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UNIVERSITA’ DI CAGLIARI FACOLTA’ DI STUDI UMANISTICI La valorizzazione dei beni archeologici Riferimenti normativi e gestionali Ortu Martina 22/05/2017 La presente relazione vuole enunciare sinteticamente quali siano le prerogative normative della valorizzazione e come queste si applichino

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UNIVERSITA’ DI CAGLIARI FACOLTA’ DI STUDI UMANISTICI

La valorizzazione dei beni archeologici

Riferimenti normativi e gestionali

Ortu Martina

22/05/2017

La presente relazione vuole enunciare sinteticamente quali siano le prerogative normative della valorizzazione e come queste si applichino nella gestione pratica del sito archeologico. Si procede dunque da un’analisi del Codice dei beni culturali e del paesaggio e delle più importanti Convenzioni europee in materia, ad una revisione delle progettazioni e dei piani di gestione dei siti.

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BENI ARCHELOGICI: VALORIZZAZIONE

In Italia abbiamo moltissimi “beni culturali1”: opere d’arte, monumenti, testimonianze storiche d’ogni tipo. Data la ricchezza del nostro patrimonio storico-archeologico, si rende necessario per lo Stato e per l’amministrazione pubblica proteggere, tutelare e valorizzare tale “storia”. Risulta fondamentale infatti rendere pubblico attraverso attività di promozione, anche attuabili con studi e ricerche, il nostro patrimonio affinché sia accolto dalla cittadinanza che deve essere partecipe in tutte le fasi della trasmissione della cultura, a partire dalla tutela e dalla valorizzazione.

Concetto di valorizzazione

Secondo l’articolo 6 comma 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio: “La valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale”. La valorizzazione dunque favorisce lo svolgimento di attività o azioni che presentino carattere di promozione dei beni affinché si abbia una quanto più ampia diffusione della cultura. Si ricorda infatti che all’art.1 del Cod. si stabilisce come la “tutela e la valorizzazione del patrimonio concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura2”. I concetti di valorizzazione e tutela sono strettamente legati tra loro, ma la valorizzazione non deve mai prendere il sopravvento sulle esigenze di manutenzione e protezione dei beni. La Costituzione assegna il compito della valorizzazione alla competenza concorrente di Stato e regioni (art. 117 Cost.3), mentre la tutela rientra nelle competenze esclusive dello Stato. In materia di beni culturali la normativa statale stabilisce inoltre che ci debbano essere forme di cooperazione tra le amministrazioni statali e regionali, in particolare nell’articolo 118 Cost. che disciplina forme di intesa per la tutela4.

1 Art.2, comma 2, patrimonio culturale; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.2 Art.1, comma 2, principi; Cod. dei beni culturali e del paesaggio.3 Art.117 Cost., comma 2: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.4 Art.118 Cost.: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione

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Nella valorizzazione rientra anche la gestione che risulta tesa al raggiungimento della promozione e della fruizione del bene riferita ad attività proprie della amministrazione pubblica. Indicazioni sulla valorizzazione si trovano anche all’art.111 del Cod. dove si considerano attività di valorizzazione: “la costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero la messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità indicate all'articolo 65”. L’articolo continua mettendo in evidenza come a tali attività possano “concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati”6. La valorizzazione infatti si presenta sia ad iniziativa pubblica7 sia a iniziativa privata8 (comma 2).

Al Titolo II, fruizione e valorizzazione, troviamo esplicati i principi che devono dirigere le amministrazioni alla protezione e allo sfruttamento del patrimonio culturale. All’art.101 troviamo menzionati quali istituti di cultura anche le aree e i parchi archeologici (comma 1), il cui significato viene spiegato nel comma 2 dello stesso articolo9. L’articolo prosegue chiarendo che gli istituti e i luoghi della cultura appartenenti a soggetti pubblici “sono destinati alla pubblica fruizioni ed espletano un servizio pubblico10” mentre quelli dei privati ma aperti al pubblico “espletano un servizio privato di utilità sociale11”. Nell’art.102, lo Stato attraverso il Ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici, si impegna ad assicurare la fruizione dei beni culturali custoditi negli istituti e nei luoghi di cultura di appartenenza pubblica12. Lo Stato inoltre deve provvedere a coordinare,

ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali . Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

