Maria Giovanna ci ha chiamato quando alla sposa le hanno avvici-nato un piatto dove c’era una carota enorme con due patate a fianco e continuavano a cantarle quei ritornelli sporchi

Rosa si è messa a ridere diceva cose all’orecchio del marito e gli dava colpetti sulla spalla così alla fine si è messo a ridere pure lui mamma ha girato la faccia dall’altra parte faceva finta di niente me l’immagino che cosa stava pensando

a me non me ne importava nulla però volevo fare la de-licata con Giuseppe «al mio matrimonio queste cose no» e lui subito «non voglio neanche io» era come se stavamo parlando del nostro matrimonio allora mi ha preso la mano sotto il tavolo col freddo che c’era avevo le mani ghiacciate

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era bello sentire la mano forte e calda di Giuseppe mi acca-rezzava e mi sembrava di morire sentivo calore dappertutto anche in pancia gliel’ho stretta pure io la mano e infatti ha capito tutto ci siamo guardati negli occhi ed era come mille promesse

dopo il matrimonio di Rosa ero innamoratissima quindi con Marghe parlavo sempre dell’amore il sabato dopo mi stavo pro-vando una gonna davanti allo specchio io e lei sognavamo sem-pre l’innamorato non vedevamo l’ora di fidanzarci che illuse oramai ho smesso di sognare cose belle non me ne aspetto più

ci immaginavamo un amore grande di quelli che non fini-scono mai ci sembrava una cosa normale che due si amano sempre come il primo giorno di quelle cose che c’hai sempre il batticuore una cosa come nelle canzoni e nei film io mi vantavo che ce l’avevo già l’innamorato e Marghe era troppo curiosa «com’è che l’hai capito che siete innamorati»

mica era facile da spiegare «è una cosa che la capisci da come ci guardiamo anche se c’è un sacco di gente» però lei era intel-ligente «a te ti guardano tutti i ragazzi come fai a essere sicura che è lui quello giusto» non lo sapevo manco io solo che una volta ero arrabbiata con mamma lui mi ha fatto un sorriso e io ero imbronciata allora l’ho visto triste e mi sono dispiaciuta

cercavo di spiegarglielo a Marghe «l’amore è quando tutt’e due sono tristi per la stessa cosa» certo non sembrava tanto bello detto così allora ho aggiunto «da quel giorno gli sorride-vo sempre e ogni volta che lo vedevo ero contenta poi io altri ragazzi non ne ho mai guardati vedrai che quando ti succederà lo capirai anche tu chi è il ragazzo giusto» lei non ci credeva tanto «magari io voglio a uno e lui a me no io non sono bella come te» c’aveva ragione di preoccuparsi c’aveva già vent’anni e l’innamorato non l’aveva avuto mai

le stavo raccontando quello che ci siamo detti al matrimo-nio e lei rideva «mai l’avevo creduto che una con l’innamora-to si mette a parlare di gallina ripiena» in effetti questa cosa la pensavo anch’io però mi seccava che non mi dava tanta importanza allora anche se avevo giurato che non lo dicevo a nessuno mi è uscito che c’eravamo stretti la mano

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«fammi vedere com’è che ha fatto» ha chiuso gli occhi per immaginarselo meglio «non fa però la tua mano è troppo pic-cola stasera me la faccio stringere da babbo con una scusa beh adesso sei a posto» invece no perché mica ce l’eravamo detti che ci amavamo e io non ero sicura di niente «lui a me non mi conosce magari pensa che guardo qualcun altro» lei mi ha fatto un’occhiata strana «magari anche lui guarda qualcun’al-tra» non ci avevo ancora pensato a questa cosa quasi quasi mi veniva il malumore se non era per quegli occhi buoni di Giu-seppe che me li sono ricordati in quel momento preciso

Margherita mi faceva un sacco di difficoltà per esempio «a mamma non le dici niente» quello era il problema vero non è che non c’avevo pensato babbo ero sicura che non aveva nien-te da ridire per lui andava tutto bene se eravamo contente noi mamma però era tremenda mica le bastavano i soldi della fami-glia di Giuseppe mica le bastava dirle «siamo innamorati» non ci riuscivo a immaginarmela mamma in casa di quella gente che parlavano in sardo e la mamma di Giuseppe con la gonna lunga sicuro che non le bastava dirle «anche babbo fa l’allevatore» mi sembrava di vederla già la sua faccia adirata quella famiglia non ne sapevano niente di galateo e neppure di teatro

mamma si sognava un matrimonio elegante per me con uno di Cagliari figlio di gente importante preferivo essere una con-tadina povera di quelle che vanno scalze a prendere l’acqua magari Giuseppe mi vedeva alla fontana e si innamorava di me se ero povera mamma non aveva niente da ridire

solo a essere bella ci tenevo per essere sicura di piacere a Giuseppe gliel’ho detto a Marghe e lei «io vorrei essere bella per tutti» però mi consolava «vedrai che babbo non dirà di no» c’avevo un sacco di stupidaggini in testa ero convinta che l’amore trionfa sempre mi guardavo allo specchio e facevo le giravolte per far gonfiare la gonna mica ci pensavo che le con-tadine povere di gonne così non ne hanno non vedevo l’ora di scegliere l’abito da sposa ero vanitosa da ragazza

quel sabato dovevamo andare a confessarci era una di quelle giornate corte che non te ne accorgi nemmeno e dopo pranzo sta già facendo buio vento non ce n’era ma freddo sì il paese sembrava ghiacciato come nei libri di fiabe il sole non ce la

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faceva a riscaldare e passando nell’ombra si gelava non mi è mai piaciuto l’inverno per esempio una non si può mettere i sandali e i vestiti scollati stavo pensando proprio a questa cosa in quel momento che ho visto Giuseppe «Signore ti prego ti prego fallo avvicinare» ho stretto il braccio di Marghe per rallentare

come stava venendo verso di noi c’aveva la faccia seria seria io gli ho fatto un sorriso e mi ha preso la mano non me la lasciava più e stava zitto io mi sentivo malissimo tutta ghiac-ciata con le guance di brace pensavo se ci vedono lo dicono a mamma

è timido ma quel giorno già l’ha trovato il coraggio «ti devo dire una cosa è da domenica che ci sto pensando» a Mar-ghe l’ho mandata in chiesa ci guardavamo negli occhi e non ci potevamo sbagliare Giuseppe ha fatto un discorso tutto sconclusionato «ti dovevo dire che io tu io e tu se tu vuoi ci ho pensato tutta questa settimana a te e a me io ti voglio se sei d’accordo» mica me l’ero immaginata così la dichiarazio-ne certo in mezzo alla strada non era possibile inginocchiarsi come nei film però neanche si capiva quello che diceva co-munque anche io avevo pensato a lui tutta la settimana e poi c’avevo paura di rimanere così che ci vedevano allora ho detto «anche io ti ho pensato anche io ti voglio» che vergogna dopo quando ci ho ripensato come una ignorante dire «anch’io ti voglio, parla con babbo» e me ne sono scappata

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V

giuseppe, maLinConiCamente, desCrive La nasCita di un amore

ogni volta uscendo dall’ospedale cammino in fretta in fret-ta, dopo quando sono fuori respiro fino in fondo. C’è un sole bello che quando è inverno fa piacere. Penso che i minatori quando tornano su si sentono così. Il mio dovere l’ho fatto, a Caterina le dico che devo partire subito, che c’ho da fare. A volte ci penso che lo sa dove devo andare. Mi secca oggi, che è Natale. Lei per guardarmi si mette la mano davanti agli occhi. C’ha i capelli belli sotto il sole, sembrano rossi. È tutta colorata come nei vestiti.

«Mangiato hai?». «Sì».Ma non ci credo, mi sta guardando e aspetta. Me ne stavo

dimenticando di darle i soldi. C’ho questo pensiero di tornare subito in paese che mi fa dimenticare le cose. Li ho tirati fuori e non li ho nemmeno contati, lei sì e fa veloce.

«Bastano?».«Sì». Si alza in punta di piedi per baciarmi. Se ne va strisciando

gli zoccoli. A vedere la gonna e lo scialle che si muovono col vento mi fa un effetto strano. Mi dispiace che si allontana in questa città dove non conosciamo nessuno. Quando se ne va così penso sempre che me la voglio riportare a casa. Mi viene la nostalgia di quando era piccola ed era tutta mia. La richia-mo e le do altri soldi.

«Comprati vestiti normali così a tua mamma la fai contenta, che è Natale».

I soldi li ha presi e se n’è andata lo stesso. Io l’ho guardata finché non ha girato l’angolo. Non mi piace questo posto, la gente nemmeno si salutano nella strada. È perché non si conosce nessuno, poi c’hanno fretta di andarsene a casa loro. Anche io però c’ho fretta, Elena mi sta aspettando. Ci metto un’ora ad arrivare.

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Quando ero ragazzo abitavo con i miei genitori. Per andare in piazza passavo sotto una lolla dove c’era sempre buio. Alla fine arrivavo al sole e non vedevo nulla come mi è successo ora uscendo dall’ospedale. È nel ‘54 che mi sono innamorato di Elena Sanna. Avevo vent’anni ed ero sempre contento, se pensavo agli anni che venivano mi sembrava tutto facile. Di domenica guardavo la gente che usciva dalla messa e cercavo Elena. Me ne ricordo di quella volta che ho incontrato Anto-nio Cherchi. Mi tirava la giacca per ascoltarlo.

«Dov’è che stai andando? Fretta molta c’hai?».Quando cominciava a parlare quello lì non stava zitto mai.

Sempre delle stesse cose, di caccia e delle ragazze. «Una bestia quella di domenica scorsa. Quello già era un

cervo, grandi così non ne avevo visto mai». Le bestie come le raccontava lui erano sempre più grandi. «ogni volta che lo racconti cresce quel cervo».Però era simpatico, non era fatica ascoltarlo. E poi c’era un

sole bello, come oggi. Io ero contento, potevo anche sentire le scemenze di Antonio Cherchi. Dopo ha cambiato discorso.

«La conosci quella che c’è vicino a Rosa Pisu?».«Sì è la cugina. Attento mì, è col babbo e col fratello».Lui certe volte faceva lo spaccone.«Brutta non è. Se ce l’avevo stanotte...».Mi sono messo a ridere.«Che cos’è che le facevi stanotte, se ce l’avevi?».Lui ha guardato in alto e ha fatto un fischio, piano, per non

sentirlo.«Se vuoi che te lo dico... la mungevo. Rassomiglia a una

mucca che c’ho io, calma calma e piena di latte».L’ho guardata a quella ragazza, c’aveva le tette grandi. Me lo

immaginavo a Antonio che la mungeva, però chissà lei se lo sentiva come si arrabbiava. Alla fine se l’ha pure sposata An-tonio Cherchi alla cugina di Rosa Pisu, chissà se l’avrà munta. Quando li incontro sembrano contenti. Io non le pensavo cose così, mi sembrava che se le davo un bacio sulla guancia a Elena potevo morire contento. Come mi stavo avvicinando a salutare i miei cugini l’ho vista da dietro. Anche i suoi capelli luccicavano sotto il sole, ma non erano rossi come quelli di

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Caterina. Elena ce li ha nerissimi i capelli. Se potevo l’abbrac-ciavo in quel momento stesso. Non capivo più nulla, sono re-stato imbambolato a guardarla. Era alta e snella, con i boccoli sulle spalle. E quelle guance come le pesche, se si poteva pa-gavo per accarezzargliele. Gli occhi, dopo che mi aveva guar-dato la prima volta, non me li potevo dimenticare. C’aveva le ciglia lunghe, gli occhi brillavano come due pietre di fiume nere e lisce. Quando era seria seria me l’immaginavo la sua bocca che si avvicinava alla mia. E quando sorrideva allora era festa, perché non ce n’era altro sorriso come il suo. ogni cosa che faceva, come si aggiustava il fazzoletto per esempio. Mi dispiaceva che non sapevo scrivere poesie, perché lei mi aveva toccato l’anima. All’inizio mica ci credevo che mi ricambiava. Vicino a lei ero troppo rozzo, la guardavo e la sognavo.

Una domenica è successo un miracolo. Quando capitano cose così un cristiano dice grazie di essere nato. Elena Sanna si è girata e mi ha guardato. Mi pareva che da un momento all’altro si rigirava dall’altra parte e invece mi ha fatto un sorri-so. Mi sono sentito come quando ti buttano l’acqua ghiacciata nella schiena, ho guardato dietro ma era proprio a me che stava sorridendo. Mi pareva impossibile perché io vicino a lei ero nessuno. Eppure qualche volta me l’avevano detto che ero un bel ragazzo. Come una donna che abitava vicino a casa nostra.

«Che bello che sei, lo sposo. Sei alto sei sano e sei forte, se c’avevo vent’anni lo so io che cosa volevo fare con te».

Io ci scherzavo con lei.«Macché zia Angioletta mia, io non so fare niente con le

donne».«Non c’è bisogno che sai fare figlio, basta quello che ti ha

dato Dominedeus».Mi faceva ridere, mi piacevano quei complimenti. Mamma

si seccava.«Quella scomunicata, dando occasione ai ragazzini». Quel giorno che Elena mi ha fatto un sorriso sono tornato

a casa che più contento non faceva. Mamma mi ha guardato e l’ha capito.

«Contento sei, lo sposo».

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Mia mamma era fatta così, se ero contento io lei pure. Non è che ne aveva tante di soddisfazioni. Sono andato a pernici di sera, la campagna mi sembrava la prima volta che la vedevo. Gli alberi mi sembravano più belli, come se mi capivano, le pernici mi dispiaceva a spararle. Prendevo la mira tranquillo, tanto se le sbagliavo era lo stesso. Di notte come mi sono co-ricato ero contento che potevo pensare a Elena, al sorriso che mi aveva fatto. Invece mi sono messo a pensare male. Magari me l’ero inventato, quel sorriso. Quando ci ragioni sulle cose se sono brutte sembrano meglio, ma se sono belle peggiora-no. Una può sorridere perché è contenta per i fatti suoi, e poi c’era un sacco di gente in piazza. Tutta la settimana l’ho pas-sata così. A momenti ero contento, altri momenti mi veniva la disperazione. Mi toccava aspettare la domenica, non è che la vedevi in giro, gli altri giorni. Anche adesso non esce mai, ma ora è per colpa mia. Come è arrivata l’ora che la gente usciva da chiesa ero ancora in casa a cambiarmi. Fino a quel giorno non c’avevo pensato mai ai vestiti. Nella famiglia di Elena era-no eleganti, il babbo c’aveva sempre il cappotto e la cravatta. Mi guardavo nello specchio.

«Uno di questi giorni mi faccio un vestito nuovo».Ma intanto mi toccava uscire con quello che c’avevo. «Se mi guarda penserà che sono rozzo».Da quando mi ero innamorato stavo sempre pensando, e

non lo capivo che era una fatica inutile. Delle donne e di quel-lo che c’hanno in testa io non ci capirò mai nulla.

«Chissà che cosa vuole lei, chissà se sta guardando un al-tro».

Mi ricordavo di tutto quello che faceva e con chi parlava, e poi ricominciavo lo stesso pensiero dell’inizio. Ero come l’asino attorno alla mola. Li ho visti da lontano, zio Sanna era alto alto e magro. Il cappotto addosso a lui sembrava appeso nell’attacca-panni. Si toglieva sempre il cappello per salutare le donne, era un uomo simpatico. La moglie invece salutava per forza, si capiva che non ne poteva fare a meno. Pestava i piedi perché c’era fred-do, e si stringeva la pelliccia nel collo. Stava sempre guardando alle figlie. A una le sistemava il fazzoletto, all’altra il collo del cap-potto. Zio Sanna parlava con tutti e si vedeva che lei era seccata.

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Margherita era attaccata al braccio della mamma, sembrava un capretto che non è ancora svezzato. Era già grassa da ragazza. Si capiva che non vedeva l’ora di andarsene, adesso che la conosco sono sicuro che stava pensando al pranzo. Elena era vicino al babbo, e lo guardava. Si capiva dall’occhiata che gli voleva bene. C’aveva ragione, zio Sanna era un uomo bravo e tutti gli voleva-mo bene. Elena era sempre contenta con tutti, chissà se lo sapeva che era così bella. C’aveva un cappotto lungo che le copriva metà della gamba, ma bastava quello per capire l’altro. Quei piedi me lo figuravo di baciarglieli. Sulla testa c’aveva un fazzoletto blu e sembrava la Madonna. Dietro si vedevano i boccoli che uscivano dal fazzoletto. Era un tempo strano quella domenica, c’era vento e le nuvole viaggiavano veloci. ogni tanto c’era il sole, ma ne ar-rivavano sempre altre. Anche la faccia di Elena era come il cielo, a momenti sorrideva, a momenti si faceva seria. Quando il vento si faceva più forte si stringeva il fazzoletto con le dita. Come mi ha visto ha fatto un sorriso. Mi sono sentito il cuore saltare, come quando la ruota del carro scivola in un fosso. Mi sono avvicinato da mamma che era con mia sorella. Ho rallentato il passo, perché la volevo guardare ancora. Mamma mi guardava con quegli occhi amorosi che aveva solo per me.

«Figlio mio a che ora sei tornato, bene è andata la caccia?».Come parlava mi toccava con le sue mani tutte storte dai

reumatismi. Anche lei quando cominciava a parlare non si zit-tiva mai.

«Babbo tornato è? Starà morendo di fame, ora rientriamo».Io non me ne volevo andare prima di Elena.«Non è ora ancora».In quel momento l’ho vista che si avvicinava da noi. Mia

mamma la conosceva da quando era nata e le faceva sempre complimenti, le voleva bene.

«Bambina mia, che bella che ti sei fatta. Veramente bambina non sei più, ma per me che sono vecchia siete tutti bambini».

Le accarezzava la mano.«Non è vero che è bella come un fiore?».Io mi sono fatto tutto rosso.«Guardale le mani, non si sono viste mai manine così. Figlia

mia, sarà fortunato lo sposo tuo».

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Come le ha risposto Elena mi ha guardato negli occhi. Però dopo a casa ho pensato che me l’ero sognato.

«Come sta zia Antonietta?».Mamma rispondeva sempre allo stesso modo.«Piena di dolori sono ché sono vecchia».Mia sorella si è messa a ridere.«Vai che sei forte come un olivastro, ti piace lamentarti».Io non ci riuscivo più a sollevare la testa, guardavo i piedi

di Elena. Mi sentivo uno stupido, alla fine l’ho guardata in faccia.

«Come stai?».«Bene».L’ha detto in un modo come se mi diceva ti voglio bene.

Meno male che Maria Giovanna gliel’ha chiesto.«Ci vieni venerdì alla messa di mezzanotte?».Se no mi passavo un’altra settimana di tormento, a non sa-

pere se la vedevo. «Se mi portano ci vengo. ora vado, mamma c’ha freddo».Noi ci siamo girati a guardare quella donna, e c’aveva la fac-

cia seccata. Non era passato manco un mese e ci siamo stretti la mano,

al matrimonio di Rosa Pisu. Andandomene da lì c’avevo una contentezza che non l’avevo avuta mai. Mi sono girato a guar-darla, camminava leggera come l’aria. Aveva smesso di piove-re, ma c’era vento forte di tramontana. Gli alberi della piazza non c’avevano manco una foglia, in terra era tutto fango. Dal-la parte dove cala il sole c’erano altre nuvole nere, però a me mi sembrava tutto bellissimo. Anche la gente che passava, ho pensato che volevo bene a tutti. Se non era per la vergogna mi mettevo anche a cantare, volevo dirlo a qualcuno che ero contento. Ma poi ho pensato chi lo capisce, alla fine da dire c’era poco. Camminavo svelto tornando a casa. Nella strada davo calci ai barattoli, anche un cane ho inseguito. Avevo vo-glia di muovermi e di gridare. La scala per salire in camera di mamma l’ho fatta in un paio di passi, come l’ho vista l’ho af-ferrata e l’ho fatta girare in aria. Faceva ridere come la gonna si è impigliata nei capelli.

«Ammattito ti sei! Cos’hai da ridere, cosa ti manca?».

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Mi piaceva che quando eravamo da soli le davo del tu. «Mi devi fare un piacere grande».Sapeva tutto ma faceva finta di no. «Che cosa sarà questo piacere? Mi sembra che l’ho capito

già».«Devi chiedere una ragazza per me. Lo sai chi è».A mamma le piaceva prendermi in giro.«Chi lo sa se ti vuole lei».Prima mi sembrava che ero sicuro, dopo che mi ha detto

così non lo sapevo più. Però Elena mi aveva dato la mano. Mamma non ci voleva andare da zio Sanna.«Mi mandi a fare brutta figura. Quella è gente delicata, vai

e cerca che cosa si sognano per le figlie. Avete parlato solo poco poco oggi, e magari neanche ti vuole. E poi cosa dirà la signora, se mi presento a casa sua».

Come ha detto così si è sollevata la gonna fino ai ginocchi e si è messa a camminare in punta di piedi guardando in alto.

«Non prendere in giro mia suocera».«Ma che cosa suocera, semmai manco ti vuole la figlia!».Dopo si è fatta seria.«Certo bella già è bella quella ragazza. Anche la mamma era

bella quando Ninni Sanna l’ha portata in paese, la figlia però è più bella e anche più amorosa. Magari è meglio che aspettia-mo, prima di chiedere».

«Va bene aspettiamo. Ma io a Elena Sanna me la prendo anche se la mamma non ti piace».

Come stavo uscendo mi ha gridato: «E prendila, se ti vuo-le».

Dall’indomani pensavo a una cosa sola: volevo trovare l’occasione di parlarle da solo a Elena. Da quando mamma aveva detto che erano gente delicata c’avevo pensieri, forse era meglio farmelo dire da lei come dovevo parlare con suo babbo. Tutta la settimana ogni cosa mi sembrava diversa, an-che il caffè che bevevo ogni mattina, anche il pane abbrusto-lito. Me ne andavo dalle bestie come prima, a metà mattina mangiavo coi servi pane e formaggio, olive e un bicchiere di vino. Cenavo a casa con babbo e mamma e dopo me ne andavo al bar, da quando ero ragazzino facevo ogni giorno

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così. Però da quella domenica era tutto diverso; c’avevo una leggerezza nel cuore, mi sembrava che Elena era sempre al fianco a me. Se c’era freddo pensavo alla sua manina, e mi riscaldava l’anima. Quello che mangiavo e quello che bevevo mi sembrava tutto più saporito, c’avevo anche pensieri reli-giosi, mi veniva voglia di ringraziare Dio. E anche ringrazia-vo per la mia azienda: se ero povero mica ci potevo sperare che me la davano a Elena. La gente mi diceva: «Contento sei Giuseppe?».

Perché così non mi avevano visto mai. Però come passava-no i giorni non ci riuscivo più a ricordarmela bene la mano di Elena, mi sembrava che mi ero inventato tutto. Mi veniva la preoccupazione, alla fine non mi aveva promesso niente. Il sabato mattina mi sono svegliato con l’umore cattivo. Pensa-vo: “Sono uno stupido, mi sono sognato tutto. Quella è gente delicata”.

Mi ricordavo di quello che aveva detto mamma. Magari era vero, magari Elena aveva già cambiato idea. Magari come era delicata era leggera. Magari anche se si era lasciata prendere la mano per lei era una cosa senza importanza. Magari non se lo ricordava più. Mi sembrava una cosa vera quel proverbio che la donna può essere come la mela fuori bella e dentro bacata. Poteva essere che gli occhi di Elena erano belli ma erano falsi. E così quel sabato mattina ogni cosa mi sembrava brutta. Le bestie erano dispettose, i servi non li potevo vedere. A mam-ma l’ho risposta male, e c’avevo freddo. Però l’indomani era domenica e a pensarci mi tornava un po’ la speranza.

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VI

Come margherita, una sera, ha sCoperto di essere una signorina da marito

io l’ho sognato sempre l’amore per esempio come nei film che lui la guarda con gli occhi languidi e non si può stancare mai anche a teatro sembra bellissimo gli innamorati ne fanno di tutti i colori magari muoiono anche insomma dicono cose che a me Giuseppe manco all’inizio del fidanzamento ora già l’ho capito perché

quel giorno nella piazza sembrava un matto come ha affer-rato la mano di Elena lei mi ha mandato via per parlare da sola col suo innamorato dopo entrando in casa ha dato una spinta a Emanuela per poco le faceva cadere il vassoio «chi c’è?» e quella «dottor Farris sembra che hai visto il demonio» Elena sembrava impazzita «macché è un angelo che ho visto» prima rideva «a cena deve restare dottor Farris?» come ha sentito di sì per poco si metteva a piangere non l’avevo mai vista così

dottor Farris a me mi era simpatico c’aveva quella caval-leria all’antica che non si usava manco quand’ero ragazza io figuriamoci adesso che la gente è cafona faceva il baciamano faceva un sacco di complimenti a Elena le diceva «sei una rosa appena sbocciata» e a me «tu sei una rosa nel pieno dello splendore» quando faceva i complimenti a me c’entrava sem-pre qualche cosa che era piena non se lo poteva dimenticare che ero grassa diceva un sacco di cose antiquate che non le ca-pivo Elena rideva a lei le sono piaciuti sempre i complimenti

mamma era contentissima quando veniva dottor Farris gli di-ceva sempre le stesse cose della colite della pressione dei reuma-tismi della tachicardia e dell’insonnia a guardarla sembrava stra-no che c’aveva tutte quelle malattie sembrava che se le inventava dev’essere per quello che adesso non ci crede alle mie comunque a me mi è sempre piaciuto sentire quei discorsi di malattie

dottor Farris dicevano tutti che era un medico bravissimo era magro magro col colorito giallo non sembrava sano sano rassomigliava a un insetto che ho visto nel libro degli animali

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giallo e lungo come una stecchetta di legno era anche per col-pa della testa pelata che si vedeva la forma delle ossa faceva effetto come girava la testa con il colletto che gli stava grande era troppo magro gli stavano grandi tutti i vestiti

io gli guardavo sempre la bocca quando parlava c’aveva i denti marroncini e gli ballavano quando diceva esse sputava anche un po’ faceva schifo ma non ce la facevo a guardare da un’altra parte era meglio guardarlo negli occhi da lì si capiva che era buono e anche intelligente in paese dicevano che era l’amante della moglie del macellaio faceva impressione a pen-sarci che quella lì grassottella bianca e rosa come una maialina si abbracciava con dottor Farris

c’aveva anche un altro segreto dottor Farris Emanuela me l’ha fatto giurare che non lo dicevo a nessuno che il dottore si drogava che cosa vuol dire drogarsi non me l’ha mica spiegato solo che si faceva punture di droga che è una cosa bruttissima e non si deve sapere comunque non è che mi sembrava un segreto così strano

gliel’ho chiesto a mamma e lei mi ha sgridato «lo vedi che cosa succede a parlare con le serve pettegole il dottore le pun-ture se le fa perché dopo si sente meglio» a me questa cosa qui mi sembrava normalissima perché alla fine i dottori le fanno a tutti le punture per sentirsi meglio capirai il segreto

mamma ha detto che quelle che si faceva dottor Farris fan-no sentire bene e fanno dimenticare tutti i dispiaceri e tutti i dolori allora mi è rimasto sempre il desiderio che le voglio pure io quelle punture ma non l’ho detto mai a nessuno per-ché mamma non voleva «non sta bene parlare di questa cosa dottor Farris è un bravo medico e se si sa questa cosa può perdere il posto» insomma quel giorno nella sala lo stavo guardando chissà se se l’era già fatta la puntura forse no in-fatti c’aveva gli occhi tristi magari era per Dolores Simbula la moglie del macellaio in paese dicevano che quella lì ne aveva altri di amanti

a mamma non gliene importava nulla dei dispiaceri di dottor Farris lei era contentissima quando le diceva «signora lei con i suoi acciacchi campa fino a cent’anni» poi lui c’aveva i modi eleganti e sapeva trattare con una vera signora sempre a cena

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lo invitava come quel giorno «è deciso dottore non dica di no mio marito starà per rientrare» dottor Farris accettava sempre era solo in paese non c’aveva manco parenti non la finiva più con i complimenti «non mi posso privare della vista di questi due boccioli di rosa»

anche se mi era simpatico preferivo quando se ne andava per mettermi le pantofole e il vestito di casa però mamma non voleva «sembri Cenerentola» quella sera non era contenta neppure Elena non vedeva l’ora di parlare con babbo e mam-ma era tutta ansiosa come nella piazza faceva facce strane a momenti rideva a momenti si disperava sembrava una pazza come è rientrato babbo è corsa a baciarlo e non la finiva più lui non ci capiva nulla «contenta sei figlia mia, ah oggi ab-biamo visite» non c’era bisogno che chiedeva chi era tanto mamma a cena invitava solo il dottore semmai dopo che lui le diceva che era sana mangiava più volentieri

a dottor Farris lo trattava come un re e lo serviva lei stessa non è che gli faceva un piacere però dottor Farris di fame non ne aveva nulla come vedeva la roba nel piatto faceva una faccia spaventata non è che diceva «no grazie» come la gente normale lui era proprio strano faceva un sacco di discorsi per esempio «sicuramente gli dei dell’olimpo mangiano un arrosto così» e però dalla faccia sembrava che gli volevano dare olio di ricino alla fine quel giorno ha detto «non digerisco bene» magari è perché digeriva male che era così magro semmai quelle punture miracolose che si faceva gli toglievano anche l’appetito

magari era dispiaciuto per Dolores Simbula peccato che di queste cose interessanti con lui non se ne poteva parlare sem-pre di politica parlavano a cena quando c’era dottor Farris con lui babbo e mamma non si vergognavano di dire che si stava meglio quando c’era Lui e parlavano sempre della Buonanima c’avevano quasi le stesse idee col dottore solo che lui era più moderno

in quel periodo c’erano le elezioni comunali per sindaco vo-levano a Salvatore Pinna come lo nominavano Elena si faceva tutta rossa perché era il fratello di Giuseppe a un certo punto ha detto «speriamo che lo eleggono è una persona capace» solo io lo capivo perché l’aveva detto

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babbo era orgoglioso «i figli crescono e pensano con la loro testa è una bella soddisfazione se pensano nel modo giusto» mamma l’ha guardata con gli occhi stretti «come mai ti inte-ressa la politica» anche dottor Farris era contento «che geni-tori fortunati ad avere figlie così intelligenti» e tirava sempre fuori Venere e Minerva secondo me Elena si era già pentita di avere parlato perché se le chiedevano di che partito era Salva-tore Pinna lei mica lo sapeva

la guardavamo tutti e non sapeva dire più nulla solo a voce bassa «mi sembra un bravo ragazzo» dottor Farris faceva di sì con la testa e sembrava che da un momento e l’altro si stac-cava con quel collo fine che c’aveva «speriamo che la maggio-ranza la pensi come lei ha visto Sanna che non era un male il voto alle donne lei si preoccupava questi angeli ci sembravano fragili e invece sono stati il baluardo contro il comunismo del resto in America le donne lavorano e sono indipendenti»

a mamma questi discorsi sull’America non la convincevano «non mi piace che le mie figlie se ne vanno a zonzo da sole come le americane magari con la sigaretta» babbo era d’ac-cordo con lei gli americani non li poteva soffrire da quando avevamo perso la guerra «siamo grati all’America per tante cose però non glielo perdono come ci hanno umiliato e poi mica li dobbiamo imitare in tutto mia madre e mia suocera si facevano sentire anche se non hanno mai votato e i figli li hanno educati cristianamente»

dottor Farris era troppo educato e si è arreso «certo queste testoline deliziose sembra impossibile che pensano alla poli-tica sembrano fatte per affascinare e per portare alla dispera-zione» ha fatto una faccia triste sicuramente stava pensando alla moglie del macellaio dev’essere che quelle punture non sanavano tutti i dolori

alla fine se n’è andato così finalmente mi potevo cambiare mi sono messa vicino al caminetto Elena era in piedi tutta rossa si tirava un ricciolo dei capelli «vi devo dire una cosa» mamma la guardava con gli occhi stretti e lei era disperata «oggi ho parlato con Giuseppe Pinna» babbo stava fumando l’ultimo sigaro prima di andare a coricarsi «già non ti starà corteggiando quello lì» non era preoccupato mamma invece si

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è inferocita «come si è permesso di fermarti per strada non ti sarai trattenuta» Elena sbuffava «abbiamo parlato poco poco» e mamma «che cosa c’aveva di urgente da dirti per fermarti in mezzo alla strada come una serva»

Elena si è seduta sulle ginocchia di babbo «mi ha chiesto se io e io anche io» babbo si è messo a ridere «ma così non si capisce niente» invece mamma aveva capito tutto Elena si è messa a piangere babbo le lacrime nostre non le ha sopporta-te mai lui si commuoveva subito «bambina non fare così che cosa sarà successo a parlare con quel ragazzo che lo conoscia-mo da quando è nato» come ha sentito «ci siamo fidanzati» ri-deva tutto contento come quando da bambine facevamo una fesseria «ma come fidanzati chissà cos’hai capito»

Elena si stava offendendo «io e lui ci vogliamo sposare» a babbo per poco gli andava di traverso il fumo «allora è una cosa seria ti ha detto davvero così che ti vuole sposare» si arricciava i baffi faceva sempre così per pensare mamma sem-brava un drago «non c’è niente di serio e soprattutto di ri-spettoso l’ha fermata in mezzo alla strada come la figlia di nessuno sembra un adescamento»

babbo c’ha provato a tranquillizzarla «ma quando mai non è quel tipo di ragazzo lo conosco da quando è nato questa proposta è un po’ goffa però ci parliamo» ma lei non voleva sentire niente «io non ci parlo con quel maleducato» e c’ha mandato a letto

babbo c’aveva l’insonnia e quando fumava il suo sigaro non lo dovevamo mai disturbare perché si agitava invece quella notte ha fatto un sospiro e se n’è acceso un altro mamma camminava avanti e indietro siamo salite nelle scale e ci siamo fermate in alto per ascoltare

a mamma non le piaceva discutere con babbo davanti a noi e quella sera era arrabbiatissima «cos’hai intenzione di fare con quel tipo» babbo se me lo ricordo mi fa tenerezza col suo sigaro in mano a lui gli andava sempre bene tutto basta di non bisticciare «cosa vuoi fare se sono innamorati è di buona famiglia quel ragazzo» mamma ha alzato le spalle «per quelle quattro bestie che c’hanno» e babbo «magari quattromila vai che ne hanno più di noi quelli lì»

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lei però mica si calmava «a me non m’interessano le bestie non parlano in italiano non hanno modi e non hanno cultura ne faranno un’infelice di mia figlia non sono disposta a darla al primo capraio che la chiede anche se è un capraio milio-nario» e camminava avanti e indietro c’aveva la faccia furi-bonda «speravo in un matrimonio elegante per Elena magari Margherita lei non ci tiene all’eleganza non le piace neppure andare in città manco il teatro le piace se la lasci se ne rimane nel camino vicino alle serve in ciabatte» con Elena ci siamo guardate lei c’aveva gli occhi pieni di lacrime

erano vere quelle cose che stava dicendo mamma però mi seccava non lo so era una cosa come dire «tanto Margherita è brutta e grassa si può sposare anche con uno ignorante che non sa parlare l’italiano» babbo si arricciava i baffi «va bene quando s’innamorerà Margherita ci penseremo» allora ero contenta perché prima o poi anche io mi dovevo innamorare

anche mamma era stata ragazza anche lei era stata fidanzata ma innamorata non me la figuravo quando glielo chiedevo di-ceva «io a queste scempiaggini non ci ho mai creduto quando ho sposato tuo padre ho scelto quello che mi poteva fare più felice l’ho scelto col ragionamento» una volta le ho chiesto «e se babbo era povero e ignorante lo volevi lo stesso?»

figurati la sapevo già la risposta «non lo guardavo nem-meno se era povero prendi mia cugina che in casa c’han-no anche la biancheria rammendata anche se è biancheria fine di lino al mio matrimonio facevano la faccia storta che mi prendevo un paesano ma intanto io faccio una vita da signora e loro non c’hanno manco i soldi per pagare la serva» le veniva quel sorrisino cattivo quando pensava alla cugina «poi tuo babbo paesano non sembra lui si è sempre saputo vestire e comportare mi portava le margherite che erano il mio fiore preferito per quello ti abbiamo dato il tuo nome»

lo credo bene che babbo era innamorato a guardare le fo-tografie di mamma da giovane sembra un’attrice c’aveva gli occhi grandi e lunghi con le ciglia che sembrava truccata la bocca bellissima e tutto quanto zia Assunta era anche più bel-la perché in più c’aveva il fisico

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quella sera mamma gli ha detto a babbo «io con te ho fatto sempre bella figura quel Pinna non è all’altezza di nostra figlia mandiamola a Cagliari da mia sorella si svagherà andrà a tea-tro» Elena ha fatto una faccia che stava per piangere molto e se n’è scappata in camera

mamma gli ha messo una mano sulla spalla e dalla faccia di babbo si è capito che aveva vinto lei «a Marghe non ci pensi lei è la più grande magari ci rimane male se si sposa la sorella e lei non è stata mai neppure corteggiata» io mi sentivo im-portante che parlavano di me però lo sapevo come la pensava babbo lui mi voleva tenere vicino fino alla vecchiaia «non ce la farò manco ad alzarmi dal letto mi sbrodolerò tutto mangian-do sarò rimbambito non abbandonarmi mai figlia mia» certo che lo chiedeva a me io ero la più grande infatti quella sera le ha detto «non ci pensavo ai corteggiatori di Marghe»

mamma si è messa a ridere «ogni ragazza desidera i corteg-giatori sogna di sposarsi di andare all’altare col vestito bianco di essere ammirata da tutti è uno dei pochi giorni in cui una donna è importante tutti ti riveriscono l’altro è il giorno che fai un figlio maschio se la fortuna ti assiste»

quando tirava fuori questa storia del figlio maschio la discus-sione era finita babbo si mortificava tutto e gliela dava vinta secondo me lo desiderava lui il figlio maschio ma non c’aveva il coraggio di dirlo «cosa me ne importa dei figli maschi vo-glio le mie donne tutte per me» le ha preso la mano «sicura sei che Marghe sta pensando a sposarsi» mamma si è messa a ridere «vorrei vedere il corredo ce l’ha pronto da quando era ragazzina cosa la vorresti zitella» babbo ha abbassato gli occhi «mica glielo dobbiamo cercare noi il fidanzato a Margherita» io non ci capivo nulla

un pochettino mi sentivo importante che parlavano di spo-sarmi e un pochettino mi sembrava che era una vergogna se rimanevo zitella mamma c’aveva la faccia furba «forse l’abbia-mo già trovato» «non mi dite niente che mia figlia sta facendo l’amore» lei rideva «non ti sto nascondendo niente però quel Pinna se non gli diamo Elena magari vuole Margherita è vero che è un po’ rozzo però forse hai ragione tu è un bravo ragaz-zo e poi è ricco»

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babbo l’ha guardata con gli occhi grandi grandi «ma se lui e Elena sono innamorati» mamma si stava arrabbiando di nuo-vo «che sciocchezze il matrimonio è una cosa seria bisogna essere simili per sposarsi quello lì a Elena non la farebbe feli-ce invece Margherita si troverebbe bene con quella gente poi quando sarai vecchio ce l’avrai vicina» babbo ci ha provato per l’ultima volta a dire qualche cosa «se tuo padre mi avesse detto non te la do Eugenia sposati con la sorella non avrei mai accettato»

mamma però c’aveva la risposta per tutto «non puoi para-gonare la tua situazione a quella di questo Pinna in quanto a modi eleganza e cultura nessuno dei ragazzi che mi ronzava-no intorno era paragonabile a te» babbo si stava anche com-muovendo perché di complimenti non gliene faceva mai poi gli ha fatto anche una carezza «mio padre ha dato il consenso perché mi voleva felice» babbo in quel momento se gli diceva di camminare sul fuoco lo faceva

era ancora innamorato come quando era ragazza le ha ba-ciato la mano «va bene mandiamo le ragazze a Cagliari da Assunta le facciamo svagare un po’ e se viene Giuseppe Pinna lo faremo ragionare» me ne sono andata a letto e non riuscivo a prendere sonno con tutti quei pensieri che mi volevano far sposare con Giuseppe Pinna un po’ non ci capivo nulla e un po’ ero contenta Elena ha pianto tutta la notte però mica glie-lo potevo raccontare a lei quello che avevo sentito

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VII

giuseppe riCorda L’amore riCambiato e Le aspettati-ve deLuse

Dopo che abbiamo parlato in piazza Elena è andata in chie-sa. Io sono rimasto a guardarla, sembrava un miracolo come camminava svelta con i tacchi alti. Mi piacevano le sue caviglie fini con le scarpe eleganti. Ora che è sempre in casa gliele faccio mettere per me soltanto. La contentezza che c’avevo quel giorno se me lo chiedevano non ce la facevo a raccon-tarla. Mi aveva detto quelle parole «anch’io ti voglio» e mi sembrava che la sentivo ogni momento la sua voce. Mi senti-vo un calore nella pancia, e poi in tutto il corpo. Ero strano, come se ero diventato un’altra persona. C’era freddo come stava tramontando il sole, e la gente passavano in fretta nella piazza. Io li guardavo, mi sembrava impossibile che capivano come mi sentivo, che gli era successo anche a loro quello che era successo a me. Sono rimasto un sacco di tempo in piedi come un imbecille, e il cuore non si voleva calmare. Non me l’aspettavo che Elena mi rispondeva così, se mi diceva ci devo pensare non mi offendevo. Se dovevo faticare per convincerla mi sembrava una cosa normale, le femmine pensavo che era-no fatte in quel modo. E invece aveva detto subito di sì, subito anch’io ti voglio. Mi sentivo come un giorno che ero a caccia. Ho visto una cerva su un costone, e c’aveva il vento alle spalle. Non mi vedeva e neanche mi poteva fiutare, rimaneva ferma, sembrava che stava aspettando di farmi mirare. Per poco la mancavo, perché non mi sembrava vero.

