LA TUTELA BREVETTUALE AVV. CACCIAMANI 1

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INNOVA & PARTNERS Srl Roma Via Cola di Rienzo, 265 – 00192 Tel 06 369933 Fax 06 32507449 Fermo Via S. Petronilla, 73 – 63023 Tel 0734 224815 Fax 0734 219868 Ancona Via Leopardi, 2 – 60121 Tel 071 2072969 Fax 071 2082940 LA CONCORRENZA SLEALE E LA TUTELA BREVETTUALE di Clizia Cacciamani, avvocato - INNOVA & PARTNERS s.r.l. INDICE LA LIBERTA’ DI CONCORRENZA E DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA SLEALE 1. CONSIDERAZIONI GENERALI 2. FATTISPECIE GIURIDICA E PRESUPPOSTI SOGGETTIVI DI APPLICABILITA’ 3. ATTI DI CONCORRENZA SLEALE. LE FATTISPECIE TIPICHE 3.1 GLI ATTI DI CONFUSIONE 3.2 L’IMITAZIONE SERVILE 3.3 IL DIRITTO AD UNA LEALE COMUNICAZIONE AZIENDALE 4. GLI ALTRI ATTI DI CONCORRENZA SLEALE 5. LE SANZIONI LA CONCORRENZA SLEALE E VIOLAZIONE DI BREVETTI INDUSTRIALI 1. CONSIDERAZIONI GENERALI 2. LA TUTELA DEL BREVETTO PER MODELLI DI UTILITA’ NEL DIRITTO NAZIONALE: LA CONCORRENZA SLEALE PER IMITAZIONE SERVILE

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LA CONCORRENZA SLEALE E LA TUTELA BREVETTUALE

di Clizia Cacciamani, avvocato - INNOVA & PARTNERS s.r.l.

INDICE

LA LIBERTA’ DI CONCORRENZA E DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA SLEALE

1. CONSIDERAZIONI GENERALI 2. FATTISPECIE GIURIDICA E PRESUPPOSTI SOGGETTIVI DI

APPLICABILITA’ 3. ATTI DI CONCORRENZA SLEALE. LE FATTISPECIE TIPICHE

3.1 GLI ATTI DI CONFUSIONE

3.2 L’IMITAZIONE SERVILE 3.3 IL DIRITTO AD UNA LEALE COMUNICAZIONE AZIENDALE 4. GLI ALTRI ATTI DI CONCORRENZA SLEALE

5. LE SANZIONI

LA CONCORRENZA SLEALE E VIOLAZIONE DI BREVETTI INDUSTRIALI

1. CONSIDERAZIONI GENERALI 2. LA TUTELA DEL BREVETTO PER MODELLI DI UTILITA’ NEL DIRITTO

NAZIONALE: LA CONCORRENZA SLEALE PER IMITAZIONE SERVILE

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2.1 LA TEORIA DELLE VARIANTI INNOCUE 2.2 PRODOTTI MODULARI, BREVETTI E IMITAZIONE SERVILE: IL CASO G.U.

BANARETTI – RITVIK TOYS INC. E LINEA GIG SPA, GIG DISTRIBUZIONE E TOYS SERVICE SRL/LEGO SPA E LEGO SISTEMA A.S.

3. LA TUTELA DEL “KNOW – HOW”

LA DISCIPLINA DEI BREVETTI NEL NUOVO CODICE DELLA PROPRIETA’ INDUSTRIALE

1. INTRODUZIONE: LA PROPRIETA’ INTELLETTUALE E LA PROPRIETA’

INDUSTRIALE

1.1 IL CODICE DEI DIRITTI DI PROPRIETA’ INDUSTRIALE E LA SUA GENESI 1.2 CONSIDERAZINI CONCLUSIVE 2. I BREVETTI PER INVENZIONE NEL NUOVO CODICE DELLA PROPRIETA’

INDUSTRIALE

2.1 LA NATURA E LA FUNZIONE DEL DIRITTO DI BREVETTO 2.2 I REQUISITI DELL’INVENZIONE 2.3 TIPOLOGIA DI INVENZIONI BREVETTABILI 2.4 LA PROCEDURA PER OTTENERE UN BREVETTO

3. LA TUTELA DEL BREVETTO NEL DIRITTO NAZIONALE

LA TUTELA DEL BREVETTO A LIVELLO INTERNAZIONALE

1. INTRODUZIONE ALLA MATERIA 2. LA PROTEZIONE CONFERITA DAI TRIPs ALLA DISCIPLINA BREVETTUALE 2.1 IL PATENT COOPERATION TREATY 2.2 UNA SCELTA TRA DIVERSE PROCEDURE 3. IL BREVETTO EUROPEO

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3.1 LA CONVENZIONE DI MONACO SUL BREVETTO EUROPEO

3.2 LA PROCEDURA PER IL RILASCIO DI UN BREVETTO EUROPEO 3.3 BREVETTO EUROPEO E BREVETTI NAZIONALI

I MODELLI DI UTILITA’ E L’INDUSTRIAL DESIGN

1. I MODELLI DI UTILITA’ NEL NUOVO CODICE DELLA PROPRIETA’ INDUSTRIALE

2. LA NUOVA DISCIPLINA DELL’INDUSTRIAL DESIGN

2.1 I REQUISITI DI PROTEZIONE: NOVITA’ E CARATTERE INDIVIDUALE

2.2 IL CONTENUTO DEL DIRITTO SU UN DISEGNO O MODELLO

2.3 LA CONTRAFFAZIONE DEI MODELLI E DEI DISEGNI 3. LA TUTELA DEL DESIGN A LIVELLO COMUNITARIO 3.1 LA PROCEDURA PER IL DEPOSITO DELLA DOMANDA IN SEDE COMUNITARIA

BIBLIOGRAFIA

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La libertà di concorrenza e disciplina della concorrenza sleale Sommario: 1. Considerazioni generali; 2. Fattispecie giuridica e presupposti soggettivi di applicabilità; 3. Atti di concorrenza sleale. Le fattispecie tipiche; 3.1. Gli atti di confusione; 3.2. L’imitazione servile; 3.3. Il diritto ad una leale comunicazione aziendale; 4. Gli altri atti di concorrenza sleale; 5. Le sanzioni. 1. Considerazioni generali

La libertà d’iniziativa economica implica la normale presenza sul mercato di una pluralità d’imprenditori che offrono beni e servizi identici o similari e che, conseguentemente, sono in competizione fra loro per conquistare il potenziale pubblico dei consumatori e conseguire il maggior successo economico. Nel perseguimento di questi obiettivi ciascun imprenditore gode d’ampia libertà d’azione e può porre in atto le tecniche e le strategie che ritiene più proficue, non solo per attrarre a sé la clientela ma anche per sottrarla ai propri concorrenti. La competizione può essere anche rude e pesante, dato che in un sistema basato sulla concorrenza non è tutelabile e non è tutelato l’interesse degli imprenditori a conservare la clientela acquisita. Il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione della clientela da parte dei concorrenti non è danno ingiusto e risarcibile. E’ tuttavia interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto e leale. Da qui la necessità di predeterminare talune regole di comportamento che devono essere osservate nello svolgimento della concorrenza; la necessità di distinguere fra comportamenti concorrenziali leali e perciò leciti e consentiti dall’ordinamento e comportamenti all’opposto sleali e perciò illeciti e vietati 1. 2. Fattispecie giuridica e presupposti soggettivi di applicabilità

Nello svolgimento della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai “principi della correttezza professionale” (art. 2598, n. 3). I fatti, gli atti e i comportamenti che violano tale regola, e il legislatore ne individua alcune categorie tipiche nello stesso art 2598 (atti di confusione, atti di denigrazione, atti di vanteria), sono atti di concorrenza sleale (cosiddetto illecito concorrenziale). Tali atti sono repressi e sanzionati anche se, ed in ciò una prima differenza rispetto alla disciplina generale dell’illecito civile, compiuti senza dolo o colpa (art. 2600, 1°comma). Inoltre, essi sono repressi e sanzionati, ed in ciò una seconda differenza rispetto all’illecito civile, anche se non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti. Basta, infatti, il cosiddetto danno potenziale; vale a dire che “l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda” (art. 2598, n. 3). Concorrenza sleale ed illecito civile sono quindi istituti che presentano nel contempo affinità e divergenze. La disciplina della concorrenza sleale assolve, nell’ambito specifico dei rapporti fra imprenditori concorrenti, la funzione di prevenire e reprimere atti suscettibili di arrecare un danno ingiusto. Funzione quindi identica a quella che l’ordinamento assegna alla disciplina generale dell’illecito civile, ma perseguita con gli adattamenti imposti dalla specificità del tipo di illecito che si vuol reprimere (illecito concorrenziale); specificità che determina non trascurabili differenze di disciplina e ciò in quanto la repressione 1 G. F. Campobasso, “Diritto Commerciale – Diritto dell’Impresa”, UTET, Torino, p. 234.

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degli atti di concorrenza sleale: è svincolata dal ricorrere dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa; è svincolata dalla presenza di un danno patrimoniale attuale; è attuata attraverso sanzioni tipiche (inibitoria e rimozione), che non si esauriscono nel risarcimento dei danni. Si tratta in definitiva di una disciplina speciale rispetto a quella generale dell’illecito civile e che offre agli imprenditori una tutela più energica nelle relazioni con i concorrenti e ciò al fine di evitare che pratiche scorrette alterino un valore d’interesse generale: il corretto funzionamento del mercato assicurato dal gioco della concorrenza. L’interesse tutelato dalla disciplina della concorrenza sleale non è perciò esauribile nell’interesse degli imprenditori a non veder alterate le proprie probabilità di guadagno per effetto di comportamenti sleali dei concorrenti. Tutelato è anche il più generale interesse a che non vengano falsati gli elementi di valutazione e di giudizio del pubblico e non siano tratti in inganno i destinatari finali della produzione: i consumatori. Gli interessi diffusi dei consumatori non possono essere del tutto considerati estranei al sistema della concorrenza sleale e devono perciò essere tenuti presenti nel valutare la “lealtà” delle pratiche concorrenziali. Non possono essere però elevati ad interessi direttamente tutelati da tale disciplina, infatti, necessario ma al tempo stesso sufficiente perché un atto configuri concorrenza sleale è l’idoneità dello stesso a danneggiare i concorrenti, e tale atto resta anche se non arreca alcun pregiudizio ai consumatori e pure se questi ne traggono un vantaggio. Di conseguenza legittimati a reagire contro gli atti di concorrenza sleale sono solo gli imprenditori concorrenti o le loro associazioni di categoria; non invece il singolo consumatore o le relative associazioni. Il che implica che l’interesse dei consumatori a non essere tratti in inganno nelle loro scelte è tutelato dalla disciplina della concorrenza sleale solo in modo mediato e riflesso, nei limiti in cui la reazione degli imprenditori lesi dall’altrui comportamento sleale assicura la lealtà della competizione e la trasparenza del mercato2. L’applicazione della disciplina della concorrenza sleale richiede la sussistenza di due fondamentali presupposti: 1) la qualità d’imprenditore sia del soggetto che pone in essere (direttamente o indirettamente) l’atto di concorrenza sleale vietato, sia del soggetto che ne subisce le conseguenze; 2) l’esistenza di un rapporto di concorrenza economica fra i medesimi3. Per contro, chi è leso nella propria attività d’impresa da altro soggetto, che non è imprenditore o non è suo concorrente, potrà reagire avvalendosi della meno favorevole disciplina generale dell’illecito civile, sempre che ricorrano i presupposti (colpa o dolo del soggetto attivo e danno attuale). Inoltre, la sola sanzione invocabile sarà il ristoro dei danni subiti. Quanto al primo presupposto, il fatto che soggetto passivo dell’atto di concorrenza sleale possa essere solo un’imprenditore è fuori contestazione, poiché solo nei confronti di chi è imprenditore può verificarsi la condizione dell’idoneità dell’atto “a danneggiare l’altrui azienda”, o meglio, l’altrui attività d’impresa. Qualche incertezza sulla necessità che la qualità di imprenditore debba essere rivestita anche dall’autore (diretto o indiretto) del comportamento sleale, affermandosi testualmente che “compie atti di concorrenza sleale chiunque…”(art. 2598). Il secondo presupposto di applicabilità della disciplina della concorrenza sleale è l’esistenza di un rapporto di concorrenza fra gli imprenditori: soggetto attivo e soggetto passivo devono cioè offrire nello stesso ambito di mercato beni o servizi che siano destinati a soddisfare, anche in via succedanea, lo stesso bisogno dei consumatori o 2 G. F. Campobasso, “Diritto Commerciale – Diritto dell’Impresa”, UTET, Torino, p. 236. 3 G. Ghiaini, “Della concorrenza sleale (artt. 2598 – 2601), in Il codice civile, Commentario, (a cura di) Schlesinger, Giuffrè, 1991, p. 53 e ss.

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bisogni similari o complementari. Quest’ultimo presupposto viene solitamente posto in relazione con il diffuso convincimento secondo il quale il danno concorrenziale si concreterebbe, di regola, in uno sviamento della clientela4, configurabile esclusivamente in presenza di una comunanza, effettiva o potenziale di clientela e, pertanto, di una effettiva o potenziale relazione concorrenziale fra i soggetti interessati e coinvolti5. 3. Gli atti di concorrenza sleale. Le fattispecie tipiche I comportamenti che costituiscono atti di concorrenza sleale sono definiti dall’art. 2598 c.c.. La norma individua innanzitutto due ampie fattispecie tipiche: a) gli atti di confusione (n. 1); b) gli atti di denigrazione e l’appropriazione di pregi altrui (n. 2). Enuncia poi una regola generale di chiusura, disponendo che costituisce atto di concorrenza sleale “ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” (n. 3). 3.1. Gli atti di confusione L’art. 2598, n. 1, c.c. prevede come prima ipotesi di concorrenza sleale i c.d. atti di confusione. La norma dispone, infatti, che: “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque: 1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente…”. L’elemento caratterizzante le fattispecie dell’art. 2598, n. 1, risiede nell’idoneità a creare confusione con i prodotti o l’attività dei concorrenti in merito all’origine imprenditoriale dei prodotti o servizi offerti; non rileva, pertanto, la confusione che potrebbe sorgere relativamente ad altre caratteristiche del prodotto6. La possibilità di confusione, pertanto, può sorgere in seguito all’imitazione da parte di un imprenditore di qualsiasi elemento del prodotto che sia atto ad individuare l’attività di un concorrente. Deve essere quindi assicurato che i consumatori riconducano il prodotto offerto sul mercato all’imprenditore da cui esso proviene, con la conseguenza che sono considerati scorretti tutti i comportamenti attraverso cui un imprenditore si pone sul mercato imitando elementi del prodotto di un concorrente in modo che i consumatori siano ingannati sulla provenienza del bene o servizio7. Sempre sotto tale profilo, è configurabile un atto di concorrenza sleale nel caso di fabbricazione di prodotti identici 4 Auletta, Mangini, “Della disciplina della concorrenza”, in Commentario del codice civile, (a cura di) Scialoja – Branca, Zanichelli, 1987, p. 217. 5 G.Ghidini, “Della concorrenza sleale (artt. 2598 – 2601)”, in Il codice civile, Commentario, (a cura di) Schlensinger, Giuffrè, 1991, p. 53 ss. 6 “La concorrenza sleale con fusoria non è limitata alla confondibilità di prodotti, ma si estende alla confusione sulla fonte di provenienza del prodotto” ( Trib. Firenze, 7 -5- 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3809). 7 L’art. 2598, n. 1, c.c., non vieta indistintamente l’imitazione di tutti gli elementi formali degli altrui prodotti, ma solo quelli individualizzanti, cioè idonei ad individuare la provenienza di un prodotto da una determinata impresa; il divieto cessa di operare in rapporto alle c.d. forme funzionali che coincidono con le caratteristiche di struttura e funzionalità e delle quali è inevitabile l’esatta riproduzione ove non si voglia pregiudicare l’utilità che esse presentano. (Corte di Appello di Milano, 28-10-2003, in Riv. Dir. Ind. 2004, II, p. 14.)

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nella forma a quelli realizzati da impresa concorrente, che non fruisca più della scaduta tutela brevettale, a condizione che la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto, ma investa anche caratteristiche completamente inessenziali alla relativa funzione. La giurisprudenza, come già si è rilevato, ha, però, stabilito che non può configurarsi la fattispecie della concorrenza sleale per imitazione servile, qualora la forma dei prodotti imitati non abbia valore individualizzante o risponda a ragioni di utilità estetica e se, per la presenza di segni distintivi o di varianti, i prodotti di imitazione rivelino la loro diversa provenienza8. Nell’intento di accertare la sussistenza della confondibilità tra prodotti per imitazione servile, è necessario che la comparazione tra i medesimi avvenga tenendo conto dell’impressione che, presumibilmente, la somiglianza dei segni o dell’aspetto esteriore dei prodotti può suscitare nel consumatore medio dotato di ordinaria diligenza ed attenzione, sulla base di un esame rapido e sintetico, ricordandosi che il consumatore 8 A tal proposito da segnalare è la sentenza del Tribunale di Bari, 27 novembre 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2001, p. 4315: La Profilati s.p.a. a seguito di domanda dell’8 marzo 1991, ha conseguito brevetto per invenzione industriale, avente ad oggetto serramenti realizzati con serie di profilati variamente assemblati. Le ricorrenti hanno tuttavia dedotto che tecnicamente l’invenzione industriale brevettata è costituita dai profilati descritti dalle figure 3, 4, 5 e 6 della domanda relative alla c.d. anima centrale scatolare, mentre i profilati del catalogo di produzione “PE40”, caratterizzati dall’agevole assemblaggio fra loro e con l’anima centrale, avrebbero potuto essere fatti oggetto di separata domanda di brevetto per modello di utilità. Le istanti hanno quindi dedotto la nullità parziale del brevetto e hanno assunto di aver diritto alla conversione dello stesso brevetto per modello di utilità, in relazione ai profilati descritti nella domanda di brevetto dell’8 marzo 1991 non costituenti invenzione. Le ricorrenti, dunque, lamentando da parte della società TG Alluminio atti lesivi del brevetto per modello di utilità, frutto di conversione, hanno invocato in via principale l’adozione ante causam dei provvedimenti cautelari di descrizione, sequestro ed inibitoria. Detta istanza è stata ritenuta infondata: infatti il materiale del quale le riccorrenti lamentano la contraffazione, rinvenuto il 15 maggio 2001 su un camion fermato nell’area portuale di Bari, è descritto nel verbale di sequestro redatto il 21 giugno 2001 e corrisponde all’elenco redatto dal Sig. Buscaroli Gianluca. La vicinanza del sito di produzione, circa 40 km, e la modestia del carico, nonché l’assenza di contrari elementi probatori, inducono a ritenere verosimile la realizzazione della merce in data successiva all’8 marzo 2001, ovvero in epoca in cui il brevetto per invenzione era già scaduto ed avrebbe avuto scadenza il brevetto per modello di utilità. Tali considerazioni giustificano di per sé il diniego delle misure cautelari invocate. Le ricorrenti hanno anche denunciato il comportamento della TG Alluminio sotto il profilo della concorrenza sleale per imitazione servile e per contrarietà ai principi di correttezza professionale, in violazione dell’art. 2598, n. 1 e 3, c.c.. Costituisce concorrenza sleale per contrarietà ai principi della correttezza professionale, la fabbricazione di prodotti assolutamente identici ed intercambiabili rispetto a quelli del concorrente che per primo li ha introdotti sul mercato. Quanto alla concorrenza sleale per imitazione servile la giurisprudenza ravvisa tale condotta nella realizzazione di prodotti che, per elementi distintivi originali e caratterizzanti, siano identificabili dalla clientela come provenienti da determinata ditta produttrice, e non anche quando la forma precedentemente adottata dal concorrente sia già stata utilizzata da una pluralità di imprese operanti nel settore. La tutela contro gli atti di concorrenza sleale per imitazione servile, concerne tuttavia le sole forme esteriori, arbitrarie e distintive dei prodotti, e non anche quelle aventi carattere funzionale rispetto a finalità tecnico economico funzionali, ove non suscettibili di tutela brevettale perché non richiesta o cessata. Nel caso di specie, deve ritenersi che i prodotti, per i quali le ricorrenti hanno invocato la tutela cautelare, non erano del tutto innovativi, perché realizzati secondo forme già utilizzate da altre aziende. Il trovato innovativo del prodotto, infatti, per alcuni profili, ha trovato smentita nella documentazione prodotta, mentre per altri è rimasto privo di riscontri. Va del resto osservato che la forma funzionale, ravvisabile nella specie, è suscettibile di libera imitazione, salvo il limite della tutela brevettale non operante nel caso in esame. Poiché dunque dall’istruttoria non è emersa la produzione e la commercializzazione da parte della TG Alluminio di merci che, per elementi distintivi originali e caratterizzanti, siano identificabili dalla clientela come prodotti delle società Profilati s.p.a. o delle Trafilerie Emiliane, va disattesa anche la domanda avanzata dalle ricorrente ai sensi dell’art. 700 c.p.c..

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opera le proprie scelte non in virtù di una comparazione diretta tra segni o prodotti, bensì confrontando una realtà con il vago e impreciso ricordo, frutto dei precedenti esperienze9. L’art. 2598, disponendo che “restano ferme le disposizioni in materia di segni distintivi e brevetto”, indica la prevalenza delle norme speciali in tema di segni distintivi e brevetti su quelle generali in tema di concorrenza sleale. L’enunciazione di tale principio non è sufficiente, tuttavia, a superare i problemi di coordinamento tra le diverse discipline che, con obiettivi e presupposti differenti, tutelano la forma esterna di un prodotto. Le maggiori difficoltà sorgono nel determinare i rapporti con la disciplina che attribuisce a taluni prodotti la tutela brevettale, dal momento che la protezione accordata dal brevetto presenta ratio, presupposti di applicazione ed ampiezza della tutela del tutto differenti rispetto all’art. 2598. La situazione è molto diversa, invece, con riferimento ai segni distintivi e, in particolare, al marchio d’impresa. Il coordinamento tra la normativa a tutela dei marchi e degli altri segni distintivi e quella contro la concorrenza sleale, risulta innanzitutto semplificato dal fatto che non esiste un conflitto, bensì omogeneità, negli obiettivi delle due normative. Sia i segni distintivi che il divieto di atti confusori hanno, infatti, lo scopo di garantire che i prodotti o le attività presenti sul mercato siano ricondotte al soggetto da cui realmente provengono. Di conseguenza, vi è omogeneità per quanto concerne sia i presupposti per l’applicazione delle norme, sia la durata della tutela, che è per entrambe le discipline illimitata nel tempo. La vicinanza negli obiettivi della tutela e nei requisiti richiesti ai segni distintivi fa sì che l’azione di contraffazione di un marchio non escluda l’applicazione anche della disciplina della concorrenza sleale, qualora ne ricorrano i presupposti10. 3.2. L’imitazione servile L’art. 2598, n. 1, dispone che (oltre all’imitazione degli altrui segni distintivi) costituisce un atto di concorrenza sleale, l’imitazione servile del prodotto da parte di un concorrente. Il riferimento a “qualsiasi altro mezzo” porta a concludere che anche il divieto di imitazione servile è posto a tutela dello specifico interesse consistente nella necessità di non creare confusione sul mercato relativamente all’origine dei prodotti. Divieto di imitazione servile significa, in altri termini, divieto per l’imprenditore A di imitare il prodotto del suo concorrente B creando i presupposti affinché i destinatari del prodotto acquistino il prodotto di A credendo che sia il prodotto di B 11. L’imitazione del prodotto di un concorrente sarà pertanto lecita se sono state prese le misure adeguate ad eliminare il rischio di confusione. E’ opportuno sottolineare che la libera appropriabilità del prodotto altrui (salvo nei casi in cui vi sia rischio di confusione 9 Marchetti – Ubertazzi, “Commentario breve al diritto della concorrenza”, 1997, Cedam, p. 517 e ss. 10 Così, ad esempio, con riferimento al commercio di calzature con marchio Timberland contraffatto, si è ritenuto che: “…la società convenuta ha violato l’art. 2598 c.c. sotto il profilo dell’uso di segno distintivo legittimamente usato da altri, in quanto ha messo in commercio prodotti con marchio contraffatto…A questo proposito va notato che l’azione di concorrenza sleale è proponibile anche in caso di contraffazione di marchio, dal momento che la possibilità di proporre l’azione di violazione del marchio non esclude la possibilità di intentare, cumulativamente o da sola, l’azione di concorrenza sleale”. (Trib. Torino, 31 – 3- 1992, in G.A.D.I., 1992, p. 2815). 11 L’imitazione servile è un’ipotesi di concorrenza sleale per confusione e la possibilità di confusione deve riguardare la provenienza dei prodotti. Perciò la tutela può essere accordata solo se risulti in concreto l’indistinguibilità agli occhi dei consumatori delle rispettive provenienze dei prodotti simili” (App. Milano, 26 – 10 – 1999, in G.A.D. I., 1999, p. 4029).