5 Vedi art.6, valorizzazione del patrimonio culturale; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “1. La valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati. 2. La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze. 3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale”.6 Art.111, comma 1, attività di valorizzazione; Cod. dei beni culturali e del paesaggio.7 Art.111, comma 3, attività di valorizzazione; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “La valorizzazione ad iniziativa pubblica si conforma ai principi di libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione”.8 Art.111, comma 4, attività di valorizzazione; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “La valorizzazione ad iniziativa privata è attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità di solidarietà sociale”.9 Si veda art.101 comma 2, istituiti e luoghi della cultura; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “d) «area archeologica», un sito caratterizzato dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica; e) «parco archeologico», un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all'aperto”.10 Art.101 comma 3, istituti e luoghi della cultura; Cod. dei beni culturali e del paesaggio.11 Art.101 comma 4, istituti e luoghi della cultura; Cod. dei beni culturali e del paesaggio.12 Art.102, fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica; Cod. dei beni culturali del paesaggio: “1. Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali ed ogni altro ente ed istituto pubblico, assicurano la

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armonizzare e integrare le forme di fruizione anche mediante la definizione di accordi, in assenza dei quali ciascun soggetto pubblico è comunque tenuto a garantire la fruizione di quei beni di cui ha la disponibilità. Spetta alle Regioni la competenza legislativa in materia di fruizione dei beni “presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato, o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente” (comma 2). Invece l’art.103 stabilisce che l’accesso nei luoghi di cultura13 deve essere permesso ai cittadini sia gratuitamente sia previo pagamento di un biglietto d’ingresso. Secondo l’art.104 sono suscettibili di visita anche i beni culturali di proprietà privata (rientranti nell’art.10 o che rivestono grande interesse), secondo modalità concordate dalla Soprintendenza con il proprietario. L’accesso dei cittadini alle testimonianze archeologiche riveste una grande importanza che viene colta dalle norme del Cod. nell’articolo 105 che stabilisce come il Ministero e le regioni debbano vigilare affinché si rispettino i diritti d’uso e di “godimento” della cittadinanza14. Per quanto riguarda i beni di proprietà pubblica il Cod. ammette che tra Stato (operante attraverso il Ministero) e Regioni possano sussistere accordi e patti tesi a raggiungere obiettivi di valorizzazione: “lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. Gli accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti, e promuovono altresì l'integrazione, nel processo di valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati15”. Per

fruizione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi indicati all'articolo 101, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal presente codice. 2. Nel rispetto dei principi richiamati al comma 1, la legislazione regionale disciplina la fruizione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente. 3. La fruizione dei beni culturali pubblici al di fuori degli istituti e dei luoghi di cui all'articolo 101 è assicurata, secondo le disposizioni del presente Titolo, compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali cui detti beni sono destinati. 4. Al fine di coordinare, armonizzare ed integrare la fruizione relativamente agli istituti ed ai luoghi della cultura di appartenenza pubblica lo Stato, e per esso il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali definiscono accordi nell'ambito e con le procedure dell'articolo 112. In assenza di accordo, ciascun soggetto pubblico è tenuto a garantire la fruizione dei beni di cui ha comunque la disponibilità. 5. Mediante gli accordi di cui al comma 4 il Ministero può altresì trasferire alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, la disponibilità di istituti e luoghi della cultura, al fine di assicurare un'adeguata fruizione e valorizzazione dei beni ivi presenti”.13 Art.103, accesso agli istituti ed ai luoghi della cultura; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “1. L'accesso agli istituti ed ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono stipulare intese per coordinare l'accesso ad essi. 2. L'accesso alle biblioteche ed agli archivi pubblici per finalità di lettura, studio e ricerca è gratuito. 3. Nei casi di accesso a pagamento, il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali determinano: a) i casi di libero accesso e di ingresso gratuito; b) le categorie di biglietti e i criteri per la determinazione del relativo prezzo. Il prezzo del biglietto include gli oneri derivanti dalla stipula delle convenzioni previste alla lettera c); c) le modalità di emissione, distribuzione e vendita del biglietto d'ingresso e di riscossione del corrispettivo, anche mediante convenzioni con soggetti pubblici e privati. Per la gestione dei biglietti d'ingresso possono essere impiegate nuove tecnologie informatiche, con possibilità di prevendita e vendita presso terzi convenzionati. d) l'eventuale percentuale dei proventi dei biglietti da assegnare all'Ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori, scultori, musicisti, scrittori ed autori drammatici. 4. Eventuali agevolazioni per l'accesso devono essere regolate in modo da non creare discriminazioni ingiustificate nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea” .14 Art.105, diritti d’so e godimento pubblico; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “Il Ministero e le regioni vigilano, nell'ambito delle rispettive competenze, affinché siano rispettati i diritti di uso e godimento che il pubblico abbia acquisito sulle cose e i beni soggetti alle disposizioni della presente Parte” 15 Art. 112, comma 4, valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica; Cod. dei beni culturali e del paesaggio.