Quel giorno nella piazza ho pensato che non me lo meritavo di essere così contento. Per tutte le volte che ero stato sgarbato con mamma, o con altra gente. Ho pensato che dovevo ringraziare Dio, perché era successo un miracolo. In chiesa non è che c’anda-vo molto, però alla Madonna e ai santi mamma mi aveva insegna-to a pregarli. Quel giorno mi sembrava che avevano organizzato questa grazia per me, come una magia. Però in chiesa non faceva a andarci, semmai Elena pensava che la stavo seguendo. Un certo

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momento mi sembrava che mi stava passando l’emozione, e non volevo. Allora ho pensato alla sua vocina che diceva «ti voglio anch’io». Ho stretto una mano con l’altra per ricordarmi come aveva fatto lei. Quando mi ricordavo della sua manina mi veniva un calore nella pancia, però mi sono vergognato perché era una cosa simile quando facevo pensieri sulle donne. C’ero da troppo tempo in piedi fermo nella piazza. Non ce la facevo più a rimane-re da solo, magari mi sembrava che mi ero sognato tutto. Allora sono andato al bar. Uno mi ha salutato.

«Che faccia che c’hai, pare che hai avuto una visione».Tutti li guardavo a quelli che c’erano a bere e a giocare a

carte. Per loro era un giorno come gli altri, per me era il pri-mo giorno che ero sicuro che Elena mi voleva. Mi sembrava strano che mi parlavano come sempre.

«Giochi a carte, andiamo a caccia domenica».Facevo finta che non era successo nulla, a chi potevo dir-

glielo? Ho bevuto un bicchierino di filu ferru tutto insieme. Parlavo di cose senza importanza, tanto lo sapevo io che cosa c’avevo nel cuore. Dei discorsi scemi che fa la gente uno se ne accorge quando c’ha in testa una cosa importante. Amedeo Tiddia mi ha raccontato la battuta al cinghiale della domenica passata, Antiogu Basciu parlava di donne. Sempre le stesse cose, solo quel giorno me ne accorgevo che erano cose sen-za importanza. Mischini, loro non lo sapevano che cosa vuol dire quando la ragazza più bella di tutte ti dice così. Io c’avevo nel cuore quella stretta di mano, e quella promessa. Era come un fuoco quando uno si sta congelando.

Mi immaginavo tutte le altre cose che dovevano venire dopo, il primo bacio, e altre cose che mi facevano vergognare. Mi so-gnavo che arrivavano giorni sempre più belli, come se nella vita non mi rimaneva altro da fare. Un giorno a sognare cosa volevo fare con lei, l’indomani a fare quello che avevo sognato, e l’indo-mani ancora a ricordarmi del giorno avanti. Non ero più lo stes-so uomo della mattina, le preoccupazioni che c’avevo il giorno prima erano tutte stupidaggini. Il tempo che avevo passato non era importante, come se manco l’avevo vissuto. Mi sembrava la prima volta che ero contento di chiamarmi Giuseppe Pinna, di svegliarmi ogni mattina, e di andare a letto ogni notte.

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Mi sono ricordato che mamma mi aveva preso in giro per Elena. Erano le sei e mezzo, sicuramente a casa stavano ce-nando. Come babbo si coricava potevo parlare con mia mam-ma. Antiogu mi fa: «Un’altra partita te la fai?».

«No».Mi sono bevuto un altro bicchierino. Solo quando ero nella

strada me ne sono accorto che avevo bevuto troppo. Non ero ubriaco, io non mi ubriaco mai, ne reggo di filu ferru. Però avevo bevuto troppo. Mangiando c’era solo babbo, Agnesed-da lo stava servendo. Manco la tovaglia aveva messo sul ta-volo, quando non c’era mamma non gli piaceva mangiare. A mamma la prendevamo sempre in giro che parlava troppo, ma quando non c’era lei ci prendeva a tutti la tristezza. Man-giare senza di lei era come mangiare la minestra fredda, era come un caminetto spento in una notte di gennaio. Quando non c’era lei sembravamo in lutto. Quella sera ho pensato che quando mi sposavo con Elena era la stessa cosa, che non mi piaceva mangiare da solo.

Ho tagliato un pezzo di formaggio e me lo stavo mangian-do in piedi. Babbo mi ha versato il vino. Agnesedda era seria seria: «Non ti siedi?».

«Mamma male si sente?».Anche lei non c’aveva tanta voglia di parlare, si sentiva stra-

na a rimanere da sola con gli uomini, ha fatto di sì con la testa. Babbo ha detto: «Si è coricata ora».

Sono salito prima che si addormentava. Quella camera dove dormivano babbo con mamma non mi piaceva, da quando ero piccolo non lo sopportavo che si rinchiudevano soli ogni notte, certe volte anche di giorno. E non è che ero contento neanche crescendo, invece quella sera era cambiato proprio tutto. Ho pensato alla stanza mia e di Elena, che anche noi da sposati ci rin-chiudevamo soli, e tutti gli altri fuori. Come sono entrato mam-ma si è sforzata, ma si vedeva dalla faccia che si sentiva male.

«Tornato ora sei. Hai bevuto».Io non l’ho capito mai com’è che faceva mamma a indovi-

nare ogni cosa che facevo. «Ubriaco ti sembro?».«Ubriaco no, ma hai bevuto. Vai a cenare che ti passa».

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Mi sono seduto nel letto e mi ha preso la mano. «Contento sei figlio mio?».Le ho raccontato tutto quanto. «Sembri un leprotto innamorato». Come mi guardava sembrava innamorata pure lei. Era fatta

così mia mamma, se ero contento io si sentiva meglio. «Allora ci vai a parlare con zio Sanna?».«Già ci puoi andare anche tu, ormai è tutto fatto».«Quella gente cosa penserà se ci vado io solo, magari pensa-

no che non siete d’accordo». Mamma non c’aveva simpatia per quella donna. Non le pia-

ceva di parlarci. «Penseranno che sei uno sfacciato perché l’hai fermata in

mezzo alla strada, e c’hanno ragione. Però oramai il danno l’hai fatto e devi rimediare. Mì che non mi devi far fare brut-ta figura con quella gente, se non sei sicuro sicuro non fare nulla».

Mi stavo anche arrabbiando perché ero sicurissimo, mi sembrava che stava facendo difficoltà dove non ce n’era-no.

«Non sono sicura che va tutto come pensi tu, quella gente si credono più degli altri. Chi lo sa cosa si aspettano per quella figlia così bella».

Io ero orgoglioso che ha detto che era bella. Però mi faceva rabbia quello che stava pensando, che era una cosa difficile che me la davano.

«Cosa pensi, che il babbo dice di no?».Ha fatto una smorfia.«Ninni Sanna a me un torto così non me lo fa, ma di quella

donna non ho fiducia». Si stava già arrabbiando senza sapere niente. «Però anche quella lì i suoi conti se li saprà fare, vedrai che

già va tutto bene figlio mio». Poi abbiamo sentito i passi di babbo che saliva. «Vai a mangiare, Agnesedda avrà pazienza. Ma non farla tar-

dare troppo, che non è più una ragazzina». Per la prima volta non mi ha dato fastidio che si rinchiu-

devano da soli.

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Come sono arrivato davanti alla porta mi sono tolto il ber-retto. Ero preoccupato a dover parlare con zio Sanna, per consolarmi pensavo alla mia azienda, e che sono sano. Però io non ho finito manco le medie, invece zio Sanna c’aveva pure la laurea. Che cosa se ne faceva non lo so, tanto faceva il me-stiere che faccio io, per allevare le bestie non serve la laurea. A me già mi era costato imparare a leggere e a scrivere, e nean-che tanto bene. Poi mi avevano detto che la moglie era nobile. Non lo sapevo che cosa voleva dire, in paese non ce n’erano di nobili. Non lo so manco ora, però ho capito che una così si dà un sacco di arie.

Se rimanevo un altro minuto a pensare me ne andavo, però in quel momento la serva ha aperto la porta e mi ha fatto pas-sare in un andito buio. Non si vedeva nulla, c’avevo paura di rovesciare le cose. Dopo mi ha fatto accomodare nella sala, in un divano duro duro. Mia mamma non ce lo metteva un diva-no così vecchio nella sala, la stoffa sembrava che si stava per bucare. Prima di sedermi mi sono guardato le scarpe, semmai c’avevo fango. Dentro quella stanza era tutto diverso da casa mia. A casa nostra nella sala non c’entrava mai nessuno, rima-nevamo sempre in cucina. In quella sala si capiva che ci vive-vano, c’era la pipa di zio Sanna, c’era un ricamo appoggiato sulla poltrona. Come è ritornata la serva nel vassoio c’aveva tre bicchieri, per chi era il terzo l’ho capito subito. Sono entra-ti insieme zio Sanna con la moglie, e si sono seduti nelle pol-trone. Io ero in mezzo e mi faceva vergogna. Mi sono alzato in piedi, mi sembrava come quando ero militare, per poco mi mettevo sull’attenti. Le volevo dare la mano a donna Eugenia, ma lei non l’ha presa. Come l’ho ritirata ha fatto un sorriso strano. Si vestiva sempre scuro, era già grassa, non come ora però. C’aveva il colorito bianco e in certe parti rosso, nel collo sembrava bruciato. E poi peli fini fini nel mento. La bocca si capiva che quando era giovane ce l’aveva bella, gli occhi erano un po’ gonfi. Ogni tanto dalla manica del vestito tirava fuori un fazzoletto e si soffiava il naso, piano piano. Sorrideva ma non è che era allegra. Ce li ha ancora gli occhi da stria con quel colore che fa paura. o forse è l’occhiata cattiva che fa. Chissà com’era che una figlia così bella era uscita da una mamma

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così brutta, Elena non le rassomigliava tanto. Solo gli occhi, a parte il colore, però non la potevo guardare fisso, per l’educa-zione. Zio Sanna la guardava come uno sposino all’inizio del matrimonio, si vede che per lui era sempre bella, certo elegan-te già era elegante. Io avevo paura di parlare con quella donna, invece a zio Sanna lo conoscevo bene, a volte era venuto a cinghiali nella nostra compagnia. Lui ha versato il mirto per tre, mi è venuta voglia di ridere a pensare una signora così che beveva mirto come un uomo. Chissà mamma quando glielo raccontavo. Zio Sanna era gentile, mi ha fatto domande di casa mia, e dell’azienda. Ha parlato dei suoi reumatismi del tempo e di caccia. Io a sentirlo parlare così ero tranquillo, mi sembrava che andava tutto bene. La moglie però non sembra-va tanto contenta.

«Non sarà mica venuto a parlare di queste cose».«No, sono venuto a fare una domanda».Mi tremava la voce. Zio Sanna ha detto: «Già lo sappiamo,

Elena ci ha raccontato tutto». ogni cosa che diceva si girava dalla moglie. Mi sembrava

impossibile che era tutto così facile. Mi sono fatto coraggio. «Io le voglio bene a vostra figlia. La vorrei sposare, se date

il permesso». Zio Sanna ha fatto una faccia come se era preoccupato. «Sei un bravo ragazzo, e anche a casa tua siete tutti gente

brava, per averti nella mia famiglia non direi di no». Per poco me lo abbracciavo. Quasi quasi me ne stavo per

andare, mi sembrava che avevamo già detto tutto, per le cose pratiche ci mandavo mamma a parlare. Però la moglie come mi ha guardato mi ha fatto venire il freddo. Zio Sanna la guar-dava sempre.

«Non è vero la sposa mia che lo vogliamo nella nostra fa-miglia?».

Lei non ha detto nulla. Siccome stavano zitti semmai tocca-va a me parlare.

«Volevo salutarla a Elena se la chiamate». Come ho detto così lei ha fatto una faccia cattiva, anche se

sembrava contenta. «Le mie figlie sono a Cagliari dalla zia, per qualche mese».

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Mi è preso un accidenti, non è che uno si fidanza senza parlarci mai con la sposa. Però non faceva mica a fare il prepotente, mi dovevo accontentare. Magari potevo scri-vere una lettera se mi davano l’indirizzo. Certo non era la stessa cosa, io a scrivere non sono tanto buono. Però non mi hanno detto di sì neanche per l’indirizzo. Zio Sanna guardava alla moglie e faceva una faccia triste, come uno che porta una brutta notizia. oramai non diceva più nulla, parlava solo lei.

«Macché indirizzo, l’abbiamo mandata a Cagliari per farla distrarre da queste sciocchezze. Elena è solo una bambina».

Dalla contentezza che avevo prima in quel momento ero disperato. Si sono versati altro mirto, lei se l’ha bevuto tutto in un sorso. Se non ero disperato mi veniva anche da ridere. Siccome non dicevano nulla ho parlato io di nuovo, mica po-tevo rimanere così.

«Allora che risposta mi date». Quella donna parlava che non sembrava manco una voce di

donna, e parlava difficile. «Lei Giuseppe è un ragazzo frettoloso, l’ha fermata in mez-

zo alla strada». C’aveva ragione mamma che si erano offesi per quello. «Magari anche la scelta che ha fatto è frettolosa, come fa a

sapere che Elena è la ragazza giusta? Avete solo scambiato due parole. Bisogna vedere poi se lei è il giovanotto giusto per Elena».

Magari mi potevo anche offendere. «Io sono sicurissimo».Dalla faccia di zio Sanna si capiva che gli faceva dispiacere

quello che mi doveva dire. «Di figlie ne abbiamo due, e non la posso promettere la più

piccola se la grande non è nemmanco fidanzata». Che cosa ci potevo fare io se Margherita non era ancora

fidanzata, mica glielo potevo trovare io lo sposo. E non era tanto sicuro nemmeno che lo trovava, ma a loro non glielo potevo dire. L’unica cosa che potevo dire è che aspettavo tut-to il tempo che ci voleva.

«Non tarderà Margherita a trovare un bravo ragazzo».

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Non gliel’ho detto che volevo andare ad accendere un cero per trovarlo l’indomani stesso. Come ha sentito così donna Eugenia era contentissima.

«Certo che non ci vorrà molto. Margherita è un tipo di bel-lezza diverso dalla sorella, e poi ha vent’anni, ha l’età giusta per sposarsi».

Sembravamo tutti d’accordo, anche se non era proprio così che speravo io.

«Almeno scrivere mi lascerete».Come ha sentito così quella donna si è arrabbiata. «Ma allora lei non ha capito nulla! Non deve spaventare la

nostra bambina con queste cose, ha smesso ieri di giocare con le bambole».

Non ci capivo più nulla, mi girava la testa. E continuava an-che zio Sanna con questa storia delle due figlie che la grande si deve sposare prima.

«La promessa che vi siete fatti tu e Elena non conta nulla. Non la conosci, ti sembra che vuoi lei solo perché l’hai vista prima. Io già sono contento di averti nella mia famiglia. Per adesso lasciamo le cose così, poi vedremo».

Si sono alzati, e io non potevo restare seduto. L’ho capito che mi stavano mandando via. Certo quando me ne sono an-dato ero più triste di quando sono arrivato.

Mamma mi stava aspettando davanti al caminetto. Lei era contenta se mi sposavo con Elena. A parte che era brava e bel-la, il babbo c’aveva case e bestie. Ne avevano di meno di noi ma ne avevano, e poi erano due figlie sole che si dividevano tutto. Non c’era bisogno che me le diceva mamma queste cose, io lo sapevo quello che pensava. Era orgogliosa mia mamma, però davanti a quella signora si imbarazzava. Davanti a zio Sanna no, perché lui parlava in sardo come noi, e poi era sempre gentile. A mia mamma non le piaceva l’idea di diventare parente con quella donna, e poi era preoccupata per il matrimonio, chis-sà che cosa volevano organizzare. Di mattina mi aveva detto: «Non me ne importa, tocca a loro organizzare».

Come sono entrato in cucina ho buttato il berretto in terra. «Lo sposo cos’è che hanno detto».

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Da come ero arrabbiato non ci riuscivo manco a parlare. Ho preso l’attizzatoio e davo colpi alla legna nel caminetto. Il gattino è scappato. Un pezzo di brace è arrivato sul grembiule di mamma. Si è messa a gridare.

«Che cosa ti sei ammattito? Parla, mi farai aprire il cuore». Mica ci credeva che non avevano detto nulla. Io non le sa-

pevo raccontare le cose come voleva lei, e che faccia ha fatto e che cosa ha detto e come l’ha detto. Io sapevo solo la cosa importante, che a Elena non me la volevano dare. Gliel’ho raccontato di quella donna che ha bevuto tre bicchierini di mirto. Mamma si è messa a ridere all’inizio, dopo si è arrab-biata anche di più.

«Pure ubriacona, con l’importanza che si dà. Cos’hanno det-to?».

L’ha capito guardandomi in faccia che era no. Gridava forte. «Quegli sbruffoni! Come si sono permessi di dire di no a

mio figlio. Il fiore, il più bello. Che cosa si crederanno, di tro-vare uno meglio di te! Vedrai che le figlie rimangono zitelle, anche quella sfacciata».

Come ha detto così mi stavo arrabbiando pure io, a Elena non volevo a toccarmela. Come ha sentito che nella famiglia mi volevano a mamma le è passato tutto.

«Hai visto, non è che non ti vogliono. Sei stato maleducato, l’hai fermata in mezzo alla strada. Mi arrabbiavo anch’io al posto loro. Tu ti sei ammattito da quando ti sei messo in testa questa cosa, già tornerà, già la vedrai, che cosa fa se non l’hai vista proprio oggi».

Si stava rimettendo a ricamare, e non aveva capito nulla. Non l’ho sopportato quello che ha detto, che c’avevano ragio-ne. Lei non era più offesa, perché quello che la faceva arrab-biare era se non mi volevano come parente. Allora mi sono messo a gridare pure io.

«Non l’hai capito che non me la danno a Elena! Hanno det-to che di figlie ne hanno due, mi sembra che mi volevano dire di prendermi alla più grande».

Per mia mamma era uguale una sorella o l’altra, tanto si divi-devano tutto in parti uguali. Ho pensato che di vedermi con-tento non gliene importava nulla. Le ho mancato di rispetto,

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le ho detto che era lei che si era ammattita se pensava che io volevo la sorella di Elena. Si è spaventata della mia faccia.

«No, no, certo che non la vuoi a quella parduledda. Vedrai che anche lei non lo vuole a uno che si è promesso con la sorella. Che cosa ne sappiamo, magari sta già parlando con qualcuno e il babbo non lo sa».

Quando ha detto così mi è ritornata la speranza, non ci ave-vo pensato a questa cosa.

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VIII

margherita, suo maLgrado, parte per una vaCanza in Città

siamo partiti di mattina presto con la macchina carica che sembravamo sfollati a parte i nostri bagagli mamma a zia Assunta le mandava un sacco di provviste con la scusa delle cose genuine della campagna però faceva quel sorrisino «è diventata tirchia anche l’opera dice che non le piace più ma non vuole spendere comprateli voi i biglietti se non era per la vergogna semmai andava nel loggione» alla fine siamo partiti tutt’e tre con la faccia da funerale a me già non mi è piaciuto mai andarmene di casa e più di tutto non mi piaceva andare da zia Assunta

in quella casa non c’era il caminetto ogni volta che mi veniva la nostalgia di casa c’avevo paura di prendere un dolcetto sem-mai zia Assunta si poteva scocciare con questo fatto che era diventata tirchia babbo anche non era contento «la casa senza le mie bambine mi sembra vuota lasciamola qui a Marghe» mamma però aveva deciso e quando decide lei non c’è niente da fare «le fa bene cambiare aria è sempre vicino al caminetto con i gatti e le serve così avrà l’occasione per mettersi un po’ elegante» a me di mettermi elegante non me n’è fregato mai niente preferivo cento volte rimanere vicino al camino non ho detto nulla tanto era inutile

aveva piovuto molto la strada era tutta fango gli alberi erano neri come scheletri bruciati babbo era zitto ogni tanto guarda-va Elena dallo specchietto lei aveva pianto tutta la notte c’ave-va gli occhi come due patate non eravamo abituati a vederla triste lei era sempre allegra figurati babbo per poco si metteva a piangere anche lui

Elena si soffiava il naso e sospirava a un certo punto si è messa a frugare nei pacchi «babbo ti fermi un attimo che devo vedere una cosa nel bagagliaio» è risalita con una bu-sta in mano c’aveva la faccia contenta anche se si era tutta bagnata «le ho trovate le scarpe nuove mi seccava se me

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le dimenticavo» dopo che ha trovato le scarpe ha cambiato umore e non tirava più su col naso

mia sorella era fatta così per metterla di malumore ci voleva una cosa grave ma per vederla contenta bastava un paio di scarpe nuove se l’è tenute in grembo e ogni tanto diceva «sia-mo quasi arrivati» magari stava pensando a Giuseppe però a lei le è sempre piaciuto andare a Cagliari per lei a Cagliari era sempre festa

per esempio io di mattina mi svegliavo presto che erano tut-ti a letto ci passava un sacco di tempo prima di fare colazione Elena invece rimaneva a letto fino a tardi dormivamo in una cameretta con le finestre sul viale c’era un chiasso di macchine e i tram e gli strilloni Elena diceva «mi piacciono questi rumo-ri diversi le dive si svegliano sempre in una città diversa»

certo a Cagliari il tempo era più bello rispetto a casa nostra soprattutto in primavera per esempio se di sera qualche volta pioveva l’indomani mattina il sole era ogni giorno più caldo le ore più fredde della mattina le passavamo a letto parlando e aspettando che zia Assunta si alzava poi andavamo in cuci-na in vestaglia con quel calore del letto che dura un sacco di tempo zio Mario rientrava dalla passeggiata con il giornale e i pasticcini di Tramer quel momento mi piaceva più di tutto con il vapore del caffè e il fumo del sigaro che facevano le ghirlande nei raggi di sole dopo ci vestivamo e andavamo in giro nei negozi

Elena si misurava tutto faceva disperare le commesse dopo pranzo accompagnavamo zia Assunta a fare le visite di sera a volte eravamo invitate a cena oppure andavamo a teatro o al cinema per Elena quella era la bella vita ogni volta mamma doveva insistere per farla ritornare in paese invece a me dei vestiti non me ne importava niente di corteggiatori non ne avevo e del teatro ne potevo fare a meno l’unica cosa che mi piaceva molto era il cinema

come arrivavamo al ponte della Scaffa babbo cominciava a sudare non era abituato al traffico e andava pianissimo le altre macchine gli suonavano il clacson e lui sudava sempre di più sotto casa di zia Assunta rimanevamo mezzora giran-do in macchina prima di trovare un parcheggio erano sempre

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troppo lontani o troppo stretti infatti zia si preoccupava sem-pre del viaggio pensava che babbo non sapeva guidare però era contenta di averci in casa soprattutto da quando si erano sposate le figlie quel giorno aveva fatto cose buonissime a pranzo

dall’indomani zia Assunta ha incominciato a ossessionare a Elena gliel’aveva promesso a mamma di toglierle dalla testa «quel Pinna» non stava zitta un attimo si faceva domande e si rispondeva da sola «per levare dalla testa di una ragazza un certo giovanotto ci vuole un altro giovanotto» l’aveva trovato subito quello giusto il figlio di una signora che erano amiche da ragazzine la moglie del notaio Chessa

zia Assunta ci ha raccontato del pianto che si era fatta al matrimonio «ha sposato bene Adelaide col notaio quello gua-dagna un sacco di soldi non è nobile ma quando uno è ricco così fa lo stesso fanno una vita elegante» mi sembra di sentirla ancora «un bel giovanotto Giommaria Chessa alto e biondo sta facendo la pratica col babbo prenderà il suo posto ce l’era-vamo promesse con Adelaide che sposavamo i nostri figli e tu Elena per me sei come una figlia» io non c’avevo un bel ricordo di quella famiglia

l’anno prima avevano dato un ballo a casa loro a ballare mi ha invitato solo il notaio penso che l’ha fatto per gentilezza così mi è dispiaciuto che gli ho schiacciato un piede ma al-meno dopo mi ha lasciato in pace e mi sono seduta vicino al buffet di Giommaria non mi ricordavo nulla ma della sorel-lina sì anche se c’aveva solo tredici anni la vestivano già da signorina

si davano arie tutti in quella famiglia la moglie del notaio parlava un po’ in italiano e un po’ in sardo con quell’accen-to a cantilena dei cagliaritani comunque era molto chic per esempio quella domenica che ci hanno invitato a pranzo la cameriera c’aveva il vestito nero e il grembiule bianco come piaceva a mamma una volta l’ha fatta vestire così a Emanuela però lei si è messa a piangere e babbo l’ha difesa

erano gente elegante davvero quei Chessa con la casa piena di quadri e l’argenteria solo che entrando si sentiva odore di pesce ma la signora no lei era tutta profumata anche se la

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mano te la stritolava e ti afferrava le spalle per darti due baci infatti zio Mario dopo che ci ha salutato ha fatto una smorfia di nascosto e poi mi ha fatto l’occhiolino

lei e zia Assunta si capivano subito «stanno per arrivare Giommaria va in istudio col babbo» anche quella era un’al-tra stranezza non è che mi sbagliavo io diceva proprio così “inistudio” me lo ricordo bene perché quella parola la diceva continuamente sarà perché era nello studio che faceva i soldi il notaio Chessa e così “inistudio” era il posto più importante per quella gente mi veniva da ridere ma non faceva niente alla signora Chessa potevi guardarla quanto volevi anche riderle in faccia tanto non ci vedeva nulla non me la immaginavo da gio-vane che zia Assunta diceva «era bellissima» con gli occhioni azzurri però quando l’ho conosciuta io erano gonfi sembra-vano gli occhi di un animaletto e li muoveva seguendo le voci gli occhiali il marito non voleva a metterseli tanto non se ne faceva niente e si rovinava lo sguardo

a zia Assunta l’ha trovata subito semmai perché c’aveva i ca-pelli grigi alti alti «deve venire anche la signora Bossi la vedova mischinedda non si è più ripresa del tutto poris cumprendi su ki at perdiu è morto più di un anno fa l’ha lasciata piena di debiti mi n’di pari lastima non la invita più nessuno solo noi Emanuele la aiuta nei suoi affari per pagare i debiti deve vendere il poco che le è rimasto mio marito lo fa per niente lo sai com’è buono lui» come sentivano così zio Mario e zia Assunta ridevano meno male che la signora Chessa non ci vedeva un’acca

in quel momento è entrata la signora Bossi magra magra con le dita lunghe come teneva la borsetta sembrava un falchetto faceva una smorfia come una che sta per piangere quasi quasi mi stavo anche commuovendo però faceva quella faccia an-che mangiando i pasticcini dev’essere che quella smorfia le è rimasta dalla morte del marito come quando nonna mi diceva «non fare smorfie se passa un angelo rimani per sempre così» magari quando è morto il marito davanti alla signora Bossi è passato l’arcangelo Gabriele in persona

dietro di lei è entrato il notaio tutto impettito perché era bassottino e Giommaria forse tutte quelle arie che si dava sarà

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stato che era più alto del babbo brutto non era però faceva lo stesso un effetto da ridere con l’importanza che si dava la mamma sembrava che ci stava presentando un principe comunque erano gentili e ci hanno fatto il baciamano alla mamma Giommaria l’ha baciata «beni istas mammai» lei era contentissima «andiamo a tavola mi scuserete è soltanto un cumbireddu» ma non era vero niente c’erano un sacco di cose buone da mangiare

Giommaria Chessa si è seduto vicino a Elena lei era bella più del solito quel giorno con i capelli raccolti e il rossetto rosa come il vestito poi da quando si era innamorata c’aveva quell’aria languida che sembrava anche più bella quello lì se la mangiava con gli occhi le diceva un sacco di scemenze si credeva spiritoso invece le sue battute non facevano ridere nessuno per esempio come portavano a tavola il parmigiano diceva sempre la stessa cosa «parmi-giano ma non è bifronte» quella era la prima volta che la sentivo e non l’ha capita nean-che Elena però lui gliel’ha spiegata e lei si è sforzata di ridere

chissà magari lo faceva apposta a fare di quelle battute che le capiva solo lui così si poteva dare arie perché aveva studiato come ha sentito che a scuola non c’andavamo più ha fatto una faccia come se non c’avevamo un tetto sulla testa Elena poveri-na si è fatta tutta rossa meno male che ci ha difeso zia Assunta «mia sorella e il marito non si sono voluti separare dalle figlie per mandarle a studiare» il notaio non era d’accordo «non è più il tempo di tenere le ragazze in casa a ricamare mia figlia farà anche l’università» quella caghetta ha sollevato il naso dalla par-te della mamma «vero s’isposa vero che ci vai all’università»

zia Assunta non era tipa da farsi intimidire figuriamoci da uno che non era manco nobile «io non ho studiato e ho ricamato molto da ragazza ma non me ne sono pentita mica ce l’avevo il tempo di lavorare con due figlie e la casa da mandare avanti» sem-brava seccato il notaio dev’essere che era abituato a dargli sempre ragione «mica è per mandarla a lavorare che la facciamo studiare anche lei si sposerà e avrà famiglia è per il titolo di studio»

il più simpatico era zio Mario «allora cosa conviene costrin-gere queste povere ragazzine a rompersi la testa col latino e col greco lasciamole divertire la vita è così breve» lui pensava

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sempre diverso da tutti gli altri e pensava sempre ai diverti-menti poi quando faceva quella tossettina come quel giorno sicuramente stava per dire una cosa imbarazzante

ha continuato anche se zia Assunta lo guardava storto «l’istruzione non serve a nulla cioè per carità serve ai medici agli ingegneri agli avvocati ai notai ma chi nasce zotico rimane zotico anche con la laurea e chi nasce signore rimane signore» zia Assunta era rossa come un peperone di sicuro le è salita la pressione glielo stava dicendo in faccia al notaio che era uno zotico con la laurea però ha rimediato subito «se una ragazza possiede un’eleganza innata come Elena non c’è niente che gli studi possono aggiungere anche se vanno scalze a lavare il bucato al fiume le mie nipoti sono come due principesse»

io lo conoscevo zio Mario lui diceva cose offensive alla gen-te che non gli piaceva poi diceva un’altra cosa che voleva dire che non stava offendendo intanto però la soddisfazione se l’era presa e anche zia Assunta lo conosceva non ce la faceva neanche a inghiottire il boccone può essere che il notaio se c’ha ripensato dopo il dubbio gli sarà tornato magari però no perché quello lì si dava un sacco di arie e gli veniva difficile credere che qualcuno lo disprezzava comunque zia Assunta era preoccupata con tutti quei discorsi che stavano facendo sul titolo di studio magari a Elena non la consideravano ab-bastanza

le è passato tutto come ha sentito la moglie del notaio che li capiva a babbo e a mamma perché neppure lei la mandava sua figlia a studiare lontano da casa a Giommaria non gliene fregava niente se Elena non era diplomata figurati come se la mangiava con gli occhi dopo si sono messi a parlare di politica che per me è la cosa più noiosa del mondo la signora Bossi era zitta come me si lasciava servire ogni pietanza due volte e raccoglieva anche le briciole semmai a casa sua ci passava pure il pane nel piatto mangiava come una che deve fare digiuno per una settimana però era magra magra

dopo che se n’è andata via la signora Chessa ce l’ha spiegato «quello che ha mangiato oggi a casa sua se lo fa bastare una settimana è piena di debiti» così si capiva quella faccia triste perché mangiava poco mica era per la nostalgia del marito e ci

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ha anche raccontato un sacco di cose da ridere che la signora Bossi si era tenuta la domestica perché di lavarsi le lenzuola da sola si vergognava ma le faceva rabbia darle da mangiare alla domestica che era una mangiona e cicciona e quando c’era freddissimo se la domestica voleva accendere la stufa le diceva di correre intorno al tavolo per riscaldarsi in questa cosa era-no uguali la moglie del notaio e zia Assunta quando andava via un ospite raccontavano un sacco di storie che facevano ridere

non bastava la politica dopo si sono messi a fare un altro discorso noioso non l’ho mai capito perché non mi lasciava-no a casa tanto a quei pranzi non parlavo mai comunque era per una casa della signora Bossi che il notaio ci pensava lui a venderla ma voleva che abbassava il prezzo la signora Bossi però non era d’accordo e lo guardava con quel collo grinzito e rosso sembrava un tacchino «mia cognata dice che una casa di centocinquanta metri in piazza Yenne vale parecchio»

c’aveva la faccia furbetta il notaio e sicuramente era furbo davvero se no non faceva quel mestiere e non faceva un sacco di soldi «con tutto il rispetto che cosa ne capisce sua cognata signora e poi non saranno proprio centocinquanta metri» lo diceva sempre il notaio «con tutto il rispetto» ma era solo un modo di dire perché dalle arie che si dava si capiva che non ne aveva di rispetto per nessuno ci ha provato a insistere la signora Bossi con la faccia più triste di prima «l’ha misurata il geometra Cossu» ma il notaio non ne voleva sentire «con tutto il rispetto signora il geometra Cossu l’ha incaricato lei chissà che misura fa un altro tennico» anche quella parola la diceva in un modo strano come inistudio magari era una cosa distinta e io non lo sapevo magari però no perché mamma non dice così e lei di distinzione se ne intende

eravamo tutti zitti ascoltando quel discorso di case noio-sissimo che poi vai e cerca perché la grandezza di quella casa doveva cambiare se la misurava un altro geometra il notaio si è asciugato i baffetti piano col tovagliolo «poi anche la posi-zione» e si è stato zitto come quando c’è una cosa che non si può dire la signora Bossi ha fatto gli occhi grandi «è centra-lissimo» secondo me quello lì le risposte se l’era preparate in

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anticipo con quella faccia furbetta «in centro ormai ci abita gente volgare se mi dice in via Veneto» e quello che gli ha detto la signora Bossi glielo stavo per dire io «però voi abitate in centro» il notaio e la moglie sembravano il gatto e la volpe quando imbrogliano Pinocchio

lei era d’accordo col marito per gli affari «la casa me l’ha lasciata babbai mischineddu non me ne andrò mai da questa casa mi paret k’intendu sa boxi moi puru quando sarò morta la venderai questa casa» e lui «no ci resterò anche quando non ci sarai più tu» mica l’ho capito perché era sicuro che la moglie moriva prima di lui infatti è successo il contrario con tutti gli affari che c’aveva da fare avrà pensato che servivano molti anni da vivere quel giorno non se l’immaginava che una brutta malattia se lo portava via abbastanza giovane se no mica par-lava così tranquillo «qui da noi è diverso in piazza Yenne non è elegante perché c’è il mercato e poi durante la guerra in quel palazzo c’era una di quelle case» la moglie si è fatta rossa «che cosa ne sai tu» lui si è raschiato la gola e si è sistemato i baffi «non è che lo so direttamente me l’hanno detto»

zio Mario si stava annoiando ma quello era un discorso di un tipo che gli piaceva molto insomma cose piccanti c’aveva un occhio socchiuso non si capiva se stava facendo l’occhioli-no o se era il fumo stava borbottando una cosa «a che numero si trova questo palazzo che lei conosce cioè di cui ha sentito parlare solamente» e zia Assunta ha fatto una faccia furibonda comunque il notaio ha fatto finta di non sentire e stava sem-pre convincendo la signora Bossi «in ogni caso basta la voce per far deprezzare l’immobile»

dopo quando stavamo tornando a casa zio Mario ha detto «quei due marito e moglie si erano messi d’accordo per com-prarglielo a quattro lire l’appartamento alla vedova sono sicuro che quando ce ne siamo andati l’ha preso da una parte al figlio per chiedergli se gli era piaciuta Elena figurati se non si sono fatti due conticini anche su di lei» zia Assunta era molto arrab-biata «adesso leggi nel pensiero» ma lui quando si scatenava contro qualcuno non la finiva più «non ci vuole molta intelli-genza per capirlo mi sembra di sentirla Adelaide ne eredita di terreni quella ragazza non importa se non è diplomata anzi è

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anche meglio che sia un po’ ingenuotta e campagnola così af-fida tutto nelle nostre mani arrivisti arraffoni ecco cosa sono e figurati quel deficiente del figlio se ci vuole molto a convincerlo chi non la vorrebbe una bellezza così che spreco le perle ai por-ci» e si girava da Elena «i borghesi figlia mia sono così farà finta di essere romantico di essere incantato dai tuoi begli occhi ma se fossi una contadinella senza patrimonio certo non ti avrebbe corteggiato»

zia Assunta dalla rabbia quasi quasi non ce la faceva a ri-spondergli «neppure tu te la sei sposata una contadinella» ma lui c’aveva una parlantina come nessuno «tesoro mio non ne ho mica colpa se sei nata con quel cognome io mi sono inna-morato di te perché eri bellissima era lo stesso se ti incontravo a pascolare i maiali» a me mi sembrava una cosa molto ro-mantica quella che le aveva detto ma zia Assunta era sempre più arrabbiata «come ti viene in mente di immaginarmi a pa-scolare i maiali» si è girata da me «lascialo perdere che questo qui dietro i falsi complimenti nasconde sempre le offese» poi gli fa «la devi smettere di criticare la mia amica Adelaide è una brava donna non è interessata come pensi tu» ma l’ultima parola era sempre di zio Mario «carina com’era se non era interessata come mai si è sposata con quel mostro di Chessa quello lì senza i soldi non la trovava una moglie»

zia Assunta però lo lasciava cantare dall’indomani ha co-minciato a scrivere letterine a mamma le diceva del corteggia-mento di Giommaria è vero che Elena c’aveva la malinconia per Giuseppe però le veniva solo di notte perché di giorno si distraeva scriveva a babbo che voleva tornare a casa che Ca-gliari non le piaceva più però insieme alle sue partivano anche le letterine di zia Assunta per risparmiare col francobollo che stava andando tutto a meraviglia che ci stavamo divertendo e che eravamo anche ingrassate

io per parte mia non mi divertivo di sicuro e non penso che a mamma le faceva piacere che ero ingrassata ma tanto di me non gliene importava nulla a nessuno

Elena non si capiva bene cosa voleva lei era molto vanitosa e poi era ingenua per esempio se zia Assunta le diceva «sabato c’è “La Traviata” parti lunedì che cosa sarà una settimana in

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più o in meno» lei si convinceva subito e lo stesso se il lunedì le diceva «che scempiaggine tornare in paese all’inizio della settimana tanto fino al sabato laggiù non metterai il naso fuori di casa rimani ancora qualche giorno» e così quel complotto di mamma con zia Assunta funzionava benissimo e la teneva-no lontana da Giuseppe poi la ossessionava «tu non sei fatta per vivere in paese se non ti sposi uno cittadino sarai infelice per sempre»

a poco a poco la stava convincendo è vero che c’aveva solo sedici anni però io non ero credulona così manco a sedici anni sicuramente mamma e zia Assunta non se lo immaginavano come andava a finire se no mica lo facevano tutto quell’im-broglio Elena si sforzava di pensare a Giuseppe ma il fatto è che a Cagliari c’aveva poco tempo si alzava tardi poi metà della mattina la passava a vestirsi e a truccarsi l’altra metà a vedere i negozi di sera a fare visite o al cinema e a volte teatro oppure eravamo invitati a cena di tutte queste cose l’unica che mi pia-ceva a me è quando zio Mario ci portava a mangiare il gelato

ogni sera come ci coricavamo Elena cercava di ricordarsene che era innamorata diceva «vorrei sognare Giuseppe» però di mattina se mi raccontava i sogni Giuseppe non c’era mai alla fine un giorno zia Assunta l’ha lasciata andare da sola a man-giare il gelato con Giommaria Chessa meno male così potevo rimanere a giocare a carte con zio Mario

a me uscire non mi piaceva per niente con tutta quella con-fusione che c’è nelle strade di Cagliari tanto delle vetrine non me ne importava niente figuriamoci di misurarmi vestiti grassa com’ero poi quelle scarpe che si usavano con il tacco a spillo e la punta ogni momento mi sembrava che stavo per fare una storta mi veniva un dolore ai piedi di quelli poi Elena si era messa in testa che mi stava bene un’acconciatura con i capelli sollevati e mi conficcava un sacco di forcine nella testa così fra la confusione e le chiacchiere di zia Assunta c’avevo sempre mal di testa alla fine mi sembrava la cosa migliore che Elena si fidanzava con quello lì così me ne potevo ritornare a casa

quando stavamo giocando a carte io e zio Mario Elena è en-trata e respirava forte come una che si è presa uno spavento di quelli tutta rossa in faccia la mano le tremava che non riusciva