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con l’attività dei concorrenti o in cui esistano diritti di proprietà intellettuale) trova, nell’ambito della disciplina della concorrenza sleale, l’importante eccezione rappresentata dalla concorrenza parassitaria, fattispecie che consiste nell’agganciamento della propria attività a quella di un concorrente attraverso una sistematica imitazione dei suoi prodotti e/o delle sue iniziative imprenditoriali. Ipotizzando di dover concretamente verificare se un prodotto sia stato imitato con conseguente rischio di confusione si deve meglio precisare cosa s’intende per imitazione “servile”, cosa s’intende per “prodotto”, come si determini se vi sia un rischio di confusione e, infine, quale categoria di soggetti debba essere presa a riferimento per compiere tale giudizio. Per quanto concerne la specificazione dell’aggettivo “servile”, non pare che l’attributo rivesta un significato particolare, venendo soltanto a rafforzare il concetto di riproduzione del prodotto di un concorrente. Ben più rilevante appare, invece, l’individuazione dell’oggetto dell’imitazione, in altri termini, di ciò che viene imitato. Poiché l’obiettivo della norma è impedire l’imitazione di prodotti di concorrenti qualora questa abbia come effetto la confusione anche potenziale, oggetto dell’imitazione sarà tutto ciò che, se imitato, può determinare confusione e quindi, in definitiva, soltanto la forma esterna oppure del suo packaging. Il rischio di confusione che si mira ad evitare può essere provocato solo dalla riproduzione della forma esteriore del prodotto, non delle caratteristiche che non vengono immediatamente percepite da chi si disponga all’acquisto ( quindi della struttura interna del prodotto, piuttosto che della composizione dello stesso). Se, quindi, pur avendo una struttura interna diversa, il prodotto ha la medesima forma esteriore di un altro prodotto già in commercio, potrà ben sussistere un’ipotesi di concorrenza sleale per imitazione servile. Non si potrà avere imitazione servile qualora sia stata imitata la struttura o la composizione di un prodotto, ma la presentazione esterna sia tale da far sì che sia impossibile che sorga confusione agli occhi dei consumatori12. Deve essere precisato che, dato l’obiettivo della norma, dovrà essere evitato anche il rischio che a creare confusione sia la confezione (il packaging) del prodotto: si pensi all’ipotesi di detersivi provenienti da produttori differenti, ma presentati in confezioni tanto simili tra loro da rendere necessaria una particolare attenzione per individuare la diversa fonte di provenienza13. Il fatto che l’imitazione deve riguardare la forma esteriore del prodotto non esaurisce i problemi sull’oggetto dell’imitazione. Non qualsiasi forma, infatti, se imitata, genera un effetto confusorio, ma solo quelle che siano tali da identificare l’impresa da cui provengono. Dal momento che l’imitazione di una forma ampiamente utilizzata nel settore merceologico di riferimento non può generare alcuna attesa in merito alla provenienza del prodotto da un’impresa piuttosto che da un’altra, si deve trattare di una forma non “banale” né “standardizzata”, bensì individualizzante. In altri termini, è necessario che il prodotto abbia capacità distintiva, sia idoneo, quindi, a 12 L’originalità di un prodotto e la sua imitazione da parte di un terzo, non è sufficiente ad integrare l’ipotesi dell’imitazione servile con fusoria di cui all’art. 2598, n. 1, c.c., dovendosi, invece, fornire la prova che tale imitazione è idonea ad ingenerare il pericolo di confusione in quanto investe degli elementi formali, individualizzanti e distintivi che servono a distinguere il suo prodotto sul mercato, così risultando atta ad ingenerare confusione tra gli stessi ( Tribunale di Bari, 19-04-2004, Giurisprudenza locale, Bari, 2004). 13 Costituisce concorrenza sleale per imitazione servile, la realizzazione di un prodotto che imita pedissequamente la confezione di un prodotto del concorrente, pur se l’imitatore abbia apposto un marchio proprio, anche se questo abbia una posizione marginale, e comunque anche se i consumatori siano attratti dal prodotto dell’imitatore in virtù della sua somiglianza con l’originale ( Tribunale di Napoli, 17-07-2003, in Giur. Napoletana 2003, p. 353).

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ricondurre, il prodotto ad una specifica impresa14. Affinché si crei il rischio di confusione è necessario, infine, che il prodotto, oltre ad essere nuovo ed originale, sia in qualche misura conosciuto dal pubblico, poiché in questo modo: “La presenza prioritaria di quell’articolo sul mercato con il tempo consolidatosi nel gusto del pubblico per la notorietà ed originalità che lo distingue dalla anonimità di linee, forme e colori adottati nei prodotti similari dei concorrenti, conferisce alla forma ornamentale del prodotto anche una funzione distintiva facendo comprendere al consumatore quale ne è l’origine e cioè l’impresa della quale viene riconosciuto lo stile o design”15. Nella valutazione della sussistenza di un concreto atto confusorio, i giudici sono chiamati a determinare se, dato un prodotto che ricalchi, in misura totale o meno, la forma esteriore di un altro prodotto presente sul mercato, la somiglianza tra i due sia tale da poter ingannare i consumatori riguardo all’impresa da cui i prodotti stessi provengono. Tale giudizio verte sulla confondibilità, sull’idoneità dell’imitazione del prodotto di un concorrente a determinare confusione, non sulla confusione in sé. Questo significa che la circostanza che si siano concretamente verificati episodi di “inganno” dei destinatari del prodotto non varrà, di per sé, a dimostrare necessariamente che esiste idoneità confusoria, ma costituirà soltanto un indice in tal senso. Parallelamente, la mancanza di concreti episodi di confusione al momento della valutazione da parte del giudice non sarà sufficiente ad escludere la potenzialità dannosa. L’art. 2598 n. 1, disponendo che compie atti di concorrenza sleale anche chi “compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”, introduce una previsione generale in base alla quale sono considerati scorretti tutti gli atti, oltre all’imitazione dei segni distintivi e all’imitazione servile, che abbiano un effetto (anche solo potenzialmente) confusorio. Diverse pronunce hanno ritenuto che costituisce un atto di confusione l’imitazione del materiale pubblicitario di un concorrente. In proposito, si può citare una recente sentenza, relativa all’imitazione di una brochure di un’impresa concorrente16 L’atto è stato considerato sleale, trattandosi di una pedissequa riproduzione dell’impostazione esteriore della pagina centrale della brochure senza tentare neppure una qualche forma di apprezzabile variazione. Infatti gli elementi formali di una brochure, anche se di per sé non originali, rappresentano tuttavia una combinazione idonea a distinguere e caratterizzare la presentazione pubblicitaria del prodotto. Nel caso di specie le due brochure appaiono indistinguibili ad una visione di insieme, anche perché, l’acquirente non ha a disposizione contemporaneamente le due brochure, sicché la valutazione della confondibilità non può che effettuarsi considerando il raffronto tra l’una brochure ed il ricordo che della brochure della concorrente il potenziale cliente può avere17. 14 Ad esempio, con riferimento all’imitazione degli altrui disegni di tessuti per arredamento, si è affermato: “la capacità individualizzante di un prodotto è ben più che la sua mera novità estrinseca: è la sua acquisita capacità d’individuare l’azienda da cui proviene, se non addirittura la sua funzione di “marchio di fatto”. Questa caratteristica del prodotto, in altri termini, concerne il suo rapporto con l’impresa di provenienza: agli occhi del consumatore il prodotto“individualizzante” mostra evidente, non solo l’originalità, ma anche per la notorietà acquisita o per la pubblicità ricevuta, la sua provenienza da un determinato imprenditore. I disegni dei tessuti delle Errevitex, non essendo stati brevettati, meriterebbero dunque tutela solo se “caratteristici” e come tali percepiti dai consumatori, altrimenti deve valere la regola generale della libertà di concorrenza, che consente all’imprenditore avversario di utilizzare non pedissequamente i risultati dell’altrui iniziativa” (App. Milano, 26-10-1999, in G.A.D.I., 1999, p. 4029). 15 App. Milano, 10-06-1997, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1997, p. 3760. 16 Trib. Verona, 23-07-1999, in G.A.D.I., 1999, p. 4023. 17Altro esempio di atto di confusione è l’imitazione delle testate di quotidiani o periodici. Il giudizio di

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3.3. Il diritto ad una leale comunicazione aziendale

La seconda vasta categoria di atti di concorrenza sleale tipitizzati dal legislatore del ’42 nell’art. 2598, n. 2, ricomprende: a) gli atti di denigrazione, che consistono nel diffondere “notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito”; b) l’appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente. Il legislatore, però, a differenza di ciò che ha fatto disciplinando nel n. 1 dello stesso articolo il diritto ad una leale differenziazione sul mercato, non ha inserito nella disposizione una apposita clausola generale: la conseguenza di ciò è che mentre la concorrenza sleale per confondibilità è disciplinata in modo completamente autosufficiente, la concorrenza sleale che viene compiuta mediante la comunicazione aziendale, è disciplinata dalla interazione fra le fattispecie tipiche della denigrazione commerciale e dell’appropriazione di pregi poste nel n. 2 dell’art. 2598 e la clausola generale della non conformità ai principi della correttezza professionale posta nel n. 3 dello stesso articolo. Comune ad entrambe le fattispecie è la finalità di falsare gli elementi di valutazione comparativa del pubblico (consumatori e altri imprenditori), attraverso comunicazioni indirizzate a terzi e in primo luogo avvalendosi dell’arma della pubblicità. Con la denigrazione si tende a mettere in cattiva luce i concorrenti danneggiando la loro reputazione commerciale. Con la vanteria si tende invece ad incrementare artificiosamente il proprio prestigio attribuendo ai propri prodotti o alla propria attività pregi e qualità che in realtà appartengono a uno o più concorrenti. La prima parte dell’art. 2598, n. 2, vieta la diffusione di notizie ed apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente idonei a determinarne il discredito. L’art. 2598 vieta qualsiasi affermazione denigratoria, sia essa tale perché falsa o perché sì veritiera, ma divulgata in modo da screditare i concorrenti. In altri termini il divieto assoluto di “parlar male” dei prodotti e dell’attività del concorrente, impone ai produttori di limitare la propria comunicazione aziendale alla illustrazione dei propri prodotti e dei propri servizi ed al contempo impone loro di astenersi dal riferirsi direttamente ai prodotti e ai servizi concorrenti18. In questo senso erano prevalentemente orientate, fino confondibilità viene compiuto secondo i consueti criteri dell’impressione complessiva, che tiene conto sia del significato concettuale delle espressioni utilizzate, sia della veste grafica adottata, sia dell’aspetto fonetico. Non è ritenuto, ad esempio, che fossero confondibili le testate “Cavalli & Cavalieri” (con la scritta “Cavalli” in grande e la dicitura sottostante “& Cavalieri” in caratteri ridottissimi) e “Cavallo Magazine” (con la scritta “Cavallo” in grande e la scritta “Magazine” in caratteri minuscoli. Tra le due testate non vi è interferenza concettuale, né grafica, né fonetica: la parola Cavallo presente in entrambe le espressioni, si specifica in modo completamente diverso in relazione ai diversi termini cui si accompagna, alludendo il termine inglese “magazine” a riviste e quello “cavalieri”, a coloro che montano il cavallo”. Si è ritenuto, invece, che costituisse un atto di confusione la commercializzazione di una cartella contenente poster, dal titolo “il mio cavallino”, offerta in vendita quale supplemento della rivista “Cavallo Magazine” ma venduta anche separatamente dal periodico, a danno della preesistente testata “Il mio Cavallo”, dal momento che così come presentata la cartella dei posters, con la netta enfatizzazione del titolo “il mio Cavallo”, pur in presenza del richiamo a “Cavallo Magazine”, essendo l’acquirente del tutto distratto dallo stesso, il prodotto offerto appare piuttosto riconducibile alla rivista “il mio Cavallo”. (Trib. Milano, 25-03- 1996, in G.A.D.I., 1996, p. 3589). 18 Integrano la fattispecie della concorrenza sleale per denigrazione, le dichiarazioni contenute nella attestazione dell’equivalenza del proprio prodotto al prodotto del concorrente, coperto da brevetto ed individuato nel bando di gara, che non limitandosi ad enunciare argomentazioni tecniche di equivalenza, vi inseriscono valutazioni denigratorie ed apodittiche volte a screditare la concorrente ed evidenziare

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a qualche tempo fa, dottrina e giurisprudenza19. Va tuttavia acquistando sempre maggior seguito la tesi secondo cui la critica e la comparazione costituiscono illecito concorrenziale solo quando i fatti affermati siano falsi. Lecita sarebbe invece la pubblicità comparativa veritiera purché essa sia fondata su dati rigorosamente veri ed oggettivamente verificabili. Diverse sono le pratiche riconducibili nello schema della concorrenza sleale per denigrazione. Innanzitutto le diffide e le divulgazioni di notizie che possono screditare la reputazione commerciale di un concorrente (difficoltà finanziarie, scarsa esperienza, scarsa puntualità…) o apprezzamenti direttamente attinenti a vicende giudiziali ed in particolare a provvedimenti sia provvisori (misure cautelari) sia definitivi (sentenze). Con la diffida il titolare di un diritto (come ad esempio un diritto esclusivo di marchio oppure di brevetto), chiede pubblicamente ai consumatori o agli intermediari di astenersi dall’acquistare o dal commercializzare determinati prodotti che vengono indicati come costituenti contraffazione del diritto esclusivo per la cui tutela la diffida viene resa pubblica. Con il comunicato, anch’esso usualmente diffuso a mezzo stampa, il titolare del diritto rende noto che è intervenuto un provvedimento del giudice il quale ha realizzato, in via provvisoria oppure definitiva, la tutela del diritto stesso nei confronti di coloro che lo abbiano violato. La giurisprudenza, fin dalle prime applicazioni dell’art. 2598, n. 2, ha riconosciuto la liceità del comportamento subordinatamente alla veridicità della notizia resa pubblica ed alla fondatezza dell’apprezzamento implicitamente oppure esplicitamente riferito al contenuto giudiziario della notizia stessa. Tra le pratiche riconducibili nello schema della concorrenza sleale per denigrazione vi rientra anche la pubblicità comparativa. Essa consiste nel confronto fra i propri prodotti e quelli di uno o più concorrenti, fatto in modo da gettare discredito sugli altrui prodotti o sull’altrui attività. E ciò sia nell’ipotesi in cui si esprime un proprio giudizio negativo sui concorrenti, sia nell’ipotesi in sui si utilizzano indagini di terzi contenenti giudizi a sé favorevoli o sfavorevoli ai concorrenti. Vi è poi la pubblicità iperbolica ( o superlativa): con tale forma di pubblicità si tende ad accreditare l’idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere specifiche qualità o determinati pregi, che invece vengono implicitamente negati ai prodotti dei concorrenti20. Lecito è invece il cosiddetto puffing, consistente nella generica ed innocua affermazione di superiorità dei propri prodotti21. L’art. 2598, n. 2, c.c. nella seconda parte vieta l’appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente. Con questa formulazione la norma tipizza fatti lesivi del diritto ad una leale comunicazione aziendale consistenti nell’attribuzione alla propria impresa di pregi costituiti essenzialmente da premi e riconoscimenti assegnati invece all’impresa del concorrente. Agli effetti della norma infatti sono considerati pregi suscettibili di indebita appropriazione “tutti i fatti riguardanti i caratteri dell’impresa, i risultati da essa conseguiti o le qualità dei prodotti o dei servizi che per il pubblico rappresentino o possano rappresentare motivi di apprezzamento positivo e quindi di elementi negativi del suo prodotto, posti in comparazione con gli aspetti positivi del proprio. Tribunale di Verona, 11 luglio 2003, in Giur. It. 2004, p.1020. 19 Ascarelli T., “Teoria della concorrenza e dei beni immateriali”, Giuffrè, Milano, 1960, p. 239. Minervini G., “Concorrenza e consorzi”, in Trattato d. civ. , diretto da Grosso, Santoro, Passatelli, Vallardi, Milano, 1965, p. 32. Guglielmetti G., “La concorrenza e i consorzi”, in Trattato di d. civ., diretto da F. Vassalli, Utet, Torino, 1970, p .133 e ss. In giurisprudenza, Cass., 10-08-1966, n. 2172, in Giur. It., 1967, I, 1, p. 173; Cass., 02-04-1982, n. 2020; App. Perugia, 24-01-1994, in Rass. Giur. Umbra, 1994, p. 573. 20 Ad esempio, il caffè decaffeinato X è il solo che non fa male al cuore. 21 Ad esempio, il panettone M non è un panettone ma il panettone.

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preferenza dell’impresa e delle sue prestazioni rispetto alle altre imprese22”. Ciò che conta ai fini dell’applicazione della norma è che i pregi oggetto della illecita appropriazione, oltre a non essere posseduti da chi se ne appropria, siano patrimonio positivo di uno o più concorrenti, al quale, oppure ai quali, spetta la legittimazione ad agire. L’appropriazione dei pregi dunque, si verifica quando alla falsa attribuzione viene associata la sottrazione ad un soggetto determinato o determinabile che subisce conseguentemente in modo diretto il pregiudizio derivante dal fatto di dovere condividere l’apprezzamento positivo che il pubblico dei consumatori riserva al detentore del pregio con altri soggetti che non meritano uguale apprezzamento positivo. Costituisce una variante meno evidente quella dell’appropriazione dello specifico pregio costituito dalla altrui maggiore notorietà e si risolve in un travaso di notorietà dal più noto al meno noto. Costituiscono inoltre forme tipiche di modalità, tecniche di appropriazione di pregi altrui la pubblicità parassitaria e la pubblicità per riferimento. La prima consiste nella mendace attribuzione a se stessi di qualità, pregi, riconoscimenti, premi e comunque caratteristiche positive che in realtà appartengono ad altri imprenditori del settore. La seconda tende a far credere che i propri prodotti siano simili a quelli di un concorrente, attraverso l’utilizzazione di espressioni come tipo, modello, sistema (ad esempio, pezzo di ricambio tipo Fiat); e ciò per avvantaggiarsi indebitamente dell’altrui rinomanza commerciale23. Nell’ambito dei fatti lesivi del diritto ad una leale comunicazione aziendale riconducibili nella categoria della appropriazione di pregio altrui, infine, si colloca anche l’ipotesi della falsa indicazione di provenienza. Quando infatti la provenienza attraverso l’uso di un toponimo da una determinata località viene considerata dal pubblico dei consumatori garanzia di eccellenza qualitativa del prodotto a causa della relazione fra questo prodotto e determinate condizioni naturali (come per taluni prodotti agricoli, come per le acque minerali o per i vini) oppure ambientali di tipo professionale e culturale (come per alcuni prodotti manifatturieri in relazione a località nelle quali si sia sviluppata una tradizione professionale ed organizzativa di particolare efficacia), dichiarare falsamente la provenienza del proprio prodotto dalla località in questione significa appropriarsi dei pregi che invece sono propri soltanto dei prodotti che vengono effettivamente realizzati in quella località dalle imprese che ivi operano. Mentre fino a ieri la qualificazione della illiceità di siffatti comportamenti come lesivi del diritto soggettivo ad una leale comunicazione aziendale era ricondotta al generale disposto dell’art. 2598, n. 2, c.c., oggi, dopo l’attuazione dell’accordo TRIPs mediante il d.l. 19 marzo 1996, n. 198, l’ipotesi è stata tipitizzata più specificatamente24. Anche se 22 Auteri P., “La concorrenza sleale”, in Trattato d. priv., diretto da Rescigno, vol. XVIII, Utet, Torino, 1983. 23 Ammendola, “L’appropriazione di pregi”, Giuffrè, Milano, 1991. 24 Dispone infatti l’art. 31 di tale decreto legislativo che “1. Per l’indicazione geografica s’intende quella che identifica un paese, una regione o una località, quando sia adottata per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all’ambiente geografico d’origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione. 2. Fermo il disposto dell’art. 2598, n.2, del c.c. e le disposizioni speciali in materia, e salvi i diritti di marchio anteriormente acquisiti in buona fede, costituisce atto di concorrenza sleale, quando sia idoneo ad ingannare il pubblico, l’uso d’indicazioni geografiche nonché l’uso di qualsiasi mezzo nella designazione o presentazione di un prodotto che indichino o suggeriscano che il prodotto stesso proviene da una località diversa dal vero luogo d’origine, oppure che il prodotto presenta le qualità che sono proprie dei prodotti che provengono da una località designata da un’indicazione geografica. 3. La tutela di cui al comma 2 non permette di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica del proprio nome, o del nome del proprio dante causa nell’attività medesima, salvo che tale nome sia usato in modo da

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tipizzata più specificamente, l’ipotesi della falsa indicazione di provenienza resta pur sempre di carattere generale ed essa quindi concorre con discipline ancor più specifiche che possono essere di carattere pubblicistico oppure di carattere privatistico: del primo tipo tutte le volte che la indicazione geografica assurge a marchio di qualità oggetto di un diritto esclusivo facente capo ad un apposito ente gestore che lo attribuisce in licenza agli operatori aventi diritto (ad es. il Consorzio del prosciutto di Parma, il Consorzio del prosciutto di S. Daniele, il Consorzio del vino Chianti, e così via); del secondo tipo tutte le volte che, al di fuori di una apposita legge istitutiva, un ente oppure un’associazione di produttori registra un marchio collettivo geografico ai sensi dell’art. 2 l.m. e ne disciplina efficacemente la utilizzazione consentendola soltanto a produttori che osservino determinati standard qualitativi fissati nell’apposito regolamento. 4. Gli altri atti di concorrenza sleale

L’art. 2598 chiude l’elencazione degli atti di concorrenza sleale affermando che è tale “ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. E’ questo un criterio elastico che affida al giudice il compito di stabilire se un comportamento concorrenziale, diverso da quelli legislativamente tipitizzati, sia o meno in armonia con i canoni di etica professionale generalmente accettati e seguiti dal mondo degli affari e risponda alle esigenze di un ordinato e corretto svolgimento del gioco della concorrenza25. Tra le forme di concorrenza sleale ricondotte dalla giurisprudenza nella categoria residuale del n. 3 dell’art. 2598, vanno ricordate: a) La concorrenza parassitaria. Essa consiste nella sistematica imitazione delle altrui iniziative imprenditoriali; imitazione attuata, per un verso, con accorgimenti tali da evitare la piena confondibilità delle attività (e quindi non reprimibile in base alla fattispecie tipica degli atti di confusione), e, per altro verso, con un disegno complessivo che denota il pedissequo sfruttamento dell’altrui creatività. b) Il boicottaggio economico. Si verifica quando un’impresa in posizione dominante sul mercato (boicottaggio individuale) o di un gruppo di imprese associate (boicottaggio collettivo), rifiutano in maniera ingiustificata e arbitraria, spontaneamente o sulla base di accordi, di intrattenere rapporti con un concorrente o comunque con un soggetto la cui attività economica dipenda direttamente o indirettamente da quella dei soggetti che attuano il boicottaggio al fine di ostacolarne o addirittura bloccarne le relazioni economico sociali26.c) La sistematica vendita sotto costo dei propri prodotti (dumping). Costituisce fatto lesivo del diritto alla lealtà della concorrenza una manovra diretta a determinare il prezzo dei prodotti e dei servizi, in misura tale da essere inferiore al costo di produzione del bene o di prestazione del servizio, quando questa manovra sia diretta ad espellere i concorrenti dal mercato per acquisire in questo modo una posizione monopolistica e poter successivamente abusare ingannare il pubblico”. 25 Auteri P., “La concorrenza sleale”, in Trattato d. priv., diretto da Rescigno, vol. XVIII, Utet, Torino, 1983, p. 360. 26 Il boicottaggio secondario individuale costituisce condotta di concorrenza sleale e consiste nelle pressioni esercitate da un imprenditore su altri soggetti imprenditori perché si astengano da rapporti commerciali di un certo tipo con il boicottato a sua volta imprenditore. A tal fine occorre che il soggetto, pur non trovandosi in una situazione di monopolio in quel settore commerciale, o comunque rapportabile ad una posizione dominante, disponga una posizione di forza contrattuale tale da poter esercitare con efficacia le sue pressioni (nella specie si deduce che un produttore di abbigliamento abbia minacciato i commercianti che acquistavano da un concorrente di non vendere più loro i propri prodotti). Tribunale di Napoli, 17 luglio 2003, in Giur, napoletana 2003, p. 360.

