LA VALLE DEL SAVUTO E LA CATENA PAOLANA ......origine greco-latina. Paola (STC 302, DTOC 226) è...

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LA VALLE DEL SAVUTO E LA CATENA PAOLANA: ALCUNE OSSERVAZIONI STORICO-LINGUISTICHE, ANCHE SULLA ‘PRESENZA LONGOBARDA’ John B. Trumper 1. La definizione di un territorio e le testimonianze della toponomastica La ricerca di un’origine comune, storico-culturale e storico-linguistica, di una vasta area che proceda dall’Alto al Basso Tirreno e che comprenda anche i paesi della catena paolana, delle valli del Torbido e del Savuto, è impossibile da realizzare. Vorrei dunque esordire ricordando la proposta di una divisione a cinque della Calabria, ipotizzata ed argomentata in Trumper 1997: 355-364, e basata su una serie di eteroglosse evidenziate, chiarite e dettagliate per l’intera regione; il risultato è rappresentato dalla carta 1. La quinta subarea, non notata specificamente nella carta, è costituita da un piccolo raggruppamento dialettale intorno a Reggio Calabria, che va da Villa S. Giovanni e S. Roberto, al nord, a S. Elia di Reggio e a Pentedattilo, al sud. Questa subarea fa parte, dialettalmente, della Sicilia Orientale, come si è argomentato in Trumper-Chiodo 2000. I problemi sollevati da questa carta per quanto riguarda il Tirreno settentrionale fino a Campora, sono due; il primo riguarda il fatto che i paesi più a settentrione fanno parte, in modo più o meno evidente, dell’area denominata, da Lausberg 1939 in poi, l’Area Lausberg (area arcaica calabro-lucana), con i paesi di Aieta, Verbicaro, Papasidero, S.ta Domenica Talao 1 , S. Nicola Arcella, Diamante, Buonvicino, mentre da Bonifati e Cetraro in giù, fin oltre Amantea, tutti i dialetti partecipano nel megagruppo che abbiamo chiamato Calabrese Settentrionale 2 . Il secondo problema è quello di possibili sostrati rispetto ad eventuali superstrati e parastrati (o ‘adstrati’) 3 . Nessuno ha mai messo in dubbio che la base dei nostri dialetti sia latina, con sostrato italico ed ellenico 4 , e che gli elementi gallo- e ibero- romanzi formino un chiaro superstrato, ma la posizione degli elementi germanici del longobardo rimane in sospeso in genere tra i sostenitori dell’ipotesi di un massiccio sostrato lasciato da un 1 Il dialetto di Scalea è ormai calabresizzato, con parastrato anche campano negli ultimi decenni: l’antico scalioto è invece vivo come il dialetto di S.ta Domenica. 2 Vi sono, com’è risaputo, alcuni fenomeni di maggiore conservazione degli altri sottogruppi, come il mantenimento di ‘hj’ /ç/ come esito del nesso (-)FL- del latino (hjume, hjatu, hjuhhjare ecc. di fronte a jume, jatu, juhhjare con sonorizzazione, < latino flmen, fltus, *flfflre per sbflre / sfflre), da Dipignano e Paterno a sud fin oltre Rogliano e Carpanzano la metafonia per innalzamento, come a Fuscaldo, /e, o/, contro quella più diffusa a dittongamento /ìe, ùo/ oppure /ìa, ùa/, ecc., accanto ad alcuni fenomeni sporadici di innovazione, ad es. -LL- > // > /dd/ (Paola) invece di /ll/, oppure ‘di > ‘r’ (Paola) che collega la nostra area con l’area presilana e silana. Altre microdifferenze riguardano l’arcaicità dialettale di S. Angelo di Cetraro, che lo lega all’area arcaica al nord, o i venezianismi del quartiere marino di S. Marco di Cetraro trattati en passant in Trumper 2006. 3 Mentre da Ascoli nell’Ottocento in poi il SOSTRATO è definito come somma dei risultati di tre criteri, cioè la RIPROVA (il sostitutore e il sostituito posseggono strutture linguistiche affini), la PROVA ESTRINSECA (sovrapposizione linguistica) e la PROVA INTRINSECA (sovrapposizione ed egemonia sullo stesso territorio ed in termini chiaramente socio-amministrativi, insieme alla sovrapposizione linguistica), il PARASTRATO viene definito come effetto della sovrapposizione meramente linguistica di una possibile élite minoritaria, il SUPERSTRATO come sovrapposizione linguistica e socio-istituzionale con egemonia pressoché totale con eventuale assorbimento dell’elemento minoritario esterno. 4 L’osco dei Bruzi è decisamente minoritario come elemento fondante nel lessico usuale, anche se non assente. Comunque, è elemento rilevante e fondante nella toponomastica. Sul problema di quale greco e di quale periodo si veda la nuova discussione aperta su solide basi linguistiche e storiche in Trumper 2013 (Valenzia, CILPR 26).

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  • LA VALLE DEL SAVUTO E LA CATENA PAOLANA: ALCUNE OSSERVAZIONI

    STORICO-LINGUISTICHE, ANCHE SULLA ‘PRESENZA LONGOBARDA’

    John B. Trumper

    1. La definizione di un territorio e le testimonianze della toponomastica

    La ricerca di un’origine comune, storico-culturale e storico-linguistica, di una vasta area che

    proceda dall’Alto al Basso Tirreno e che comprenda anche i paesi della catena paolana, delle valli

    del Torbido e del Savuto, è impossibile da realizzare. Vorrei dunque esordire ricordando la proposta

    di una divisione a cinque della Calabria, ipotizzata ed argomentata in Trumper 1997: 355-364, e

    basata su una serie di eteroglosse evidenziate, chiarite e dettagliate per l’intera regione; il risultato è

    rappresentato dalla carta 1. La quinta subarea, non notata specificamente nella carta, è costituita da

    un piccolo raggruppamento dialettale intorno a Reggio Calabria, che va da Villa S. Giovanni e S.

    Roberto, al nord, a S. Elia di Reggio e a Pentedattilo, al sud. Questa subarea fa parte, dialettalmente,

    della Sicilia Orientale, come si è argomentato in Trumper-Chiodo 2000. I problemi sollevati da

    questa carta per quanto riguarda il Tirreno settentrionale fino a Campora, sono due; il primo

    riguarda il fatto che i paesi più a settentrione fanno parte, in modo più o meno evidente, dell’area

    denominata, da Lausberg 1939 in poi, l’Area Lausberg (area arcaica calabro-lucana), con i paesi di

    Aieta, Verbicaro, Papasidero, S.ta Domenica Talao1, S. Nicola Arcella, Diamante, Buonvicino,

    mentre da Bonifati e Cetraro in giù, fin oltre Amantea, tutti i dialetti partecipano nel megagruppo

    che abbiamo chiamato Calabrese Settentrionale2. Il secondo problema è quello di possibili sostrati

    rispetto ad eventuali superstrati e parastrati (o ‘adstrati’)3. Nessuno ha mai messo in dubbio che la

    base dei nostri dialetti sia latina, con sostrato italico ed ellenico4, e che gli elementi gallo- e ibero-

    romanzi formino un chiaro superstrato, ma la posizione degli elementi germanici del longobardo

    rimane in sospeso in genere tra i sostenitori dell’ipotesi di un massiccio sostrato lasciato da un

    1 Il dialetto di Scalea è ormai calabresizzato, con parastrato anche campano negli ultimi decenni: l’antico scalioto è

    invece vivo come il dialetto di S.ta Domenica.

    2 Vi sono, com’è risaputo, alcuni fenomeni di maggiore conservazione degli altri sottogruppi, come il mantenimento di

    ‘hj’ /ç/ come esito del nesso (-)FL- del latino (hjume, hjatu, hjuhhjare ecc. di fronte a jume, jatu, juhhjare con

    sonorizzazione, < latino flmen, fltus, *flfflre per sbflre / sfflre), da Dipignano e Paterno a sud fin oltre

    Rogliano e Carpanzano la metafonia per innalzamento, come a Fuscaldo, /e, o/, contro quella più diffusa a

    dittongamento /ìe, ùo/ oppure /ìa, ùa/, ecc., accanto ad alcuni fenomeni sporadici di innovazione, ad es. -LL- > // > /dd/ (Paola) invece di /ll/, oppure ‘di > ‘r’ (Paola) che collega la nostra area con l’area presilana e silana. Altre

    microdifferenze riguardano l’arcaicità dialettale di S. Angelo di Cetraro, che lo lega all’area arcaica al nord, o i

    venezianismi del quartiere marino di S. Marco di Cetraro trattati en passant in Trumper 2006.

    3 Mentre da Ascoli nell’Ottocento in poi il SOSTRATO è definito come somma dei risultati di tre criteri, cioè la

    RIPROVA (il sostitutore e il sostituito posseggono strutture linguistiche affini), la PROVA ESTRINSECA

    (sovrapposizione linguistica) e la PROVA INTRINSECA (sovrapposizione ed egemonia sullo stesso territorio ed in

    termini chiaramente socio-amministrativi, insieme alla sovrapposizione linguistica), il PARASTRATO viene definito

    come effetto della sovrapposizione meramente linguistica di una possibile élite minoritaria, il SUPERSTRATO come

    sovrapposizione linguistica e socio-istituzionale con egemonia pressoché totale con eventuale assorbimento

    dell’elemento minoritario esterno.

    4 L’osco dei Bruzi è decisamente minoritario come elemento fondante nel lessico usuale, anche se non assente.

    Comunque, è elemento rilevante e fondante nella toponomastica. Sul problema di quale greco e di quale periodo si veda

    la nuova discussione aperta su solide basi linguistiche e storiche in Trumper 2013 (Valenzia, CILPR 26).

  • gruppo poco numeroso ma di detentori del potere, e sostenitori dell’ipotesi di un parastrato tardivo e

    minoritario che agisce esternamente su due compatti gruppi dialettali della Calabria settentrionale.

    Carta 1: Divisioni dialettali della Calabria

    Prendendo in considerazione i nomi dei fiumi della nostra area, dal Lao, dall’Aron, al Deuda,

    al Trùvulu, al Cacacìcero, fino a ‘Fiumefreddo’, al Verre, all’Oliva, al Potàme, fino alle sorgenti del

    Crati, o all’Amato, troviamo nove denominazioni di origine latina o italica, due di origine greca, e

    nessun etimo di altro tipo; si nota che nemmeno un segno del longobardo o di altro superstrato sono

    evidenti. Come si sa, i nomi dei corsi di acqua europei sono i nomi più antichi; raramente infatti

    cambiano lungo il corso dei secoli. Il primo (Lao) è di chiara origine italica, dial. Lagu < *LAG-

    (IEW 652, ‘scavare’: per commenti più dettagliati vd. Trumper 2000: 139 n. 38), con significato

    ‘scavo’, ‘fiume scavato / fiume che scava’, il secondo porta un nome dotto, Aron, frutto di

    un’elaborazione tardiva, tenuto conto del fatto che in loco si chiama soltanto U Hjume ‘il fiume’.

