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La Voce del Bruno-Franchetti #1 dicembre 2020

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  • #1 La Voce delBruno-Franchetti #1

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  • La Voce del Bruno-FranchettiGiornalino d’Istituto

    Istituto d’Istruzione Superiore “G. Bruno – R. Franchetti”Liceo Scientifico “Giordano Bruno” – Liceo Classico e Liceo Linguistico “Raimondo Franchetti”Sede: via Baglioni 26 - Succursale: Corso del Popolo 8230173 Venezia-MestreCod. Min. VEIS02300L

    Website:

    CaporedattriCeGiovanna Longobardi (II A classico)

    redazioneLeonardo Barato (V B classico)Andrea Baretta (V C classico)Francesca Sofia Carangelo (I A classico)Lisa Duso (III B classico)Margherita Fonte (I C classico)Andrea Maurin (I C classico)Costanza Moras (V C classico)Margherita Parisi (I B classico)Stefano Riato (IV E scientifico)Marta Rosson (V C classico)Giulia Saccon (V B classico)Gianluca Vincenzo Scarpa (I D scientifico)Lara Vesco (I A classico)Yun Zhang (II A classico)

    professore responsabile del progettoAndrea Cerica

    Coordinatore teCniCoGiorgio Ruffa

    Collaboratori e CollaboratriCi del primo numeroEmilio Dalla Torre, Francesco Fava, Cristian Gherbovan (IV E scientifico), AlessandroMarchesin (V G scientifico), Michela Michieletto, Niccolò Serafini (IV G scientifico), Sara Trabuio (III B classico), Annaflora Zambon (II B classico).

  • Care lettrici, cari lettori,leggere danneggia gravemente e irreversibilmente

    l’ignoranza: è questo il motto che abbiamo scelto per la nuova annata della Voce (2020-2021), risorta dalle ceneri della prima ondata di SARS-CoV-2. Il tavolo della redazione è da pochissimo tornato ad affollarsi di idee e nuove scritture, interviste e nuovi mezzi di comunicazione (su tutti un’app di lettura unica fra le scuole d’Italia e una pagina Instagram); e noi già siamo pronte e pronti per le numerose, lunghe e faticose battaglie di questo complesso anno scolastico.

    Il nostro primo obiettivo è la comunicazione tra noi giovani, per questo abbiamo voluto e creato un profilo Instagram del giornalino ed Emilio Dalla Torre ha rinnovato l’app: in tempi pandemici la voce tra i corridoi non è più possibile, possiamo creare rete solo attraverso la rete. Sì, è vero che rinasciamo in tempi ancora difficili, ma il primo numero vede la luce in un giorno che ogni anno segna la lenta, incessante rinascita ciclica e quest’anno, vista la grande congiunzione fra Giove e Saturno, forse anche l’inizio di tempi diversi: migliori – speriamo – per il mondo, non solo per la nostra scuola. Chi non crede nelle stelle, almeno creda in noi: il motto vi ricorda che siamo tenaci, preparate e preparati alla resistenza attiva, creativa. Per noi sarà già una grande rinascita se avremo pubblicato i quattro numeri bimestrali programmati e soprattutto se, attraverso quelli e attraverso altri svariati testi-aggiornamenti individuali del sito, avremo portato informazioni, pensiero e anche qualche sorriso alle nostre compagne e ai nostri compagni e dato ai nostri insegnanti e alle nostre insegnanti ulteriore occasione di conoscenza e riflessione su di noi.

    Ogni due mesi pubblicheremo un numero collettivo come questo, più forse un numero speciale per la fine dell’anno scolastico; ma ogni mese il sito licenzierà altri testi: individuali, della redazione e di chiunque altro/a vorrà scriverci e unire alla nostra la sua voce.

    Ragazze e ragazzi di tutta la scuola, insegnanti di tutta la scuola, leggeteci e leggetevi! Rinasciamo insieme!

    L. B. – A. B. – F. S. C. – A. C. – L. D. – M. F. G. L. – A. M. – C. M. – M. P. – S. R. – M. R. G. S. – G. V. S. – L. V. – Y. Z.

    21.XII.2020

    emilio dalla torre Ricordo di Davide Frisoli

    giovanna longobardi Intervistiamo la nostra preside!

    lisa duso Intervista ai rappresentanti d’istituto

    Il Covid-19 e noi giulia saCCon

    Il futuro come puzzle margherita parisi

    Lunedì DaD Yun zhang Senza titolo

    andrea baretta, lisa duso

    Eco del mondo: i maggiori eventi del 2020

    Simposio di lettere e scienzemargherita fonte, andrea maurin Dialogo di un inguaribile romantico

    e di un’irrecuperabile realista

    alessandro marChesin, stefano riato Dialogo di un fisico quantistico

    e di un medico ricercatore Ipse dixit

    A casissimo reloadedfranCesCo fava

    Alcune cose «non servono» semplicemente perché non «s’inchinano»

    Agoràmarta rosson

    Pro TikTok margherita fonte

    Avverso TikTok

    RecensioniCostanza moras

    Carlos Ruiz Zafón, L’ombra del vento franCesCa sofia Carangelo

    Luca Guadagnino, We are who we are

    Satura lanxmargherita parisi

    Elogio del superfluo leonardo barato

    Il cielo sopra il porto lara vesCo

    Nel mezzo del cammin del mio Franchetti

    ind

    iCe

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  • Un ricordo di Davide Frisoli

    Parlare ‘dopo’ una persona è sempre impresa ardua, specialmente se ciò che si vorrebbe esprimere è solo profonda tristezza. Ma per quanto sia difficile parlare dopo una morte, credo sia mio dovere quantomeno tentare, poiché il dirigente Frisoli è stato una persona alla quale questa scuola deve molto, e alla quale io e i colleghi rappresentanti dobbiamo forse ancor di più, per quanto ci ha saputo insegnare.

    Molte volte, in questa scuola, ho avuto la sensazione che l’approccio allo studente fosse spersonalizzato, che esso fosse, per quanto teoricamente fulcro del sistema, mero ingranaggio in dinamiche molto più complesse. Nelle nostre titaniche battaglie di rappresentanti: «Se non il torneo di calcetto, almeno quello di pallavolo!»; o: «Se non il buffet in atrio, almeno un panettone nelle classi!», ho avuto la sensazione che di fatto le vere forze contrapposte non fossero gli esuberanti studenti e i ligi insegnanti – limitati, invero, dalle stesse regole che portano nella scuola parole come «assicurazione» o «polizza» che, direbbe Gianni Rodari, sarebbe bello esistessero solo ne La scuola dei grandi –, ma due

    visioni della scuola: quella fatta di persone e quella fatta di regole.

    Con il suo costante aplomb, Frisoli è stato colui che ha saputo insegnarci a mediare fra queste due diverse visioni della scuola: guidato dall’obiettivo di mantenere lo studente al centro della sua idea di scuola, non si è mai risparmiato nel cercare di aiutarci a esprimerci. Fosse questa nostra espressione la voglia di organizzare una conferenza con un rinomato ospite, un’attività particolare durante un’autogestione o un semplice buffet a Natale.

    Quale fosse il motivo per cui credeva in noi, negli studenti, sinceramente non lo so. Non siamo sempre stati il migliore posto in cui riporre la fiducia, diciamocelo. Più di qualche volta, e sto strizzando l’occhio a chi sa intendermi, siamo stati seriamente delle teste calde. Durante alcune autogestioni siamo stati capaci di turbare persino i professori più tolleranti; mi ricordo personalmente di assemblee d’istituto finite in drammi. Eppure, non c’è stata una sola volta in cui Frisoli abbia smorzato uno dei nostri entusiasmi – come molti avrebbero invece, forse più giustamente, fatto – in considerazione dei turbolenti trascorsi delle attività da noi

    organizzate.Da quanto detto finora,

    potrebbe emergere un ritratto di Frisoli fatto di pennellate tutte al posto giusto, ma stucchevoli. Non è questa la mia intenzione: Frisoli non era fautore di una scuola prona ai desideri volubili degli studenti; credeva profondamente che la fiducia dovesse essere pagata con la responsabilità. Ed era in questa maniera, ovvero trattandoci da adulti, che aveva trovato la chiave di molti di noi: con le responsabilità si cresce? Ce ne affidava.

    È per tutti questi motivi che io credo sia giusto non dimenticare mai una persona come Frisoli, e ricordarlo con ciò che Tacito disse in un’occasione simile (Ag. 46.1): «Se v’è un qualche luogo per le anime delle persone oneste; se, come piace ai sapienti, le grandi anime non si estinguono con il corpo, possa tu riposare placidamente [...]1».

    1Si quis piorum manibus locus, si, ut sapientibus placet, non cum corpore extinguuntur magnae animae, placide quiescas [...].

    Emilio Dalla Torre

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  • Intervistiamo la nostra preside!

    È un grigio pomeriggio di fine novembre. Sono settimane che l’edificio del Bruno, come la sede del Franchetti, non accoglie più noi studenti. Qualcuno, però, continua a frequentare questi ambienti: gli impiegati della segreteria, qualche collaboratore scolastico… e la nostra preside. Come le nostre lezioni, anche il suo lavoro non si è fermato, anzi! Ma chi è colei che firma le cir-colari? Chi è la nostra dirigente, Michela Michieletto? Nel perio-do in cui l’incontro pare limitato e la quotidianità scolastica di noi studenti è stata bruscamente trasformata, abbiamo intervista-to per voi la nostra preside.

    Quali sono il Suo percorso di studi e il Suo percorso lavo-rativo? Perché ha deciso di diventare dirigente scolastico?

    Sono un’appassionata di lingue; al liceo e poi all’università ho sempre studiato lingue straniere, scoprendo però, nel frattempo, che mi piaceva anche insegnare. Ero sicura che l’unico lavoro che avrei desiderato fare era quello di docente. È stato un lavoro che ha riempito la mia vita per venticinque anni e non c’è stato un giorno in cui non avessi avuto voglia di andare a scuola; ho sempre vissuto serenamente la mia professione. Sono diventata dirigente un po’ per caso: alcune mie colleghe mi convinsero a provare il con-corso. Sono contenta, anche se mi manca molto stare in classe con i ragazzi.

    Quali sono i momenti più diffi-

    cili del Suo lavoro? Quali invece i più gratificanti?

    È gratificante parlare con i ra-gazzi! È gratificante quando la scuola, ovvero una comunità pro-fessionale in cui le cose funzio-nano se lavoriamo tutti insieme, riesce a portare i ragazzi là dove li deve portare e con successo. Ma il successo non significa, a mio parere, portare tutti al dieci, ma far capire a ciascuno che ciò che stanno facendo ha un senso che appaga. Di conseguenza, i momenti più difficili sono quelli in cui mi ritrovo a dover richi-amare uno studente per dei com-portamenti scorretti o quando capita di dover pensare alla non ammissione alla classe succes-siva. La non promozione di un ragazzo, infatti, mette in discus-sione l’intera istituzione scolasti-ca: che cosa non abbiamo fatto per aiutarlo?

    Quale rapporto vorrebbe instau-rare con noi studenti?