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di questa posizione praticando prezzi che, essendo appunto monopolistici, consentirebbero non soltanto di recuperare le perdite derivanti dalla precedente vendita sottocosto, ma di avere successivi guadagni. d)Lo Storno dei dipendenti. La risorsa umana è uno dei fattori di avviamento aziendale di maggiore importanza, la libertà di concorrenza deve perciò potersi esplicare non soltanto sul mercato dei beni e dei servizi che formano oggetto dell’attività economica, ma anche sul mercato del lavoro e delle collaborazioni, di modo che ciascuna impresa possa reperire su questo mercato le risorse umane di cui ha bisogno e che possono anche attribuirle un vantaggio competitivo difficilmente superabile da parte dei concorrenti. Lo stesso art. 35 della Cost. tutelando il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, riconosce al lavoratore autonomo o subordinato di avvantaggiarsi della dinamica concorrenziale nel mercato del lavoro scegliendo il datore di lavoro in funzione della sua convenienza, non ultima quella che attiene al livello della retribuzione. Queste libertà di assumere e di essere assunti, sono incomprimibili ma non devono essere strumentalizzate per scopi che non hanno nulla a che vedere con un corretto funzionamento dell’economia di mercato e con l’obiettivo della migliore allocazione delle risorse umane, migliore per gli imprenditori e per i prestatori d’opera. L’atto mediante il quale un imprenditore si assicura prestazioni lavorative di un dipendente di un’impresa concorrente non costituisce, di per sé, un atto di concorrenza sleale, in quanto espressione del principio della libera circolazione del lavoro. Incompatibile con il corretto funzionamento dell’economia di mercato è invece, l’ipotesi in cui l’imprenditore concorrente eserciti la sua libertà di assunzione non per soddisfare un proprio bisogno organizzativo ma per disaggregare e distruggere l’organizzazione dell’imprenditore concorrente sottraendogli risorse umane indispensabili al suo funzionamento diffondendo notizie preoccupanti sulla tenuta finanziaria della sua impresa oppure affidando l’opera disgregatrice dell’organizzazione rivale ad un cospiratore posto all’interno con compiti di proselitismo. In questo caso, infatti, non si avrebbe il risultato di una ottimale allocazione delle risorse umane in quanto l’organizzazione colpita dallo storno verrebbe danneggiata, mentre l’organizzazione dell’autore dello storno non si avvantaggerebbe della risorsa umana stornata la quale verrebbe in un certo senso sprecata perché alla sua remunerazione non corrisponderebbe un incremento di vantaggio organizzativo. La giurisprudenza ha affermato che lo storno è lesivo del diritto alla lealtà di concorrenza quando è riconducibile al cosiddetto animus nocendi, e cioè ad una intenzione di nuocere il concorrente senza apportare un reale vantaggio a chi lo attua. L’animus nocendi sussiste quando la finalità del danneggiamento dell’organizzazione rivale è l’unica finalità che ha indotto il concorrente ad effettuare lo storno27. Si può quindi affermare che il giudizio sulla scorrettezza professionale deve incentrarsi, da un lato, sull’intento, sull’animus nocendi dell’autore della condotta concorrenziale controversa; dall’altro il giudizio di scorrettezza deve essere ancorato a determinate 27 Perché lo storno di dipendenti possa essere qualificato come atto di concorrenza sleale da parte dell’impresa concorrente, occorre che l’assunzione del personale altrui sia avvenuta con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intenzione di danneggiare l’impresa concorrente. A tal fine, la configurabilità dello storno non è preclusa dal fatto che contatti per passare alle dipendenze dell’impresa concorrente o per iniziare con questa un rapporto collaborativi siano avviati per iniziativa degli stessi dipendenti o agenti successivamente “stornati”, sempre che su tale iniziativa venga poi ad inserirsi l’attività dell’impresa concorrente sì da incidere casualmente (tramite, ad esempio, l’offerta di un migliore trattamento economico o di altri vantaggi) sulla decisione dei primi di interrompere il rapporto di lavoro con l’impresa in sui si trovano inseriti. (Cassazione civile, sez. I, 22 luglio 2004, n. 13658).

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circostanze oggettive28 che, anche in via alternativa, possono attestare, in via presuntiva, la presenza dell’animus nocendi29. e) L’abusiva sottrazione ed utilizzazione dell’altrui segreto aziendale. Per effetto dell’inserzione dell’art. 6 bis nella legge invenzioni con il d. lgs. 198/1996, in attuazione dei cosiddetti TRIPs (accordo sugli aspetti della proprietà intellettuale relativi al commercio, allegato al GATT), dispone espressamente che: “Costituisce atti di concorrenza sleale la rivelazione a terzi oppure l’acquisizione o utilizzazione da parte di terzi, in modo contrario alla correttezza professionale, di informazioni aziendali ivi comprese informazioni commerciali soggette al legittimo controllo di un concorrente. Costituisce quindi atto di concorrenza sleale la rivelazione a terzi (ad esempio da parte di ex dipendenti) e l’acquisizione o l’utilizzazione da parte di terzi, in modo contrario alla correttezza professionale, delle informazioni aziendali segrete30. f) Illecita interferenza con gli altrui sistemi di distribuzione. Ciascun imprenditore ha il diritto di organizzare la distribuzione dei suoi prodotti adottando sistemi caratterizzati dall’utilizzazione delle clausole di esclusiva. L’esclusiva può essere utilizzata per ripartire il territorio in altrettante zone quanti sono i distributori che beneficiano nella zona loro assegnata dell’esclusiva di vendita alla quale normalmente sono collegati gli investimenti promozionali ed organizzativi che l’esclusivista compie per accreditare e diffondere il prodotto di marca. In secondo luogo, l’esclusiva può essere utilizzata per organizzare una rete di distribuzione selettiva, caratterizzata dal fatto che i prodotti sono venduti soltanto nei punti di vendita che fanno parte della rete ed alla quale sono ammessi soltanto a seguito del fatto che soddisfano e si impegnano a soddisfare determinate condizioni programmate di solito per garantire un livello qualitativo del servizio e talvolta anche la prestazione di complessi servizi tecnologici post-vendita. Collegati oppure no alla strutturazione del sistema distributivo sulla base di esclusive territoriali oppure di esclusive collegate alla presenza di determinati requisiti dei punti di vendita, si verifica frequentemente che il produttore organizzi la distribuzione dei suoi prodotti ponendo a carico dei distributori dei vincoli di prezzo e perciò vietando contrattualmente l’adozione di prezzi di vendita inferiori ad un minimo predeterminato. Vi è dunque un interesse dell’impresa produttrice di mantenere il vantaggio competitivo derivante dal corretto funzionamento del proprio sistema distributivo; interesse che confligge con il comportamento di distributori non facenti parte del sistema organizzato dal produttore che interferiscono negativamente con il corretto funzionamento di tale sistema ponendo in vendita i prodotti nella zona dell’esclusiva oppure ponendo in vendita il prodotto ad un prezzo inferiore a quello imposto dal produttore31. 28 Quali: 1) la quantità dei soggetti stornati; 2) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente; 3) la posizione che i dipendenti stornati rivestivano nell’impresa concorrente; 4) la scarsa fungibilità dei dipendenti; 5) la rapidità dello storno; 6) il parallelismo con l’iniziativa economica del concorrente stornante; 7) i metodi adottati per convincerli a passare alle dipendenze dell’altra azienda; 8) la trasgressione di doveri di fedeltà, spesso integrata dall’essere il dipendente complice del concorrente; 9) l’avvalersi, nell’opera di persuasione del personale, di dipendenti di colui che subisce lo storno. 29 G. Spiazzi, “Storno di dipendenti e perduranti ambiguità definitorie”, in Riv. Dir. Ind., 1998, II, p. 234 e ss. 30 Si pensi, ad esempio, alla condotta di chi si impossessa delle copie di modelli di macchinari prodotti dal concorrente, procurando a quest’ultimo un danno. In tal caso , la sottrazione delle copie dei modelli integra una violazione dell’art. 2598,n. 3. c.c., in quanto vi è stata la violazione di tutte le notizie e di tutti i dati di qualche rilievo e riguardanti l’azienda, che per l’imprenditore assumono carattere riservato, di cui l’ex dipendente si sia impossessato ed abbia utilizzato scorrettamente. 31 Auteri P. “Diritto Industriale – Proprietà intellettuale e concorrenza”, G. Giappichelli editore, Torino, 2001, p. 323 e ss.

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5. Le sanzioni

La repressione degli atti di concorrenza sleale si fonda su due distinte sanzioni: la sanzione tipica dell’inibitoria (art. 2599) e quella comune all’illecito civile, del risarcimento dei danni (art. 2600). Interesse primario dell’imprenditore che subisce un atto di concorrenza sleale è quello di ottenere la cessazione delle turbative alla propria attività e di ottenerla ancor prima che l’atto gli abbia causato un danno patrimoniale. A tale finalità risponde l’azione inibitoria32; essa è diretta ad ottenere una sentenza che accerti l’illecito concorrenziale, ne inibisca la continuazione per il futuro e disponga a carico della controparte i provvedimenti reintegrativi necessari per far cessare gli effetti della concorrenza sleale. Ad esempio: rimozione o distruzione delle cose che sono servite per attuare l’illecito concorrenziale; diffusione di annunci di rettificazione…33. L’azione inibitoria e le relative sanzioni prescindono dal dolo o dalla colpa del soggetto attivo dell’atto di concorrenza sleale e dall’esistenza di un danno patrimoniale attuale per la controparte. Comunque se ricorrono anche questi ultimi presupposti, il concorrente leso potrà ottenere anche il risarcimento dei danni (art. 2600) e in deroga alla disciplina generale dell’illecito civile, la colpa del danneggiante si presume una volta accertato l’atto di concorrenza sleale (art. 2600, 3° comma). 34 Fra le misure risarcitorie il giudice può disporre anche la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali a spese del soccombente. Anche il diritto alla lealtà della concorrenza beneficia di una tutela cautelare efficace che, sempre di più, viene sostituendosi alla tutela ordinaria incapace ormai di costituire una risposta valida e rispondente alle esigenze di celerità del titolare del diritto leso. Anche con riguardo al diritto alla lealtà della concorrenza si è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il pericolo nel ritardo è in re ipsa se l’atto di concorrenza sleale è in corso di svolgimento, attesa la sostanziale irreparabilità del danno costituito dallo sviamento della clientela, sicché la tutela cautelare finisce con l’essere subordinata unicamente al presupposto del fumus boni iuris. Poiché nella materia della concorrenza sleale non sono previste misure cautelari speciali, è possibile chiedere ed ottenere il provvedimento d’urgenza che l’art. 700 c.p.c. prevede come misura cautelare di carattere generale, specificabile da parte del giudice su domanda dell’interessato in funzione della fattispecie di illecito concretamente azionata35. Legittimazione attiva e passiva e competenza nell’esperimento dell’azione cautelare sono le medesime dell’azione ordinaria di sleale concorrenza. Il procedimento cautelare in materia di concorrenza sleale è quello uniforme degli art. 699 bis e ss. c. p.c.36. L’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa dall’imprenditore o dagli imprenditori lesi. La relativa legittimazione e riconosciuta anche alle associazioni professionali degli imprenditori e agli enti rappresentativi di categoria, “quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una 32 Art. 2599: “La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti.” 33 Libertini, “Azioni e sanzioni nella disciplina della concorrenza sleale”, in Trattato Galgano, IV, p. 237 e ss. 34 Art. 2600: “Se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o con colpa, l’autore è tenuto al risarcimento dei danni. In tale ipotesi può essere ordinata la pubblicazione della sentenza. Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume.” 35 G. Floridia “Diritto industriale – Proprietà intellettuale e concorrenza”, G. Giappichelli editore, Torino, 2001, p. 637 e ss. 36 Vanzetti A. – Di Cataldo V., “Manuale di diritto industriale”, 3 ed., Giuffrè, Milano, 2000.

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categoria professionale” (art. 2601)37, nonché di recente anche alle camere di commercio (art. 2, comma 5°, legge 580/1993) che possono agire con l’azione di concorrenza sleale come enti esponenziali “degli interessi generali delle imprese” e cioè gli interessi delle categorie professionali che vengono trasfigurati come interessi della collettività38. 37 Art. 2601: “Quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una categoria professionale, l’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa anche dagli enti che rappresentano la categoria”. 38 G. F. Campobasso, “Il diritto commerciale – Il diritto d’impresa”, Utet, p.249.

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La concorrenza sleale e violazione di brevetti industriali

Sommario: 1. Considerazioni generali; 2. La tutela del brevetto per modelli di utilità nel diritto nazionale: la concorrenza sleale per imitazione servile; 2.1. La teoria delle varianti innocue; 2.2. Prodotti modulari, brevetti e imitazione servile: il caso G.U. Banaretti – Ritvik Toys Inc. e Linea Gig spa, Gig Distribuzione spa e Toy Service srl / Lego spa e Lego Sistema A.S.; 3. La tutela del “Know – How” 1. Considerazioni generali

In tema di brevetti industriali, una normativa interferente con quella relativa alle invenzioni e ai modelli industriali è certamente quella della concorrenza; infatti, questa possibilità è espressamente prevista dall’art. 2598 c.c., che definisce gli atti di concorrenza sleale dopo avere tenute “ferme le disposizioni che concernono la tutela dei diritti di brevetto”. Il problema che tuttavia è stato avvertito da tutti è quello del coordinamento fra la tutela di tipo brevettale e quella di tipo concorrenziale: la stessa Suprema Corte ha stabilito che “le azioni concesse a tutela dei brevetti e quelle in materia di concorrenza sleale hanno natura e presupposti diversi ed autonomi, le prime avendo carattere reale erga omnes ed essendo dirette alla protezione di diritti reali assoluti su beni immateriali ed alla rimozione degli effetti pregiudizievoli, mentre le seconde hanno carattere personale e sono dirette all’accertamento dell’illecito concorrenziale nelle sue vari manifestazioni ed alla pronuncia sanzionatrice delle conseguenze dannose39”. Si è rilevato che l’intero sistema della proprietà industriale e intellettuale è fondato sul principio della temporaneità delle esclusive di tipo brevettale. Ammettere quindi che alla caduta in pubblico dominio di un determinato brevetto possa sopravvivere una tutela di tipo concorrenziale, comporta il forte rischio di creare delle privative a tempo indeterminato con tre fondamentali effetti negativi: il primo di rendere la tutela brevettale scarsamente appetibile e, anzi, inutile, visto che a garantire l’esclusiva su una innovazione astrattamente brevettabile sarebbe sufficiente, meno costoso e soprattutto non condizionato da limiti temporali, il ricorso alla normativa concorrenziale. Il secondo effetto negativo sarebbe quello di impedire o limitare l’acquisizione al patrimonio collettivo del contenuto della invenzione o innovazione protetta, in tal modo pregiudicando quella finalità di contribuzione al progresso scientifico o tecnologico generale che, viceversa, la caduta in pubblico dominio è ordinata a garantire. Il terzo, di consentire in tal modo la creazione di zone più o meno estese di privativa senza determinazione di termine finale, che si risolverebbero in altrettante forme di monopolio più o meno palesi, ma dagli evidenti effetti anticoncorrenziali40. 2. La tutela del brevetto per modello di utilità nel diritto nazionale: la concorrenza sleale per imitazione servile L’interesse dell’ideatore di una forma che conferisca ad un prodotto efficacia e comodità d’impiego ad essere l’unico a poterla concretamente impiegare, salvo autorizzare terzi ad impiegarla nella loro produzione, può trovare soddisfazione anche attraverso le norme che reprimono come concorrenza sleale la cosiddetta “imitazione 39 Corte di Cassazione, sez. I civile, 7 novembre 1996, n. 9728, in Giurisprudenza annotata di diritto industriale, 1996, p. 3391 ss. 40 G. Bonelli, “Commento alla sentenza del Tribunale di Milano dell’11 ottobre 2001”, in Il diritto industriale n. 3, 2002, p. 287.

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servile”, ossia l’imitazione priva di connotati differenziali del prodotto altrui. Il primo presupposto per l’applicabilità della disciplina della concorrenza sleale è che la forma utile di cui ci si vuole riservare l’uso esclusivo non raggiunga la soglia della brevettabilità come invenzione o come modello di utilità. La ragione di tale limitazione va ricercata nella ratio del sistema brevettale: esso incentiva l’innovatore garantendogli un temporaneo diritto di esclusiva sullo sfruttamento industriale dell’idea, mentre assicura alla collettività l’acquisizione permanente al suo patrimonio culturale dell’innovazione descritta nella domanda di brevetto nonché la possibilità di farne libero uso decorso il periodo di esclusiva. Il divieto della concorrenza sleale protegge invece forme che non possiedono un particolare valore pratico – utilitaristico, ma hanno semplicemente una valenza individualizzante. Tale divieto opera senza limiti di tempo e dunque, laddove si potesse far ricorso ad esso anche in presenza di una forma brevettabile, nessuno avrebbe più interesse a brevettare: perché si dovrebbe chiedere un documento che attribuisce un’esclusiva ventennale o decennale se fosse possibile impedire in perpetuo che altri facciano uso della forma utile nella sua produzione industriale? Occorre poi tenere presente che l’imitazione servile del prodotto altrui è vietata solo quando esista un effettivo rischio di confusione circa la provenienza del prodotto da un imprenditore piuttosto che da un altro. Ciò significa che il soggetto attivo ed il soggetto passivo dell’atto di concorrenza sleale devono essere imprenditori, o che perlomeno si stiano organizzando per svolgere attività d’impresa. Occorre in secondo luogo che sussista tra i due imprenditori un rapporto di concorrenza, il che avviene quando operino sostanzialmente sullo stesso mercato, sia in senso merceologico che in senso territoriale. E’ inoltre necessario che la forma sia nuova e tale da caratterizzare, distinguendolo, il prodotto rispetto a quelli della concorrenza. Affinché sussista un rischio di confusione per il pubblico circa la provenienza del prodotto è infine necessario che la forma stessa non sia stata solo progettata da chi invochi protezione, ma anche che sia stata resa nota al mercato con la distribuzione del prodotto e la pubblicità Detto questo, un problema fondamentale, deriva dalla necessità di coordinare l’applicazione in concreto della norma che vieta l’imitazione servile con la tutela che è accordata alla forma dei prodotti dalla disciplina dei modelli ornamentali e dei modelli di utilità. Il nostro ordinamento prevede infatti, oltre ai brevetti per invenzioni, una specifica tutela brevettale per le forme esterne dei prodotti, qualora esse si distinguano per il pregio estetico o per la particolare funzione tecnica. I brevetti per modelli ornamentali proteggono le forme dei prodotti del primo tipo. La disciplina è stata recentemente riformata dal d.lgs. 95/2001 che ha attuato la direttiva comunitaria n. 98/71. In seguito alla nuova normativa non sono più tutelate le forme che presentino uno “speciale ornamento”, bensì i disegni e modelli che, oltre ad essere nuovi, abbiano “carattere individuale”. I disegni e modelli dunque, sono tutelati qualora siano nuovi e abbiano carattere individuale. La normativa sui brevetti per modelli di utilità protegge, invece, le forme che oltre ad essere nuove, attribuiscano al prodotto una “particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego”. Tanto le disposizioni sui modelli , quanto l’art. 2598, n. 1, hanno quindi ad oggetto la protezione della forma estetica di un prodotto ma, mentre tale forma è tutelata dal sistema brevettale con l’obiettivo di stimolare l’innovazione e, quindi, di reprimere l’imitazione delle caratteristiche intrinsecamente attrattive dei prodotti, la disciplina contro l’imitazione servile tutela la forma del prodotto in quanto dotata di efficacia distintiva ed idonea, quindi, ad indicare la provenienza da una determinata impresa. Sebbene le forme vengano tutelate, da una disciplina, per la loro

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funzione di utilità o di pregio estetico; dall’altra, per la loro funzione distintiva, spesso le caratteristiche che attribuiscono pregio estetico o tecnico coincidono con i caratteri essenziali della forma, e, quindi, anche con i caratteri distintivi. Il problema si fonda pertanto sulla difficoltà di conciliare la protezione della forma, limitata nel tempo, garantita dalla normativa brevettale (tutela limitata allo scopo di consentire la caduta in pubblico dominio delle innovazioni ed evitare effetti monopolistici su determinate forme), con quella potenzialmente illimitata, prevista dalla disciplina della concorrenza sleale, avente lo scopo di tutelare la necessità che altri non si approprino della forma distintiva. Date le caratteristiche delle due discipline, è necessario trovare un coordinamento per evitare che, attraverso un’applicazione illimitata nel tempo della concorrenza sleale, si estendano indefinitamente i diritti sulle forme brevettabili. A questo fine, si ritiene che il divieto di imitazione servile non possa riguardare le stesse caratteristiche suscettibili di protezione brevettale e il possibile conflitto tra normative viene risolto sancendo che possono essere tutelate attraverso l’art. 2598, n. 1, solo le forme che svolgono esclusivamente una funzione distintiva. Non possono essere protette nello stesso modo, invece, le forme che presentano anche una funzione di utilità o un particolare pregio estetico: in caso contrario, infatti, si renderebbe vana la tutela delle privative che, attribuendo diritti di esclusiva limitati nel tempo e subordinati a formalità di deposito, consenta la caduta in pubblico dominio dei progressi raggiunti nel campo della tecnologia o dell’estetica41. Le forme aventi pregio estetico o funzionale sarebbero, quindi, tutelate esclusivamente dalla disciplina dei modelli industriali e il valore distintivo eventualmente presente in un modello non troverebbe tutela. Nei confronti delle forme che sono considerate dall’ordinamento meritevoli della protezione brevettale vige infatti il principio della necessità che, alla scadenza del brevetto o qualora questo non sia stato richiesto sino liberamente imitabili, di modo che sia garantita la futura innovazione. Lo spazio per l’applicazione della disciplina dell’imitazione servile resta pertanto, circoscritto alla tutela della forma “arbitraria” o “capricciosa”, dal momento che le forme che siano necessarie per il raggiungimento di un pregio tecnico o estetico, qualora siano brevettabili, non sono tutelabili attraverso il divieto dell’imitazione servile. In definitiva, non può essere tutelata contro l’imitazione servile la forma la cui riproduzione sia necessaria per il raggiungimento di determinate utilità, funzionali o estetiche42. Posta la questione in questi termini, ne discende che la 41 Così, nel caso di imitazione dei tessuti di un concorrente, si è osservato che: “l’art. 2598, n. 1, c.c, nel proteggere l’imprenditore dall’imitazione servile del concorrente, non gli attribuisce anche il diritto di servirsi in esclusiva e senza limiti temporali, di un proprio prodotto che ha costituito o avrebbe potuto costituire oggetto di un modello ornamentale. La norma, infatti, non vieta l’imitazione di forme utili o estetiche non coperte da brevetto, ma tutela solo le forme cosiddette individualizzanti che, non fornite di particolari pregi di utilità o di estetica, manifestino la loro idoneità ad incidere sull’avviamento ed abbiano l’effetto di differenziare i prodotti di un imprenditore rispetto a quelli dei concorrenti. Pertanto, quando tutti gli elementi che hanno contribuito a realizzare le forme di un prodotto non coperto da privativa sono funzionali rispetto al conseguimento del suo pregio estetico, essi sono liberamente imitabili, dovendo trovare spazio la tutela dell’interesse pubblico alla libera fruizione e appropriabilità delle realtà estetiche o ornamentali. Del resto il divieto generale dell’imitazione servile dei prodotti altrui, in quanto rappresentante il necessario completamento del diritto alla libera concorrenza, non potrebbe creare situazioni di monopolio di fatto oltre quello fondato su titoli brevettali dal momento che, in tal modo, verrebbe a trasformarsi in perpetua quella tutela che, al di fuori delle forme individualizzanti, presuppone invece una destinazione finale al pubblico dominio dei prodotti dell’attività creativa” (App. Milano, 18 settembre 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3839). 42 E’stata , ad esempio, esclusa l’ipotesi di imitazione servile nel settore della produzione di modellini di automobile: “I prodotti della Hofbauer, infatti, non sono altro che mere riproduzioni (inminiatura ed in scala “standard”) di modelli originali già noti in tutte le loro caratteristiche esteriori, riproduzioni che

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disciplina contro l’imitazione servile può trovare uno spazio di applicazione soltanto dove sia possibile individuare forme che, pur dotate di pregio estetico o di utilità, non lo siano però dal punto da poter essere brevettate, non essendo concepibile ridurre l’applicazione di questa disciplina solo alle forme “brutte” o “antifunzionali”. Anche la giurisprudenza ha sottolineato che il coordinamento tra le diverse discipline non può certo essere rinvenuto nella tutela ex art. 2598, comma 1, c.c. delle sole forme “brutte o antifunzionali”, al contrario trova il proprio ambito operativo anche e soprattutto per forme di una certa gradevolezza estetica o di una certa funzionalità non particolarmente caratterizzanti od originali e pertanto non brevettabili43. Per queste considerazioni si è sottolineata la necessità che la normativa brevettale sia applicata in modo da non tutelare qualsiasi forma ornamentale o funzionale, ma solo quelle che si distinguano perché presentano uno “speciale ornamento” o “una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego”. La situazione è destinata a complicarsi, in seguito all’entrata in vigore della nuova legge in materia di disegni e modelli. I requisiti richiesti per l’accesso alla tutela e, tra questi, in particolare, la necessità che il disegno o modello si distingua da quelli preesistenti per l’impressione suscitata sugli utilizzatori, potrebbero in futuro porre il problema derivante dal fatto che il giudizio della forma ai fini della registrazione ed il giudizio della forma ai fini della protezione contro l’imitazione servile, potrebbe basarsi su elementi molto simili. Se così fosse, la conseguenza potrebbe essere che alle forme registrabili non potrebbe essere applicata la disciplina della concorrenza sleale, ma quest’ultima non potrebbe trovare applicazione (per mancanza dei requisiti) neppure alle forme che non siano registrabili. Una possibile soluzione può fondarsi sul fatto che la protezione dei disegni e modelli si basa sull’analisi dell’impressione suscitata sugli utilizzatori “informati”. Tale specificazione potrebbe condurre ad un confronto maggiormente analitico tra diversi modelli, a differenza della valutazione, sintetica e complessiva in quanto avente come riferimento il consumatore medio, svolta per l’applicabilità della disciplina della concorrenza sleale. In questo modo si potrebbero applicare requisiti in parte diversi per l’applicazione delle due normative, consentendo di trovare ancora spazio per la disciplina contro l’imitazione servile. 2.1 La teoria delle varianti innocue Un’ampia giurisprudenza e una parte della dottrina, tenta di attenuare il rigore della posizione che afferma la libera imitabilità delle forme necessarie per raggiungere un pregio estetico o funzionale con la teoria delle varianti innocue, sostenendo che, nelle ipotesi in cui la forma sia liberamente imitabile, quando sia possibile introdurre alla forma del prodotto delle varianti che, pur lasciando sostanzialmente impregiudicato il devono essere fedeli agli originali nella misura più ampia possibile: essi, quindi, sono privi di qualsiasi originalità e personalizzazione nella forma esteriore, essendo quest’ultima l’unica possibile per garantire l afedele riproduzione degli originali e dunque “funzionalmente necessaria”. A ciò si aggiunga la “generalizzione” di questo tipo di produzione che induce ad escludere in radice la configurabilità di un qualsiasi diritto di esclusiva o priorità dell’attrice nel campo dell’automodellismo. Quest’ultimo è difatti contraddistinto da elementi estrinseci inscindibilmente dipendenti e necessitati da caratteristiche strutturali e funzionali, e quindi liberamente imitabili, dal momento che presupposto del divieto di cui all’art. 2598 n. 1 c.c è che l’imitazione si riferisca a prodotti la cui forma appaia esclusiva, così da indivualizzarli tra quelli dello stesso gnere, e tale presupposto non sussiste quando al momento dell’imitazione la relativa forma era già utilizzata da altri imprenditori concorrenti” (Trib. Firenze, 17 maggio 1995, in Giur. Ann. Dir. Ind. 1995, p. 3417). 43 Trib. Milano, 27 luglio 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3833.