    Per quanto riguarda il Deuda, apparentemente di origini oscure ed enigmatiche (secondo Alessio

    STC 217, Rohlfs DTOC 96), si svela la sua lontana origine qualora si confronti il nome sanlucidano

  • Dìvuda a sud del fiume con quello paolano immediatamente a nord Rìvura: sembra un chiaro caso

    di ipercorrezione a San Lucido rispetto a Paola, per questo optiamo per una forma rvus - con

    metaplasma > rvus rvris pl. rvra > rìvura. In altre parole, si riferisce ad un torrente che

    d’inverno scende a ‘rivoli’, straripando e spaccando le sue incerte rive5. A San Lucido i

    fiumiciattoli Cacacìcero e Trùvulu si riferiscono, il primo, al fatto di scendere a ‘spruzzi’ o ‘sbuffi’,

    come se ‘defecasse ceci’, il secondo alla natura ‘torbida’ delle sue acque. Ambedue sono di più che

    evidente origine latina (cacre, ccer, trbdus / *trblus). Il ‘Fiume Freddo’ che scende dividendo

    gli attuali comuni di Fiumefreddo, Falconara e di S. Lucido non si chiama in loco che U Hjume ‘il

    fiume’. Il fiume U Verre di Belmonte è fatto derivare da Rohlfs (DTOC 366) dal latino vrres

    ‘verro’, ipotesi plausibile: ‘fiume dei porci’ è un appellativo ben noto nella toponomastica europea,

    come fiume che serve agli allevamenti suini, anche se viene il sospetto che l’irruenza e la voracità

    del suino maschio potrebbe, al limite, aver suggerito l’irruenza invernale di un torrente. L’Oliva di

    Amantea, ora fonte di grande scandalo per i rifiuti tossici ivi sepolti, è stato trattato sia in DTOC

    218 e STC 218 con riferimento all’articolo originale di Rohlfs del 1933, vale a dire come

    potamonimo presente già nell’onomastica del 10906, derivante da luus -a < greco classico ἔλαια<

    protogreco ἔλαιϝᾱ, voce già micenea (1400 a. C.), molto probabilmente parola di origine

    indoeuropea, da una base per ‘viscido’ o ‘scivoloso’. Sarà semplicemente, dunque, il ‘fiume

    dell’oliva’, oppure ‘fiume oleoso’. Comunque, in Trumper 2016: 176-77 abbiamo proposto un

    etimo alternativo, visto che in loco il fiume si chiama l’Aliva. Si propone, cioè, Aliva < per epentesi

    Alìa < (Sant’)Alìa ‘Sant’Elia il piccolo’, un santo calabrese del periodo bizantino. L’agionimo

    subisce vari processi quali l’aferesi (> Santu Lìa) e la velarizzazione (> Sant’Ulìa) ecc., e simili

    varianti avrebbero potuto chiamare in causa, per paretimologia, il frutto dell’olivo per la

    denominazione popolare del fiume locale. All’interno verso Lago, abbiamo il fiume Potáme, di

    ovvia derivazione greca (STC 335, DTOC 255), dal diminutivo ποτάμιον di ποταμός, vale a dire

    ‘fiumicello’, ‘fiumiciattolo’. Il Crati è già stato trattato in altre sedi, come potamonimo derivante da

    quello greco del torrente ellenico Κρᾶθις, nome imposto dagli invasori greci

    nell’antichitàAll’interno, si ha poi l’importantissimo Savuto con gli affluenti Savucchia e

    Savutello (diminutivi derivati), tutti trattati ampiamente nello STC 361-362, DTOC 306-307, che

    prendono le mosse da Krahe 1933: 129, in cui si tratta il Sabtus, già nome antico nell’Itinerarium

    Antoninum del II sec. d.C. Siamo di fronte all’esito italico della base indo-europea *SAB- / *SAP-

    ‘liquido; suco’ (> ‘sapore’ anche, IEW 880, base del latino spre)8, cioè un fiume che si chiama in

    modo più indiretto, ‘fiume’ o ‘acqua’. Oltre Amantea, all’interno, si ha il fiume Amato, che dà,

    scorrendo verso il sud, nome e vitalità al Lametino e a Lamezia. Anche se il punto di partenza è il

    dorico Λάμᾱτος, equivalente del Λάμητος della koiné, va ripetuto che, non essendoci esiti

    dell’indoeuropeo *LAHM- ‘fango; poltiglia; limo; palude’ (IEW 653-654) nell’ellenico, ma

    soltanto residui ‘marginali’ in italico, baltico e germanico (dunque, come anatolico-indo-europeo

    5 Rettifico anche le proposte etimologiche, che ora ritengo errate, in Trumper 2000: 143.

    6 È anzi probabile che il Costas Livas di un documento calabro-greco del 1097 (Trinchera 77: κοσταςληυάς) deve il

    suo cognome al fiume. Come nome di un paese Olivadi è già presente nell’Inventario della Metropolia (RC) del 1000-

    1050 rigo 196-197, censito per 16 ‘modii’ (Χω[ράφιον]εἰςτὸΛιβάδ[ιον]μοδ[ίων] ις’). L’oliva e l’olivo sono, dunque, ben presenti nella toponomastica e nella potamonomastica della Calabria.

    7 Il Crati (Κρᾶθις) greco deriverà come esito di grado Ø della base indo-europea *KERD- /*KORD-, che dà il verbo

    κορθύω‘gonfiarsi; far cavalloni’, noto verbo omerico, epiteto adatto ad un torrente invernale. Dal cosiddetto grado Ø, cioè *KRD-, deriva per regola la forma greca in κρᾶθ. 8 Esiti sono presenti nell’iranico, nell’italico, nel germanico, e forse anche in altri gruppi anatolico-indo-europei (una

    presenza in questo caso più problematica). È almeno indo-europeo periferico.

  • periferico e non centrale), si dovrà trattare di un italicismo del greco, vale a dire lm ‘limo’9 >

    *lmt[u]s > dorico *λάμᾱτος, con ovvio significato ‘fiume limoso / limaccioso/ fangoso’.

    La macrotoponomastica del Tirreno Cosentino e della Valle del Savuto è a maggioranza di

    origine greco-latina. Paola (STC 302, DTOC 226) è ovvio riferimento ai ‘pascoli’ della costa, ad

    Pbla, Fiumefreddo prende il suo nome dal fiume che separa tre comuni, fiume che in loco

    banalmente si chiama U Hjume (< flmen), come si è detto, Campora S. Giovanni da un campus

    che ha subito metaplasma passando dal maschile della seconda declinazione al neutro della terza,

    campus, *campris, nuovo plurale *campra che sostituisce camp in molti nomi di luogo d’Italia,

    in altre parole si tratta dei ‘campi’ di Amantea. Lago, dial. U Lacu, U Vacu (trattato in Alessio, STC

    208, Rohlfs DTOC 152), è certamente un derivato diretto del latino lcus, lcs, non un ‘lago’, ma

    qualsiasi cavità sotterranea, abisso, fossa profonda o latomia, persino silos sotterraneo per il grano

    (Columella10

    ), solo in un secondo momento applicato a cavità riempite di acqua. S. Lucido è

    considerato in loco un agionimo latino, paese dedicato a S. Lucido di Aquara (m. 1038), che si

    vorrebbe associato all’antico complesso religioso di S. Maria di Persano, anche se il patrono del

    paese è S. Giovanni. Ciò presuppone che il paese sia fondato addirittura dopo il 1060 dai Normanni,

    ergo non un esito latino diretto ma mediato dagli stessi Normanni. Il problema è che la Platea

    dell’Arcivescovo Luca Campano agli inizi del Duecento usa già S. Lucido come toponimo (ed.

    Cuozzo, 13v riga 30: Rogerius d Scto lucido p casalino tr vnu), mentre un documento vaticano del 1321 nomina il paese Lìceto (Russo vol. 1 a. 1321 ut prouideant de statu S. Liceti), Barrio (Libro 2

    cap. 5: A Paula m.p. quatuor Nicetum oppidum est, edito loco incumbens, …) lo chiama Niceto nel

    ’500, Aceto nelle sue Annotazioni a Barrio nel ’700 dichiara (p. 73) Nicetum … Nunc aliis S.

    Lucido pen. Br. aliis S. Lucito pen. lng. In base alle variazioni Níceto-Líceto-Lúcito-Lúcido Alessio

    STC 22, 223, seguito da Rohlfs DTOC 291, 300-301, seguiti seriormente da CM nel DT senza

    discussione delle fonti, ipotizzano una fondazione bizantina dedicata a S. Aníceto (Ἀνίκητος), dopo

    la cacciata dei Saraceni da Amantea e dalla zona circostante (880-885 d.C.). Il nome viene

    contaminato e reso Lícito (< Lo Nícito con aferesi < L’Aníceto), seriormente incrociato con

    l’agionimo salernitano Lúcido (da S. Lucido di Aquara). Si ha a che fare, dunque, con un

    agiotoponimo bizantino con alterazione seriore latineggiante e riferimento ad un nuovo santo latino

    dell’ XI secolo. Toponimo, invece, di origine latina e non greca, né punica né ebraica, come voleva

    Padula11

    , e certamente non dalla frase leggendaria Pugna male ita!, è Malito < mltum < mlus (f.)

    ‘melo’, cioè il fitotoponimo ‘meleto’ (osservazione già fatta da Alessio, STC 233 e da Rohlfs

    DTOC 172)12

    . All’interno, lungo la valle del Savuto e tra i paesi circostanti, abbiamo anche un certo

    numero di prediali latini13

    quali Martirano (< prædium *Marturianum < Martŭrĭus. STC 246, DTOC

    182-183 ecc.), Scigliano (

  • Rullius / *Rullianum di Rohlfs DTOC 27714

    ), Dipignano (< prædium *Depinianum < Depĭnĭus,

    DTOC 97), Carpanzano (< prædium *Carpentianum < Carpĕntĭus, STC 73, ma prædium

    *Carpantianum < Carpantius in Rohlfs DTOC 5215

    ). Amantea è un toponimo che ci riporta lontano

    e che è spesso citato nei lavori classici di toponomastica. Di chiara origine greca16

    , ma il significato

    remoto ci sfugge ancora. In conclusione, tra il greco e il latino troviamo almeno dieci

    macrotoponimi in questa subarea.

    I casi meno evidenti sono Cleto e Ajello, che certamente non sono i nomi originali di questi

    paesi. Già da quanto riferito in Rohlfs (DTOC 73) ed in Alessio (STC 189), nell’Ottocento il paese

    storico di Petramala cambia nome in Cleto, “un nome (anticheggiante) più nobile”, come dicono

    Alessio e Rohlfs, forse perché l’elemento -mala sembrava rispecchiare un latino petra mala ‘pietra /

    rupe di cattivo augurio’. Già presente nei documenti latini del 1300 (Collect. Vaticano 161 f. 133,

    Vendola 4327, Russo 1. 230 [n. 2078]), Petra Mala faceva parte della diocesi di Tropea come

    Fiumefreddo, Amantea ecc., il cui vescovo disponeva le nomine ecclesiastiche. Non riteniamo che

    Petramala sia, come volevano alcuni, il nome di una famiglia normanna di feudatari, bensì un

    composto italico di Petra, di evidente origine, e di Mala, antico nome indoeuropeo per ‘sporgenza di

    montagna’, ‘rupe ripida’ (IEW 721-722 *MELH-) con riflessi ed esiti baltici (lettone mala), celtici

    (medio-irl. mul, mala ecc., cfr. il nome dell’isola rocciosa Muile17

    , anglice Mull), albanesi (mal

    ‘montagna’) e greci (προμολήecc., nonché il nome dell’isola Μαλέα), in pratica testimonianza evidente di un elemento periferico dell’IE. Nonostante l’assenza di documentazione prima del 1300,

    ipotizziamo che Petramala sia un antico toponimo italico, correlato con quelli menzionati19

    , il cui

    significato è ‘rupe’ + ‘rupe’, cioè una rupe chiamata ‘rupe’. Ajello, come Serra d’Ajello, non ha

    nulla a che vedere con agellus ‘campetto’ (< ager) come vogliono certuni, nonostante le apparenze,

    come si evidenzia nelle Gesta scritte nella sua Historia Sicula da Goffredo di Malaterra, monaco

    scrivano del Gran Conte Ruggero, il quale prima nomina il paese e il castello, che fecero intensa e

    lunga resistenza all’avanzamento normanno, Rajel, nome da lui non inteso, per poi suggerire,

    cercando un nome motivato, il nuovo nome Ajel, che diventerà poi il nostro Ajello20

    . È evidente a

    14

    La presenza di forme storiche quali Rubblanum, Rublanum (Ughelli IX) ecc. tenderebbe ad escludere una possibile

    origine dal nome Rullius.