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neppure a sbottonarsi il cappotto zia Assunta stava ricaman-do «che cosa ti è successo ti senti male» Elena si è buttata sul divano «mi ha chiesto mi ha detto»

io e zio Mario non ci capivamo nulla ma zia Assunta aveva capito tutto «era ora che bella notizia bisogna scrivere a tua mamma» parlavano soltanto loro due Elena c’aveva il fiatone «eravamo soli nel salotto la mamma poteva sentire tutto che spavento» zia Assunta più sentiva così e più era contenta «eh quello c’ha fretta ogni giorno dici che te ne vai l’indomani figurati la mamma l’avrà fatto apposta a lasciarvi da soli vado a fare il tè dopo mi racconti tutto per filo e per segno» zio Mario si è arrabbiato «state delirando chi è che poteva en-trare e perché non doveva entrare e chi è che c’ha fretta mi fate spaventare e dopo ridete» gliel’ho detto all’orecchio che Giommaria Chessa aveva fatto la dichiarazione a Elena

questa cosa non gli piaceva «quello lì chi sa se ti vuole dav-vero o non sarà qualche cosa che hanno combinato sua mam-ma con quell’intrigante di mia moglie guarda che quelle due ne sanno una più del demonio dimmelo prima che ritorna lei se ti piace davvero certo di arie già se ne dà e soldi ne farà di certo diventerà come il padre fanno soldi a spese del popolo» in quel momento è rientrata zia Assunta «lasciala stare non metterle cose in testa che ce l’ha già chi le dà consigli perché non vai a fare una passeggiata» lui è uscito dopo un po’ si è affacciato col cappotto e il cappello «me ne vado per non es-sere complice dei tuoi misfatti»

zia Assunta si è seduta vicino a Elena e l’accarezzava così dopo un po’ non era più disperata zia Assunta parlava sempre «è normale che ti corteggiano sei carina mica ti devi spaventa-re ogni ragazza è contenta di avere corteggiatori Giommaria è di buona famiglia hai visto che begli occhi verdi che c’ha» a me non mi piaceva di sicuro quello lì però non ho detto nulla tanto il mio parere non lo ascoltavano di sicuro

Elena c’aveva gli occhioni grandi grandi per come la cono-sco io si stava impressionando di quel discorso che tutte le ra-gazze di Cagliari lo volevano lei era fatta così voleva essere la più bella zia Assunta c’aveva un sacco di argomenti «hai fatto bene a non cedere non crederà che sei ai suoi piedi adesso che

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l’hai respinto ti vorrà ancora di più» ci ha provato Elena a dire «io mi devo fidanzare con Giuseppe io a Giommaria Chessa non lo voglio» però zia Assunta si è arrabbiata «smettila con queste scempiaggini se non lo vuoi non ti obbliga nessuno comunque devi essere gentile perché è il figlio della mia amica vedremo come andrà» ma tanto si capiva che per lei doveva andare in un modo solo

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IX

i pro e i Contro: La diffiCiLe sCeLta di eLena

chi se la dimentica la primavera del ‘55 è stato proprio quell’anno che mi sono rovinata la vita quando ci ripenso mi trovo un sacco di scuse per esempio che c’avevo sedici anni la verità è che ero una stupida bastava un vestito nuovo a far-mi contenta e se mi spezzavo un’unghia mi veniva malumore credevo che ero innamorata di Giuseppe però di lui me ne ricordavo soltanto di notte come appoggiavo la testa sul cu-scino ripetevo il suo nome due o tre volte e non ci riuscivo a restare sveglia

certo ora è diverso quando voglio dormire non ci riesco se penso a lui mi giro nel letto ma in testa c’ho sempre a lui e non c’è spazio per altri pensieri invece a casa di zia Assunta mi addormentavo subito non erano sogni belli per esempio quella volta che ho sognato la signora Chessa che mi guardava con quegli occhi miopi e mi diceva «chiamami mammai» mi ero svegliata tutta sudata perché nel sogno ero già sposata da quel sogno mi è rimasta antipatica quella donna

all’inizio mi sembrava tutto un gioco volevo fare la civet-ta con Giommaria brutto non era di certo mio marito e poi era galante mi corteggiava in un modo che mi piaceva poi a me mi è sempre piaciuta la vita di città per esempio come in quell’altro brutto sogno che ho fatto di babbo che mi diceva «perché non torni preferisci andare a teatro piuttosto che sta-re con me» ed era vero perché ero tutta elegante ero pronta a uscire nel sogno mi sono messa a piangere lo sapevo che bab-bo era più importante però anche andare a teatro era la mia cosa preferita a casa di zia Assunta mi svegliavo sempre triste e decidevo domani stesso torno a casa poi però non tornavo mai non mi decidevo a fare niente

la prima volta che Giommaria ha cercato di baciarmi me ne sono scappata come si è avvicinato c’aveva alito mi ha fatto impressione che ha cercato di afferrarmi a casa di zia si sono tutti spaventati perché non riuscivo neppure a parlare e stavo

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tremando come una foglia zia Assunta mi ha calmato lei ci riusciva a presentare le cose tutto in un modo diverso «cosa ci perdi a farti corteggiare a Giommaria lo vogliono un sacco di ragazze a Cagliari belle e ricche anche diplomate» io mi sentivo importante perché se lo volevano tutte quelle di Ca-gliari ero orgogliosa che aveva scelto proprio a me quel giorno prima di cena ho detto che c’avevo mal di testa e me ne sono andata in camera

ero orgogliosa che nel giro di un mese avevo ricevuto due proposte ne facevo di pensieri da cretina per esempio sono una signorina da marito non sono più una bambina mi sforzavo di ragionare bene senza dare retta all’istinto perché se no sceglievo di sicuro Giuseppe già da allora mi faceva battere il cuore mi immaginavo che veniva a rapirmi e mi portava via lontano in una capanna in mezzo al bosco che c’erano le stelle lì ci bacia-vamo ed eravamo sicuri che ci amavamo per sempre

Giommaria il cuore non è che me lo faceva battere allo stesso modo però se sposavo lui mi figuravo a vivere come una signora elegante di città che mi compravo pellicce e arredavo la casa per fare feste con gente elegante in paese non ce n’erano di gente così facevo la smorfiosa davanti allo specchio ero carina a sedici anni peccato che ero stupida insomma non mi sapevo decidere ma non è che mi preoccu-pavo molto non lo capivo che certi sbagli non li puoi rime-diare zia Assunta mi stava sempre ossessionando «non sarai mai felice con quello lì figurarsi a vivere con quella gente rozza pensa all’odore di formaggio pensa come si vestono e come parlano non me lo voglio neanche immaginare come si mettono a tavola»

magari c’aveva pure ragione semmai se mi sposavo con Giu-seppe mi pentivo lo stesso poi non mi fidavo del mio giudizio zia Assunta e mamma mi volevano bene mamma me lo diceva sempre «figlia mia quanto sei carina sei sciocca non sai distin-guere quello che è meglio per te» la prima volta che me l’ha detto dovevo scegliere la madrina della cresima anche quella volta mi sono rinchiusa in camera per pensare meglio mi figu-ravo col vestito di pizzo lungo fino ai piedi con la coroncina così alla fine non ho deciso nulla

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l’indomani babbo mi ha fatto dividere un foglio a metà da una parte dovevo scrivere i motivi per scegliere nonna Sanna e dall’altra per zia Mariella e dopo i motivi per non sceglierle figuriamoci che c’avevo messo un sacco di tempo a decidere chi dovevo mettere a sinistra nel foglio nel frattempo avevo fatto la cornicetta tutta colorata li ho riguardati da poco quei foglietti quello della cresima mi ha fatto tenerezza

Nonna Sanna Zia Mariellaè molto affettuosa è molto allegra e fa rideremi fa molti regali belli è la cugina preferita di mammaha un buon odore mi porta sempre a passeggio

è già vecchia non fa regali tanto bellic’ha sempre dolori usa un profumo fortissimonon va mai a teatro anche lei non va mai a teatro

che poi non era servito a nulla perché alla fine aveva deciso mamma «i regali te li faccio io al posto di zia Mariella» quella volta mica mi ero pentita scegliendo la madrina che diceva lei tanto nonna Sanna di figliocci ne aveva un sacco poi mamma ci teneva molto a zia Mariella certo quella scelta della madrina non era tanto importante

quella sera dopo che Giommaria aveva tentato di baciarmi mi sembrava che ero molto più matura e invece erano passati solo cinque anni non me ne rendevo conto che ero cretina uguale la ghirlanda nel bordo non la volevo fare perché ora-mai ero grande poi mi tremava la mano ero sicura che ci riu-scivo a decidere

Giuseppe Giommariaè più bello vive a Cagliariè gentile va sempre a teatro o al cinemaha una bella voce si veste molto bene

vive in paese c’ha alito non va al cinema si dà un sacco di arienon si veste tanto bene la mamma è antipatica

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mi sembrava che avevo fatto un capolavoro alla fine la ghir-landa l’ho fatta lo stesso peccato che non c’era babbo per farmi i complimenti poi però non avevo deciso nulla e pen-savo per esempio quel giorno che Giuseppe mi ha fermata in piazza non è stato proprio distinto invece Giommaria almeno c’ha stile e mi ha fatto una dichiarazione proprio di quelle che si vedono nei film

solo che dopo ha cercato di afferrarmi e ha rovinato tutto mica gliel’ho detto a zia Assunta che un po’ era anche colpa mia come l’ho visto inginocchiato ero orgogliosa gli ho fatto un sorriso mi sembra che ho fatto anche di sì con la testa al-lora ci ha provato che schifo come ansimava ho anche gridato poi sono scappata miracolo che mi sono ricordata i guanti e il fazzoletto a casa zia mi ha consolato «è normale che ti ha fatto impressione è sempre così il primo bacio» però questa cosa qui nelle scene dei film mica si capiva

dopo quel giorno Giommaria non si è fatto vivo per una settimana zia Assunta era mortificata anche se faceva finta di niente se non era per l’orgoglio andava a chiedere no-tizie a casa dei Chessa zitta però non resisteva «sei sicura che non l’hai trattato troppo male non è che gli hai tolto tutte le speranze» zio Mario la prendeva in giro sollevava un baffetto «non abbiamo notizie da Piazza Costituzione» mamma ci raccontava che quando era giovane zio Mario frequentava gli amici lazzaroni e le donnine allegre ma ora-mai non usciva più e il suo divertimento era di tormentare zia Assunta

era il mio zio preferito ci faceva un sacco di complimenti «le so ammirare ancora le belle ragazze» a Marghe le dava pizzicotti nelle braccia «tu sei una bellezza per intenditori con quella pelle levigata che si arrossa subito con quegli occhioni grigi lo farai ammattire l’uomo che si innamora di te» lei ar-rossiva e lui era tutto soddisfatto «lo sapevo il fuoco sotto la brace peccato che non ti stimi abbastanza ce n’è sai di uomini che vanno pazzi per le cicciottelle» zia Assunta si arrabbiava «che discorsi queste sono ragazze per bene mica sono quelle svergognate che frequentavi tu» ma lui fischiettava e mi face-va l’occhiolino «certo il tuo viso è un capolavoro ma la cosa

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che mi piace di più sono quei piedini che escono a metà dalle pantofole se fossi un giovanotto potrei uccidere per quei pie-dini»

era bello fare colazione con zio Mario sbuffava il fumo e ci raccontava un sacco di pettegolezzi sparlava sempre di Giom-maria «quello sgorbio non lo posso sopportare mi sembra di vederlo che tenta di metterti le sue zampacce addosso crede di averne il diritto per quei quattro soldi che ha fatto il babbo quello lì mi ha sempre dato fastidio con quei baffi che nep-pure Vittorio Emanuele e poi non azzecca mai la cravatta che uomo è uno che non sa scegliere la cravatta» a me mi veniva in mente che neppure Giuseppe la sapeva scegliere la cravatta e questa cosa qui mi sembrava molto seccante perché a quello che diceva zio Mario gli davo importanza

insomma quella settimana che Giommaria non si faceva vivo zio Mario era contentissimo e sfotteva a zia Assunta «le alte sfere tacciono dalla media borghesia di provincia nessuna nuova» lei gli faceva certe occhiate che se poteva lo inceneriva poi si girava da me a vedere se ero dispiaciuta a me mi seccava dirlo ma ero offesa non è che ero innamorata di Giommaria però c’ero rimasta male che dopo il primo rifiuto non aveva insistito alla fine mi piaceva avere un corteggiatore che mi toglieva il cappotto e mi cedeva il passo ero una cretina

altroché se ci ripensavo a quello che mi aveva detto quella sera «Elena io non posso più vivere senza di te quando non ci sei sento il freddo della morte lasciami vivere Elena dimmi di sì» era stata una dichiarazione bellissima e poi come l’aveva detto con quella faccia di adorazione inginocchiato ai miei piedi mi sembrava impossibile che mi aveva detto così e poi dopo un rifiuto subito era sparito peccato che non avevo fatto in tempo a rispondergli con una bella frase che ne so magari gli potevo dire «sono lusingata ma non posso amarti il mio cuore è già impegnato» c’aveva una fretta di baciarmi che me ne sono dovuta scappare

non l’aveva capito che mi ero spaventata del resto non lo so nemmeno se gliela dicevo quella frase peccato rifiutarla una dichiarazione così semmai si consolava con un’altra più bella che si vestiva meglio ed era pure diplomata comunque non

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volevo che se ne accorgevano che ero delusa meno male che tutti sapevano che ero innamorata di Giuseppe se no sai che figuraccia

un dopo pranzo come stavamo bevendo il caffè zio Mario era allegro «oggi porto fuori le mie nipoti decidete dove vole-te andare» gli ha risposto solo Marghe io e zia Assunta c’ave-vamo la faccia da funerale era uno di quei pomeriggi di marzo che mettono il buonumore l’aria faceva già pensare all’estate Margherita si è affacciata al balconcino «chissà a casa il cortile dev’essere pieno di fiori» poi si è messa a gridare «Elena sta arrivando lo sposo tuo il figlio del notaio» io mi sono affac-ciata «non è lo sposo mio» ma il broncio non ci riuscivo più a tenerlo

Giommaria stava per arrivare al nostro portone si grattava il collo e si sistemava i capelli era tutto agitato zio Mario era deluso «alla fine più che l’onor poté il digiuno me l’immagino che non riusciva a prendere sonno pensandoti e chissà che pensieri sono sicuro Assunta che non ne saresti fiera ma forse senza le moine della mamma non si decideva ugualmente ad abbassare la cresta comunque visto che avete visite esco da solo» Margherita si è messa a ridere «la cresta ce l’ha davvero guardagli i capelli sembra un tacchino» era vero ce li aveva più ribelli del solito col ciuffo rossastro gonfio gonfio sulla fronte allora sono scoppiata a ridere anch’io

Marghe si è messa a camminare intorno alla stanza alzan-do i gomiti per imitare i tacchini «ti sposerai un tacchino» e faceva gluglu io stavo morendo dal ridere anche se le dicevo «smettila» però come ha suonato il campanello zia Assunta è diventata nervosa «smettetela di ridere come cretine e andate a sistemarvi siete in disordine penserà che state ridendo di lui» e siccome era proprio così ci siamo messe a ridere più di prima

in camera mi sono guardata allo specchio e c’avevo il trucco disfatto Marghe era vicino a me facevo respiri profondi per diventare seria «smettila non fare quel rumore davanti a lui che non voglio fare brutta figura» ma oramai l’aveva presa lo scimprorio «non faccio rumori però quando sollevo il gomito così ricordati che vuol dire tacchino» così ho deciso che non la

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dovevo neanche guardare e sono andata in salotto Giommaria si è alzato tutto rosso e c’aveva anche la faccia tagliuzzata me lo sono immaginato nervoso facendosi la barba come l’ho visto tutto impettito quasi quasi scoppiavo di nuovo a ridere

dopo un mese che Giommaria mi aveva corteggiato a Pa-squa ero fidanzata certo che mi sono divertita un sacco in quel periodo o mi portava al cinema o a prendere un gelato o a te-atro ogni sera davanti allo specchio mi pettinavo e sospiravo tutta contenta è proprio questa la vita che voglio fare lui era molto innamorato mi chiamava tesoro io lo chiamavo Gimmi perché sembrava un nome americano l’unico di malumore in quei giorni era zio Mario si scocciava che io e zia Assunta par-lavamo a voce bassa «che maleducate a parlarvi nell’orecchio come le comari» ma lei c’aveva sempre la risposta pronta «a te non ti diciamo niente metti ogni cosa sotto una luce sinistra fai l’uccello del malaugurio»

io credevo che sinistra c’entrava col fatto che zio Mario era socialista ci tenevo molto a imparare quei modi di dire per non fare brutta figura con la famiglia di Gimmi zio Mario non la la-sciava in pace a zia Assunta «te la sei lavorata bene quella scioc-china» lei però alzava le spalle e non rispondeva tanto stava andando tutto bene il giorno che sono entrata nella sala con l’anello al dito «Gimmi ha detto che il diamante simboleggia la purezza del suo amore» zio Mario era furibondo «la purezza del suo amore allora sarà finto fatelo vedere a un gioielliere»

zia Assunta era al settimo cielo non vedeva l’ora che uscivano quella sera zio Mario con Marghe lui la portava nelle pasticcerie da Tramer andavano per la cioccolata e le meringhe con la panna da Ramondetti per i bigné al Genovesi per le brioche a casa tor-navano sempre con un pacchetto e si mettevano a giocare a carte come sono usciti le ho raccontato tutto che la dichiarazione era perfetta Gimmi era elegante col fazzoletto nel taschino e come parlava era impossibile non innamorarsi poi dopo il discorso mi ha chiesto un bacio capirai con quel brillante grosso come un cece e tutto il resto un bacio non glielo potevo negare

non ce la facevo a rimanere con gli occhi chiusi anche quan-do ci stavamo baciando guardavo l’anello peccato per l’alito di Gimmi era l’unica cosa che non andava tanto bene alla fine però

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bastava non respirare dopo un po’ ho fatto finta di essere troppo emozionata e me ne sono andata ma era per guardarmelo bene bene quell’anello senza fare la figura della provinciale e poi non vedevo l’ora di dire tutto a zia certo baciare mi sembrava schifoso però mi consolavo alla fine non te ne accorgi nemmeno tanto dura poco

la domenica c’era il pranzo con i miei suoceri sono venuti bab-bo e mamma lei c’aveva una faccia che più felice non si può alla sorella l’ha abbracciata «ti meriti un monumento» zia Assunta è arrossita dalla contentezza poi si è girata da zio Mario «hai visto solo tu non hai fiducia in me ma anche se hai messo i bastoni fra le ruote l’amore ha trionfato» lui da due giorni c’aveva un muso lungo che non gli passava «macché amore sono i maneggi tuoi e di quell’altra intrigante che hanno trionfato» babbo quando si bisticciavano che poi era una cosa che succedeva sempre si spa-ventava a mamma invece le veniva da ridere «dai Mario guarda Elena com’è contenta non le vorrai rovinare la festa»

io quel giorno mi sentivo bellissima l’ho conservato quel tailleur magari mi sta ancora mamma mi aveva prestato le sue perle ma la cosa che mi piaceva di più era l’anello c’avevo sempre la mano allungata e lo mettevo al sole se Enrico si trova una brava ragazza glielo regalo quell’anello tanto io non me lo metto a una ragazza piacciono queste cose e poi il bril-lante è grosso davvero semmai però si prende una di queste che non si pettinano una contestatrice come mia nipote vai e cerca quelle di brillanti non ne portano di sicuro vabbè lo conserverà e quando le passa lo scimprorio le farà piacere peccato quell’anello sembra fatto apposta per la mia mano

quel giorno del fidanzamento le mani ce le avevo anche più fini di ora ero felice mi guardavo nel vetro della finestra e fa-cevo ruotare la gonna ho sentito zia Assunta che diceva «guar-dala se ti sembra la vittima di una congiura è l’immagine della felicità» c’aveva ragione lei ma forse zio Mario lo capiva che non ero davvero innamorata di Gimmi mi ha guardato come se gli facevo compassione «è solo una bambina» allora lei si è messa a gridare «basta non se ne può più è due mesi che sop-porto questa spada nel fianco» quando era molto arrabbiata non ci riusciva quasi a parlare zio Mario si è messo a ridere

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«macché spada e spada si dice spina nel fianco comunque io me ne vado da mia mamma non voglio rovinarvi la festa» e si è messo il cappello

mamma faceva finta di essere dispiaciuta e rideva sotto i baffi «Mario che cosa diranno i Chessa» però lui era proprio deciso «che cosa vuoi che gliene importi di me quelli han-no messo le mani su un buon partito dite che c’ho la febbre alta» zia Assunta era contenta «bravo vattene secondo me ce l’hai davvero la febbre da come stai delirando» babbo c’ha provato a farlo rimanere ma lui niente «no Ninni non voglio essere complice di questa cosa mi ritiro sull’Aventino» babbo ha fatto la faccia offesa infatti per la politica lui e zio Mario non sono andati mai d’accordo zio Mario era socialista invece babbo era fascista solo che non gli piaceva dirlo

quando erano da soli con mamma parlavano sempre di quando c’era Lui davanti agli altri non dicevano niente però se qualcuno parlava male di Lui cambiavano discorso anche io dicevo sono fascista non ci capivo nulla solo che se babbo pensava in un modo era sicuramente giusto quel giorno bab-bo non lo so se era davvero contento o faceva finta magari era triste perché non voleva che Gimmi mi portava via non è che pensava come zio Mario perché lui era stato sempre strambo e non gli dava mai retta nessuno però ci era simpatico a tutti

quel giorno erano contente mamma con zia Assunta «Ele-na si è sistemata bene un fidanzamento coi fiocchi lui è così distinto» si ricordavano di quando erano giovani fa ridere a pensarci che dopo mamma non li poteva vedere a Gimmi e alla sua famiglia si dev’essere pentita ma scusa non me l’ha chiesto mai zia Assunta era contentissima che zio Mario non veniva al pranzo «chissà che cosa gli usciva da quella boccac-cia velenosa una delle sue frasi sulla borghesia capirai lui è il difensore del popolo manco fosse nato in un sottano» mam-ma lo difendeva «nessuno si veste meglio di lui non ti fa certo sfigurare»

zia Assunta ormai non lo poteva soffrire «è tutto buone ma-niere ma c’ha una cattiveria sottile che la capisco solo io fa allusioni maligne ce l’ha con tutti non gliene va mai bene uno avvocati dottori o ingegneri tutti arrampicatori tutti borghesi

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mica si può essere fortunati come lui che i soldi se li è trovati nella culla va nelle case e quando rientriamo dice che era tutto rozzo e critica come si veste la gente ma che razza di cappello c’aveva ma che vestito dozzinale c’ho paura di andare con lui nei posti fa quel sorrisino sollevando i baffi fa complimenti falsi e io divento rossa» io pensavo che c’aveva ragione lei perché anche io c’avevo paura delle brutte figure

più zia Assunta si arrabbiava e più mamma si divertiva «però un tempo andavate d’accordo eravate spensierati eravate ro-mantici sei diventata una bisbetica non ti va bene niente» non me la immaginavo giovane zia Assunta grassa grassa arrossiva dalla rabbia «quando ero giovane ero stupida come lui però io sono cresciuta e lui invece è rimasto sempre uguale spendac-cione che non si sa amministrare pensa che ha venduto la casa di Ierzu capirai lui e le figlie si sono spesi già tutto in vestiti e viaggi vedrai la finiamo a chiedere l’elemosina» mamma ride-va «sei diventata taccagna le sostanze di tuo marito vi bastano anche per un’altra vita non ti dispiaceva quando ti faceva certi regali che operti gli stendeva il tappeto rosso a volte te l’ho anche invidiato un marito così voi facevate la bella vita invece Ninni è un pantofolaio»

quando siamo rimaste sole quella sera mamma mi ha rac-contato tutto di zio Mario che da giovane lo volevano tutte le ragazze di Cagliari anche se bello non è stato mai con quella faccia lunga la pelle scura e le labbra grosse come un negro se non parlava magari una pensava che era abissino era un estroso lo criticavano ma lo invidiavano tutti come si vesti-va lui nessuno si poteva mettere anche i cappotti vecchi del padre la moda non la seguiva ma era sempre il più elegante e poi era galante e le padrone di casa facevano a gara per acca-parrarselo

era ai mariti che stava antipatico ma le ragazze impazzivano per lui solo qualche problemino l’ha avuto perché era sociali-sta e non si accontentava di leggere l’Avanti in casa andava ai comizi meno male che non si è mai fatto la tessera perché in un certo periodo essere socialisti era pericoloso ma il babbo ha convinto tutti che erano ragazzate però la tessera del fascio non c’è riuscito a fargliela prendere e neppure a farlo andare

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alle adunate allora ha messo in giro la voce che era un po’ toccato questa cosa era facile da credere così l’hanno lasciato in pace per come era fatto si poteva anche offendere che i fascisti non lo perseguitavano

nel frattempo c’aveva un altro interesse perché si è innamo-rato di zia Assunta lei bella vicino a lui era anche troppo la corteggiava in un modo tutto strambo le mandava mazzolini di fiori e in mezzo ci metteva un cardo una volta le ha manda-to un’immaginetta del Sacro Cuore e sopra c’ha scritto «ecco come mi hai ridotto» zia Assunta faceva finta di offendersi però si divertiva c’aveva paura che i genitori non lo volevano le piaceva l’idea dell’amore contrastato mamma glielo spiega-va che in casa sua c’era rimasto solo il nome che sostanze non ce n’erano più di stare tranquilla che un partito così non lo rifiutavano neppure se si presentava vestito come Stalin

il giorno che si sono fidanzati lui si è messo in ginocchio a mani giunte e lei non ha risposto subito allora lui ha detto «chi tace acconsente» e le è saltato addosso zia ha dovuto sudare sette camicie per non farsi mettere le mani sotto il vestito due giorni dopo doveva parlare col babbo dalla mattina presto ar-rivavano mazzi di rose rosse uno ogni ora zia Assunta è rima-sta ad ascoltare vicino alla porta dove stavano parlando con nonno gliel’aveva raccomandato di non dire stupidaggini e di non parlare di politica è andato tutto bene zio Mario a nonno l’ha fatto ridere mamma e zia Assunta erano sbalordite perché era famoso il suo caratteraccio e lo temevano tutti

si sono sposati in fretta qualcuno ha detto un matrimonio riparatore ma si sono rimangiati tutto perché Maria Cristina è nata dopo due anni erano molto innamorati questa cosa a vederli come bisticciavano quando li ho conosciuti io sembra-va impossibile mamma mi ha raccontato che zio Mario era molto impetuoso e se aspettavano ancora un po’ c’era da dare soddisfazione ai pettegoli in luna di miele sono andati a Parigi ed è stato per quello che anche io volevo andare a Parigi in viaggio di nozze

quando sono tornati zia Assunta era la sposina più felice del mondo erano molto affiatati lei si comprava un sacco di vestiti andavano a cena fuori e a teatro si coricavano a notte

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fonda e si alzavano per pranzo ricevevano un sacco di gente zio Mario la viziava era pazzo di lei diceva «non mi n’di pozzu prandi de sa sposa mia» magari se non facevano figli potevano vivere contenti come due piccioncini invece come zia è rima-sta incinta sono arrivati i guai

lei non ce la faceva più a seguirlo nelle scorribande e dopo che è nata Maria Cristina sembrava impazzita non la lasciava con nessuno e niente più inviti a cena niente più teatro niente più viaggi poi dopo neanche un anno è arrivata Maria Iosé zio Mario si lamentava che la moglie dormiva con le figlie «hanno preso il mio posto nel letto e anche nel cuore di As-sunta» all’inizio ci ha provato a fare il babbino però a stare a casa di sera non si poteva abituare quindi ha ripreso la sua vita alla chetichella usciva una sera alla settimana poi due poi tre e quando le bambine hanno imparato a camminare il padre lo vedevano solo dopo pranzo in giacca da camera che si era appena alzato

lo adoravano perché le accontentava in tutto invece zia Assunta per loro era una strega e così l’hanno finita a pun-zecchiarsi quei due e pensare che innamorati come loro due mamma non ne aveva mai conosciuto apposta me l’aveva rac-contata questa storia per farmi capire che non bisogna fidarsi degli innamoramenti da ragazzine che bisogna scegliere con la testa che alla fine lei e babbo erano molto più felici però la volevo vivere pure io una storia d’amore come quella di zia Assunta

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X

giuseppe e Le intermittenze deLLa speranza

La prima lettera Elena me l’ha mandata dopo una settimana, quando l’ho letta mi sentivo come uno condannato che gli hanno detto vai che non ti ammazziamo più. Dopo che mi sono sposato le ho buttate quelle lettere, però quella me la ricordo a memoria. C’era scritto:

“Sono emozionata e mi trema la mano” però da come scri-veva non si capiva che le tremava la mano. C’ha una bella scrittura Elena, con le lettere alte e strette che la mia al con-fronto sembra di un bambino. Me ne ha scritto di scimprori in quelle lettere.

“Penso sempre a te, ti amerò per tutta la vita, l’amore vero non conosce ostacoli”.

Io ci credevo, a tutto. Alla fine mi sembrava anche una fortuna che l’avevano mandata a Cagliari, perché maga-ri non ce l’aveva il coraggio di dirmelo a voce. Anche se ero innamorato cotto io non lo trovavo mai il coraggio di dire cose così. Era una fortuna che non potevo risponde-re, almeno non facevo brutta figura. Già mi trovavo male a parlare, figuriamoci a scrivere. Quando ero giovane mi sembrava che le cose scritte erano sempre vere, come i libri di scuola, come la Bibbia. Come scriveva che stava sempre piangendo mi veniva la tenerezza, però un po’ mi faceva anche piacere. Se piangeva era perché mi voleva. Le lettere c’avevano l’odore del profumo di lei e mi veniva vo-glia di abbracciarla. Dopo la prima sono rimasto contento un paio di giorni, se mi veniva la tristezza mi ricordavo di quello che c’era scritto, e mi passava. Ne è arrivata subito un’altra di tre fogli. Era meglio della prima, me ne diceva di cose! Se ci ripenso com’ero stupido, della vita non ne sape-vo niente. Stavo diventando come le femmine anch’io, mi sentivo tutto dolcezza a leggere quelle parole. La terza ha tardato ad arrivare. Era lunga anche quella, e io ci mettevo un sacco di tempo a leggerle. Come ho iniziato mi stava

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già venendo il malumore: era tutta contenta, andava in un sacco di posti, si divertiva. Però bastava che alla fine c’era:

“Non me ne importa niente dei divertimenti, penso sempre a te”.

Tanto io ero scemo e ci credevo. Qualche volta ora glielo chiedo se erano tutte vere le cose che mi scriveva. Lei rispon-de sempre allo stesso modo: «Sì che era vero. Ho fatto un errore non è giusto pagarlo tutta la vita».

A me mi sembra che errori così una persona non ne deve fare. Si ha scelto il marito come si sceglieva le borsette. Già è vero che era una ragazzina, c’aveva sedici anni. Anche mam-ma però si è sposata a sedici anni. A quei tempi non era come ora, una di sedici anni era abbastanza grande per fare figli e per decidere. Leggendo quella lettera mi era venuta la gelosia, però da come diceva dopo sembrava che usciva di casa a forza, sembrava che doveva fare compagnia alla sorella. Questa cosa mi veniva facile da credere, io a Cagliari ci vado solo se devo fare commissioni importanti. Non lo capisco che certa gente vuole abitare in un posto così puz-zolente e disordinato. C’è sempre chiasso a Cagliari, e io il chiasso non l’ho sopportato mai. È per quello che mi è passata la gelosia, pensavo che era sfortunata Elena a stare in quel posto.

Adesso la capisco di più, anche quando dice: «Non è che mi divertivo tanto».

Glielo vedo negli occhi il desiderio di quei divertimenti. Sol-tanto che adesso lei non ce la fa a rimanere lontana da me, ora è innamorata davvero. Non è che non ci vuole andare a Ca-gliari, e non è che non le piace più. ogni tanto glielo dico: «Vai un paio di giorni da tuo figlio, vai al teatro con tua cugina».

Tanto lo so che non ce la fa, se non mi vede un giorno chis-sà che cosa le sembra.

Quando leggevo le lettere ero come uno che ha vinto alla lotteria; però dopo la terza le altre sono arrivate sempre di meno, ed erano sempre più corte. Frasi speciali come nelle prime non me ne scriveva più, soltanto saluti. L’ultima era strana, me la sono tenuta in tasca un paio di giorni. Alla fine baci non me ne mandava.

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“Saluti affettuosi” così c’era scritto. Come una che scrive a un parente. Mica l’ho capito subito, non lo volevo capire. Non ci riuscivo a ragionare, la speranza mi faceva diventare scemo. Con la ragione lo capivo che c’era qualche cosa di strano ma la speranza mi diceva “mi vuole come prima”. La ragione mi diceva “forse non mi vuole più”, la speranza diceva “qualche cosa sarà successa di grave”. Magari la zia leggeva le lettere e non glielo permetteva di scrivere certe cose. Però se la zia lo sapeva neanche me le faceva manda-re le lettere. Dopo un paio di giorni mi ero fatto l’idea che era prigioniera, che la zia la controllava. Allora speravo che dopo quel bigliettino di Pasqua che c’era scritto solo auguri affettuosi non ricevevo più nulla, e davvero il postino non mi ha portato più nulla. Di tutto mi è venuto in testa in quel periodo, mi stavo anche organizzando di andare a Caglia-ri a rapirla. Mi sembrava una cosa che si poteva fare, anzi una cosa che si doveva fare. Alla fine era la sua famiglia che l’aveva rapita. E poi, dopo che ce ne scappavamo, magari rimanevamo tutta la notte da soli, allora erano costretti a darmela. Mi figuravo nel bosco con lei, da solo. Sicuro che mi venivano certe cose in testa, però non le facevo nulla. Dopo arrivavamo a una chiesetta che conosco io in campa-gna, lì c’era un prete che ci sposava e i desideri diventavano una cosa giusta e allora zio Sanna non poteva dire più nulla e neanche la moglie. Alla fine a vederci così innamorati erano contenti pure loro. Stavo proprio pensando cose così quel giorno che ho incontrato a Margherita. Ero vicino a casa sua, e ogni volta che passavo lì davanti mi veniva la tristezza. Come mi sono girato non mi sono accorto che stavo sbat-tendo addosso a uno, era Margherita. Si è fatta tutta rossa, e sicuramente anche io. Se ne stava andando subito ma io l’ho presa al braccio.

«Tornate siete?».Si capiva dalla faccia che non voleva parlare, che si vergo-

gnava come se era colpa sua.«Sono tornata io, Elena è ancora a Cagliari». C’aveva gli occhi grandi grandi, era triste. Io le facevo un

sacco di domande.

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«Perché non la fanno tornare, come sta, le ha ricevute le mie lettere, perché non la lasciano scrivere?».

Ha fatto una faccia strana.«Sta benissimo, le lettere le ha ricevute. Non lo so perché

non ti risponde». Si vedeva che c’aveva fretta di andarsene, ho pensato che

c’era qualche cosa che non mi voleva dire. Non è che volevo sentire che Elena stava male, però che stava benissimo ne-anche mi piaceva, minimo volevo che era triste. Magari an-che Margherita era d’accordo coi genitori, magari se Elena mi pensava lei non me lo diceva.

Mi sono arrabbiato molto quel giorno. Stava arrivando il tempo bello, si capiva da quel vento caldo che tirava. Ma io non lo sopportavo, se non ero con Elena manco il tempo bello volevo. Se non potevamo passeggiare insieme volevo solo freddo e grandine. E anche se arrivavano le gelate che bruciavano le piantine giovani e facevano ammalare gli agnelli e i capretti non me ne importava nulla, senza di Elena poteva ghiacciarsi tutto il mondo. Almeno non mi veniva il dispiacere a sentire quel vento dolce e a vedere le giornate che si allun-gavano senza di lei.

Come sono tornato a casa mamma era in cortile. Non mi ha visto, me ne sono accorto quel giorno che stava invecchian-do. Quando uno è innamorato non capisce più niente, non capisce neppure che la mamma è vecchia e può morire. Non capisce che dopo non la vede più, non capisce come è brutto che non c’è più. Mica c’ho pensato che mamma poteva morire e rimanevo da solo veramente. Sono andato da lei, mi sono seduto in terra e ho appoggiato la testa nelle sue gambe, come quando ero piccolo. Era tutta contenta, anche se era malata. Era così mia mamma, quando ero con lei si sentiva meglio.

«Figlio mio, triste sei?».Io ero zitto, ma lei capiva tutto senza dirle niente. Gliel’ho

detto di Margherita, non ci credeva che non la facevano tor-nare. Mi faceva rabbia che non ci credeva, neanche bene le volevo in quel momento.

«È sicuro che è così, se no perché non torna?». Lei sapeva sempre tutto.

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«Magari a Cagliari ci sta bene e si sta divertendo». In quel momento la odiavo. Se ci penso che ho odiato mia

mamma soltanto perché diceva la verità che io non volevo sentire. Ero uno stupido, più parlava e più mi faceva nervoso.

«Non ti ha scritto più, se voleva ti poteva scrivere come ha fatto all’inizio».

Io mi stavo sfogando con una piantina di limone, e una voce dentro di me diceva che mamma aveva ragione, l’altra che non era possibile. Non ci pensavo che lei lo diceva per me.

«Mettiti l’anima in pace, ce ne saranno altre ragazze più amorose di lei e anche più belle».

Come ho parlato mi è uscita una voce, sembrava che c’avevo mal di gola, ma era perché mi stavo per mettere a piangere.

«L’hai letto quello che mi ha scritto, che mi vorrà sempre». Mamma non era ingenua come me.«Due mesi fa te l’ha scritto, ne cambiano di cose in due

mesi. L’avrà creduto pure quando l’ha detto, ma ora le cose forse sono cambiate. Non dico che ti voleva dire bugie, ma-gari lo pensava davvero. Si sarà vista a Cagliari in mezzo alla gente elegante, gente come la sua famiglia».

Io non ci volevo credere che una diceva per sempre e dopo due mesi non era più vero niente. Per sempre è per sempre. Lo capisco adesso perché non ci crede quando le dico “ti vor-rò sempre”. Perché lei ha detto bugie e pensa che ne posso dire anche io.

Non mi potevo rassegnare.«Parlo di nuovo con zio Sanna».Mamma era triste.«Fai magari così, almeno ti metti l’anima in pace. Ninni San-

na bugie non te ne dice, ché dopo non mi può guardare più in faccia».

Non lo so come faceva a essere così sicura, però anche se mi faceva arrabbiare alla fine c’aveva ragione lei.

Dopo due giorni ho incontrato zio Sanna in piazza, faceva finta che c’aveva fretta ma io l’ho obbligato a parlare, me lo doveva. Per come lo conoscevo me l’immagino che dispiace-re avrà avuto a dirmi quello che mi ha detto, anche se c’era freddo si ha passato il fazzoletto in faccia due volte. Però era

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troppo onesto, mi ha detto che Elena si era fatta sposa con uno di Cagliari.

Non ci potevo credere, all’inizio ho pensato che era bugia. Ho pensato che me lo diceva per farmi rassegnare, così si ras-segnava anche la figlia. Che era tutto vero l’ho capito da come era dispiaciuto, poi l’ho capito dall’indomani, in paese oramai la gente sapeva tutto. Come passavo io parlavano a voce bas-sa, e si stavano zitti quando mi avvicinavo.

Anche adesso fanno così. È sempre per Elena. Mi sembra di sentirli “quella bagassa si corica col marito della sorella”. Quella volta dicevano “quella bagassa si ha preso a un altro”. C’ha ragione che in paese non la stima nessuno. La colpa però non è la mia. Se lei non faceva quell’errore vent’anni fa a quest’ora eravamo sposati, e non diceva niente nessuno. Come ho capito che lo sapevano tutti allora ci ho creduto.

Mamma non mi diceva niente, soltanto mi guardava e so-spirava. Non parlavo con nessuno, andavo alle bestie, andavo a caccia, andavo al bar, e sempre ero triste come l’annata cat-tiva. E per fortuna che nessuno mi voleva male, così non mi dicevano niente. Agnesedda soltanto, lei non mi lasciava in pace. Me lo immaginavo quello che pensava: “Ti ho lavato e ti ho curato da quando sei nato, e così ti posso dire tutto quello che voglio”.

Mi tormentava.«Brava la signorina che si ha preso a uno di città. Chissà che

cos’è che ti manca a te che non ti ha voluto. Povero non sei, storpio neppure».

Babbo era uno che parlava poco, e neanche lui c’aveva vo-glia di sentirla.

«Statti zitta, ché non c’ha voglia nessuno di sentire le tue scempiaggini».

Ma quella non la zittiva manco il demonio.«Io lo pensavo sempre che era troppo bella. La donna

quand’è bella è marcia, meglio che non ti ha voluto sennò ti faceva cornuto».

Io non ci riuscivo a mancarle di rispetto, perché mi aveva allevato lei, e me ne andavo al bar. Qualche volta mi ubriacavo anche, e quando tornavo mamma mi guardava di nascosto.

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Era triste, ma non diceva niente. Un giorno l’ho sentita che parlava con Agnesedda: «Prima o poi gli passa».