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pregio estetico della forma, permettano di evitare la confondibilità, sia onere dell’imitatore adottare tali varianti. Si eviterebbe in questo modo il pericolo confusorio, pur consentendo di sfruttare la capacità attrattiva delle forme, qualora non siano brevettate o il brevetto sia scaduto. Una parte della giurisprudenza afferma quindi che, qualora la forma sia necessaria per raggiungere un certo pregio estetico o una particolare utilità, possa essere imitata – nel caso in cui il brevetto sia scaduto o non sia stato richiesto – ma solo apponendo delle varianti che consentano la differenziazione quanto all’origine imprenditoriale del prodotto. Questo perché il divieto di imitazione servile va a colpire la riproduzione solo degli elementi “individualizzanti”, degli elementi cioè, dotati di capacità distintiva ed idonei quindi ad indicare l’origine dei prodotti. Qualora non sia possibile scindere gli aspetti del prodotto dotati di valore ornamentale o di utilità da quelli dotati di valore distintivo, viene imposto l’onere di apportare varianti “innocue”. L’imitazione della forma estetica di un prodotto, quindi, sarebbe illecita solo quando l’imitatore avrebbe potuto apportare delle modifiche senza pregiudizio del pregio estetico e non lo abbia fatto44. In sostanza, quindi, una parte della giurisprudenza richiede che, qualora una forma presenti un valore estetico o di utilità che non sia, però, tale da consentire la brevettazione, per poter imitare il prodotto vengano apportate modifiche che consentano di evitare in ogni caso il rischio di confusione45 . 2.2 Prodotti modulari, brevetti e imitazione servile: il caso G. U. Banaretti – Ritvik Toys Inc. e Linea Gig S.p.A, Gig Distribuzione S.p.A. e Toy Service S. r. l. / Lego S.p.A. e Lego System A.S.46 Con atto di citazione in data 26 marzo 1998, Ritvik Toys Inc., Linea Gig spa e Toy Service srl , convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Milano, la Lego spa e Lego System A/S per sentir accertare e dichiarare che la vendita in Italia di mattoncini per giochi di costruzione della linea “Micro Mega Bloks” e “Mini Mega Bloks”, prodotti dalla Ritvik, distribuiti dalle altre attrici e compatibili con i mattoncini “Lego” e 44 Costituisce atto di concorrenza sleale per imitazione servile confusoria ex art. 2598, n. 1, la produzione di un manufatto di aspetto esteriore identico a quello di un prodotto, non brevettato, già precedentemente commercializzato, qualora, pur essendo possibile, non siano apportate le dovute varianti. Al di là della tutela brevettale vige nel nostro ordinamento il divieto dell’imitazione servile con fusoria; il principio infatti della libra appropriabilità delle idee è condizionato all’adozione di varianti idonee appunto ad escludere confusione tra i prodotti tale da indurre il consumatore in errore circa la reale provenienza del prodotto stesso. Il diritto a sfruttare il pregio artistico del prodotto altrui, anche mediante imitazione servile, sussiste soltanto quando le caratteristiche del prodotto siano tali da non consentire l’introduzione di nuovi elementi connotanti che potrebbero determinare una riduzione del valore dle prodotto od addirittura pregiudicarne la possibilità di commercializzazione” (Trib. Firenze, 7 maggio 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3809). 45 Nel caso dell’imitazione del modello di un armadio, ad esempio, si è affermato che: “La mancata brevettazione di un prodotto come modello di utilità consentirebbe di copiare l’idea funzionale altrui, ma non di copiare le forme la cui riproduzione determinerebbe semplicemente l’indistinguibilità dei prodotti nel mercato. Lasciando invariata la soluzione funzionale dell’armadio – con ante orizzontali a scorrimento – si impone comunque, di fronte ad una soluzione estetica originale, la necessità di addurre varianti che evitino la confondibilità nel mercato” (Trib. Milano, 27 settembre 1998, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1998, p. 3833). 46 Tribunale di Milano, 11 ottobre 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, p. 340 ss.

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“Duplo” di Lego, non costituisce violazione di alcun diritto (di brevetto, marchio o di altro genere) spettante alle società Lego, né costituisce atto di concorrenza sleale nei loro confronti. Le società Lego hanno richiesto il rigetto delle domande avversarie e, in via riconvenzionale, la condanna delle controparti per concorrenza sleale in relazione alla commercializzazione in Italia di mattoncini compatabili con quelli Lego. Si tratta di decidere se, scaduto il brevetto che protegge un sistema modulare, sia possibile per i concorrenti non solo utilizzare il concetto innovativo o inventivo in esso concretizzato, ma utilizzarlo in modo tale da poter connettere o assemblare i propri prodotti con quelli provenienti dal soggetto già titolare del brevetto in questione. I sistemi modulari sono quei prodotti destinati a connettersi e combinarsi fra loro per dare vita ad un prodotto composto, e che presentano una utilità non già di per sé, ma solo (si pensi al mattoncino Lego) o soprattutto (si pensi al mobile componibile) in unione con la universitas nella quale possono collegarsi fra loro; costituiscono così prodotti modulari ad esempio una serie di mobili od oggetti d’uso componibili (scaffali, armadi, contenitori, bicchieri e piatti impilabili), giochi quali il Meccano o il Lego. Vi è la preoccupazione che con la caduta in pubblico dominio di una invenzione o di un modello che si riferisca ad un prodotto modulare, i concorrenti, venendo ammessi ad una utilizzazione indiscriminata di quanto a suo tempo protetto dal brevetto, siano perciò stesso messi nella condizione di poterne profittare in modo parassitario in quanto autorizzati a produrre elementi modulari connettibili a quelli realizzati dall’ex titolare della privativa ed utilizzabili in unione con essi, profittando in tal modo dell’avviamento conseguito da quest’ultimo. Dottrina e giurisprudenza, richiamando l’art. 2598, n.1, c.c., riconoscono una tutela extrabrettuale (ossia successiva allo spirare del brevetto o indipendentemente da esso qualora un brevetto non sia stato richiesto) al prodotto modulare. Il problema che tuttavia è stato avvertito da tutti è quello del coordinamento fra la tutela di tipo brevettale e quella di tipo concorrenziale. Ammettere quindi che alla caduta in pubblico dominio di un determinato brevetto possa sopravvivere una tutela di tipo concorrenziale, comporta il forte rischio di creare delle privative a tempo indeterminato. Si è constatato che esistono forme di tipo funzionale od ornamentale brevettabili come modelli o invenzioni e che spesse volte tali forme, anche se cadute in pubblico dominio per lo spirare dei termini di protezione brevettali, hanno acquisito anche una sicura valenza distintiva, tale pertanto da dare possibile ingresso ad una tutela contro l’imitazione servile. Una possibile mediazione fra l’esigenza di tutela della capacità individualizzante di tale forme contro la loro imitazione servile e, all’opposto, l’esigenza di evitare il consolidarsi di una protezione che risulti, all’atto pratico, equivalente a quella di tipo brevettuale ma perpetua, è stata intravista nell’imporre a colui che voglia utilizzare l’idea inventiva o innovativa presente in un determinato brevetto caduto in pubblico dominio, l’onere di adottare nella realizzazione pratica di esso delle varianti che, pur non incidendo sul valore funzionale od estetico del prodotto così realizzato, valgono tuttavia a differenziarlo da quello realizzato dal titolare originale del brevetto scaduto (c.d. teoria delle varianti innocue). La Suprema Corte ha dato applicazione a tale principio47, cosicché la sua decisione implica che caduta in 47 Ha infatti affermato che “…il produttore è tenuto a sperimentare la possibilità di addurre varianti che, pur distinguendolo da quello del produttore che per primo realizzò tale forma individualizzante, evitino la confondibilità nel mercato. Il concorrente insomma ha diritto di realizzare egli stesso analoga compatibilità tra i “propri” mattoncini, così da dare vita ad identica funzione di componibilità. Non può, salvo che non sia inevitabile per ripetere la funzione, pretendere di mettere in commercio prodotti capaci di essere compatibili con quelli del concorrente, perché ciò gli consentirebbe di avvantaggiarsi oltrechè

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pubblico dominio l’invenzione, è possibile ai concorrenti riprendere l’idea base sottostante al “Lego”, ma non nella versione concretamente utilizzata dalla omonima casa costruttrice e, soprattutto, non in modo da potersi connettere al gioco da questa realizzato. La Suprema Corte, ha dunque dichiarato la liceità, alla scadenza del brevetto, della ripresa dell’idea, ma non anche della forma del prodotto, ove risultino introducibili varianti “innocue”, e l’illiceità della commercializzazione di prodotti modulari compatibili con quelli del concorrente, posto che tale attività consentirebbe lo sfruttamento dell’avviamento altrui. Il Tribunale di Milano, però non condivide tale decisione: “ E’ lecita sotto il profilo concorrenziale la produzione e la vendita di prodotti modulari compatibili con quelli del concorrente. La compatibilità infatti non implica necessariamente confondibilità e costituisce una specifica utilità, liberamente appropriabile in assenza di privativa”. Punto di partenza è il principio della libertà di concorrenza e di iniziativa economica che tollera restrizioni soltanto per ragioni brevettali (limitate nel tempo) o anche concorrenziali (tendenzialmente perpetue), ma in tal caso, esclusivamente per le sleali modalità di svolgimento. Ne consegue che l’oggetto del brevetto, una volta caduto in pubblico dominio, deve ritenersi liberamente riproducibile in tutte le sue utilità, mentre restano suscettibili di tutela, per il divieto di imitazione servile, soltanto gli aspetti formali dotati di capacità distintiva e, al contempo, superflui, tecnicamente insignificanti, arbitrari o capricciosi. In un prodotto costituito da mattoncini compatibili per giochi di costruzioni, la compatibilità risponde ad una precisa esigenza insita nella natura del prodotto – l’elemento di costruzione – il quale non esprime alcun significato di utilità considerato di per se stesso, ma soltanto nella sua unione con altri elementi a formare un sistema più o meno complesso. La compatibilità risponde dunque ad un interesse comune dei produttori concorrenti e del pubblico dei consumatori, con la conseguenza che la ripresa della forma e delle dimensioni dell’altrui prodotto modulare dirette ad ottenere la compatibilità con esso è lecita sotto il profilo concorrenziale. Le varianti di forma o dimensioni di un prodotto modulare che rendano tale prodotto non compatibile con la serie modulare del concorrente, pur in astratto realizzabili, non possono essere considerate “innocue”, perché importano la rinunzia ad una specifica utilità, rappresentata dalla compatibilità. L’invenzione del “ Lego”, ha fra le sue principali caratteristiche di utilità, e quindi di funzionalità, proprio l’attitudine, raggiunta attraverso una determinata forma e sagomatura del mattoncino brevettato di dar luogo ad un sistema modulare. Il punto è di notevole importanza in quanto l’art. 2598, n. 1, c.c., afferma che non sono proteggibili in base al divieto di imitazione servile le cosiddette forme funzionali e quelle atte a conferire al prodotto un particolare ornamento. Questo perché si vuole evitare che, tramite il divieto della imitazione servile, si finisca per riconoscere di fatto una tutela perpetua a soluzioni funzionali od ornamentali che, trovando la propria naturale protezione nelle norme brevettali, il sistema vuole connotate dal carattere di temporaneità. Secondo taluni il concetto di forme funzionali è limitato alle sole forme necessarie, cioè astrattamente indispensabili per riprodurre un determinato prodotto e le caratteristiche estetiche o funzionali che contraddistinguono il brevetto che lo protegge; altri invece vi ricomprendono le forme utili, nel senso di fornire un vantaggio migliorativo al prodotto in senso tecnico e/o funzionale. Se nel concetto di forme funzionali rientrano anche le forme utili ne consegue che il divieto di imitazione servile, rispetto ad esse, non potrà operare e tale divieto si riduce dell’ idea, anche di quanto, sfruttando quell’idea, il suo concorrente è riuscito a conseguire in termini di avviamento”. (Cass. 9 marzo 1998, n. 2578.)

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unicamente agli aspetti formali dotati di capacità distintiva e, al contempo, superflui, tecnicamente insignificanti, arbitrari o capricciosi… Non pare contestabile che la forma, la sagomatura e le caratteristiche di incastro del mattoncino Lego rientrino nel concetto di forma utile e quindi funzionale e questo non solo in ragione delle caratteristiche intrinseche del mattoncino in sé considerato ma anche alla prerogativa e utilità ulteriore rappresentata dalla modularità del sistema così realizzato, ossia la possibilità di collegare all’infinito un pezzo all’altro per realizzare le forme più svariate. Insomma, la modularità è una utilità funzionale in sé del Lego è anzi l’utilità principale. La stessa Direttiva 98/71/CE ha dato autonomo rilievo alla modularità come specifica utilità e pregio; essa infatti esclude dalla brevettabilità (art. 7.2) le caratteristiche esterne di un prodotto “…che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per potere consentire al prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o cui è applicato di essere unito o connesso meccanicamente con altro prodotto”. Si tratta delle forme di interconnessione, ovvero le caratteristiche formali che consentono ad un prodotto di essere connesso ad un altro; il legislatore comunitario ha vietato la brevettabilità di queste forme al fine di evitare che i fabbricanti dei prodotti, monopolizzando le forme e le dimensioni dell’interconnessione ed escludendo in tal modo la compatibilità tra prodotti di marche diverse, creino indebiti ostacoli di tipo monopolistico alla concorrenza. Peraltro l’art. 7.3 della Direttiva, ha previsto la possibilità di brevettare i disegni e modelli che hanno “lo scopo di consentire l’unione o la connessione multipla di prodotti intercambiabili in un sistema modulare”. Tale eccezione al divieto posto dall’art. 7.2, quindi, si giustifica in quanto viene riconosciuto alla modularità una utilità a se stante. Anche per questa via sembra dunque corretta e condivisibile la conclusione finale a cui giunge il Tribunale di Milano ossia che: “ …la soluzione qui accolta considera la compatibilità nei sistemi modulari come utilità riconosciuta, già oggetto di privativa brevettuale scaduta e quindi ormai liberamente appropriabile”. Se tutto quanto sin qui detto è vero, ne segue che, una volta caduto in pubblico dominio il brevetto del “Lego”, da un lato non è impossibile impedire al concorrente, in base al divieto di imitazione servile, di sfruttare il pregio della modularità insita nell’invenzione, in quanto trattasi di forma funzionale; dall’altro non è possibile imporgli la adozione di varianti che impediscano la interconnessione con il sistema “Lego”, in quanto impedendogli di avvalersi della funzione di compatibilità, non potrebbero certo considerarsi varianti innocue. Vi è poi l’esigenza di evitare che la caduta in pubblico dominio non sconfini nell’approfittamento dell’avviamento altrui. Premesso che nel nostro ordinamento non esiste un divieto generale di copiare i prodotti altrui vigendo semmai, in assenza di un valida privativa, la regola opposta, vi è da ricordare che i brevetti dei quali un imprenditore sia titolare costituiscono, appunto, parte fondamentale del suo avviamento; appare quindi fisiologico, che una volta che un determinato brevetto cada in pubblico dominio, si verifichi a suo danno una perdita di avviamento e, parallelamente, un appropriazione di esso da parte dei concorrenti, che sono ammessi a sfruttare liberamente un trovato frutto di meriti altrui. Se quindi fra le caratteristiche utili di una privativa altrui rientra la modularità, non si vede per quale motivo, proprio tale caratteristica debba essere preservata in modo perpetuo. La normativa antitrust conferma la validità della tesi sostenuta dal Tribunale di Milano: in genere, infatti, esiste un disfavore nei confronti di quelle situazioni nelle quali l’acquirente, una volta effettuato il primo acquisto, rimarrebbe “prigioniero” di questo, essendo costretto dal gioco delle esclusive ad effettuare tutti gli ulteriori suoi acquisti dall’impresa dalla quale ha effettuato il primo. Questo è il tipico effetto dell’incompatibilità fra prodotti che sarebbero o potrebbero essere in sé per sé fra loro

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compatibili, ma che vengono resi non più tali per effetto di un divieto legale. Sotto il profilo concorrenziale, la conseguenza che avrebbe l’impostazione seguita dalla Suprema Corte è che chi abbia in passato acquistato mattoncini “Lego” e voglia in futuro ampliare la propria collezione, dovrà sempre acquistare prodotti “Lego”; e ciò anche decorso molto tempo dalla cessazione della esclusiva brevettuale. Ulteriore conseguenza di questa impostazione è che, costringendo i concorrenti a creare una propria serie modulare, che a quel punto sarà protetta esattamente come quella “Lego”, si determinerà una segmentazione del mercato in altrettanti piccoli monopoli, con la creazione di altrettanti spazi non soggetti a pressione concorrenziale e costituiti, per ciascuna impresa, dai propri clienti acquisiti. La adozione di standard di compatibilità, ha invece, l’effetto di incrementare la gamma di prodotti offerti potenzialmente fungibili fra loro rappresentando, conseguentemente, un incentivo ad una concorrenza sui prezzi, il che dovrebbe da un lato migliorare la efficienza del mercato, dall’altro levare il grado di soddisfazione dei consumatori che si troverebbero di fronte ad un’offerta maggiormente diversificata ed a prezzi inferiori. Il Tribunale ha quindi dichiarato che la vendita in Italia dei mattoncini della linea Mega Bloks (Micro e Mini) da parte delle attrici, mattoncini compatibili con quelli delle convenute, non viola alcun diritto di queste ultime, né costituisce concorrenza sleale; ha risolto dunque negativamente il problema circa una possibile tutela extra - brevettuale dei prodotti modulari. Il Tribunale, inoltre, ha affermato che la distinzione tra elementi modulari e pezzi di ricambio non giustifica una differenza di disciplina che, implicherebbe, che mentre la compatibilità dei sistemi modulari non potrebbe essere liberamente appropriabile, liberamente appropriabile sarebbe, viceversa, la compatibilità propria dei pezzi di ricambio. Il carattere di accessorietà dei pezzi di ricambio, non rinvenibile negli elementi modulari, ovvero la normale componibilità degli elementi modulari e non dei pezzi di ricambio, ad opera dell’utilizzatore, non paiono giustificare un trattamento così radicalmente diverso. Una prima conseguenza di quanto detto finora, è che, l’apposizione sui prodotti compatibili con altrui pezzi modulari dei marchi della casa produttrice e la adozione di confezioni sufficientemente differenziate rispetto a quelle del “Lego” vale ad escludere ogni possibilità di confusione od inganno per la clientela. Negata infatti una tutela contro la imitazione servile degli elementi funzionali di un prodotto modulare, una volta che questo sia caduto in pubblico dominio, appare chiaro che il pericolo di confusione che il divieto di imitazione servile è pur sempre chiamato in generale ad impedire, potrà dirsi scongiurato dagli unici elementi di differenziazione che possono in tale caso operare, ossia quelli estrinseci al prodotto; nel caso di specie i marchi che lo accompagnano e le confezioni nelle quali esso è presentato. Che infine, almeno nel caso del “Lego”, il momento determinante per valutare la confondibilità dei prodotti sia, come ritenuto dal Tribunale di Milano, quello della scelta e non del successivo utilizzo del prodotto, appare persuasivo – la possibilità di confusione rilevando al momento dell’acquisto e non dopo, quando, per così dire “i giochi sono fatti” -, e quindi anch’esso condivisibile. Per tutti questi motivi il Tribunale di Milano ha accolto le domande delle attrici, rigettato le domande riconvenzionali e condannato le convenute in solido a rifondere le spese processuali.