    15 Anche se l’origine remota del nome Carpentius è gallica (cfr. per la forma e per il significato irlandese antico e medio

    carpat, cimrico medio e moderno cerbyd, 1. carro grosso, 2. mascella) che garantisce il significato come (uomo) ‘dalle

    mascelle grosse’. Si è già commentato questo nome di legionario o centurione in Trumper, Di Vasto 2007: 449,

    Trumper 2010: 472.

    16 Non può essere di origine araba, come ipotizzano alcuni, perché troviamo già il nome Amanteia / Amantia nella

    Cosmografia dell’Anonimo Ravennate (Schnetz, Ravenn. IV. 32, 15. Amantia, 16. Lacenio, datazione originale 600-

    700 d.C.: nelle edizioni seriori del dodicesimo secolo troviamo per errore 15. Amantia, 16. Agello!). Si trova pure il

    vescovado di Amantea (ὁἈμανθείας) nella Notitia Episcopatuum di Costantinopoli III (787-800 d. C.). Ambedue le fonti si presentano come sicura documentazione prima dell’arrivo e della presa di Amantea dopo il 840 da parte dei

    Saraceni. Altre osservazioni si trovano in Krahe 1938: 75. Amantea / Amantia è sicuramente da collegare con il

    toponimo greco Ἀμαντία, città antica del Basso Epiro verso Corfù menzionato da Stefano Bizantino prima del 600 d.C.

    (82, 23- 83, 2: Ἀμαντία,Ἰλλυρῶνμοῖρα,πλησίον ὨρικοῦκαὶΚερκύρας, …), prima ancora in Tolomeo (Macedonia) si ha la Ἀμαντία greca (Geographia 3. 13. 5, 3. 13. 22). Il significato base del toponimo non è affatto

    chiaro. Non è, comunque, esclusa una qualche connessione con il greco μαντεία‘divinazione; profezia’, cioè si sottintenderebbe un ‘luogo cultuale della divinazione’.

    17 Muile < Malea (Vita S. Columbæ di Adamnano, VI-VII sec. d.C. cap. xxii, p. 35, 6-7 “ut miserum quem secum in

    naui habet in Maleam propellat insulam” ecc.) .

    18 L’isola è riportata in Tolomeo, Geographia 3. 16. 9 (Μαλέαἄκρα).

    19 Vi sono ulteriori rapporti italici nella toponomastica antica, come ad es. la città di Maleventum (> Beneventum), in

    cui l’elemento Mal- è di nuovo ‘montagna’, ‘rupe’, ‘sporgenza rocciosa’ ma interpretato erratamente come riferimento

    al Maligno, ergo da attenuare e cambiare.

    20 Per l’anno 1065 Malaterra scrive (Libro II cap. XXXVII, Muratori p. 571B) “Eodem anno castrum quoddam, quod

    Agel [var. lect. Ragel] dicitur in provincia Cusentii Dux oppugnare vadens, per quatuor menses obsedit”; in questo

    capitolo e nei successivi gli abitanti vengono chiamati Agellenses. Durante il lungo assedio vennero uccisi in battaglia

  • questo punto che ci troviamo davanti ad un arabismo proto-medievale Rajl-al-Manta, i ‘Casali di

    Amantea’, che, con la pronuncia usuale araba della ‘a’ lunga come ‘e’, è la base della forma

    testimoniata nelle variæ lectiones di Malaterra: Rajl.

    Per quanto riguarda la presenza di toponomastica longobarda in Calabria, dobbiamo trattare

    come eccezioni i due comuni di Laino Borgo e Fuscaldo, dove la presenza storica di questo popolo

    sembra appurata e la cui toponomastica abbiamo già trattato in breve in Trumper 2006. A parte

    questa casistica e togliendo gli esiti di sculca, burgus (già integrati nella bassa latinità) e casi di

    Guardia, Uardia, Guardiola ecc. introdotti nel periodo normanno-angioino (ergo voci del francone

    mediato dall’antico francese e normanno-piccardo), sono d’accordo con Bulotta 1999 sulla presenza

    nel nord della Calabria di 7 casi di Finita / Finaita (< *snaiðō X fīnis), di tre casi sicuri di Gualdo,

    Galdo e Foragaldo (Castrovillari, Verbicaro, Tarsia, < *wald-) e di altri tre casi di Ministalla con

    varianti (< *marha-stalla). Altri ricorrenze di Gaudo -i (3) e Gaudolino potrebbero ben essere

    collegate con l’ornitonimo calabro-romanzo gávulu, gávudu / gáudiu (var. con ‘r’ impropria

    grávulu, -du) ‘rigogolo’ (< lat. galbulus influenzato da altri termini). Gli otto casi di Sala e Monsala

    (storicamente anche Sallole e Salina) invece che con il longobardo *sala (cfr. Sala Consilina, di

    chiara origine longobarda) potrebbero rappresentare esiti di *sala ‘canale di acqua’, che Alessio

    STC 3522 definisce ‘prelatino’, la base di idronimi meridionali quali Sala, Salandra, Salandrella

    ecc. nel senso di ‘distesa di acqua’ potrebbe invece avere a che fare con il latino salus / salum,

    donde Salacia l’equivalente femminile di Nettuno, connesso anche con il greco σάλοςζάλη e congeneri celtici (irlandese antico e medio sáile ‘acqua marina’, cimrico medio hail, heiliaf

    ‘liquido’, ‘bevanda’, ‘versare liquidi’). Altri casi trattati in Bulotta 1999 quali Arnone, Asmari,

    Asmondo, Grimaldi, Lip[p]ranno/ Librandi dipendono dalle denominazioni delle famiglie dei

    feudatari che imposero il loro nome a frazioni e comuni della Calabria, alla stregua di

    Mandatoriccio, derivato non direttamente dal bizantino μανδάτορας ‘fornitore ufficiale dell’esercito

    imperiale’ (< lat. mandtor, -rem), come voleva Rohlfs, ma dalla famiglia dei baroni

    Mandatoriccio che, comprando il feudo di Casale Nuovo di Crosia, diedero al feudo il loro nome di

    famiglia che certamente derivava dal bizantino μανδάτορας. Le famiglie Arnone, Grimaldi e

    Lib(b)randi esistono tuttora in Calabria e i loro cognomi sono decisamente di origine longobarda,

    ma chissà se calabrese o piuttosto campana. Un caso a parte resta Braia di Scala Coeli che non

    poteva derivare tout court da *braida, perché la -d- latina è in genere ben salda in calabrese,

    eccettuati i dialetti con rotacismo di ‘r’ e la preposizione di > ’i, ma dal bizantinoΤὰ Πλάγια ‘i pianori’. Mormanno, prelatino e non germanico, è già stato trattato in Trumper-Di Vasto 1999. Vari

    esempi di Vulgaro -i, come quello di Lungro o Schiavonea, derivano da etnici bizantini, probabili

    riferimenti alla fondazione di caserme di truppe imperiali mercenarie (Ungari, Peceneghi e Slavi). A

    parte i 13 casi di cui sopra rimangono ancora problematici i toponimi Armania (Capo Trionto) e

    Sassone, Sassonia (Castrovillari). La relativa poca presenza di toponimi longobardi indica anch’essa

    la funzione da limes tra Longobardi e Imperiali Bizantini del Pollino e dell’Alta Valle del Crati (la

    nota ‘Terra di Giordano’21

    ). Di conseguenza, per tornare ai nostri paesi tra il Tirreno e la Valle del

    Savuto, un paese che si chiama Longobardi non è di necessaria fondazione longobarda, ma può

    essere o il cognome di antichi feudatari o il feudo di qualche nobile sceso dal principato di Salerno

    per fare carriera o come fattore della nobiltà indigena o come proprietario che accumulava terreni

    ed altre proprietà nelle terre calabresi dei Bizantini, come facevano ecclesiasticamente a volte i

    un figlio ed un nipote del Gran Conte. Abbiamo, dunque, una successione Ragel [Raiel] > Agel [Aiel] > Agellum, con

    una riscrittura ri-etimologizzante del toponimo (ma paretimologica).

    21 È molto indicativo che, al nord, dalla parte del Tirreno il fiumicello di Grisolia è denominato Giordano, mentre sullo

    Ionio il fiume di Montegiordano si chiama ugualmente il Giordano. Il nome in sé è significativo perché indica,

    all’interno di un mondo concettuale bizantino ed ortodosso la festa dell’Epifania, il fatto del battesimo come rito

    iniziatico, ed è prodromo della missione di Cristo; esso indica, in altre parole, l’espressione esteriore dell’essere

    cristiani, per cui chi è al di fuori o al nord di questo segno di appartenenza è fuori dell’ortodossia e della cristianità (i

    Longobardi secondo i Bizantini non erano ‘cristiani’ in senso ortodosso).

  • clerici salernitani e beneventani frustrati22

    . In questo caso, soltanto gli storici possono chiarire la

    questione, documenti alla mano.

    È evidente a tutti l’origine normanno-angioina di un toponimo quale Belmonte, toponimo che

    è presente nella Tassazione Angioina del 1272 (Turchi 20-21), anche se Atti Vaticani documentano

    il nome soltanto dal 1391 (Russo 2. 131 [n. 9111]). Turchi 20 dà questo nuovo paese infeudato al

    normanno Drogon de Beaumont nel 1270-1272, per cui sembrerebbe evidente che l’agglomerato di

    nome Belmonte prendesse questo nome dal cognome della famiglia feudataria dei De Beaumont.

    Per scoprire le sue origini più remote bisogna far ricorso alle frazioni o casali che sono stati uniti

    per formare il nuovo feudo normanno-angioino di Belmonte Calabro. I primi tre sembrano essere

    stati Gastili, S.ta Barbara e Ting[i]a. Gastili, con varianti Grastili e Regastili (da *Ergastili con

    metatesi), che può ben derivare, come volevano Alessio (STC 121) e Rohlfs (DTOC 270), da una

    forma bizantina con dissimilazione *ἐργαστήλι[ον] per l’usuale ἐργαστήρι[ον], variante

    ἀργαστήρι[ον], per ‘gruppo di botteghe; complesso di officine’, oppure ‘di fucine’; più difficilmente

    potrebbe essere ‘officine dei lavori forzati degli schiavi o prigionieri di guerra’23

    , per cui l’area

    sarebbe stata ricostruita dai Bizantini con questo nome nel 884 ca., quando il generale bizantino

    Niceforo Foca liberò il comprensorio dall’occupazione araba. S. Barbara, che pure ha una storia

    normanno-angioina dal 1097 (si veda Turchi 19-20), è ben documentata negli Archivi Vaticani del

    1151 (Russo 1. 75 n. 326: si confermava l’assegnazione all’abbazia della S.tissima Trinità di Mileto

    fatta nel 1097) ed in anni successivi per tutto il Due- e Trecento. È comunque difficile decidere se

    dei tre-quattro luoghi denominati Ἁγία Βαρβάραnell’Inventario Metropolitano del 1000 (Brebion, righe 89, 97, 389, 503)

    24 uno almeno sia la S.ta Barbara di Belmonte e non quella di Reggio. In ogni

    modo, S.ta Barbara, megalomartire25

    , è dedica e devozione tra le più frequenti nell’Oriente

    Cristiano più che altrove, spesse volte dedica che si ritrova tra le fondazioni ecclesiastiche date in

    dotazione ai seguaci di S. Nilo e di S. Bartolomeo alla Badia di Grottaferrata. Per quanto riguarda

    Tinga, a parte una possibile connessione con Tinghi, contrada di Serrastretta (DTOC 344), non vi è

    nessuna notizia sicura a cui attingere, per cui la remota origine di un simile toponimo resterà ancora

    sub iudice. Invece, Belsito, che potrebbe sembrare toponimo di origine normanno-angioina, è una

    banale sostituzione tardiva del nome originario Crapassito, cambiato nel Seicento perché

    considerato derivato da crapa < capra, mentre è in origine un elegante e bel fitotoponimo antico

    cuparsstum ‘bosco di cipressi’, come si sa.