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la valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata16 si evidenzia come questi possano venir interessati da sostegni statali o regionali che permettano una migliore attività di conservazione e preservazione. Il comma 4 dell’art.113 specifica come si possano realizzare degli accordi tra gli enti territoriali e il privato per valorizzare quei beni che vengono elencati dall’art.10417. Un altro aspetto molto importante della valorizzazione è la promozione, che viene resa anche attraverso studi e ricerche, utili per raggiungere una più diffusa conoscenza del patrimonio. Questo aspetto viene colto nel Cod. nell’art.118: “1. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, anche con il concorso delle università e di altri soggetti pubblici e privati, realizzano, promuovono e sostengono, anche congiuntamente, ricerche, studi ed altre attività conoscitive aventi ad oggetto il patrimonio culturale. 2. Al fine di garantire la raccolta e la diffusione sistematica dei risultati degli studi, delle ricerche e delle altre attività di cui al comma 1, ivi compresa la catalogazione, il Ministero e le regioni possono stipulare accordi per istituire, a livello regionale o interregionale, centri permanenti di studio e documentazione del patrimonio culturale, prevedendo il concorso delle università e di altri soggetti pubblici e privati”; e sviluppato nell’art.119: “1. Il Ministero può concludere accordi con i Ministeri della pubblica istruzione e dell'università e della ricerca, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali interessati, per diffondere la conoscenza del patrimonio culturale e favorirne la fruizione. 2. Sulla base degli accordi previsti al comma 1, i responsabili degli istituti e dei luoghi della cultura di cui all'articolo 101 possono stipulare apposite convenzioni con le università, le scuole di ogni ordine e grado, appartenenti al sistema nazionale di istruzione, nonché con ogni altro istituto di formazione, per l'elaborazione e l'attuazione di progetti formativi e di aggiornamento, dei connessi percorsi didattici e per la predisposizione di materiali e sussidi audiovisivi, destinati ai docenti ed agli operatori didattici. I percorsi, i materiali e i sussidi tengono conto della specificità dell'istituto di formazione e delle eventuali particolari esigenze determinate dalla presenza di persone con disabilità”. La cooperazione tra Università e Ministero viene quindi auspicata dal Cod., in quanto accordi e intese permettono di migliorare non solo la valorizzazione ma anche la ricerca scientifica. La produzione di studi e ricerche (operate attraverso gli scavi) infatti ha un’importanza basilare per il diffondersi della cultura e soltanto con relazioni proficue tra Ministero e Università si può pensare di attuare azioni di sviluppo e di conservazione dei beni culturali.

Articoli Cod. dei beni culturali e del paesaggio 88-97

Il Capo VI del Titolo I, nella Parte Seconda del Cod., si occupa di tutte le attività di ritrovamento e scoperta di cose, questo perché prima dell’attività di verifica del reperto, il bene non può ancora essere definito “culturale”. La “cosa” potrà essere qualificata come bene solo al compimento di tutte quelle attività di verifica e dichiarazione di interesse culturale previste dagli art.12 e successivi del Codice. Ritrovamenti e scoperte vengono realizzati a seguito dell’attività di ricerca archeologica, che può essere svolta sia dallo Stato che da privati, ma le esplorazioni e gli scavi soltanto dallo

16 Art.113, valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata; Cod. dei beni culturali e del paesaggio.17 Art.104, fruizione di beni culturali di proprietà privata; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “1. Possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi culturali: a) i beni culturali immobili indicati all'articolo 10, comma 3, lettere a) e d), che rivestono interesse eccezionale; b) le collezioni dichiarate ai sensi dell'articolo 13. 2. L'interesse eccezionale degli immobili indicati al comma 1, lettera a), è dichiarato con atto del Ministero, sentito il proprietario. 3. Le modalità di visita sono concordate tra il proprietario e il soprintendente, che ne dà comunicazione al comune e alla città metropolitana nel cui territorio si trovano i beni. 4. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 38”.

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Stato18 o da chi ne ha ottenuto la concessione. Il MiBAC19 può dare in concessione a soggetti pubblici o privati l’esecuzione delle ricerche emettendo a favore di questi un decreto di occupazione degli immobili ove si eseguiranno i lavori. L’art. 89 indica però due ipotesi di revoca della concessione: al comma 2, una revoca sanzionatoria, disposta per inosservanza delle prescrizioni imposte dalla concessione; al comma 3 è previsto che il Ministero possa subentrare nel lavoro di scavo nel caso in cui si realizzi una nuova valutazione d’interesse pubblico20. L’art. 9021 disciplina i casi i cui il ritrovamento di cose avviene in maniera del tutto accidentale. La scoperta si distingue in intenzionale o fortuita. Il primo caso mette in luce uno scavo di tipo clandestino quindi in condizioni giuridiche negative. Nel caso invece di scoperta accidentale è obbligo dello scopritore la denuncia entro 24 ore all’Autorità di Pubblica Sicurezza, al Sindaco o alla Soprintendenza, spetterà poi a questi informare i carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale. In caso di ritrovamento per scoperta fortuita, la legge inoltre riconosce un premio22 al proprietario

18 Art.88, comma 1; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose indicate all'articolo 10 in qualunque parte del territorio nazionale sono riservate al Ministero.