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3. La tutela del “Know – How” Ci sono una serie di informazioni di natura tecnica e commerciale che costituiscono un bene economico in quanto conferiscono all’imprenditore che le possiede un vantaggio concorrenziale. Il loro valore economico è legato alla loro utilità ed al fatto che non siano agevolmente accessibili da parte di terzi: solo a tali condizioni infatti è giustificabile che taluno sia disposto a pagare per venirne a conoscenza. In quanto beni suscettibili di valutazione economica, esse possono essere oggetto di atti di disposizione (cessione, licenza) verso terzi. Si tratta di informazioni e conoscenze, tecniche, organizzative, procedurali che prendono il nome di Know – How. Su di esse nessuno può vantare un diritto di esclusiva, perché sono carenti dei requisiti richiesti dalla legge o perché comunque non sono state oggetto di una domanda di brevetto. L’ordinamento tutela gli imprenditori che impiegano notevoli risorse per acquisire e difendere tali informazioni, benché non brevettate. Vi sono così una serie di norme che, attraverso la difesa della riservatezza, la repressione della concorrenza sleale, la reazione contro la violazione di obblighi contrattuali, tutelano e consentono al titolare di mantenere un’esclusiva di fatto su questo importante patrimonio di informazioni. Quando però tali informazioni cadono in pubblico dominio, il titolare non potrà evitare che chiunque le possa utilizzare, e la tutela sarà limitata alla richiesta di risarcimento del danno da parte del responsabile della divulgazione. Se, dunque il dipendente infedele o il contraente inadempiente fa cadere in dominio pubblico l’invenzione segreta, il titolare dell’invenzione potrà solo richiedere il risarcimento del danno a costoro, ma l’esclusiva di fatto sull’invenzione, legata al regime di segreto in cui era mantenuta sarà irrimediabilmente persa. A parte le conoscenze non brevettabili, per cui l’unica possibilità di protezione è il segreto, spesso anche le innovazioni che avrebbero tutte le caratteristiche per poter essere brevettate vengono tutelate per mezzo del segreto e non del brevetto. Con la brevettazione, infatti, le informazioni relative all’invenzione cadono in pubblico dominio ed il periodo di esclusiva previsto dalla legge è limitato nel tempo. Il regime di segreto, invece, impedisce ai concorrenti di appropriarsi delle idee innovative e di impostare la ricerca sulla base del progresso tecnologico ottenuto dall’innovatore, e consente di sfruttare l’innovazione per un periodo di tempo potenzialmente illimitato. Il segreto garantisce poi, un monopolio planetario e non costringe a complesse e dispendiose procedure di brevettazione plurinazionali. Vi sono però, anche le controindicazioni: rischio di spionaggio industriale e storno dei dipendenti, imprevedibilità della durata, possibilità di lecita appropriazione tramite riserve engeneering. Per i segreti relativi alla composizione ed alla struttura dei prodotti, infatti, la difesa si rivela quasi sempre impossibile in quanto una volta immessi sul mercato tali prodotti, i concorrenti possono lecitamente analizzarli e capirne le caratteristiche ed i dati innovativi. La legge mette a disposizione dell’imprenditore diversi strumenti per difendere le proprie informazioni riservate. Fino alla recente emanazione di una specifica norma a tutela del segreto aziendale, sono stati i giudici a sviluppare un sistema di difesa del segreto fondato sull’art. 2598 c.c. che reprime la concorrenza sleale. Recentemente è stata introdotta all’interno della legge brevetti (art. 6 bis) prima e nel Codice dei diritti di Proprietà Industriale (art. 98) poi, una norma che tutela specificamente e direttamente le informazioni aziendali segrete. Per godere di questa tutela le informazioni protette devono possedere tre requisiti: devono essere segrete, nel senso che non devono essere generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;

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devono avere valore economico in quanto segrete; devono essere sottoposte a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete. La rivelazione a terzi oppure l’acquisizione o utilizzazione da parte di terzi in modo contrario alla correttezza professionale di tali informazioni, sono considerate dalla legge atti di concorrenza sleale, e come tali repressi. In quest’ottica, diventa molto importante per godere della tutela fornita dalla norma dimostrare di avere predisposto appositi sistemi di protezione: accesso alle informazioni limitato e selettivo unito a barriere interne alla divulgazione, sistemi meccanici (chiavi, lucchetti, casseforti) e informatici (password), segnalazione dei documenti (riservato, segreto), sottoscrizione da parte dei dipendenti interessati di specifici obblighi di non divulgazione. Per quanto riguarda la tutela delle informazioni riservate, cioè quelle informazioni che, seppure non segrete, costituiscono per l’azienda un valore e che non s’ intende mettere a disposizione del pubblico, i giudici hanno utilizzato le norme che reprimono la concorrenza sleale e vietano atti contrari ai principi di correttezza professionale48. Viene pertanto punita e repressa non solo la sottrazione di informazioni segrete, ma anche la sottrazione di quelle riservate, non destinate ad essere divulgate49. Il dipendente ha un obbligo di fedeltà nei confronti del suo datore di lavoro, obbligo da cui scaturisce il divieto di divulgare, o di fare direttamente uso, di notizie attinenti all’organizzazione ed ai metodi di produzione dell’impresa. In tali notizie rientrano i segreti e tutte le informazioni sottoposte a speciali misure di protezione da parte dell’azienda, la cui divulgazione è sanzionata dagli artt. 622 e 623 del c.p.; ma tra esse rientrano anche tutte le notizie riservate attinenti l’impresa. Quindi, oltre alle informazioni su tecniche e processi produttivi, composizione dei prodotti e tutto il Know – How tecnico, vengono tutelati i dati attinenti all’organizzazione ed all’attività commerciale dell’azienda: banche dati clienti e fornitori, sistemi interni di organizzazione del personale, politiche del prezzo, tecniche di conduzione dei rapporti con clienti e fornitori…alla cessazione del rapporto di lavoro, cadrà il divieto in capo al dipendente di utilizzare queste informazioni, eccezion fatta per i segreti veri e propri, la cui divulgazione rimane illecita. Alla fine del rapporto di lavoro, cessa anche l’obbligo di fedeltà: l’ex dipendente rimane obbligato a non divulgare i segreti veri e propri dell’azienda, ma può servirsi di tutte le altre informazioni acquisite nel corso del rapporto di lavoro: informazioni spesso riservate, che costituiscono però il patrimonio di esperienza professionale del lavoratore. L’imprenditore può pattuire con il lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto professionale un obbligo di non divulgare ogni tipo di informazione. 48 Un caso tipico di informazioni riservate, è costituito dalle banche dati (elenco dei fornitori, dei clienti), che sono costituite da elementi di per sé noti al pubblico, ma che assumono un preciso valore in quanto raccolti in un unico elenco. 49 Per fare un esempio, i giudici sanzionarono la divulgazione ad un concorrente dell’elenco dei fornitori di un’industria chimica, avvenuta tramite lo studio del commercialista di quest’ultima. Tale elenco era costituito da dati pubblici e generalmente accessibili, se presi isolatamente, ma complessivamente considerati consentirono al concorrente che ne venne in possesso di ricostruire e svelare la composizione di una speciale resina chimica protetta a sua volta da segreto.

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La disciplina dei brevetti nel nuovo codice della proprietà industriale Sommario: 1. Introduzione: la proprietà intellettuale e la proprietà industriale; 1.1. Il Codice dei diritti di Proprietà Industriale e la sua genesi ; 1.2. Considerazioni conclusive; 2. I brevetti per invenzione nel nuovo Codice della Proprietà Industriale; 2.1. La natura e la funzione del diritto di brevetto; 2.2. I requisiti dell’invenzione; 2.3. Tipologia di invenzioni brevettabili; 2.4. La procedura per ottenere un brevetto; 3. La tutela del brevetto nel diritto nazionale. 1. Introduzione: la proprietà intellettuale e la proprietà industriale

La “proprietà intellettuale” è un’espressione utilizzata in modo generico per indicare un fascio od una serie di diritti che proteggono e tutelano attività di tipo immateriale, la cui importanza economica è fondamentale e non va sottovalutata. Essa infatti designa l’insieme dei diritti riconosciuti da un dato ordinamento per la tutela del brevetto per invenzione, del marchio d’impresa, del diritto d’autore, dei modelli e disegni ornamentali, del diritto di costituzione di specie vegetali e dei diritti connessi. I diritti creati e rientranti sotto questa definizione sono diritti di proprietà, perché si concretizzano nei confronti di chiunque agisca contro di essi, anche se lo fa perché ne ignora l’esistenza. Si tratta però sempre di creazioni della mente, come un’idea per un’invenzione, una melodia ed un’armonia composte in un brano musicale o una data raffigurazione con la funzione del marchio: essi non possono, come invece sarebbe possibile nel caso di oggetti fisici, essere protetti contro l’utilizzo da parte di altri soggetti, solo attraverso il mero possesso dell’oggetto. Una volta che la creazione intellettuale sia resa disponibile al pubblico, il suo creatore di fatto non può esercitare a lungo un controllo su di essa ed sul suo utilizzo. Questa incapacità o impossibilità di fatto a proteggere la creazione attraverso il possesso sottende l’intero concetto di proprietà intellettuale50. La proprietà intellettuale ha come scopo quello di incoraggiare l’innovazione51 dando riconoscimento al creatore o all’inventore e attraverso ciò promuovere il progresso economico e tecnologico52. All’interno della grande famiglia della Proprietà Intellettuale ci sono quindi istituti giuridici che mirano ad offrire una qualche forma di tutela agli innovatori: chi innova mediante l’invenzione di nuove soluzioni a problemi tecnici potrà proteggere il proprio sforzo attraverso il “brevetto”; chi innova mediante l’ideazione di forme estetiche di pregio potrà tutelarsi grazie all’istituto dei “modelli del disegno industriale”; chi innova mediante la creazione di segni distintivi potrà validamente registrare uno o più “marchi”; chi innova mediante la realizzazione di opere dell’ingegno di carattere creativo troverà invece tutela nel “diritto d’autore”. Brevetti, marchi, modelli di design e diritto d’autore sono i quattro pilastri della Proprietà Intellettuale ma non esauriscono la materia, la quale si arricchisce anche della disciplina della concorrenza sleale, della tutela del know-how, della tutela delle nuove varietà vegetali: è comunque evidente come tutti questi istituti siano caratterizzati da una qualche forma di innovazione meritevole di tutela. La cosiddetta Proprietà 50 WIPO, “Introduction to Intellectual Property Theory and Practice”, Kluwer Law International, Londra, 1997, p.11. 51 S. Singleton, “European Intellectual Property Law”, Financial Times – Financial publishing 1996, p. 14. 52 G. Tritton, “Intellectuale Property in Europe”, Sweet & Maxwell, Londra, 1996.

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Industriale può invece legittimamente considerarsi un sottoinsieme della Proprietà Intellettuale, nel quale ci si interesse principalmente della protezione e valorizzazione delle invenzioni nei vari campi della tecnica (meccanica, elettronica, chimica, farmaceutica, biotecnologia…), dei modelli industriali (miglioramenti tecnici e funzionali dei prodotti o delle loro forme estetiche), dei marchi commerciali che contraddistinguono i prodotti e i servizi agli occhi dei consumatori. Anche in questi campi, la tutela dei diritti degli inventori è di fondamentale importanza per favorire l’innovazione, l’occupazione, la competizione e quindi lo sviluppo economico. Quindi tre dei quattro pilastri della Proprietà Intellettuale formano assieme anche il sostegno alla Proprietà Industriale, caratterizzata da una forma più tecnica di innovazione. L’esclusione del diritto d’autore dal novero degli istituti della Proprietà Industriale ha causato anche la sua esclusione dal “codice”, il quale coerentemente prende il nome di “Codice dei diritti di Proprietà Industriale”. L’opportunità della creazione di un “Codice dei diritti della Proprietà Intellettuale”, complessivamente intesa, era stata ben compresa da tutti gli operatori del diritto, ma purtroppo si è scontrata con insormontabili questioni di competenza ministeriale. 1.1 Il codice dei diritti di proprietà industriale e la sua genesi

Da un punto di vista regolamentare, la complessa materia della Proprietà Intellettuale, fino allo scorso anno, era frazionata tra alcuni articoli generici del codice civile ed una serie di disposizioni normative speciali risalenti agli anni ’40 del secolo scorso e da allora più volte modificate per venire incontro ai cambiamenti sociali, economici e tecnici53. Al dichiarato fine di dare una nuova sistematica alla materia, possibilmente in coerenza con le convenzioni internazionali e la legislazione comunitaria, la legge n.° 273 del 12 dicembre 2002, relativa alle “misure per favorire l’iniziativa privata dello sviluppo della concorrenza”, ha previsto una serie di “disposizioni in materia di proprietà industriale” tra le quali le principali sono la delega per l’istituzione delle Sezioni Specializzate (art. 16) e la delega per il “riassetto in materia di proprietà industriale” (art. 15). Come a dire che l’esigenza di predisporre un Codice unitario non emergeva da esigenze normative contingenti ma si trattava di una misura di carattere strutturale. Il lavoro della Commissione si concretizzò inizialmente in una prima bozza datata Luglio 2003, la quale prevedeva un testo di 236 articoli. A questa prima, ne seguirono una seconda, datata Dicembre 2003 (241 articoli), una terza, datata Febbraio 2004 (244 articoli) ed una quarta del Luglio 2004 (246 articoli). Il testo finale del Codice dei Diritti di Proprietà Industriale è divenuto normativa vigente, con l’approvazione del Decreto Legislativo n.° 30 del 10 Febbraio 2005. Il corpus consta di sette capi (oltre all’ottavo, dedicato alle disposizioni transitorie e finali) e 246 articoli, i quali vanno ad abrogare e sostituire più di 40 diverse disposizioni legislative che in precedenza regolavano la materia. 53 In particolare: la disciplina dei marchi e dei segni distintivi era ricompressa nel Regio Decreto n.° 929 del 21 giugno 1942; la disciplina dei modelli ornamentali che, dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n.° 95 del 2 febbraio 2001, devono propriamente chiamarsi “modelli del disegno industriale”, era ricompressa nel Regio Decreto n.° 1411 del 25 agosto 1940; la disciplina dei brevetti era ricompressa nel Regio Decreto n.° 1127 del 29 giugno 1939; la disciplina del diritto d’autore era ed è ricompressa nella Legge n.° 633 del 22 aprile 1941.

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Il riassetto sistematico dei diritti di proprietà industriale è stato effettuato per uniformare l’ordinamento italiano a quello consacrato nei TRIPs che costituiscono un accordo complementare dei negoziati GATT nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questo modello è stato scelto perché è divenuto elemento essenziale di un’economia di mercato che con l’Accordo Trips è diventato un vero e proprio statuto della economia globalizzata, dato che questo Accordo ha funzione di convincere e di costringere tutti gli Stati che partecipano all’Organizzazione Mondiale del Commercio a garantire nei loro territori una tutela minima della proprietà industriale secondo le prescrizioni concordate. In altri termini, il legislatore delegato ha scelto un modello destinato a divenire il riferimento di tutte le legislazioni nazionali in un contesto come quello dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Sulla base dunque di questo modello, il Codice non si è limitato ad unificare le 40 leggi e gli innumerevoli provvedimenti di altro tipo che, nel loro insieme, ponevano fino ad oggi la disciplina italiana della proprietà industriale, ma pur non modificando se non nella misura strettamente necessaria le singole disposizioni che componevano la legislazione in vigore, ha ricostruito in un quadro nuovo e moderno i nessi sistematici che collegano i molteplici diritti di proprietà industriale. La prima e la più importante conseguenza di questa scelta fondamentale è stata quella di far confluire nella categoria della proprietà industriale diritti che, in precedenza, erano protetti con le norme contro la concorrenza sleale, a condizione che possedessero un’oggettività autosufficiente per essere ricompresi in uno schema di tutela proprietaria. Il concetto è stato espresso nell’art. 1 del Codice, rubricato “Diritti di proprietà industriale”, nel quale vengono elencati come oggetti di tali diritti marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli d’utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali. La prima conseguenza di questa operazione è stata quella di ampliare la categoria dei diritti di proprietà industriale, rispetto alla sua definizione secondo la disciplina precedente, dato che in essa vengono fatti confluire diritti che, in precedenza, erano tutelati con norme contro la concorrenza sleale. Le norme sulla concorrenza sleale degli artt. 2598 – 2601 c.c. costituiscono il fondamento di un diritto alla lealtà della concorrenza che, nei suoi tratti essenziali e nel corredo sanzionatorio, non differisce dai diritti di proprietà industriale. Bisogna convenire allora che un marchio di fatto costituisce oggetto di proprietà industriale non diversamente di come lo è un marchio registrato, che un’informazione aziendale riservata costituisce oggetto di proprietà industriale non diversamente di come lo è un’invenzione brevettata, e così via. Questo è infatti il modello deducibile dall’Accordo TRIPs, tanto più che da questo modello esula completamente l’idea che nella tutela contro la concorrenza sleale abbiano rilevanza interessi diversi ed antagonistici rispetto a quello del titolare del diritto e l’idea che tale rilevanza possa segnare una distinzione rispetto all’impostazione dominicale. D’altronde un’estensione dell’impostazione dominicale della proprietà industriale non desta alcuna preoccupazione perché, nell’attuale fase evolutiva dell’ordinamento nazionale, la tutela dei consumatori viene organizzata sulla base di appositi istituti, che sono in attesa di un loro codice separato, mentre l’altro interesse antagonistico rispetto a quello sotteso al diritto di proprietà industriale, e cioè l’interesse della collettività ad un mercato concorrenziale libero ed efficiente, viene garantito in tutti gli ordinamenti nazionali ed anche in quello italiano dalla Legge Antitrust: entrambi questi interessi antagonistici sono infine garantiti dal controllo di autorità indipendenti la cui funzione è

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estranea alla tutela della proprietà industriale.54 Come l’art. 1 del Codice, anche l’art. 2, rubricato “Costituzione ed acquisto dei diritti”, è nuovo, inedito. Ricostruita una categoria generale dei diritti di proprietà industriale, in funzione di una tutela assoluta capace di conferire un diritto esclusivo avente un riferimento oggettivo, era necessario distinguere tali diritti, contrapponendo quelli che sono stati chiamata “titolati”, perché suscettibili di acquisto mediante brevettazione oppure mediante registrazione, da tutti gli altri che, non titolati, sono protetti ricorrendo i presupposti di legge: presupposti che non necessariamente devono essere consacrati nello stesso Codice della proprietà industriale, ben potendo essere contemplati altrove, come nel caso della ditta e dell’insegna i cui presupposti, oltre che dalla generale disciplina dei segni distintivi, sono posti nel codice civile. L’art. 2, conformemente al linguaggio ed all’assetto internazionale e comunitario, distingue, dunque, fra diritti di proprietà industriale oggetto di brevettazione, quali quelli sulle invenzioni, i modelli di utilità e le nuove varietà vegetali; diritti di proprietà industriale oggetto di registrazione, quali i marchi, i disegni e modelli e le topografie dei prodotti a semiconduttori ed, infine, diritti di proprietà industriale non titolati, quali i segni distintivi diversi dal marchio registrato, quivi compresi i nomi di dominio, le informazioni aziendali riservate, le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine. Gli artt. 1 e 2 del Codice si pongono dunque a fondamento della sua struttura, con il preciso scopo di conferirgli organicità e coerenza55. L’art. 3 (Trattamento dello straniero), riunisce in un’unica disposizione tutte le norme che in precedenza erano collocate nelle varie leggi speciali.56 Il principio è quello della parità di trattamento fra cittadini italiani e cittadini stranieri, senza condizioni quando si tratta di cittadini stranieri di Stati che facciano parte della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale oppure dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ed a condizione di reciprocità negli altri casi, fermo restando che tutti i benefici che le convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dall’Italia, riconoscano allo straniero nel territorio dello Stato si intendono automaticamente estese ai cittadini italiani.

1.2 Considerazioni conclusive

Il giudizio complessivo sul Codice della proprietà industriale non può che essere positivo. Esso costituisce un’opera di notevoli proporzioni con la quale si realizza l’obiettivo di dare omogeneità al sistema e di verificarne l’attualità e la rispondenza ai mutamenti intervenuti e alle necessità del Paese. Se n’è riconosciuta l’utilità sotto il profilo della facilitazione di consultazione, rispetto alla necessità di tenere conto, in precedenza, di ben 39 leggi separate e distinte, alcune risalenti a più di 60 anni fa. Per il momento, dunque, si registra un generale consenso tra gli operatori del settore sul testo adottato e si ritiene che esso possa apportare un significativo impulso al mondo della 54 G. Floridia, “ Il codice della proprietà industriale: disposizioni generali e principi fondamentali”, in Il diritto industriale, N. 1/2005, p. 11 e ss. 55 G. Florida “Il Codice della proprietà industriale: disposizioni generali e principi fondamentali”, in Il Diritto Industriale, n. 1, 2005, p. 15. 56 Gli artt. 23 e 24 della L. Marchi, dell’art. 21 della L. Invenzioni, dell’art. 5 d) della Legge sulle topografie dei prodotti a semiconduttori, dell’art. 10 delle norme di adeguamento alle prescrizioni dell’atto di revisione del 1991 della Convenzione Internazionale per la Protezione delle Novità Vegetali.

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ricerca e dell’innovazione57. Il codice approvato risponde alla finalità della semplificazione ed è segnale visibile dell’attenzione dedicata ad un tema cruciale per la nostra economia, a lungo sottovalutato o non considerato, e della necessità di adeguare la nostra legislazione alle norme internazionali intervenute, soprattutto relativamente alla semplificazione delle procedure, che l’Italia aveva sottoscritto ma non ancora trasfuso nella legislazione nazionale. E’ stata l’occasione per l’Ufficio brevetti e marchi di portare in Commissione le problematiche inerenti la ”gestione” dei titoli di P.I., ma anche la necessità di promuovere il sistema di P.I. presso le imprese e presso tutti gli attori interessati alla tutela dell’innovazione. Un’occasione unica di revisione della legislazione in cui, anche se non sempre recepite, sono state portate all’attenzione del legislatore, e attentamente valutate rispetto ai limiti della delega e alle caratteristiche del sistema italiano, le soluzioni conosciute nel corso dell’intensa attività di scambio, bilaterale e multilaterale, portata avanti dall’Ufficio in questi ultimi due anni, nonché le esigenze rappresentate dal mondo produttivo. Il Codice ha, infatti, cambiato l’assetto di presentazione delle norme e questo ha comportato un lavoro enorme di ricognizione e valutazione di merito delle disposizioni vigenti. L’esposizione delle norme ricalca l’organizzazione dei TRIPs e ne ha dunque internazionalizzato l’assetto, per ciò mettendo a disposizione di tutti, titolari e professionisti italiani e non, un linguaggio giuridico più semplice perché già conosciuto58. Vedere finalmente entrare in vigore istituti che aspettavamo da più di un lustro, provvedimenti la cui mancanza era lamentata da svariati anni, come il regolamento sulle nuove varietà vegetali, l’aver inserito le norme anticontraffazione come segno stabile dell’inversione di tendenza del nostro Paese, l’aver recepito tutte le norme di semplificazione procedurale contenute nei trattati internazionali sui marchi e sui brevetti, rendendo più lineare e meno burocratico l’utilizzo del sistema, rappresenta un risultato di grande soddisfazione. Due però le delusioni59 : prima di tutto resta il rammarico di non aver potuto cogliere l’occasione per la riforma dell’Ufficio italiano Brevetti e Marchi, fondamentale per il rilancio del sistema; infine, la mancata modifica della normativa introdotta nel 2001, che regola la titolarità delle invenzioni dei ricercatori universitari; proposta che avrebbe consentito di tarare la normativa in modo più aderente alle reali necessità delle università, che svolgono un ruolo di snodo vitale nella trasmissione dell’innovazione alle imprese60.

2. I Brevetti per invenzione nel nuovo codice della proprietà industriale

Uno dei fattori più significativi dell’evoluzione dell’umanità è stata la straordinaria capacità di partecipare collettivamente alle conoscenze dei singoli. Per progredire era necessario mettere a disposizione di tutti le conoscenze a cui i singoli pervenivano, in modo spontaneo piuttosto che attraverso uno studio applicato. La condivisione delle conoscenze è stata fino ad un certo momento spontanea, fino a che essa ha rischiato di 57 D. Palma “Il nuovo C.p.i. e la sua attinenza ai criteri di delega” in Il Diritto Industriale, n. 5, 2005, p. 448. 58 V. Ubertazzi, “Osservazioni preliminari sul Codice della Proprietà Industriale”, in Quaderni AIDA, 2004, p. 11, p. 3 e ss. 59 Ghidini e Panucci, “Codice utile ma non basta”, in Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2005, p. 29. 60 L. Agrò “Prime riflessioni sulle novità introdotte dal Codice della proprietà industriale”, in Il Diritto Industriale, n. 1, 2005, p. 9 e ss.; G. Floridia “Il Codice: perplessità e scadenze”, in Il Diritto Industriale, n. 1, 2005, p. 5 e ss.

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rallentare lo sviluppo di nuove nozioni, cosicché sono intervenute regole che l’umanità si è man mano data. L’idea secondo cui l’inventore inventa e pretende di sfruttare per sé e indefinitamente la sua scoperta, la collettività con le sue regole pretende la diffusione delle conoscenze ed in cambio riconosce all’ingegnoso cittadino un periodo limitato di tempo in cui beneficiare, a titolo esclusivo della sua invenzione, sono alla base di tutto il sistema brevettale moderno61. L’istituto delle privative brevettali è quindi tutt’altro che un ostacolo allo sviluppo tecnico – scientifico. Al contrario, esso è orientato a favorire ed incentivare lo sviluppo come risultato ed in funzione della diffusione delle conoscenze. Con l’avvento della civiltà industriale, si è concretizzata l’esigenza di regolamentare l’attività inventiva prima di pochi ed isolati ingegni e poi sempre più diffusa ed organizzata. Perciò gli Stati hanno via via creato regole per accogliere, proteggere ed incentivare le nuove scoperte e le invenzioni. 2.1 La natura e la funzione del diritto di brevetto

La nozione di brevetto è relativamente semplice: esso è l’istituto giuridico attraverso il quale l’ordinamento presso cui è depositata la domanda assicura all’inventore il diritto di utilizzazione esclusiva dell’invenzione per un determinato lasso di tempo. In questo modo l’inventore è tutelato contro ogni rischio di distruzione o diffusione del segreto, perché il suo diritto di esclusiva avrà validità per tutto il tempo, stabilito dalla legge, indipendentemente dal fatto che altri siano in grado o meno di realizzare la stessa invenzione. Il diritto di brevetto quindi, consiste nella facoltà esclusiva che spetta al titolare, di attuare l’invenzione e trarne profitto nel territorio dello Stato: l’inventore può trarre profitto dall’invenzione direttamente, sfruttandola in regime di monopolio, oppure indirettamente, cedendo ad altri dietro compenso il diritto di utilizzarla. In pratica se il brevetto riguarda un prodotto, il titolare del brevetto avrà il diritto esclusivo sulla produzione, l’uso, la messa in commercio e la vendita in Italia, nonché l’importazione del prodotto medesimo. Se oggetto del brevetto è un procedimento, il titolare del brevetto avrà il diritto esclusivo di applicarlo, nonché di mettere in commercio, vendere o importare il prodotto realizzato con tale procedimento. Il diritto sulla commercializzazione dei prodotti, però, trova un limite nel “principio di esaurimento”, in base al quale il titolare del brevetto non può impedire gli atti di disposizione del prodotto successivi alla prima commercializzazione, avvenuta con il suo consenso. In pratica, dopo che il titolare del brevetto ha posto in commercio il prodotto nel territorio dello Stato, non potrà più impedire che il prodotto continui a circolare e che altri lo metta in vendita o comunque ne faccia uso. Tale principio è stato elevato dal Codice a norma generalmente valida per tutti gli istituti della proprietà industriale62. Il diritto di sfruttare in regime di esclusiva l’invenzione per la quale si sia chiesto il brevetto, è 61 Sulla materia dei brevetti cfr. G.W. Rhodes, Patent Law Handbook: 2000-2001 edition, West Group, St.Paul Minnesota, 2000; E.W. Kitsch, The nature and Function of the Patent System, in J.L.E., volume 20, 1977, p. 265; G. Sena, P. Frassi, S. Giudici, “Codice di diritto industriale, marchi, invenzioni, disegni e modelli, novità vegetali, diritto d’autore e topografie dei prodotti a semiconduttori”, Kluwer IPSOA, Milano, 2001; V. Di Cataldo, “Il Codice Civile Commentario. I brevetti per invenzione e per modello, artt. 2584 – 2594 seconda edizione”, Giuffrè, Milano, 2000. 62 Il nuovo art. 5, comma 1, c.p.i., infatti, cita: “Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale, si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo”.