    22

    Il problema di vescovi ‘bizantini’ con nomi prettamente ‘longobardi’ è trattato in Trumper 2000: 126-127: le

    osservazioni seguono l’ipotesi della ‘civilisation mixte’ veterocalabrese proposta in Guillou 1989: 636 segg., ripresa

    anche in Burgarella 1989: 444-445.

    23 In questo senso ἐργαστήριονha dato il tardo latino ergastlum ‘luogo o prigione o officina per i lavori forzati’ (un

    falso diminutivo). Il tardo latino ergastlum avrebbe potuto influenzare, a sua volta, il mediogreco ἐργαστήριον, dal

    quale, in ultima analisi, derivava, per produrre una nuova forma mediogreca *ἐργαστήλι[ον]. Non vi è modo

    scientificamente determinabile per decidere tra le due ipotesi. Ricordiamo che la voce ε[ ρ]γαστήριονè già presente nei testi italo-greci medioevali (vd. Spata 1846: 445, Seconda Serie di Cefalù 9. 3 […

    τὸνἐμὸνἐργαστήριοντοῦσημάτουτὸεἰςτὸἄκροντῆςῥίμνηςχαλφοῦν], e 9. 5 [δέδοκάσοι τὸῥηθὲν ἐργαστήριονκαθῶςπεριέχειτὸἔγγραφοντοῦσεκρέτου...] ecc.), in data 1186. La voce relata ἐργασία‘lavoro; opera; azione’ è ben nota nei testi calabro-greci, cfr. L’Esortazione Quaresimale di S. Luca di Bova (1080-1090),

    Joannou-Isnardi 186, 20-21 (Κηρύξατεἱερεῖςτὴννεότηταεἰςπονηρὰς ἐργασίας δαπανηκότας) [Annunciate, O sacerdoti, … a quelli che sprecano la gioventù in opere di malignità …] ecc.

    24 Vide anche Trinchera 120 del 1122, 308 del 1192, per l’agiotoponimo χωράφιον τῆς Βαρβάρας.

    25 È talmente popolare la Megalomartire nella tradizione bizantina della Calabria medioevale che S. Bartolomeo le

    dedica nelle sue composizioni liturgiche un’intera officiatura completa di Inni, Odi, Canone, Apolytikion e Theotokion:

    vide Giovanelli 1955: 321-324 per la grande festa del IV Dicembre. Molti beni abbaziali di Grottaferrata erano infatti

    dedicati a questa Megalomartire.

  • Vediamo più da vicino il caso del toponimo Grimaldi e del vicino microtoponimo Locherito,

    suggeritomi dall’amico architetto Venanzio Spada. Grimaldi è già cognome longobardo nel 1032 di

    un ecclesiastico di Bari (Thema Longobardorum dei Bizantini), per cui si veda la sottoscrizione

    come testimone di un atto in Trinchera 29. 25 (Πετροςυιοςγροιμαλδουπρωτοπαπας·υπεγραψαν) [sic!]. Un secolo dopo si documenta lo stesso cognome a S. Nicola di Camato (1145), cioè di un

    Guglielmo, figlio di Grimaldo testimone di un atto in Trinchera 181. 14-17 sgg.

    (γουλυέλμοςυἱόςγρϊμοάλδου παρευρεθειςεπίτη τιαὔτη στέρξη μαρτυρυπέγραψατωντήμιον σταυρονοἱκείαχηρῒ) [sic!]. Nel Duecento ci sono altri casi ancora (Mastro Grimaldo di Taranto in Trinchera 371. 12-14 ecc.). Il cognome non è dunque inusuale in documenti meridionali. Negli Atti

    Vaticani e nelle Rationes Decimarum di Vendola non vi è menzione di un luogo chiamato Grimaldi

    prima del 1326, quando risulta essere un arcipresbiterato (Russo 1. 357 n° 5566; Vendola 5010-

    5014), poi nel 1360 troviamo una chiesa a Grimaldi dedicata a S. Pietro (Russo 1. 488, n° 7547). In

    ogni modo, il cognome Di Grimaldi / Grimaldo esisteva in Calabria già dal 1100, visto che in

    Pratesi 27-28 i Di Grimaldi sono documentati come i nuovi feudatari di S.ta Severina (1118).

    Aggiungendo a questo fatto la presenza di un arciprete Pietro di Grimaldi presente a Bari nel 1032,

    possiamo ipotizzare la discesa in territorio bizantino, poi normanno (Puglia, Salento, Calabria), di

    una famiglia della piccola nobiltà longobarda del Principato di Salerno, cui s’infeudano dei territori

    già in epoca pre-normanna. Vi è, dunque, la probabilità di una serie di feudatari pre-normanni

    (Grimald) e normanni (Grimaud) che danno i loro cognomi ai feudi di cui s’impossessano

    (Grimaldi, Longobardi, Belmonte). Per quanto riguarda il toponimo Locherito dell’amico Spada

    possiamo azzardare l’ipotesi di un’altra famiglia di piccoli feudatari: vi è a Palermo nel 1099 un

    nobile Robert Louhier (= Loyer), menzionato in Cusa (vol. 1. 358, 20-22):

    γουλιάλμοςσαρακινόςρουμβέρτοςλουχέριςκαὶκωνσταντῖνος στρατηγόςκαὶ νικολάοςλυκοδόντηςκαὶοἱλοιποί οἵτινες ιδροχειρῶς υπέγραψαν

    Potrebbe essere anche questo un caso come il precedente: il nome di feudatari normanni

    durante l’occupazione. Una seconda ipotesi potrebbe far derivare il toponimo da un *λογαρίτηςper λογαριστής‘ragioniere, chi tiene i conti’ (< τὰλογάρια), cioè si tratterebbe del ‘terreno di una famiglia di economi’. In ogni caso, in assenza di precisa documentazione non vi è modo per

    decidere tra le due ipotesi.

    Il toponimo forse più difficile da determinare è probabilmente quello della vicina Altilia,

    dialetto Atiglia. È a tutti evidente che non può derivare formalmente da Attila (> antico alto tedesco

    Ezzil > ital. Ezzelino) perché una consonante geminata -tt- non può, in calabrese, dare un esito

    scempiato in -t-, se non mediato da qualche forma settentrionale! Vi sono due casi in Calabria, e di

    questi Altilia frazione di S.ta Severina, la cui storia ci è nota, è un caso istruttivo, perché il suo

    nome fino al 1060 era con ogni probabilità ΧωρίοντῶνΚαλαβρῶν= Χωρίοντῶν Χαλαβρῶν, come attesta l’Inventario Metropolitano bizantino (Brebion) di Reggio Calabria dell’anno 1000

    26.

    Se non è questo il luogo preciso, le indicazioni del 1228 in Trinchera 385, 5-10 sul sito del

    monastero di Calabromaria (Καλαυρομαρία = Χαλαυρομαρία) additano proprio questa frazione di

    S.ta Severina27

    . Sono stati i conquistatori normanni a cambiare il nome della frazione in Altilia

    26

    Brebion, righe 174-175 (ἀ[πὸτὸν]ποταμὸντὸνἌλαρονμέχρ[ι]τ[οῦ]ἀκροτ[ηρίου] τ[οῦ]χωρί[ου]τῶνΚαλαβρ[ῶν]), possibili dipendenze nella Calabria centro-settentrionale dell’Abbazia dell’Arsafia di Stilo-Monasterace. Guillou non identifica il luogo ma potrebbe essere questo. Sarà, in ogni modo, testimonianza

    calabrogreca del sostantivo χαλάβρα‘frana’ (< χαλάω, cfr. anche cipriota χαλάβρα χαλαῦραρα ‘frana’: vd. Yangoullis ad vocem), tipico vocabolo della periferia del mondo grecofono. Il significato sarebbe ‘Paese Franoso’, ‘Paese delle

    Frane’.

    27 La citazione precisa è “ἐπηδεῖχωράφιονκληρονομῶἐκγυνακείας μουκληρονομίας

    ἐντῆςδιἀκρατήμασιντῆςθεωφρουρήτουπόλεωςἁγίαςσευειρίναςἐντῆτοποθεσιαβυταύρου·περηορήζεταιδὲκαὶἐκφαίνηοὕτοςἐξἀνατολήςταχῶράφιατῆςμονῆςκαλαυρομαρίας” (perché eredito dall’eredità di mia moglie nelle dipendenze di Santa Severina, città custodita da Dio, nella proprietà di Vitauro. La stessa [proprietà] confina e si

    definisce ad oriente con le proprietà del monastero di Calavromaria). In questo caso tutti gli studiosi concordano che si

  • (dialetto Atiglia anche a S.ta Severina), e la chiesa in origine monastica di Calavromaria diventa S.

    Maria di Altilia (nel 1211, un atto indirizzato a Luca Campano, arcivescovo di Cosenza, la nomina

    monasterium S. Mariæ de Altilia seu de Calabro-Maria28

    ). Nel caso di Altilia in oggetto lo

    troviamo già con questo nome in un atto indirizzato al nobile Oddone di Padova che governava da

    Cosenza questi territori nel 107729

    . Il toponimo attuale è, dunque, una creazione normanna, anche se

    l’abitato ha origini più antiche. Ferrari 20002: 9-11 discute l’ipotesi cinquecentesca di Barrio che il

    primo abitato fosse Astalonga, non suffragata, purtroppo, da alcun elemento di rilievo. L’altra

    ipotesi30

    cui accenna Ferrari, op. cit. ibid., è la possibile derivazione da un feudatario del 1166-1189

    di nome Atilio Alimena, che sembra più attinente. Il cognome Alimena già richiama un’origine

    sicula, è comune in Sicilia ed è un chiaro arabismo (< al-‘imn con effettiva pronuncia al-‘imn, vd.

    anche DTOC 8), molto più usuale in Sicilia che in Calabria, dove simili cognomi di origine araba

    non abbondano. La famiglia lascia il suo cognome nell’onomastica e nella toponomastica storica

    calabrese, perché non un nome da battesimo? Anche se manca una chiara documentazione31

    ,

    sembra plausibile l’origine in un nome di feudatario medioevale. Su diciotto macrotoponimi,

    dunque, 11 sono di origine latina o italica, di cui 5 prediali, la stragrande maggioranza (61-62%),

    due di origine greca, uno solo di origine araba, quattro almeno presi da nomi o cognomi di feudatari

    normanno-angioini o longobardi. La nostra analisi, purtroppo, andrebbe maggiormente

    approfondita, tenendo conto della microtoponomastica, anche se rimane immutato il principio della

    relativa assenza di longobardismi diretti.