19 Il Volpe considera questo articolo come un passo indietro verso una più libera concessione di scavo, infatti: “L’articolo 88 del D.Lgs. 42/2004 riserva esclusivamente al Ministero (MiBAC) «le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose … in qualunque parte del territorio nazionale», mentre, significativamente, il precedente articolo 85 del D.Lgs. 490/1999 attribuiva questa competenza allo ‘Stato’. Con un emblematico passo indietro nel tempo, le norme del 2004 hanno riproposto quanto prevedeva la legge Bottai (art. 43, L. 1089/1939) che assegnava al «Ministro per l'educazione nazionale» la «facoltà di eseguire ricerche archeologiche». Non solo, infatti, si ripropone una visione alquanto arcaica della ricerca archeologica, quasi coincidente con «le opere per il ritrovamento delle cose», che speravamo definitivamente superata, ma soprattutto – ed è questo ciò che maggiormente conta – si ratifica una netta separazione tra il Ministero per i Beni Culturali e le Università, limitando oggettivamente, come si è detto, la ricerca scientifica e la formazione, con legittimi dubbi di incostituzionalità”.

20 Art.89; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: 1. Il Ministero può dare in concessione a soggetti pubblici o privati l'esecuzione delle ricerche e delle opere indicate nell'articolo 88 ed emettere a favore del concessionario il decreto di occupazione degli immobili ove devono eseguirsi i lavori. 2. Il concessionario deve osservare, oltre alle prescrizioni imposte nell'atto di concessione, tutte le altre che il Ministero ritenga di impartire. In caso di inosservanza la concessione è revocata. 3. La concessione può essere revocata anche quando il Ministero intenda sostituirsi nell'esecuzione o prosecuzione delle opere. In tal caso sono rimborsate al concessionario le spese occorse per le opere già eseguite ed il relativo importo è fissato dal Ministero. 4. Ove il concessionario non ritenga di accettare la determinazione ministeriale, l'importo è stabilito da un perito tecnico nominato dal presidente del tribunale. Le relative spese sono anticipate dal concessionario. 5. La concessione prevista al comma 1 può essere rilasciata anche al proprietario degli immobili ove devono eseguirsi i lavori. 6. Il Ministero può consentire, a richiesta, che le cose rinvenute rimangano, in tutto o in parte, presso la Regione od altro ente pubblico territoriale per fini espositivi, sempre che l'ente disponga di una sede idonea e possa garantire la conservazione e la custodia delle cose medesime”.21 Art.90; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “1. Chi scopre fortuitamente cose immobili o mobili indicate nell'articolo 10 ne fa denuncia entro ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco ovvero all'autorità di pubblica sicurezza e provvede alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute. Della scoperta fortuita sono informati, a cura del soprintendente, anche i carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale. 2. Ove si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo scopritore ha facoltà di rimuoverle per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino alla visita dell'autorità competente e, ove occorra, di chiedere l'ausilio della forza pubblica. 3. Agli obblighi di conservazione e custodia previsti nei commi 1 e 2 è soggetto ogni detentore di cose scoperte fortuitamente. 4. Le spese sostenute per la custodia e rimozione sono rimborsate dal Ministero”.

22 Vedi art.92-93 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

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dell’immobile, al concessionario e allo scopritore; tale premio è pari a un quarto del valore del bene e non sarà superiore alla metà del valore. L’art. 91 disciplina le cose ritrovate: se immobili appartengono al demanio dello Stato23, se mobili al patrimonio indisponibile e sono quindi inalienabili ai sensi del Codice Civile. I beni culturali possono in base agli artt.95 e successivi essere oggetto di espropriazione da parte del Ministero24. In particolare l’esproprio di immobili è reso possibile dall’art. 9725 che stabilisce come l’espropriazione sia attuabile solo in caso di interventi di carattere archeologico o tesi al ritrovamento delle “cose” indicate nell’art.10. Gli interventi si riferiscono anche ad attività di sistemazione e salvaguardia dei materiali archeologici non ancora portati alla luce. Soltanto il Ministero può chiedere l’esproprio in quanto diventerà proprietario di quei beni.