    Collaborazione e condivisione sono per me fondamentali. La scuola, infatti, più di ogni altro ambiente di lavoro, di crescita e di formazione, funziona solo se siamo un coro in cui ognuno mette la propria voce e formiamo un insieme perfetto di suoni. Vorrei con gli studenti collabo-razione e confronto, un confronto garbato, perché nel confronto si cresce.

    Quando era studentessa, come viveva la scuola?

    La scuola erano soprattutto gli amici. La scuola, poi, è stata una risorsa di strumenti che mi sono serviti nella vita. Strumenti non

    solo culturali, ma anche di ca-rattere sociale, come interagire con gli altri e saper ascoltare.

    La scuola mi ha insegnato a os-servare, ad ascoltare molto e, in base ai dati che raccoglievo, a formare la mia opinione.

    Quale messaggio, augurio, vuole lasciare a noi ragazzi?

    Che la scuola sia per voi la fonte di tutte le opportunità che la vita vi può offrire e il luogo in cui riusciate a trovare la vostra strada. Sembra una frase plateale; in realtà, io credo che la scuola debba dare a ognuno di voi la possibilità di scegliere, fornendovi sia gli strumenti per affrontare al meglio un percorso universitario sia gli strumenti per scegliere autonomamente e in libertà anche un’altra strada. La scuola deve darvi la pos-sibilità di capire cosa volete diventare, aiutare ciascun stu-dente a guardarsi dentro, capire quali sono le proprie potenzialità, raggiungerle e poi scegliere con assoluta serenità. Questo è il senso del nostro stare insieme.

    Terminata l’intervista, ci intrat-teniamo ancora un po’ a par-lare del valore dell’istruzione e della cultura, fondamentali da un punto di vista innanzi-tutto sociale. «Io credo ancora che la scuola sia un ascensore sociale», conclude a proposito la nostra preside, «ed è esatta-mente la scuola a dover fornire la capacità di spacchettare il mondo e scoprire cosa c’è al di là della propria quotidiani-tà. Stimolare e sviluppare in ciascun studente la curiosità e l’interesse a guardare oltre!».

    Giovanna Longobardi

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  • Intervista ai rappresentanti d’istitutoLisa Duso

    «L’unica cosa certa è il dubbio» diceva Cartesio: una frase più che calzante per descrivere questo insolito anno scolastico e la nuova realtà con la quale abbiamo oramai imparato a convivere. Nonostante la vita da ‘studenti a distanza’, non dobbiamo tralasciare l’importanza del ruolo ricoperto dai nostri rappre-sentanti, impegnati nel far fronte alle mille difficoltà riscontrate da tutti noi allievi. Sara Trabuio, Cristian Gherbovan, Niccolò Serafini e Annaflora Zambon: abbiamo voluto ascoltare le loro opinioni riguardo la situazione attuale; i loro consigli e riflessioni; gli obiettivi raggiunti e da perseguire.

    Sicuramente uno degli obiettivi che ci dobbia-mo prefissare è quello di minimizzare il danno scolastico che stiamo subendo: questo facendo sì che le lezioni continuino, senza essere trop-po stressanti e stancanti. Cominciare con la didattica a distanza penso abbia dato una bella sferzata alla nostra capacità di adattamento; un allenamento di vita, che ci ha insegnato a dover essere pronti ad affrontare anche gli imprevisti più difficili. Mi sento di consigliare di non com-portarsi come avrebbe detto di fare Epicuro: non vivete nascosti, ma siate partecipativi e attivi! L’invito è quello di farsi avanti, di non lasciarsi andare; cercare ancora di avere uno spirito po-sitivo, di aderire alle attività che sono proposte dalla scuola e a quelle che proporremo noi. Da non dimenticare ovviamente che, per tutti quelli che possono essere i problemi e i dubbi, siamo sempre disponibili ad ascoltare e dare consigli.

    Credo sia fondamentale ricordare, nella situazio-ne attuale, l’importanza del sapersi organizzare. La condizione che stiamo vivendo ha reso tutti noi più maturi, perché, ora come ora, dobbiamo essere in grado di darci da fare: siamo consape-voli di poter passare mesi a copiare, a non aprire un libro, ma dove si arriva? Si rischia davvero che le cose si perdano, si creino sempre più lacune lungo il percorso, e il primo periodo di didattica a distanza ne è stato una prova. Quindi, oltre al cercare di essere il più possibile corretti (e sappiamo cosa si intende!), e nonostante il momento difficile, bisogna rimanere uniti e cer-care di partecipare il più possibile. È un periodo che non va preso alla leggera: può sembrare cosa da poco, ma solo dopo ci si rende conto di tutto ciò che si ha perso.

    In un periodo così complesso l’obiettivo più im-portante, e forse il più complicato, è quello di far sentire tutti gli studenti parte integrante dell’isti-tuto, sebbene ci si trovi dietro ad uno schermo e non a scuola. La didattica a distanza, avendoci privato di ciò che noi ritenevamo scontato, ci ha insegnato l’importanza del partecipare alle atti-vità scolastiche: spero che ciò possa servire, una volta tornati a scuola, per spronarci ad aderire ancora più attivamente alla vita scolastica. Inol-tre, benché sia un periodo in cui siamo sommersi da mille problemi, è importante non dimenticarsi delle persone che non sono fortunate come noi: è per questo che, come ogni anno, parte dei soldi ricavati dalla vendita dell’abbigliamento d’istitu-to saranno devoluti in beneficenza, per l’adozione di due bambini in Kenya.

    Noi rappresentanti vogliamo che gli studenti si sentano inclusi in una scuola che offre loro un’ampia gamma di possibilità: puntiamo a far sì che si sentano orgogliosi di essere parte del Bruno-Franchetti! Stiamo cercando di rimanere il più possibile attivi: portando nuovi contenuti; mirando ad ottenere un rapporto più coeso tra studente e studente, e tra studenti e rappresen-tanti d’istituto, creando nuovi canali di comuni-cazione fra di noi. Degli esempi sono il canale YouTube – per l’orientamento in uscita – e le videoconferenze: miriamo a svolgere molte assemblee, così che tutti abbiano la possibilità di dirci i problemi che hanno riscontrato. Puntiamo a relazionarci quanto più possibile, aspirando a fare sempre di più e sempre meglio.

    ANNAFLORA ZAMBON CRISTIAN GHERBOVAN

    SARA TRABUIO

    NICCOLÒ SERAFINI

    Se avete bisogno, chiedete:noi siamo disponibili, sempre!

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  • Il futuro come puzzle

    Prima di questa pandemia, solo la parola ‘futuro’ mi faceva venire la pelle d’oca. È così, perché il futuro non fa che spaventare. C’è chi, magari, ha le idee molto chiare. Quando gli viene chiesto di riflettere sul futuro, inizia a pensare alla sua vita fra qualche anno: la strada da intraprendere dopo il liceo, il tipo di persona che vuole diventare; e comincia a pensare a come costruire la propria vita pezzo per pezzo. In questo momento, credo che il pensiero del futuro sia l’unica cosa che riesce a farci andare avanti. Pensare a quando tutto questo sarà finito è l’unica cosa che ci spinge a non mollare. L’attesa ne sarà valsa la pena. Ma quante possibilità ci sono che, una volta superata questa situazione, tutto tornerà come prima? Questa crisi ha già cambiato il mondo. Il mondo del lavoro, l’economia, la medicina sono tutti settori che l’epidemia ha trasformato. Ma parliamo di quello a noi più vicino, l’istruzione.

    Ormai, siamo tutti più che consapevoli della situazione d’emergenza in cui ci troviamo e comprendiamo la necessità di questo modo di operare, ma la didattica a distanza non è scuola. La mancanza di spazio, le aule troppo piccole e i mezzi di trasporto sono tutti enormi problemi, causati soprattutto dal fatto che non c’è stato investimento sulla scuola. È chiaro che in queste condizioni non è possibile tornare a scuola, ma è anche triste il fatto che l’istruzione non sia considerata una priorità. Per vedere davvero un futuro davanti a noi quando questa fase d’emergenza sarà finita, è fondamentale formare i giovani che vivranno questo paese.

    Uno scrittore italiano, Paolo Giordano, ha paragonato il futuro a un puzzle. Un puzzle molto complicato, che non possiamo fare aiutandoci con la figura sulla scatola, perché raffigura un’immagine che ancora nessuno conosce. I pezzi da comporre sono diversi e non sempre combaceranno alla perfezione. Insomma, il futuro ora è più che mai incerto. Non sappiamo come si evolverà la pandemia e quanto ancora durerà, ma è necessario che gli studenti facciano sentire la propria voce affinché venga riconosciuta la loro importanza. Del futuro, ora, ho meno paura.

    Giulia Saccon

    Il Covid-19 e noi

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    Lunedì DaDMargherita Parisi

    Lunedì vuol dire lezione di greco alla prima ora. Non ho voglia. Doccia. Non mi chiama, per fortuna. L’ora dopo abbiamo latino. Mi asciugo i capelli e penso a cosa sto facendo e come la DaD sta cambiando la nostra vita.

    Oggi si può saltare una lezione, semplicemente spegnendo la telecamera, perché alcuni studenti vedono nella DaD, sbagliando, una vacanza; ed è diventato normale sovraccaricare gli studenti pensando che, solo perché sono a casa, possono trovare il tempo per fare il doppio di ciò che facevano quando si andava a scuola. Questo accade perché spesso da nessuna delle due parti si è capito che la DaD è un nuovo modo di fare scuola – non ‘il’ nuovo modo come ritengono quanti ci vedono una soluzione definitiva – e come tale necessita di un diverso modo di valutare e studiare.

    In verità la DaD, che ha buttato giù quel muro che pareva insormontabile tra professori e studenti, ce la vorremmo lasciare alle spalle; tornare a scuola e parlare di tutto questo come un marinaio che guarda il mare dopo la tempesta: tranquilli, quasi con il sorriso, con la consapevolezza che non può più nuocere e che la scuola tremenda, i professori cattivi e i compagni pestiferi ci mancavano.

    Della scuola, si ricordano con nostalgia tutti quegli avvenimenti che si odiavano quando ci si andava: il funesto giorno di una verifica, l’ansia e l’adrenalina che scorrevano per tutto il corpo e il cuore che batteva

  • sempre più forte come nel tentativo di ricordare: «Sono qui, sono qui!»; o i minuti dopo una versione in cui ci si confrontava e si scopriva di aver sbagliato ogni cosa.

    Manca anche, e soprattutto, poter essere giovani. La giovinezza ci è stata tolta, dobbiamo essere più adulti e responsabili di quanto non sia mai stato chiesto a una generazione: una cosa è dover stare attenti a scuola, seduti su una sedia per sei ore con un insegnante davanti; un’altra è essere a casa propria, poter spegnere la telecamere e fare ciò che ci pare; essere onesti in una verifica a scuola è facile, cosa ben diversa è farlo a casa con il computer e il manuale a portata di mano.

    Per farlo bisogna saper riconoscere il valore dell’onestà, avere rispetto prima per noi e poi per i nostri insegnanti, aver capito qual è il senso e lo scopo ultimo della scuola: che non è prendere un voto, e nemmeno approfittare di questa situazione, ma studiare semplicemente perché è giusto così. Sono cose davvero così scontate? Pensateci. Io devo andare. Ho un’ora di filosofia.