Non la volevo sentire questa cosa, però c’aveva di nuovo ragione lei.

Una mattina di settembre dovevo andare a pernici, mi sono svegliato che era ancora buio. Ho controllato il fucile, ho contato le cartucce. Come stavo uscendo mi è sembrato strano che stavo fischiando una canzone. Negli ultimi mesi ero abituato che ero sempre triste, quello era il primo giorno che me ne dimenticavo. Mi sono ricordato di Elena e c’avevo paura che mi ritornava la tristezza. Alla fine quasi quasi mi dispiaceva che ero contento di andare a caccia. Come se ne andava la tristezza mi sembrava che se ne andava un amico, e non ci riuscivo a tenerlo.

Da quel giorno era tutto diverso, mi sentivo come uno che è scampato a una brutta malattia, ogni cosa mi sembrava più bella. Quando non ero ancora innamorato le cose belle non me le godevo, mi sembravano normali. Invece come mi è pas-sata quella tristezza mi sentivo più vivo, sapevo che cosa vuole dire a soffrire. Capivo che nella vita ci sono dolori grandi an-che più del mio, dolori che prima nemmeno me li immagina-vo, ho capito che le cose belle bisogna apprezzarle. ogni tan-to mi ricordavo della tristezza: era come quelle ferite vecchie che fanno male quando c’è l’umidità. Capivo di più anche i dispiaceri dell’altra gente.

A Margherita ogni volta che la incontravo glielo leggevo nella faccia che non era in pace, si capiva che non ne aveva avuto mai di contentezza. È rimasta così anche adesso, lei è fatta così, non c’è niente da fare. Ma questa cosa io allora non la sapevo. Come la vedevo mi vergognavo per quel giorno che avevo pensato male di lei, davanti a casa sua. Era perché mi aveva guardato come se era colpa sua, anche per quello mi ero arrabbiato. Dopo mi vergognavo, mi sembrava che erano colpa mia tutte le cose belle che le erano mancate nella vita.

All’inizio non le vedevo nessuna rassomiglianza con Elena, una era magra e l’altra era grassa. Però i piedi e le mani erano fini uguali. Come ci siamo salutati una domenica in piazza l’ho capito dov’è che si rassomigliano. È come inchinano tutt’e due

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la testa da una parte. E poi anche come si stringevano il fazzo-letto attorno al collo. Dai colori sono tutte diverse. Elena c’ha i capelli neri, e anche gli occhi che non si distingue la pupilla, Margherita invece è biondina. Gli occhi ce li ha grigi, a momen-ti sembrano violetti. Come mi ha fatto un sorriso mi sembrava che il mio cuore si fermava, perché ridono uguali. Margherita il rossetto non se lo mette però la bocca è uguale. Come se n’è andata ha fatto un saluto con la mano: era uguale a come mi aveva salutato Elena quel giorno del matrimonio di Rosa Pisu. Mi è piaciuto come mi ha fatto così con la mano, però mi è venuto anche il nervoso, mi sono ricordato delle speranze che c’avevo quando con Elena ci siamo stretti la mano. Quel gior-no non capivo che cosa volevo. Ero triste ed ero contento, ero come quando uno respira troppo in fretta in montagna.

C’avevo molto lavoro in quel periodo, ma non me ne impor-tava, non l’ho temuta mai la fatica. Il mio cuore cantava, mi sembrava che ogni cosa doveva andare bene. Quell’anno l’in-verno tardava ad arrivare, il caminetto lo accendevo solo per mamma, lei c’aveva sempre freddo. Un giorno stavo uscendo e mamma era già in piedi.

«Non tardare stasera ché faccio i ravioli». Come sono tornato stava impastando, col fazzoletto sol-

levato sulla testa e le maniche rimboccate. Ero contento a vederla così con le guance rosse. Vicino al fuoco c’era mia sorella con Margherita, era vestita da casa coi capelli raccolti e le mani nere. Sembrava che c’era cresciuta nella cucina di casa nostra, per salutarmi si è messa la mano davanti alla bocca perché stava mangiando castagne. Mamma era allegra.

«Andata bene è la caccia? Margherita rimane qui a cenare, il babbo e la mamma sono andati a Cagliari, ritornano domani».

Era passato da poco il tempo che come sentivo nominare Ca-gliari mi veniva il malumore. Invece quella sera ero contento, mamma si sentiva bene e cenavamo in compagnia. Avevo preso una lepre, e pernici niente, mamma ci teneva a fare bella figura.

«Diglielo ad Agnesedda di pulirla, sei stato bravo a portare la lepre per l’ospite».

«Non lo sapevo che c’avevamo ospiti, però sono contento di mangiarla con te».

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Come ho detto così Margherita ha abbassato gli occhi. C’aveva le guance rosse, non l’ho capito se era per quello che avevo detto, magari era il fuoco. Era la prima volta che la ve-devo bella, non è stata mai una di quelle ragazze che uno dice che è bella. Ma a guardarla mi sentivo in confidenza, c’aveva la bellezza della giovinezza. Non sapeva niente della vita, non ne sa niente neanche adesso. Però ora i dispiaceri e le malattie l’hanno fatta brutta, anche nell’anima. Sono andato a cambi-armi ed ero contento, dopo sono tornato in cucina e mi sono seduto vicino a lei nel caminetto. Mi sono versato un bicchie-re di vino. Mamma non voleva a bere a stomaco vuoto.

«Prima di cenare bevi? Mì che ti ubriachi». Io ho riempito il bicchiere anche a Margherita e a Maria Gio-

vanna. Digiuni non eravamo, stavamo mangiando le castagne. Mamma non ha detto più nulla, stava rifinendo i ravioli e ci guardava contenta. Quella sera a cena eravamo allegri, e non è perché c’era un ospite. Noi ad avere gente a cena c’eravamo abituati. Anche babbo parlava di più del solito, le ha fatto un sacco di complimenti a Margherita. L’indomani ha detto: «Quando c’è la gioventù senza pensieri è il lusso più grande».

Babbo e mamma come faceva buio si coricavano, ma quel giorno che c’era Margherita sono rimasti alzati fino a che lei si è messa il cappotto. Mamma voleva che l’accompagnavamo io e Maria Giovanna, ma mia sorella era furba.

«Va Giuseppe che tanto deve uscire». Io lo capivo che mamma non era contenta, non andava bene

a far uscire una ragazza da sola con un uomo. Nella strada non ci siamo detti nemmeno una parola. Era strano come l’ho salutata davanti a quella porta, e lei mi ha guardato.

«Perché stai ridendo?».«Boh, perché sono contento, perché mia mamma oggi si

sentiva bene. Perché ho preso una lepre».Che ero contento perché c’era lei a cena non gliel’ho detto.

Mi vergognavo. Lei era tranquilla.«Anche io sono contenta perché ho cenato con voi. Buo-

nanotte». Come stava chiudendo la porta gliel’ho detto: «Anche io sono

contento che hai cenato con noi, tornaci a venire a casa».

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XI

pomeriggi d’amore e sCampagnate: iL fidanzamento di margherita

mica me lo ricordo il giorno preciso di quando è venuto Giuseppe a parlare con babbo era nel ‘55 c’era un freddo quel giorno

pure vicino al fuoco c’avevo i brividi e mi sudavano le mani ero contenta che mi fidanzavo almeno potevo parlare anch’io del mio fidanzato come le altre ragazze a pranzo mamma era soddisfatta quando babbo ha detto «stasera viene a parlarci Giuseppe Pinna» mi stava per andare il boccone di traverso era da un mese che con Giuseppe ci incontravamo di nasco-sto c’avevo paura che mi scoprivano però mi piaceva anche avere un segreto tutto mio che mamma non ne sapeva niente è iniziato tutto una domenica

uscendo dalla messa eravamo rimasti da soli e lui si è avvi-cinato «vieni domani a casa mia ci vediamo nella lolla dopo pranzo» io quella notte non riuscivo a dormire però ero sicu-rissima che c’andavo

avevo paura chissà che cosa succede quando siamo da soli nella lolla chissà se mamma mi scopre di sicuro ci ba-ciavamo io non avevo mai baciato nessuno però con quella faccia che ha fatto non ci riuscivo a non andarci anche se Elena magari si poteva anche ingelosire nelle altre cose ero sempre così così che non sapevo cosa dovevo fare e invece quella cosa di andare a baciarci nella lolla ero sicurissima che la facevo

l’indomani mi sentivo coraggiosa ho aspettato che mamma andava a riposarsi ho pensato a tutto per esempio che mi do-vevo mettere le scarpe anche se passavo dai cortili perché sta-va piovendo e semmai se rientravo con le pantofole sporche di fango mamma capiva che ero uscita e però mica mi dovevo cambiare magari se si svegliava potevo inventare una scusa

ero tutta silenziosa come un gatto non ho manco chiuso la porta come sono arrivata nella lolla di Giuseppe ero tutta

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inzuppata lui stava accarezzando un cagnolino come mi ha sorriso mi sono sentita bene

mi ha asciugato i capelli e la faccia poi ci siamo abbracciati in piedi con quel cagnolino che saltava intorno alle gambe mi-schinetto di sicuro gli seccava che non lo stavamo calcolando come ho fatto a rimanere in piedi non lo so con le gambe che mi tremavano sentivo il cuore di Giuseppe calmo calmo il mio invece me lo sentivo in gola come ho sollevato la testa e ci siamo guardati negli occhi era serio e mi ha baciato

era una cosa morbida anche se come ho sentito la lingua mi stavo spaventando se non mi teneva stretta cadevo ma una contentezza così non la conoscevo ancora come mi accarez-zava la schiena chissà la faccia che c’avevo semmai sembravo sant’Agata nell’immaginetta

mi sembrava che stavo volando nel cielo in mezzo alle nu-vole manco un minuto era passato ed ero già innamorata dell’amore non ne sapevo niente e non è che ne so adesso però come mi sentivo era sicuramente amore poi dopo certe volte l’ho pensato che quelle cose le ho fatte soltanto con lui e magari se mi capitava un altro ero innamorata uguale però se me lo diceva uno brutto «vieni nella lolla che siamo da soli» sicuro che non c’andavo anche se magari era meglio con uno brutto semmai quello lì non mi lasciava mai da sola e ma-gari facevo un figlio maschio che sicuramente mi voleva più bene di Caterina lo sanno tutti che i maschi sono attaccati alla mamma per esempio Giuseppe con la mamma

magari se andava tutto diversamente non diventavo brutta come ora e potevo diventare una di quelle che sono sempre di buonumore invece di essere triste però semmai potevo anche rimanere zitella se non mi voleva nessuno forse c’ha ragione mamma che io non sono mai contenta per esempio se rimane-vo zitella mi toccava restare sempre in casa con lei così alla fine è meglio che me lo sono preso a Giuseppe però delle volte lo vorrei sapere cosa vuole dire essere sempre di buonumore

all’inizio che ci siamo fidanzati ero un po’ contenta come ci baciavamo mi sembrava la cosa più bella del mondo se potevo non smettevo mai l’amore mi sembrava come le cose buone da mangiare che dopo che le assaggi ne vuoi sempre comunque

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il primo giorno me ne sono andata presto semmai mamma si svegliava e a cena mi hanno guardato strano perché non ho mangiato quasi nulla me ne sono andata subito in camera con le braccia mi abbracciavo da sola per sapere com’era per Giu-seppe però non funzionava infatti abbracciarsi è una cosa bella perché si fa in due

ci sono ritornata un sacco di volte nella lolla parlavamo poco e subito ci baciavamo eravamo sempre seri sembravamo due che sono scampati a una disgrazia magari sarà che la vita ci aveva trattato male e ci consolavamo insieme magari non era vero amore ma noi non lo capivamo magari ero contenta solo perché prima di lui non mi aveva voluto nessuno

lui semmai era per consolarsi che Elena si era presa un altro mica gliel’ho detto io di parlare con babbo se era per me c’anda-vo un anno a baciarci nella lolla però lui era bravo e quella sera aspettavo che bussava alla porta mi sembrava che il tempo non passava mai stavo accarezzando un gattino nel caminetto da come ero nervosa ho mangiato un sacco di amaretti a un certo punto mi sono tutta agitata perché ho sentito la porta

che vergogna c’avevo la bocca piena e il vestito tutto spor-co di briciole ero strana con la faccia di fuoco e le mani ghiacciate Giuseppe era in piedi con le mani che non sapeva dove metterle dal sorriso che mi ha fatto sembrava che mi voleva dire «vedrai che finisce tutto in fretta» Emanuela ha portato il mirto e i dolcetti mamma era nella poltrona con la faccia annoiata che faceva sempre alle visite Giuseppe era timido «come stai» me l’ha chiesto a voce bassa quasi quasi non lo sentivo io ero peggio di lui «bene grazie e tu» meno male che è entrato babbo semmai mamma era capace di ri-manere tutta la sera a guardarci in silenzio a babbo gli ab-biamo fatto tenerezza me l’ha detto dopo che Giuseppe se n’è andato

si sono messi a parlare di pascoli e dell’annata e di caccia mamma arrotolava la collana nelle dita ci guardava come se eravamo due bestioline strane siccome non potevo dire nul-la ho preso un dolcetto e ho fatto bene perché il cuore ce l’avevo come quello degli uccellini quando li tieni nella mano invece mi sono calmata un pochettino

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sembrava che c’eravamo da un anno babbo e Giuseppe parlavano mamma arrotolava la collana io mangiavo e non pensavo più a nulla come l’ho visto in piedi a Giuseppe l’ho capito che se ne stava andando se non glielo diceva mamma mica ce l’aveva il coraggio di darmi un bacio sulla guancia io ero soddisfatta lei non lo sapeva che c’eravamo baciati in boc-ca un sacco di volte e che facevamo anche altre cose

in quel momento non potevo parlare perché c’avevo la boc-ca piena e sicuramente Giuseppe ha sentito la guancia gonfia ché stavo masticando e da quel giorno ero fidanzata

l’invito dei genitori di Giuseppe era il giorno dell’Immacola-ta avevano organizzato in campagna nella casa grande vicino all’ovile io c’ero andata già veniva il buonumore a mangiare sotto gli alberi quando la giornata era bella mamma però non era mica contenta a lei la campagna non le piaceva c’è venuta solo perché ci teneva al mio fidanzamento se no non la poteva convincere nessuno c’aveva il terrore di andare al gabinetto che era in un recinto nel cortile dentro c’erano sempre mo-sche

quella mattina come babbo riscaldava il motore dell’Aprilia ha fatto la pipì tre volte babbo rideva «anche noi in campagna avevamo un gabinetto così e non siamo morti» a mamma le seccava di essere presa in giro «non morirò neanche io stai tranquillo e non vi farò fare brutta figura ad ogni modo Mar-ghe è meglio non bere niente per non entrarci in quel posto» babbo ha alzato gli occhi «tanto Marghe si dovrà abituare quel-la un giorno sarà anche casa sua» mi ha fatto un effetto come ha detto così mica c’avevo pensato che dovevo andarmene da casa e che casa mia dopo diventava la casa di Giuseppe

mamma continuava a brontolare «che razza di modo di vi-vere ci potrà arrivare la civiltà anche lì» comunque abbiamo rifatto la pipì e siamo partiti se potevo me ne rimanevo da sola a pensare a quella cosa della casa e tante altre cose che non avevo considerato però c’era un’aria bella in campagna a mamma non le andava bene nemmeno che c’avevo il finestri-no aperto «chiudilo che ti disfi la messa in piega» comunque ero contenta magari essere così adesso

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la cosa migliore è che era organizzato tutto per me invece ora non me ne dà nessuno di importanza come siamo entrati nel cortile le oche sono scappate correndo con le ali aperte Giuseppe è venuto a salutarci non ha fatto in tempo manco a darmi un bacio perché zia Antonietta mi ha preso a braccetto «bambina come sono contenta che sei qui» lei mi chiamava sempre bambina mi piaceva mia suocera mi faceva un sacco di coccole che mamma non me ne ha fatto mai non stava zitta niente zia Antonietta «io soltanto qui mi sento a casa mia qui c’è aria e c’è spazio sposa mia anche a Giuseppe gli piace lui c’è nato in questa casa»

delle volte ora mi prende la nostalgia e ci voglio andare in quella casa ma prima di salire in macchina cambio sempre idea e non ci voglio andare più se ero giovane e contenta come al-lora ci andavo di sicuro

quel giorno Giuseppe mi ha portato a vedere i maialini ap-pena nati l’hanno detto anche a mamma se li voleva vedere ma lei ha fatto una faccia schifata «non mi sento tanto bene» però quando era arrostito il maialino schifo schifo non le fa-ceva come siamo rimasti da soli Giuseppe mi ha guardato dagli occhi sembra bravo bravo con quella faccia che a una le dispiace anche dirgli le cose però non è vero che è così tanto buono

adesso lo so però quel giorno non lo sapevo che cosa do-veva succedere dopo meno male se no mica me la godevo quella giornata vicino alla porcilaia ci siamo baciati anche se c’era puzza di maiale lui sorrideva «contenta sei» e io «sì» co-munque siamo tornati subito perché ci stavano chiamando mamma ce l’ha fatta a non andare in gabinetto neanche una volta però vino ne ha bevuto molto

era contentissima di sera a casa me l’ha detto che avevo fatto un buon fidanzamento e si è girata da babbo «abbiamo fatto il nostro dovere e le figlie le abbiamo sistemate» certo adesso una cosa così non si sognerà di pensarla disgraziate come sia-mo io e Elena comunque quel giorno non lo sapevamo anco-ra che cosa succedeva dopo ed eravamo tutti contenti babbo soprattutto che lui ci stava bene con la gente di campagna a parlare in sardo e a mangiare con le mani

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faceva tenerezza rideva di ogni cosa che dicevano come un bambino a un certo punto però siamo andati via perché dalla faccia di mamma si capiva che non ce la faceva più a sentire di nuovo i racconti di caccia io e babbo non abbiamo prote-stato perché quando era così meglio accontentarla era tutta rossa in faccia e le stava venendo il nervoso semmai poteva diventare sgarbata anche se lei diceva «una vera signora è una signora sempre e dovunque» certe volte io pensavo che non si comportava mica bene per esempio con quel fatto che beveva sempre un sacco di mirto e poi io non volevo a essere sgarba-ta con la famiglia di Giuseppe ché loro erano sempre bravi e mi trattavano benissimo

ce ne siamo andati anche se la mamma di Giuseppe non era contenta «a cenare non rimanete?» figurati mamma quelli erano capaci di sedersi nella stessa tavola senza sparecchiare con le briciole del pranzo meno male che c’hanno creduto che si sentiva male mi è sembrato un miracolo quello che ha detto dopo in macchina «è un po’ rozza tua suocera però cucina bene» ma tanto a lei non gliene fregava niente della cucina era assillata di sapere che cosa facevamo con Giuseppe quando eravamo da soli «l’ho visto come ti guarda però non è ansioso di sposarsi mi sembra strano»

si è girata da babbo «non è che se l’è già preso quello lì il bottino che spetta ai mariti» mi guardava come se ero una marziana poi ha fatto gli occhi fini «sei diversa non sei golosa come prima e poi sei più allegra già lo vorrei sentire cosa vi dite quando siete soli non mi racconti mai nulla»

mi veniva da ridere a sentirla così non ci aveva mica abituato a raccontarle le cose semmai a babbo lo dicevamo quando avevamo un problema anche le cose di Elena le sapeva da zia Assunta tutti quei racconti che la facevano ridere di Giom-maria che non vedeva l’ora di sposarsi perché Elena si faceva toccare solo la faccia e le mani con zio Mario che lo sfotteva «guarda che ce ne sono un sacco di ragazze gentili che se le fanno mettere le mani sotto la camicetta» e naturalmente per questa cosa qui con zia Assunta si bisticciavano e allora zio Mario diceva «vedi prima non si fanno toccare e dopo che te le sposi guarda come ti trattano» insomma sempre i soliti

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mica ero scema io lo sapevo che non glielo potevo dire a mamma che da Giuseppe mi facevo toccare dove voleva lui ne facevamo di cose dietro la lolla mica di quelle cose che si possono raccontare alle mamme figurati alla mia

non lo so se Caterina me le racconta le sue cose magari non ha fatto mai nulla credo che se fa qualche cosa non mi racconta niente di ragazzi non ne parla figuriamoci quella è tutta presa dal comunismo e dalla rivoluzione già le passa an-che questo scimprorio prima o poi quando incontra un bravo ragazzo speriamo solo che non si prende qualche disgrazia-to che la convince con tutte le stupidaggini che dicono ora dell’amore libero eccetera

io anche se mi facevo toccare da Giuseppe tutto quanto al completo l’ho fatto solo da sposata i maschi sono tutti uguali è logico che ci tentano sono le brave ragazze che devono dire sempre di no almeno per quella cosa che poi è quella che gli piace più di tutte se ne ammattiscono di quella cosa in certi momenti sembra che non capiscono più nulla non è che non mi piaceva anche a me però mi pia-ceva di più tutto quello che facevamo prima carezze e baci eccetera perché da sposati quando cominciavamo quella cosa lì finiva subito tutto e dopo non restava nulla tanto Giuseppe si addormentava

me lo ricordo come rimanevo a pensare un sacco di cose dell’amore certo era diverso da ora che non lo facciamo più comunque per mamma sicuramente era troppo anche che Giuseppe mi toccava e quindi mica faceva a dirglielo

quando ha saputo che il fidanzato di Elena impazziva per-ché lei non gli lasciava fare nulla Giuseppe ha fatto una faccia strana sembrava contento «mischino dev’essere come quando ti fanno odorare una cosa buona e non te ne danno» io mica l’avevo capito che a Elena non le costava niente perché del fidanzato non gliene fregava pensavo che era più brava di me ma io non c’avevo voglia di essere brava tanto ci dovevamo sposare con Giuseppe e poi ci sapeva fare

delle volte all’inizio io non volevo ma lui mi sapeva prende-re tutto moine mi convinceva sempre però la verità è che mi piaceva pure a me mica facevo un sacrificio certo è cambiato

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ora non me ne fa più di insistenze non mi calcola nemmeno lo so io perché brutto schifoso con la moglie malata non gliene frega niente che sono all’ospedale se me l’immagino che fa le stesse cose che faceva con me mi viene la rabbia da cavargli gli occhi

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XII

giuseppe e L’iLLusione deLLa serenità

Se ci penso com’era Margherita il giorno del fidanzamento non mi sembra manco la stessa persona. Era bella con gli oc-chi contenti, era innamorata. Coi capelli sciolti che brillavano sotto il sole, con le guance rosa che sembrava un neonato. A lei il sole l’arrossa subito. ora non c’è rischio, non esce mai, è sempre bianca.

Mi piaceva che mi guardava così, mi piaceva che mi voleva molto. Camminavamo a mano presa. Andava tutto bene, un uomo deve scegliersela così la sposa. Una che è contenta di essere vicino a te, una tranquilla. La penso così anche ora, mica mi piace tutto questo tormento che c’abbiamo con Ele-na, la vita è stata disgraziata con noi. Volevo essere così con lei, tranquillo camminando a mano presa. Mi sono sbagliato, non era Margherita la mia donna.

Però quel giorno come me la sentivo al fianco ho pensato che stavamo bene insieme. Lei si appoggiava a me per cam-minare ed era giusto così. Mi sentivo più uomo di quando ero sempre triste per Elena, che certe volte mi stavo anche per mettere a piangere, e non è una cosa da uomo. Anche ora non è una cosa da uomo andare da lei ogni giorno, di nascosto come un ladro. Come uno che fa una cosa da vergognarsi. Non è cosa da uomini, ma non ce la faccio a non andare.

Lei pensa che è solo per coricarmi con lei che ci vado, non lo capisce come mi sento. Se la lascio io con chi rimane, lei vive per me. Già la guardano male così, da sola non ce la fa. E poi, come mi abbraccia mi dimentico tutto, non ci penso più che c’ho una moglie, una figlia. Non penso più a nulla, solo a me e a lei.

Anche a Margherita me la sono presa per quello, per pro-teggerla. Lo sapevo che non era come mia madre, lo sapevo che ci dovevo pensare io a lei. Mia madre era una donna che teneva in piedi la casa da sola, quando si ammalava lei manco si mangiava in casa mia. Margherita da sola non sa fare nul-la. Io ero giovane e non lo capivo che in una casa tutto è in

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mano alla donna. Anche dopo che ci siamo sposati andavamo sempre a mangiare da mamma, a casa non c’era mai niente di cucinato. Quando restavamo a casa mangiavamo pane for-maggio e olive, e dolci, che quelli le piacciono molto e a casa non mancano mai. A guardare mio cugino che si era sposato da poco lo compativo, mi sembrava che la moglie lo coman-dava. Margherita invece faceva sempre quello che volevo io, soprattutto mi piaceva che quando non c’era la mamma per ogni cosa chiedeva a me. E così mi piaceva che dopo sposati ci pensavo io a ogni cosa.

Mica lo capivo che a tenere una casa ci riesce solo una don-na, che le serve se ne approfittano. Ci siamo baciati davanti alla porcilaia quel giorno, anche se c’era puzza. Lei mi lasciava fare di tutto, ma non era una ragazza di quelle, si fidava di me. Mi piaceva che quando ci baciavamo le faceva male il collo. Le ho sollevato la testa e l’ho guardata negli occhi, si capiva che era tutta mia, così me la sono stretta. Stavamo per baciarci di nuovo, mamma ci ha chiamato per mangiare.

«Fame hai?» le ho chiesto, e lei «No».Se ci penso mi sembra strano, adesso c’ha sempre fame

come se non mangia da un mese. Mamma non voleva a resta-re da soli così tanto tempo.

«Semmai quella gente pensa che sono una ruffiana. Invece la figlia gliela guardo come se era figlia mia, anche di più».

Mamma lo sapeva che ci baciavamo nella lolla, ma faceva finta che non sapeva niente. Quando stavamo tornando verso casa ci stava guardando, col braccio davanti agli occhi per il sole. Come se ne sono andati era contenta che babbo se ne andava a caccia, stava aspettando di rimanere sola con me, per parlare. Io mi sono messo ad accarezzare il cagnolino, aspetta-vo che parlava lei. Mischina mia mamma, sempre con la voglia di parlare, ma in casa non gliene davamo tanta di soddisfazio-ne. Alla fine si è messa davanti con le mani nei fianchi.

«Non c’hai niente da dire».Siccome non ho detto niente si è arrabbiata.«Che razza di vita mi tocca fare con questa gente. Non par-

la nessuno, uno se ne va a caccia l’altra a passeggiare con lo sposo e questo qui nemmanco c’ha niente da dire. Io soltanto

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a lavorare servo, se lo sapevo che eri così manco mi davo da fare per farti fare bella figura con i tuoi suoceri».

Lo sapevo che cosa voleva, che le dicevo il pranzo era buo-nissimo. Però io mi divertivo a farla arrabbiare.

«Non sono tanto contento».Non la finiva più di parlare.«Non conviene a fare cose per gente così. Se lo sapevo non

mi ammazzavo dalla fatica». Io mi stavo divertendo.«Non fare così. Magari non se n’è accorto nessuno che non era

buono il sugo. Però quella signora ha fatto una faccia strana». Ci ha creduto subito.«Che cos’aveva il sugo? Non li starò invitando un’altra volta

i tuoi suoceri. Non c’ho voglia di vedere quella lì, quella è nata con la faccia strana. Voglio vedere cosa cucina lei quando ci invita. Non l’avevo fatta una cosa così per vedere gente scon-tenta».

Quasi quasi si metteva a piangere.«Stavo scherzando era solo per farti arrabbiare un pochet-

tino». Si è tolta il fazzoletto e si è tirata i capelli indietro.«Scomunicato. Mi farai morire». Se l’ha rimesso subito, se l’ha sistemato intorno alla faccia.

Da quando ero piccolo questa cosa gliel’ho vista fare un mi-lione di volte, ma quel giorno era come se era la prima volta. È una cosa delle donne di tirarsi indietro i capelli e mettersi il fazzoletto. Però ho pensato: “Mia moglie non lo farà mai”.

Le donne non se lo mettono più il fazzoletto. Io a mia mam-ma con la testa scoperta la vedevo solo quando si pettinava, di mattina. Quando ero piccolo si lasciava toccare i capelli sciolti, da dietro lei non mi vedeva, e io glieli odoravo. ogni giorno pensavo: “Quando sono grande babbo muore e io me la sposo a mamma”.

Come mi stavo ricordando queste cose mi ha guardato, l’ho capito che bene come me ne voleva lei nessuno me ne poteva volere, manco una moglie innamorata. Alla fine una moglie è sempre un’estranea, non è come una mamma che per lei sei il suo sangue.

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«Contento sei della tua sposa? Anche lei è stata fortunata, già non se l’ha scelto male lo sposo, il fiore si ha scelto, il più bello. Piace anche a tuo babbo Margherita. È più simpatica della mamma, quella si crede meglio di tutti. Vedrai quando sarà a casa nostra Margherita, senza la mamma sarà anche più contenta».

Dopo che ci siamo fidanzati era tutto diverso con Margheri-ta, da soli non rimanevamo mai. ogni giorno dopo che lavo-ravo andavo a casa sua, se non era quando mi accompagnava per andarmene, manco un bacio. Lo sapeva a che ora arrivavo, veniva sempre lei ad aprire. Si alzava in punta di piedi per ba-ciarmi, era sempre allegra quell’anno. Adesso non è mai così. ora quando vado da lei all’ospedale è come se sto andando all’inferno.

In dicembre era tornata Elena per Natale. Io mi vergognavo di lei all’inizio, semmai se ne rideva che non mi aveva voluto. A Margherita la facevo venire a cenare a casa mia, per non incontrare la sorella, lo capivano tutti che ero vergognoso. La prima volta che l’ho vista era in cucina e stava ricamando, mi sembrava che avevo visto un fantasma. Al primo momento mi è aperto il cuore, era bellina piccola piccola su quella sedia. C’ha le mani e i piedi delicati Elena. Mi seccava che era così bella, magari se le cose andavano in un altro modo glieli pote-vo accarezzare quei piedini. Come mi è venuta questa cosa in testa mi è venuta anche la rabbia. Ho pensato che era un de-monio, anche se mi guardava con quegli occhi grandi grandi e sembrava un angelo. La voce pure era delicata: «Ciao, come stai?».

Volevo che se ne riandava presto, che se ne tornava dallo sposo suo. Magari era un cittadino di quelli che si danno un sacco di arie. Me lo figuravo come quelli dei giornali, abbron-zato e vestito bene. Che era ricco lo sapevo, se no non lo sce-glievano al posto mio. Se potevo lo sfidavo a quello lì, tanto i cittadini non sanno fare niente delle cose da uomini. La mia cavalla, quella cattiva che soltanto io la potevo montare, certo lui non ce la faceva a domarla, e neanche la mira non ce l’ave-va come la mia di sicuro. Volevo vederlo quello lì se era resi-stente a caccia come me, a cazzotti sicuro che lo vincevo. Però

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Elena l’aveva scelto al posto mio, lui le dava la vita elegante che con me non la poteva fare. Non me le figuravo nemmeno quelle cose che piacevano a lei, i balli e il teatro, tutte quelle cose che mi scriveva nelle lettere. Prima di allora manco ci pensavo che esisteva il teatro. Da allora lo odio questo teatro, mi sembra un posto che le donne brave e la gente a posto non ci vanno. Lo dovevo capire da subito che non andavo bene per lei, le piacevano troppo i vestiti e i balli. Adesso però non è così. Glielo dico certe volte per farla rimanere male.

«Non mi hai voluto perché non c’avevo vestiti eleganti, e perché non ti portavo al teatro».

«Che cosa capivo, ero una bambina, non sapevo niente della vita».

Una stupida è stata, se no adesso le cose erano diverse e non c’avevamo tutti questi problemi. ora però non le penso più tutte le cose brutte che pensavo di lei quell’anno. Magari anche io non sapevo nulla della vita, magari anche io se non era così bella mica la volevo. Quindi era la stessa cosa di lei che guardava i vestiti.

Era troppo bella. Il demonio ai santi gli doveva sembrare come lei a me, una tentazione. Era delicata, mi faceva veni-re pensieri da vergognarmi. Quando le guardavo la bocca mi sentivo il sangue nelle orecchie. A me le donne con le tette grandi, quelle sfacciate, non mi sono piaciute mai. Da quan-do ero un ragazzino e facevo pensieri sulle donne desidera-vo sempre quelle delicate, quelle che sembra che non le puoi manco toccare. Anche prima di incontrare a Elena ci pensavo alle donne, me la sognavo la mia ragazza, anche se non sa-pevo che faccia c’aveva. Faceva tutto quello che le dicevo io, faceva un sacco di cose vergognose soltanto per amore mio, e piangeva dalla vergogna per tutto quello che le facevo fare. La ragazza che sognavo io non era una bagassa, una di quelle che vanno con tutti. Solo con me lo faceva, anche se era mortifi-cata. Però alla fine mi voleva molto, era contenta di fare tutto quello che dicevo io. E le piaceva pure.

Come la stavo guardando Elena, quel giorno che era seduta a ricamare, mi ricordavo dei pensieri vergognosi che avevo fatto con lei. È per quello che mi sono arrabbiato, ho pensato che

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le faceva con un altro quelle cose. Magari mi potevo consolare che ce l’avevo anch’io una ragazza brava e amorosa, magari la fortuna ce l’avevo avuta io non quello lì. Tanto a lui mica lo voleva davvero, voleva a me all’inizio, a lui se l’ha preso per altri motivi. Se continuavo a guardarla diventavo pazzo, allora me ne sono andato. Per consolarmi mi sono convinto che gli avevo fatto un affronto a quello lì, anche se manco lo conoscevo. Mi pareva che quelle cose che avevo fatto con Elena nel mio pen-siero le avevo fatte davvero. Peccato che non era vero niente, me l’ero sognato e basta, e lei adesso era di un altro. E lui la poteva toccare come voleva. Stringevo i pugni, se ce l’avevo davanti diventavo una bestia. Lei adesso dice: «Mica mi facevo toccare, da fidanzati».

Magari non è manco vero, delle volte mi sembra una bugiar-da. Come ha detto “ti amerò sempre” e poi non era vero me ne può dire altre di balle.

Quando eravamo da soli io e Margherita ogni volta cercavo di toccare dove potevo. Però mi faceva crepare, semmai anche quello lì faceva lo stesso con Elena. Era bella da abbraccia-re Margherita, era morbida, non era grassa come ora. Faceva come dicevo io, le facevo vedere come doveva toccare lei a me. Non è che era una bagassa, però si fidava di me, mi voleva molto. Non sapeva niente degli uomini Margherita, pensava “quelle cose si fanno soltanto quando si decide che ci sposia-mo”. Non se l’immaginava che gli uomini cose così le voglio-no fare con un sacco di donne, anche con quelle brutte certe volte. Io con lei mi sentivo uomo, era tutta mia, faceva quello che volevo io. All’inizio diventava rossa, mi diceva «così no, lì no» però non si arrabbiava mai. A me mi sembrava normale che un uomo cerca di fare tutto quello che può con la sua ragazza, se glielo lascia fare.

Chissà come farò quando si fidanza mia figlia, io mica lo sopporto che uno la tocca in un certo modo. Comunque an-che lo sposo di Elena di sicuro faceva come me. Era uno schi-foso, un bastardo. E quella scomunicata non aveva nessuna vergogna, si lasciava fare di tutto, anche da quello lì che non lo voleva davvero. ora mi chiede perdono.

«Non capisci nulla non mi facevo manco toccare».

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Però alla fine se l’ha sposato quel maledetto, e c’ha fatto an-che un figlio. Certo di cose ne avrà fatte, almeno da sposata. Schifosa pure lei. Quando ci penso che si è lasciata vedere nuda dal marito e l’ha toccata e anche tutto il resto, mi viene il dispiacere che è morto di malattia, preferivo ammazzarlo io. Come mi vengono in testa queste cose la vedo diversa. In quei momenti voglio che lo capisce bene come la odio.

«Ti sei coricata con uno che non volevi, quindi puoi fare di tutto con tutti gli uomini».

Anche quel giorno che stava ricamando l’ho pensato “è una che si può coricare con tutti, gli sta bene a quello lì che si ha preso a una puttana”. Ma quell’idea di Elena con altri uomini mi faceva la faccia calda, come se ero rimasto troppo tempo al sole. Mi figuravo di ammazzarli tutti, e non li conoscevo nemmeno. Pensavo un sacco di cose brutte in quel periodo. L’unica cosa che non pensavo è che la volevo ancora.