    In tutti i fenomeni approfonditi finora, questa fascia dialettale della catena paolana costiera e

    le Valli del Torbido e del Savuto non si distinguono strutturalmente in modo significativo dai

    dialetti circostanti. Tuttavia, sono sempre presenti dei microfenomeni non solo nella fonologia (la

    metafonia per innalzamento in alcuni dialetti rispetto a quello per dittongamento), o nella

    morfologia (forme contrastanti del condizionale del verbo ecc.), ma anche nel lessico di tutti i

    giorni, cose che potrebbero servire a creare l’impressione di una grande differenza. Un esempio

    fitonimico può essere il nome dialettale della Beta cycla L. (rubra ed altre varietà): intorno a

    Cosenza e nella direzione della costa reperiamo jìevuza, jìuza, jéuza / jéusa ecc. < osco *hels,

    hels = latino holra, mentre dalla costa (S. Lucido, Fiumefreddo ecc.) verso l’interno si ha sìecula,

    equivalente della secra dei dialetti calabresi mediani e meridionali, < greco σεῦτλον α (= τεῦτλον) per la stessa pianta. Altri casi sono reperibili, specialmente nel lessico settoriale, ma non sono

    sufficienti da creare né ‘sistema’ né incomprensione tra parlanti, solo un po’ di stupore locale

    intorno a qualche vocabolo ritenuto ‘strano’ o ‘eccezionale’.

    tratta di un monastero Chalavromaria (Χαλαυρομαρία) che deriva dallo stesso ‘frana’ (vide nota precedente), cioè con dedica alla Madonna ‘delle Frane’.28

    Cfr. Russo 1. 104 n° 544.

    29 Russo 1. 55 n° 162, in data 1077, “Othono Padavino … feudatario et gubernatori in ciuitate Cusentiæ terrarum

    Altiliæ…”.

    30 Non sembra molto pertinente l’ipotesi di un possibile esito del latino altla ‘allevamento di uccelli’ (STC 17 voce

    177), né quelle di studiosi locali di esiti o di πτελέα‘olmo’ o di ἀτέλεια‘immune / esente di imposte / tasse’ (non è possibile una derivazione -- > -i-). Sarebbe fonologicamente più coerente pensare ad un diminutivo πτίλιονpl.

    πτίλια< πτίλος‘penna; piuma’, ma si dovrebbe spiegare come un nesso antico -pt- possa dare come esito dialettale una -t- scempia! (Atiglia). La deriva fonologica non è arbitraria! E la semantica andrebbe spiegata.

    31 Il fatto che il paese e le sue chiese fossero incluse nel feudo e vescovado di Martirano, come scrive Ferrari p. 15 (“Nel

    1496 e fino al 1579 Altilia fu compresa nella Contea di Martirano e prese molto da questo paese, con il quale ebbe

    identità di dialetto, di abbigliamento, di tradizioni, usi, costumi e culto”), rende difficile individuare i momenti e i nomi

    storici del paese di Altilia.

  • 2. Discussione sulla presenza di un elemento longobardo nella toponomastica e nel

    lessico dialettale comune della Calabria

    Un caso discutibile di superstrato coinvolge un numero non esiguo di longobardismi nella

    toponomastica sia di Laino Borgo sia di Fuscaldo (Trumper 2006: 45-51), ma in genere di

    nessun’altra parte della Calabria se non in numero esiguo, statisticamente poco interessante. Il

    primo esempio è comprensibile, se pensiamo che Laino era, nel Medio Evo, l’ultimo castaldato a

    meridione del principato longobardo di Salerno. La questione è più oscura e andrebbe indagata nel

    caso di Fuscaldo. Basti costatare che per il resto della Calabria, sia nella toponomastica sia nel

    lessico quotidiano, il numero di longobardismi arriva appena a quello dei venezianismi dei pescatori

    di Borgo San Marco di Cetraro!

    Nel lessico usuale troviamo casi quali gàfiu (= vignanu < mænianum in altri dialetti), < waif,

    scirpa ‘dote’ < skërpa, bbannera, bbanna, faida, ma sono pochi. Pure nella toponomastica, a parte i

    due comuni citati, i longobardismi non sono tutti di diretta origine longobarda. Un caso particolare è

    quello di Sculca, Scurca < skulka: Francovich Onesti (Vestigia, 19992: 118) è dell’opinione che la

    forma sculca, sculcula ‘guardia; vedetta’ (Leggi di Rachis 13) è già latino medioevale:

    “non è in realtà parola longobarda, essendo già entrata nel latino di V-VI sec. come prestito

    dal gotico”.

    Lo stesso discorso vale per burgus > bburgu ‘borgo’, per ‘franco’ e ‘compagno’ (il latino

    medioevale companio è più realisticamente un calco dal gotico militare gahlaiba). Persino

    Gamillscheg (1935. 2. IV. 59) concordava che skalja (> scagliola, scagghjola ecc. anche se

    Scardigli 1987: 286 argomenta a favore di un longobardismo) e skerpia (> scirpa) fossero più

    probabilmente gotismi, e andrebbero tolti dal novero dei lessemi. Vi sono poi voci di origine

    francone che passano dal 1060 al 1200 anche nel Sud d’Italia tramite i Normanni o gli Angioini, ad

    es. baussa- > bbussare -i (nonostante l’indecisione di Gamillscheg 1935. 2. IV. 50), fëhu > fìegu /

    fégu / fèu, hanka > anca, con verbo denominale ex-hancare > sciancare (v. commenti in

    Gamillscheg 1935. 2. II. 120, 2. IV. 52-53), hrausta- > arrùstere -iri (Gamillscheg 1935. 2. II. 100

    e meglio ancora 2. IV. 53 dove asserisce “kommt aber aus dem Fränkischen”), warda- > uardare -i,

    insieme a Uardia, Guardia, Guardiola nella toponomastica, wiht- > guittu / uittu. Tutto considerato,

    non ci restano che venticinque voci che possiamo attribuire con certezza ad un elemento longobardo

    da considerare superstrato germanico, voci che si possono dividere nelle seguenti cinque categorie:

    A. Voci attinenti all’amministrazione, alla sfera dell’autorità

    1. Longobardo *FAHIDA > FÀÏDA (cfr. Gamillscheg 1935. 2. IV. 51 e Scardigli 1987: 281 che

    confermano l’ipotesi longobarda);

    2. Longobardo *WAIF > GÀFIU ‘ballatoio di casa’, cfr. Gamillscheg 1935. 2. IV. 64, nonché Rohlfs

    NDDC6 290B “Lgb. waif ‘terra di nessuno’…”;

    3. Longobardo *BALK > BBARCUNE -I, per i commenti vd. Gamillscheg 1935. 2. IV. 50, mentre

    Mastrelli 1974: 261 è indeciso rispetto alla determinazione di un’origine longobarda (*palk-) e non

    di un’origine francone (*balk-). Nonostante i dubbi Scardigli 1987: 283 torna all’ipotesi di un

    longobardismo.

    Alcuni casi sono problematici e non possono essere elencati come longobardismi senza

    forzare una simile categoria. Ad esempio, vi è un elemento germanico rik(k)- ‘potente; ricco’ che

    Gamillscheg 1935. 1. III. 36, 2. IV. 58 voleva considerare longobardismo, mentre Scardigli 1987:

    282 era indeciso se elencarlo tra i gotismi o longobardismi, mentre Frankovich-Onesti 20002: 173,

    211 non risolveva il dilemma. Si tratta, infatti, di un antico celtismo del germanico, < *rīg- < *rēg-

    (cfr. antico e medio irlandese rí, antico cimrico rhi ‘re’), ipotesi corroborata dallo sviluppo di una

    vocale ē originale come ī. L’antichità del prestito celtico nel germanico è sottolineata dal fatto che

  • la consonante post-vocalica subisce la Prima Rotazione Consonantica del germanico; è forse meglio

    supporre che si tratti di un elemento così antico da essere stato diffuso dai Goti tra i Romani. Un

    altro caso è il supposto gotico *nastila: Gamillscheg 1935. 1. III. 53, 2. IV. 57 voleva che questa

    voce fosse ‘longobarda’, così come Mastrelli 1974: 267, voce che Meyer-Lübke ed altri volevano

    alla base dell’italiano ‘nastro’. All’origine di tutto riteniamo ci sia stato il greco (> diminutivo ), deverbale da ἀναστέλλειν, che è alla base del romeno nàsture e dell’apulo-greco ναστούλι(dal diminutivo, ἀναστόλιον > ἀναστούλι). Il grecismo sarà stato diffuso in occidente da mercenari bizantini (di lontana origine gotica?). Tali casi presentano troppi problemi

    per essere annoverati tra i longobardismi del Sud. Si dovrebbe aggiungere il calabrese gualanu et

    sim. ‘bovaro’, ‘mandriano’ come quarto caso, per i motivi indicati nella discussione di cui sotto.

    B. Stile di vita e alimentazione, voci tecniche, sostituzione di lessemi per le parti del corpo:

    1. Longobardo *BROD- > VRÙODU, BBRODU; BBRODARU (VR-); VRUDATA. Gamillscheg 1935. 2. IV.

    50 lo voleva dal francone (“aus dem Fränkischen ins Galloromanische gedrungen”), mentre

    Scardigli 1987: 284 tratta il prestito come longobardismo che sostituisce il latino iūs, iūscĕllum e il

    gallo-latino iŭttā (X cŏcta > *iŏtta > nordcalabrese jotta). Cfr. anche Trumper 2001. 1. 254 bbrodu,

    bbrodaru ecc.

    2. Longobardo *HANKA > ANCA, con verbo denominale *EX-ANCARE > SCIANCARE –I (> scianca),

    SCIANCATU ecc. Gamillscheg 1935. 1. II. 120, 2. IV. 52-53, mentre ipotizza la sua origine

    longobarda, ne limita la diffusione al Centro-Nord dell’Italia. Scardigli 1987: 286 conferma che si

    tratta di prestito longobardo.

    3. Longobardo *HUF > NÙOFFU, voce limitata all’estremo nord della Calabria: vd. osservazioni in

    Gamillscheg 1935. 2. IV. 53.

    4. Longobardo *MILZI (< germanico *miltja, f.) > MÌUZA, MÈUZA, voci della Calabria centro-

    meridionale, cal. settentrionale NÌEVUZA (assimilazione alla ‘coronalità’ della ‘z’?). Gamillscheg

    1935. 1. III. 37, 2. IV. 56 è insicuro se di origine gotica o longobarda, mentre Scardigli 1987: 286

    conferma che la voce è longobarda.

    5. Longobardo *KNOHHA > NNOCCA, v. Rohlfs, NDDC6 474A, Gamillscheg 1935. 2. IV. 54

    confronta *knohha con il norvegese knoke (v. anche l’ing. knuckle): non può essere un ‘gotismo’ a

    causa della vocale ŏ tonica (la forma gotica sarebbe stata *knuka-). Scardigli 1987: 286 conferma.

    6. Longobardo *SKĒNA (cfr. tedesco Schiene rispetto all’inglese shin) > SCHINA. Gamillscheg 1935.

    1. II. 120 proponeva prima una forma francone *skīna, per poi optare (2. IV. 59) per il longobardo

    *skēna. Scardigli 1987: 286 confermava l’ipotesi longobarda. È da notare che alcune zone della

    Calabria settentrionale oppongono schina (degli animali) a catrèja (degli uomini).

    7. Longobardo *SKAUZ- > SCOSSU, voce limitata alla Calabria meridionale. Gamillscheg 1935. 8.

    IV. 59, pur considerando la voce di origine longobarda, riteneva che fosse un “nördliches

    Lehnwort”. Mastrelli 1974: 267 *skauz- dà la voce come sicuro longobardismo.

    8. Longobardo *ZANN (confrontabile con l’antico nordico to nn < tonþ, sembra mostrare uno sviluppo simile a quello dell’antico alto tedesco zand > zann) > ZANNA, AZZANNARE -I. Gamillscheg

    1935. 2. IV. 65 ipotizza che sia un longobardismo “also zann romanisiert”.