    Senza titolo

    Il cielo plumbeo, che pare non serbare ricordo di quel tepore dorato, è la scenografia delle nostre giornate, che ora mi trovo a raccontare. Un po’ come pagine scribacchiate in una cella, o un diario sulla nave squassata da tempeste senza fine.

    In balia delle onde e dei venti (e finora nessuna terra in vista), ogni cosa finisce per scorrerci addosso, e i giorni sono ridotti a una reiterazione troppo spesso incolore e stremata.

    La nostalgia, che dovrebbe appartenere a novantenni ormai sazi e impoltriti, diviene precoce e stride con l’entusiasmo e l’aspettativa: si parla al passato con malinconia, e ogni accenno al futuro, anche solo prossimo, pare più offuscato dell’oroscopo.

    Il distacco forzato grava e aliena, persino per chi si riteneva non bisognoso del contatto diretto: i mezzi alternativi di cui disponiamo difficilmente riempiono la bolla di silenzio e solitudine, sfibrando se non spezzando definitivamente preziosi legami.

    Non è certo mia intenzione offrirvi leziosi e insulsi ottimismi, né tormentarvi con angosciosi dilemmi esistenziali, né possiedo un tetrapharmakon che possa assicurare la serenità.

    Se c’è però qualcosa che potrebbe venire in soccorso è il tentativo di trovare un senso in ciò che facciamo, qualcosa che prescinda dai disastri del mondo esteriore, e che possa alimentare il nostro microcosmo ogni giorno, sebbene sia un’impresa ardua ora più che mai; concedersi un motivo per alzarsi dal letto, o, perché no?, per rimanere sotto le coperte.

    Non ci resta che tentare di raddolcire questo esilio con piccoli frammenti di quotidianità: un romanzo lasciato a metà, un’ispirazione sfuggente, una musica inebriante, una conversazione notturna, un cioccolatino (anche due, o anche tre...), un’alba infuocata, una semplice doccia, una parola gentile, un ricordo felice, e forse una speranza diafana come la neve del primo dicembre.

    Nella consapevolezza che questo, forse, ci renderà più saggi.

    Yun Zhang

    Esili! La distanzasi fa densa,

    respiriamo l’aria della ferita.(PABLO NERUDA)

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  • Eco del mondo: i maggiori eventi del 2020

    Andrea Baretta - Lisa Duso

    GennaioIl 3 gennaio avviene l’assassinio di Qasem Soleimani, generale iraniano: è deceduto in un attacco mirato voluto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il 23 gennaio il governo cinese dispone la quarantena per la metropoli di Wuhan, a causa del nuovo ceppo di Coronavirus. Il 26 gennaio muore l’idolo della pallacanestro Kobe Bryant in un incidente a bordo del suo elicottero. Il 31 gennaio il Regno Unito esce ufficialmente dall’Unione Europea, iniziando un periodo di transizione di undici mesi.

    Febbraio

    Il 5 febbraio il presidente Donald Trump viene assolto dall’impeachment a suo carico: il presidente americano era stato accusato di aver sospeso degli aiuti militari all’Ucraina per fare pressione sul neoeletto presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, affinché la magistratura di Kiev avviasse un’indagine riguardo presunti atti illeciti compiuti dalla famiglia Biden; Joe Biden, in qualità di vicepresidente di Barack Obama, avrebbe illegittimamente incoraggiato nel 2015 il licenziamento del

    massimo procuratore dell’Ucraina, che stava allora indagando su una compagnia energetica dove lavorava il figlio Hunter Biden. Il 7 febbraio Patrick Zaki, attivista e studente dell’Università di Bologna, viene arrestato e incarcerato dalle autorità egiziane, accusato di aver tramato contro il regime di al-Sisi.

    Marzo

    Il 2 marzo viene dichiarata la fine ufficiale dell’emergenza che, causata dagli incendi boschivi, aveva devastato l’Australia per mesi. Il 4 marzo impariamo un acronimo nuovo, DaD (Didattica a distanza). Il 17 marzo la UEFA annuncia che gli Europei di calcio verranno rinviati al 2021. Il 24 marzo viene reso ufficiale il rinvio dei Giochi olimpici di Tokio al 2021.

    aprile

    Il 16 aprile muore di Covid-19 lo scrittore Luis Sepúlveda. Il 19 aprile migliaia di cittadini sono scesi per le strade di Israele a protestare contro il primo ministro Netanyahu e la corruzione del governo.

    MaGGioIl 6 maggio, tramite il telescopio MPG/ESO, viene scoperto il primo buco nero di un sistema stellare visibile a occhio nudo. Il 15 maggio muore il compositore e direttore d’orchestra Ezio Bosso. Il 25 maggio viene ucciso dalla polizia di Minneapolis George Floyd, uomo di origini afroamericane. La vittima, dopo essere stata accusata di aver pagato con una banconota da venti dollari falsa, è stata bloccata a terra da un poliziotto con un ginocchio sulla nuca: aggressione che ne ha causato la morte per

    soffocamento. La scena, ripresa da un astante che l’ha in seguito caricata sui social, è subito diventata virale, permettendo che l’avvenimento non venisse ignorato. Il 26 maggio iniziano le proteste per i maltrattamenti della polizia nei confronti degli afroamericani negli USA, con lo slogan: «I can’t breath!», ultime parole di George Floyd. Il 30 maggio avviene il lancio della navetta spaziale Crew Dragon, realizzata da SpaceX (azienda del noto imprenditore Elon Musk) in collaborazione con la NASA: è la prima volta che una compagnia aerospaziale privata manda in orbita una navicella con a bordo un equipaggio umano.

    GiuGno

    A giugno dilaga la protesta Black Lives Matter. Il 15 giugno forze turche e iraniane iniziano attacchi aerei e di artiglieria contro le forze del Partito dei lavoratori del Kurdistan nel Kurdistan iracheno. Il 16 giugno la Corea del Nord ha sciolto l’ufficio di collegamento inter-coreano a Kaesong, istituito nel 2018 al fine di migliorare le relazioni tra Nord e Sud Corea. Il 19 giugno il paraciclista Alex Zanardi rimane coinvolto in un incidente stradale durante una staffetta, rimanendo gravemente ferito. Il 30 giugno la Cina approva una controversa legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, che consente alla Cina di sopprimere l’opposizione al governo di Pechino sia in patria sia all’estero: un gesto visto da molti come una minaccia alle libertà politiche fondamentali e ai diritti civili.

    luGlio

    Il 6 luglio muore il compositore

    2020, uno dei peggiori anni se-condo molti. Forse. Sicuramente un anno egemonizzato dal Coro-navirus, che ha sconvolto le nostre vite e abitudini. Il 30 gennaio l’OMS dichiara l’epidemia del nuovo coronavirus «emergenza sanitaria pubblica di interesse in-ternazionale». L’11 marzo sempre l’OMS dichiara che l’epidemia è una ‘pandemia’. Sembra essere l’unica notizia, ma il 2020 è stato anche altro...

  • e direttore d’orchestra Ennio Morricone. Il 19 luglio un’inondazione del fiume Brahmaputra uccide 189 persone e ne lascia quattro milioni senza tetto in India e Nepal. Il 30 luglio la NASA inizia la missione Mars 2020 con il lancio del razzo Atlas V. Come obiettivi principali annoveriamo: la ricerca di tracce che testimonino un’ipotetica presenza di vita, passata o presente; la raccolta di informazioni utili per una prima esplorazione umana (e, chissà, forse per una futura colonizzazione); un approfondimento delle conoscenze relative al clima e alle caratteristiche geologiche del pianeta rosso.

    aGosto

    Il 4 agosto due esplosioni devastano il porto della capitale libanese, Beirut. La catastrofe, causata dalla presenza di magazzini contenenti ingenti quantità di esplosivi e sostanze chimiche, ha danneggiato gli edifici della capitale fino a 10 km di distanza: circa 200 i morti; più di 7000 i feriti; oltre 300.000 gli sfollati. Il 6 agosto una nave petroliera giapponese, incagliatasi già a luglio nella barriera corallina dell’isola di Mauritius, cede definitivamente e riversa in mare 3800 tonnellate di petrolio. Il 9 agosto muore a cento anni la grande attrice comica Franca Valeri; lo stesso giorno vince le elezioni in Bielorussia Lukashenko, eletto per la sesta volta presidente: le gravi accuse di brogli elettorali che hanno dato adito a numerose proteste (denominate ‘rivoluzione delle ciabatte’) hanno in seguito portato all’intervento dell’UE. Il 20 agosto viene avvelenato mediante un tè Aleksej Naval’nyj, attivista politico e blogger, principale avversario del presidente russo Vladimir Putin. Dopo che la moglie ha scritto personalmente a Putin, Naval’nyj è stato autorizzato a lasciare la Russia a bordo di un aeroplano inviato

    dalla Germania. Viene ricoverato a Berlino e si salva grazie alle cure tedesche.

    setteMbre

    Il 6 settembre, durante un pestaggio avvenuto a Colleferro, viene brutalmente ucciso Willy Monteiro, un ragazzo italiano di vent’anni di origine capoverdiana. Il 27 settembre scoppia la guerra nell’Artsakh (finirà il 10 novembre): un conflitto armato tra le forze dell’Azerbaigian e dell’Armenia, in contesa per la regione del Nagorno-Karabakh (o Artsakh). Il 30 settembre muore Quino, fumettista creatore di Mafalda.

    ottobre

    Il 5 ottobre iniziano aspre proteste contro i risultati delle elezioni parlamentari in Kirghizistan, per via delle accuse di brogli elettorali: il 6 ottobre vengono annullati i risultati e il 15 ottobre Sooronbay Jeenbekov, l’allora presidente della repubblica, ha rassegnato le sue dimissioni. Il 16 ottobre, a Parigi, il professor Samuel Patty viene ucciso dal diciottenne Abdoullakh Anzorov per aver mostrato e spiegato ai suoi studenti delle vignette satiriche di Charlie Hebdo.

    noveMbre

    Il 2 novembre muore il grande attore di teatro e cinema Gigi Proietti; inoltre avviene un attacco terroristico di matrice islamista a Vienna: un uomo armato di pistola, machete e fucile d’assalto, intorno alle otto della sera ha aperto il fuoco nel centro storico della città. Quattro civili sono rimasti uccisi nell’attacco e altri ventitré sono risultati feriti, sette in modo grave, tra cui un agente di polizia. L’aggressore, che è stato poi ucciso dalle forze dell’ordine, è stato identificato come un simpatizzante dell’ISIS. Il 3 novembre si svolgono le elezioni presidenziali negli USA.

    Per il partito repubblicano si ricandida il presidente uscente Donald Trump, mentre per i democratici Joe Biden, ex vicepresidente durante i due mandati di Barack Obama. Dopo i primi giorni di spoglio che hanno visto il primo dei due in testa, è risultato vincitore il democratico, ma Trump si è rifiutato di riconoscerne la vittoria. Per questo è stato ordinato un secondo conteggio dei voti e Biden è stato confermato definitivamente vincitore. Solo ora, dopo oltre un mese dalle elezioni, il presidente repubblicano sembra riconoscere la vittoria dell’avversario, dando luogo alla transizione che il 20 gennaio 2021 porterà all’inizio del mandato di Joe Biden come quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Il 9 novembre ha luogo il massacro nella città di Mai Kadra, nella regione etiope del Tigrai: circa 500 vittime. E pensare che solo un anno fa il presidente dell’Etiopia Abiy Ahmed Ali ricevette il Nobel per la pace! Il 25 novembre muore Maradona, noto calciatore argentino. Il 27 novembre si verifica l’omicidio dello scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh, padre del programma nucleare dell’Iran. L’agguato è stato probabilmente ordito da Israele, che accusa l’Iran di volersi dotare della bomba nucleare.