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XIII

L’infeLiCe matrimonio di eLena

ero contenta in quel mese che ho passato a casa prima di sposarmi

babbo ce l’avevo sempre intorno «ne devo approfittare che fra un po’ te ne vai per sempre» mamma non mi sgridava più mi chiedeva «cosa ne pensi» per ogni cosa insomma ero diventata grande il Natale a casa nostra era bellissimo con il presepio grandissimo anche la cucina sembrava vestita a festa dappertutto c’erano piatti con la frutta e i dolci sembrava una magia giravo la casa guardavo le mie bambole e l’altalena mi sentivo grande

quando mi ricordavo di Giuseppe mi sembrava strano tutti i pianti che avevo fatto per lui ero contenta non sono più una ragazzina fra poco sono sposata lo faccio a casa mia il presepio e magari anche l’albero che mamma non ha voluto mai farlo

tutti mi vedevano cambiata anche Emanuela «sei più amo-rosa figlia mia» non le sembrava vero che non facevo più i capricci e dicevo sempre sì che fregatura io dicevo sì a tutti e loro erano contenti e mi coccolavano e mi facevano compli-menti accontentavo gli altri e mi stavo rovinando la vita mi sembrava tutto perfetto come il guardaroba che mi ero fatta a Cagliari

me l’ero portato appresso e non me ne facevo nulla tanto non uscivo mai in paese era tutto diverso rispetto a Cagliari andavamo a letto presto e tardavo a prendere sonno poi di mattina in casa si alzavano all’alba quindi alla fine ero anche soddisfatta che fra poco me ne tornavo in città l’unica cosa seccante all’inizio è che veniva Giuseppe ogni sera a saluta-re Marghe la prima volta mi sono anche emozionata non ce l’ho fatta a sollevare la faccia gli ho detto «ciao» sottovoce poi di notte non ci riuscivo a dormire chissà se era vero amore quello che avevo provato per lui ma non lo so manco adesso cos’era mi sembra che sono tutte cose da ragazzini quando non sai nulla della vita e dell’amore

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ora sì che lo amo solo a pensarci mi stringe lo stomaco ma questa cosa qui a sedici anni non l’avevo provata mai figuria-moci per Giommaria certo ero contenta di essere fidanzata con lui mi divertivo mi accontentava in tutto mi adorava ma-gari lui mi amava davvero glielo dico pure a Giuseppe quando sono arrabbiata «mio marito sì che mi amava davvero lui face-va tutto per me mica ci riusciva lui a consolarsi in fretta come te che dopo un paio di mesi ti sei fidanzato con mia sorella» però allora non ce l’avevo con Margherita poverina non l’ave-vo mai vista così contenta

certo chi se l’immaginava che finiva tutto quanto a schifio quell’anno sembrava ogni cosa al suo posto fidanzate tutt’e due però non ce l’avevamo più la confidenza di quando erava-mo cretine e parlavamo sempre del grande amore di notte ci cambiavamo e ci mettevamo a letto sospirando in silenzio ci vergognavamo peccato semmai a parlare ci chiarivamo le idee e magari non ci sposavamo forse se parlavamo allora adesso non eravamo così infelici

ero a casa da venti giorni quella volta che sono venuti i miei suoceri con Gimmi a pranzo mamma non era mica contenta a lei non le piaceva di avere gente in casa comunque ha invitato anche zia Assunta e zio Mario era una tortura con i preparati-vi il giorno prima «non sarà troppo lucidare pure l’argenteria per il notaio con la moglie non gli basterà che li sto ricevendo in casa mia» a me questi discorsi mi facevano arrabbiare lei si credeva più in alto di loro invece io mi vergognavo che in casa era tutto vecchio a casa loro i tappeti persiani erano nuovissi-mi e anche i mobili se guardavo il divano vecchio di nonna mi veniva la disperazione

se si sedeva mia suocera grassa com’era magari si strappa-va la fodera mamma a sentirmi diventava odiosa «figurati me l’immagino che c’avranno tutto nuovo rozzi come sono ca-piscono solo i soldi» comunque alla fine brutta figura non ne voleva fare manco lei soltanto non le piaceva che pensavano che si era trafelata per riceverli «sembra che deve arrivare a pranzo il viceré anziché un nnotaio» diceva così per imitarli e babbo dalla mattina «non stancarti troppo cara» faceva ride-re la faccia di Emanuela le leggevo nei pensieri «la faccio io

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la fatica come fa a stancarsi senza fare nulla» non lo poteva capire lei che per mia mamma era una fatica vedere come strapazzava il sofà di sua mamma per il sedere della moglie del nnotaio

ha borbottato tutto il giorno da una parte all’altra «ti ab-biamo garantito la felicità io e Assunta» mi viene da ridere figurati zia Assunta non è stata capace di sceglierselo manco per sé il marito che la faceva felice Marghe se n’è andata tutto il giorno dalla suocera perché lei le odia le pulizie in grande e babbo anche se n’è scappato come ha visto che nel salotto non si poteva sedere

di mattina abbiamo bisticciato con mamma lei voleva cuci-nare selvaggina e io volevo tutto di mare come mangiavano sempre a casa di Gimmi era isterica «va bene facciamo i rozzi anche noi l’aragosta che costa molto ne avranno di soldi ma buon gusto niente compro tutto il pesce che serve per affo-garli non lo sa cucinare Emanuela il pesce mi tocca farlo io e sarò sfinita all’ora di pranzo» comunque alla fine c’avevo ragione io perché abbiamo fatto un figurone

mamma era di malumore a pranzo all’inizio non parlava nessuno quasi quasi mi mettevo a piangere sembrava un fu-nerale meno male che mia suocera si è messa a vantare la vita di campagna babbo era sempre gentile con tutti «cara signora facciamo una vita semplice poco elegante vero Eugenia che viviamo alla buona» mamma ha fatto sì con la testa era stanca diceva di sì anche se le chiedevano «è vero che sei figlia di una contadina» comunque si è versata altro vino gliel’ho detto un sacco di volte che bere così tanto non è una cosa da signora ma lei tirava fuori sempre la stessa scusa «anche mia nonna non si faceva mancare il whisky dopo i pasti e lei certo era una donna che l’eleganza non la imparava da nessuno» la verità è che le piace bere

quando beveva diventava più allegra ma mi faceva vergogna-re perché rideva di tutti e anche quel giorno guardava i capelli di mia suocera e mi parlava all’orecchio «che tintura esagerata un rosso così non si è visto mai» io ero disperata se la senti-vano sai che figura facevo finta di niente e lei continuava «con quella faccia grinzosa sembra una maschera di carnevale e il

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marito che ridicolo speriamo che il tuo fidanzato non prende dai genitori sono arricchiti» mi ha sempre dato fastidio con questi discorsi come se lei i soldi non li guarda mi sembra che si è sistemata bene però mica si è presa un miserabile

me lo facevo raccontare di quando si era fidanzata lei che nonno non c’aveva più soldi solo l’idea di contare i centesimi le faceva tristezza «meno male che ho sposato Ninni» diceva io non lo so se da giovane era innamorata di babbo però una cosa è sicura lei era contentissima di averlo sposato diceva sempre «la povertà è volgare costringe a fare un sacco di re-strizioni» eppure non è che le piacciono i gioielli o le cose di lusso solo non vuole avere preoccupazioni

l’unica cosa che le dispiace è che nonno non l’ha lasciata continuare a studiare il piano anche ora si dà un sacco di arie «io c’avevo disposizione per la musica» amiche ne aveva po-che e se ne vanta anche di quello «non mi è mai piaciuto rima-nere a parlare degli amorazzi come una stupida» comunque a babbo se l’è preso anche per altro mica solo per i soldi lui c’aveva buon gusto era uno elegante

ne ho conosciuto donne innamorate ma nessuna che c’ha più ammirazione di lei per il marito si vedeva anche quella sera come lo guardava si capivano loro due a volte penso che è così il matrimonio riuscito senza passione e senza tormenti due pensano allo stesso modo magari l’amore non lo faranno certo come me e Giuseppe però sono contenti e invecchiano insieme come babbo e mamma beati loro

lo nomina continuamente a babbo lui alla fine era l’unica per-sona che contava per lei dev’essere che la conosceva più di tutti me lo diceva nel letto di morte «state vicine a vostra madre non lo sapete com’è delicata» a me l’idea della delicatezza mamma non me l’ha fatta mai anzi con quel carattere che c’ha sembra che non la tocca niente magari però sotto sotto non è così ma-gari babbo lo sapeva semmai anche questa cosa che beve trop-po vorrà dire qualche cosa però a me quel giorno con le cattive-rie che diceva sui miei suoceri mi faceva venire il malumore

speravo che si girava da Marghe ma quella mangiava e non le dava corda alla fine ero contenta che mio suocero ha comincia-to a parlare di case «certo che sono alti i prezzi degli immobili

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anche in questo paese» sicuramente stava pensando chi si vor-rà rintanare così lontano dalla città e io a quel tempo pensavo come lui che non ci volevo vivere mai lontano da Cagliari mica me l’immaginavo che la finivo proprio a vivere qui

mamma mi parlava sempre all’orecchio «che orrore com’è tutto rosso masticando ma chi lo vuole qui da noi» meno male che babbo come rispondeva le copriva la voce «si figuri la no-stra è una vita campagnola» ma zio Mario era terribile come mamma a volte ho pensato che quei due facevano meglio se si sposavano insieme

fino a quel momento era rimasto silenzioso poi si è asciuga-to i baffetti «sono d’accordo col signor Chessa» zia Assunta l’ha fulminato con un’occhiata perché non ha detto il notaio Chessa lui se n’è fregato «questi campagnoli dovrebbero es-sere onorati del fatto che una personalità eminente degni di considerazione le loro catapecchie» babbo ha fatto un sorriso e anche mamma invece il notaio non l’ha capito che lo stava prendendo in giro era tutto soddisfatto «non dica così» zio Mario continuava «s’immagini che lustro potrebbe trarre que-sto borgo anonimo potrete venire a riposarvi qualche giorno all’anno lei e la sua elegante signora» oramai mamma stava ridendo come una che sta ascoltando una barzelletta e io per poco svenivo come sentivo zio Mario «secondo me gliela de-vono regalare la casa perché fa l’onore del paese»

si capiva che era un’esagerazione i miei suoceri ancora non avevano capito nulla meno male che erano boriosi e non ci pensavano che qualcuno si credeva meglio di loro magari mia suocera s’immaginava servita e riverita nella casa in campagna c’aveva l’aria sognante alla fine ci credevano davvero e sta-va andando tutto bene perché non si erano offesi io speravo che si cambiava discorso invece Giuseppe era rosso come un peperone non ce l’ha fatta a stare zitto «perché gliela devono regalare magari uno ha fatto sacrifici per farsi una casa e la deve regalare a lui» zio Mario gli ha fatto l’occhiolino Marghe gli ha detto una cosa all’orecchio allora si è stato zitto

mio suocero ormai sembrava che la voleva dall’indomani la casa in paese «quando mai regalare però se la trovo al prezzo onesto magari ci riuniamo qui d’estate a bere un bicchiere di

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aranciata sotto la lolla» come ha sentito a babbo «ce n’è una in vendita qui vicino mi posso interessare» mamma l’ha smessa di ridere sicuramente le è preso un colpo all’idea di averceli vicini di casa manco una settimana all’anno li sopportava me l’immagino tutti i dolori che s’inventava per non riceverli co-munque alla fine sono andati via e non l’avevano capito che mamma e zio Mario li hanno presi in giro tutto il pranzo

come siamo rimasti soli Giuseppe era in cucina con Marghe e stava bevendo un bicchierino di mirto mamma si è avvicinata «un’altra giornata così e potete prepararmi il funerale Emanuela dammelo pure a me un goccetto» però come Giuseppe le ha fatto un sorriso se n’è andata subito arrabbiata meno male che l’indomani zia Assunta le ha fatto sapere che era tutto perfetto tranne il comportamento di suo marito mamma non era d’accor-do «Mario era l’unico brillante» comunque i Chessa erano entu-siasti c’era il rischio che ci volevano venire davvero a fare le ferie in paese dove ormai non ci facevo più niente nemmeno io

zia Assunta non vedeva l’ora che tornavo si lamentava che Gimmi andava tutti i giorni a tormentarla «quando la fissiamo la data del matrimonio che cosa dobbiamo aspettare» gli argo-menti erano sempre gli stessi e mica lo capiva che non si sposa a carnevale e manco in quaresima era insistente «ci possiamo sposare lo stesso giorno di Margherita» io non volevo perché mi seccava dividere la festa con mia sorella e poi capirai con Giuseppe certo Gimmi di questa cosa non ne sapeva nulla ma per noi era imbarazzante meno male che anche mia suocera non era d’accordo mamma pensava male «di sicuro è per non mischiare i suoi invitati borghesi con i campagnoli»

era diventata insopportabile ormai non si tratteneva più «che balosso il tuo fidanzato andare a lamentarsi da tua zia» però era tutta soddisfatta «le ho sistemate le mie figlie» si credeva molto furba invece è andato tutto storto dopo che mi sono sposata subito ce le ha avute le preoccupazioni anche se avevo deciso di non dirle nulla non ce l’ho fatta

come sono tornata dal viaggio di nozze mi sono buttata addosso a lei piangendo magari voleva sapere perché ma non glielo potevo dire davanti a Gimmi dopo una settimana sono arrivati con babbo a casa mia era mezzogiorno ed ero ancora

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a letto mi ha preso da una parte «non sei contenta di fare la vita che hai sempre sognato» e siccome non rispondevo «non è che quella bertuccia ti maltratta» io non c’avevo voglia di parlare non c’avevo voglia di niente in quei giorni però l’ha capito lo stesso che c’entrava il sesso ha fatto gli occhi fini «non sarà un pervertito» mica ce l’avevo il coraggio di spiegar-le perché ero disperata non li ho manco invitati a pranzo

ci sono rimasti male ma io volevo solo morire prima di an-darsene mi ha guardato dispiaciuta «almeno Giuseppe è un bravo marito per Margherita» non la pensa più così adesso forse le sarà venuto il dubbio che non è stata una brava mam-ma ma tanto non lo dice neanche se le punti un fucile

dal giorno dopo del matrimonio ogni volta che incontravo una sposina mi faceva pena mica lo sapevo da ragazza che il matrimonio poteva essere una cosa così schifosa io con Gim-mi da fidanzati non facevo nulla la prima notte me lo sono trovato addosso tutto rosso col fiatone c’ho provato pure a dire di no ma non c’avevo ragione

ormai eravamo sposati mischino ora che è morto mi fa an-che pena era un anno e mezzo che si tratteneva di sicuro era esasperato insomma alla fine l’ho smessa di resistere perché forse gli piaceva anche di più l’ho lasciato fare ma un dolore così non l’ho provato mai più manco quando è nato Enrico perché me l’aspettavo il dolore del parto e poi mica è schifoso dopo c’è il bambino invece quella notte mi veniva il vomito con quell’alito caldo sopra la faccia meno male che ha finito in fretta e si è addormentato subito

sono rimasta sveglia e disperata che ogni notte dovevo dor-mire con lui e poteva farmi quella cosa lui russava e io gli au-guravo la morte che disgraziata quando è morto davvero ho pensato che era colpa mia e se non c’avevo Enrico piccolino mi esaurivo di sicuro lavarmi non serviva a nulla tanto mi sen-tivo sempre sporca che inferno il viaggio di nozze ogni notte lo voleva fare e durava sempre di più dopo una settimana manco allo specchio mi potevo guardare c’avevo la faccia di una vecchia figurati rimanevo sveglia tutta la notte a piangere piano piano per non svegliarlo semmai gli veniva voglia di farlo ancora come è capitato una volta

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di no non glielo potevo dire ma sempre pensavo speriamo che muore in questo momento certo che ora quando lo fac-cio con Giuseppe non è lo stesso dal viaggio di nozze la odio Parigi figurati come siamo tornati sembrava che mi prende-vano tutti in giro «chissà quanto vi siete divertiti a Parigi in luna di miele» a me mi faceva schifo Parigi il tempo era come l’umore mio il sole in quindici giorni non l’ho visto mai sem-brava come se c’era un lenzuolo gonfio di acqua sporca nel cielo sembrava vicino che quasi si poteva toccare la gente non capisce niente quando dicono tocco il cielo con un dito per la felicità pioveva sempre a Parigi una pioggia antipatica non c’avevo manco voglia di guardare le vetrine camminavo stri-sciando i piedi e sempre faceva buio troppo presto così mi ricordavo che cosa doveva succedere in albergo

a mio marito non ce la facevo manco a guardarlo in faccia lo vedevo contento e mi faceva schifo mischino faceva di tutto per accontentarmi «comprati quello che vuoi» io compravo ma non ero contenta mi sembrava che ogni camicetta che pa-gava era il prezzo di quelle schifezze che facevamo comunque pagava tutto soddisfatto e io mi sentivo sporca

poveraccio ora lo capisco non era mica colpa sua se gli era capitata questa disgrazia che si era innamorato di me di sicuro non se l’immaginava che tormento mi dava ogni notte quando mi toccava di sentirmelo sopra e rantolava se no non mi cer-cava nel buio con le mani caldicce sembrava che mi lasciavano addosso un marchio e mica era finito lì lo schifo perché dopo voleva la luce accesa e mi frugava dappertutto mi prendeva la mano e si faceva toccare io volevo spegnere almeno per non vedergli la faccia

già la vedevo di mattina con quell’occhiata vispa non è pos-sibile che una odia di più di me in quel viaggio al ritorno però tutta la traversata se l’è fatta sul ponte vomitando e io ero sod-disfatta anche se mi veniva lo schifo perché l’indomani quella bocca vomitata me la trovavo attaccata alla mia

come siamo tornati a Cagliari almeno andava a lavorare e non ce l’avevo sempre in mezzo ai piedi mi divertivo a fare la padrona di casa invitavo mie cugine e zia Assunta a prendere il caffè a Gimmi gli facevo trovare le cose che gli piacevano

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di più alla fine non mi era antipatico se non mi cercava di notte mi piaceva anche andare a cena fuori sfoggiavo sempre vestiti nuovi facevo la signora e poi almeno non rimanevamo da soli

però ogni volta dopo il dolce gli altri uomini si mettevano a parlare di politica e di calcio invece Gimmi sbadigliava e mi guardava si capiva che non vedeva l’ora di tornare a casa mi veniva il nervoso mi sentivo come una santa che va al martirio salutavamo e la gente bisbigliava «c’hanno fretta di starsene da soli sono sposini» la desideravo in quel periodo un’amica per confidarmi non lo potevo dire a nessuno come ero av-vilita l’unica cosa che volevo era una carezza di una persona che non voleva niente da me non avevo nessuno per parlare e poi mi vergognavo le altre donne sposate mi sembravano tranquille magari erano come me e facevano finta però certe sembravano proprio contente pure Margherita mica c’aveva la faccia schifata come la mia

meno male che zia Assunta mi distraeva veniva quasi tutti i giorni mi dava ricette e consigli per la casa faceva uno sguardo vispo come se si aspettava che le dicevo qualche cosa però io mi vergognavo non c’ho parlato mai con lei non dicevo niente a nessuno

un giorno in dicembre eravamo nel salotto stava piovendo fitto fitto come a Parigi c’avevo un malumore che non pote-vo stare mi sentivo male mi faceva tutto schifo mi prendeva la brutta voglia ogni mattina e siccome quando mi alzavo la prima cosa che vedevo era la faccia di Gimmi mi ricordavo della notte e mi sembrava che era quello che mi faceva brutta voglia

peggio di così non mi potevo sentire l’avevo letto in un sac-co di romanzi di una che si ammalava dal dispiacere e dopo moriva magari morivo pure io così piano piano nel letto ma-gra come una cavalletta semmai mi sembrava anche meglio morire tanto mica potevo continuare così per sempre che mi facevo pena

come stavo versando il caffè a zia Assunta l’odore mi ha fatto venire la brutta voglia e sono scappata in bagno sono tornata e zia l’ho trovata sorridendo «non dici nulla figlia mia»

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«mica c’ho niente è solo ogni tanto che mi fa così» ma lei sembrava contenta «ci siamo passate tutte tua madre sarà al settimo cielo» non lo capivo perché mamma doveva essere contenta della mia morte «non dirglielo vedrai che mi passa» lei era tutta soddisfatta «certo dopo i primi mesi ti passa però a tua mamma glielo devi dire subito non è giusto tenerglielo nascosto» non ci capivo niente mi sono scese le lacrime «do-mani vado dal dottore» e zia Assunta ha fatto una faccia scan-dalizzata «vacci pure dal dottore se vuoi ma non è il caso di disperarsi perché aspetti un bambino» mica c’avevo pensato a quella cosa mi è venuto da piangere mi sembrava di essere in uno di quei sogni brutti dove sei in un posto che non conosci con gente che ti vuole fare male ho fatto anche pensieri cattivi che dopo me ne sono pentita ho pensato che quella cosa non l’avevo decisa io che quel bambino me l’aveva fatto di nasco-sto a installarsi nella mia pancia e che io non lo volevo

non ne avevo colpa ero soltanto una bambina anch’io ora che mio figlio è grande lo adoro e mi sembra impossibile che ho pensato una cosa così piangevo e non dicevo niente per-ché mi vergognavo zia Assunta non ci riusciva a consolarmi «mica c’hai una malattia è una cosa bella aspettare un bam-bino» come stava dicendo così è entrato zio Mario allora mi sono consolata che ce li avevo intorno a coccolarmi non mi sembrava vero che mi stava accarezzando qualcuno che non era Giommaria

da quel giorno è cambiata la mia vita la domenica sono ve-nuti babbo e mamma e tutti mi facevano le feste mi chiedeva-no «che cosa vuoi» e mi portavano cose buone ci siamo diver-tite un sacco a ordinare il corredino ma la cosa più bella era che potevo piangere quando volevo e se ero di malumore tutti mi capivano erano cambiati pure i miei suoceri mi trattavano come una principessa il notaio mi cedeva la sua poltrona pre-ferita ero diventata anche più importante di Giommaria l’ho capito una sera mi sembra che era febbraio c’era un freddo che non si poteva stare ho detto «che buoni i marron glacé» e il notaio si è girato dal figlio «che cosa stai pensando corri da Ramondetti a prenderle i marron glacé» Gimmi faceva quello che dicevano loro e poi poveretto era sempre gentile

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ora l’ho capito che non gliene fregava niente di me ai miei suoceri me l’hanno dimostrato dopo che per loro ero impor-tante solo perché nella pancia c’avevo l’erede della famiglia Chessa che doveva crescere forte e sano magari se nasceva femmina ci rimanevano anche male però erano sicuri che era maschio e c’hanno avuto ragione delle volte ci pensavo che per loro il bambino era più importante di me ma non me ne fregava mi piaceva che mi trattavano bene

c’avevo un buon carattere da giovane vedevo sempre il buo-no in ogni cosa ero troppo contenta di essere incinta e poi mio marito pretendeva di meno di notte mi accarezzava la pancia e basta mi guardava come se ero la madonna quando era così bravo ero anche affettuosa e gli davo un bacio tanto non mi chiedeva altro

eravamo contenti tutt’e due che stavamo aspettando un bambino andavamo d’accordo in quel periodo la gente diceva «che bella coppia come sono innamorati» Gimmi era tutto orgoglioso mischinetto perché prima lo dicevano solo per lui «com’è innamorato» più contento di così non si può c’era già l’ostetrica quando stavo per partorire e lui «ne facciamo su-bito un altro di figlio» invece non ha fatto in tempo a godersi manco il primo

che bel periodo me ne rimanevo a casa in vestaglia con le mani sui fianchi paura non ne avevo del parto è stato il pe-riodo più bello della mia vita Enrico era piccolo quand’è nato non pesava neanche tre chili meno male che già è cresciuto dopo adesso è alto ha preso da noi perché i Chessa sono bas-sottini

quando ho rotto le acque ce li avevo tutti intorno finché l’ostetrica non li ha mandati via ha lasciato solo mamma non è che ho sofferto tanto sarà perché era piccolo co-munque la sera stessa mi sono alzata e dall’indomani ho cominciato a fare la mammina la cosa che mi piaceva di più era allattare e poi l’odore che c’aveva lo annusavo sem-pre nelle mani nella piega del gomito nell’inguine nell’at-taccatura dei capelli nelle ascelline ogni posto c’aveva un odorino speciale anche i piedini che puzzavano poco poco facevo ridere zia Assunta «la vuoi sentire la puzzettina me-

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ravigliosa che c’ha mio figlio in mezzo alle ditine dei piedi» poi come me lo attaccavo spalancava la boccuccia e cerca-va tutto disperato finché non trovava

c’avevo un bel seno figurati non avevo manco diciott’anni Giommaria me lo guardava quando lo tiravo fuori per allatta-re poveraccio me l’immagino i pensieri che gli venivano e si-curamente si vergognava pure ci giocavo con Enrico quando allattavo per vedergli la boccuccia affamata lo staccavo faceva una faccia disperata che stava per piangere e allora glielo ri-davo eravamo felici io e mio figlio come innamorati e anche se mi ero sposata con un uomo che non lo amavo non me ne importava più nulla

di sera Gimmi rientrava dal lavoro e ci baciava sulla fronte a tutt’e due ma non è che lo calcolavamo tanto lui non si lamen-tava era bravo poi da quando non mi cercava più tanto di not-te non mi era manco antipatico gli preparavo il risotto come piaceva a lui e lo chiamavo tesoro così era tutto contento

se non gli succedeva nulla magari di figli ne facevamo sei o sette e ora la mia vita era tutta diversa è proprio quando Enri-co aveva un paio di mesi che ha cominciato a sentirsi male me lo diceva ogni tanto «mi fa male la pancia» una volta si è pure lamentato che era stitico ma io mi sono scandalizzata «che discorsi maleducati» non ce ne siamo accorti che si sentiva male davvero tutti chiedevano sempre «Enrico come sta» mio marito era bravo davvero io magari al posto suo ero gelosa del bambino quello lì gli aveva tolto tutto invece lui lo adorava

ogni volta che lo prendeva in braccio Enrico si metteva ad urlare come se lo stavano scannando e lui me lo ridava subito mischinetto ci rimaneva male «quando sarà grande diventia-mo amici vedrai» e invece non ha fatto in tempo non l’ha mai rimproverato perché faceva tardi non l’ha mai portato al mare e non sa nemmeno che è bravo all’università

come Enrico ingrassava Gimmi dimagriva ma nessuno gli dava importanza mischino già li ha pagati i vizi che aveva da quando era nato chissà da quand’è che c’aveva quel brutto male dopo un paio di mesi non c’aveva manco la forza di fare una passeggiata si coricava e ci lasciava uscire da soli «sono stanco Elena ti dispiace» io ero una carogna non mi dispiaceva per niente

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alla fine era magro come un biafrano giallo come un limone e questa cosa qui era strana perché lui era sempre stato rosso rosso di carnagione allora me ne sono accorta che era malato ma era troppo tardi l’abbiamo ricoverato una mattina di aprile prima di andarsene ha voluto prendere Enrico in braccio per baciarlo da come l’ha guardato secondo me lo sapeva che non lo rivedeva

anche quando stava morendo non è che si lamentava tanto solo gli ultimi giorni e pensava sempre a noi «non valgo niente non sono stato un buon marito e non sono un buon padre» ricco e viziato com’era prima sembra strano che è morto sen-za pretendere nulla in quella brandina di ospedale come un povero cristo soffrendo come un cane da solo è morto di notte chissà alla fine magari è lo stesso morire da soli o in compagnia

anche se non lo amavo ero triste quand’è morto non mi coccolavano più i miei suoceri e mi toccava vestirmi di nero che è un colore che non mi è piaciuto mai poi mi sembrava che la gente lo capiva che non ero disperata

pensavo sono una carogna c’avevo paura di andare all’in-ferno perché gliel’avevo augurata un sacco di volte la morte invece lui sicuramente era andato in paradiso con tutto quello che aveva sofferto magari mi vedeva i pensieri e lo sapeva che non ero disperata per la sua morte io ero viva e me ne fregavo di lui dormivo mangiavo e c’avevo il bambino magari tutti i dispiaceri che c’ho adesso sono la punizione per come sono stata cattiva

ero giovane e mi sono consolata presto c’avevo il bambino e una casa bella non mi mancava nulla poi babbo e mamma mi hanno anche comprato la casa vicino a loro in paese «così vieni quando vuoi e sei a casa tua»

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XIV

margherita e i patimenti deLLa maternità

ogni mattina come entra quest’infermiera sempre la stessa storia «come stiamo oggi» come vuole che sto lei invece è sempre di buonumore mi guarda con quegli occhietti piccoli come se sto dicendo una cosa impossibile dev’essere proprio scema mica siamo in un posto di vacanza è logico che la gente sta male qui dentro

io però semmai in ospedale ci volevo rimanere lo stesso an-che se stavo bene questa qui ce l’ho sempre intorno che mi toglie l’aria mica ci crede che non ho dormito nulla mi sistema i cuscini mi sposta da una parte e dall’altra non c’ha niente rispetto come se ero anch’io un materasso a me la gente estra-nea non mi piace che mi sta troppo vicina mi fa schifo sento tutti gli odori vedo la pelle lucida e tutto quanto

però ci riesce a spostarmi senza farmi male si vede che è abituata coi malati non posso dire niente che mi risponde sempre la stessa cosa «ci lamentiamo sempre» parla sempre così «come stiamo come andiamo» magari si crede che siamo cresciute insieme io e lei per esempio stamattina «oggi non siamo belle bisogna sistemarsi che arrivano le visite bisogna che ci pettiniamo» figurati se ci penso alla bellezza se non mi sentivo troppo male mi faceva anche ridere

mi tratta come una scema se non era per le mance che le dà Giuseppe mi prendeva pure a schiaffi comanda lei mica lo sente che non me la voglio mettere la camicia col pizzo che mi graffia il collo dev’essere che gliel’ha detto mamma di metter-mela la domenica e non sta zitta un attimo «ora sì che siamo eleganti con questa camicia io non ce l’ho una camicia così bella roba di lusso» non lo so a chi odio di più all’infermiera o alla camicia

il peggio è come mi pettina che mi fa sempre male glie-lo dico per favore di fare piano però mi fa andare la testa da una parte e dall’altra delicata non è di sicuro con quelle zampacce grosse che c’ha alla fine mi prende il mento e mi

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guarda con la faccia schifata ma dico io se mi devo sentire brutta davanti a questa cretina lei non è certo una bellezza anche se si crede bellissima

mi sistema un ricciolo «ecco fatto ora ci guardiamo allo spec-chio» non mi ascolta mica quando parlo gliel’ho detto da una settimana che non mi voglio guardare allo specchio da quando mi hanno cambiato la terapia che mi fanno i sali d’oro e mam-ma tutta contenta come l’ha sentito le sembrava una cosa di lus-so comunque i dolori non mi sono passati e anche l’umore non è meglio di prima invece sono diventata tutta a macchie rosse nella faccia nell’inguine e nelle ascelle sembro una lebbrosa

figurati se c’ho voglia di guardarmi allo specchio mi ha fatto nervoso che non la vuole capire questa cosa l’infermiera allo-ra come stava avvicinando lo specchio le ho dato un colpo alla mano me ne sono pentita subito sicuro che me la fa pagare è uscita senza dire niente dopo mi toccherà chiederle scusa ma non me ne importa nulla tanto è ora di pranzo

si sente la voce di Efisio che spinge il carrello nell’andito canta sempre è brutto come l’annata cattiva con la faccia nera nera sembra un africano coi capelli appiccicati e la riga in mezzo poi c’ha i denti tutti gialli e storti ma c’ha sempre vo-glia di scherzare anche se è storpio con una gamba più corta dell’altra disgraziato com’è sta sempre ridendo

si affaccia in camera mia fischiando «signora oggi c’abbiamo maialetto oppure aragosta che cosa vuole lei» poi solleva il co-perchio della pentola «hanno sbagliato qui c’è solo semolino buono mì il semolino molto buono la giustizia se lo prenda già uno è malato quando mai guarirà a dargli da mangiare di questa roba se non era aragosta almeno un mugginetto arro-stito» mi versa il semolino e non si sta zitto niente «tanto a lei signora che cosa gliene importa oggi è domenica e arrivano dal paese già le porteranno cosa buona» non vedo l’ora che se ne va gli dico «a me mi piace il semolino quand’è caldo» l’ha capito «brava brava già glielo dico ai cuochi che lei l’ha gradi-to il pranzo almeno qualcuno ci sarà nell’ospedale che gli dà soddisfazione io prego che non mi tocchi mai questa fortuna non c’è da sbagliarsi se c’è semolino a pranzo a cena pastina in bianco così lo ammazzano un cristiano»

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se n’è andato a intontire qualche d’un altro io mangio prima che arriva Giuseppe me la immagino già la faccia come se si sta presentando al giudizio finale magari porta anche Caterina mi fa un prurito nel collo il pizzo di questa camicia ce l’ho da quando è nata lei solo che le tette ce le avevo piene di latte era tutta rossa da come piangeva e si attaccava

mamma mia che brutto periodo quando la stavo aspettando non ce la facevo manco a muovermi il giorno peggiore era il lunedì che Carmelina faceva le pulizie in grande mica glielo dicevo io comandava mamma anche in casa mia c’era freddo con le finestre aperte e sbattevano le porte Carmelina smon-tava la casa come se doveva trovare un tesoro e alla fine passa-va mamma a controllare con gli occhiali sulla punta del naso

mi faceva un malumore quell’odore di varechina se non era per il sugo sul fuoco non sembrava neanche una casa mi dà fastidio anche qui all’ospedale come puliscono ma alme-no fanno in fretta quando stavo per partorire non c’avevo manco la voglia di vestirmi me ne rimanevo seduta pensavo ogni giorno la stessa cosa «non manca molto prima di arrivare Giuseppe ora mi preparo e faccio cose buone per pranzo» ma non c’avevo la forza e rimanevo in vestaglia

come sentivo Carmelina cantando e pulendo mi faceva stanchezza anche lei era come l’infermiera e come Efisio sono sempre di buonumore come faranno non lo so io non sono contenta mai se mi lasciano me ne rimango a letto e mi alzo solo per mangiare questa cosa qui a mamma la fa andare in bestia «perché sei sempre così sciatta cambiati fai qualcosa» figurati a me certi giorni mi fa stanchezza pure la gente che parla come faccio a essere allegra con tutte le disgrazie che mi sono capitate solo dei miei dolori c’ho voglia di parlare ma la gente si stanca di sentire una ammalata che si lamenta

ero già disgraziata anche quando stavo per partorire la pancia ce l’avevo enorme i piedi gonfi e rossi facevo fatica anche ad alzarmi a prendere un dolcetto ne ho visto di donne incinte che sembravano normali certe anche contente solo io ero strana che il bambino non mi era simpatico già prima di nascere mica mi aveva chiesto il permesso cresceva sempre e mi schiacciava tutte le altre cose che ci sono nella pancia è da allora che mi sento

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male non sono guarita più ero sempre stanca mi succhiava tutte le energie c’avevo un sacco di dolori

in un giornale avevo letto che le donne incinte devono man-giare cose che c’hanno molto calcio per formare lo scheletro del bambino altrimenti la donna può avere mancanza di calcio ed è vero perché a me mi sono venuti i denti cariati quando ero incinta

prima ce li avevo sanissimi un giorno che c’avevo mal di denti ero arrabbiata pensavo «maledetto questo bambino» e di notte non ci riuscivo a dormire a parte il mal di denti pensavo che ero cattiva mi sono pentita e sempre ci rimanevo male che le altre donne incinte sembravano contente per esempio a mia sorella le è passata quella tristezza che c’aveva appena si era sposata

come facevo a essere contenta se non sapevo che cosa veni-va fuori dalla mia pancia già era prepotente lì dentro si capiva come si muoveva i primi mesi mi sembrava di avere un pe-sce dentro e mi veniva brutta voglia poi come è cresciuto mi schiacciava tutto e avevo sempre voglia di fare la pipì dopo mi è venuto il mal di denti e per ogni cosa il dottore «è normale è la gravidanza» facile per lui mica il calcio suo se l’ha sprecato per lo scheletro di un altro

già mi sembrava che non ce la facevo i primi mesi e non lo sapevo ancora che cosa mi aspettava dopo alla fine ero un’invalida come adesso mi faceva male la schiena e il dolore scendeva in tutta la gamba fino al piede e quello lì sempre «è la gravidanza» poi c’avevo le emorroidi che a me di pensare a quelle cose come andare in bagno eccetera mi fa troppo schifo e invece mi toccava pensarci continuamente perché mi faceva male che non potevo stare

la cosa che mi dava più fastidio era Giuseppe come mi guar-dava la pancia semmai dentro c’era un tesoro appoggiava l’orecchio tutto contento «l’ho sentito» secondo me sentiva solo di quei rumori che fanno le pance mi faceva nervoso non mi considerava nemmeno a nessuno gliene importava niente di me solo di quello che c’avevo dentro

quello si era sistemato lì e se ne fregava mamma ce l’avevo sempre intorno come il dottore ha detto che stava per nascere mi ha fatto trasferire nella sua camera io non ci volevo andare

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e anche babbo poverino era avvilito che doveva dormire nella cameretta di quando eravamo piccole a lui non gli è piaciuto mai di cambiare le abitudini ma figurati mamma se decideva una cosa ha preparato tutto lenzuola di lino centrini e vasetti con i fiori manco se ero una santa nel giorno suo

per come mi sentivo ero una santa davvero non ce la facevo manco a muovermi e la sciatica e le emorroidi ci mancava soltanto la camicia da notte di pizzo che mi graffiava il pet-to parlava e parlava «perché sei sempre di malumore vedrai come sarai contenta quando nasce» ha fatto venire anche una a farmi i capelli e la manicure mica per altro è che la gente che veniva in visita mi doveva trovare in ordine mi ha pure messo il rossetto di sera è venuta zia Cristina «ti trovo bene» lo sape-vo io sola come mi sentivo

quando c’era l’ostetrica a me non mi consideravano parlava-no tra di loro se mi sentivo bene o male se c’avevo paura non gliene importava niente a nessuno ero lì solo per partorire di notte c’avevo fame ma mi hanno dato soltanto brodino e fino al giorno prima mi dicevano «devi mangiare per due persone» anche la fame ho patito

è venuto Giuseppe e mi ha baciato la fronte anche quella cosa era diversa perché prima mica mi baciava la fronte per salutarmi l’ho capito quella notte che dall’indomani non ero più la moglie ma diventavo la mamma di suo figlio mi sembra-va che li vedevo quei due babbo e figlio che diventavano amici e a me non mi calcolavano neppure

già mi dava fastidio di essere coricata nel letto di babbo e mamma che quando ero piccola mi veniva la gelosia a pensare che si abbracciavano da soli figurati la tristezza che stavo per partorire un bambino che mi portava via mio marito il mio nemico lo stavo facendo io stessa dev’essere per tutte le pre-ghiere che ho fatto quella notte che è nata femmina speravo che diventava più amica mia invece vuole bene solo al babbo anche se io mi sono cariata i denti per lei e tutto il resto

comunque tutta la notte mi stavo disperando che non lo volevo far nascere il bambino più di avere un nemico meglio che rimanevamo attaccati così per sempre magari se rimaneva dentro di me alla fine gli volevo anche bene invece erano tutti

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pronti a portarmelo via appena usciva come se non l’avevo fatta io la fatica babbo e mamma volevano il nipote Giusep-pe voleva il figlio a me non mi lasciavano niente dopo che mi aveva succhiato tutto il calcio e poi la pancia pensavo che rimaneva come una busta vuota dopo che usciva quello lì se ci penso che ora ce l’ho anche più grande e senza neanche bambino

ne ho fatto di pensieri brutti quella notte per esempio che c’avevo paura di allattare alle pecore le guardavo come allat-tavano e mi sembravano con la faccia rassegnata è per colpa dei discorsi di mia cugina che allattare fa male che quando al bambino gli crescono i denti fa uscire anche il sangue e lui succhia latte e sangue insieme

figurati io ero convinta che finivo davvero come quella pe-cora che aveva ucciso Peppuccio dissanguata col sangue che mi usciva dalle tette bella fine dopo la sciatica e le emorroidi e i denti cariati neppure mi aveva chiesto il permesso e dopo se ne voleva andare senza calcolarmi senza dirmi neanche grazie magari poi se lo prendeva Giuseppe o mamma ero gelosa che me lo portavano via perché la fatica e le sofferenze le avevo fatte tutte io soprattutto Giuseppe mi dava fastidio come di-ceva «mio figlio» figurati cosa gli era costato a lui un sospiro

comunque dentro non me lo potevo tenere uscire doveva uscire di sicuro semmai potevo fuggire e me lo portavo via tut-to per me il bambino pazienza se mi faceva uscire il sangue dalle tette me lo portavo lontano e glielo spiegavo quando cre-sceva tutto il male che mi aveva fatto magari se era tutto per me gli volevo anche bene che brutta notte che ho passato

non ho dormito nulla anche perché non ero nel mio letto ma tanto Giuseppe non mi cercava più da quella volta che mi faceva male la sciatica dal dolore ho lanciato un urlo e non la finiva più di chiedermi scusa un po’ ero contenta che mi aveva fatto male così mi doveva chiedere scusa e poi mi dava fastidio farlo quando ero incinta magari quello lì vedeva tutto da dentro la pancia se non vedeva minimo sentiva

allora dopo quella volta sarà stato al sesto mese non mi cer-cava più Giuseppe e io pensavo magari sono diventata troppo brutta con la pancia e i denti cariati così era colpa del bambino

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anche se Giuseppe non mi voleva più e pure se quella notte non dormivo era colpa sua non c’ero più abituata nel letto da sola anche se Giuseppe l’ultimo periodo mi dava fastidio come rus-sava e faceva caldo alla fine mi sono addormentata e ho fatto un sacco di sogni brutti per esempio che facevo un bambino bellissimo ma faceva paura con gli occhi cattivi ed ero contenta che mamma me lo prendeva col male che mi aveva fatto allora mi sono svegliata e lui era ancora dentro la mia pancia magari restava davvero lì per sempre ma lo sapevo che non era possi-bile

è venuta l’ostetrica e si è messa a frugarmi lì sotto una cosa bruttissima rimanere con le cosce aperte e una che ti fruga e ti vede tutto forse per lei era normale perché nel frattempo parlava con mamma tutta tranquilla manco Giuseppe mi ave-va guardato così da vicino mai e mamma era strano che non si vergognava figurati da quando eravamo diventate signorine non ci facevamo vedere nemmeno in mutande e reggiseno

dev’essere che quando si aspetta un bambino non esiste più la vergogna ma l’avevo già capito prima quando mia cugina tirava fuori quella tetta lunga e bianca e lo attaccava davanti a tutti io guardavo per vedere le ferite da dove usciva il sangue però non ho visto mai niente perché mi vergognavo di avvicinarmi quan-do sei incinta è come quando sei malata che tutti ti guardano e ti toccano come se sei una bestia come fa il veterinario con le mucche non puoi avere vergogna e ti tocca vedere il tuo corpo in mano agli altri come se non è nemmeno tuo

l’ostetrica a me non mi diceva nulla solo a mamma «è pron-ta oggi al massimo stanotte se non mi chiamate prima torno all’ora di cena» mica mi hanno lasciato in pace mamma mi ha fatto un clistere è una cosa che mi fa troppo schifo e da mangiare solo una tazza di tè per poco non morivo di fame come sono rimasta da sola per consolarmi pensavo a Micia lei quando faceva i gattini era tutta contenta e faceva le fusa

facile così anche io non ero disperata se mi dovevano usci-re un paio di gattini piccoli piccoli mi toccavo lì sotto sem-brava che non ci poteva passare mai un bambino magari mi squartava uscendo chissà la forza che faceva spingi spingi ero sicura che morivo dal dolore

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non l’avevo sentito mai che un bambino non ci passava e se ne rimaneva dentro la pancia però di donne che morivano nel parto già se n’era sentito quello lì prepotente com’era da quando si era sistemato dentro la mia pancia senza chiedere il permesso di sicuro era prepotente anche quando decideva di uscire manco nato e già comandava mi aveva fatto cariare i denti e dopo mi ammazzava pure e chissà il sangue che mi usciva come dal collo di quella pecora ma a lui se io morivo non gliene importava nulla tanto manco mi conosceva

proprio in quel momento mi è venuta la prima fitta una cosa diversa da tutti i dolori dal mal di denti e dalla sciatica più forte e più strana mi è uscito un urlo mamma è entrata quasi quasi non la vedevo c’avevo gli occhi pieni di lacrime però quella fitta com’è venuta se n’è andata e io scema pensavo non è mica difficile partorire non lo sapevo che il bello doveva an-cora arrivare un’altra un’altra un’altra non lo so quante e come passavano ero disperata ora arriva ora arriva ero sicura che stavo morendo e l’ostetrica frugando sempre «macché è tutto a posto» poi se n’è andata vicino alla finestra lei fumando e nella mia pancia c’era l’inferno sudavo e gridavo lei e mamma chiacchierando tranquille le odiavo ma il peggio è stato alla fine due dolori che non li auguro a nessuno lì sotto si stava aprendo tutto per farlo passare non ci vedevo più sentivo solo l’ostetrica con la voce lontana semmai ero già morta e non me n’ero accorta però dopo ho sentito «è femmina» e insie-me un’altra voce di bambino che piangeva mica come quei bambini bellini uehh uehh che fanno tenerezza mia figlia era arrabbiata sicuro che non le andava bene come l’ha afferrata l’ostetrica si è capito dal primo giorno il caratterino che c’ha

quando ci vedevo di nuovo Giuseppe stava sorridendo e babbo mi ha fatto una carezza c’era puzza di sigaretta delle al-tre cose non me ne ricordo c’avevo un sonno che non ce la fa-cevo a tenere gli occhi aperti di sera mi sono svegliata e quella lì urlando sempre io me lo immaginavo che era prepotente

di quel periodo la cosa che mi ricordo è quella bocca aperta o urlando o perché voleva la tetta si attaccava come una be-stiolina mi faceva impressione se non ero costretta di sicuro non l’allattavo però me ne rendevo conto che non era una