    9. Longobardo *ZINNA > ZINNA, ZINNU, come in Gamillscheg 1935. 2. IV. 65.

    Problematico resta il caso del germanico WANGO (cfr. l’antico sassone wanga) > cal. GANGA. Rohlfs

    NDDC6 293B aveva pensato ad un generico ‘germanico’, mentre Gamillscheg 1935. 1. III. 37, 2.

    IV. 64 aveva prima ipotizzato l’origine gotica del termine. Vi sono troppi dubbi per elencare la voce

    tra i longobardismi sicuri. La voce grizzu, aggrizzu ‘brivido’, deverbale da ’ngrizzari, ’ngrizzulari

    ‘rabbrividire’, va considerata un germanismo tardomedioevale (aat gruwisn, REW/ REWS 3898,

  • v. anche ven. sgrìsolo –i, sgrisolar, Pellegrini 1995: 142), mentre ’ngrippari ‘raggrinzare’, per via

    del mantenimento della geminata -pp- (senza affricativazione con successivo passaggio a fricativo,

    cioè > -pf- > -ff-) è da ritenersi di origine francone. (REW 3871 grpan [francone], 2. grfan [antico

    alto-tedesco]).

    C. Fenomeni naturali, animali, verbi associati.

    1. Longobardo *AGAZZA ‘Elster’ > (PICA) GAŹŹA, voce limitata all’Area Lausberg ed alle zone

    limitrofe. Altrove l’uccello si chiama Carcarazza. Gamillscheg 1935. 1. III. 39, 2. IV. 50 lo trattava

    come gotismo, mentre Scardigli 1987: 286 argomentava che la voce dovesse essere di trasmissione

    longobarda (in opposizione con la latina pica; ad onor del vero, i dialetti arcaici dell’Area Lausberg

    lo usano in genere come modificatore di pica, con un’opposizione lessico-semantica degli

    ornitonimi coinvolti in questo microsistema a tre termini pica ~ pica gaźźa ~ pica marina).

    2. Longobardo *HRAFFÔN (cfr. il medio alto tedesco raffen) > ARRAFFARE -I. Longobardismo che

    Gamillscheg 1935. 2. IV. 53 considerava di diffusione limitata al Centro-Nord.

    3. Longobardo *KRAPFO > GRAFFA, AGGRAFFARE -I. Gamillscheg 1935. 2. IV. 54 lo considerava un

    longobardismo limitato al Piemonte, all’Emilia e alla Toscana. Per la sua diffusione calabrese cfr.

    Trumper 2001. 1. 58.

    4. Longobardo *KRAPFO interferito con *KRAMPF- per produrre una nuova forma *KRANF- /

    *GRANF-, base da dove parte il calabrese mediano e meridionale grampa / granfa 1. zampa di gatto,

    2. zampino, 3. mano (cfr. granfa / grampa del NDDC, sub voce, per la diffusione delle forme).

    Gamillscheg 1935. 2. IV, 54 considera granfa un longobardismo, v. anche DEI 3. 1860 che

    conferma la derivazione sia di granfia sia di granfa ‘zampa -ino’ da un possibile longobardismo

    *KRAMPFA.

    5. Longobardo *SKRIKK(J)AN (cfr. antico alto tedesco skrikkên, ingl. shreek) > reggino SCRÈCCIA

    ‘silvide piccolo’ ecc. (v. Trumper 2005: 466-467). Gamillscheg 1935. 2. IV. 60 considera voci

    simili dei prestiti longobardi.

    6. Longobardo *SPAHHAN > SPACCARE -I = HJACCARI, JACCARE -I. L’ipotesi di un longobardismo è

    sostenuta sia in Gamillscheg 1935. 2. IV. 60 sia in Scardigli 1987: 286.

    7. Longobardo *STAHHA (cfr. antico inglese staka > ingl. stake) > STACCA, STACCONA -UNA,

    STACCARÈLLA ecc. Gamillscheg 1935. 1. III. 37 ipotizza un gotismo, ma poi 2. IV. 61 torna

    all’ipotesi di un longobardismo. Si accetta quest’ultimo. Notiamo che i derivati sono ristretti

    all’Area Lausberg ed alle zone limitrofe.

    8. Longobardo *STOZZA > STÙOZZU, STÓZZU, STÒZZA ecc. Gamillscheg 1935. 2. IV. 61 lo elenca tra

    i longobardismi.

    9. Longobardo *ÞAMPF ‘Dampf’ > TAMPA. L’ipotesi del longobardismo si trova in Gamillscheg

    1935. 2. IV. 63 e Scardigli 1987: 287.

    10. Longobardo *ZËKKA (cfr. medio alto tedesco zëcke, medio e inglese moderno tick, noto insetto

    nocivo) > ZICCA. Per l’ipotesi di longobardismo v. Gamillscheg 1935. 2. IV. 65, Scardigli 1987:

    287.

    D. Possibili tecnicismi.

    1. Longobardo *STANGA > STANGA, SDANGA. Longobardismo secondo Gamillscheg 1935. 1. III. 53,

    2. IV. 61.

  • 2. Longobardo *ZIPPIL > ZÌPPULU ecc.: longobardismo secondo Gamillscheg 1935. 2. IV. 65, ipotesi

    rafforzata da Mastrelli 1974: 263. Dalla forma ZIPPU deriva il verbo ’NZIPPARI. Il noto dolce (I

    ZÌPPULI ‘le zeppole’) andrebbe associato a questo esito dal longobardo, perché il dolce è così

    nominato dalla forma ‘a cuneo’ o ‘a zeppa’.

    3. Andrebbe discussa l’origine di SPRIDU ‘calo di volume’, ‘mondiglia o loppa del grano’, con il

    verbo derivato SPRIDARI ‘perdere peso’, ‘perdere’, ‘sprecare’, che Alessio (Lexicon

    Etymologicum 180, tardo latino fridus < antico alto tedesco fridu ‘pace’, ma soluzione già proposta

    in un articolo del 1951) e Rohlfs (NDDC6: 653 sub SFRIDU, < germanico antico fridu ‘pace’)

    ipotizzavano che si trattasse di un germanismo. Gamillscheg 1928: 438 già ipotizzava un’origine

    francone per il francese frais ‘spesa; costo’ (< francone *friðu = antico alto tedesco fridu), per cui

    un’origine longobarda (< *friðu) del meridionale sfridu / spridu (> sfridari / spridari) sembra

    plausibile come ipotesi, una volta ammesso che la voce è di origine germanica.

    4. Per quanto riguarda SPITU ‘spiedo’, REW 8161 (tedesco Spitze, inglese spit) ipotizzava

    un’origine francone. Data la conservazione della -t- originaria, sarà difficile postulare un’origine

    longobarda, piuttosto francone o addirittura gotica.

    E. Rozzezza, epiteti, proprietà negative.

    1. Longobardo *KLUNZ > CHJÙONZU = CHJÙ, ŠCUTU ecc. ‘assiolo’ (persona brutta, cfr. toscano

    chionzo). Gamillscheg 1935. 2. IV. 54 lo registra come longobardismo. Presente nell’Area

    Lausberg ed in zone limitrofe.

    2. Longobardo *STRUNZ > STRUNZU: Gamillscheg 1935. 1. II. 121 l’aveva prima considerato un

    prestito francone, per poi tornare nel 2. IV. 61 all’ipotesi longobarda.

    Si nota soprattutto che, anche se 17 di questi prestiti (N = 29) sono comuni sostanzialmente a

    tutti i dialetti calabresi, ben 8 sono presenti nell’Alta Valle del Crati e nell’Area Lausberg, mentre

    soltanto 4 caratterizzano la Calabria centro-meridionale (B4, B7, C4, C5). Questa situazione

    rafforza l’ipotesi della funzione di limes alto-medioevale dell’Alta Valle del Crati e del Pollino tra

    Longobardi più a nord, Bizantini e l’Impero d’Oriente a sud, visto che l’estremo nord della Calabria

    aveva rapporti di simbiosi con territori amministrativamente longobardi (Principato di Salerno),

    addirittura con la presenza, nel nord del Pollino, di qualche gastaldato longobardo (salernitano)

    quale Laino Borgo.

    Una voce a un primo sguardo isolata, gualanu ‘mandriano’, sembra accennare a questa

    presenza longobarda con gli stessi limiti geografici accennati. Gualanu, con una varietà di allotropi,

    è voce registrata da Padula, Accattatis (con un tentativo di etimologia in termini di ‘guale’ =

    ‘eguale’, ‘uguale’, supponendo, dunque, un latino volgare *æqualnus), e da Rohlfs nel Nuovo

    Dizionario Dialettale Calabrese dove, nella prima edizione, si postulava una derivazione da

    *æqualnus, sulla falsa riga da *bubalanus < bubalus = bubulus. La voce abbraccia tutta la Calabria

    settentrionale fino alla Sila catanzarese, appare anche nell’Area Lausberg come uauanu -ǝ uaRanu -

    ǝ, ualanu -ǝ, galanu. In ogni modo, nei dialetti parlati a sud della Sila il lemma sembra non esser

    conosciuto o perché manca nei lessici o perché la mancanza di pianori montani o di estese strisce

    costiere non permette, a differenza dei pianori grandi della Sila e del Pollino o della Piana di Sibari

    ecc., l’allevamento bovino su larga scala. Al limite, viene impiegata una circonlocuzione quale

    guarda-vacchi, se si deve parlare del ‘bovaro-mandriano’. Se risulta vera la prima ipotesi, allora si

    potrà parlare di longobardismo mediato da altri dialetti centro-meridionali che penetra soltanto nella

    Calabria settentrionale. Dai dizionari dialettali centro-meridionali si sa addirittura che la voce è

    salentina (calanu, alanu ecc.), pugliese, lucana, campana e abruzzese (galanǝ, valanǝ et sim.).

    Battaglia, GDLI 7. 101 guallano (allotropi galano, guallario, guallaro, gualda[r]io ecc.), ne

    fornisce esemplificazione toscana ed emiliana nel ’300 (esempi da Bonavia, Sercambi e documenti

  • citati in Rezasco), con un ventaglio di significati che si possono riassumere come (1) forestale,

    guardiano dei boschi, guarda-boschi / amministratore dei boschi, (2) amministratore di campagne,

    fattore, (3) mezzadro, (4) mandriano, bovaro. In qualche modo i significati (3) e (4) possono

    derivare dal significato (2), mentre il significato di ‘chi amministra’, ‘chi controlla’ implicito in (1)

    potrebbe essere stato esteso dal caso (1) al caso (2). Tuttavia, in Calabria il significato base è

    sempre quello di (4), il che spiegherebbe l’estensione del derivato gualanea nella Valle dell’Esaro (Malvito ed i paesi a nord) a Motacilla spp. (non solo per Motacilla flava flava L.

    ‘cutrettola’, come voleva Rohlfs nel NDDC), che corrisponde precisamente al significato di boarina

    nei dialetti toscani, veneti e lombardi orientali, dato che gualanu = bo[v]aro ecc. La proposta

    etimologica (che suppone *æqulnus < æqulis) nasce probabilmente in Cedraro, Ricerche

    Etimologiche (p. 61, < equlis -e), che è del 1885, e non viene che ripetuta in Accattatis pur

    posteriore di un decennio (la prima edizione è del 1895), nonché da vari autori calabresi di dizionari

    locali fino a tutto oggi, dalla prima edizione del NDDC di Rohlfs e da Salvatore Battaglia nel GDLI

    7. 98 Gualano, galano ‘mezzadro’ < æqulis, che non connette il nostro lemma con la voce

    Guallano del GDLI 7. 101. Una proposta simile, abbandonata anche dal Rohlfs nelle successive

    edizioni del NDDC, suppone (a) che il significato-base storico sia stato ‘mezzadro’ (di difficile

    dimostrazione) e (b) che la lenizione -c- > -g- sia del tutto regolare nei dialetti calabresi, in cui in

    genere si ammette soltanto -cr- > -gr- (ci sono casi di generalizzazione nei dialetti arcaici del

    Pollino ma non sono paradigmatici per il resto della Calabria).