    DiceMbre

    L’8 dicembre il Franchetti compie ottant’anni; il medesimo giorno, dopo una sperimentazione accelerata, viene somministrata la prima dose di vaccino anti-covid della Pfizer: ad assumerlo presso l’ospedale di Coventry è la novantenne nordirlandese Margaret Keenan; la seconda somministrazione, invece, viene inoculata a William Shakespeare, cittadino inglese omonimo del celeberrimo poeta e autore teatrale. Tutto è bene quel che finisce bene...?

  • Nasce una nuova rubrica, con l’obiettivo di affrontare temi elevati inter pocula: due studenti del liceo classico hanno deciso di riprendere (e ampliare) il discorso da dove Giulia Saccon lo aveva lasciato il 3 ottobre 2020 scrivendo intorno all’Attimo fuggente di Peter Weir (vedi: ); due allievi dello scientifico, invece, hanno scelto un tema non meno impegnativo di quello dei sogni, ossia le cellule staminali. Evoè!

    Simposio di lettere e scienze

    Dialogo di un inguaribile romanticoe un’irrecuperabile realista

    SIMPOSIARCA Amici, amiche, benvenuti! Sono felice di vedervi così numerosi in questo nostro primo simposio.

    Come già saprete questo sarà un circolo di amici che si diletterà a discutere su varie tematiche scelte dal caso con l’aiuto di fiumi esondanti di vino, come vorrebbe la tradizione. Adesso, per scegliere il tema di oggi, vi prego di scrivere su un foglietto che cosa vorreste affrontare in questo primo simposio e di metterlo in questo cappello, nel mentre provvederò a dissetarvi con piacere! (Tutti mettono un foglietto nel cappello, dopo un po’ il simposiarca esclama) Eccellente! Ora vediamo un po’ di cosa discuteremo! (Pesca un biglietto) Oh, oggi a quanto pare ci diletteremo parlando de L’attimo fuggente. Partiamo in senso antiorario. Prego! CHIARA BECCARIA

    Sono onorata di parlare per prima, ma avrei una piccola richiesta: vorrei che non ci concentrassimo sul film in sé ma di spaziare un po’ di più, poiché non vedo dove potremmo arrivare discutendo solo del film. SIMPOSIARCA

    Sentiti libera di fare come meglio ritieni.CHIARA BECCARIA

    Grazie mille. Oggi vorrei parlare con voi di una questione che mi sta a cuore: il ruolo del professor Keating. Infatti ogni volta che si cita questo bellissimo film si finisce sempre per lodare le sue gesta, mentre si rimprovera aspramente l’impostazione rigida e tradizionalista della società in cui la storia si svolge. Tuttavia nella vita di tutti i giorni, nella nostra società, diversa da quella americana di fine anni ’50, mi domando se queste posizioni possano essere ancora valide e sostenute. D’altronde, in un mondo in cui le decisioni si prendono alla giornata, siamo sicuri che Keating riuscirebbe ancora ad aiutare i ragazzi con il suo modo dissacrante? Non creerebbe piuttosto ancora più confusione nelle loro (e nelle nostre) menti? Già all’epoca il suo fare portò al suicidio di Neil... chissà cosa mai provocherebbe oggigiorno. GIOVANNI MANZONI

    Hai ragione, la società di oggi, per nostra fortuna, è diversa da quella della Welton Academy. Ciò nonostante alcuni temi sopravvivono al corso della Storia. Un esempio? I sogni. I sogni da sempre rappresentano per noi la prospettiva di un futuro diverso e ci spingono a desiderare una vita migliore. Ciò era evidente in passato – nel film i ragazzi sanno già quali università frequenteranno perché

    Margherita Fonte - Andrea Maurin

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  • sono decise dai loro genitori –, ma penso che sia presente anche ai nostri giorni. Tutte le attività che ci propongono a scuola mirano a condurci verso delle vite pianificate. Il lavoro di Keating quindi è quello ancora una volta di smuovere le coscienze, di farci riscoprire i sogni, un compito fondamentale nella nostra società.

    CHIARA BECCARIACerto, i sogni avranno sempre un ruolo importante nella nostra vita. Però mi sembra logico

    che, di fronte a decisioni importanti, sia giusto scegliere in maniera oggettiva e razionale e non abbandonarsi ai sentimentalismi o ai sogni, poiché essi per loro natura sono irrazionali. Infatti a volte può capitare che nella vita qualcosa vada storto. Pensate: cosa succederebbe se in quei momenti lasciassimo che a indirizzare la nostra scelta fossero le emozioni? Io penso proprio che potrei pentirmene, perché a mente fredda non troverei la razionalità e logicità della decisione che ho preso.

    GIOVANNI MANZONITu dici? Io penso proprio l’esatto contrario: come potrei vivere con una scelta, che magari

    dura per tutta la vita, ma che ho preso senza seguire il cuore? È vero, nella vita può accadere di incontrare situazioni difficili, ma bisogna ricordare per cosa si sta decidendo: si tratta della nostra vita, in cui nulla è sicuro se non la perenne incertezza nella quale muoviamo i nostri passi, penso perciò che sia più che comprensibile desiderare di essere felici, e se questo comporta correre qualche rischio, ciò non ci deve dissuadere dalla nostra volontà di seguire l’emozione. Che senso ha trascorrere un’esistenza serena e razionale se poi non si è mai vissuto veramente, se non ci si è lasciati rapire dai sentimenti? La vita è amare e odiare, soffrire e gioire, scoprire e conoscere, sognare e provare, fallire e morire. In un tale turbine di emozioni è da stolti dimenticarsi del nostro cuore per dar retta alla testa. Siamo figli di un istinto primordiale, non prodotti di fabbrica. Agiamo come tali! Facciamo fiorire il seme di infinito che è in noi, e mai niente potrà ridurlo a un progetto o un ideale. Questo significa assaporare la nostra condizione umana e mortale, la ragione non può donare la felicità.

    CHIARA BECCARIASciocco! Queste tue convinzioni non sono altro che il frutto di una visione utopistica della

    realtà. Hai visto troppi film sui drammi adolescenziali! È bello essere affascinati dalle molteplici opportunità che la vita ci riserva, ma bisogna ponderarle con intelligenza e maturità. Siamo giovani adulti che stanno per entrare nel mondo dei “grandi” e abbiamo bisogno di una mente analitica pronta per far scelte sagge e assennate. Non puoi pensare di andare nel mondo reale con ancora le tue idee da vecchio romanticone! Figli dell’istinto? Non farmi ridere! Se siamo dove siamo e non insieme a tutte le altre bestie del creato è grazie al ragionamento e non all’istinto. Tutto quello che facciamo, creiamo, pensiamo è frutto del pensiero razionale e della capacità dell’uomo di fare un pensiero di senso compiuto. Ti ricordi cosa scriveva Platone nel Fedro? I sentimenti devono essere governati dalla ragione! Come l’auriga comanda i suoi cavalli e tiene sulla strada il suo carro, così la ragione controlla le emozioni e i desideri e ci mantiene sulla retta via.

    GIOVANNI MANZONIVa bene, ma senza scomodare Platone voglio farti un esempio più recente e comprensibile per

    i nostri giovani commensali. Prendiamo Harry Potter! Nella scena finale dell’ultimo libro, Harry Potter e i doni della morte, il nostro occhialuto protagonista si trova davanti a un bivio decisivo: consegnarsi a Voldemort, oppure continuare a lottare, mettendo però a rischio la vita dei suoi amici. E lui cosa fa? Si mette forse a considerare la soluzione migliore seduto in Sala Grande? No! Senza nemmeno pensarci segue il cuore, perché non può permettere che i suoi amici muoiano. Perciò si dirige nella Foresta Proibita, sordo alle suppliche di Ron ed Hermione, e accetta il suo destino: la morte. Solo così ne diverrà il possessore, perché avrà posseduto le proprie emozioni, lasciando loro invadere il suo cuore.

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  • CHIARA BECCARIAMa Harry in quel momento non sapeva veramente a cosa andava incontro! Solo dopo, parlando

    con Silente, se ne renderà conto. Lui è stato fortunato, ma nella vita reale non sempre è così! E comunque, per risponderti per le rime, voglio considerare un altro momento cruciale di questa storia: la morte di Sirius Black, padrino di Harry, nel quinto libro. Poteva essere evitata? Sì, se solo Harry avesse dato retta a Hermione, il personaggio più assennato di tutta la compagnia. Infatti, quando Harry vede nella sua testa la visione di Sirius torturato dal Signore Oscuro, non ascolta Hermione, che lo invita a riflettere, ma segue l’istinto e va incontro a Voldemort, mettendosi però nei guai e mobilitando Sirius, che purtroppo dal duello per liberarlo non uscirà vivo. Se solo avesse ascoltato la sua amica, avrebbe capito prima che quelle visioni erano solo un inganno creato dal Signore Oscuro per attirarlo a sé.

    SIMPOSIARCASiamo sicuri che Sirius non sarebbe morto se Harry avesse usato la testa? Del resto, del senno

    di poi sono piene le fosse, come dice il proverbio. È certamente possibile che si sarebbe arrivati a un finale diverso, ma il come non ci è dato saperlo (se non telefonando a J. K. Rowling!). D’altra parte, però, non si può nemmeno pensare che Harry, andando, decidendo della propria sorte, non abbia utilizzato nemmeno un pizzico di razionalità, altrimenti vorrebbe dire che non era lucido, ma la storia e i suoi gesti ci dimostrano esattamente il contrario. Anche il suicidio di Neil resterà un mistero: le inchieste nel film avranno pur tirato delle conclusioni affrettate sul povero Mr. Keating, ma la verità, se osservata da vicino, sappiamo che non è mai semplice. Però ora mi fermo, perché credo sia giunto il momento di concludere. Sono molto felice che questo confronto abbia portato a risvolti tanto interessanti, ma ormai i nostri lettori e uditori saranno stanchi e pieni di argomenti su cui riflettere. Del resto il segreto di una buona conversazione è sicuramente una buona tavola, ma anche un finale conciso.

    GIOVANNI MANZONISono d’accordo, meglio finirla qui. Sono comunque molto soddisfatto perché, anche se non

    condivido del tutto il pensiero di Chiara, ho avuto l’opportunità di vedere la questione dei sogni da un altro punto di vista altrettanto valido, quindi ti ringrazio molto e spero di non essere stato troppo farfallone e trasognato.

    CHIARA BECCARIAGrazie anche a te e, tranquillo, non sei stato per niente superficiale. Anzi! È stato molto

    illuminante e sarei lieta di discutere ancora con te in futuro. Ma ora bando alle ciance! Ho parlato troppo ed è ora che io mi taccia con un bel po’ di vino.

    SIMPOSIARCAPortate il vino! Le vostre gole aride devono reidratarsi! Oggi direi che abbiamo discusso

    troppo e bevuto poco. Prego, servitevi pure.