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bella cosa i figli chi li deve allattare se non è la mamma certe volte mi dispiace anche ora forse non ero una mamma tanto brava comunque io di latte ne avevo moltissimo all’inizio e lei non lo sapeva mica quello che pensavo

però quando aveva tre mesi mi è venuta la bronchite e il latte si è seccato figurati tutti quanti «che peccato» dicevo anch’io così per sembrare una mamma brava ma ero contenta che si era seccato prima che le crescevano i denti almeno il sangue dalle tette non me l’ha fatto uscire comunque anche se non la allattavo era lo stesso una scocciatura e bisognava lavarla e bisognava cambiarla e bisognava cullarla non facevo in tempo a fare tutte le cose

una volta al mese bisognava andare all’ambulatorio a pesarla con tutte le altre che i figli se li attaccavano e quelli succhia-vano facevano cioc cioc si capiva che erano proprio contenti io mi vergognavo che non c’avevo latte infatti Caterina era magra magra con quelle gambette fini che toccava metterle i calzettoni ricamati per farle sembrare più grosse c’aveva sem-pre la diarrea per quello le davamo l’acqua di riso era il latte di mucca che le faceva venire la diarrea ne abbiamo cambiato un sacco di mucche alla fine ne abbiamo trovato una che c’aveva il latte giusto Amorosa si chiamava quella mucca e finalmente le ha fatto passare la diarrea

mia figlia cresceva di meno degli altri bambini però a parlare e a camminare ha cominciato prima di tutti c’aveva la voce grossa da prepotente certo l’avevano viziata tutti comunque sana sana non è stata mai sarà colpa mia per il fatto del latte manco sole poteva prendere se mi dimenticavo e la lasciavo a giocare in cortile le venivano le bolle che toccava farle gli im-pacchi con l’acqua di crusca ce li aveva tutti sempre intorno a Giuseppe a babbo e a mamma li comandava tutti a bacchetta a me non mi calcolava nessuno per quello mi era antipatica

sembrava che lo faceva apposta di essere sempre malaticcia per farsi viziare tutto il giorno rimaneva a casa di mamma e figurati i capricci di sera per rientrare il babbo la voleva trova-re a casa anche se era stanco c’aveva sempre voglia di giocare con Caterina io non contavo niente anche se l’avevo aspettato tutto il giorno magari gli preparavo le cose buone lui arrivava

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e subito «ciao dov’è la bambina» lei correva a salutarlo come lo abbracciava mi veniva la gelosia si stavano sempre accarez-zando giocavano e si passavano il boccone come due sposini la gente era tutta meravigliata «non si è mai visto un babbo che vuole così bene al figlio ed è anche femmina» a me mi toccava dire di sì che ero contentissima ma era lo stesso di quando allattavo dicevo così ma lo sapevo io come ero scoc-ciata se ci penso mi viene il malumore anche adesso

ora c’ho fame e sono contenta che Giuseppe sta arrivando speriamo che mi porta cose buone entra tutto contento «sono andato a controllare le reti ho preso più di cento tordi belli grassi» me ne ha portato un sacco di roba da mangiare se lo sa dottor Lecis mi tocca nascondere tutto comunque mi secca che non è venuta Caterina dice che c’ha l’influenza ma io lo so che se doveva uscire con gli amici già si sentiva abbastanza bene

a poco a poco parlando con me il buonumore gli passa a Giuseppe non ne vuole sapere di malattie e di terapie facile così tanto lui è sano e poi mica ci crede che questa medicina nuova mi sta avvelenando non è cattivo è solo che non lo ca-pisce manco il raffreddore si prende lui di sicuro sta pensando «ma come ho fatto a sposarmela questa qui» però quel giorno sui gradini della chiesa era contento mi stringeva la mano e mi guardava negli occhi certo non ero mica brutta come ora con tutte queste macchie rosse e poi ero più magra

non vedeva l’ora che se ne andavano tutti per rimanere da soli mi sembra il racconto di un’altra persona se mi ricordo come ci siamo abbracciati la prima notte adesso mica mi guar-da così ci viene solo per il dovere qui all’ospedale di sicuro gli faccio pena anche se mi consola «vedrai che guarisci e tor-ni come prima» non ci crede manco lui a parte che c’avevo vent’anni sicuro che come prima non torno comunque gli vo-glio dire una cosa gentile perché anche se non ne ha voglia ci viene ogni domenica e mi porta un sacco di cose buone solo che è difficile trovare una cosa gentile da dire

allora parlo della figlia che questa è una cosa che gli piace sempre «te lo ricordi quand’è nata Caterina» lui era molto con-tento quel giorno e allora ride «sì l’ho presa in braccio e strillava come se la stavo scannando però anche piangendo era bella»

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allora mi torna il malumore perché non è che uno alla gente gli deve volere bene solo perché è bella per esempio se una è brut-ta allora non le vuole più bene nessuno non è mica giusto e poi a me non me ne importava niente della bellezza di Caterina per tutto quello che mi era costata solo per quello le volevo bene se veniva brutta era lo stesso per esempio anche se era bella mi è diventata antipatica viziata com’era e per la gelosia che c’avevo

se lei era tutta per me ero più contenta invece così mi veniva pure l’invidia lei non stava ferma mai e io ero stanca lei era sempre allegra e io ero di malumore insomma mi piaceva di più se cresceva uguale a me invece era fatta tutta in un altro modo però adesso che è cresciuta una cosa ce l’ha uguale a me la tristezza solo che io alla sua età non ero così prepotente a mamma le obbedivo sempre mica ce l’avevo quello sguardo strafottente che fa venire i nervi

questo malumore è l’unica cosa che c’abbiamo uguale perché dal resto è tutta diversa da me non mangia nulla però quando la allattavo già ne voleva di latte sembrava che non si saziava mai sarà perché si è seccato il mio latte che dopo le è passato l’appetito chissà che fine ha fatto quel vestitino del battesimo era bellissimo mi sembra che l’ha vomitato io ero triste quel giorno e non lo capiva nessuno Giuseppe pensava che dopo il parto era finita tutta la sofferenza invece sono cominciate le mie disgrazie è da allora che ho cominciato ad ammalarmi e lo stesso mia figlia vuole più bene al babbo anche lui c’ha la faccia annoiata meno male che entra l’infermiera «visite fuori» che sono più contenta da sola

oggi sono pure più di malumore del solito che sto pensando a quello che mi ha detto dottor Lecis stamattina «presto la mandiamo a casa è contenta?» e siccome c’ho sempre paura di quest’uomo mi sembra che non vuole a dire il contrario di quello che dice lui allora ho fatto di sì con la testa semmai se provavo a parlare mi uscivano le lacrime e lo capiva che stavo dicendo una bugia mica gli bastava però «che faccia triste deve sorridere va dai suoi cari» figurati mica glielo posso spiegare a lui che di me non gliene importa niente a nessuno

come fa a dire che sto molto meglio me le avrà viste bene le mani tutte storte con le macchie rosse il giorno che mi sono

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sposata mamma mi ha fatto un complimento «c’hai belle mani da signora» ora fanno schifo e anche il resto del corpo sono tutta gonfia non ce la farò manco a infilarmi la gonna e le scarpe vai e cerca sarò pure ingrassata qui all’ospedale e poi magari Giuseppe non c’ha mica voglia di riportarmi a casa io lo so che non gli va bene per niente finché io sono qui si può fare i fatti suoi a tutte le ore e dopo invece gli toccherà fare tutto di nascosto allora come faccio se mi di-mettono e Giuseppe non mi riprende semmai rimango nella strada da sola come una zingara mi toccherà andare da zia Assunta ma lei è vecchia mica ce la fa a curarmi speriamo che mi sento di nuovo male così mi tengono qui

mi sono affezionata a questa cameretta dell’ospedale ora-mai ci sono tutte le cose mie e poi conosco le donne delle altre camere sono sicura che se torno a casa sento la man-canza di queste donne in paese gente così affezionata non ne ho vai e cerca magari sento pure la mancanza di questa infermiera alla fine mi sono abituata sarà anche rozza però c’ha la mano delicata facendo le punture vedrai che in paese me le farà quella lì dell’anno scorso ogni volta mi scendeva-no le lacrime dal dolore

semmai se comandava la signorina Zuddas la potevo con-vincere di tenermi qui magari lei lo convince a dottor Lecis certo a una così gli uomini la rispettano tutta attillata con le unghie smaltate mica la tratta come me sarà che io sono mala-ta e poi sono grassa a me sempre le stesse cose mi dice non lo ascolto tanto lo so a memoria stare tranquilla mangiare poco camminare tutti i giorni

quest’uomo è un demonio se ne accorge se mi distraggo si mette a puntarmi con quel dito peloso «niente letto di gior-no camminare stare attiva altrimenti nel giro di qualche anno diventa un’invalida» non lo vuole capire che mi fanno male le gambe per non diventare invalida fra qualche anno mi tortu-rano già da ora

è tutto inutile mi tocca guardarlo in faccia come continua «niente dolciumi deve uscire deve vedere gente deve levarsi dalla testa l’idea di essere malata» non capiscono nulla i dotto-ri come se me l’ero inventato di essere ammalata glieli auguro

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a lui tutti i dolori che c’ho io poi dopo vengo e gli dico di camminare eccetera questi non ci capiscono niente della mia malattia e allora per non farlo vedere dicono che non c’ho nulla me la fanno pagare e dopo non gli basta che c’ho i dolori manco mi vogliono dare da mangiare

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XV

giuseppe e iL paradiso deLL’amore appassionato

Un miracolo mi sembra ogni domenica come esco dall’ospe-dale, fuori c’è sempre il sole e non ci vedo niente. Sono come un minatore quando torna su. Lo so che è il mio dovere anda-re a trovare mia moglie però mi viene la tristezza. Lei si sente sempre male, mi fa pena e poi non c’ho mai niente da dire con lei. Parlo tanto per parlare.

«Cos’hai mangiato, cosa dicono i dottori, come ti senti oggi».

Tanto se sto zitto è peggio pure. Le porto i saluti dal paese, lei invece di essere contenta dice cose che mi fanno arrabbia-re. Sembra che capisce sempre quello che sto pensando. Per esempio oggi come mi sono ricordato che era bella il giorno che ci siamo sposati, l’ha capito subito.

«Non ero così il giorno che ci siamo sposati». Come farà non lo so, è una cosa delle donne capire quello

che uno sta pensando, anche mia mamma era così. In più Margherita non c’ha niente da fare e pensa tutto il giorno, davanti a lei mi vergogno anche delle cose che non dico. E poi a me non mi piace l’ospedale, è pieno di gente malata, mi fa venire la tristezza e mi ricordo di mamma. Però ci devo andare, è il mio dovere. Per consolarmi certe volte penso che non è colpa mia se è malata, ma non è così. Io sono sano, posso andare e tornare quando voglio, all’uscita dall’ospedale non vedo l’ora di andare da Elena. Magari mia moglie non lo sa, di questa cosa non mi dice mai nulla. Magari sa tutto e fa finta di niente.

Sono nervoso come esco dall’ospedale, mi tocca guidare a Cagliari col traffico che c’è. Mi passa solo quando non ci sono più le case e sono in campagna, sono contento quando vedo soltanto gli alberi. Fumo e ascolto la radio, sono libero per una settimana. Come finiscono le curve ricominciano le case, ma sono le case del paese mio e mi piacciono. Dai camini esce il fumo, mi figuro le famiglie riunite intorno alla tavola,

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mi fanno invidia quelle famiglie. Sono tutti contenti intorno al caminetto, il babbo la mamma e i bambini a mangiare con-tenti di domenica. Io non ce l’ho una famiglia così. I miei compari sono tranquilli, non c’hanno gli occhi come i miei, si capisce che c’ho una colpa. Certe volte come mi guardano lo capisco cosa stanno pensando.

Come entro in paese rallento, passo davanti a casa di Rosa Pisu. Lei è nel cortile, e mi fa ciao con la mano. Mi prende allo stomaco, certo il giorno del matrimonio di Rosa già ero più contento, c’avevo un sacco di speranze. Parcheggio davanti a casa mia, fa schifo la casa da quando ci sono solo io. C’è puzza di sigaretta, è tutto in disordine. Manca una donna, e manca una famiglia. Ma anche se c’erano mia moglie e mia figlia era lo stesso, noi non siamo una famiglia vera, siamo tre disgra-ziati. Siamo tristi, e si vede anche dalla casa. Quando vado dai miei compari c’è la pentola sul fuoco, c’è odore di cose buone da mangiare, c’è il caminetto acceso, ci sono i centrini sul ta-volo. Si capisce che c’è una donna. Margherita la casa non l’ha curata mai, a lei non gliene importa nulla, lei è sempre malata. Io lo so che non guarirà mai, questa casa non sarà mai una casa vera. E noi non saremo mai una famiglia vera.

Per sfogarmi do un colpo al gatto coricato nel letto, poi mi lavo la faccia per andare da Elena. Prima però devo pas-sare da mia suocera, lei di domenica aspetta notizie della figlia. Come sono davanti a quella porta mi ricordo di quan-do c’ero andato per chiedere Elena. Ero contento entrando ma già ne sono uscito disperato. Mi sembra impossibile che sono sempre io, ma dev’essere davvero così perché a Elena la voglio come la volevo vent’anni fa. Mia suocera vent’anni fa gli occhi ce li aveva diversi, come ti guardava in faccia veniva difficile fare diversamente da come voleva lei. Poi adesso c’ha un sacco di dispiaceri che prima non ce li aveva. È rimasta da sola, zio Sanna le faceva compagnia, anche se lo comandava a bacchetta, loro erano una famiglia. Mi fa pena come penso che è rimasta senza il marito, poi c’ha la preoccupazione della figlia malata. Per Elena e per me si ver-gogna. Magari si sarà anche pentita per quello che ha fatto, non lo so. Qualche cosa gliela devo dire.

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«Margherita oggi era tutta elegante. Fra poco la rimandano a casa. È quasi guarita».

Mi guarda come se non ci crede, non ci credo nemmeno io. Di sicuro a casa se ne rimane a letto come in ospedale, una vita normale non la farà. E io mi sento uno schifoso, perché volevo che rimaneva sempre in ospedale, e che io potevo an-dare da Elena tutti i giorni. Come l’ho salutata mia suocera ha fatto gli occhi vispi, magari l’ha capito dove stavo andando. Però subito gli occhi sono diventati di nuovo come quelli dei vecchi, lacrimosi e senza luce.

Uscendo è come fuori dall’ospedale, mi sento meglio. Per andare da Elena non passo mai dalla piazza. La porta di casa sua è in piazza di chiesa, ma io non ci sono entrato mai da lì, la gente semmai può dire cosa. Dal mio cortile passo in quello di mio cugino, per arrivare da Elena scavalco un muretto. Per dire già dicono lo stesso, sicuramente la vicina di Elena mi avrà visto un sacco di volte nel cortiletto. Ma però se entro dalla piazza magari dicono anche che sono sfacciato. Lo face-vo dall’inizio, quando non lo sapeva nessuno. E poi mi piace di più entrare dal cortile come uno di casa. Come la prima volta, più di dieci anni fa.

Stava piovendo come se non aveva piovuto mai prima e si doveva sfogare tutto in una volta. Il cielo era rabbioso, nero nero. Mi ero bagnato fino alle mutande. Sono smontato dalla vespa nella lolla di mio cugino, mi sono tolto gli stivali: erano sporchi di fango, se entravo così la sentivi la moglie. La porta era chiusa. Da quando Elena si era comprata la casa lì a fianco ci andavo di più da mio cugino. Avevo deciso di non girarmi mai da quella parte, ma non resistevo, anche quel giorno mi sono girato. Lei era vicino alla porta e stava fumando una sigaretta. C’aveva una vestaglietta leggera, come se era ancora estate, si vedevano tutte le forme. Io le ho detto ciao, e me ne volevo andare perché mi vergognavo. Era cambiata negli ultimi anni, ma se mi chiedevano come non lo sapevo dire. Bella era più bella di prima. Era appoggiata al muro e si è spo-stata i capelli dalla faccia. Mi ha fatto un sorriso, la bocca era uguale, gli occhi pure. Però qualche cosa diversa c’era, e non era soltanto che era più grande. Era il modo di parlare che era

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cambiato, e anche come guardava. Si capiva che aveva avuto dispiaceri, che non era più innocente. Mi faceva rabbia che era diventata così, che non era più come al matrimonio di Rosa Pisu. Mi faceva rabbia che si era sposata, che si era coricata col marito. Era come un vestito nuovo che l’hanno macchiato. Lei era tranquilla.

«Sono usciti. È morto zio Gesuino, sono andati a fare le condoglianze».

Me ne stavo andando. Semmai era meglio che c’andavo anch’io, a fare le condoglianze.

«Sei tutto bagnato, ti faccio un caffè». Mi è venuto un dolore nel petto, come se qualcuno mi strin-

geva il cuore. Non era mica di contentezza che mi sentivo così, l’ha detto con una voce che mi ha fatto impressione. Una voce rauca, come le donne grandi. E io me la ricordavo come quella di una bambina, la sua voce. Era una svergognata, a in-vitare un uomo a casa sua. Anche se io ero suo cognato, ma lo sapevamo tutt’e due. Me l’ero sognato mille volte di trovarmi da solo con lei, però dovevo essere io a chiedere. Sono rima-sto in piedi fermo, magari ne aveva chiamati altri di uomini, con quella voce che sembra una promessa. Per quello non ci volevo andare, però lei era sicura che non dicevo di no.

«Rimettiti gli stivali. Non vorrai attraversare il cortile scal-zo».

Ero arrabbiato, ma non ce la facevo a rifiutare. Come mi sono rimesso gli stivali mi vergognavo, perché mi facevo co-mandare da una donna. E mi seccava che mi stavo inchinando, ma anche se ero arrabbiato non potevo resistere. Come sono entrato in cucina c’era odore di dolci. Lei stava preparando il caffè, mi sono seduto. Non c’avevo niente da dire: da quando c’eravamo sposati, soli non eravamo rimasti mai. Si è girata e stava zitta. Un braccio se l’ha messo intorno alla vita e l’altro l’ha appoggiato sopra per tenere la sigaretta. Lo capivo che le cose non erano andate bene per lei, chissà se lo capiva pure lei di me. Sicuro di sì.

Era una sfacciata, non si vergognava di rimanere da sola con me. Dopo ha preso la bottiglia del mirto, e due bicchie-ri. A pensare che prima di sposarsi diventava rossa per ogni

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cosa, ora beveva come un uomo, come la mamma. Non era la stessa ragazza che mi ricordavo io. Era come se vedevo un fantasma, era lei e non era lei. Però era bella come una stella. Ne abbiamo bevuto subito uno e un altro di bicchiere di mirto. Parlavamo ma non me lo ricordo le cose che dice-vamo, sembrava che non potevamo più smettere. Era come se quel giorno dovevo dire tutto quello che mi ero tenuto per dieci anni, era come se nel mondo esistevamo solo noi. Come se l’avevamo inventata noi la parola. Più la sentivo e più cose avevo da dirle. Più bevevamo e più mi sentivo bene. Non mi aveva ascoltato mai nessuno come Elena quella sera. Ci guardavamo negli occhi e non potevamo più smettere, mi sembrava che nel mondo non c’era niente altro da guardare. Solo gli occhi di Elena. Se i santi in paradiso sono contenti, io ero come loro. Di sicuro era per il mirto se non c’avevamo vergogna, è colpa del mirto se è successo. Abbiamo preso la bottiglia tutt’e due insieme, come quel giorno che ci siamo toccati le mani al matrimonio di Rosa Pisu. Al matrimonio però non eravamo da soli. Ma era meglio: eravamo giovani, c’avevamo più speranze. Non ci erano capitate ancora tutte le cose che ci hanno avvelenato la vita. Ce ne siamo rimasti a toccarci le dita un sacco di tempo, e sempre ci guardavamo negli occhi. Sembrava che non doveva finire mai, e volevo che non finiva mai. Come mi sono avvicinato per baciarla ho fatto piano piano. Volevo pensarci bene che era proprio a Elena che stavo per baciare, me lo volevo ricordare quel momento. Aveva smesso di piovere, dalla finestra si vedeva il sole che stava tramontando. La baciavo, e non me ne potevo saziare. La stringevo, era fine e leggera, come me l’ero immaginata sempre. La toccavo come se dovevo riparare a tutti gli anni che l’avevo sognata soltanto.

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XVI

eLena e i tormenti deLL’amore aduLto

sono sempre triste di domenica mattina aspetto Giuseppe e mi vengono pensieri

anche se c’è il sole per me è sempre brutta la giornata non era così il primo periodo quando abbiamo cominciato c’avevo l’ansia ma ero contenta lo aspettavo col cuore in gola mica c’avevo più speranze di ora però era tutto nuovo eravamo innamorati come scemi ci sembrava tutto facile quando dice il primo giorno Giuseppe vuol dire quel giorno che mi ha fatto la dichiarazione in mezzo alla piazza per lui quelli sono i ricor-di più belli per me no ero solo una ragazzina che ne sapevo dell’amore l’ho capito da grande che l’amore non è cosa per ragazzini è una cosa che prende allo stomaco non è mica una cosa allegra non è che stai sempre bene quando c’hai l’amore anzi certe volte stai malissimo solo che non ne puoi fare a meno dalle cose che dicono dei drogati mi sembra la stessa cosa che fa male e non puoi stare senza

io sono lo stesso sono drogata ma indietro non voglio tor-nare lo sapevo come andava a finire quel giorno che l’ho invi-tato a bere il caffè l’ho capito da come mi ha guardato quando era nella lolla di suo cugino tutto il tempo pensavo a quando mi baciava

ero sicura che lo faceva anche se dice «non avevo capito niente» lui è sempre così non lo capisce mai quello che sta per succedere sembra che a lui le cose gli capitano senza che se ne accorge magari così si trova le scuse per pensare «non è colpa mia» me lo immagino quello che c’ha in testa «quel giorno ha fatto tutto lei non è colpa mia se tradisco mia moglie è Elena che mi ha chiamato a bere il caffè» pensa così ed è tranquillo però fa sempre il fatto suo

io tranquilla non sono mai ma non è per mia sorella è quest’amore che mi fa tormentare è un veleno finché non mi ammazza lo cercherò sempre sono disperata per lui lo vorrei tutto mio e pure se eravamo sposati di sicuro c’erano cose

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che non potevo sopportare magari se andava a caccia o al bar voglio che pensa sempre a me e basta che non gli interessa delle altre persone e delle altre cose io sono così a me non me ne importa niente di nessuno io lo amo di più magari tornare come la prima volta che parlavamo sembrava che sulla terra c’eravamo solo noi subito come mi ha baciato l’ho capito che era quello l’amore è una cosa che l’avevo sognata tutta la vita anche con mio marito quando sognavo che arrivava un uomo bello e forte a salvarmi da quello schifo

mi baciava e mi mordeva Giuseppe quel giorno faceva ru-mori strani con la gola come una bestia io ero come la prima donna che bacia il primo uomo non era possibile che qualche d’un altro si voleva così come ci volevamo noi mica lo sapevo la croce che mi aspettava quando mi abbracciava e mi soffo-cava non gli bastava rimanere attaccati sembrava che voleva mischiare la sua carne con la mia sentivo tutto in mezzo alle sue gambe anche se eravamo ancora vestiti però non c’aveva fretta eppure aveva aspettato un sacco di anni si strofinava ad-dosso a me come un animale poi si calmava mi guardava negli occhi e mi accarezzava la guancia dopo mi soffocava di nuo-vo a momenti sembrava che c’aveva paura di rompermi tutto delicato e dopo mi stringeva come se mi doveva spezzare la schiena come se non poteva trovare il modo per dimostrar-melo quanto mi voleva

mi diceva «dammi un bacio» mi stava pregando come un men-dicante io sorridevo perché i baci non glieli stavo negando figu-riamoci non gli potevo negare niente e poi parlava parlava penso che ha detto più parole quella sera del resto della sua vita «sei bel-la sei bianca come una stella» e come mi baciava il seno «non l’ho mai vista una cosa così sono in paradiso» e come mi ha aperto le gambe e mi ha baciato anche lì sempre parlava «sei la vita mia non mi voglio più staccare da te» io lo tiravo su e lui «no voglio rimanere così per sempre qui c’è un profumo che neanche i santi l’hanno sentito mai» io pensavo che a nessuna donna era capitata una cosa così perché se no erano tutte impazzite

non me l’aspettavo così l’amore me l’immaginavo una cosa bella ma un tormento così non si può immaginare si può soltanto vivere se me lo ricordo i sogni che facevo

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da ragazzina l’amore per me era una contentezza come un paio di scarpe nuove non ne sapevo niente solo come ce l’avevo attaccato addosso che gli tiravo la camicia per sen-tirgli la pelle sulla mia pelle l’ho capito cos’è l’amore mi sentivo una libertà che non l’avevo provata mai siamo finiti nudi sul pavimento anche se era freddo mi piaceva come ci guardavamo negli occhi eravamo affannati come due che hanno scalato una montagna poi come stava entrando den-tro di me mi ha baciato ogni volta che lo facciamo me ne ricordo ed è ancora così perché mi viene il batticuore come quel giorno

di domenica mattina sempre la stessa cosa mi ricordo di quando eravamo felici ora non è più così mica c’ha la stessa faccia quando torna dall’ospedale mi fa scoppiare il cuore dal-la tristezza e già il malumore mi viene quando sono da sola penso sempre oggi non verrà semmai gli capita qualche cosa o magari a Margherita

per me non ce ne sono buoni motivi io per andare da lui posso ammazzare qualcuno non mi ama abbastanza mi viene la disperazione mi vergogno di andare a cercarlo lui dice «sono sempre tornato da te e tornerò sempre» ma quando arriva la domenica mattina non sono più sicura allora mi faccio la mes-sa in piega mi faccio le unghie e mi trucco solo che finisco di prepararmi troppo presto sono come quelle rose che appassi-scono nel negozio perché non le ha comprate nessuno

oggi verso le due ho sentito passi nel cortile era troppo pre-sto lui non poteva essere infatti era zia Luisicca mi ha porta-to un pane appena fatto non le ho offerto manco il caffè se arriva Giuseppe non voglio che lo incontra nessuno mi secca però fare così non mi posso manco consolare a chiacchierare con una vicina vedrai che a furia di fare la maleducata non ci viene più nessuno a trovarmi così quando lui si sarà stancato di me rimango da sola

mi ha rovinato la vita me ne vado da mio figlio magari Enrico Maria è contento vai e cerca come sono i ragazzi semmai quello lì si porta le pivelle a casa e non mi vuole in mezzo ai piedi e poi tanto anche se sono a Cagliari tutto il tempo penso di sicu-ro a Giuseppe che strano come mi piaceva vivere a Cagliari da

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ragazza e anche da sposina ora se sono qui mi sembra che ci voglio tornare poi se ci vado mi stanco non sono più abituata e poi anche a teatro chi mi accompagna non sto bene qui e non sto bene lì non sto bene da nessuna parte

alle tre come arriva Giuseppe all’inizio sono contenta ma già mi passa subito con quella faccia da funerale che c’ha par-la piano piano «ciao» mi guarda come se mi vuole dire «vedi cosa mi fai fare è colpa tua se tradisco mia moglie» questa cosa qui la penso anche io certi giorni che c’ho la colpa di tutto se Margherita è ammalata se la figlia non mangia se mamma non esce anche babbo morendo mi ha guardato con quegli occhi tristi mi sembrava che era colpa mia se babbo stava morendo magari se io lo lascio a Giuseppe Margherita guarisce la figlia è più contenta e mamma non si vergogna più della gente bab-bo no lui non ritorna di sicuro

vai e cerca invece se non è tutto il contrario mia sorella mezza matta è stata sempre e la figlia è uguale a lei poi mamma non ha voluto mai frequentare nessuno e babbo moriva lo stesso anche se io mi facevo suora poi io non ce la farò mai a lasciare Giusep-pe anche se ci penso sempre a questa cosa qui magari è meglio se lo lascio in pace così non è più triste non si sente più un cattivo marito e un cattivo padre magari lui vuole che lo lascio

lo odio perché si fa un sacco di scrupoli per Margherita a me non ci pensa mai ed è proprio questa cosa qui che sto pensan-do manco ciao gli dico solo «come sta» lui fa un sospiro e si versa un bicchiere di vino «lei sta come sempre e tu» mi viene voglia di prenderlo a schiaffi quando fa quella faccia da cane bastonato meglio uno che se ne frega di uno come lui sembra che solo io sono la carogna spreca tutte le energie per gli altri invece di pensare a me

non ce la fa neppure ad abbracciarmi si sente in colpa ma-gari da me non ci viene per amore solo per pietà allo stesso modo come va dalla moglie magari gli scoccia lasciarmi ma io la sua pietà non la voglio gli rido in faccia anche se lo so che quando faccio così diventa anche più triste di prima però sono soddisfatta almeno è triste per me

non ce la faccio a stare zitta «come vuoi che sto ti ho aspet-tato solo quattro o cinque ore» ogni volta che dico così gli vie-

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ne il nervoso «lo sai che prima delle tre non vengo di dome-nica lo sai dov’ero» e anche se lo so intanto io l’ho aspettato ugualmente dalla mattina quindi non è che ho detto una bugia mi stanco ad aspettarlo e alla fine mi sento male e non me ne frega niente dei suoi doveri di dove era mi viene soltanto vo-glia di farlo sentire male almeno si sente male per me

quando sono così gli dico cose che lo fanno arrabbiare «che ne so dov’eri io so solo quello che mi dici tu chissà quante bugie mi dici» invece lo so che dice la verità diventa tutto ros-so «l’ho capito che vuoi litigare» si mette a gridare «lo sai che non la posso abbandonare come un cane lo sai che è malata» poi si siede e si prende la testa fra le mani ma non mi fa mica dispiacere semmai se soffriva per me allora sì che correvo a consolarlo invece è per Margherita che è triste io la odio per-ché lo fa disperare così

sono troppo arrabbiata non lo so più che cosa mi esce dal-la bocca quando comincio così lo so dall’inizio che dirò un sacco di cose brutte di quelle che dopo una si pente «lei è contenta di essere ammalata così ti tiene legato la sua malattia le fa comodo non si sa bene quello che c’ha un giorno sono le gambe e un giorno le mani quella è alla testa che è malata le malattie se le inventa per farci dannare a tutti quanti a lei non gliene frega niente di nessuno manco di sua figlia non c’ha voglia di guarire anche quando eravamo piccole sempre così era contenta quando si ammalava che erano tutti a sua disposizione e portami questo e fammi quello a lei non le fa comodo di guarire non se ne fa niente della vita senza la malattia non gliene frega niente se vi rovina la vita a te e a Ca-terina sono stata una stupida a fidarmi di te quando mi dicevi che tutto si aggiustava prima mi volevi ancora non eri come adesso che non te ne frega più niente di me» l’avevo giurato che non gliene facevo più di queste scenate mi maledico per tutte le cattiverie che mi escono mi viene da piangere

già c’abbiamo poco tempo e per colpa mia lo sprechiamo litigando piango in piedi davanti alla finestra e non trovo manco il gusto di guardare i mandorli fioriti prima non ero così non ce l’avevo questa angoscia di cattiverie così non ne pensavo quando abbiamo cominciato dieci anni fa ero

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tutta innamorata e sognavo guardando il giardino coi fiori ero ingenua pensavo «ogni cosa si aggiusta vedrai come saremo felici insieme»

Giuseppe c’ha lo sguardo disperato «cosa ti è successo Elena cosa devo fare con te non ce la faccio così» allora mi viene il di-spiacere perché lui è buono e io sono cattiva non ero così quando si è innamorato di me penso mi lascia questa volta mi lascia si è stancato di me perché gli rendo la vita impossibile come Marghe-rita lo voglio abbracciare ma c’ho paura che non mi vuole nep-pure vicina e allora rimango vicino alla finestra a piangere meno male che c’ha quello sguardo che fa quando mi vuole

io non lo so come sono gli uomini anche litigando gli ven-gono certi desideri allora mi butto sopra di lui e gli chiedo perdono piango e lo accarezzo gli dico ti amo mi sembra un miracolo che è ancora mio una cosa come quando una madre pensa che il figlio è morto e lo trova vivo quando faccio sce-nate così facciamo sempre l’amore però gli rimane la tristezza anche dopo e mi accarezza piano piano come una bambina poi se ne va sempre

se le cose andavano come dovevano andare rimaneva con me era mio marito preparo la caffettiera non me ne impor-ta più nulla di rovinarmi il trucco mi posso anche spettinare tanto lui non c’è più e ricominciano i pensieri brutti Giuseppe non mi ama se no rimaneva con me e non era mai triste per la moglie la mia di colpa lui non la mette in conto mai mica se lo ricorda che ho trascurato mio figlio per lui l’hanno allevato i nonni da quando me ne sono venuta qui prima di cominciare con lui venivamo insieme di domenica io e Enrico

Giuseppe non lo sa nemmeno che babbo prima di morire mi ha fatto quell’occhiata gli ho spezzato il cuore a babbo e anche mamma poverina è invecchiata tutto in una volta poi ogni mattina mi tocca farmi coraggio per andare a comprare il pane lo so io come mi guardano ma sopportavo tutto se non lo dovevo vedere ogni volta che se ne va con quella faccia da assassino dopo che lo facciamo scappa e io neppure posso dire resta con me figurati non sono manco sicura che torna

se ci penso come poteva essere diversa la mia vita se non avevo fatto quella stupidaggine non è giusto che lo devo

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pagare così ero una ragazzina non sapevo niente della vita e dell’amore c’avevo sedici anni l’ho capito dopo che per me avevano deciso mamma e zia Assunta mica c’ho rancore loro erano convinte di farlo per il mio bene e poi alla fine non lo sapevo manco io che cosa era meglio per me mi sem-brava tutto un gioco che ne sapevo che cosa vuol dire amare un uomo mi sembrava una cosa come ballare un valzer o an-dare a teatro col vestito elegante il marito me lo sono scelto come una pettinatura nuova mica lo sapevo le cose che si fanno nell’intimità

non è che qualche cosa non l’avevo capita però non ci pen-savo mai mi sembrava troppo schifoso credevo che la gente lo faceva soltanto per fare i bambini pensavo che mamma e babbo l’avevano fatto due volte soltanto dev’essere che mi sono convinta così da quella volta che zia Cristina stava par-lando del marito della sorella «che schifoso le ha fatto fare otto figli» quindi era una cosa schifosa farlo anche otto vol-te durante tutto il matrimonio figurati se me l’immaginavo che mi toccava farlo tutti i giorni con Giommaria mica mi sembrava uno schifoso da fidanzati pensavo basterà due o tre volte al massimo

magari tre volte in tutto il matrimonio si poteva sopportare adesso invece con Giuseppe non mi basta mai insomma un errore che ho fatto da ragazzina lo sto pagando e alla fine pago io più di tutti mamma la sua vita l’ha vissuta mia sorella c’ha il marito che non la lascia e Giuseppe a lui la gente non lo guarda come guardano a me lui se ne va a caccia dai compari e al bar tutto contento e io sono sola sempre anche quando lui è qui perché lo so dov’era prima e le so le preoccupazioni che c’ha

qui ci rimane poco e dopo che lo facciamo se ne ritorna a casa sua a mangiare e a dormire non resta mai con la scusa che la gente parla ma tanto parlano lo stesso non è per quello che se ne va è che c’ha il rimorso allora gli dico «vattene e non tor-nare» io c’ho soltanto a lui marito non ne ho più il figlio l’ho lasciato crescere ai nonni per rimanere vicino a Giuseppe lui alla figlia non l’ha mica abbandonata per me come la nomina a Caterina si capisce che per lui è la cosa più importante

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io sono davvero una mamma cattiva e anche una cattiva fi-glia per quello sto sempre piangendo ma tanto non c’è niente da fare quando una ha fatto quello che ho fatto io non si può più tornare indietro me ne accorgo che gli altri mi giudicano male però mi viene voglia di gridare che lo amo a Giuseppe e che non mi sono pentita che c’ho il coraggio di fare anche peggio invece lui di coraggio non ne ha va e viene di nasco-sto come un ladro se mi incontra nella strada mi saluta come un’estranea tutto da sola lo devo sopportare il disprezzo della gente a volte sogno che non lo amo più e sono libera ma tanto lo so che non ce la faccio se me lo vedo davanti

mi stanno venendo le rughe anche gli occhi sono cambiati ce li ho sempre gonfi perché piango tutti i giorni il collo prima sembrava di porcellana adesso sembra il collo di una gallina e poi sono magra non c’ho più tette sono passata dalla terza alla seconda prima almeno ero bella ora manco quello che dispera-zione senza la bellezza come me lo tengo a Giuseppe me l’im-magino la vita mia senza di lui magari c’ho un peso in meno non lo devo più aspettare non mi tormento più non c’ho più il so-spetto che rimane con me solo per pietà tutto finito me ne posso andare da qui me ne vado da mio figlio invece non è vero niente non ce la farò mai ad andarmene senza Giuseppe la mia vita non conta niente io senza amore non so vivere non lo so come farà lui a stare tranquillo andare e tornare mangiare e dormire

prima di cena viene Rosa a trovarmi mi fa spaventare ogni volta come entra tutta silenziosa e si mette vicino alla cre-denza è l’unica amica che ho mi guarda con quegli occhi che sembra un uccello «pianto oggi pure hai» c’ho paura che non ce la fa a sopportarmi magari prima o poi si stufa delle mie lagne e poi anche lei c’ha i suoi problemi col babbo ammala-to allora mi sforzo e faccio finta che mi interessa come sta il babbo anche se a me non me ne importa nulla però lei capisce tutto del babbo dice poco «sta sempre morendo quello lì ma non muore mai»

non è che non gli vuole bene solo che è stanca poverina e poi è troppo brava ogni domenica viene a consolarmi lo sa come sono di domenica sera si versa il caffè «è venuto oggi quello lì l’ho visto quando se ne andava cos’è che ti ha detto

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per farti piangere» a Giuseppe non lo chiama mai col suo nome sempre “quello lì” lei mi guarda in un modo diverso da-gli altri non c’ha pietà e neanche mi disprezza mi vuole bene davvero le dispiace che sto male

a Giuseppe lo odia lo capisco dalle cose che dice «la devi smettere di sentirti una disgraziata ne abbiamo tutti di tor-menti devi fare qualche cosa se continui così ti ammali» mica ci crede che non c’è niente da fare che non sono contenta mai né quando lui è qui né quando non è qui

Rosa come mi vede disperata mi tratta come una bambina e mi accarezza «io queste cose non le posso capire io mi sono presa uno bravo lui mi tratta bene stiamo crescendo i bambini sto bene così però io non ero bella come te tu eri una cerbiatta mica ti potevi accontentare di uno bravo dovevi trovare un amore grande ma perché non te lo sei sposato subito a Giu-seppe eravate innamorati dal giorno del mio matrimonio mi facevate anche invidia perché a me Antonicheddu non mi ha guardato mai come ti guardava lui»

a me mi sembra impossibile questa cosa qui che una se ne rimane tranquilla con un uomo senza aspettare e sperare sen-za tormentarsi magari se c’eravamo sposati con Giuseppe a quest’ora ero anch’io così o magari no perché io sono una disgraziata

non lo potrò mai sapere cosa vuol dire con Rosa mi posso sfogare posso dire tutto «a babbo l’ho fatto morire di dispia-cere ho svergognato la famiglia anche mamma prima guarda-va tutti dall’alto in basso invece ora c’ha vergogna di uscire di casa va alla prima messa per incontrare poca gente quando le chiedo come stai mi dice aspetto solo la morte e come starà morendo mi toccherà vederlo anche a lei quello sguardo me-glio se muoio io stanotte stessa così finisce tutto»

Rosa mi sa calmare «ma vai che tua mamma è forte stai tranquilla che già non sta morendo beata te che ce l’hai ancora io quando è morta mamma pensavo che morivo con lei» ma non lo sa come sono cattiva io che mi fa più dispiacere se mi lascia Giuseppe della morte di mamma comunque come mi accarezza mi fa bene «quand’è che le facciamo le formaggelle che Antoniccheddu le sta desiderando»

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mi sembra strano che il marito la lascia venire qui con le cose che dicono di me in paese ma lei si mette a ridere «io vado dove voglio mica glielo chiedo a lui lavo stiro e faccio da mangiare ci manca che dopo devo chiedere il permesso per uscire e poi ti vuole bene anche lui dice sempre quella pove-retta che fine ha fatto bella com’è» io se Giuseppe dice che un’altra è bella mi arrabbio moltissimo ma Rosa non è mica gelosa se il marito dice che sono bella

si mette a ridere «ma vai che quello lì senza di me non vive se ci sono altre donne più belle di me non gliene importa me lo sono scelto me lo sono sposato e lui è contento così» io mi sento una cretina perché non ho fatto come lei anche io me l’ero scelto a Giuseppe però non me lo sono sposato e lei questa cosa qui non la capisce «tu eri troppo bella ti volevano tutti ti hanno confuso le idee ma chissà se lo volevi almeno un pochettino a tuo marito»

non glielo so spiegare la soddisfazione che mi faceva quan-do mi vestivo e arrivava Gimmi tutto elegante mi portava a teatro e intorno a me c’era solo gente in abito tutti profumati le donne con i gioielli e la pelliccia e l’indomani mi mandava mazzi di fiori mi vergogno che ero così scema