La gestione dei siti archeologici

A partire dal Cinquecento, con la riscoperta dei monumenti e dei resti dell’antica Roma, in Italia si inaugura su vasta scala la ricerca e l’esplorazione dei beni archeologici, attuata con scavi distruttivi i c.d. sterri. Seppur segnati da una scarsa perizia tecnica e un’insufficiente scientificità, questi scavi permisero il sorgere dei primi studi sul patrimonio archeologico-monumentale. Da questo momento dunque diviene una priorità la gestione e il controllo dei siti e dei materiali che da esso provengono. Verso la fine del Settecento comincia a consolidarsi un atteggiamento a favore della conservazione in situ, gli albori della gestione del sito archeologico. Uno degli obiettivi principali della pianificazione archeologica è quello di ridurre i rischi per le strutture, garantendone la conservazione. Poiché il patrimonio archeologico è fragile e non rinnovabile si pone necessario attuare delle procedure mirate. Si parla così del concetto di conservazione integrata del patrimonio, descritta come quell’insieme di "misure che hanno la finalità di assicurare la perennità di questo patrimonio, di tutelare la sua conservazione nel quadro di un contesto ambientale appropriato, costruito o naturale, nonché la sua destinazione e il suo adattamento ai bisogni della società26". Queste misure individuano quindi come obiettivi essenziali della gestione la conservazione fisica del patrimonio e la sua integrazione nella società. Tale gestione che consiste in "tutte le iniziative che possano facilitare la comprensione del monumento messo in luce, senza mai snaturarne i significati. Pertanto, negli scavi e nelle esplorazioni archeologiche, la sistemazione dei siti e le misure di conservazione e protezione delle opere architettoniche e degli oggetti rinvenuti devono essere sempre e immediatamente garantite, inserendole nel quadro della pianificazione urbanistica del territorio in cui ricadono i siti27". La conservazione integrata del territorio che presenta interesse

23 Art.91, comma 1; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “Le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile.24 Art.95, espropriazione di beni culturali, comma 1; Cod. dei beni culturali e del paesaggio: “I beni culturali immobili e mobili possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando l'espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi”.25 Art.97, comma 1; Cod. dei beni culturali e del paesaggio d.lgs. 42/2004: “Il Ministero può procedere all'espropriazione di immobili al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento delle cose indicate nell'articolo 10”.

26 Risoluzione sull'adeguamento dei sistemi legislativi e normativi, Consiglio d'Europa, 1976, 1, 2.27 Carta sui beni culturali europei, Consiglio d'Europa, 1991.

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archeologico, deve essere intesa anche come un processo di pianificazione, dove è necessaria la partecipazione degli archeologi. L'obiettivo del processo è di garantire un equilibrio tra gli aspetti storico-archeologici e le esigenze economiche e di sviluppo del territorio. Tale processo si presenta in genere in quattro fasi: conoscenza, confronto, integrazione e gestione dei siti e dei monumenti. La prima fase si esplica nella ricerca della documentazione e dello studio del territorio, utilizzando per esempio strumenti quali gli archivi o le ricognizioni in superficie. La seconda fase permette di confrontare in maniera olistica il territorio, cogliendo i rapporti tra i dati storico-archeologici e biologici. L’integrazione è la terza fase del processo di pianificazione, per cui alla gestione della risorsa archeologica si collegano quelle azioni tese alla pianificazione ambientale. L’ultima fase (la gestione) è quella che permette più direttamente la fruizione del bene alla comunità. Essa deve essere basata su criteri definiti attraverso un processo critico e programmatico che garantisca la conservazione del patrimonio e allo stesso tempo tuteli le esigenze dei visitatori e del pubblico. Il piano di gestione (Management Plan) per la conservazione delle risorse archeologiche ha la funzione di precisare obiettivi e norme di salvaguardia, di programmare il controllo e lo sviluppo degli interventi. Una volta realizzato il piano, è necessario concentrarsi sull'organizzazione della gestione, sui lavori di restauro e di manutenzione, inclusi i servizi per i visitatori. Inoltre è necessario organizzare controlli e monitoraggi costanti che permettano di giudicare nel tempo le azioni di manutenzione dei siti. La manutenzione preventiva infatti ha l'obiettivo di mantenere l'integrità del patrimonio, limitando al minimo i rischi e prevenendo i possibili danni. Il piano deve in genere presentare determinate caratteristiche: identificazione del patrimonio culturale; valutazione del significato; valutazione delle attività di gestione; preparazione di politica di protezione e restauro; costituzione di un sistema di monitoraggio e la revisione del piano. Importante per l’efficacia del piano di gestione è la conoscenza del territorio nel quale il sito si trova; essa serve per garantire la gestione informata delle risorse, come riferimento per le scelte dei sistemi di manutenzione e di conservazione del patrimonio e per il controllo degli interventi da effettuarsi rispettando il significato storico-culturale del luogo.