    Gamillscheg 1935. 2. IV. 6 dava il tardo medioevale gualdimannus (del 1216 secondo lo

    studioso) come latinizzazione del longobardo waldemann. Alessio nel DEI 3. 1882 connette cal.

    gualanu, galanu con la forma guallano del Centro Italia (già nel ’300 a Benevento), derivando

    ambedue le forme dal lat. medioevale gualdanus < guald- (germanico wald-), che suppone un

    significato primario di ‘forestale, guardiano dei boschi, guarda-boschi / amministratore dei boschi’.

    Lo stesso Alessio nel Lexicon Etymologicum 448 waldemannus suppone una rimorfologizzazione

    del lemma longobardo waldeman come waldnus, con deriva > gualdano > guallano > cal. gualanu,

    commentando così la forma ricostruita da Rohlfs: “Le spiegazioni del Rohlfs sono campate in aria”!

    Difatti nella tarda latinità esiste l’aggettivo bubulinus -a -um derivato da bubalus, bubulus, dal quale

    si poteva costruire un eventuale sostantivo nuovo, ma certamente non *bubalanus. Mentre nel

    periodo 740-750 d.C. la voce non è registrata nelle Leggi del Re Rachis, la troviamo in quel periodo

    tra i suoi decreti, ad esempio quello delle donazioni del monastero di Bobbio (747 d. C.), cfr. PL 87.

    1376B “… cum Gisilpert waldeman inquirentes per siuanos nostros, idest Otonem et Rach …”

    ecc.32

    . Comunque, quasi tre secoli dopo, la voce, già integrata nel latino dell’Italia

    centromeridionale e nell’italo-romanzo, appare nelle Dissertationes di Guido Grandi sull’istituzione

    dell’Ordine dei Camaldolesi con l’assimilazione progressiva -ld- > -ll-, per cui cfr. PL 144. 61B

    “…a D. Andrea uallemannio abate nostro…”, con esito italiano centro-meridionale in -ll- rispetto

    alla conservazione di -ld- a Verona nel 1185 (Sella 1944: 630 waldemannus). Come si sa,

    un’assimilazione di questo tipo è dei dialetti centrali d’Italia, per cui, se tale è l’etimo originale della

    nostra voce calabrese, il lemma è prestito dal laziale-abruzzo-campano (cfr. il romanesco / laziale

    odierno callo per ‘caldo’). Ciò che non si spiega affatto è lo scempiamento pretonico (-ld- >) -ll- > -

    l-. Si deve dunque pensare in termini di una contaminatio di guallano con qualche altra forma

    germanica. Semanticamente vicino come significato è il longobardo latinizzato nel Medio Evo

    salánus < sala ‘mezzadro’ < ‘dipendente della ‘sala’ o ‘casa padronale’, visto che ‘mezzadro’ è

    anche uno dei significati derivati di guallano. La voce salanus è documentata nel Dodicesimo

    secolo (Statuti Lucchesi), poi nel ’200 (Atti di Badia Tedalda, prov. di Arezzo) e nel ’300 (Bonavia

    e Sercambi). Un incrocio del tipo guallano (< gualdanus < waldanus) X salanus poteva benissimo

    32

    Nell’edizione critica di Brühl, Codice Diplomatico Longobardo III, 1 p. 110, reperiamo “Ideo accedentes inibi missi

    nos[tri Gumpert et Gaideris] cu[m] Gisilpert uualdeman, inquirentes per silvanos n[ost]ros ….”.

  • produrre il nostro gualanu con la -l- scempia. Si ipotizza dunque che il lemma gualanu sia frutto

    dell’incrocio di due longobardismi, prestito dai dialetti più a nord della Calabria (abruzzo-campani)

    e che sia uno dei venti o trenta longobardismi presenti nel territorio calabrese. Aggiungiamo così un

    nuovo longobardismo alla prima lista di 28, che diventa (con l’aggiunta di gualanu) di 29, e

    riflettiamo sul fatto che solo 4/29 penetrano nel calabrese centro-meridionale (circa 14%), risultato

    del contatto conflittuale tra i principati longobardi e l’Impero Orientale dei Bizantini lungo il

    Pollino e l’Alta Valle del Crati, che non tocca per nulla la Calabria a sud della Sila, e anche solo

    superficialmente la Calabria a sud del Pollino. Dopo un lungo, recente studio siamo riusciti a

    rilevare la possibile presenza in tutte le varietà dialettali calabresi di 49 nuovi elementi storici

    longobardi, non tutti vitali al giorno d’oggi (Trumper 2016: 185-203). Comunque, anche 49

    elementi del lessico totale calabrese risultano di relativamente poca rilevanza, rispetto al numero di

    ispanismi (castigliani e catalani), francesismi (di provenienza provenzale, normanna e franciana),

    nonché di grecismi di tutti i periodi, che ammontano a molte centinaia di prestiti esterni dovuti a

    contatti secolari.

    3. Il culto micaelico come indicatore: espansione e penetrazione longobarda o invasione

    normanna?

    Per la festa latina di S. MICHELE Arcangelo, il 29 settembre, il brano neotestamentario

    Apocal. 12. 7-12 (Michele e gli Angeli, la guerra in cielo) non è usato nelle letture del Messale

    Pïano, nemmeno in quelle delle Liturgie Orientali. Comunque, nelle Messe votive e per la festa S.ti

    Michaelis in Monte Tumba del 16 Ottobre (Festa del Monastero di Mont S. Michèle, situata sopra

    un’enorme isola tra Bretagna e il confine meridionale della Normandia, festa approvata ed instituita

    dalla Chiesa Universale solo nel 1222 e diffusa fino al 1389-1400), la prima lezione è Apocal. 12.

    7-12 (Michele e la battaglia in cielo). Addirittura nella Contestatio (Anafora) della Missa

    Defunctorum nel Messale detto ‘Francorum’ si fa appello a tre Arcangeli per assistere il morto nel

    passaggio, Rafaele come SANITAS, Racuele come AIUTORIUM AB OMNIBUS ARTIFICIIS

    GABOLE (= Cabalæ, protezione contra gli artefizi magici), Micaele come CLYPEUM

    IUSTITIAE33

    . Anche nel Gallicanum ci doveva essere qualcosa di simile, perché il Messale di tipo

    ‘gallicano’ di Bobbio (poco prima del 700) dà la festa di S. Michele 29 sett. con Apocal. 12. 7-12

    come l’Epistola della Messa. L’Epistola della prima Missa Quotidiens mostra, anche, una

    dedicazione fortissima a S. Michele, perché è Daniele 12. 1-3. Da notare anche che, per quanto

    riguarda la fondazione di S. Michele sul Gargano (Monte Angelo dei Longobardi), la festa è quella

    della Apparitio Sancti Michaelis dell’ 8 maggio (in memoria della sconfitta dei Bizantini da parte di

    Grimoaldo I nel 650), con lezioni prese da Daniele 10-12 (centone) e Apocalisse 12. 7-12, che

    ricordano S. Michele il ‘Guerriero’, capo della milizia celeste.

    Il culto micaelico calabrese sembra arrivare non tanto con i Longobardi lungo il confine

    settentrionale dell’attuale Calabria, bensì con i Normanni. Prima del 1060 vi sono poche dediche

    bizantine a S. Michele e agli Angeli, tre nei documenti italogreci, calabro-greci del periodo pre-

    normanno, cioè 860-1060 (generico nel 1050 [Trinchera 45], specifico di piccole laure nel 1041

    [Robinson 1. 140], nel 1060 S. Michele vicino a S.ta Domenica Talao in Guillou, St. Nicola di

    Donnoso)34

    . Alcuni (Roma, Rizzo cit.) vorrebbero, come ipotesi, che il culto micaelico in Calabria

    fosse, invece, di origine longobarda, annotando che nel cosentino ci sono 63 simili dediche (65%

    del totale), nel vibonese-catanzarese 18, nel reggino 16. Vi sono due controdeduzioni da fare, (1)

    questi autori non stabiliscono la data di simili dediche, e dediche dopo il 1300 non dicono

    33

    … Rafael esto ei sanitas, Racuel esto ei aituri[um] hab omnibus artefeciis gabole ne timeat, Michail esto ei clipeus

    iusticie…(Contestatio, Missa Defunctorum).

    34 L’unico grande monastero benedettino del Regno nel periodo pre-normanno dedicato a S. Michele Arcangelo sembra

    essere S. Michele Arcangelo a Baiano (Campania, NA), fondato nel 575-600, in territorio ‘longobardo’.

  • assolutamente nulla sull’origine storica del culto, (2) lungo una linea sull’alto Pollino (da Laino a

    Oriolo / Nocara) ci troviamo sull’antico confine tra il Principato longobardo di Salerno e il Thema

    bizantino, essendo anche Laino Borgo il più meridionale dei gastaldati salernitani. È da aspettarsi

    che i Longobardi facessero appello al loro patrono lungo la linea di attacco e i Bizantini altrettanto

    come la loro difesa. Il culto presso i Longobardi è tardivo (dal 650-700 in poi), come lo è tra i

    Normanni (stesso periodo)35

    , mentre per i Bizantini nel loro culto micaelico antecedente (festa

    orientale del 8 novembre) gli Archangeli Michele e Gabriele sono trattati insieme come (a) santi

    guaritori, (b) ἀρχιστρατηγοίgiudici davanti al trono celeste che pesano le anime e realizzano le loro punizioni, (c) difesa dei cristiani contro i sotterfugi del male

    36. L’Epistola della Liturgia, Lettera

    agli Ebrei 2. 2-10, che fa riferimento a (b), fa parte di una sequenza di epistole della liturgia già

    stabilita poco dopo S. Giovanni Crisostomo (poco dopo il 500 d.C.). Soltanto in due delle letture dei

    Vespri festivi, scelte seriormente nel tardo Medio Evo (Giudici 6. 11-26, Daniele 10-12 [centone]:

    per la seconda cfr. Missale Bobbiense), si fa riferimento a Michele l’Arcangelo come ‘Guerriero’.

    Vale la pena notare che si legge Daniele 12. 1-3 nelle feste degli Arcangeli (Missale Bobbiense,

    Vespri Greci)37

    .

    Una situazione simile a quella del cristianesimo orientale, cioè in cui la figura di S. Michele

    viene presentata come ‘guaritore e protettore dell’anima’ e non come ‘santo guerriero’, si trova

    anche a Roma fino al 600. Nel Sacramentario Leonino (S. Leone Magno m. 407) le prime due

    Segrete fanno riferimento ad un generico ‘intervento’ dell’Arcangelo nei termini (a)-(c) di cui

    sopra, pure nelle Anafore 1 e 4 al luogo dedicato all’Arcangelo (Basilica dell’Angelo in Salaria,

    festa 30 settembre). Si accenna ad un generico ‘intervento’ degli Angeli nelle cose umane. Simile

    impostazione si trova nelle Orazioni della festa dell’Arcangelo (29 settembre) nei Sacramentari di

    Gelasio I (ca. 480-490) e di Gregorio Magno (m. 604). Nei Missali e Sacramentari germanici

    (ovviamente in latino) dopo il 700, invece, vi è continuo riferimento a Michele ‘Guerriero’. Il

    Missale Mixtum spagnolo dei Visigoti, detto ‘Mozarabum’, presenta 2 feste, la Revelatio Sancti

    Michaelis del 8 maggio e la festa del 29 settembre in cui i riferimenti nelle Orazioni sono a

    “Michael princeps exercitus Angelorum”, a S. Michele come “Salvator”. L’Epistola è sempre un

    brano dell’Apocal. 12 in cui Michele viene presentato come generale degli eserciti celesti, la lezione

    alle Lodi è Daniele 10-12 [centone], come nei Vespri orientali, con un chiaro riferimento a Michele

    ‘Guerriero’.