Rosa non lo sa che cosa vuol dire andare a prendere l’ape-ritivo quando il sole sta tramontando con quel venticello di Cagliari che solleva la gonna lei non l’ha visto mai dal Bastio-ne il cielo rosa sopra il mare quando una è com’ero io a sedici anni le sembra tutto magico ogni cosa deve andare bene come nei film

la mia vita però è cominciata come una commedia e sta fi-nendo come una tragedia non lo so se mi passerà quest’an-goscia non le so rispondere «non me lo ricordo se lo volevo a Giommaria io sono un’altra persona ora sono sempre triste e penso solo alla morte» come sente così le viene la tristezza «parli così ora che sei ancora giovane vedrai che quando la morte si fa vicina la temi pure tu come tutti»

allora mi arrabbio perché certe volte mi sembra stupida non capisce quello che voglio dire e mi metto a urlare sicuramente c’ho la faccia da pazza lo capisco da come mi guarda gliene dico di cose «penso alla morte di tutti di mamma perché non

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ho voglia di avere anche quel rimorso di mio figlio e c’ho pau-ra di essere sola da vecchia io mi preoccupo soltanto per me per questo dolore che c’ho» poi lo dico piano piano «penso alla morte di Giuseppe ci penso sempre e non mi fa tristezza anzi così sono libera almeno sono triste ma non mi tormento più» mi guarda Rosa e si capisce che non mi crede mi fa fasti-dio come sorride con i denti cariati «dici così perché sei stanca e ti stai esaurendo»

mi prende una rabbia non capisco più nulla mi metto a gri-dare «voglio la morte di tutti oggi stesso e più di tutti voglio che muore quella schifosa che mi ha avvelenato la vita tanto lei non se ne fa niente lei è viva solo per tormentarci tutti» dopo sto zitta l’avrà capito che sono un demonio ora si gira e se ne va invece le vengono le lacrime «non ci credo a quello che dici tua sorella c’ha il tuo sangue vai a confessarti che dopo se muore qualcuno non te lo perdoni più quello che hai detto» poi si arrabbia «è tutta colpa di quello lì se sei in queste condizioni che razza di uomo uno che si corica con la sorella della moglie se era un uomo non se la sposava nemmeno a tua sorella perché è a te che voleva e adesso fa quella faccia triste che c’ha la moglie ammalata sembra bravo però se ne viene da te a fare gli affari suoi se era un uomo si decideva o te o lei e non difenderlo ché ti ha rovinato la vita anche da vecchia sentirò sempre dalla tua bocca il nome di quello scomunicato» arrabbiata così non l’avevo vista mai magari è gelosa

io lo difendo «non lo capisci a Margherita non la può lascia-re e senza di me non c’ha nessuno ha bisogno di me non lo lascio anche se mi devo dannare l’anima tanto l’anima mia è già dannata e non me ne importa nulla siete tutti uguali pove-rina Margherita e poverina tua mamma invece poverini siamo io e lui non lo lascerò mai» dopo che dico così non vedo l’ora che Rosa se ne va meno male che si alza sembra che lo dice tanto per dire «domani facciamo le formaggelle» e anche io dico di sì ma non lo so se ne avrò voglia domani semmai viene Giuseppe

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XVII

Caterina e La zavorra deLLe donne

oramai Marcello e Giangi mi considerano davvero una com-pagna cioè mi baciano sulle labbra per salutarmi è una figata proprio come sognavo io all’inizio avevo sempre la paranoia di fare la figura della soggetta mi sembrava impossibile che mi accettassero invece l’ho capito che ce l’hanno anche loro quella malinconia strana del tipo che ti senti sospesa nel vuoto non è tristezza è come aspettare non so cosa un’emozione che fa battere il cuore una speranza di chissà che

Marcello sta suonando la chitarra allucinante una musica bellissima che fa venire voglia di piangere però non è come a casa con babbo e mamma cioè quella è un’angoscia invece con i compagni è diverso puoi essere anche triste in silenzio ma sei libera cioè è meraviglioso sapere che non sono più sola

Giangi sta facendo un joint però dopo un casino di tem-po che siamo zitti a bere vino e fumare mi viene la paranoia magari se non c’ero io quei due chissà che cosa dicevano vaf-fanculo sta a vedere che mi sono illusa porca puttana mi devo rilassare cioè siamo liberi e basta mica è obbligatorio parlare sempre però magari quando non ci sono io ai collettivi fanno discorsi intelligenti comunque bevo e fumo anch’io speriamo che non mi chiedono nulla magari se non succede niente è meglio così non viene fuori di tutti i libri che non ho letto

Marcello si mette a ridere «e dire che dovevamo fare il col-lettivo» cazzo tanto stupida non sono alla fine cioè l’avevo pensato anch’io però faccio male a sentirmi figa perché lo chiede a me «tu che libri leggi» mi scende un colpo che cazzo gli dico

io ho letto solo i libri che mi consigliava la mia professo-ressa e neanche tutti cioè era una compagna ma vai a vedere se sono i libri giusti cioè quella c’ha cinquant’anni sarà pure comunista ma è vecchia che sfiga non gli piacerò mai a Mar-cello meglio prendere tempo tipo a scuola quando non avevo studiato glielo chiedo a lui «tu che cosa leggi» magari se c’ho

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culo dice qualche titolo che conosco «leggo di tutto cioè pri-ma perché ero un soggetto e rimanevo sempre rintanato in casa coi libri ero l’orgoglio di mamma e papà» minchia mi prende un accidenti

non mi hanno abituato a dire papà io dico babbo mi devo ricordare di non dirlo mai davanti a lui se no ci faccio la figura della biddaia merda con queste paranoie mi sono persa anche metà di quello che stava dicendo «sono cambiato e fine del bravo ragazzo»

Giangi se la ride «è per quello che i tuoi genitori mi odiano» ridono insieme si capisce che sono amici da un casino «sono due borghesi di merda meglio per te se gli stai antipatico quel-li sperano prima o poi cambia e diventa come noi cioè devi vedere la faccia che hanno fatto quando mi sono iscritto in Lettere sono borghesi quindi sono fascisti e i fascisti la odia-no la cultura volevano che diventassi avvocato o ingegnere o medico»

mi stavo già rilassando ma facevo male perché mica se l’è dimenticata la storia dei libri «allora Marx e Lenin li hai letti» cazzo che stronza Graziano me li ha anche prestati un paio di libri ma non li ho neppure aperti mi tocca dire di no c’ho la faccia di fuoco anche se faccio finta che è tutto normale e lui mica cambia argomento «neanche “Il Capitale” hai letto» cioè mi sento come quando nonna mi scopriva una bugia mi tocca dire di nuovo no

si guardano e scoppiano a ridere ci rimango di merda cazzo che vergogna e meno male che ho già bevuto un casino di vino e ho fumato cioè è una fortuna che sono sballata almeno non mi concentro sul pensiero che non sono una vera compa-gna figurati la paranoia se mi capita una figura di merda come questa quando sono sobria

già lo penso anche ora che non mi cagano più magari mi stanno prendendo per culo mi viene voglia di andarmene semmai aspetto il momento che c’hanno gli occhi chiusi tanto che cazzo gliene frega di me

però se me ne vado oggi il coraggio di ritornare al collettivo non lo trovo più meglio che rimango tanto il danno è fatto cioè ormai lo sanno che non ho letto “Il Capitale” la storia è

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comica alla fine doveva saltare fuori che non ho letto niente di Marx e di Lenin certo che sono proprio messa male cioè che cazzo di compagna è una che non ha letto manco “Il Capitale”

per ora non è cambiato niente Giangi si mette a rollare un altro joint Marcello mi mette una mano sulla spalla e mi acca-rezza la nuca che figata mi vengono i brividi mi appoggio sulla sua spalla mi mancano le forze certo non ci speravo stamat-tina e figurati dopo la storia dei libri magari mi sto illudendo magari è normale fra compagni accarezzarsi

però forse gli piaccio davvero mi abbraccia e mi bacia il collo cazzo che figura di merda se svengo proprio in questo momento mi secca anche per Giangi che facciamo come se non ci fosse magari anche questa cosa è normale e infatti si rannicchia sotto l’eskimo con gli occhi chiusi e io sono pro-prio una cogliona che non si sa godere niente cioè mi viene la paranoia che Giangi c’è abituato a vedere Marcello che bacia una ragazza

e io scema che mi stavo illudendo di piacergli cioè sicura-mente lo fa con tutte figurati che cazzo gliene frega di una che non ha letto niente cioè sono sicura che Camilla “Il Capitale” l’ha letto chissà i discorsi che fanno tipo parleranno della dit-tatura del proletariato io non c’ho niente da dire neanche dei pochi libri che ho letto penserà che sono una piccoloborghese e pure biddaia magari era meglio se rimanevo in casa a stu-diare in questi anni anziché andare a passeggio con Graziano almeno riuscivo a spiccicare due parole

io non ho mai la mia opinione non so distinguere se un artista è rivoluzionario o borghese sono proprio una cogliona tipo ora che stanno parlando di strategie di lotta non saprei dire nulla cioè devo sempre sentire il parere degli altri sennò non so bene che cosa pensare per esempio quella storia del mese scorso che sono andati ad ammazzare i fascisti in una sezione del MSI a Roma

lo diciamo sempre che ammazzare un fascista non è un re-ato però cazzo erano ragazzi non glielo posso dire a Marcello che mi fa impressione sono morti giovani magari erano come me magari non capivano niente e non avevano letto niente

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uno dice sono morti tre fasci sembra una cazzata ma se me lo immagino che non gli batte più il cuore che cazzo ne so mi viene in mente che magari la ragazza sarà disperata

poi uno ci poteva essere finito anche per caso in quella se-zione che ne so magari c’era andato la prima volta quel giorno insomma non ce l’avrò mai il coraggio di dirlo forse io non capisco un cazzo e sono una piccoloborghese ma questa mi sembra proprio una porcata che erano lì a parlare e sono mor-ti ammazzati a vent’anni la mia età avevano

comunque neanche Marcello è d’accordo con i compagni che hanno sparato «non è che me ne frega un cazzo di un paio di fascisti ammazzati però così non ci facciamo capire dal proletariato questi sono gesti estremisti questa non è una forma di lotta condivisa dal movimento capisci non è popo-lare» ora che lo sento sono proprio d’accordo con lui cioè se parlavo io era il discorso di una qualunquista

Giangi è sicurissimo che hanno fatto bene «qui bisogna dar-si una mossa prima che la finiamo di nuovo tutti con la testa abbassata loro sono l’avanguardia del resto dove il movimen-to operaio è veramente forte come a Torino la lotta armata è condivisa da molti compagni nelle fabbriche» chissà se c’an-drebbe lui davvero con la pistola mica è come alla televisione lì senti le urla l’odore del sangue e c’hai paura di morire

che cazzo ti rimane in testa dopo che hai ammazzato un ragazzo chissà se te ne dimentichi chissà se ce la fai ad ad-dormentarti meglio che non dico niente l’ho già fatta la mia figura di merda per oggi e poi chi ce la fa a parlare con Mar-cello che mi mette la mano sotto il maglione il cuore mi sta scoppiando

lui continua a parlare «macché avanguardia questi continuan-do così al movimento gli danno il colpo di grazia ricordati quello che diceva Lenin sull’estremismo vedrai che il riflusso lo accelerano non siamo pronti per l’insurrezione armata» io non sono pronta di sicuro spero che quando facciamo la ri-voluzione non mi dicono di andare ad ammazzare la gente almeno non da vicino

magari una può mettere una bomba e scappare prima dello scoppio che ne so è sempre meglio di stare lì a guardare la

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gente morire però magari mi cago pure a mettere le bombe insomma anche come rivoluzionaria non sarò granché

Giangi è sballato come una capra a rispondere ci mette un casino «sì sì lascia passare il tempo così tutte le energie del movimento se ne vanno in fumo la gente si sta rincoglionen-do davanti alla televisione non lo capisci che stiamo perdendo il momento buono non c’è mai stato un momento così dal ‘45 se non facciamo qualcosa ce la mettono in culo come allora»

Marcello è bellissimo come scuote la testa e i riccioli mi ven-gono in faccia «non capisci i compagni che ora vengono con noi alle manifestazioni quelli tipo Caterina non sono pronti ri-schiamo di allontanarli poi guarda il PCI sarà pure revisionista ma è sempre il più grande partito popolare mica puoi fare la rivoluzione contro il PCI vedrai che cazzo succede vedrai che questi stronzi non fanno altro che dare forza alla repressione Cate tu cosa ne pensi della lotta armata»

minchia ora mi tocca rispondere mi trema la voce non so dove lo trovo il coraggio «non lo so cioè io la rivoluzione me la sono sempre immaginata con tutti i compagni insieme e poi mi fa impressione per esempio io mica ce la farei a spa-rare a uno così a freddo» dal sorriso di Marcello capisco che non l’ho deluso vaffanculo è andata pure questa cazzo è come dopo un’interrogazione cioè almeno la sufficienza l’ho presa

Giangi sta facendo un altro joint sarà il quarto se fumo an-cora non ce la faccio manco a tornare a casa c’ha la voce im-pastata «i compagni come Caterina ci seguiranno e per quanto riguarda la repressione meglio che sia dura così il movimento si compatta» loro continuano a parlare io non ce la faccio nemmeno a pensare con questa mano che mi accarezza la schiena mi lascio andare sulla spalla di Marcello con gli occhi chiusi è una figata sembra quando ero piccola vicino al camino in braccio a babbo i grandi parlavano e io mi addormentavo

non lo so da quante ore siamo seduti c’ho il culo conge-lato Marcello si alza «ti accompagno» in moto c’è freddis-simo e sotto casa mi prende la mano «posso salire» figurati se gli dico di no però mi cago addosso cioè che vergogna la mia camera con la coperta di nonna all’uncinetto e la federa ricamata di quando ero piccola

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non è la stanza di una compagna cioè di libri neanche l’om-bra e con questa paranoia non mi godo neanche i baci mi toc-ca dappertutto nella scala magari passa qualcuno e mi becca con la gonna sollevata vabbè che non c’è luce in questa scala nell’andito vedo Antonia fa una faccia tipo «che bagassa que-sta qui che si porta i ragazzi in camera» cosa me ne fotte di quello che pensa questa piccoloborghese di merda

della camera non dice niente Marcello si siede a fare un joint e mi chiede da bere meno male che babbo ogni settimana mi porta una damigiana di vino per le ragazze il sapore del vino mi fa schifo però sballa Marcello mi butta il fumo in bocca è una figata anche se non sono proprio tranquilla cioè della camera non ha detto ancora nulla ma non si sa mai anche sta-mattina è venuto fuori con quella storia dei libri

sono proprio fuori tra fumo e vino così libera non mi ero sentita mai baci come questi Venanzio non me ne ha mai dato si capiva che non ci sapeva fare magari di ragazze non ne ave-va baciato altre invece Marcello mi fa sentire strana come se non riuscisse a staccarsi da me dio quanto mi piace come mi accarezza finiamo sul letto è tutto diverso cioè Venanzio non sapeva fare niente tipo quella volta che mi ha toccato sotto le mutande e mi ha fatto male

che paranoia mi prende la mano e se la mette sul cazzo come faccio questa cosa non la so fare proprio se ne accorgerà che non ho fatto mai nulla cioè come se non bastasse che non ho letto Marx e Lenin ora scoprirà che non ho mai scopato infatti mi prende la mano «fai così» devo essere arrossita perché ha capito tutto «è la prima volta» dire di no non posso e dire di sì mi vergogno chiudo gli occhi e lui mi bisbiglia all’orecchio «non preoccuparti» è dolcissimo mi parla come a una bambina

c’ho il cuore impazzito non riesco a muovermi che paranoia mi toglie le mutande e mi accarezza lì con la faccia proprio vicina cazzo nessuno mi ha mai guardato lì così da vicino io sono sempre più spaventata oltre tutto non ho letto “Il Capi-tale” e non sono una vera compagna e pure imbranata meno male che l’ha staccata la faccia dalla mia figa

si avvicina a baciarmi però sento che si avvicina lì sotto me lo immagino che cosa sta per succedermi c’ho paura cazzo

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cazzo non è possibile che entri lì dentro mica ce l’ho il corag-gio di fermarlo ci manca solo quello dopo i libri che non ho letto eccetera lo lascio fare ma è un dolore tremendo merda chi se l’aspettava che facesse così male

non ce la faccio a muovermi cioè mi sembra quando ero piccola che mi tenevano ferma per darmi le sculacciate l’unica cosa che mi distrae è la faccia di Marcello con gli occhi rove-sciati ansima si capisce che per lui è una figata

mi piace farlo godere mi vengono in mente cose che a lui non gliele potrei mai dire tipo «ti amo da morire» però c’ha una faccia che in questo momento gli posso dire di tutto me-glio di no che magari dopo se ne ricorda

è tutto finito non so come dirglielo che mi sta schiaccian-do meno male che si allontana «ma tu non sei venuta» altro che venire una tortura è stata ma non glielo dico di sicuro ci rimarrebbe di merda mi sento anche in colpa che non sono venuta ci mancava solo questo dopo la camera biddaia e i libri che non ho letto magari una vera compagna sarebbe venuta cioè io devo avere qualche repressione strana che non mi fa godere quando scopo sarà colpa di quella stronza di nonna che mi ha educato con un sacco di pregiudizi

ora chi lo sa cosa si deve fare tipo c’è un freddo cane mi laverei e mi metterei il pigiama cazzo che vergogna avvicina la faccia lì sotto c’è anche sangue comincia a leccarmi piano pia-no sono tesa di sicuro non verrò mai allora lo capirà una volta per tutte che sono una repressa non lo vorrà più fare con me

una paranoia quei peli che c’ho nell’inguine e magari puzzo anche mi sto eccitando solo che ogni tanto mi guarda e devo ricominciare tutto daccapo cioè a pensare per i cazzi miei al-trimenti non vengo mai bisogna che mi concentro e che mi rilasso merda a vedere le scene dei film sembra facile quando scopano mica si devono sforzare per venire come me cioè dev’essere che io sono proprio repressa

alla fine ce la faccio mentre lui mi dice «così così» anche se è un orgasmo strano di quelli piccoli piccoli come quando mi tocco e sbaglio il tempo cioè faccio troppo in fretta o troppo in ritardo

il momento più bello è ora che siamo abbracciati e ci diamo bacetti dolci senza gli occhiali Marcello c’ha gli occhi bellissimi

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mi accarezza i capelli mi vengono i brividi è la cosa più languida del mondo starsene zitti a stringerci la mano alla fine non c’è bisogno di dire tante cazzate si capisce da come ci guardiamo valeva la pena di soffrire se dovevo vivere un momento mera-viglioso come questo

alla fine se ne va e corro a lavarmi cristo sono tutta sbrindel-lata lì sotto però sono soddisfatta che ho scopato cioè ades-so non mi devo più vergognare quando gli altri parlano delle loro scopate perché l’ho fatto anch’io e pazienza se mi ha fatto male non sarà mica sempre così cioè mi sento diversa come quando mi sono venute le mestruazioni la prima volta peccato che nonna non lo sa di questo sfregio che le ho fatto lei dice «chi lo fa prima del matrimonio è una poco di buono» vaffanculo a lei mi piacerebbe proprio dirglielo e anche che Marcello mi ha leccato quella lì non si sarà mai fatta leccare figurati si vanta che nonno non l’ha mai vista tutta nuda

non riesco a dormire c’ho i brividi sarà l’emozione o magari mi è venuta la febbre però c’ho anche fame non ho mangiato un cazzo da quella pizzetta di stamattina mi vengono in mente un sacco di cretinate tipo mi ha fatto donna o mi ha fatto sua

certo Marcello non se l’immagina che penso di queste cose ma tanto lui non c’è e posso pensare quello che voglio cioè quando lo incontro la prossima volta farò la figa come se niente fosse però magari se faccio troppo la figa pensa che non me ne frega niente e rovino tutto

figurati se non me ne frega non riesco a pensare ad altro è stato bellissimo anche se mi ha fatto male magari glielo pos-so dire «è stato bello quando abbiamo fatto l’amore» ma che vergogna dire fare l’amore sembra una storia da soggetta cioè sono sicura che Marcello direbbe abbiamo fatto sesso però così non mi piace sembra una cosa tipo cagnolini cioè io non sono come le cagnette che lo fanno con un sacco di cani cioè io vorrei farlo soltanto con lui

è un casino questa storia cioè forse io mi sento che lo amo chissà se lui la pensa come Graziano che l’amore è borghese lui è un compagno è libero e fa sesso quando vuole però se ci penso che magari ieri l’ha fatto con un’altra mi fa un po’ schifo insomma non lo so come si può chiamare quello che abbiamo

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fatto al collettivo femminista dicono scopare ma non mi piace neanche così cioè io mi sono anche emozionata non è proprio una cosa come un’altra magari però a furia di farlo una si abitua e diventa come bere un caffè

ora mi godo il ricordo sotto le lenzuola è una figata si sente il suo odore ma figurati se non arrivava qualche paranoia a ro-vinare tutto cazzo mi viene lo schifo babbo e mamma chissà quante volte l’hanno fatto cioè solo se mi viene in mente che mamma c’ha la figa vomito

cazzo non c’avevo mai pensato fino a oggi mi sembrava che l’avessero fatto una volta sola per farmi nascere invece mi sto ricordando di certe volte che si abbracciavano e si guardavano in quel modo strano che mi faceva incazzare sicuramente l’ave-vano appena fatto o lo stavano per fare maledetti ma guarda se con questa paranoia dovevano riuscire a rovinarmi anche la mia prima volta adesso l’ho capito perché certe sere babbo diceva «sono stanco andiamo a letto» quando era ancora presto brutto porco me lo ricordo come sbadigliava e si stiracchiava

forse c’entra col sesso che facevano babbo e mamma quel sogno che ho fatto ieri notte avevo comprato una moto rossa che costava un casino ma era comodissima e la portavo al bar dell’angolo di via Roma il barista era un compagno dentro il bar c’era babbo ma era grasso e c’aveva i baffoni neri il barista lo rimproverava «non la devi tradire a tua moglie» e lui cioè babbo le bugie le sa dire benissimo infatti fa «no no io la amo mia moglie non la tradisco» e quando entro nel bar capisco che babbo è mio marito ed è anche Enrico di Navarra e allora lui cioè Enrico di Navarra per dimostrare che ama sua moglie mi bacia e mi ficca la lingua in bocca ma nel frattempo guar-da il barista per vedere se si convince ma quello niente lava i bicchieri scuote la testa e dice «non cambierai mai» io sono d’accordo col barista e siccome è un bugiardo quando mi dice «perché hai speso tutti i soldi per quella moto» faccio la para-cula come lui «è una poltrona per quando sarai vecchio»

certe volte sto sognando e mi sembra tutto chiaro e logi-co poi da sveglia è allucinante cioè le stesse cose del sogno sono diventate assurde non vogliono dire un cazzo è come

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se quando dormo fossi un’altra persona tipo mica ho so-gnato marcello cioè se fossi stata la stessa non me lo sarei dimenticato quello che è successo ieri appena me lo ricordo mi risalgono le paranoie tipo libri che non ho letto e peli lunghi nell’inguine eccetera

sono proprio una cogliona magari dovrei andare dallo psi-cologo a capire dov’è la repressione cioè è sicuro che c’ho qualcosa di guasto altrimenti penserei solo che era una figata come ci baciavamo meno male che avevo già baciato Venan-zio almeno in quello non ero tanto imbranata perché per il resto cristo sono stata sicuramente una frana però così tanto schifato non sembrava quando mi ha salutato «ci vediamo lu-nedì» insomma alla fine non è che sono proprio di buonumo-re però mi sento più viva del solito figurati c’ho pure fame

non ci vuole nulla a rovinarmi l’umore basta un pensiero del cazzo di quelli che mi so inventare io al momento giusto tipo che oggi è sabato e c’ho tutto da lavare manco una mutanda pulita e non parliamo degli asciugamani anche le lenzuola fan-no schifo peccato che andrà via l’odore di Marcello quindi mi tocca andare in paese vabbè tanto prima di lunedì non lo vedo

mi alzo a farmi un caffellatte merda oggi ho davvero fame in cucina Antonia mi guarda con un sorrisino cazzo ci manca poco che le racconto tutto cioè fino a oggi un’amica non l’ho avuta mai al liceo mi facevano cagare quelle che si confidavano le storie d’amore invece oggi mi piacerebbe magari c’ha ragione Graziano che l’amore è una cosa borghese cioè da ieri sera sono diventata anch’io come quelle sceme qualunquiste del liceo

comunque con Antonia non posso parlare di sicuro prima di tutto lei non ne capisce un cazzo e poi magari lo racconta anche in paese ci manca che lo venga a sapere nonna cioè le starebbe bene però non voglio che mi rompa i coglioni

mi sento una profuga ogni volta con questa valigia caz-zo sta piovendo come un matto io l’ombrello non ce l’ho avuto mai che depressione questa gente allucinante sotto i portici tutti piccoloborghesi o forse saranno anche prole-tari ma compagni no di sicuro le signore con la borsetta gli uomini nei tavolini guardano le donne con l’aria da porci e borbottano certi giorni è proprio merdosa questa città in

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giro ci sono solo mostri tipo questa signora coi baffiè proprio una merda la società capitalista in città ognuno si

fa i cazzi suoi però anche in paese è uno schifo cioè lì ognuno si fa i cazzi degli altri alla fine arriva il pullman allucinante ogni volta mi viene il vomito a leggere la scritta col nome del paese dentro c’è un odore caldiccio di gente che non si lava mi sento una deportata speriamo che non si sieda nessuno a fianco a me così posso pensare a Marcello senza rotture di palle

allucinante come mi sembra di averlo ancora dentro chissà come si può chiamare questa cosa che abbiamo fatto non l’ho ancora risolto questo problema e poi c’è anche quell’altra sto-ria di come ho goduto una storia diversa da quando lo faccio da sola insomma in queste due ore di viaggio posso ripassare tutto quello che è successo ieri sera

chissà se per lui è stato diverso c’aveva una faccia che sem-brava quasi una sofferenza poi tutt’a un tratto si è rilassato e sembrava un bambino addormentato questo ricordo è dolcis-simo magari è questa la differenza cioè quando sei in due è bello il piacere dell’altra persona e poi tutto è incontrollabile mentre quando sono sola comando tutto io cazzo chissà che faccia ho fatto io cioè magari ero bruttissima

per fortuna lui era lì sotto e non mi poteva vedere però che vergogna questa cosa che mi ha leccato mi sembra che io non lo farei cioè forse mi farebbe schifo leccare una storia tutta bagnata vischiosa e pelosa e poi dopo c’aveva quell’odore in bocca un odore di umido sudaticcio e di amido non è che mi piacesse tanto baciarlo ma visto che lui l’ha leccato quel sa-pore che poi era il mio mica potevo fare tanto la schizzinosa che palle sono ossessionata da questa cosa che mi è successa magari è normale la prima volta

la cosa più allucinante sono le frasi cretine che mi vengo-no in testa del tipo «c’è ancora il letto come l’hai lasciato tu» magari sono una di quelle donnette borghesi che dice Graziano chissà che cosa starà pensando Marcello magari a me non mi caga proprio scommetto che sta chiacchieran-do con qualcuno e se ne fotte di me o forse è peggio sta scopando con un’altra insomma sta facendo sicuramente i cazzi suoi sono davvero una deficiente

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meglio che apro il libro di Storia Moderna oggi e domani stu-dio tanto in quella merda di casa non c’ho un cazzo da fare ah ecco perché ho sognato Enrico di Navarra era lui coi baffoni però non lo so mica se ce li aveva i baffi dev’essere che gli ho messo la faccia di Satta il professore di Storia Moderna Marcel-lo dice «è un vecchio marpione si scopa un sacco di alunne»

è vero che mi guarda in un modo una volta in piazza d’Armi mi ha incontrato al bar e mi ha offerto un cremino cioè mi guardava con i suoi occhi furbetti sta a vedere che nel sogno era proprio Satta che mi ficcava la lingua in bocca magari mi piacerebbe pure del resto Satta è marxista cioè lui a discutere con Marcello non sfigura di sicuro magari mi converrebbe andarci a farmi consigliare qualche libro di storia

Marcello dice che la storia è importantissima a me però non mi rimane nulla in testa cioè se vedo i personaggi nei film storici è meglio lo so che cosa direbbe Marcello e sicuramente anche Satta cioè che non sono gli individui che contano ma la lotta di classe perciò a loro non glielo posso dire che Na-poleone mi è simpatico da quando l’ho visto in quel film con Marlon Brando cioè Napoleone era un controrivoluzionario e quindi dovrei dire che era un coglione

e a pensarci bene come ha mollato la ragazza per sposare quell’altra era coglione davvero magari anche Marcello farà la stessa cosa al posto mio si prenderà una più adatta cioè una compagna che non ci pensa manco per sogno a dire «Napo-leone era simpatico» quindi il libro di storia lo chiudo perché tanto penso sempre a Marcello

dev’essere vero quello che diceva Gemma al collettivo che Marcello scopa con tutte cazzo sono passate due settimane da quel giorno che è venuto a casa che paranoia me l’immagino tutto il giorno a scopare magari sto esagerando farà anche al-tre cose che ne so legge e mangia solo che delle altre cose non me ne frega un cazzo invece se scopa con un’altra mi viene l’angoscia lo so che è una cosa borghese cioè mica è una mia proprietà Marcello il problema è che se scopa con un’altra non sta con me se magari fosse malato all’ospedale sarebbe meglio che a scopare con un’altra figurati mi ero immaginata

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tutta un’altra storia tipo che ci vedevamo tutti i giorni invece è sparito magari è davvero all’ospedale

cristo mi piacerebbe che fosse malato così andrei a cocco-larlo e capirebbe che sono l’unica che gli vuole bene davvero cioè i migliori amici si vedono nel momento del bisogno min-chia che deficiente mi vengono in mente pure i proverbi alla fine sarebbe proprio meglio che fosse in ospedale lì di sicuro non scopa con nessuna cioè in questi giorni c’avevo pure pau-ra di incontrarlo in facoltà semmai era con Camilla se li vedo abbracciati crepo di gelosia che palle questa cosa non la posso dire a nessuno figurati Gemma cosa direbbe

prima o poi dovrò diventare coerente cioè me le devo to-gliere dalla testa tutte queste cazzate tipo la repressione e la gelosia però Marcello è uno stronzo lo sa dove abito poteva venire a cercarmi a meno che non sia davvero ammalato mer-da non c’ho neppure il numero di telefono

magari l’hanno picchiato i fascisti no è impossibile l’avrei saputo in facoltà cioè se si prende la polmonite non è che la gente negli anditi dice lo sai che Marcello c’ha la polmonite cioè se sei un compagno e ti picchiano i fascisti interessa tutti se stai crepando di malattia non gliene frega un cazzo a nessu-no tanto le malattie vengono pure ai qualunquisti

al collettivo femminista oggi ci sono un casino di compagne c’è una di Bologna Gegia si chiama sicuramente i genitori non l’hanno chiamata così cioè il nome se l’è messo lei mi sembra un nome da compagna anch’io uno di questi giorni mi trovo un altro nome

Gemma è tutta soddisfatta gonfia le guance e sbuffa il fumo oggi ci teneva che fossimo tutte qui a un certo punto inter-viene una di Lotta Continua «chiedo alle compagne di parte-cipare anche agli altri collettivi» e la guarda storta «se non ci va nessuno agli altri collettivi sarà che le compagne lì sono prevaricate» Gegia è d’accordo «non è che puoi colpevolizza-re le compagne se non vanno a sentire i discorsi dei maschi ci aggreghiamo spontaneamente sulle cose che sentiamo di più magari anche parlare del privato per una compagna è più importante che sentire tutti i discorsi dei collettivi»

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allora vuol dire che non sono tutta sbagliata cioè mica me ne sono preoccupata tanto ultimamente della rivoluzione se ve-nisse Marcello a dirmi ti amerò per sempre mi sposerei pure coll’abito bianco vedrai che alla fine c’aveva ragione nonna che anch’io prima o poi diventavo come loro però sto esa-gerando è perché non lo vedo da un casino magari dovrei parlare con qualcuno magari mi dovrei fare un’amica anziché tenermi quest’angoscia dentro

comunque quella di LC non è d’accordo con Gegia non mi sembra mica tanto sbagliato il discorso che fa «però così tutto quello che non è privato lo lasciamo ai maschi» a Gemma queste discussioni piacciono un casino cioè ha pure lasciato il joint a metà per risponderle «non lo devono decidere i maschi quello che è importante non ti vorrai mettere a fargli concor-renza» quando parla Gegia si capisce che è proprio figa «non ci sono cose più importanti noi facciamo politica anche oc-cupandoci del privato» così ho capito che ho fatto moltissima politica in queste settimane perché non ho fatto altro che pen-sare ai cazzi miei e continua «l’importante è che condividiamo il personale con le compagne» e mi sento una merda di nuovo cioè io non ho parlato proprio con nessuno soltanto speravo di incontrare Marcello per stare con lui

si mettono a fare discorsi intelligentissimi sulla differenza di genere e sui ruoli quella di LC ne caga moltissimo pure lei alla fine come al solito non so con chi sono d’accordo Gemma si sta pure incazzando «oltre alle discriminazioni di classe ci sono anche quelle sessiste» da come parla sembra che quando una va agli altri collettivi sta andando dal nemico

cazzo lei lo sa che io ci vado chissà che cosa pensa di me vaffanculo c’ho sempre questa paranoia di quello che pensa-no di me cioè mi vergogno anche dei pensieri mi sembra che se ne accorgono tutti di cosa sto pensando vaffanculo per esempio una dice «scrittrici ce ne sono pochissime e anche quelle come la Deledda sono una merda» figurati che a me “Elias Portolu” mi è piaciuto un casino una paranoia se qual-cuna si accorge che l’ho pensato domani vado a comprarmi quel libro che dicono sempre “Paura di volare” magari dopo che lo leggo “Elias Portolu” fa schifo pure a me

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vedi cosa succede a crescere in quella bidda di merda una non impara un cazzo delle cose importanti cioè cresci che non hai letto Marx e Lenin e neanche Erica Jong poi ti sem-bra che “Elias Portolu” è una figata e quando scopi non vieni nemmeno semmai questa cosa di non riuscire a venire è la conseguenza di tutte le stronzate che c’ho in testa magari è anche colpa della Deledda bisogna che mi decido a leggere libri da compagna

non mi posso rilassare niente niente una mi chiama «Cate-rina ci va al collettivo di arte» si girano tutte dalla mia parte cioè se c’è una cosa che odio è quando mi guardano un sacco di persone insieme minca che sfiga mi fanno tutti queste do-mande del cazzo come Marcello con quella storia dei libri che non ho letto porca puttana fino a poco fa c’era un casino e ora sono tutte zitte

se me lo chiedono dico pure Marcello è un maschio stronzo e mi fa schifo così almeno Gemma è contenta comunque rie-sco a tirare fuori una frase tipo «al collettivo non ci viene quasi nessuno» meno male che sono soddisfatte e non mi chiedono altro

Gegia ormai parla solo per quella di LC «se credi che la con-traccezione e l’aborto siano questioni private ti sbagli non ti rendi conto che la battaglia politica più importante è quella che si combatte sul corpo delle donne» «sì ma la rivoluzione risolverà anche la questione femminile» «non ne sono così sicura anche i compagni non lo cedono il potere e il control-lo del corpo femminile è il principale strumento del potere» «senti Gegia sono d’accordo su tutto contraccezione aborto tutto quello che vuoi però sai quanto tempo trascorriamo in questi collettivi a parlare di rapporti e di sentimenti mentre i compagni elaborano idee e decidono strategie» «è un modo anche quello per essere infelici voglio dire loro si dimenti-cano del loro privato intanto perché sono in una posizione dominante e poi perché sono rinchiusi nel ruolo di maschio» insomma è una discussione di quelle che Gemma si taglia le vene sono sicura che queste due di argomenti ne avrebbero per parlare dodici ore di seguito comunque alla fine si metto-no d’accordo per la manifestazione di sabato

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come ce ne stiamo andando Gemma mi viene vicino «aspet-ta che facciamo la strada insieme» magari me la posso fare amica c’ho proprio bisogno di una con cui confidarmi spe-riamo che non mi sgridi troppo per questa storia della gelosia entra subito in argomento «allora chi ci va al collettivo di arte» gliel’ho dovuto dire che all’ultimo c’eravamo solo io Marcello e Giangi si è messa a ridere «scommetto che vi siete fatti le canne e addio al collettivo ma che te ne frega di andarci» por-ca puttana se n’è accorta che sono arrossita «ti piace Marcello» come cazzo avrà fatto a capirlo non lo so

cioè alla fine c’ho ragione di vergognarmi anche dei pensieri che faccio visto che la gente lo capisce subito quello che c’ho in testa alla fine faccio meglio a non dire niente a nessuno però non molla «hai visto che c’hai anche un motivo priva-to per andarci a quei collettivi mica ti devi vergognare siamo tutte così non sarai certo la prima che subisce il fascino del leader»

si capisce che Marcello le sta proprio sul cazzo ma nega «non è che mi sia antipatico però lo conosco nei suoi discorsi ci mette tutta la cultura che ha di libri ne ha letto un casino ma la sua vita privata in discussione non la mette mai certo lui è un compagno ma non è che nei rapporti con le donne i comunisti siano meglio degli altri» ci provo pure a dire «no lui non è così» ma Gemma fa gli occhi al cielo «l’hai visto mai che lascia la presidenza di un’assemblea a qualcun altro lui si sente l’avanguardia e di questo ruolo se ne approfitta per scoparsi tutte le compagne carine sono stufa di asciugare le lacrime di quelle che fa sentire inadeguate» però il collettivo femminista lo presiede sempre lei quindi alla fine è come Marcello

sto anche pensando di non dirgliela questa cosa vai e cerca magari si scazza però di nuovo mi legge nel pensiero «io sono solo la più grande è per quello che guido il collettivo femmi-nista e poi da noi non c’è la leader sono come una vecchia zia che dà consigli scommetto che c’hai già scopato con lui»

mi scende un colpo o sono trasparente o lui l’ha detto a qualcuno Gemma si mette a ridere «non me l’ha detto nessu-no ho tirato a indovinare ma era facile perché lo conosco stai attenta a non innamorarti di quello lì» io faccio la figa «è tutto

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ok» ma non ci crede «ma va’ scommetto che sei tutta sdolci-nata con lui guarda che lo so come vanno queste cose almeno sei venuta» non so dove ficcarmi cioè come si fa a parlare di queste cose meno male che non sta zitta mai «per i maschi la cosa più importante è godere noi invece ci accontentiamo di farglielo provare il piacere poi dopo ti mollano e rimani senza niente peccato che di questa cosa non ne parliamo mai con le nostre madri» cazzo proprio adesso mi doveva ricordare que-sta cosa schifosa cioè che mamma e babbo lo facevano anche loro figurati se c’ho voglia di sapere se mamma godeva anzi spero proprio di no che schifo una storia da vomito

dico la prima cosa che mi viene in mente tipo «quella rompi-coglioni di mia mamma» e meno male che Gemma si scatena con quel discorso che fa sempre sulle parolacce cioè «i co-glioni non ce li hai è un linguaggio da schiave» eccetera però non se lo dimentica quello che mi ha chiesto «allora com’è andata a letto con Marcello» mi è passata la voglia di confi-darmi meglio che me ne trovo un’altra di amica cioè una che non mi giudica una che mi sta a sentire e basta magari questa mi distrugge il ricordo di Marcello e poi se la guardi bene c’ha davvero l’aria di una zia di quelle un po’ svitate ma che cazzo ne capisce questa qui di cose d’amore con i suoi capelli color topo e lo scialle a guardarla sembra impossibile che abbia avu-to un uomo nella sua vita

non è che magari è lesbica ed è invidiosa di Marcello è anche possibile che le compagne se le vuole portare lei a letto se mi invita a casa sua sicuro che non ci vado però alla fine sono una stronza cosa vado a pensare come se fosse impossibile trovare una compagna che vuole solo diventa-re mia amica sarà anche così ma allora perché mi guarda sempre con quell’aria maliziosa e poi fa certe domande im-barazzanti del tipo di quelle che fanno i preti stronzi nella confessione comunque meglio che non le racconto nulla cioè anche se è brava mi vergogno di dire certe cose lei alla fine è delusa e si convince sempre di più che Marcello è uno stronzo «sicuramente non ti ha fatto venire quello lì» per cambiare discorso le chiedo se ce l’ha il ragazzo anche se mi fa ridere solo l’idea