Gestione dei siti UNESCO

Per quanto riguarda i siti che rientrano nella Lista del Patrimonio Universale dell’Umanità, l’UNESCO chiede alle amministrazioni locali e statali di dotarsi di un piano di gestione che sia in grado di garantire nel tempo, la tutela e la conservazione dei beni per le generazioni future. Il MiBAC per permettere agli enti locali di realizzare dei piani coerenti ha istituito la Commissione Nazione Siti UNESCO. Questa Commissione ha generato un modello di piano che considera i siti patrimonio UNESCO come “luoghi attivi di produzione di cultura contemporanea”, quindi luoghi in grado di promuovere e incentivare lo sviluppo di attività culturali e produttive ad esse collegate. Il piano di gestione deve quindi essere capace di coniugare il riconoscimento del valore dei beni con la formazione di un progetto locale di sviluppo culturale. Infatti la finalità del piano è quella di garantire la protezione del patrimonio ma allo stesso tempo promuovendone l’integrazione con le esigenze di sviluppo locali. Il Piano di gestione ha lo scopo di individuare le strategie che devono essere messe in atto per dare soluzione alle problematiche poste dalla tutela, dalla conservazione e dalla valorizzazione: si tratta di conservare i beni per renderli fruibili dalle future generazioni e di renderli utilizzabili dalle generazioni presenti per finalità di sviluppo culturale ed economico-sociale. Quindi il Piano di gestione può costituire uno strumento che sostenga un modello di

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sviluppo territoriale che ha l’intento finale di coniugare la conservazione con lo sviluppo economico, al fine di giungere ad un unico prodotto culturale.

Convenzione Valletta

Un punto fondamentale nell’evoluzione delle teorie e procedure di gestione e valorizzazione dei beni archeologici è la Convenzione europea della Valletta sulla protezione del patrimonio archeologico, votata dal Consiglio d'Europa nel 1992. Il documento, che riflette gli orientamenti generali espressi nella ICAHM Charter28 del 199029, ribadisce la necessità di una conoscenza completa delle risorse (attraverso l'inventario e la classificazione dei beni), nonché l'importanza di operare in un clima di collaborazione interdisciplinare e di promuovere la formazione di figure professionali qualificate nel campo della conservazione. La convenzione conclusasi alla Valletta il 16 gennaio 1992 afferma come il patrimonio archeologico sia “un elemento essenziale per la conoscenza del passato delle civiltà”. Nel preambolo si riconosce il valore del patrimonio archeologico quale testimone della storia e se ne mettono in evidenza le continue minacce alle quali soggiace: rischi naturali, lavori di pianificazione del territorio, scavi clandestini ecc. Inoltre si afferma l’importanza di istituire procedure di controllo amministrativo e scientifico e politiche di pianificazione per il territorio e il patrimonio archeologico. Si enuncia come anche la protezione e la conservazione del patrimonio non sia esclusiva dello Stato interessato ma dell’insieme di tutti i paesi europei: “al fine di ridurre i rischi di degrado e promuovere la conservazione, favorendo scambi di esperti e d’esperienze”. L’art.1 (comma 1) chiarisce l’obiettivo della presente: “proteggere il patrimonio archeologico in quanto fonte della memoria collettiva europea e strumento di studio storico e scientifico”. All’art.2 si trovano gli impegni presi da ciascuno Stato per la protezione30 del patrimonio archeologico. Questi impegni devono essere orientati alla

28 La ICAHM Charter è nata dall'esigenza di raccogliere in un unico testo, valido a livello internazionale, i principi relativi alla gestione del patrimonio archeologico. Il termine gestione (management), usato in questo caso per la prima volta, indica l'insieme delle operazioni che hanno come obiettivo la conoscenza, la tutela, la conservazione e la presentazione al pubblico delle risorse archeologiche (valorizzazione). Il patrimonio archeologico viene definito come una risorsa fragile e non rinnovabile; i principali rischi per tali beni sono identificati nei progetti di sviluppo e di sfruttamento del territorio, per questo è fondamentale disporre di strumenti legislativi idonei e una pianificazione territoriale efficace. Inoltre viene evidenziata l’importanza del coinvolgimento del pubblico come un fattore determinante nella realizzazione della conservazione nel territorio. Infatti alle popolazioni locali deve essere garantito un adeguato livello di conoscenza delle risorse archeologiche, per poter intervenire nelle decisioni sulla salvaguardia del patrimonio.

29Art.1 ICAHM Charter 1990 che definisce il patrimonio archeologico come "la parte del nostro patrimonio materiale per la quale i metodi dell'archeologo forniscono le conoscenze di base. Include tutte le tracce dell'esistenza umana e riguarda i luoghi dove siano state esercitate attività umane di qualsiasi sorta, ogni tipo di strutture e di vestigia abbandonate, in superficie, nel sottosuolo o sott'acqua, nonché il materiale che vi è associato" .