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circoscritto al territorio italiano: nessuno potrà, in Italia, applicare il procedimento brevettato o produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto brevettato o ottenuto tramite il procedimento in questione. L’invenzione è protetta in quanto soluzione originale di un problema tecnico: non sono protetti il prodotto o il procedimento in sé, ma l’uso e la funzione che questi assolvono. Il brevetto di prodotto, non copre ogni possibile utilizzo del medesimo; il prodotto è tutelato solo in quanto serve a risolvere il problema tecnico di sui si parla nella domanda di brevetto: il prodotto è il mezzo, e non il fine della tutela. Un terzo potrebbe usare o addirittura brevettare lo stesso prodotto in relazione ad un uso diverso: è la cosiddetta “invenzione di traslazione”, la cui caratteristica è l’applicazione di un’idea alla soluzione di un problema tecnico differente da quello per cui era stata elaborata. Così se taluno brevettasse una colla di nuova concezione, il giorno che altri scoprisse le proprietà smaltanti di tale colla, potrebbe legittimamente rivendicare un brevetto su tale utilità e quindi produrre e commercializzare la medesima sostanza nella diversa funzione di smalto. L’oggetto e la funzione del brevetto, e quindi l’ambito sostanziale dell’esclusiva, vengono determinati in base alla domanda di brevetto: l’ampiezza di copertura dell’esclusiva brevettale (i confini dell’invenzione) è determinata dalle rivendicazioni contenute nella domanda di brevetto, interpretate alla luce della descrizione dell’invenzione pure ivi contenuta. Il diritto di sfruttamento esclusivo conseguito a seguito della brevettazione dell’invenzione dura 20 anni63, decorrenti dalla data di deposito della domanda di brevetto. Tale limite temporale è improrogabile e non è ammesso il rinnovo del brevetto in quanto la legge, scaduto il termine ventennale, ritiene ormai compensato lo sforzo inventivo e ritiene acquisita l’invenzione alla libera disponibilità della collettività, evitando il rischio che il monopolio sull’invenzione si protragga troppo a lungo, a danno della società. Fin dal momento della scoperta o dell’invenzione, l’inventore dovrà decidere se brevettare o meno ciò che ha ideato: è conveniente mantenere il segreto e rischiare eventualmente che altri giungano alle medesime conclusioni o è preferibile depositare domanda di brevetto, con il conseguente obbligo di rendere pubblico ed accessibile ciò che si è inventato?64Sarà ovviamente necessaria un’attenta valutazione del caso: se all’invenzione possono facilmente addivenire soggetti che si occupano della materia, è senza dubbio preferibile optare per la brevettazione, assicurandosi così almeno un periodo di assoluto monopolio65. Al contrario in molti altri casi la brevettazione equivarrebbe ad una 63 L’unica eccezione al limite di durata temporale è prevista per i brevetti di medicamenti: all’invenzione di un farmaco non consegue l’immediata commerciabilità dello stesso, esigendosi un ulteriore periodo di accertamenti e sperimentazioni. Perciò la legge consente al titolare del brevetto, entro 180 giorni dall’autorizzazione alla messa in commercio del medicamento e comunque almeno 180 giorni prima della scadenza del brevetto, di chiedere ed ottenere dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi un “certificato complementare di protezione”, il quale prolunga l’esclusiva brevettale per un periodo di tempo uguale a quello trascorso tra il deposito della domanda di brevetto e l’autorizzazione alla messa in commercio del prodotto. Se l’autorizzazione interviene prima che sia terminato il procedimento di brevettazione, la domanda deve essere presentata entro 6 mesi dal rilascio del brevetto. Il prolungamento temporale del diritto di esclusiva non può in ogni caso superare i 18 anni. 64 Sul dualismo “brevettazione o segreto” si veda Accord ADPIC, Accord sur les aspects des droits de la proprieté intellectuelle qui touchent le commerci. Protection conférée par les brevets, a cura della Commissione Europea, edizioni Eur – op, 2000. 65 Ad esempio appartengono a questo primo gruppo di invenzioni i composti chimici utilizzati in medicina oppure macchinari domestici come le macchine da cucire. Sul tema si veda Accord ADPIC. Protection conférée par les brevets, nel capitolo dedicato a “Recours au brevet – Situation variable selon le secteur industriel”, p. 16: in esso si afferma che i settori maggiormente interessati alla materia

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semplice e diretta divulgazione di un’invenzione che verosimilmente non potrebbe essere decifrata e quindi essere oggetto di contraffazione da parte di eventuali concorrenti. Spesso si tratta di invenzioni concernenti il procedimento di fabbricazione che, neanche attraverso un’attenta analisi, potrebbe essere svelato e quindi riproposto66. Il rilascio di un brevetto è una sorta di contratto tra il soggetto che intende brevettare e la collettività: il primo mette a disposizione le sue invenzioni, offrendo di esse una adeguata e puntuale descrizione, perché il pubblico possa con il tempo godere dei suoi benefici; la società remunera l’inventore per il suo apporto al patrimonio collettivo attraverso l’attribuzione di un diritto esclusivo, limitato nel tempo. Ovviamente tale tipo di tutela non sarà concessa a tutti coloro che affermino di aver inventato “qualcosa”, ma esclusivamente a chi riesca a dimostrare che la sua innovazione possiede determinati requisiti richiesti dalla legislazione che concede il diritto stesso. Poichè i brevetti per invenzioni appartengono alla vasta famiglia della proprietà intellettuale, essi senza dubbio condividono con gli altri diritti di privativa, lo stesso ruolo nello scenario commerciale nazionale ed internazionale. In generale infatti, la proprietà industriale contribuisce alla crescita e allo sviluppo economico e, tramite questi, migliora il benessere della popolazione. I diritti di privativa incoraggiano infatti, le attività di ricerca perché incentivano le imprese e gli inventori ad investire il loro tempo ed il loro denaro in cambio della possibilità di ottenere adeguate ricompense per gli sforzi compiuti. Molti paesi, tuttavia, ritengono che l’esistenza dei diritti di privativa sia un ostacolo insormontabile per l’industria locale e benefici solo i grandi Paesi industrializzati, ma molti studiosi e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, sostengono esattamente il contrario: in Italia ed in Giappone ad esempio, l’industria farmaceutica ha iniziato a prosperare in seguito all’instaurazione di una protezione efficace per i brevetti sui farmaci; così in India l’industria locale dei software si è sviluppata in maniera esponenziale grazie all’applicazione delle normative a tutela del diritto d’autore. Ovviamente l’innovazione non deve essere limitata a pochi Stati: tutti possono e devono parteciparvi, al fine di trarre vantaggio e profitto dall’aumento degli scambi commerciali, ma ciò è subordinato all’esistenza e all’applicazione di adeguate tutele per i diritti di proprietà intellettuale. Nello specifico, l’imprenditore che investe ed innova e la collettività che fruisce brevettale, che da essa hanno tratto i maggiori benefici, sono l’industria farmaceutica, l’agro-chimica, l’industria degli strumenti elettronici, le telecomunicazioni, l’ingegneria e la costruzione aerospaziale. 66 Si pensi al caso della bevanda analcolica probabilmente più famosa al mondo, la Coca Cola: essa rappresenta l’esempio più significativo di un prodotto non coperto da brevetto, ma tutelato dalla segretezza ormai da oltre cento anni. La formula alla base della bevanda, risultato dell’invenzione geniale di tale Mr. Pemberton66, è tutelata non da un istituto giuridico, ma appunto dal segreto aziendale: le possibilità che un terzo addivenga casualmente o volontariamente alla formula sono talmente esigue, che si decise alla fine dell’ottocento, perpetuando la scelta fino ai nostri giorni, di non richiedere la protezione brevettale, per la cui concessione sarebbe stata necessaria la divulgazione di tutta la formula. Per una sintetica informazione sulla storia della Coca Cola si veda: La storia della Coca Cola, 19 marzo 1998, in www.provincia.torino.it/Scuole, nonché il sito ufficiale della compagnia americana, www. Coca-cola.com. Lo stesso ragionamento fu seguito più recentemente e sempre con successo dalla società Ferrero di Alba, con riferimento alla Nutella. Si ricordi infine che tale ragionamento, che ha dato vita all’immenso colosso economico e commerciale americano, è da molte parti criticato e la società oggetto di pesanti attacchi: tra essi quelli dell’ultimo movimento degli anti-brevetti, nato in America e chiamato “copyleft”. L’Opern Cola, bevanda dalla formula pubblica e riproducibile prova a demolire il dominio della Coca Cola. Si veda: Copyleft: open cola contro la coca cola, 18 marzo 2002, in www.inventati.org

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delle invenzioni dell’impresa, hanno un interesse in comune67: evitare che la protezione dell’innovazione sia affidata al segreto aziendale; questa duplice preoccupazione costituisce la base dell’istituto brevettuale. L’idea secondo cui il brevetto favorisce il progresso tecnico si regge su tre ragionamenti: il sistema brevettale costituisce un incentivo ed uno stimolo all’attività inventiva, perché promette al titolare un diritto di esclusiva per un periodo abbastanza lungo; tale promessa spinge l’inventore a scegliere la divulgazione protetta piuttosto che il segreto aziendale, a vantaggio della collettività; il sistema consente una circolazione dietro compenso del diritto sulle invenzioni, la quale permette il loro sfruttamento in termini quantitativamente ottimali. A queste argomentazioni sono state mosse nel tempo moltissime critiche, prima fra tutte quella secondo cui il carattere anticoncorrenziale del sistema brevettale lo renda ostacolo piuttosto che incentivo all’intero sistema economico. E’ in generale prevalsa però la prima tesi qui esposta, che ravvisa nel brevetto una valenza positiva, a vantaggio sia dell’inventore che della collettività. 2.2 I requisiti dell’ invenzione Abbiamo già detto che non tutte le invenzioni e le scoperte sono brevettabili; la legge disciplina analiticamente che cosa può essere brevettato; a chi spettano i diritti sull’invenzione; come avviene la procedura di brevettazione; quali diritti conferisce il brevetto e come questi diritti vengono tutelati; come possono essere ceduti i diritti di sfruttamento del brevetto. Chiunque pensi di aver dato vita ad un’invenzione tutelabile con un brevetto, deve innanzitutto chiedersi, prima che lo faccia l’apposita commissione deputata all’analisi prima della concessione, se il suo lavoro soddisfa tutti i requisiti richiesti ai fini della brevettazione. I legislatori di tutti i Paesi che possiedono regole sulla disciplina infatti, nel tentativo di dar vita a brevetti il più possibile sicuri ed inattaccabili, hanno fissato condizioni rigide per la concessione dei diritti; nella stessa direzione si è mosso il legislatore comunitario impegnato a disegnare le regole per la gestione a livello europeo della materia, attraverso la determinazione del diritto sostanziale contenuto nella Convenzione sulla Concessione di Brevetti Europei, conclusa a Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973. L’ordinamento giuridico dice che possono essere oggetto di brevetto le invenzioni nuove che implicano attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale68. Possono costituire un’invenzione un metodo o un processo di lavorazione industriale, una macchina, uno strumento, un utensile o un dispositivo meccanico, un prodotto o un risultato industriale; anche l’applicazione tecnica di un principio scientifico, purchè essa dia immediati risultati industriali; ma il diritto di brevetto è limitato ai soli risultati specificamente indicati dall’inventore. 67 Il brevetto risulta infatti molto utile alla collettività in quanto assicura alla stessa l’acquisizione stabile dell’invenzione al patrimonio collettivo. Poiché infatti il rilascio del brevetto è subordinato alla completa e puntuale descrizione dell’invenzione ad opera del suo inventore, qualunque cosa accada a quest’ultimo, la collettività sarà tutelata e l’invenzione non potrà andar persa. Ovviamente se non esistesse l’istituto brevettale, l’impresa sarebbe incentivata a mantenere il segreto aziendale, nella speranza che nessun altro scopra la sua formula, a danno della collettività, che sarebbe privata di nuove nozioni della tecnica e della scienza. 68 L’art. 45 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale cita infatti espressamente che “possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale”.

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L’elenco di ciò che può essere oggetto di brevetto ha una natura puramente esemplificativa: si tratta quindi di un sistema aperto a nuove tipologie di invenzioni, fatte salve le esclusioni espressamente previste dalla legge. L’elenco di ciò che non costituisce invenzione brevettabile è invece tassativo, e comprende69: le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici; i piani, i principi e i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciali e i programmi di elaboratori; le presentazioni di informazioni. Inoltre, non sono considerate come invenzioni i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale70 . La legge precisa poi che l’esclusione dal novero delle invenzioni non opera nei confronti dei prodotti, in particolare delle sostanze o delle miscele di sostanze, impiegati per l’attuazione dei metodi diagnostici, terapeutici o chirurgici: non costituisce invenzione il metodo, possono costituirla gli strumenti necessari alla sua applicazione. In generale, a livello comunitario e nazionale, perché un’invenzione sia brevettabile sono richiesti tre requisiti71: l’industrialità, la novità e l’originalità. Quando anche uno solo dei suddetti requisiti non sia soddisfatto, l’invenzione non è suscettibile di essere tutelata tramite brevetto. Non possono invece costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui attuazione sarebbe contraria all’ordine pubblico o al buon costume72. Da queste disposizioni si deducono i requisiti richiesti per la brevettabilità: novità, originalità, industrialità e liceità. Secondo la legge un’invenzione è nuova quando al momento del deposito della domanda di brevetto non è compresa nello stato della tecnica73; lo “stato della tecnica” è tutto ciò che è reso accessibile al pubblico sul territorio del Stato in cui è richiesta la brevettazione o all’estero74, prima della domanda di brevetto, attraverso un’utilizzazione pratica, una descrizione orale o scritta o un qualsiasi altro mezzo. L’invenzione è ritenuta accessibile al pubblico quando al momento del deposito della domanda di brevetto esistono anteriorità o predivulgazioni dell’invenzione medesima (fatto salvo il diritto di priorità). Un’invenzione divenuta accessibile al pubblico viene infatti ritenuta 69 Art. 45, comma 2 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale. 70 G.F. Casucci, “Invenzioni non brevettabili. Metodi chirurgici, terapeutici o di diagnosi”, in Diritto Industriale 1996, p. 658. 71 Sui requisiti di brevettabilità, anche in ambito comunitario, si vedano:G. Rocco, Come depositare brevetti e marchi. Procedure, modelli, registrazioni, convenzioni internazionali, posizione dell’OMC, Giuffrè, Milano, 2001, p. 9; R. Singer & M. Singer, Il Brevetto Europeo. Traduzione e riferimenti alla legislazione italiana di F. Benussi. Prefazione di G. Sena,UTET, 1993, p. 91; G. Cottino, Diritto Commerciale, Volume Primo, Tomo Primo, Terza edizione. Imprenditore, impresa ed azienda. Segni distintivi, brevetti e concorrenza, CEDAM, Padova, 1993, p. 336. 72 L’art. 50 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale cita infatti: “non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui attuazione è contraria all’ordine pubblico o al buon costume. L’attuazione di un’invenzione non può essere considerata contraria all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto di essere vietata da una disposizione di legge o amministrativa”. 73 Art. 46, comma 1, del Codice dei diritti di Proprietà Industriale. 74 Il citato art. 46, comma 2, afferma che: “ lo stato della tecnica è costituito da tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all’estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo”. Ancora, il comma 3 aggiunge che “è pure considerato come compreso nello stato della tecnica il contenuto di domande di brevetto nazionale o di domande di brevetto europeo o internazionali designanti e aventi effetto per l’Italia”.

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acquisita allo stato della tecnica, ossia al patrimonio culturale della collettività, e non vi è più ragione di beneficiare l’inventore di un diritto di sfruttamento esclusivo. La novità risiede quindi in tutti gli elementi dell’invenzione, che non devono essere stati divulgati al pubblico ad opera dell’inventore o di qualsiasi altra persona, in nessuna parte del mondo75. Le uniche deroghe a questa regola, previste dalla Convenzione di Parigi del 1928, riguardano i casi in cui la divulgazione è avvenuta a seguito di abuso evidente perpetrato ai danni dell’inventore. Si parla di anteriorità distruttive della novità di un brevetto quando, alla data in cui la domanda di brevetto viene depositata, sia già stata pubblicata, in Italia o all’estero e per la medesima invenzione, una domanda di brevetto coincidente. Se in teoria non costituiscono anteriorità le domande di brevetto non ancora pubblicate (l’inventore non avrebbe potuto conoscere l’idea altrui), l’esigenza di non incorrere nella contraddizione di concedere due diritti di sfruttamento esclusivo sulla medesima invenzione impone di considerare anteriorità anche le domande non ancora pubblicate di brevetti italiani, brevetti europei o brevetti internazionali che comprendono l’Italia. Costituisce inoltre un’anteriorità ostativa della concessione di un brevetto, l’uso che altri abbia già fatto dell’invenzione al momento del deposito della domanda: si tratta del cosiddetto “preuso dell’invenzione”, che impedisce la brevettazione dell’invenzione solo nella misura in cui l’abbia resa conoscibile alla collettività. Il cosiddetto diritto di preuso, tutela chi ha impiegato nella propria azienda, mantenendola segreta, l’invenzione brevettata successivamente da altri. L’inventore può infatti preferire di utilizzare l’idea in regime di segreto invece di brevettarla, correndo però il rischio che avvengano fughe di notizie o che altri raggiungano la medesima invenzione e ne chiedano la brevattazione. La legge prevede che con il diritto di preuso, il primo inventore potrà continuare a sfruttare l’invenzione, entro i limiti in cui già ne usava. Il diritto di preuso è concesso solo se vi sia stato uso dell’invenzione nei dodici mesi precedenti la domanda di brevetto altrui, a nulla rilevando un uso precedente76. Il preutente non potrà inoltre impedire a nessuno di impiegare l’invenzione, poiché tale diritto di esclusiva deriva solo dalla brevettatozione, e non potrà cedere il diritto di preuso ad altri se non unitamente all’azienda od al ramo di azienda cui l’invenzione appartiene. Il diritto di preuso è anche concesso a chi abbia iniziato, o abbia fatto preparativi seri ed effettivi, ad usare un’invenzione a seguito della concessione di una licenza obbligatoria, successivamente revocata. La predivulgazione consiste nel fatto dell’inventore o di un terzo che, prima del deposito della domanda di brevetto, portino l’invenzione a conoscenza del pubblico: ciò avviene di solito quando l’inventore descrive il suo ritrovato in articoli giornalistici, conferenze, colloqui privati. E’ considerata accessibile al pubblico anche l’invenzione che sia comunicata dall’inventore a persone non obbligate a mantenere il segreto, quando queste siano in grado di comprendere quanto gli è comunicato o, almeno, di ritrasmetterlo a chi abbia una simile capacità. Costituisce predivulgazione anche l’esposizione dell’invenzione in fiere o avvenimenti pubblici, salvo che si tratti di 75 Se, ad esempio, un inventore prima commercializza l’oggetto della sua invenzione e poi deposita domanda di brevettazione con riferimento alla stessa invenzione, la sua richiesta verrà sicuramente bocciata per l’insussistenza del requisito della novità. Si tratta di ipotesi non molto rare nella realtà, poiché molti inventori verificano prima il successo ottenibile presso il pubblico dall’invenzione e poi, in caso di risposta positiva, decidono di presentare richiesta di brevettazione. 76 L’art. 68, terzo comma, c.p.i., dice infatti: “chiunque, nel corso dei dodici mesi anteriori alla data di deposito della domanda di brevetto o alla data di priorità, abbia fatto uso nella propria azienda dell’invenzione, può continuare ad usarne nei limiti del preuso. Tale facoltà è trasferibile soltanto insieme all’azienda in cui l’invenzione viene utilizzata. La prova del preuso e della sua estensione è a carico del preutente”.

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esposizioni ufficiali o ufficialmente riconosciute ai sensi della Convenzione di Parigi del 22 novembre 1928 e successive modificazioni. Non costituisce invece predivulgazione la rivelazione dell’invenzione a persone tenute a mantenere il segreto: tipico caso, il consulente in brevetti che viene incaricato di valutarne la brevettabilità. Ma, se queste vengono meno all’obbligo della riservatezza e l’invenzione diviene accessibile al pubblico, la possibilità di ottenere la brevettazione è irrimediabilmente persa: si potrà chiedere il risarcimento dei danni ai responsabili della divulgazione che erano tenuti a mantenere il segreto. L’unico consiglio che si può dare per chi non ha ancora brevettato la propria invenzione è quindi il più semplice e banale: mantenere su di essa il segreto!! Lo stato della tecnica da tenere in considerazione per valutare la novità del brevetto è quello mondiale. Quindi, oltre che dei brevetti italiani, nella valutazione della novità andranno valutati: i vari sistemi brevettali nazionali;il brevetto europeo;il brevetto internazionale. Quando il richiedente un brevetto ha già depositato, per la stessa invenzione o per un’invenzione che la ricomprenda, una domanda di brevetto in un altro ordinamento, gode per 12 mesi del diritto di priorità: ciò significa che l’esame della novità dell’invenzione viene effettuato con riferimento alla situazione esistente alla data del primo deposito, evitando la possibilità che gli vengano opposte anteriorità o predivulgazioni occorse nell’intervallo tra la prima e la seconda domanda. La rilevanza pratica di questa regola è che a partire dal giorno della brevettazione in un altro sistema, l’inventore avrà la possibilità di decidere entro un anno se includere l’Italia tra i Paesi in cui tutelare e sfruttare la propria invenzione. Il Codice dei Diritti di Proprietà Industriale ha portato un’importante innovazione in tema di priorità, facendone un principio generalmente valido per tutti i diritti di PI e coordinando le disposizioni anteriori77. Lo stato della tecnica è coinvolto anche nella valutazione del secondo requisito riguardante l’attività inventiva. Infatti, perché l’invenzione sia brevettabile non è sufficiente che essa non sia stata divulgata in nessuna parte del mondo prima della presentazione della domanda: è altresì indispensabile che essa fornisca un apporto, anche minimo, allo stato della tecnica e che essa non sia una semplice deduzione rispetto alle conoscenze già acquisite, facilmente percepibile da una qualunque persona esperta del ramo78. Questo perché la legge vuole che l’idea non solo sia nuova, ma 77 L’art. 4 sancisce infatti che: “ Chiunque abbia regolarmente depositato, in o per uno Stato facente parte di una convenzione internazionale ratificata dall’Italia che riconosce il diritto di priorità, una domanda diretta ad ottenere un titolo di proprietà industriale o il suo avente causa, fruisce di un diritto di priorità a decorrere dalla prima domanda per effettuare il deposito di una domanda di brevetto d’invenzione, di modello di utilità, di privativa di nuova varietà vegetale, di registrazione di disegno o modello e di registrazione di marchio, secondo le disposizioni dell’art. 4 della Convenzione di Unione di Parigi. Il termine di priorità è di dodici mesi per i brevetti d’invenzione ed i modelli di utilità e le varietà vegetali, di sei mesi per i disegni o modelli ed marchi. E’ riconosciuto come idoneo a far nascere il diritto di priorità qualsiasi deposito avente valore di deposito nazionale regolare, cioè idoneo a stabilire la data alla quale la prima domanda è stata depositata, a norma della legislazione nazionale dello Stato nel quale è stato effettuato, o di accordi bilaterali o plurilaterali, qualunque sia la sorte ulteriore di tale domanda”. 78Indizi importanti dell’originalità possono essere: la maggior o minor utilità dell’invenzione; la quantità di tempo trascorsa da quando l’invenzione sarebbe stata ormai evidente a quando essa è stata effettivamente realizzata (più tempo è passato e meno sostenibile è l’idea dell’evidenza); la presenza di una pregressa e infruttuosa attività di ricerca altrui volta a realizzare la medesima invenzione; il successo ottenuto ex post dall’invenzione per cause legate alla sua utilità. Nelle invenzioni farmaceutiche i giudici individuano l’originalità nell’aver intuito che, mediante modifiche di sostanze già note, si perviene ad altre sostanze dotate di proprietà utili.