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  • Dialogo di un fisico quantisticoe di un medico ricercatore

    Richard e James si incontrarono per la prima volta a Berlino, a una conferenza sul tema: elettrodinamica quantistica e chimica teorica; insomma, una cosa non proprio comune. Frequentavano lo stesso anno di università, ma i loro interessi erano diversi, come le loro personalità. Richard, istrionico e creativo, studiava fisica teorica. James era diverso, introverso e preciso, aveva studiato medicina. Allo stesso modo le loro strade furono diverse. E mentre Richard si trasferì ben presto a Berna per mantenere contatti con i colleghi ricercatori di Ginevra, James era rimasto a Berlino.

    A farli incrociare di nuovo fu in parte la fortuna, dal momento che Richard, in quei giorni, passava proprio di lì per motivi di ricerca, ma fu anche il duro lavoro. James, infatti, era stato finalmente ripagato di gran parte dei suoi sforzi, e aveva vinto un prestigiosissimo premio per le sue ricerche, indirizzate allo studio delle cellule staminali. Fu così che James invitò a cena il suo vecchio amico.

    «E quindi? A cosa dobbiamo il lieto evento?».«Beh, te lo spiego a tempo debito. Intanto entra, che fuori fa freddo».«Sì, in effetti. Però c’è un bel cielo stasera, non trovi? Ma facciamo come dici tu, va’. Mi si sta

    sinceramente congelando il naso».James fece entrare Richard e i due si accomodarono. Richard sembrava essere a suo agio,

    nonostante non avesse mai messo piede prima di allora in quella casa. James fece accomodare l’amico sul sofà. Com’erano cambiati dall’ultima volta che si erano visti!

    «Ebbene, a cosa dobbiamo il lieto evento?».«Aspetta! Non vorrai mica che ne parliamo a stomaco vuoto. Come se non sapessi che quando

    hai lo stomaco vuoto diventi aggressivo».«Hai ragione. A proposito, ho portato con me una bottiglia di vino, sai com’è, un ospite non

    si presenta mai a mani vuote. Avrei voluto portare dell’altro, ma sono qui solo per pochi giorni, meglio di niente però».

    James andò in cucina. In occasione dell’evento aveva preparato una deliziosa cena, non c’era dubbio. Richard sentiva il profumo dalla sala, e nel mentre cercava di capire cosa ci fosse di là in cucina. La cena fu ben presto servita e i due si misero a parlare come due anziani al bar. Parlarono praticamente di tutto.

    «Non mi avevi mai detto che avevi vissuto anche in Italia. Io non ho mai avuto la fortuna di viverci stabilmente: com’è?»

    «Beh, non è facile da spiegare in poco tempo. Insomma, sono stato prevalentemente tra Milano e Venezia, ma non saprei da dove cominciare».

    «Dai, prova! Sono curioso!».«Beh, vediamo… Ho trovato!».

    Alessandro Marchesin - Stefano Riato

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  • Quanto parlarono quei due! Non sto mentendo, parlarono seriamente di tutto. Del loro lavoro, della casa di Richard a Berna, di quella di James a Berlino, dei loro amori, delle loro automobili, dei loro hobbies, dei loro studi da ricercatori. Arrivarono persino a discutere del cotone di cui erano fatte le loro camicie, dei loro dischi preferiti (erano entrambi appassionati di Phil Collins, in effetti), delle piante dei loro giardini e, già che c’erano, pure delle luminarie di Natale che avrebbero dovuto fissare tra dieci giorni. Ma arrivò il momento, e Richard ebbe finalmente la risposta alla domanda che tanto aveva a cuore.

    «Ma non mi hai ancora detto una cosa: a cosa si deve il lieto evento?».«Ora te lo posso dire: ho vinto un premio di riconoscimento per le mie ricerche!».«Ricerche su cosa?».«Sulle cellule staminali, è una vita che ci lavoro, e finalmente i miei sforzi sono stati premiati».«Dai, spiegati meglio, che sono curioso!».«Ecco, vedi, le cellule staminali, come ben sai, sono delle cellule che possono diventare

    praticamente tutto: cellule del sangue, cellule nervose, cellule della cute eccetera. Tutto! Di fatto, sono largamente utilizzate in campo medico, perché possono essere utilizzate per ricostruire qualsiasi tessuto. Esistono, ad esempio, molti casi di pazienti ustionati, gravemente feriti, di cui sono state ricostruite sezioni anche molto ampie di tessuto cutaneo, curati grazie a questo tipo di cellule. Ma si possono curare anche diversi tumori, trapiantare midolli ossei, curare sindromi genetiche anche molto gravi, è difficile rendersi conto di tutto quello che possono fare. E molti pazienti vivono tuttora dopo molti anni, senza problemi».

    «Molto interessante, raccontami di più che mi sono incuriosito!».«Beh, ci sono molti studi su questi tipi di cellule. Questo perché le cellule staminali possono

    essere di diversi tipi. Le cellule migliori che possiamo utilizzare sono quelle dette ‘pluripotenti’, ossia cellule ricavabili da embrioni, che si possono trasformare in qualsiasi altro tipo di cellula. La maggior parte delle volte, però, le cellule che possiamo utilizzare sono ricavate da cellule adulte. Queste non possono essere convertite in ogni tipo di cellula, ma solo in alcuni tipi, e sono dette ‘multipotenti’. E adesso tu mi chiederai: ‹Ma perché allora non utilizzare sempre le cellule embrionali?›. Beh, diciamo che i laboratori non sguazzano proprio nell’oro, per usare un eufemismo».

    «Fìdati, ne so qualcosa. Comunque, scusa, ti ho interrotto. Volevo dire, ne ho sentito parlare di queste cellule pluripotenti, devo averne letto qualcosa su due o tre articoli una volta. Tuttavia, non ho mai avuto tempo di approfondire bene l’argomento, diciamo che tempo e soldi non abbondano nella vita di un ricercatore. Spiegami un attimo cosa sono».

    Intanto Richard iniziò a versare nel bicchiere di James il vino che aveva portato per la serata e poi fece lo stesso nel suo. Evidentemente discutere di scienza aveva messo sete a entrambi. James aveva iniziato a spiegare.

    «Partiamo da una cosa semplice: sappiamo bene che l’uomo è formato da tanti tipi di cellule diverse, e che tutto ha origine da una cellula sola…».

    «È la cellula uovo fecondata, immagino».«Esatto! Questa cellula inizia immediatamente a dividersi circa una volta ogni ventiquattro

    ore, generando cellule che inizialmente sono tutte uguali tra loro e che poi iniziano a differenziarsi in maniera armonica e coordinata per formare un embrione, un feto e infine un neonato. La cosa interessante è che l’uovo fecondato è quindi ‘totipotente’».

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  • «Questo mi sfugge, cosa significa?».«Significa che da esso derivano tutte le cellule che formano il nuovo organismo. Solo

    dopo una settimana dalla fecondazione è possibile distinguere le cellule che daranno origine all’embrione; queste cellule sono pluripotenti, in altre parole hanno la capacità di differenziarsi in tutti i tipi cellulari che formano l’organismo».

    «Grandioso! Ma cosa siamo in grado di fare con queste cellule? Intendo dire: possono essere usate a piacimento?».

    «Certo, ma per farlo abbiamo bisogno di procurarcele per poi coltivarle in vitro. Questa loro abilità nel differenziarsi in ogni cellula è temporanea. Quando si dividono non producono cellule uguali a se stesse. Però come tutte le cose, questa scoperta ha prodotto anche un dubbio».

    «In che senso?».«La ricerca sulle cellule staminali pluripotenti porta con sè una questione delicata: ci sono due

    modi per avere le cellule staminali pluripotenti; il primo è quello di prenderle dall’embrione…».«E questo l’ho capito, fin qui ci sono. Però questo significherebbe non permettere all’embrione

    di diventare un feto… e di conseguenza non far nascere un bambino, giusto?».«Esatto. È da qui che nasce il problema e anche la mia ricerca: è eticamente giusto utilizzare

    queste cellule embrionali, annullando quindi lo sviluppo del feto? Voglio dire, è pur sempre una vita che viene bloccata».

    «Tu cosa ne pensi?».«Non te lo dico subito, vorrei che tu per primo mi dicessi cosa ne pensi».«Lo sapevo io che dovevamo continuare a parlare del risotto coi funghi… Beh… Non è facile

    per me rispondere… Insomma, se c’è una cosa di cui la fisica si occupa poco, è proprio di questo tipo di problemi. Ma ci provo, dai».

    Richard ci pensò qualche momento. La risposta parve arrivargli tutta d’un guizzo. «Personalmente sarei contrario, credo. Insomma, mi sembrerebbe scorretto. Sarà che sono

    credente, ma non lo riterrei giusto, a prescindere dal mio credo personale. Cercherò di ragionare come fisico, trascurando almeno a livello pratico la cosa. No, non mi sembrerebbe eticamente corretto. Però occorre anche ricordare che sempre di pazienti malati stiamo parlando. Intendo dire che l’obiettivo del medico è quello di salvare il paziente, e se questo è l’unico modo… È una decisione difficile… Non saprei…».

    «Ma è qui che sta il nocciolo della questione. Se non esistesse un altro modo per ottenere queste cellule, forse sarei d’accordo pure io con l’utilizzo delle cellule embrionali. Ma il fatto è che un metodo artificiale esiste, a questo sono state mirate le mie ricerche».

    «E allora la questione non è risolta?».«Eh no, purtroppo. Mi piacerebbe che fosse così! Ti spiego. Si possono ottenere cellule

    pluripotenti da cellule multipotenti adulte. Il processo funziona e non è nemmeno troppo complesso. Queste cellule convertite si chiamano cellule staminali ‘pluripotenti indotte’. Il fatto è che la trasformazione è un processo troppo costoso e dispendioso. Non tutti se lo possono permettere, e sarebbe difficile produrne in quantità sufficienti per tutti i pazienti che ne hanno bisogno. Conviene utilizzare cellule embrionali, molto più disponibili, ma a questo prezzo umano, o conviene utilizzare le cellule pluripotenti indotte, con tutte le difficoltà che ciò comporta? Io personalmente propenderei per la seconda come te».

    «E come la pensano i tuoi colleghi?».

    16

  • «Beh, il laboratorio è un po’ un campo di battaglia. Alcuni colleghi sono d’accordo con me, molti altri no».

    «E cosa ti dicono?».«L’altro giorno ho discusso con un mio collega, Martin, sull’argomento. Secondo lui il

    problema nasce dal fatto che è sbagliato considerare gli embrioni come esseri umani viventi. Di fatto, qua devo dargli in parte ragione: non possono essere considerati veri esseri umani. Sono considerabili più che altro come cellule in espansione. Come ti ho già accennato, infatti, la loro totipotenza deriva proprio dal fatto che essi non sono esseri umani veri e propri. Inoltre ha aggiunto quello che dicevi tu prima. La nostra missione è quella di salvare pazienti, perciò deve essere fatto il possibile per farlo. Se alcuni tipi di intervento richiedono questo tipo di azione, occorre sempre guardare all’obiettivo».