30 Art.2; Convenzione Valletta 6 gennaio 1992: “Ogni Parte si impegna ad adottare, secondo le modalità proprie a ciascuno Stato, un regime giuridico per la protezione del patrimonio archeologico che preveda: I) la gestione di un inventario del proprio patrimonio archeologico e la classificazione dei monumenti e delle zone protette; II) la costituzione di riserve archeologiche, anche dove non vi siano evidenti reperti in superficie o sott’acqua, per conservare le testimonianze materiali, affinché le generazioni future possano studiarle; III) l’obbligo dello scopritore di segnalare alle autorità competenti la scoperta casuale di elementi appartenenti al patrimonio archeologico, e di

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conservazione delle testimonianze materiali affinché siano elemento di studio per le generazioni future. “Allo scopo di salvaguardare il patrimonio archeologico e di garantire la scientificità delle operazioni di ricerca archeologica, ogni Parte si impegna: I) ad introdurre delle procedure d’autorizzazione e di controllo degli scavi e delle altre attività archeologiche, al fine di: a) impedire scavi o allontanamento illegali di elementi del patrimonio archeologico; b) garantire che gli scavi e le ricerche archeologiche si svolgano in modo scientifico e che: – vengano applicati nella misura del possibile metodi di ricerca non distruttivi; – gli elementi del patrimonio archeologico non vengano portati alla luce né lasciati esposti durante o dopo gli scavi senza che siano state adottate delle disposizioni per la loro preservazione, conservazione e gestione; II) a fare in modo che gli scavi e le altre tecniche potenzialmente distruttive vengano praticate esclusivamente da persone qualificate e munite di un’autorizzazione speciale; III) a sottomettere ad un’autorizzazione preliminare, nei casi previsti dalla legislazione interna dello Stato, l’utilizzazione di rivelatori di metalli e di altri strumenti di rivelazione o di altri procedimenti per la ricerca archeologica31”. Nell’art.4 l’impegno viene profuso alle misure di protezione “fisica” del patrimonio archeologico che prevedano in particolare l’acquisto o la protezione da parte dell’autorità pubblica di terreni o zone destinate a interesse archeologico; inoltre si auspica la conservazione e la manutenzione in situ del patrimonio archeologico dove non sia possibile, il trasferimento in strutture idonee alla conservazione. Nell’art.5 si tratta della conservazione integrata del patrimonio archeologico: “Ogni Parte si impegna: I) a cercare di conciliare e articolare i bisogni dell’archeologia e della pianificazione, facendo in modo che degli archeologi partecipino: a) alle politiche di pianificazione volte a definire delle strategie equilibrate di protezione, conservazione e valorizzazione dei siti di interesse archeologico; b) allo svolgimento delle diverse fasi dei programmi di pianificazione; II) a garantire una consultazione sistematica tra archeologi, urbanisti e pianificatori del territorio, al fine di permettere: a) la modifica dei progetti di pianificazione che rischiano di alterare il patrimonio archeologico; b) la concessione di tempo e mezzi sufficienti per effettuare uno studio scientifico adeguato del sito e per la pubblicazione dei risultati; III) a fare in modo che gli studi d’impatto ambientale e le decisioni che ne risultano tengano debitamente conto dei siti archeologici e del loro contesto; IV) a prevedere, quando ciò sia possibile, la conservazione in situ degli elementi del patrimonio archeologico trovati in occasione di lavori di sistemazione del territorio; V) a fare in modo che l’apertura al pubblico dei siti archeologici, in particolare le strutture necessarie ad accogliere un gran numero di visitatori, non incida sul carattere archeologico e scientifico di tali siti e dell’ambiente circostante32”. L’art.6 prevede invece interventi di sostegno finanziario alla ricerca archeologica che siano diretti sia a procedure di scavo e di scoperta ma anche indirizzati a operazioni di archeologia preventiva33. Gli

metterli a disposizione per un esame”.

31 Art.3; Convenzione Valletta 6 gennaio 1992.32 Art.5; Convenzione Valletta 6 gennaio 1992.33 Art.6; Convenzione Valletta 6 gennaio 1992: “Ogni Parte si impegna: I) a prevedere un sostegno finanziario alla ricerca archeologica da parte delle autorità pubbliche nazionali, regionali e locali, in funzione delle rispettive competenze; II) ad aumentare i mezzi materiali dell’archeologia preventiva: a) adottando disposizioni utili affinché, in caso di importanti lavori pubblici o privati di sistemazione, siano previsti fondi, provenienti in maniera appropriata dal settore pubblico e da quello privato, che si assumano la totalità dei costi delle operazioni archeologiche necessarie legate a questi lavori; b) facendo figurare nel bilancio preventivo di questi lavori, come accade per gli studi d’impatto ambientale imposti da preoccupazioni di tipo ambientale e di sistemazione del territorio, gli studi e le ricerche archeologiche preliminari, i documenti scientifici di sintesi, nonché le comunicazioni e le pubblicazioni integrali delle