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anche che rappresenti un’apprezzabile progresso tecnico rispetto alla situazione tecnica precedente79. Il giudizio sull’originalità non avviene durante l’iter che porta all’accoglimento della domanda di brevetto; sono i terzi che ritengono il brevetto carente di originalità a promuovere innanzi ai giudici ordinari la domanda di nullità del brevetto per mancanza di originalità. Perciò, può darsi il caso di brevetti carenti di originalità, ma formalmente validi e sostanzialmente efficaci. Il terzo requisito risulta di più immediata comprensione: l’invenzione può avere applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualunque impresa, comprese quelle di tipo agricolo. Concretamente ed ai fini pratici, si può dire che i giudici valutano l’industrialità sulla base del fatto che l’invenzione sia riproducibile con caratteri costanti e sia tecnicamente realizzabile, a prescindere dalla convenienza economica dell’operazione80. Un’invenzione è ritenuta illecita dalla legge, e pertanto non brevettabile, quando la sua attuazione sarebbe contraria all’ordine pubblico o al buon costume. Quando un brevetto non è attuato o lo è in maniera non adeguata e sufficiente, si può chiedere al titolare la concessione di una licenza e laddove egli rifiuti, rivolgersi all’autorità competente, l’Ufficio brevetti e marchi nel caso italiano, che potrà imporre al titolare di concedere una licenza, denominata “obbligatoria”, dato l’intervento amministrativo. Quando l’autorità competente accerti l’esistenza di questi requisiti e l’assenza di eventuali impedimenti, si procederà alla concessione del diritto di brevetto, il quale avrà una durata determinata dalla legislazione dello Stato concedente, solitamente venti anni, non rinnovabili. 2.3 Tipologia di invenzioni brevettabili

La prima grande suddivisione da operare all’interno dell’enorme campo delle invenzioni è quella tra invenzioni di prodotto ed invenzioni di procedimento. Le prime fanno riferimento alla realizzazione di un nuovo prodotto da immettere sul mercato a disposizione dei consumatori finali; le seconde riguardano i procedimenti, i metodi di lavorazione attraverso cui un certo bene è realizzato. Tra le prime ritroviamo ad esempio un nuovo dispositivo, un oggetto di uso comune, nonché un prodotto chimico o una composizione. In secondo luogo le invenzioni possono essere principali o derivate. Le prime sono quelle a cui l’inventore perviene senza alcun collegamento o nesso con altre precedenti invenzioni; le altre invece hanno la loro origine in altre invenzioni. Queste ultime sono a loro volta suddivise in invenzioni di perfezionamento, se apportano un miglioramento o un’aggiunta all’invenzione da cui originano, di traslazione, se applicano la precedente concezione inventiva ad un nuovo settore della tecnica industriale, di combinazione, se combinano precedenti invenzioni o parti di esse. In tutti i casi rimane fermo il requisito dell’attività inventiva ed originale. Da un punto di vista prettamente giuridico, le invenzioni possono essere indipendenti o dipendenti: queste ultime potranno essere brevettate solo con il consenso del titolare dell’invenzione da cui esse derivano, a meno che non si tratti dello stesso soggetto che ha proseguito la sua attività di ricerca. In questi casi l’ordinamento prevede la concessione di una licenza obbligatoria nel caso in cui il titolare del brevetto di partenza 79 Art. 48 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale. 80 L’art. 49 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale afferma che: “ un’invenzione è considerata atta ad avere un’applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola”.

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si rifiuti di concederne l’utilizzo ostacolando l’attuazione di eventuali invenzioni dipendenti, frenando quindi notevolmente l’avanzamento della tecnica81. Il diritto del titolare del brevetto ad opporsi a qualsiasi uso non autorizzato è sacrificato a favore dell’interesse generale e pubblico al progresso tecnico. Infine non si dimentichi che non è detto che l’inventore sia allo stesso tempo titolare del brevetto. La legge stabilisce che l’autore ha due diversi diritti (oltre a quello sul preuso): quello di essere riconosciuto autore dell’invenzione, (il diritto morale sull’invenzione); quello di brevettare l’invenzione medesima (da cui, dopo la brevettazione, scaturirà il diritto sul brevetto). Il primo è strettamente personale e non ha valore economico; il secondo concerne lo sfruttamento economico dell’invenzione ed è cedibile. Nascono molte complicazioni quando l’autore non è uno solo ma l’invenzione è il frutto della collaborazione (intellettuale e/o finanziaria) di più persone: stabilire a chi spettano i relativi diritti è spesso compito arduo e fonte di accanite battaglie legali. E’ giusto che chi ha ideato ed elaborato l’invenzione ne sia riconosciuto autore, anche se il diritto di sfruttamento economico spetterà ad altri. E’ un diritto di natura morale e non patrimoniale: è personalissimo in quanto connesso indissolubilmente alla persona cui va il merito dell’idea: in quanto tale non è trasmissibile in alcun modo82. In base ad esso l’inventore può pretendere che il suo nome compaia sul brevetto e sul registro dei brevetti. In caso di violazione, l’autore del brevetto può agire giudizialmente per impedire l’utilizzo illecito, ma trattandosi di un diritto non patrimoniale non potrà chiedere alcun risarcimento pecuniario, a meno che la violazione non concreti un’ipotesi di reato. L’autore dell’invenzione ( o i suoi aventi causa) ha anche il diritto ad ottenere il brevetto su di essa, e cioè il diritto esclusivo di sfruttamento economico: in termini burocratici si può dire che l’autore ha il diritto di ottenere dalla pubblica amministrazione competente, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM), un provvedimento amministrativo con il quale viene concesso il brevetto. Questo, a differenza del diritto morale ad essere riconosciuto autore, è un diritto avente un contenuto patrimoniale e, per questo, liberamente trasmissibile o cedibile. Stabilire a chi spetti il diritto di richiedere il brevetto significa individuare chi sfrutterà economicamente l’invenzione: è un problema che spesso presenta aspetti di tormentata soluzione, in quanto oggi l’invenzione è quasi sempre frutto dell’attività coordinata di molte persone finanziata da enti terzi (ad esempio, ricercatori finanziati dai fondi universitari o dipendenti/collaboratori finanziati da un’azienda privata). L’ordinamento, ma soprattutto i giudici, hanno elaborato tutta una serie di soluzioni in proposito: 81 Ai sensi dell’art. 71 del Codice dei diritti di PI, “può essere concessa licenza obbligatoria se l’invenzione protetta dal brevetto non possa essere utilizzata senza pregiudizio dei diritti relativi ad un brevetto concesso in base a domanda precedente. In tal caso la licenza può essere concessa al titolare del brevetto posteriore nella misura necessaria a sfruttare l’invenzione, purchè questa rappresenti, rispetto all’oggetto del precedente brevetto, un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica. La licenza così ottenuta non è cedibile se non unitamente al brevetto sull’invenzione dipendente. Il titolare del brevetto sull’ invenzione principale ha diritto a sua volta alla concessione di una licenza obbligatoria a condizioni ragionevoli sul brevetto dell’invenzione dipendente”. 82 Il diritto è trasmissibile solo mortis causa. L’art. 62 del Codice dei diritti di PI afferma infatti che “il diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione può essere fatto valere dall’inventore e, dopo la sua morte, dal coniuge, e dai discendenti fino al secondo grado; in loro mancanza o dopo la morte, dai genitori e dagli altri ascendenti ed in mancanza, o dopo la morte anche di questi, dai parenti fino al quarto grado incluso”.

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l’invenzione del lavoratore dipendente, del commissionario di una ricerca, dell’invenzione di gruppo e, infine, della brevettazione del non avente diritto. 2.4 La procedura per ottenere un brevetto

Il brevetto per invenzione industriale viene rilasciato a seguito di un procedimento amministrativo svolto dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi attivato da una domanda proposta dall’interessato legittimato a presentarla. Il rilascio del brevetto è un diritto del richiedente laddove sussistano i requisiti stabilita dalla legge; pertanto la concessione non è subordinata a decisioni discrezionali dell’amministrazione, che è tenuta solamente ad accertare la ricorrenza dei requisiti oggettivi richiesti dalla legge. L’avente diritto al brevetto può redigere e depositare la domanda personalmente, avvalersi di un dipendente o farsi rappresentare da un mandatario abilitato iscritto all’Albo dei consulenti in proprietà industriale. La domanda di brevetto deve essere depositata, anche per mezzo del servizio postale in plico raccomandato con avviso di ricevimento, presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi oppure direttamente presso un ufficio della Camera di Commercio, che redigono un verbale di deposito identificante il richiedente o il suo mandatario, l’invenzione e la data del deposito. La data di deposito è di fondamentale importanza ai fini della valutazione della novità dell’invenzione nonché di eventuali diritti di priorità. Occorre tenere presente, infatti, che nel nostro ordinamento brevettuale, nella concessione dell’esclusiva sullo sfruttamento dell’invenzione, è preferito non chi ha inventato per primo, ma chi, avendo diritto al brevetto in quanto pervenuto autonomamente all’invenzione, ha depositato per primo la domanda per l’ottenimento dello stesso. Dalla data di deposito della domanda decorre anche il termine ventennale di validità del brevetto; gli effetti dello stesso (e cioè la possibilità di opporlo a terzi e di bloccare gli utilizzi non autorizzati dell’invenzione) si produrranno invece a partire dal momento in cui la domanda sarà resa accessibile al pubblico. La domanda al momento del deposito rimane infatti segreta, solo dopo 18 mesi verrà pubblicata e quindi sarà resa accessibile al pubblico. Questo intervallo di tempo, consente al richiedente di vagliare con calma l’effettivo valore dell’invenzione e la sua validità, allo scopo di decidere se proseguire con il procedimento di brevettazione; il richiedente può però chiedere la pubblicazione anticipata della domanda, che verrà messa a disposizione del pubblico 3 mesi dopo il deposito, e sarà in tal modo efficace nei confronti di tutti. Se poi il richiedente intende bloccare un terzo nella contraffazione della propria invenzione durante la decorrenza del periodo di 18 mesi, può notificare solamente a costui la domanda di brevetto. E’ bene chiarire che l’esame svolto dall’UIBM è di tipo formale ed amministrativo; il rilascio non ne garantisce la validità: le questioni attinenti la validità del brevetto sono di competenza dei giudici ordinari ed in particolare delle Sezioni Specializzate83. La Camera di Commercio e l’UIBM, infatti, vagliano la ricevibilità della domanda, la regolarità formale, l’avvenuto pagamento delle tasse, la presenza della descrizione e dei disegni dell’invenzione; ogni domanda deve avere ad oggetto un solo brevetto; in pratica l’esame si limita alla verifica che l’invenzione per la quale si chiede l’esclusiva sia effettivamente un’invenzione ai sensi della normativa brevettale, e che sia lecita. In presenza dei requisiti richiesti, la domanda viene ricevuta, viene redatto il verbale di deposito, viene rilasciato il brevetto al richiedente e del nuovo brevetto viene dato 83 Ai sensi dell’art. 117 c.p.i., “la registrazione e la brevettazione non pregiudicano l’esercizio delle azioni circa la validità e l’appartenenza dei diritti di proprietà industriale”.

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avviso sul Bollettino brevetti modelli e marchi. Contro il provvedimento di rigetto, il richiedente può fare ricorso entro 60 giorni alla “Commissione dei ricorsi”, che può confermare la decisione dell’Ufficio o accogliere il ricorso ordinando il rilascio del brevetto; contro la decisione della Commissione può essere proposto ricorso in Cassazione. La domanda di brevetto depositata può essere ritirata purchè la richiesta pervenga all’Ufficio brevetti e marchi prima che questo abbia provveduto sul rilascio del brevetto. Entro lo stesso termine è anche possibile integrare o modificare la domanda, ma solo in senso più restrittivo o per renderla più intelligibile: i confini dell’invenzione di cui si chiede il brevetto non possono invece essere ampliati rispetto alla domanda iniziale, pena la nullità del brevetto eventualmente concesso. Poiché la legge prevede il principio dell’unità dell’invenzione, in base al quale la domanda di brevetto può avere ad oggetto una sola invenzione, la domanda può essere modificata anche su richiesta dell’Ufficio, laddove questo rilevi che essa è rivolta alla brevettazione di una pluralità di invenzioni. A volte il titolare di un brevetto già concesso, può avere motivo di temere che questo presenti dei problemi sotto il profilo della validità, in particolare per quanto attiene al livello inventivo del trovato (originalità): in questi casi può essere decisivo ai fini della validità del brevetto, limitarne l’oggetto e focalizzarlo sugli elementi che si ritengono veramente innovativi. La legge concede al titolare la facoltà di limitare l’oggetto del brevetto, allegando all’istanza di limitazione la descrizione e i disegni modificati. La procedura di limitazione resta sospesa quando sia pendente un giudizio sulla validità del brevetto già concesso. 3. La tutela del brevetto nel diritto nazionale

Come può il titolare di un brevetto (o della semplice domanda) tutelare i propri diritti di fronte alle violazioni dei terzi? Nel caso in cui la domanda di brevetto è inoltrata all’Ufficio Brevetti da un usurpatore, cioè un soggetto non avente diritto che tenta di appropriarsi di un’invenzione che spetta ad altri, il legittimo titolare è costretto a rivolgersi al giudice ordinario. Ottenuta una sentenza passata in giudicato che abbia accertato l’illecita brevettazione da parte dell’usurpatore, il vero titolare del brevetto ha di frante a sé due diversi scenari, a seconda che la procedura di brevettazione sia ancora in corso o si sia già conclusa con il rilascio del brevetto. In entrambi i casi, comunque, non è più consentito al titolare dell’invenzione usurpata di redigere la domanda di brevetto nei modi e con l’ampiezza che avrebbe prescelto, restando sul punto vincolato all’operato dell’usurpatore, che potrà al limite essere chiamato a rispondere dei danni cagionati. In tale ipotesi, comunque, l’art. 47 c.p.i. ha previsto che entro 6 mesi da una divulgazione chiaramente abusiva (in questo caso la domanda dell’usurpatore), il titolare può depositare legittimamente la domanda di brevetto nelle forme e con il contenuto da lui preferiti. Dopo il deposito della domanda si potrà attivare presso i giudici per far rigettare la domanda abusiva o, ex post, far dichiarare la nullità del brevetto ottenuto dall’usurpatore. Se la procedura è ancora in corso, il titolare dell’invenzione può, entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza assumere a proprio nome la domanda di brevetto; depositare una nuova domanda di brevetto a far data dal deposito della domanda iniziale, la quale cessa di avere effetti (ma la seconda domanda non deve essere più ampia della prima); ottenere il rigetto della domanda dell’usurpatore. Le prime due

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soluzioni hanno il grosso svantaggio di costringere l’effettivo titolare a far propria una domanda elaborata da altri (dall’usurpatore): resta, in questo caso, il rimedio del risarcimento dei danni. Se invece il brevetto è già stato concesso, il titolare dell’invenzione ha due scelte: 1) rivendicare il brevetto e ottenerne il trasferimento a proprio nome con effetto retroattivo al momento della proposizione della domanda dell’usurpatore; 2) chiederne la dichiarazione di nullità affinché non gli sia opponibile nell’uso dell’invenzione. In quest’ultimo caso, però, il vero titolare non godrà di nessuna esclusiva nell’uso dell’invenzione. Poiché tra il momento della domanda e il rilascio del brevetto trascorro circa tre anni e qualcuno potrebbe nel frattempo appropriarsi dell’invenzione, è possibile tutelare anche la semplice domanda a partire dal momento della pubblicazione della medesima: in quel momento è infatti nota ed accessibile al pubblico. Il richiedente un brevetto può ulteriormente anticipare il momento dal quale è ammesso a godere della tutela giurisdizionale, chiedendo che la domanda depositata sia immediatamente pubblicata, il che comporta la pubblicazione entro 90 giorni dal deposito. Infine per bloccare le violazioni ad opera di specifici soggetti, il richiedente un brevetto può anche notificare la sua domanda ad essi rendendola così immediatamente efficace nei loro confronti. L’unico periodo durante il quale l’esclusiva resta di fatto senza protezione e per il quale non può contestarsi ad altri l’uso illegittimo dell’invenzione, resta pertanto il solo periodo intercorrente tra il deposito della domanda di brevetto e la sua accessibilità al pubblico, attuata mediante pubblicazione ordinaria o anticipata, o mediante notificazione individuale. In tale caso, però, se il titolare della domanda non avrà diritto al risarcimento dei danni, avrà comunque la possibilità di evitare che in futuro l’altro soggetto possa utilizzare e sfruttare l’invenzione, anche se vi è pervenuto autonomamente e lecitamente. Ricordiamo infatti che nel caso di due soggetti che giungono alla medesima scoperta, solo uno avrà diritto al suo sfruttamento economico: quello che deposita per primo la domanda di brevetto. In caso di contraffazione il titolare dell’invenzione può: a) chiedere al giudice l’adozione di provvedimenti cautelari d’urgenza (inibitoria, sequestro, descrizione); b) citare in giudizio il contraffattore onde far accertare l’avvenuta lesione del suo diritto di esclusiva, eliminando le conseguenze dell’attività illecita e chiedendo il risarcimento dei danni; c) agire in sede penale. Queste diverse strade possono essere alternative ma anche esperite cumulativamente tra loro. Viene violata l’esclusiva brevettale e si è in presenza di una contraffazione nel caso in cui il brevetto venga sfruttato senza il consenso del legittimo titolare. La contraffazione può consistere in una imitazione integrale dell’invenzione o viene mascherata mutando alcuni elementi del brevetto. Nei casi di contraffazione parziale, occorre verificare se siano stati imitati gli elementi essenziali dell’invenzione, oppure se sia in qualsiasi modo sfruttata l’idea, l’insegnamento fondamentale caratteristico dell’invenzione (si tratta della cosiddetta “contraffazione per equivalenti”). Può poi accadere che la violazione costituisca un perfezionamento dell’invenzione brevettata: il miglioramento del prodotto o del procedimento brevettato non esclude la contraffazione. L’unica possibilità è data dal caso in cui la seconda realizzazione che sfrutta il brevetto altrui costituisca un miglioramento tale da possedere i requisiti per essere a sua volta brevettato: in questo caso è possibile richiedere una licenza obbligatoria al titolare del primo brevetto per potere brevettare la seconda realizzazione e sfruttare il miglioramento apportato. Non è sempre agevole per il titolare del brevetto di procedimento dimostrare che il proprio brevetto è stato contraffatto: infatti il legittimo titolare si trova innanzi al

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semplice prodotto oggetto del procedimento, e spesso è arduo (se non impossibile) risalire al procedimento utilizzato per ottenere un tale prodotto. In questa casi, la legge ritiene che, salvo prova contraria, ogni prodotto identico a quello ottenuto mediante il procedimento brevettato sia stato ottenuto in contraffazione di tale procedimento: e quindi illecitamente se il prodotto ottenuto mediante il procedimento brevettato è nuovo, o se risulta una sostanziale probabilità che il prodotto identico sia stato fabbricato mediante il procedimento e il titolare del brevetto non sia riuscito attraverso ragionevoli sforzi a determinare il procedimento effettivamente attuato. Sarà colui che viene sospettato di utilizzare il procedimento brevettato che dovrà provare che il prodotto cui giunge è fabbricato utilizzando un diverso procedimento: la legge precisa anche che nel dare tale prova si dovrà tenere conto anche del suo interesse a proteggere i propri segreti aziendali. Nonostante il brevetto altrui, vi sono una serie di attività che la legge reputa lecite e per le quali non è quindi richiesto il consenso del titolare della privativa. In particolare sono consentiti, e quindi non violano il diritto di esclusiva del titolare di un diritto di brevetto: gli atti di produzione o utilizzazione dell’invenzione compiuti in ambito privato ed a fini non commerciali; gli atti di produzione o utilizzazione dell’invenzione compiuti in via sperimentale; gli atti di preparazione estemporanea, e per unità, di farmaci nelle farmacie su ricetta medica84. Ovviamente non pone in essere una violazione del diritto di brevetto altrui neppure chi, avendo un diritto di preuso, sfrutti l’invenzione nei limiti del suo diritto.

84 L’art. 68 c.p.i., dice infatti: “La facoltà esclusiva attribuita dal diritto di brevetto non si estende, quale che sia l’oggetto dell’invenzione: a) agli atti compiuti in ambito privato ed a fini non commerciali, ovvero in via sperimentale ancorché diretti all’ottenimento, anche in paesi esteri, di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco ed ai conseguenti adempimenti pratici ivi compresi la preparazione e l’utilizzazione delle materie prime farmacologicamente attive a ciò strettamente necessarie; b) alla preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica ed ai medicinali così preparati, purchè non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente”.

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La tutela del brevetto a livello internazionale Sommario: 1.Introduzione alla materia; 2. La protezione conferita dai TRIPs alla disciplina brevettuale; 2.1. Il Patent Cooperation Treaty; 2.2. Una scelta tra diverse procedure; 3. Il Brevetto Europeo; 3.1. La Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo; 3.2. La procedura per il rilascio di un Brevetto Europeo; 3.3. Brevetto Europeo e Brevetti Nazionali; 1. Introduzione alla materia

Chi intende acquisire un’esclusiva brevettale sull’invenzione in una pluralità di Stati, può certamente depositare una domanda di brevetto nazionale in ciascuno dei paesi desiderati. Tale sistema, però, oltre ad essere molto oneroso e complicato da gestire comporta il rischio che, nel tempo intercorrente tra il primo deposito ed i successivi, possano accadere fatti (depositi di terzi e predivulgazioni) impeditivi di una valida registrazione all’estero. Molti Stati hanno perciò provveduto a stipulare apposite Convenzioni Internazionali allo scopo di semplificare e unificare le procedure di brevettazione, con notevole risparmio di costi e tempo. Prima fra tutte, è la Convenzione di Unione di Parigi, stipulata nel 1883 e poi successivamente rivista ed aggiornata; ad oggi vi aderiscono oltre 130 Stati, tra cui l’Italia. Le altre due Convenzioni più importanti che interessano più da vicino le imprese italiane sono la Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.)85e il Patent Cooperation Treaty (P.C.T.)86, meglio noto come brevetto internazionale. Attenzione però: nessuna di queste procedure conferisce un brevetto sopranazionale, unico. Il titolare si troverà quindi ad avere tanti brevetti nazionali, ognuno autonomo e dotato di vita propria: queste Convenzioni consentono soltanto di giungere più facilmente e più rapidamente alla concessione dei singoli brevetti nazionali. Non esiste ancora, in materia di brevetti, un istituto come il marchio comunitario, che conferisce un unico diritto di privativa valido in più Stati. Tutte queste iniziative si sono sviluppate sulla base dei principi stabiliti dalla Convenzione di Unione di Parigi, la cui validità non è stata mai messa in discussione. Per tutte quindi, sono da considerarsi validi i principi: a) del trattamento nazionale, cioè ai cittadini appartenenti ai Paesi dell’Unione, ogni Stato s’impegna ad accordare in materia di brevetti gli stessi diritti che spettano ai propri cittadini; b) il diritto di priorità, cioè un istituto giuridico che trova la propria ragion d’essere nella coesistenza di una pluralità di sistemi brevettali: i sistemi brevettali nazionali, il brevetto europeo, il brevetto internazionale. Il diritto di priorità mira a tutelare la novità dell’invenzione: nel caso in cui si desideri ottenere il brevetto in più Stati, il richiedente sarebbe costretto a depositare le varie domande nazionali nello stesso giorno, infatti, per le domande depositate il giorno successivo l’invenzione non sarebbe più nuova, in quanto già appartenente allo stato della tecnica a causa del deposito fatto negli altri Stati il giorno precedente. Per ovviare a questo inconveniente pratico, che di fatto rende difficoltoso l’acquisto di una privativa su un’invenzione in Stati diversi, la Convenzione di Parigi ha previsto il diritto di priorità; in base ad esso, colui che deposita una domanda per l’ottenimento del brevetto in uno Stato, ha tempo un anno dalla data di deposito, per depositare identiche domande di brevetto negli altri Stati unionisti: l’esame della novità dell’invenzione sarà infatti effettuato facendo riferimento alla situazione esistente alla 85 La Convenzione sul Brevetto Europeo, detta anche Convention sur la délivrance de brevets européens, fu sottoscritta a Monaco di Baviera, in Germania, il 5 ottobre 1973. 86 Il Patent Cooperation Treaty fu stipulato a Washington, negli Stati Uniti, il 19 giugno 1970.