    «Un po’ quello che si dice: il fine giustifica i mezzi».«Beh, non direi. Più che altro la differenza tra il paziente e l’embrione è che il primo, a

    differenza del secondo, può provare dolore, mentre il secondo no in teoria. E in effetti, a dirla tutta, l’embrione non possiede né una coscienza né un vero sistema di strutture che lo rendano sensibile al dolore, non essendo un organismo formato».

    «Beh, non sembra avere tutti i torti… Insomma, mi sembrano argomenti validi».«E di fatto lo sono, su questo non c’è da dibattere. Lo sviluppo dell’embrione ripercorre

    sommariamente gli stadi dell’evoluzione degli esseri viventi. Nel caso dell’uomo, ad esempio, l’embrione è dapprima assimilabile a un protozoo, poi a una colonia di organismi unicellulari, fino ad arrivare a presentare le caratteristiche di un vertebrato, acquatico e poi terrestre. Lo stadio di embrione, tuttavia, essendo uno dei primi, non presenta molte caratteristiche in comune con un essere umano formato».

    «Mi sembrano considerazioni piuttosto convincenti. Ripeto, non sono abituato a trattare problematiche simili, sto cercando di analizzarle da scienziato quale sono. Mi sembrano tesi piuttosto razionali».

    «Lo so, ma mi sembra comunque sbagliato. Voglio dire, è vero che l’embrione non può di certo essere paragonato a un essere umano, ci sono molti motivi validi per dirlo. Ma è pur sempre un essere umano, anche se solo potenziale, no?».

    «Penso di sì».«Non voglio screditare le tesi altrui, ma mi sembrerebbe di fare del male a un essere umano,

    privarlo della possibilità di vivere. Ora, non sono solo io a dibattere sull’argomento, vi sono molti enti di ricerca, enti statali e pure religiosi che lo fanno».

    «Sì, ne ho sentito parlare qualche tempo fa… O forse l’ho letto su un giornale. Se ne era parlato nelle alte sfere del Magistero della Chiesa, se non erro. Me lo ricordo perché quel giorno un mio amico ricercatore che ho conosciuto a Venezia me ne ha accennato. Era venuto a portarmi un tiramisù che aveva preparato lui. Che buono che era! Ah, scusa! Continua».

    «Sì, dicevi, il tiramisù… No, scusa. Intendevo... In effetti ne tratta anche la Chiesa. Secondo il Magistero, ad esempio, l’embrione è considerabile persona sin dal concepimento; anche se molti affermano dal quattordicesimo giorno di gestazione, altri dal sedicesimo e così via. Sono cose poco chiare, ma non vorrei fermare l’argomento al solo ambito religioso. Non mi professo credente, ma non giudico nessuno per questo, non sono quel genere di persona. Ognuno ha il

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  • diritto di pensare ciò che vuole, e di non essere giudicato per il suo pensiero, in alcun caso. Le azioni concrete sono un’altra cosa».

    «Lo so bene, credi che non ti conosca abbastanza? Ti ho già detto molti anni fa come la pensavo sull’argomento. Ma ti ho interrotto di nuovo, scusa».

    «No figùrati, almeno così posso riprendere fiato. Se no mi strozzo! Dicevo, e poi non mi pare giusto attuare dei procedimenti simili quando si può fare come ti dicevo prima, con l’induzione».

    «È ancora un processo molto difficile però, e costoso…».«Ma il bello della ricerca è che può sempre progredire. Insomma, non credo troveremo mai,

    né io nel mio campo né tu nel tuo, un limite vero e proprio di fronte al quale dire: ‹E questo è quanto, gente›. Non credi? Le tecniche si possono migliorare. Per carità, un limite esisterà pure, ma nemmeno i fisici quantistici come te smettono mai di cercare di migliorare, giusto?».

    «Corretto».«Ciò che intendo dire è che secondo me, posso dirlo da persona che ci ha speso anni di studio,

    un margine di miglioramento esiste, e pure ampio».«Mi ricordi ciò che diceva un mio professore. Diceva sempre che ciò che sappiamo è nulla

    rispetto a ciò che sappiamo di non sapere. Ma che ciò che sappiamo di non sapere è nulla rispetto a ciò che non sappiamo di non sapere».

    «Esatto, è quello che intendo. E poi, si tratta di un problema di tipo economico, non tecnologico o scientifico. Per me ha ancora meno senso».

    «Sai cosa c’è? Entrambe le tesi mi incuriosiscono, ma credo che la tua sia riuscita a convincermi. Ripeto, non ho molta familiarità a trattare certi argomenti, ma, sì, mi trovi d’accordo. Una volta un fisico quantistico che, non per vantarmi, ma porta il mio stesso nome, disse: ‹La filosofia della scienza serve allo scienziato come l’ornitologia serve agli uccelli›. Condivido questa affermazione. Per carità, la ricerca è ricerca, ma credo che non esista un punto di vista univoco. Penso che questo concetto si possa applicare più o meno allo stesso modo per la fisica, la matematica o scienze simili (che sono scienze più o meno teoriche), ma non per discipline come la medicina, che ha un’applicazione quotidiana sulla salute delle persone. Non metto in dubbio la validità del metodo scientifico – ci campo di quello, sarebbe darsi la zappa sui piedi –, ma l’effettivo valore della filosofia della scienza nelle diverse scienze. Dico che l’errore che molti fanno, e secondo me tra quelli è compreso pure il tuo amico Martin, è considerare la ricerca medica al pari di quella matematica o fisica, e così le loro filosofie».

    «Vedo che ti ha preso il discorso…».«Hai innescato una bomba, mi sa! Comunque, sono un grande lettore, e lo sai. Una volta lessi

    un’opera di uno scrittore italiano, Gianni Rodari; si intitolava Grammatica della fantasia. Rodari diceva che ‹le fiabe servono alla matematica come la matematica serve alle fiabe. Servono alla poesia, alla musica, all’utopia, all’impegno politico: insomma, all’uomo intero, e non solo al fantasticatore›. Me la sono imparata a memoria. Non sei d’accordo?».

    «Accidenti, non avrei saputo dirlo meglio. Sono contento che la cosa ti abbia preso a tal punto».

    «Siamo scienziati, viviamo di creatività, a dispetto di ciò che molti credono».Ciò che successe dopo potete di certo immaginarlo. Non starò qui a trattenervi ancora, state

    tranquilli; ma vogliate almeno un pochino di bene a chi scrive. Grazie per aver partecipato alla cena, cari ospiti.

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  • «Repetita iuvant ma anche stancant».i

    (Durante l’ora di matematica)Alunn*: «Aspetti un attimo, prof., che non ho terminato l’esercizio!».

    Prof.: «Eh, un attimo se ne andò in galera!».i

    «Kant era represso sessualmente: morì più extravergine dell’olio».i

    (Durante l’interrogazione di inglese)Prof. 1: «What verse does the wolf make?».

    Alunn*: «...».Prof. 1: «Wwoooolff».

    (Dopo aver riferito l’accaduto al* prof. dell’ora successiva,commenta annotando sull’agenda)

    Prof. 2: «Mi sorprende sempre di più, ha fatto il verso di un nuovo animale!».i

    (Un* prof. spruzza del disinfettante, lo spray fa impazzire la LIM,che comincia a lampeggiare)

    Alunn*: «Prof., l’ha sovraeccitata!».Prof. (sentenzia con aria tombale): «Viagra».

    i

    «La generazione di Atena è fecondazione assistita».i

    (Prof. durante un’interrogazione, l’ennesima, in cui una alunna era impreparata)«Quousque tandem abutere, Caterina, patientia mea?».

    i

    Alunn* (leggendo il testo greco durante una interrogazione): «... καί ...». Prof.: «Si dice καὶ; καί lo fa il cane!».

    i

    (Parlando di illuminismo e De Sade)Prof.: «Se uno vuole farsi ammanettare a letto, sono fatti suoi».

    Ipse dixit

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  • Un anno esatto fa due alunne del Bruno-Franchetti, Margherita Fonte e Margherita Parisi, hanno lanciato un appello sul primo (e unico) numero della Voce 2019-2020: con lo scritto A casissimo ma-nifestavano il desiderio di conoscere i pensieri più e meno segreti di insegnanti e studenti, perché non sempre in classe c’è l’occasione di rivelarli (e rivelarsi) direttamente; la prima ondata di SARS-CoV-2 ha messo a lungo la sordina alla loro richiesta, ma un anno dopo un professore di lettere ci ha scritto: Francesco Fava. Nasce così A casissimo reloaded, perché tutta la redazione non vede l’ora di ricevere altri testi analoghi a quelli di Francesco; in questo spazio chiunque potrà raccontarsi: insegnanti, studen-ti, segretarie e ogni altra persona che opera nella nostra scuola.

    A casissimo reloaded

    Alcune cose non «servono» semplicemente perché non «s’inchinano»

    Schools should switch to teaching ‘the four Cs’ –critical thinking, communication, collaboration and creativity. More broadly, schools should downplay technical skills and emphasise general-purpose life skills. Most important of all will be the ability to deal with change, to learn new things, and to preserve your mental balance in unfamiliar situations.

    (Y. N. HARARI, 21 Lessons for the 21st Century)

    Rimbeccato, un po’ come in una scommessa (perduta), mi accingo a scrivere una lettera in risposta ad una richiesta che (colpevolmente) non avevo letto e che amerei avere l’audacia di scrivere. Un professore giovane, un collega che non conosco, che mi sembra un tipo in gamba, mi scrive inaspettatamente per conoscere la mia opinione sul mondo e farla conoscere potenzialmente a tutto l’Istituto (ma si dovrebbero ancora chiamare “gli Istituti”? Ciascuno legga come preferisce).

    Io, che del non dichiarare apertamente le mie opinioni ho sempre fatto il mio modus operandi al lavoro (trincerandomi dietro un habitus da «inutile confermare o confutare ciò che la gente pensa, giacché lascio che la gente pensi»), ora mi accingo a fare un passo fuori dal mio personaggio, a svelare qualcosa di me a chi non mi conosce, a chi mi conosce, forse, di vista, a chi ha sentito dire, ai miei colleghi e studenti. Dato che non ho proprio nulla da nascondere... e sia!

    Da adolescente mi piaceva la musica, volevo sempre essere al centro dell’attenzione, facevo perfino l’animatore d’estate! Oggi amo insegnare, perché trovo nelle teste delle mie studentesse e dei miei studenti – d’ora in avanti chiamati ‘studenti’, perché il politically correct grava sulla già torbida fluidità – un motivo di vanto, perché credo che non ci sia un servizio pubblico migliore rispetto a quello di ‘insegnare a pensare’, ed io sono totalmente votato a questa missione.

    Ho avuto un maestro nel mio professore di lettere del liceo, con il quale ho avuto più di qualche scontro, ma che ho negli anni rivalutato poiché egli è stato davvero per me maestro e mentore, ed ha insegnato ai miei compagni e a me poche nozioni ma molte domande, mi ha costretto a ‘darmi torto’ quando il mio narcisismo mi portava a volermi sentir dare sempre ragione. Aveva ragione lui.

    Così, contro le aspettative di tutti, ho studiato molto e ho deciso di diventare insegnante. Un po’, lo ammetto, perché riconoscevo nei miei compagni di studi una narrazione mitologica intorno ai loro stessi insegnanti, un po’ perché il mio temperamento avrebbe potuto, forse, servire a costruire, nel mio piccolo, un mondo migliore!