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un vecchietto c’avrà tutt’al più lei sembra contenta che le ho fatto questa domanda «vivo con uno ma non mi faccio più penetrare perché la vivo come una violenza» vai a vedere che questa qui è lesbica veramente ma non mi frega io a casa sua non ci vado che schifo me la immagino grassissima cioè non è proprio come mamma però magra non è di sicuro comun-que non voglio che ricominci a parlare di Marcello meglio parlare dei cazzi suoi «ma lui non si dispiace che non scopate più» e lei «non lo so magari scopa con un’altra» porca puttana assomiglia proprio alla storia di mamma e infatti le lacrimano gli occhi mischina sembra davvero triste anche se fa finta di niente «mi è andato di traverso il fumo» però sono sicura che è una balla cioè ha fatto una specie di singhiozzo strano

alla fine ci salutiamo e si allontana strisciando gli zoccoli allucinante siamo tutte tristi mia mamma è una merda e se lo merita di stare male zia Elena quando la incontro non è che c’ha la faccia contenta io felice non sono stata mai e an-che quelle che sembrano più cazzute cioè le compagne come Gemma quelle che capiscono tutto quelle che sanno sempre cos’è meglio anche loro sono tristi per un uomo merda c’ab-biamo una cappa di angoscia sulle spalle cioè una specie di zavorra che non ce la facciamo a liberarcene per forza poi non combiniamo nulla

per esempio mentre io sto pensando a lui magari Marcel-lo organizza collettivi e pensa un sacco di cose intelligenti magari scoperà anche con un casino di compagne ma sono sicura che trova il tempo anche per le altre cose invece io ho scopato due settimane fa con lui e dopo non ho fatto nient’al-tro e neppure Gemma c’ha la soluzione alla fine anche lei è triste e non serve a nulla parlare e parlare anche questa storia del privato mi sembra una fregatura tanto finisce sempre che parliamo di uomini e quelli mentre noi parliamo delle scopate e dei sentimenti fanno i collettivi scrivono i libri e diventano i leader cioè siamo inculate lo stesso magari la soluzione è di non innamorarsi l’hai detta la cazzata come se fosse facile soprattutto ora che l’ho fatto con Marcello l’unica cosa che vorrei è che mi abbracciasse ancora cazzo mi sembra impos-sibile cioè prima lo incontravo tutti i giorni ho anche visto

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Giangi ieri da lontano ma mi sono vergognata di chiedergli dov’è cioè in questo momento non me ne frega un cazzo di niente solo di lui

merda c’è un freddo della madonna stamattina il vento mi porta via lo scialle quasi quasi facevo meglio a comprarmi un cappotto come dice babbo c’ho un malumore cioè uno schifo che peggio non si può Marcello è due mesi che non lo vedo poi mamma è tornata in paese e mi tocca andare ogni sabato meglio che guardo in terra cioè c’ho sempre la paranoia di schiacciare una merda di cane come mi è successo una volta in questo marciapiede

in piazza d’Armi vedo un pazzo con una specie di camicione è tutto vestito di bianco come cazzo farà col freddo che c’è mi scende un colpo è Marcello stavo per non riconoscerlo con la barba lunghissima se non fosse che mi è venuto incontro «ero in India» io non c’ho niente da dire cazzo è due mesi che pen-so sempre a lui ma non mi sembra la stessa persona e poi mi vergogno mica gli posso dire non vedevo l’ora di abbracciarti e altre cose di questo tipo che una compagna cazzuta non le direbbe mai

per fortuna lui non è come me se no ci rimanevamo un anno in piedi a guardarci dopo un minuto mi mette la mano nei capelli «cazzo che freddo andiamo a casa tua» cioè non mi sembra vero come quando finisce un incubo allora non era solo per scoparmi una volta allora gli piaccio davvero magari gli sono anche mancata in India non se ne sarà mica scopate tante lì quelle non sono mica libere e poi l’India mi fa venire in mente gente che muore di fame tutta ricoperta di mosche che a uno non gli viene certo voglia di farci sesso

però magari c’è andato con Camilla in India cioè a pen-sarci bene non l’ho vista ultimamente allora mi faccio co-raggio «sei andato da solo in India» porca puttana potrebbe anche rispondermi bene invece di quel «no» che mi costrin-ge a fargli un’altra domanda «con chi» lo so che sembra un interrogatorio e infatti scoppia a ridere cioè mi sembra che mi legge nel pensiero c’hai voglia a nasconderla la gelosia se ne accorgono sempre comunque ormai il danno l’ho

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fatto e quindi voglio proprio saperlo con chi c’è andato in India e glielo richiedo «con chi» figurati me lo dovevo im-maginare che non spiegava niente cosa vuol dire «eravamo in tre» non ne so più di prima

non me lo ricordavo così magro non avrà mangiato un caz-zo in India e poi c’ha un odore strano che se lo sento a un altro sicuramente mi fa schifo ma siccome è l’odore suo allora mi piace cristo che cosa darei per sapere che cosa sta pen-sando lui è tranquillo e io sono in paranoia chissà quando lo incontro di nuovo cioè mica posso aspettare di sbattergli addosso per strada e poi chissà quante ne incontra così glielo dirà a tutte «andiamo a casa tua» se se ne va sono sicura che mi viene l’angoscia mi dice che c’ha fame cazzo non ho nulla cioè io a questa cosa qui del mangiare non ci penso mai brutta cogliona magari se facevo la spesa restava a pranzo

nella credenza ci sono solo grissini vecchi di una settimana non capisco come cazzo gli verrà in mente di pensare a man-giare quando ce ne possiamo rimanere abbracciati questa è una cosa che ogni volta mi sembra veramente allucinante la gente quando c’ha fame non capisce più nulla e vuole solo mangiare cioè io non è che non la sento la fame però resisto e poi dopo so che se resisto molto non la sento più e ho vinto io comunque Marcello mi invita a mangiare dalla mamma che figata allora vuol dire che non è solo una scopata

dalla contentezza mi viene anche fame per strada parla un casino «non metterti paranoie non c’è problema i miei geni-tori sono abituati che portiamo gente a pranzo a mia madre non cagarla se no ti fa un casino di domande cioè con la scusa che lei è una compagna è una ficcanaso non è che mio padre è meglio cioè sono due borghesi anche se fanno finta di no sono iscritti al PCI capirai gli sembra che pagando quella tes-sera ogni anno e andando a rompersi i coglioni alle riunioni si comprano la patente di proletari papà se ti vede con un joint tira fuori tutto il suo moralismo piccoloborghese cita Lenin e fa le sue tirate sull’estremismo insomma una rottura di palle che non te lo puoi immaginare per fortuna fino alle nove di sera non c’è pericolo di incontrarlo in casa perché è occupa-to a fare soldi per pagare i lussi suoi e di mamma capirai lui

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viene da una famiglia dove contano le cento lire e ora non gli sembra vero che va in vacanza due volte all’anno magari a Cuba o a Pechino così non fa la figura del borghese non è che mamma sia tanto meglio però almeno non ha quell’aria saccente la sua famiglia è ricca ma sono proprietari terrieri ca-pirai l’ignoranza anche lei fa finta di essere una compagna e si compra le gonne a fiori solo che costano un casino cioè questi due stronzi che ti ho descritto come unico sogno hanno che io diventi proprio come loro soltanto un po’ più ricco» meno male che Marcello non è come me se no rimanevamo zitti tutto il tempo io mi vergogno del silenzio così se uno parla sempre per me è una figata e poi lui dice cose intelligenti

beato lui i suoi genitori saranno anche borghesi ma almeno sono compagni cioè questa cosa forse non è possibile però è sempre meglio di babbo e mamma comunque mi legge nel pensiero «i tuoi che cosa fanno» non so cosa dire rispondo dopo un po’ «babbo lavora in campagna» forse è una cosa che ci sta bene infatti lui è tutto contento «fa il contadino o il pastore» e io «tutt’e due» sembra che gli bastano queste notizie sulla mia famiglia meno male figurati se conoscesse nonna invece a dire mio padre fa il pastore fa un effetto di famiglia proletaria anche se non è come se lavorasse in catena di montaggio

la casa di Marcello è in un palazzo di quelli ricchi di Cagliari non come quello vecchiotto dove abita zia Assunta questo è nuovo e già dentro la scala c’è un odore di profumo si capisce che è passata qualche signora elegante certo che come sono vissuta io è proprio diverso anche se c’hanno soldi a casa mia nessuno si mette tutto questo profumo nella porta c’è scritto Avv. Mauro Mascia così ora so che il padre di Marcello fa l’avvocato e so anche che ci tiene se no non lo metteva scritto nella porta di casa come entriamo c’è un odore mischiato di arrosto e di cera per il legno

non c’è mica l’odore di caminetto come a casa mia merda mi lascia da sola in questa stanza grandissima c’è un divano giallo e in terra c’è una pelle di animale a strisce sembra una zebra ma mi sembra impossibile che hanno ammazzato una zebra vera per metterla sotto i piedi nei muri ci sono un sacco di quadri

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Marcello ritorna con un vassoio pieno mi sta venendo il terrore non penserà che mi devo mangiare tutta quella roba

dietro di lui entra una tipa con i pantaloni attillati i capelli con le mèche e una camicia colorata chi cazzo è questa mi sta già venendo la gelosia invece è la madre cazzo mi viene da ridere mia mamma è il triplo e poi figurati come si veste le stringo la mano e non me la lascia mi fissa finché Marcello mi tira «lasciala stare ma’ abbiamo fame» allora finalmente la smette «siediti scusa se non c’è granché Marcello non avvisa mai quando porta qualcuno»

porca puttana sembra una maledizione ogni cosa che sento mi fa tornare la gelosia cioè semmai lo fa sempre dopo che scopa con qualcuna di portarla a casa sua a mangiare magari anche la mamma mi legge nel pensiero fa una specie di sorri-sino e si siede davanti a noi allucinante già non c’ho voglia di mangiare figurati con questa donna che mi guarda sembra una che sta dando da mangiare ai gattini

non si accontenta di guardare comincia subito con le do-mande «che cosa studi e che cosa fa tuo padre» meno male che risponde Marcello «fa il contadino e il pastore» speriamo che ora le faccio pena visto che è così borghese invece non si impressiona nulla anzi scuote i capelli dorati «lavora per qualcuno tuo padre» non ce la faccio manco a inghiottire il boccone che cazzo le dico

Marcello non può mica rispondere al posto mio «no è da solo cioè non da solo c’è altra gente che lavora con lui» lei è soddisfat-ta «c’ha dei dipendenti tuo padre» e mi tocca dire di sì allora fa una faccia cattiva «scommetto che li chiamano servi al tuo paese quelli che lavorano la terra degli altri» io non dico nulla perché è vero allucinante che cazzo vuole questa stronza da me

si gira da Marcello «hai visto che non sono solo i miei fratelli» le vengono le vene grosse nel collo allora capisco che avevano già litigato per questa cosa che cazzo di storia ci dovevo passare io non ne ho mica colpa non sono mica servi miei e poi anche a Cesarina la chiamano serva ma alla fine a casa comanda più lei di mamma però Marcello si incazza moltissimo «è finito l’in-terrogatorio» e si alza col piatto ancora pieno meglio che ce ne andiamo tanto io voglia di mangiare non ne avevo

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ci vediamo quasi tutti i giorni con Marcello cioè non è che ci diamo appuntamenti però tanto in facoltà ci incontriamo e poi ce ne andiamo a casa se non fosse per questa paranoia che c’ho degli esami sarebbe pure una figata quando Marcello c’ha da fare ci provo a studiare ma è un casino cioè mica ci penso a quello che sto leggendo che ne so magari mi ricordo di una cosa che mi ha detto oppure cazzo mi sono dimenticata di dirgli quest’altra cosa porca puttana sempre quando se ne va le penso le cose intelligen-ti da dirgli invece quando è qui sono sempre zitta magari prima o poi si scazza di stare con una che sembra una sordomuta

oltre allo studio c’è quell’altra paranoia che mi assilla quan-do non c’è di che cazzo starà facendo cioè la giornata dura ventiquattro ore e con me al massimo ci rimane due o tre ore c’avrà pure un casino di cose interessanti da fare roba intelli-gente tipo organizzare collettivi e assemblee eccetera e poi lui legge un casino di libri come farà non lo so mica è come me io quando mi sveglio penso sempre che c’ho un casino di tempo poi la giornata passa e non faccio mai un cazzo

magari tra tutte le cose intelligenti che fa trova il tempo an-che per scopare con qualcuna se mi viene in mente questa cosa qui dalla mattina mi rovino la giornata cioè magari con Marcello sono anche più zitta del solito mi chiede «sei triste» e mica glielo posso dire e neanche fare domande da quel giorno che gli ho chiesto «con chi eri ieri sera» e ho insistito cioè una cosa normale secondo me visto che rispondeva a monosillabi comunque lui si è seccato «finito l’interrogatorio sembri mia madre» dopo era seccatissimo e se n’è andato prima del solito quindi da quel giorno c’ho anche la paranoia che s’incazza e non gli chiedo più nulla

meno male che certe sere rimane fino a tardi con me ed è dolcissimo dopo quando se ne va prima di dormire penso a quello che faremo cioè sicuramente prima o poi andiamo a vivere insieme io divento intelligente come lui e leggo tutti i libri importanti che bisogna conoscere e so dire quello che penso su un film o su un quadro lo so che non è mica sicuro che va a finire così però è anche possibile tanto im-maginare non costa nulla e poi mi viene meglio pensare queste cose nelle lenzuola col suo odore

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sarebbe tutto ok se non fosse che faccio sogni incasinati tipo uno dove Marcello è quello dell’edicola vado a comprare Lotta Continua mi fa un sorrisino e mi dà un giornale por-nografico e un altro che Marcello c’ha i polsini di pizzo e i basettoni come Ugo Foscolo però io lo so bene che è lui e mica mi sembra strano nel sogno che sia conciato così cioè è tutto normale anche i discorsi che fa nel sogno mi sembrano chiarissimi e come mi sveglio non ci capisco più un cazzo

non è che sono incubi però sono allucinanti mi lasciano una paranoia strana lo vorrei sapere che cazzo succede nella mia testa a parte questi sogni non è che sono sempre tranquilla tipo mi sveglio e penso chissà se oggi ci vediamo cioè non c’abbia-mo appuntamento magari manco ci passa in facoltà c’ho anche provato quando se ne sta andando a dirgli «ci vediamo domani» certe volte dice di sì e certe volte non risponde e questa è la cosa peggiore cioè mi rimane la tristezza finché non lo rivedo

insomma è tutto un casino e di studiare non se ne parla pro-prio perché se dice di sì non faccio altro che pensare a quello che facciamo l’indomani e se non risponde sono troppo in paranoia poi c’è quell’altra questione delle stupidaggini che mi vengono in testa del tipo che lo amo e chissà se mi ama anche lui cioè sarebbe bello dirselo ti amo ma che vergogna certo se lui la pensa come Graziano ci faccio una figura di merda

quando sono di buonumore penso è sicuro che ci amiamo anche senza dirlo perché da come lo facciamo si capisce cioè adesso non mi fa più male e a volte riesco a venire anche insie-me a lui quindi qualche cosa vorrà anche dire se i nostri corpi si conoscono così tanto e vanno d’accordo però altre volte lo vedo che pensa ai cazzi suoi cioè è distratto mica è come me che non mi perdo neanche un’espressione della sua faccia ed è proprio quando lui è così che mi viene voglia di dirlo che ci amiamo

cioè lo so bene che uno può anche essere innamorato e ave-re un’altra cosa in testa tipo una cosa che sta organizzando per l’indomani però a me non mi capita mai di non pensare a lui e allora mi viene l’angoscia sono proprio una scema perché alla fine non c’è mica bisogno di dirsi cose così borghesi cioè facciamo sesso siamo compagni e siamo liberi

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cioè lui è libero io alla fine non sono tanto libera cioè penso sempre a lui e ogni cosa la faccio per lui quindi è come se fos-si schiava cioè non va mica bene a meno che non sia amore perché in quel caso è diverso cioè se mi ama forse anche per lui è lo stesso perciò mi sono decisa che oggi glielo dico non morirà nessuno se gli dico ti amo

dopo la lezione saliamo sulla moto quale sarà il momento giusto per dirglielo magari a letto dopo che lo facciamo mi sembra che siamo più vicini però sotto casa non spegne il motore merda mi tremano le gambe tutto mi aspettavo meno questa cosa qui è inutile che faccio domande tanto non spiega mai nulla «ho da fare» cazzo sì ma che cosa non lo saprò mai e allora mi viene una fretta che glielo devo dire proprio ora por-ca puttana mi sento come se fosse l’ultimo istante della mia vita non capisco un cazzo ci vedo male ci sento male mi sento male magari non lo rivedo più magari se glielo dico rimane allora lo abbraccio «ti amo» finalmente l’ho detto un attimo di sollievo mi sento leggera vedo la sua mano che si avvicina a farmi una carezza e parte senza dire una parola

stavo malissimo quel giorno che se n’è andato dopo che gli ho detto ti amo sono andata in camera rivedevo la sua faccia con quel sorriso a metà che mi ha fatto gli occhi seri e le lab-bra stirate chi ci capisce qualcosa è bravo di un sorriso così magari si era imbarazzato perché gli ho detto ti amo che è una cosa borghese e lo sappiamo che non si dice

ma questo non vuol dire che non mi ama magari non lo sa nemmeno lui e però tra tutte le possibilità c’era anche quella che non gliene frega un cazzo di me ma non sapeva cosa dire e se n’è andato comunque una cosa mi consolava cioè che gliel’avevo detto e allora ero proprio sicura che qualche cosa mi doveva dire l’indomani cioè alla fine sarà anche una cosa borghese dire ti amo ma non potrà mica fare finta di niente cioè è una cosa troppo importante

non ho dormito nulla con quella paranoia e non vedevo l’ora che fosse domani che scema ero convinta che lo vedevo il giorno dopo invece sono passati quasi dieci giorni allucinan-te come si può stare di merda per una cosa così non ho fatto

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altro che ripetermi che stronza che stronza non glielo dovevi dire e di nuovo come l’altra volta che era sparito le pensavo tutte che magari era malato e mi faceva pena che magari sco-pava con tutte e mi faceva rabbia

piangevo e facevo l’elenco di tutti i miei difetti si capisce che Marcello mi molla sono troppo brutta c’ho i peli nell’inguine mi puzza la figa non vengo quando scopiamo non glielo so succhiare non ho letto “Il Capitale” sto sempre zitta e porca puttana non c’è niente che va bene in me neanche io mi ame-rei e infatti non mi amo proprio

magari avrei sofferto chissà quanto e magari prima o poi mi passava pure invece la settimana scorsa ha bussato non ci siamo detti neanche una parola mi ha spogliato in fretta e l’abbiamo fatto come due naufraghi da una settimana sembra tutto come prima cioè per lui forse perché a me mi è rimasta l’angoscia ogni giorno c’ho paura che non lo rivedo

anche quando è qui c’ho il tormento che se ne sta per andare questa cosa non mi passa mai a volte spero che muoia magari se muore sarò disperata però sarò anche libera perché ora vo-glio stare solo abbracciata e lui mi sembra distratto poi siccome quando lo facciamo diventa più dolce allora lo voglio fare sempre continuamente non è che c’ho davvero voglia è solo che così mi accarezza di più e poi quando è dentro di me mi sembra tutto mio cioè non è mica distratto e quando vengo con lui è ancora più dolce così ho cominciato a fingere di venire sempre

questa storia gli piace un casino cioè dice «finalmente ti sei liberata» e lo so che è una schifezza cioè praticamente lo sto prendendo per culo però se mi amasse davvero forse se ne accorgerebbe che fingo la maggior parte delle volte allora se non mi ama gli sta bene se lo prendo per culo e comunque non sono libera anzi sono schiava di questa paranoia che mi sta per mollare che non torna che non mi ama eccetera tanto a me di essere libera non è che mi interessa quello che vorrei è che non fosse libero lui di mollarmi

è cambiato Marcello dopo che è tornato dall’India ne parla sempre di meno della lotta di classe e del proletariato di tutto il casino che è successo col rapimento di Moro ha detto solo

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una frase «lo sapevo che andava tutto a puttane» a me non me ne frega tanto cioè sono contenta se stiamo insieme però fa discorsi allucinanti

a volte dice cose che non capisco scrive frasi su un quader-netto lercio che ha portato dall’India roba tipo poesie non serve a niente che gli chiedo «cosa vuoi dire» mi guarda con la faccia seccata «non si può comunicare quello che ho dentro se non lo capisci non ci posso fare nulla» e così mi sento una merda ancora più del solito comunque è diventato più dolce certe volte non lo vuole neanche fare mi abbraccia e rimane in silenzio per un casino di tempo a fissare il muro e io figurati se mi muovo

una mattina è arrivato con gli occhi luccicanti ha preso una cosa dalla tasca e ha voluto un cucchiaio cioè finché non ha tirato fuori la siringa mica l’ho capito che era eroina cazzo se era serio come la preparava mi ha chiesto «vuoi provare» e io «guarda che ti fa male quella roba» e lui fa «sei una piccolo-borghese» però mi è sembrato contento che era tutta per lui comunque mi sono sentita una merda perché è vero che sono una piccoloborghese e lo prendo anche per culo cioè faccio finta di venire e quindi sono anche repressa

certi giorni c’ho un casino in testa una figata mi godo tutto magari basta un po’ di vento e rimango con gli occhi chiusi a sentirmelo sulla faccia però se mi viene un pen-siero triste piango un casino cioè è come se fossi drogata sento ogni cosa più del normale e tutto mi lascia un’im-pressione addosso magari sono diventata più sensibile mi sento vulnerabile sarà che sto mangiando di più per farlo contento sono anche ingrassata io mi vedo un mostro ma lui dice «guarda che stai meglio un po’ più piena» così alla fine anche se sono grassa non fa niente

peccato per questa paranoia che mi sta per succedere una cosa brutta mica può essere tutto perfetto che Marcello è sempre con me cioè che mi ama non me lo dice però forse lo pensa insomma se non fosse per questo casino che c’ho in testa andrebbe tutto a meraviglia comunque forse è meglio che mi preoccupo perché le disgrazie se ti capitano quando non te l’aspetti è peggio

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sono preoccupata per questa storia della roba non me ne sono quasi accorta è successo tutto piano piano all’inizio si faceva solo ogni tanto ora ogni settimana le prime volte vo-mitava io pensavo che si sentisse male e lui «sto benissimo cretina sapessi come sto bene» la odio quella roba cioè per lui è più importante di me che stronza che sono magari se mi faccio con lui non mi lascia mai magari mi ama davvero ma non ci riesco cioè solo a vedere l’ago mi viene il vomito

mi sembra che se ci succede qualche cosa di brutto la colpa è della roba lui non la può sentire questa cosa «sei la solita stronza piccoloborghese è il tuo moralismo che ti fa sentire in colpa fatti uno schizzo e vedi che ti chiarisci le idee» magari dovrei dargli retta almeno non lo sentirei così estraneo quan-do si fa

certe volte sparisce per una settimana quando ritorna me ne dimentico che l’ho aspettato me ne dimentico che non ho mangiato per tutto il tempo io da sola non c’ho voglia di man-giare per esempio stasera come è entrato mi è passata tutta l’angoscia solo che alla fine rovino sempre tutto se fossi più intelligente lo dovrei capire che si secca quando insisto in-somma gli dico ci vediamo domani e lui «non lo so» cazzo ma come fai a non sapere se mi vuoi vedere domani

io sono sempre sicura che lo voglio vedere insomma insisto perché lui è sfuggente «dai facciamo qualcosa domani» e lui «io devo andare al cineforum se vuoi vieni» che cazzo di modi se non mi venisse la disperazione a non vederlo non ci andrei proprio ma tanto non ce la faccio «a che ora» lui fa un sorri-sino da piglianculo «neanche vuoi sapere che film c’è» ma che cazzo vuoi che me ne freghi del film vado anche a vedere la cagata più grande del mondo con lui comunque è un western “Pat Garret e Billy the Kid” mi sembra strano che va a vedere un film così ma ultimamente non ci capisco più un cazzo di Marcello

l’appuntamento è in piazza Yenne alle otto la cosa che mi assilla di più sono tutte le ore della giornata fino alle otto tanto lo so già che rimango tutto il giorno a pensare cosa starà facendo magari sta scopando con un’altra e magari se ne dimentica che abbiamo appuntamento lui dice sempre «gli

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appuntamenti sono borghesi quando abbiamo voglia ci in-contriamo» facile per lui ma per me è un casino perché io la voglia di vederlo ce l’ho sempre e poi non c’ho un cazzo da fare tutto il giorno speriamo di dormire fino a tardi almeno un po’ di ore le passo senza accorgermene

lo vedo da lontano sotto la statua cioè lo riconosco da quel gesto di tirarsi via i capelli dalla fronte cazzo come sono contenta mi vengono pensieri di quelli che non glieli posso dire tipo è il mio ragazzo che mi sta aspettando vab-bè me li penso per me cazzo però si gira e parla con qual-cuno che palle non siamo soli ma con chi è non lo vedo cioè c’è l’edicola che copre tutto e mentre rallento prima di attraversare vedo che allunga un braccio e allora accelero il passo perché sta abbracciando qualcuno e me lo sento nel-lo stomaco che sta per succedere quella cosa terribile che stavo aspettando bastano tre passi e lo vedo che accarezza i capelli a Camilla

mi tremano le gambe non ce la faccio ad andare avanti è un miracolo se riesco a tornare indietro mi sento debole e fredda una sofferenza così non l’avevo provata mai non ce la faccio a rimanere in piedi e mi appoggio al muro tiepido dal sole mi fa rabbia provare istintivamente una sensazione piacevole insieme a questo dolore mi sento come se mi avessero fatto a brandelli

la gente continua a camminare e a parlare come se non fosse successo niente questa cosa mi sembra strana cioè io sto mo-rendo e il mondo continua a esistere e anche Marcello cioè mi sembra allucinante che la terra non sprofonda e non inghiotti-sce tutto è un miracolo che ce la faccio a girarmi e camminare verso casa nella scala c’è buio meglio che vedere il sole cioè io vorrei che in questo momento si spegnesse incontro Antonia nell’andito «male ti senti» ci metto tutta la forza per dire no cazzo perché c’ho la paranoia che mi viene dietro in camera

mi sembrava che in camera potevo stare meglio mica c’ave-vo pensato che qui mi ricordo ancora di più di Marcello e infatti manco sul letto mi metto perché c’è il suo odore da ieri così mi accuccio in terra nell’angolo come la cagnetta di babbo quel giorno che stava morendo

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non lo so come ho fatto a non morire cioè da dieci giorni ogni mattina mi sveglio e il dolore si sveglia dopo un minuto cioè mi dà giusto il tempo di illudermi che è tutto a posto poi mi prende allo stomaco e resta lì come una bestia dispettosa che appena ti distrai morde da dieci giorni faccio fatica per ogni cosa cioè se non sono costretta manco mi lavo sono proprio come quella cagnetta di babbo quando stava moren-do che è rimasta accucciata a leccarsi per una settimana e poi prima di morire ha lanciato un urlo

io sono più sfigata di lei non lo so se muoio magari rimango a soffrire così per anni e anni mi dà fastidio ogni cosa che vive ce l’ho dentro la morte cioè non posso guardare i bambini che giocano e gli uccelli nel cielo e figurati due ragazzi che si abbracciano penso sempre perché non crepano perché non finisce il mondo magari se lo cerco torna tutto come prima in fondo non è successo niente e poi se quel giorno in piazza Yenne non ci sono andata all’appuntamento mi può essere pure successo chissà che cosa

allora gli telefono cazzo come mi trema la mano faccio un sacco di prove prima mi devo allenare a non far tremare pure la voce cazzo sta squillando speriamo che non risponda che paranoia magari mi manda affanculo e invece sento la sua voce «ciao che fine hai fatto» merda perché c’ha la voce così bella che mi vengono le gambe molli me la sono preparata la cazzata da dirgli parlo in fretta «avevo la febbre e dopo avevo troppo da studiare» figurati se se la beve una pillonata come questa lo sa che muoio per lui

sicuramente da come ho parlato si capiva che era un di-scorso preparato merda questo silenzio non l’avevo messo in conto rischio che senta pure il battito del mio cuore che sta per scoppiare comunque ce la faccio a dire «ci vediamo?» e lui «stasera siamo tutti a casa di Giangi ci vediamo lì» cioè ha riattaccato come se fosse tutto normale

se fossi intelligente non ci andrei da Giangi cioè lo dovrei capire che non gliene frega un cazzo di me altrimenti non mi dava un appuntamento a casa di Giangi mica mi ha trattato come la sua ragazza cioè mi ha trattato come una che conosce e basta ma io non lo so che cos’è che mi prende per Marcello

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un attimo mi sento disperata e subito dopo mi sale la speranza che non è tutto finito cioè che posso fare qualche cosa

ci sto proprio andando a casa di Giangi come entro non si vede un cazzo cioè ci metto un casino ad accorgermi che sono tutti buttati sul tappeto e sui cuscini con le tapparelle abbassate mi fa impressione tutto buio e fumoso col sole che c’era fuori sembra l’inizio di un sogno per un po’ rimango in piedi vicino alla porta che cazzo ci faccio qui cioè fuori la gente a quest’ora sta guardando il telegiornale sta mangiando ma quella è gente borghese cioè gente che c’ha da fare gente che vuole raggiungere qualcosa

Giangi dopo che mi apre si ricorica vicino allo stereo chis-sà che fatica avrà fatto per alzarsi gli altri non si muovono soltanto qualcuno apre gli occhi un pochettino sembra che facciano una faticaccia cioè hanno lo sguardo stanco come se dicessero «sì ti ho riconosciuta ma non ce la faccio a salutarti» quasi quasi sono occhiate un po’ sorridenti ma di quel sorriso triste che c’hai quando stai crepando di sonno comunque non ce la fanno nemmeno e li richiudono subito mi scazza anche muovermi

c’ho la paranoia di spezzare l’incantesimo insomma mi sento un’estranea comunque guardo in giro per cercare Marcello e lo vedo sul divano aggrovigliato con altra gente cioè quel braccio che ciondola non si capisce se è il suo cazzo se fossi furba me ne andrei subito ma mica ce la faccio cioè spero in qualche cosa magari si alza e viene da me magari ce ne andiamo via insieme sono così triste che mi basterebbe uno sguardo

non so dove mettermi mi siedo in terra e uno mi passa la bottiglia meno male questi sono sballati come capre se non faccio qualche cosa mica ce la faccio a restare qui e magari gli rompo anche i coglioni mi sale subito il vino almeno mi passa lo schifo almeno sono sballata pure io e mi metto a parlare con uno vicino a me che palloso mi sta raccontando il suo viaggio in India ma che cazzo me ne frega dove sei andato però magari c’è andato con Marcello

alla fine non l’ho mai scoperto con chi è andato in India e gli chiedo «sei andato con Marcello in India» e lui «no Marcello è andato con Camilla e Serena» per poco gli sputo il vino in

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faccia cazzo tutt’e due se le dev’essere scopate in quel viag-gio il bastardo e io che sognavo di lui e solo a toccarmi un pochettino mi sembrava che lo stavo tradendo alla fine non ce la faccio più ad ascoltarlo questo mi ha fatto due palle con le sue esperienze mistiche che poi non si capisce un cazzo di quello che dice non ce la fa manco a parlare però anch’io sono sbronza

mi vengono paranoie stronze tipo questo sicuramente crede che mi fa impressione magari questa cosa qui la racconta per rimorchiare ma guarda cosa vado a pensare di un compagno che mi sta raccontando una cosa minchia che stronza sono una borghese di merda meglio bere ancora

questo dell’India mi passa un joint ma minchia se è palloso comunque alla fine sono sballatissima e non capisco più il tempo che passa cioè saranno due minuti o due ore e chissà se fuori c’è ancora il sole oppure è già notte ma chi se ne fotte tanto qui il tempo non conta e il sole può andare a farsi fotte-re facendo i suoi giretti borghesi qui c’è solo notte e le nostre stelle sono le lucette dello stereo e le braci dei joint

a momenti mi sembra anche che mi posso dimenticare di Marcello però mi viene voglia di andare da lui di abbracciarlo cazzo non lo so com’è che faccio ad ascoltare tutte queste caz-zate di viaggi in India adesso magari lo bacio a questo qui così Marcello si ingelosisce comunque sono proprio fuori c’ho la cassa vicino all’orecchio e i bassi me li sento nella pancia guar-do gli altri e mi sembrano tutti felici ecco questa è una cosa che mi succede sempre quando sono in mezzo alla gente cioè tutti sono contenti e non capisco come fanno perché io sono l’unica triste e vorrei che il mondo sparisse in un attimo così mi inghiottisce e la smetto di sentirmi l’unico essere umano infelice del mondo quasi quasi preferisco essere con mamma che almeno lei felice non è di sicuro

a un certo punto arrivano due compagne che non avevo mai visto cazzo ma proprio nel divano vicino a Marcello si doveva mettere questa stronza mi sa che se l’è già scopata questa qui è meglio se me ne vado ma chi ce la fa ad alzarsi infatti rimango qui paralizzata a osservare quella che appoggia la testa sul brac-cio di Marcello e lo so che Gemma direbbe «è una compagna»

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ma io penso che tutte lo vogliono e le odio affanculo alla so-rellanza le strapperei i capelli a quella lì insomma sto provando un bel po’ di schifosissima gelosia borghese ma ce la faccio a reprimerla e mi sdraio sul tappeto

cazzo quanto mi gira la testa cioè alla fine mi sto ubriacando davvero vaffanculo a lui e a loro ma cazzo se sto male e ci manca solo questo qui che cerca di abbracciarmi cioè come mi sono sdraiata vicino a lui ha pensato che ci sto magari ce la facessi a farmi toccare gli starebbe proprio bene a Marcello che glielo faccio davanti invece mi viene lo schifo peccato non è mica brutto cioè io vorrei ma è il mio corpo che riconosce solo Marcello e allora cominciano tutti quei pensieri che fa venire il fumo che sembrano chiarissimi quando sei sballata e se ci ripensi l’indomani sono cose che non ci capisci più nulla proprio come i discorsi dei sogni

insomma che cazzo sarà questa cosa del corpo che non vuo-le una cosa che a me piacerebbe che cosa vuol dire volere e non volere cazzo ero brava in filosofia al liceo ora non mi ricordo più nulla mi sono rincretinita con questo pensiero di Marcello non è possibile che prima eravamo sempre abbrac-ciati e ora sembriamo due estranei

la devo smettere magari è tutta una cazzata magari se vado ad abbracciarlo torna tutto come prima mi alzo e mi sembra strano di aver trovato il coraggio cazzo che fatica reggersi in piedi scavalco quello che ha fatto il viaggio in India ci sono quasi fra poco sono con Marcello minca sbatto su un tavolino e cado che vergogna hanno aperto tutti gli occhi e mi guardano tutti tranne Marcello che sta baciando quella stronza di prima per fortuna sono già in piedi così me ne vado

dopo quella storia a casa di Giangi due mesi fa non uscivo più neanche dalla mia camera mangiare figurati se ne avevo voglia e nemmeno di lavarmi allora Antonia l’ha detto a bab-bo e lui è venuto a prendermi

come mi ha visto si è spaventato quasi quasi piangeva io non avevo neanche la forza di dire di no eppure non ci volevo mica venire in questa merda di casa cazzo mi sento prigio-niera cioè non è che a Cagliari stessi bene ma qui mi tocca

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rimanere a letto fino a dopo pranzo per non mangiare con mamma e babbo rimango in camera tutto il giorno anche qui ma almeno a Cagliari non mi rompeva i coglioni nessuno in-vece ora mi impallano «mangia esci» soprattutto la vecchiaccia ogni giorno entra qui e non bussa nemmeno la cafona meno male che si vanta di essere nobile manco la buona educazione conosce questa stronza

per non sentirla magari scendo giù e lì sai che spettacolo la mia mammina adorata seduta sul divano che guarda la tv coi piedi gonfi appoggiati sullo sgabellino sta mangiando a fianco ha un fazzolettino appallottolato per soffiarsi il naso cioè lei guarda un filmino dove di mogli tradite non ne mancano mai e così si commuove meglio che non mi faccio vedere se no mi manda sicuramente a prenderle qualche cosa

se penso a Gemma che mi ossessionava «bisogna recupera-re il rapporto con la madre» si vede che la mia non la conosce che schifo che fa col collo grasso e sudato e non le basta mai la roba da mangiare io non lo so come si fa ad avere un rap-porto con una così insignificante e ignorante cioè lei è con-centrata solo sul suo corpo per mangiare e per lamentarsi dei dolori di che cazzo si può parlare con una così

almeno a Cagliari non ce l’avevo davanti e se ci pensavo mi fa-ceva anche pena ma a vederla mi fa solo incazzare esiste solo lei degli altri se ne fotte e soprattutto di me cioè di babbo è gelosa a zia Elena la odia e nonna la teme invece io sono proprio ine-sistente cioè anche se cerco di ricordarmi quando ero piccola mica era affettuosa mica mi consolava lei le attenzioni le vuole dagli altri e non le bastano mai e se le fai qualche cosa ti guarda con quella faccia sembra che stia dicendo «è tutto qui quello che fai per me» cioè sembra che tutti le devono qualche cosa

la sua anima è come il suo stomaco cioè un pozzo senza fondo non è mai sazia di niente e non me ne posso neanche stare tran-quilla a odiarla perché mi è venuta questa paranoia che il mio de-stino è uguale al suo minca non l’ho saputo mai che cosa volevo dalla vita ma sicuramente non voglio diventare come mamma

lei mangia e dorme e sente i dolori come se al mondo non ci fosse altro che il suo corpo e vuole che non ce ne dimentichia-mo mai neanche noi così se l’è gonfiato a furia di ingozzarsi

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e la pelle pare impossibile che non si crepi non c’ha manco più forma cioè se non la guardi in faccia mica si capisce che è una donna se ne sta lì ammucchiata e sudata ma giuro che non tocco manco una briciola di pane prima di ridurmi così

quando ero piccola non era così cioè io me la ricordo allegra che cantava una canzone d’amore in cortile con le ciocche dei capelli che brillavano al sole ma mi faceva schifo anche allora perché pensavo questo amore che sta cantando lo fa con bab-bo e infatti quando lui rientrava era tutta contenta e gli corre-va incontro poi a cena si guardavano e io non contavo nulla

anche se ero sveglissima se ne andavano da soli a letto dio che rabbia e che schifo se ci ripenso e manco lo sapevo bene allora che cosa stavano facendo me ne stavo in camera al buio cioè mica ce la facevo a dormire con la paranoia che si abbrac-ciavano e a me mi lasciavano sola poi l’indomani gliela legge-vo in faccia la contentezza e si capiva che lei era soddisfatta così di essersi abbracciata tutta la notte con babbo e io non contavo nulla per lei quindi che se ne vada affanculo anche Gemma che cazzo recuperare il rapporto con la madre

io e lei non l’abbiamo mai avuto un rapporto perciò alla fine le sta bene che babbo non la vuole più almeno c’è un po’ di giustizia che cazzo adesso non si guardano più come prima cioè lui si sforza di sembrare buono ma secondo me spera che crepi così è libero

lei non è che gli vuole bene solo diventa sempre più brutta e grassa perché sa che lui se la deve tenere così e gli vuole fare dispetto alla fine è geniale come vendetta fa quello che le piace di più cioè mangia e anche diventa sempre più schifosa e insieme al grasso accumula malattie e lo costringe a curarla sempre e a sentirsi sempre in colpa mica ci pensa lei che la colpa è tutta sua cioè è lei che mangia è lei che caga è lei che si è accoppiata e ha partorito è lei che c’ha quel corpo che non se lo può dimenticare tutto voglio meno che diventare così cioè una putrida femmina che perde sangue ogni mese che si sbrodola per un uomo e mangia con lui e se lo fa infilare gemendo tutto voglio tranne che avere anch’io un corpo schi-foso gravido di merda o di latte o di bambini

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Indice

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La zavorra

9 AUTUNNo 197711 I Caterina desCrive un idiLLiaCo quadretto di vita famiLiare 28 II margherita rifLette suLL’anima immortaLe e L’anima maLata 59 III Caterina, in Città, sperimenta iL dissidio fra L’individuo e La rivoLuzione

81 DAL 1954 AL 196883 IV eLena, oppressa daLLo sguardo deL mondo, riCorda di quando era sCioCCa e vanesia

92 V giuseppe, maLinConiCamente, desCrive La nasCita di un amore 100 VI Come margherita, una sera, ha sCoperto di essere una signorina da marito

108 VII giuseppe riCorda L’amore riCambiato e Le aspettative deLuse

118 VIII margherita, suo maLgrado, parte per una vaCanza in Città

130 IX i pro e i Contro: La diffiCiLe sCeLta di eLena

142 X giuseppe e Le intermittenze deLLa speranza

151 XI pomeriggi d’amore e sCampagnate: iL fidanzamento di margherita 159 XII giuseppe e L’iLLusione deLLa serenità

166 XIII L’infeLiCe matrimonio di eLena 179 XIV margherita e i patimenti deLLa maternità

192 XV giuseppe e iL paradiso deLL’amore appassionato

197 XVI eLena e i tormenti deLL’amore aduLto

209 1978211 XVII Caterina e La zavorra deLLe donne