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articoli 7 e 8 chiariscono come al fine di favorire lo studio e la diffusione delle conoscenze, ogni Stato debba adottare provvedimenti che promuovano la circolazione a fini scientifici e culturali del materiale archeologico, e disposizioni che permettano di ottenere documenti o materiale scientifico come inventari, elementi cartografici o studi specialistici. In particolare l’articolo 8 mette in luce l’esigenza per la comunità europea di suscitare rapporti di comunicazione internazionale anche in materia di beni archeologici. L'art. 9 sulla sensibilizzazione del pubblico chiede l'impegno a comunicare con i visitatori, informandoli, e risulta finalizzato al loro coinvolgimento nella protezione del patrimonio. Il tentativo di responsabilizzare il pubblico risponde alla necessità di una salvaguardia che sia legata anche al contesto nel quale il bene archeologico si trova34. La Convenzione tenutasi nel 1992 è stata ratificata dal parlamento italiano soltanto dalla L. 29 aprile 2015 n°57 che quindi è una legge di attuazione delle decisioni prese oltre vent’anni fa. Alcuni articoli della Convenzione sono stati ripresi recentemente da una importante circolare del Ministero che in particolare ha evidenziato la specificità della materia archeologica e il suo orientamento scientifico.

Circolare MiBAC

Riprendendo il comma 1 dell’art.3 della Convenzione di Valletta la circolare MiBAC n°6 del 2016 pone in evidenza la necessità che gli scavi e le ricerche archeologiche debbano essere sottoposte ad una procedura di autorizzazione. In Italia la concessione di scavo viene rilasciata dal Ministero a soggetti pubblici o privati seguendo le norme del Cod. dei beni culturali e del paesaggio in particolare all’art.89. Nella circolare inoltre si considera fondamentale vigilare sulla documentazione dei depositi scoperti e sulla conservazione delle strutture, che i concessionari devono garantire con interventi di restauro. È compito delle Soprintendenze visionare la documentazione delle indagini e delle misure di protezione promosse dai concessionari. Il punto che forse ha destato più scalpore e generato numerose discussioni è il secondo comma della suddetta convenzione, ripreso dalla circolare MiBAC. Nel comma 2 infatti, si chiede all’Amministrazione di vigilare affinché lo scavo archeologico sia effettuato da sole persone qualificate35: laureati in archeologia e studenti universitari. Vengono invitate dunque le Soprintendenze a controllare che nelle richieste di concessioni non siano previsti “dilettanti ed appassionati”. Nel caso delle c.d. Summer School si accoglieranno solo quelle concessioni che presentino tra i partecipanti personaggi del settore e che i proventi della quota di partecipazione siano utilizzati per coprire spese di vitto, alloggio o relative allo scavo. I proventi però non devono essere profitto per il concessionario perché lo scavo archeologico è un’attività che mira alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale da attuarsi non a scopi lucrativi.

In conclusione è necessario mettere in evidenza che tutte le procedure che mirano al preservare e favorire il godimento del patrimonio culturale devono sempre essere messe in relazione alla società nella quale i beni si trovano; perché soltanto adeguando la conoscenza degli “specialisti” alla

scoperte”.34 Art.9, sensibilizzazione del pubblico; Convenzione della Valletta 6 gennaio 1992: “Ogni Parte si impegna: I) ad intraprendere un’azione educativa volta a risvegliare e a sviluppare presso l’opinione pubblica la coscienza del valore del patrimonio archeologico per la conoscenza del passato, e dei pericoli a cui tale patrimonio è esposto; II) a promuovere l’accesso del pubblico agli elementi importanti del suo patrimonio archeologico, in particolare ai siti, e ad incoraggiare l’esposizione al pubblico di beni archeologici selezionati”.35 Art.3, comma 2; Convenzione Valletta: “a fare in modo che gli scavi e le altre tecniche potenzialmente distruttive vengano praticate esclusivamente da persone qualificate e munite di un’autorizzazione speciale”.

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diffusione della cultura presso la cittadinanza si otterranno più efficaci azioni di tutela, per questo la valorizzazione è così importante. Essa infatti permette di produrre cultura e di incentivare la popolazione a proteggere quei beni portatori di memoria storica. Personalmente ritengo quindi che la archeologia, essendo una scienza che tende alla conoscenza, non debba essere elitaria e materia esclusiva degli addetti ai lavori. Spetta dunque agli archeologi mitigare le ambiguità del binomio conservazione-fruizione, favorendo sia la tutela e la protezione dei beni, ma al contempo anche la fruizione e il godimento al pubblico, tenendo sempre in considerazione che l’obiettivo finale deve essere preservare i beni culturali per le generazioni future.