    Il culto micaelico viene stabilito sul Gargano, confine tra Principato longobardo di Benevento

    e il Tema bizantino della Longobardia, nel periodo 650-700, testimone Paolo Diacono, per cui la

    diffusione del culto del Guerriero Angelico ad opera dei Longobardi38

    ha un senso nell’alta Puglia e

    Daunia, nella Campania ed in parte della Lucania, compreso qualche paese amministrativamente

    bizantino del confine con i Bizantini (Pollino nord). Dove non aveva questo senso, data la quasi

    inesistente diffusione, era nella zona di Mileto (Mileto, Rombiolo), nella Piana (Cinquefrondi) e nel

    reggino ed aspromontano, luoghi in cui il culto comincia a diffondersi dopo la conquista normanna.

    Dopo l’arrivo dei Normanni troviamo molti riferimenti, nel periodo 1060-1260, al culto

    micaelico, la maggior parte alla fondazione di S. Michele di Mileto, contemporanea con la

    35

    Tra i Franchi e Merovingi il santo patrono ‘guerriero’ nel periodo 530-600 è stranamente S. Martino, la cui cappa il re

    merovingio Clovis portava con sé in battaglia. Non vi è in quel momento alcun riferimento germanico (pur latinizzato) a

    S. Michele ‘guerriero’, mentre il culto micaelico era già in voga nel mondo bizantino, comunque in tutt’altro senso.

    36 Nel Contakion Michele è συμφέρονcontro il male, nell’Apolytikion si prega che ci liberi dai pericoli “Ἐκ

    τῶνκινδύνωνλυτρώσασθεἡμᾶς”, perché lui è uno dei mezzi tramite il quale la divina misericordia, “τὸμέγαἔλεος”, raggiunge l’umanità.

    37 Ἀναστήσεται Μιχαὴλ ὁ ἄρχων ὁ μέγας καὶ οἱ συνιέντες λάμψουσιν ὡς ἡ λαμπρότης τοῦ στερεώματος καὶ ἀπὸ τῶν

    δικαίων τῶν πολλῶν ὡς οἱ ἀστέρες (Michele il grande condottiero sorgerà … e i saggi splenderanno come lo splendore

    del firmamento e alcuni dei giusti [dritti] come le stelle).

    38 I Longobardi cristianizzati sostituiscono a Wotan la figura cristiana di S. Michele.

  • fondazione della nuova Cattedrale normanna di Mileto (ex-novo, diocesi creata da quella di

    Nicotera soppressa da Ruggero e parte di Squillace), nel 1062 (vari nobili e l’Abbate di S.

    Arcangelo di Mileto fanno donazioni; l’Abbate ringrazia per donazioni, Ἐχαρήσατο

    καὶὁκαθηγούμενοςτοῦἉγίουἈγγέλ[ου]), nel 1075 (Ménagier), nel 1070-1100 (Bios Greco di S. Bartolomeo di Rossano, Acta Sanctorum settembre,τῶν μοναχῶν τῆς μονῆς τοῦἁγίου ἀγγέλου τοῦ ΜΜηλητήνου, nel 1081 (Ménager, atto latino: Ego Rogerius, Calabrie comes et Sicilie, vidi et audiui quod Will Culcimbret, pro Dei amore et anime sue remedio dedit …… ecclesie Sancti

    Angeli de Raith villanos cum filiis et filiabus suis et terras ……), nel 1086 (Capalbi), nel 1097

    (Ménagier), nel 1107 (Ménagier), 1126 (Trinchera 130), 1151 (Batiffol), nel 1188 (Trinchera 297),

    1192 (Trinchera 307), tra gli atti greci, mentre abbiamo, tra quelli latini ugual riferimento nel 1100

    (ben due volte, Russo 1. 231-232), 1108 (Russo 1. 251), 1122 (Russo 1. 291), 1151 (Russo 1. 326),

    1171-1181 (Russo 1. 361), e nel 1217 (Russo 1. 593) e 1219 (Pratesi 280). Per altri riferimenti,

    abbiamo un solo documento del 1105 che parla della dedica a S. Michele di un Metochion or

    Grangia di S. Filippo di Demenna in Sicilia (Cusa 401). La situazione generale indica una

    distribuzione: prenormanna: 3, normanna: 21, di cui ben 20 menzioni si riferiscono alla fondazione

    di S. Michele Arcangelo a Mileto. La proporzione 7: 1 sembrerebbe indicare che il culto fosse

    portato dai Normanni, a Mileto e a Rombiolo, da dove viene diffuso più a sud (Cinquefrondi e

    altrove) dai Benedettini (con fondazioni normanne). Se confrontiamo con le liste fornite da Laurent

    et altri studiosi dei monasteri bizantini e normanno-angioini della Calabria troviamo la seguente

    situazione:

    Monasteri o laure di sicura o probabile fondazione bizantina: (a) a. 1000 S. Angelo di Campo,

    Motta S. Giovanni (RC: Brebion 375); (b) S. Angelo di Albidona / S. Angelo Battipede a. 1092

    (Trinchera 72), 1106 (Trinchera 93), 1117 (Trinchera 109) [troppo presto per essere una fondazione

    ‘normanna’ sul Pollino!], fino al 1400 (Minervini 34, Platea)39

    ; (c) S. Angelo di Aieta / di Laino /

    Orsomarso tardo ’200 (Trinchera 542), ma in S. Nicola di Donnoso (Guillou) doc. 4 Ἅγιος

    ἌγγελοςLavra dell’Archistratego 1060-1061, S. Michele nel Mercurio verso 950 (Bios S. Elia Speleota); (d) Ss. Michele-e-Nicodemo, Lavra a Cellerana di Locri (montagna), non solo Laurent-

    Guillou 1470 ma anche S. Nicodemo di Kellerana (Guillou), aa. 950-1023. N = 4.

    Monasteri non documentati prima del 1100, cioè con documentazione normanna o post-

    normanna: (a) Monte S. Angelo, lavra o monastero sub titulo S. Michaelis Arcangeli a Castrovillari,

    primi anni del ’300 (vd. Miraglia 1954 che riporta osservazioni e fonti di Casalnovo nel ’600,

    Pergameno 1305 > Decreto 1591 sub S. Giuliano > 1725 cappella S. Angelo Custode di S. Maria

    del Riposo, documentato anche nel 1470, Gius. Russo L’Occaso doc. 183, ecclesiam S. Angeli sub

    Monte Acuto p. 115); (b) S. Angelo e S. Giovanni de Lauro a. 1247 (Lauropoli, Cassano: Laurent

    348, 350), (c) S. Angelo Militino in Campana a. 1280 (Laurent 348, G. Russo 348, Fr. Russo 1977:

    20 lavra anacoretica ricostruita in periodo normanno e dedicata, come cenobio, a S. Michele); (d) S.

    Angelo di Frigillo a. 1060-1100 (Von Falkenhausen 1967: 65), a. 1210 (Russo Regesto 1. 558 ecc.);

    (e) S. Angelo di Tiriolo a. 1274 (Laurent 342, Laurent-Guillou 130, 258, 303); (f) S. Angelo di

    Soriano a. 1274 (Tacconi-Gallucci 179 s.d., Laurent 348); (g) S. Angelo di Squillace [i locali dicono

    che si tratta di ‘fondazione bizantina’ del ca. 950, ma non troviamo documentazione prima del

    1400]; (h) S. Angele di Mileto 1070, 1097-1098 (Goffredo di Malaterra, 1070-1100; Bios Greco di

    S. Bartolomeo di Rossano; Batiffol; Russo Regesto 1. 220); (i) S. Angelo di Rombiolo a. 1274

    (Laurent 347-348); (j) S. Angelo di Briatico a. 1296 (Trinchera 460); (k) S. Michele/ S. Angelo in

    Drapia (i locali pretendono un’origine bizantina ca. 800, ma non troviamo documentazione prima

    del 1300); (l) S. Michele Margoperzoni di Tropea a. 1247 (Laurent 347, Laurent-Guillou 258); (m)

    S. Angelo e S. Isidoro di Tropea a. 1247 (poi S. Isidoro, Laurent 348, 351); (n) S. Angelo di

    39

    Si è escluso il riferimento alla Lavra dell’Angelo Uriele a RC (Brebion 88-89), perché la dedica non è all’Arcangelo

    Michele, ma esplicitamente all’Arcangelo Uriele. Abbiamo altresì escluso alcuni riferimenti (pochi) a S. Michele tra

    chiese e monasteri della Sicilia.

  • Vallituccio a. 1274 (Laurent 343, Laurent-Guillou 61-63, 258-259, Fr. Russo 1977: 19 da lavra

    anacoretica a cenobio, ridedicato a S. Michele in periodo normanno). N = 14.

    Monasteri documentati unicamente dopo il 1300-1325: (a) S. Michele Arcangelo in Tropea

    post 1450 (Laurent-Guillou 108-109); (b) S. Angelo / S. Michele di Plagia Paupera di Bruzzano /

    Bova a. 1324 (Vendola Rationes 3444, 3492); (c) S. Angelo di Bova 1457 (Laurent-Guillou 66). N

    = 3.

    Con = 21, di cui le fondazioni sicuramente bizantine sono 4 / 21 si ottiene più o meno il 20%. La proporzione 5: 1 fa supporre che il culto micaelico fosse estremamente favorito dai Normanni e dai

    Longobardi ma non dai Bizantini. Notiamo che due delle quattro Lavre di sicura datazione bizantina

    si trovano lungo la contesa linea di confine tra Bizantini e Longobardi del Principato di Salerno

    (Aieta e Albidona del Pollino).

    Al confine del Sud della Normandia con la Bretagna troviamo Mont S. Michèl e un antico

    culto: nome precedente Mons Beleni / Tumba Beleni (secondo Gilles Deric nel Settecento) > Mons

    Tumbæ, culto iniziato da Aubert vescovo di Avranches nel 708-709, anche se Roma autorizza

    l’accezione universale con Messa solo agli inizi del 1200 (Festa S.ti Michaelis in Monte Tumba /

    Tumbæ di cui sopra). Sembrerebbe la soppressione o copertura di un originale culto sincretico di

    Beleno (Celtico, = Lugo) = Thor (Vichingo) (se invece si tratta di Tyr = Marte secondo Tacito,

    l’associazione con la guerra e la militarizzazione è completa), cristianizzato come il culto di S.

    Michele Arcangelo, l’evidente sincretizzazione di un culto guerriero (cfr. Apoc. 12) già sincretico e

    guerriero. Dal Sud della Normandia i Normanni portano il culto micaelico a Mileto nel 1060-1070,

    come i Longobardi portarono lo stesso culto del Guerriero Angelico in Puglia, Campania e parte

    della Lucania-Calabria confinante nel 70040

    . Sembra possibile concludere ipotizzando che la

    diffusione del culto micaelico in Calabria sia stata di origine normanna nel periodo post-1060, per

    cui una possibile influenza longobarda nella regione, se non per antitesi culturale, cultuale ed

    amministrativa, è di dimensioni molto limitate, e largamente assente dai paesi ora trattati.

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    40

    Anche i Normanni in Puglia (durante le campagne militari di Roberto il Guiscardo), sia fossero vittoriosi sia sconfitti

    e in fuga, si rifugiano nei santuari di S. Michele, il loro protettore in battaglia, cfr. a proposito Anna Comnena,

    Alessiade 4. 6 (Niebuhr 211, 10-12).

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