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  • Se c’è una cosa in cui credo, io che sono apertamente apostata e disilluso rispetto ai valori della sinistra se non in quanto alla destra, credo nel futuro che i giovani, i nostri studenti, sapranno costruire negli anni a venire. Per questo amo insegnare il latino, una lingua morta, che non “serve” a nulla, (ma è la domanda «a cosa serve?» ad essere mal posta!) che tuttavia richiede allo studente di attivare molti dei suoi neuroni (per ricordare le regole e il lessico, comprendere le informazioni, organizzare la grammatica, tradurre i lemmi e ridare un senso nella traduzione!), impone anche un sacrificio, e sono certo che gli dèi sapranno riconoscere le vittime sopra gli altari. Amo insegnare italiano, specialmente al triennio, in cui l’esercizio di scrittura diventa ragionamento, argomentazione, in cui si possono mettere a confronto diverse voci, anche diversi ‘sistemi’ di pensiero, di teoria e di critica. Se esiste un autentico esercizio di democrazia è questo: prendere un autore, mettere a confronto gli scritti di Gramsci e Croce e provare a guardare attraverso le lenti dei grandi occhi della nostra letteratura.

    Amo insegnare la storia e la geografia, come coordinate spaziali e temporali del nostro assurdo esistere, della incredibile coscienza, della nostra inarrestabile evoluzione e della nostra capacità di creare una società, tante civiltà, sistemi economici, politici, tecnologici, ma soprattutto cose ‘inutili’ come la poesia, le religioni, l’arte, la cultura, perché no? anche i videogiochi, i fumetti, le canzoni che dimostrano, quasi empiricamente, la straordinaria capacità umana nel trasformare il desiderio di soddisfacimento immediato in piacere catastematico.

    Mi sento fortunato perché ogni anno posso imparare ancora ad approfondire lo sguardo su questi temi, che continuano, nonostante gli anni, ad affascinarmi e ad intrigarmi. La fortuna maggiore, però, è vedere i miei studenti che imparano, si interrogano, ragionano, si danno da fare, a volte (poche volte) non solo per vedere un bel voto sul registro!

    Mi piace parlare di attualità, del fondamentalismo islamista, mi piace provocare i ragazzi sulle nostre credenze, analizzare la pubblicità televisiva (ma chi la guarda più la televisione?), mi piace essere aggiornato dagli studenti sui nuovi media (sebbene non sia affatto in grado di comprenderli fino in fondo, per ovvie questioni anagrafiche e per pigrizia), sulle loro passioni, specialmente musicali.

    Qualche volta credo di essere stato amato dai miei studenti, altre volte (spero non troppo spesso) detestato, più spesso giustamente ignorato; è mia convinzione che un insegnante non debba cercare nel favore dei suoi studenti la propria ragion d’essere: emuli del professor John Keating (il protagonista del film L’attimo fuggente con Robin Williams), se ci specchiamo nei nostri alunni, cerchiamo il nostro proprio “Dorian Gray” nei loro occhi, ma diventiamo il “ritratto”, sempre più vecchio e brutto, non appena usciamo dall’aula.

    Giungo alla conclusione: il mondo in cui viviamo non sembra darci molte speranze: dal cambiamento climatico che avanza inesorabile alla nostra incapacità collettiva di abbandonare le abitudini che danneggiano il pianeta, dalla diffusione del Coronavirus alla didattica online, tutti siamo alle prese con un futuro quanto mai incerto, forse non ricco di soddisfazioni.

    Cari ragazzi, non voglio illuderVi, il mondo che Vi lasciamo non lo capiamo bene nemmeno noi, la tecnologia lo cambia molto più in fretta di quanto riusciamo ad immaginare, verranno tempi che non saremo in grado di prevedere. Voi mantenete la grinta, tenetevi ancorati alle Vostre capacità, cercate di essere elastici e di non spaventarVi di fronte a nessun ostacolo. Guardate negli occhi il Vostro futuro, dovrete decidere per Voi stessi in poco tempo e senza conoscere tutte le variabili: fatelo senza voltarVi. Solo così saremo in grado di affrontare le sfide tecnologiche e sociali che ci attendono.

    Un prof. del Bruno

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  • Pro TikTok

    È senza dubbio uno dei social più in voga tra i giovani. Vetrina per innumerevoli influencer, passatempo prediletto di tante (ma anche tanti) teenagers. Recentemente un rapporto divulgato da Apple ha evidenziato come sia l’app più scaricata sugli smartphone dell’azienda nel nostro paese. No, non sto parlando di Instagram, bensì di TikTok. Quel social su cui la “critica” si divide, anzi, su cui il mondo si divide. Si pensi al recente linciaggio messo in atto ai danni del colosso cinese da parte dell’ex presidente degli USA Donald Trump. Ma questa è un’altra storia, non entro nel merito di scelte senz’altro politiche. Voglio solo tentare di rispondere a una semplice domanda: perché scaricare TikTok? D’altronde, se piace tanto un motivo ci sarà. E ce ne sono, eccome se ce ne sono. Come molti sanno, TikTok consente di realizzare brevi video creando sketches comici o cantando in lip-sync. Si discosta quindi dai social tradizionali, come Instagram e Facebook, e si propone come un riuscitissimo mezzo di intrattenimento. Diciamocelo, chi di noi, soprattutto ragazze, non si è messa almeno una volta davanti allo smartphone a ballare, cantare in playback o recitare una scenetta divertente?

    Alcuni accusano di inutilità e persino di dannosità tale forma di svago. Quante volte abbiamo sentito frasi come: «Che stupidata!», «Ah, è così che si divertono i nostri ragazzi? Ma dove siamo finiti!». È vero, realizzare un video su TikTok non richiede una laurea in fisica quantistica e non attiva completamente le nostre capacità intellettuali, ma ciò ha davvero così tanta importanza? L’uso dell’applicazione si inserisce nel contesto del tempo libero, che comprende quelle attività che non risultano formative nel senso più proprio del termine ma che in realtà sono fondamentali per la crescita di noi ragazzi. Il momento dello svago ha poi tanto più ragione di essere se favorisce lo sviluppo dei rapporti sociali tra coetanei: in altre parole, se stiamo insieme.

    A questo punto risulta evidente come tra i social TikTok sia il migliore, in quanto stimola la creatività e permette di realizzare un prodotto spesso frutto di collaborazione. Bando dunque a quelle scene agghiaccianti di tavolate da una decina di adolescenti ognuno chino sul proprio smartphone. Ciò che propone TikTok è ben lungi da questo. Ma anche dilettarsi nella visione dei video altrui può essere stimolante, può essere un modo di scoprire valori o sentimenti comuni ma persino di avvicinarsi a temi importanti. Non perché si è ascoltato il tg o si è letto un saggio o un articolo di una testata autorevole, ma, pazienza, intanto si è ricevuto un input, magari si approfondirà in seguito. Sulla piattaforma si possono infatti trovare video che danno consigli utili, raccontano esperienze personali e sentimenti condivisibili, soprattutto tra adolescenti, o insegnano qualcosa di pratico, come la tecnica di uno sport o delle ricette da preparare in famiglia, o anche che espongono e commentano episodi di attualità.

    Quale, dunque, il giudizio finale? Social dei più frivoli, ridicola bambinata o straordinario strumento di intrattenimento e divulgazione? Io credo che coloro che continuano a criticarlo siano semplicemente contrari ai social in generale e soprattutto ai loro effetti collaterali. Questo è un altro argomento, senza dubbio più complesso. Però il mondo social è una realtà esistente e per giunta estremamente popolare. Perché condannarla a priori? Tentiamo di sfruttarla nel migliore dei modi, con coscienza e con buon senso. In fin dei conti stiamo parlando, nel caso di TikTok, di un’applicazione che stimola la creatività e che permette di divertirsi, anche tra amici, ma che ha inoltre un significativo potenziale emotivo e persino educativo. Può forse esserci qualcosa di male in tutto questo? Ai nostri lettori l’ardua sentenza.

    Marta Rosson

    Agorà

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  • Avverso TikTok

    Recentemente ha riscosso un enorme successo l’ultimo social per giovani, che ha rivoluzionato il modo di interagire virtualmente, non più solamente attraverso post o commenti, ma anche con video di ogni genere: TikTok. Infatti, su questa nuova applicazione made in China si possono caricare contenuti video di ogni sorta: comici, promozionali, politici, sui gattini, sul ballo, sui gattini che ballano, fino a sconfinare nel campo dell’editing, creando nuovi video su personaggi di film/serie tv o nuove canzoni da cantare o ballare. La grande varietà di contenuti va di pari passo con una grande varietà di utenti, accentuata anche dal bassissimo limite d’età permesso da questo social (tredici anni minimo, diversamente da altre applicazioni che richiedono che gli utenti abbiano almeno sedici anni).

    Proprio questa varietà di età, che oscilla tra i tredici e (per i più audaci) i trenta/quaranta anni, fa emergere come i contenuti non siano sempre appropriati o rispettosi dalla privacy, ad esempio i video ‘imbarazzanti’ che per il solo fatto di essere pubblici sulla piattaforma originale possono essere ricaricati su altre pagine di Instagram o Facebook senza il consenso dell’utente originario. Questo rimbalzo espone a gravi rischi l’autore del post originario non solo sulla community di TikTok, ma anche su quella del social su cui viene ricaricato il contenuto, non permettendo così alcuna protezione della privacy. La questione della privacy può risultare spinosa per un adulto, figuriamoci per un ragazzino di tredici anni che di privacy sa tanto quanto della normativa di riferimento n. 196/2003!

    Ma se la questione relativa alla protezione dei dati sensibili legati all’identità ovvero alla ‘fisicità’ dell’utente minorenne può risultare un problema irrisolto, quella sul copyright è se possibile una crux ancora maggiore e, per certi versi, insolubile. Infatti, molti ragazzi possono utilizzare canzoni, potenzialmente protette da diritto d’autore, e manipolarle mixandole con altre basi musicali, usandole a loro discrezione senza alcun rispetto della normativa sul copyright. Questa, come il furto d’identità o l’utilizzo illecito d’immagini, è solo una delle problematiche riscontrate nel social con più downloads della storia (scaricato più di due miliardi di volte).

    Ma perché ha avuto un tale successo in così poco tempo? Senz’altro grazie alla sua versatilità, certo, ma soprattutto anche grazie alla sua semplicità nel trasmettere il messaggio voluto. Mentre un social come Twitter richiede (almeno in teoria) una certa capacità di sintesi e Facebook pretende un’ancor maggiore consapevolezza di elaborazione dei concetti – video esclusi –, TikTok sfrutta il mezzo di comunicazione più basilare e ancestrale della storia della comunicazione umana: le immagini. TikTok, infatti, appare essere oggi quello che un tempo era il disegno rupestre per i primati; in altri termini TikTok può essere definito il gradino più basso della comunicazione social, certo in ciò aiutato anche dalla senza dubbio eccessiva tenera età dei suoi principali fruitori.

    Un altro grande problema molto dibattuto fin dall’inizio della popolarità di TikTok è la presenza di contenuti che fanno l’occhiolino alla sensualità più o meno esplicita dei suoi giovani fruitori. TikTok, infatti, ha recentemente (agosto 2020) cambiato le linee guida della community, stringendo ancora di più i parametri di controllo sui post che contengono «danze sensuali/erotiche/linguaggio sessuale o erotico che coinvolgono minori». Ora, un veloce giretto sul social, tuttavia, fa sorgere dei dubbi preoccupanti su come queste nuove norme siano state attuate, o, se effettivamente applicate, appaiono oscuri i criteri in base ai quali siano stati scelti questo o quell’altro video da bannare e segnalare. Questo punto è essenziale per la comprensione del social, poiché la scelta di certi contenuti è solo a discrezione dell’utente e, mentre per taluni un certo tipo di comportamento è indegno o disdicevole, per altri è semplicemente fastidioso o nemmeno degno di particolar attenzione. Dov’è il confine? È così astratto e inafferrabile? Su questo voglio porre l’attenzione del lettore e desidererei che si aprisse una seria riflessione che porti ciascuno a una propria consapevole conclusione che lo soddisfi almeno in parte. In fin dei conti, anche TikTok è un mero strumento nelle nostre mani: a noi e solo a noi l’onere di deciderne l’uso e l’abuso.

    Margherita Fonte

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  • Recensione di Carlos Ruiz Zafón, L’ombra del vento (2001)

    «Un segreto conta quanto coloro da cui dobbiamo proteggerlo». Così si apre questo accattivante romanzo, capace di penetrare dentro l’anima e di tenerti con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Il libro si apre una mattina estiva del 1945, quando Daniel, figlio del proprietario di un negozio di libri usati, viene condotto dal padre nel Cimitero dei libri dimenticati, un luogo segreto dove migliaia di volumi (dimenticati, appunto) vengono sottratti all’oblio; proprio qui Daniel entrerà in possesso di un libro “maledetto” che avrà il potere di sconvolgere la sua esistenza, introducendolo in un mondo di misteri e intrighi legato alla figura di Juliàn Carax, l’autore di quell’opera. Il protagonista ne rimane folgorato, mentre iniziano anche a sorgere dal passato storie di passioni illecite, amori impossibili e lealtà assolute, ma allo stesso tempo anche di follie omicide e di un inquietante segreto custodito in una villa abbandonata; è così che nella vita di Daniel si intrecciano una valanga di sentimenti contrastanti, che rendono il romanzo incredibilmente coinvolgente e scorrevole.

    La trama di questo libro è veramente molto intricata e solo pian piano il lettore riesce

    Costanza Moras

    a svolgere questo intreccio di avvenimenti, come se avesse in mano un giallo anziché un thriller. Il romanzo è ambientato in una Barcellona quasi magica, perché fatta di romantiche e accoglienti viuzze, ma allo stesso tempo anche di fantasmi e demoni che la vivono rendendola misteriosa e a tratti persino spaventosa, creando così grande suspense nel lettore. Credo infatti che il più grande punto di forza de L’ombra del vento sia la notevole capacità di mantenere alta l’attenzione del lettore con una serie di colpi di scena che lo accompagnano piacevolmente e lo invogliano a continuare, senza però risultare eccessivi e rendere così la vicenda inverosimile: queste scene inaspettate si limitano a rendere la narrazione imprevedibile, a tenere il lettore con il fiato sospeso, ma la storia resta viva e attuale. Tant’è che ogni personaggio – e sono molti – ha una personalità ben dettagliata. Per esempio Fermin Romero De Torres, lo strambo assistente del protagonista, è una delle figure meglio costruite, se non la migliore: sfacciato e divertente ma allo stesso tempo saggio, rivela una profondità e una complessità interiori tali da farcelo apparire reale.

    Uno dei temi portanti di

    questo romanzo è l’amore, che prende diverse forme, soprattutto problematiche: difficilmente è puro e limpido, bensì diventa spesso ossessione, tradimento o illusione; la maggior parte degli amori narrati è impossibile perché essi vengono ostacolati da complicazioni che non possono essere sanate. Un altro argomento fondamentale è la frustrazione: molti personaggi concentrano interamente la loro vita su qualche obiettivo che non può però essere raggiunto, per cui alla fine sprecano buona parte della propria esistenza; questo tema è talmente rilevante che alcuni personaggi arrivano addirittura a pensare di non contare niente, a voler eliminare qualsiasi traccia della loro esistenza dal mondo. Invece Daniel, pur nella sua ingenuità, si dimostra il più determinato e resistente: la curiosità e la voglia di scoprire la verità generano in lui una forza che non lo farà arretrare neanche quando vede che tutte le sue fatiche in quel momento non stanno dando i frutti sperati; non si lascia mai abbattere.

    Insomma, L’ombra del vento va letto perché è un libro magnetico, piacevolissimo, ma anche perché ci ricorda che uno dei segreti della buona vita è la costanza.

    Recensioni

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  • Recensione di Luca Guadagnino, We are who we are (2020)

    Il periodo dell’adolescenza è contraddistinto da un velo di confusione e straniamento, in cui ci si preoccupa dell’attribuzione di un significato a tutto ciò che ci circonda. In primo luogo ci si pone il problema di noi stessi e del ruolo che possiamo ricoprire nella nostra vita, tramite una caotica ricerca della definizione che racchiuda al suo interno un’identità, spesso ancora in corso di formazione.

    Proprio la ricerca di sé è il tema principale attorno cui gira la miniserie televisiva We are who we are, diretta da Luca Guadagnino; il noto regista, come già nel suo film più conosciuto (Chiamami col tuo nome, 2017), cerca un filo conduttore tra la cultura americana e la cultura italiana, ponendo al centro della serie la vita di due adolescenti in una immaginaria base militare americana situata a Chioggia.

    Essendo ambientata nel 2016, We are who we are ha come sfondo silenzioso l’elezione a sorpresa di Donald Trump, citata tramite telegiornali e radio. Si apre con un quattordicenne newyorkese, Fraser, che scende dalla macchina, seguito dalla madre e dalla compagna di quest’ultima: nelle prime inquadrature il ragazzo sfoggia una scompigliata pettinatura platinata, perfettamente in linea con il suo modo di vestire largo ed eccentrico; porta le cuffie alle orecchie, a rimarcare il suo isolamento, e

    Francesca Sofia Carangelo

    cammina incurvato. Ci viene mostrato con in viso un misto di curiosità e inquietudine, per paura di ciò che si troverà ad affrontare e per rimorso di qualcosa che invece si è lasciato alle spalle.

    Fraser è un ragazzo complicato, i suoi comportamenti sono spesso guidati dall’istinto e dalla rabbia, che tende a dirigere soprattutto contro la madre; quest’ultima, al contrario, dimostra un amore incondizionato e una totale comprensione verso il figlio. Fin dalle prime sequenze si nota il suo carettere ostico, che lo porta a essere isolato dalle persone intorno a sé e che lo costringe a indossare una maschera: quella maschera che chiunque sceglie di indossare ed è essa stessa parte della nostra identità. Fraser urla e soffre per l’allontanamento di Mark, il ragazzo di cui sembra essere innamorato; ma in realtà Mark non esiste: è solo l’immagine dell’attrazione fisica che l’adolescente prova nei confronti dei ragazzi e a cui non vuole dare un nome. Scoprirà cos’è il desiderio erotico tramite la figura di Jonathan, un trentenne alle prese con la carriera militare: Fraser lo vede per la prima volta nudo sotto la doccia e all’inizio quella per il soldato sembra una mera infatuazione, ma poi, forse, diventerà qualcosa di più, grazie all’assenza di etichette e di regole.

    La seconda puntata della serie

    apre la strada anche al punto di vista di Caitlin, figlia di un ufficiale scontroso e violento, una ragazzina molto popolare nel suo liceo; la vediamo infatti immediatamente circondata da amici e presto cattura pure l’attenzione di Fraser, con cui creerà un rapporto di cui non si conosce l’effettivo inizio.

    Caitlin attraversa un periodo di totale cambiamento, alle prese con un fidanzato che non rispetta i suoi tempi: sente di non appartenere totalmente al corpo in cui è nata e mette in discussione il suo sesso biologico; avverte dentro di sé una parte maschile che preme per essere tirata fuori.

    In We are who we are non si parla mai di accettazione, ma semplicemente di essere e di comprensione. La serie tratta di temi molto importanti – anche tramite personaggi secondari – come l’identità di genere e la sessualità; e lo fa con una naturalezza disarmante, senza cadere mai in alcun tipo di stereotipo.

    Fin dal titolo di tutti gli episodi (Right here, right now) Guadagnino ci indica il valore che ha ogni istante, soprattutto in questo periodo in cui non si guarda al futuro, perché si è troppo impegnati a osservare cosa il presente sta mostrando, che siano persone, luoghi o la propria immagine allo specchio.

    Siamo chi siamo, senza bisogno di etichette.

    «Nel corpo, dove tutto ha un prezzo, ero un mendicante»(FRASER, ep. 1)

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  • Elogio del superfluoMargherita Parisi

    Le monete, il bastone, il portachiavi,la pronta serratura, i tardi appunti

    che non potranno leggere i miei scarsigiorni, le carte da gioco e la scacchiera,

    un libro e tra le pagine appassitala viola, monumento d’una sera

    di certo inobliabile e obliata,il rosso specchio a occidente in cui arde

    illusoria un’aurora. Quante cose,atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,

    ci servono come taciti schiavi,senza sguardo, stranamente segrete!Dureranno più in là del nostro oblio;

    non sapran mai che ce ne siamo andati.

    Questa poesia è Le cose di Jorge Luis Borges, tratta dalla raccolta Elogio dell’ombra (1969). Si può immaginare, leggendola, Borges vecchio che ripensa alla sua vita; non ricordando gli amori, le idee e le dif-ficoltà, ma gli oggetti superflui: gli atlanti, le penne e i fiori. E questi oggetti hanno lasciato una lunga scia; testimoniano che il superfluo in realtà è fondamentale, anche se c’è chi afferma che il superfluo andrebbe eli-minato perché rischia di distogliere l’attenzione dalle cose essenziali. Il superfluo è difficile da definire; non sempre è così facile separare i beni primari da quelli accessori: in realtà, tutto ciò che esula da una specifica funzionalità primaria sarebbe da considerarsi superfluo, ma ci sono molte cose che, seppure non essenziali, sono parte di noi: i libri, il profumo del pane alla mattina o la piantina sul davanzale.

    Solo l’animale ha bisogno di concentrare la sua vita nella soddisfazione dei bisogni primari; l’essere umano, invece, una volta soddisfatti i bisogni essenziali, si dedica a qualcosa che è superfluo. Questo perché la nostra identità è definita pure da tutto ciò che facciamo al di fuori dei bisogni essenziali. Borges ci ricorda non solo che il superfluo ci sopravvivrà e per questo è come se fosse la traccia del nostro passaggio sulla Terra, ma anche che è l’accessorio a far risaltare le nostre differenze: cosa amiamo fare nel tempo libero, cosa ci piace indossare e qualsiasi cosa ci rende unici. L’essenziale, al contrario, omologa: tutti abbiamo gli stessi bisogni. L’uguaglianza si lega alla sopravvivenza, perché noi siamo davvero uguali soltanto quando dobbiamo lottare per rimanere in vita. Invece la libertà è legata a ciò che scegliamo di fare, di pensare e di essere e questo significa anc