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data del primo deposito87. 2. La protezione conferita dai TRIPs alla disciplina brevettuale L’ultima fonte in ordine cronologico, la cui importanza è notevolissima, è l’agreement noto come accordo TRIPs, stipulato in ambito GATT, comprendente una serie di disposizioni ad hoc per la disciplina dei brevetti. Premesso che lo scopo principale dell’accordo riguardante la proprietà intellettuale in sede OMC era quello di eliminare o quanto meno ridurre il più possibile le differenze esistenti tra gli ordinamenti nazionali dei vari Stati partecipanti, il corpo di regole formanti l’accordo TRIPs, si presenta come un codice di norme minime sui diritti di proprietà intellettuale, che i Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno dovuto sottoscrivere e devono ora seguire88. Ai diritti di proprietà industriale è dedicata l’intera seconda parte89, dopo che nella prima, dedicata alle disposizioni generali, gli Stati si sono impegnati a concedere ai suddetti diritti una protezione almeno pari a quella conferita dai TRIPs. In questa prima parte, l’art. 7 sottolinea l’obiettivo dell’accordo stesso: l’innovazione tecnologica, il trasferimento e la diffusione delle tecnologie90. La parte II dell’accordo è dedicata al diritto d’autore e ai diritti connessi, ai marchi di fabbrica o di commercio, alle indicazioni geografiche, ai disegni e ai modelli industriali, ai brevetti, alla topografia, al controllo delle pratiche anticoncorrenziali e alle licenze contrattuali. Tra le diverse materie oggetto di studio non vi è alcun tipo di interazione, essendo considerato ogni diritto distinto ed autosufficiente. Ai brevetti sono dedicati gli artt. Dal 27 al 3491. I requisiti necessari perché una invenzione possa essere considerata brevettabile, sono gli stessi richiesti dalla maggioranza delle legislazioni nazionali, a cui si sono ispirati i redattori dell’Accordo in sede WTO. Quando sussistono la novità, l’attività inventiva e l’applicabilità industriale, 87 In altre aree del mondo infine, si sono sviluppati sistemi simili al C.B.E. o addirittura con funzioni analoghe a quelle che svolgerebbe il C.B.C.. La Convenzione sul Brevetto Eurasiatico ad esempio, raggruppa i Paesi dell’ex Unione Sovietica, mentre tra gli Stati africani sono stati conclusi due trattati multilaterali, la Convenzione O.A.P.I. (Organisation Africane de la Propriété Intellectuelle) e la Convenzione A.R.I.P.O. ( African Regional Industrial Property Organization). A tutte e tre le suddette Convenzioni, possono presentare domanda di brevettazione i cittadini di Paesi diversi da quelli contraenti, come accade per la Convezione sul Brevetto Europeo. H.J. Knight, “Patent Strategy for Researchers and Research Managers”, John Wiley & Sons, Chichester 1996, p. 25. 88 All’atto della pubblicazione, il comunicato dell’Organizzazione commentava: “L’Accordo riconosce che l’enorme differenza tra gli ordinamenti in materia di protezione e rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e che l’assenza di un quadro multilaterale di principi, regole e discipline che reggano il commercio internazionale delle merci di contraffazione hanno originato una serie di tensioni via via più forti nell’ambito delle relazioni economiche internazionali”. 89 L’Accordo TRIPs è strutturato nella maniera seguente: Parte I – disposizioni generali e principi fondamentali; Parte II – diritti di proprietà intellettuale; Parte III – metodi per far rispettare i diritti di proprietà intellettuale; Parte IV – ottenimento e mantenimento del diritto; Parte V – prevenzione e regolamentazione delle controversie; parte VI – disposizioni transitorie; Parte VII – disposizioni istituzionali. 90 L’art. 7 infatti, recita: “ La protezione e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale dovrebbe contribuire alla promozione dell’innovazione tecnologica e al trasferimento e alla diffusione delle tecnologie, a vantaggio reciproco di coloro che creano e coloro che sfruttano le conoscenze tecniche e, di conseguenza, al benessere sociale ed economico e ad assicurare un equilibrio dei diritti e degli obblighi”. 91 S. Sandris, “GATT. I brevetti nei TRIPs (protezione brevetti, standard minimi di protezione, tutela giurisdizionale, violazione dei diritti di proprietà intellettuale, contenuto dei diritti di brevetto)”, in Diritto Industriale, 1995, p. 338.

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un’invenzione potrà essere coperta da brevetto, anche se la brevettabilità è caratterizzata da alcune eccezioni92, riguardanti i metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per il trattamento di persone ed animali ed i procedimenti per l’ottenimento di vegetali o di animali, per i quali, come a livello nazionale, essa è esclusa. Infine, nel novero delle invenzioni di cui è esclusa la brevettabilità, l’accordo indica quelle la cui applicazione risulterebbe contraria all’ordine pubblico o al buon costume93. Una volta stabilito quali invenzioni sono tutelabili, l’art. 28 indica quali diritti sono conferiti da un brevetto: se il brevetto ha per oggetto un prodotto, il suo titolare è legittimato ad impedire a terzi, operanti senza il suo consenso, di fabbricare, utilizzare, commercializzare e di importare o esportare tale bene; allo stesso modo se si tratta di un procedimento, il suo titolare può vietare a terzi la commercializzazione sia del procedimento che del prodotto ottenuto con quel metodo brevettato94. Ai sensi dello stesso art. 28, il titolare ha la facoltà di concedere o di concludere contratti di licenza. Per ottenere la tutela, il titolare dell’invenzione dovrà depositare un fascicolo contenente un’adeguata descrizione, esaustiva a tal punto che qualsiasi tecnico possa, attraverso tali indicazioni, riprodurre fedelmente l’invenzione brevettata95. La durata della protezione non è dettata in modo univoco dall’Accordo, che si limita ad imporre a quegli Stati che concedono tutele di durata inferiore ai venti anni, di estendere il periodo, da calcolarsi a decorrere dalla data di deposito della domanda. Infine, mentre l’art. 34 riguardante le azioni di contraffazione, affida il carico della prova al titolare del brevetto, tutto l’art. 39 è dedicato alle informazioni non divulgate, la cui tutela è esclusivamente affidata al segreto aziendale. Tutte le disposizioni sui brevetti sono ulteriormente tutelate dalle disposizioni contenute nella terza parte dell’accordo, riguardanti i metodi ed i modi per far rispettare i diritti di proprietà intellettuale e costituente uno dei tre pilastri essenziali di tutta la legislazione sulla proprietà intellettuale. Gli Stati si impegnano così ad adottare procedure che permettano un’azione puntuale ed efficace contro ogni tipo di attacco ai diritti di privativa; sono comprese le misure di correzione rapida destinate a correggere eventuali squilibri o minacce ai suddetti diritti, senza rischiare di scoraggiare il commercio internazionale. Tutte le procedure messe in atto dagli Stati dovranno essere equilibrate e giustificate, non dovranno essere particolarmente complesse e costose e non dovranno comportare ritardi ingiustificati o rallentare inutilmente le procedure. La speranza è che, con il tempo ed il progressivo adeguamento degli Stati alle sue disposizioni, l’accordo TRIPs possa risultare uno strumento efficace per l’armonizzazione delle legislazioni di tutti i Paesi aderenti. 2.1 Il Patent Cooperation Treaty Il Trattato di cooperazione internazionale in materia di brevetti (Patent Cooperation Treaty – P.C.T.) che è stato sottoscritto a Washington il 19 giugno 1970 ed è entrato in vigore il 24 gennaio 197896, ha istituito il BREVETTO INTERNAZIONALE. Il 92 Art. 27, terzo comma. 93 Art. 27, secondo comma. 94 Ai sensi dell’art. 30, devono essere considerate lecite e quindi non ostacolate ad opera del titolare, le utilizzazioni sperimentali o puramente accademiche del procedimento oggetto di brevetto. Ovviamente quando si scopra che tale tipo di utilizzo è finalizzato ad un’illecita commercializzazione, il titolare sarà autorizzato ad intervenire con un’azione di contraffazione. 95 Art. 29. 96 B.C. Reid, “A Practical Guide To Patent Law, Third editin”, Sweet &Maxwell, Londra 1999, p.180; PCT Guide du Déposant, Volume 1/A, Phase International – Information générales à l’intention des

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brevetto internazionale non dà luogo ad un diritto di privativa sopranazionale, ma consente ed agevola la possibilità di estendere la copertura brevettale di un’invenzione presso la quasi totalità dei paesi del mondo, ottenendo singoli brevetti nazionali. Il P.C.T. è un trattato multilaterale gestito dall’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale97, con sede a Ginevra, a cui partecipano circa un centinaio di Stati, basato essenzialmente su tre punti o prerogative: la presentazione di una domanda internazionale, effettuazione di una ricerca internazionale, effettuazione di un esame preliminare internazionale. Con esso non viene istituita un’autorità centrale, centralizzata per il rilascio di brevetti di portata internazionale, ma viene unificata la fase iniziale del deposito della domanda: attraverso un unico deposito la domanda produce gli stessi effetti in tutti gli Stati aderenti. Si deposita la domanda di brevetto in un determinato Paese aderente al trattato ed è come se si fosse depositata la domanda in tanti Stati quanti sono quelli in cui si vuole ottenere la protezione. La procedura infatti consente di allungare i tempi per vagliare l’opportunità di affrontare i costi connessi all’estensione in molti Paesi della domanda di brevetto per invenzione. Il diritto di priorità trova applicazione quando il richiedente un brevetto abbia depositato una domanda di brevetto in un sistema brevettale (nazionale, europeo o internazionale) e desideri depositare ulteriori domande per la stessa invenzione (o per un’invenzione che la ricomprenda) in altri Stati: in tal caso l’esame della novità dell’invenzione, in relazione alla seconda domanda depositata, verrà effettuato con riferimento alla situazione esistente alla data del primo deposito. Il diritto di priorità sussiste solo ove il deposito della seconda, o di ulteriori domande, avvenga entro 12 mesi dal primo deposito. L’Ufficio di Ginevra, fornisce inoltre a chiunque voglia procedere al deposito per l’ottenimento del brevetto, una serie di importanti informazioni, frutto di una ricerca effettuata a livello internazionale, riguardante la novità dell’invenzione, nonché un parere non vincolante sulla brevettabilità della stessa: si tratta di un validissimo aiuto, in quanto la valutazione viene effettuata a monte delle vere procedure d’esame, che rimangono di competenza delle autorità nazionali o regionali. La domanda viene presentata presso l’Ufficio nazionale del Paese di cui il richiedente ha la residenza98( per l’ Italia l’UIBM e le Camere di Commercio)99 ; nella domanda possono essere designati gli Stati nei quali si vuole ottenere la copertura brevettale. L’Ufficio ricevente verifica utilisateurs du Traitè de Coopération en matiére de brevets, a cura dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale, 2003. 97 L’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (O.M.P.I. in francese, W.I.P.O. in inglese) è un organismo internazionale collegato all’organizzazione delle Nazioni Unite, che sovrintende alle azioni di tutela dell’intelletto messe in opera da tutti i Paesi aderenti. Essa, di concerto con gli Stati che ne fanno parte, sviluppa un’attività direttrice in appoggio a tutti gli sforzi concreti nel mondo e finalizzato alla creazione di una congiuntura favorevole allo sviluppo dell’attività creativa ed innovatrice. La maggioranza dei trattati riguardanti la proprietà intellettuale e firmati a livello mondiale, sono stati stipulati grazie all’attività continua e pianificatrice dell’O.M.P.I.: ad esempio i TRIPs, firmati in sede WTO, sono stati conclusi sotto gli auspici dell’Organizzazione, senza il cui intervento difficilmente si sarebbe potuto raggiungere un livello tanto elevato di cooperazione internazionale. Sulle origini e l’evoluzione storica, sulle sue attività e sui trattati conclusi sotto la sua egida, si veda www.wipo.org. 98 Contestualmente al deposito della domanda presso l’Ufficio nazionale, si deve effettuare il pagamento delle tasse iniziali, in euro, su un conto estero riconosciuto dall’Ufficio internazionale. 99 Nel caso in cui si tratti della prima domanda di brevetto per una determinata invenzione, la legge italiana vieta, ai residenti nel territorio dello stato, il suo deposito esclusivamente all’estero, salvo autorizzazione del Ministero dell’Industria e del Commercio, e comunque il deposito all’estero della domanda prima che siano trascorsi sessanta giorni dalla data di deposito in Italia, o dalla presentazione dell’istanza di autorizzazione al Ministero.

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la sussistenza dei requisiti formali per ricevere la domanda e gli riconosce una data di deposito internazionale, indispensabile per prevalere su eventuali successivi richiedenti e per cristallizzare lo stato della tecnica in relazione al quale dovrà essere valutata la novità e l’originalità dell’invenzione. Attribuita una data alla domanda, la procedura prosegue con l’espletamento, da parte dell’amministrazione incaricata tra quelle espressamente previste dal P.C.T., di una ricerca internazionale circa la novità e l’originalità dell’invenzione, che costituisce una sorta di parere non vincolante sulla brevettabilità, molto utile per consentire al richiedente di decidere se proseguire o meno con la brevattazione. Dopo diciotto mesi dalla data di deposito della domanda o dalla data del primo deposito di una domanda di brevetto che sia rivendicato come priorità nella domanda di brevetto internazionale, la stessa verrà pubblicata insieme al rapporto di ricerca. Il richiedente dovrà decidere entro due o tre mesi dalla comunicazione del rapporto di ricerca, e comunque entro 20 mesi dalla data di deposito della domanda internazionale o della domanda rivendicata come priorità, se abbandonare la procedura P.C.T. per seguire la più tradizionale via dei depositi multipli nazionali, e quindi il procedimento innanzi ai singoli Uffici nazionali degli stati designati nella domanda e quindi ottenere i relativi brevetti nazionali, oppure se accedere alla fase seguente della procedura P.C.T, in cui viene compiuto un preventivo esame internazionale della novità, originalità e industrialità dell’invenzione. Qualora il titolare decida di non abbandonare la procedura internazionale, potrà decidere di designare brevetti regionali, validi cioè per un gruppo di Stati appartenenti ad un Organizzazione a carattere regionale, che si occupi di registrazione e tutela brevettale100. La seconda fase, consistente in un esame internazionale, preventivo al rilascio del brevetto internazionale, ha inizio con la presentazione della richiesta di esame presentata al diciottesimo mese dal deposito della domanda. L’esame sui requisiti di brevettabilità è basato sulla valutazione della novità, dell’originalità e dell’industrialità dell’invenzione, senza che si entri nelle particolarità delle diverse norme nazionali. Il giudizio risultante dall’esame internazionale della domanda trasmesso alle autorità competenti nazionali, può essere accettato tout cour oppure essere oggetto di ulteriori esami, preventivi al giudizio definitivo; non impegna cioè gli uffici nazionali che saranno poi chiamati a rilasciare il brevetto, tuttavia costituisce un autorevolissimo parere circa la brevettabilità dell’invenzione. Sulla base delle risultanze dell’esame, e di altre valutazioni compiute nei mesi trascorsi per l’espletamento della procedura, il richiedente potrà infine decidere se affrontare le singole procedure di brevettazione negli stati eletti per la copertura brevettale dell’invenzione. In genere la via seguita è quella di un primo deposito della domanda di brevetto nazionale presso lo Stato del richiedente, cosicché, nei successivi dodici mesi in cui sussiste il diritto di priorità, si potrà vagliare l’ipotesi di presentare una domanda P.C.T., eventualmente perfezionata ed integrata con gli ultimi sviluppi dell’invenzione. Presentata la domanda P.C.T., si hanno a disposizione venti o trenta mesi circa dal primo deposito per decidere se ed in quali Paesi, tra quelli indicati nella domanda, brevettare, tenuto anche conto del rapporto di ricerca e dell’esito dell’esame internazionale condotto sulla domanda. Il principale vantaggio della procedura P.C.T. consiste nel fatto che, quando si sta valutando l’ipotesi di brevettare l’invenzione in una pluralità di stati di aree geografiche differenti, essa consente di congelare la situazione e mantenere il diritto di chiedere i singoli brevetti per molti mesi attraverso l’iniziale 100 Le organizzazioni regionali accreditate sono: l’Organizzazione Europea dei Brevetti (O.E.B.), l’African Regional Property Organization (A.R.P.O), l’Organisation Africane pour la Proprietà Intellectuelle (O.A.P.I.) e l’Eurosian Patent Office (E.P.O.).

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deposito di una sola domanda (internazionale) presso un solo Ufficio brevetti, in una sola lingua e sottostando alle pretese fiscali di un solo Ufficio. La decisione di affrontare gli alti costi di una brevettazione paese per paese può così venire rinviata a venti o trenta mesi dalla data di deposito della domanda internazionale o della precedente domanda rivendicata come priorità. Da questa sintetica analisi procedurale, emerge con chiarezza la netta differenza tra questo sistema e quello previsto dalla C.B.E.: mentre il brevetto europeo è conferito da un’autorità centrale ed ha la stessa validità in ognuno degli Stati aderenti alla Convenzione, il P.C.T. risolve esclusivamente il problema della ricerca e raccoglie un’adeguata documentazione, la quale però sarà trasmessa alle autorità centrali, perché ad esse compete la decisione finale sul rilascio o meno del titolo brevettale. Ciò che si ottiene seguendo la procedura P.C.T. è un fascio di brevetti piuttosto che un titolo unitario, come accade, in materia di marchi, con l’Arragement di Madrid ed il relativo Protocollo. Come si vedrà analizzando nello specifico anche la Convenzione sul Brevetto Europeo, le differenze tra le due si appiattiscono guardando al profilo territoriale del brevetto concesso: nessuna delle due Convenzioni costituisce un mezzo di unificazione completa dei diritti di brevetto, perché le esclusive che si ottengono tramite queste due procedure rimangono inquadrate in ciascuno degli ambiti territoriali per i quali sono state richieste. Così le tasse di mantenimento hanno matrice nazionale, il brevetto conferisce diritti dettati dall’ordinamento dello Stato in cui è fatto valere e sulla base di esso è soggetto a revoca su base nazionale. Un decisivo passo avanti sulla strada dell’unificazione potrebbe essere compiuto con l’entrata in vigore della Convenzione sul Brevetto Comunitario, che conferirebbe una vera privativa unitaria e sopranazionale, concessa con una procedura unica e affidata ad un’autorità giurisdizionale unitaria, dislocata presso le varie corti nazionali. 2.2 Una scelta tra diverse procedure Quando si dovrà scegliere la procedura P.C.T. e quando sarà meglio optare per una serie di depositi nazionali o per brevetto europeo? Il ventaglio di possibilità per proteggere un’invenzione si allarga progressivamente e chi si trovi di fronte a questo dilemma dovrà valutare attentamente costi e benefici dell’una e dell’altra alternativa, per scegliere la procedura che meglio si adatta alle sue necessità. Innanzitutto rimane valida la più antica delle possibilità, consistente nel depositare tante domande nazionali quanto sono i Paesi in cui si vuole ottenere la tutela. Oppure si può richiedere un brevetto europeo, richiedendo il brevetto del piano P.C.T. ed includendovi il brevetto europeo, in modo da avere la stessa domanda di protezione anche per Paesi come Stati Uniti, Giappone, Brasile, Australia ed altri. Infine si può optare inizialmente per un primo deposito a livello nazionale, contando poi sui dodici mesi concessi per depositare domanda di brevetto europeo o sul piano P.C.T.. Quest’ultima è di gran lunga la strada più consigliata. Ogni procedura ha i suoi interlocutori principali ed ideali: spetterà ad ogni richiedente individuare quale sistema si conformi meglio alle sue necessità. La Convenzione P.C.T. risulta ad esempio vantaggiosa quando gli interessi del titolare siano prettamente extra – europei ed il numero di Stati per i quali si voglia fare richiesta risulti elevato, almeno superiore a dieci. Infatti il P.C.T. offre una semplificazione ed un’accellerazione delle procedure, ma comporta un aumento complessivo dei costi. E’ preferibile una prima domanda di base nel Paese d’origine, piuttosto che effettuare subito, come domanda di base, una domanda di brevetto europeo: il costo in questo

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secondo caso risulterebbe maggiore e i brevetti stranieri avrebbero una durata inferiore di un anno rispetto all’estensione del termine di priorità. Quand’anche si decida di seguire i consigli più diffusi ed effettuare il deposito di base a livello nazionale per poi decidere, si è approssimativamente calcolato che risulta conveniente scegliere il brevetto europeo piuttosto che una serie di brevetti nazionali solo quando i Paesi designati sono almeno quattro. A seconda del campo d’azione e delle disponibilità finanziarie a disposizione, ogni impresa o soggetto che intenda richiedere una tutela brevettale, dovrà attentamente vagliare tutte le possibilità ed optare per quella che meglio risponde alle sue necessità. 3. Il Brevetto Europeo

Il sistema brevettale europeo consente, con un unico procedimento, di ottenere un brevetto efficace in più paesi europei scelti dal richiedente tra quelli aderenti alla Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo, in vigore in Italia dal 1978. Il sistema del brevetto europeo consente di utilizzare una sola procedura per l’ottenimento dei vari brevetti nazionali, ma non dà luogo ad alcun diritto di privativa internazionale o sopranazionale: il richiedente sarà titolare di un fascio di brevetti nazionali, soggetti alle leggi ed alla giurisdizione dei singoli stati designati dal richiedente. Un esempio potrà chiarire il discorso: chi ottenga un brevetto europeo da valere negli Stati X,Y e Z, ottiene, con un unico procedimento avanti l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO), un documento unitario che gli conferisce un diritto di esclusiva in detti Stati, come se avesse proceduto separatamente alla brevettazione in ciascuno di essi; dopo l’ottenimento del brevetto, però questo deve considerarsi, per ciascuno di detti Stati, alla stregua di un brevetto nazionale e pertanto sottoposto alla disciplina ed alla giurisdizione dei giudici locali101. 3.1 La Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo La Convenzione sul Brevetto Europeo (C.B.E.) è stata sottoscritta a Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973 ed è entrata in vigore il 7 ottobre 1977, con un primo gruppo di sette Stati contraenti, a cui si sono progressivamente aggiunti i nuovi aderenti alle Comunità, cosicché ad oggi sono diciannove gli Stati membri della Convenzione102; con sei Paesi dell’area europea centro – orientale sono stati stipulati speciali accordi per l’estensione territoriale della protezione conferita dal brevetto europeo103. L’Italia ha aderito alla convenzione fin dall’origine, ratificandola però solo nel 1978 con legge n. 260 del 26 maggio ed emanando la normativa di attuazione nazionale con il D.P.R. n. 32 dell’8 gennaio 1979104. Lo scopo e le finalità perseguite dalla Convenzione sono di provvedere alla protezione delle invenzioni negli Stati contraenti, nel modo più facile, economico ed 101 M. Barbuto, “Brevetto europeo e brevetto comunitario”, in Consulente d’Impresa, 1998, p. 25; Muir, Brandi, D’Ohrn, Gruber, “European Patent Law. Law and Procedure under the EPC and PCT, Oxford University Press, Oxford 1999; R. De Luca, “Le piccole e medie imprese italiane al penultimo posto in Europa nella registrazione dei brevetti”, in Il Diritto Industriale, n. 4/2000, p. 324. 102 Stati aderenti alla C.B.E.: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Monaco, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera. 103 Gli stati con cui è in vigore uno speciale accordo di estensione sono: Albania, Lettonia, Lituania, Macedonia, Romania, Slovenia. 104 La normativa di attuazione è stata modificata con il D.P.R. n. 338 del 22 giugno 1979.

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affidabile possibile, mediante la messa a punto di un’unica procedura europea per il rilascio dei brevetti, sulla base di un corpo omogeneo di leggi brevettali fondamentali. In questo modo si sarebbe risolto il problema dei depositi plurimi: a tal fine la Convenzione crea una procedura unificata di rilascio del brevetto, conseguente ad un esame preventivo, da parte di un Ufficio Europeo dei Brevetti, istituito dalla Convenzione stessa e stabilito a Monaco di Baviera, in Germania105 Da un punto di vista giuridico, la Convenzione si configura come un accordo internazionale, da interpretarsi secondo i principi del diritto internazionale. Come previsto dall’art. 64 della Convenzione, un brevetto europeo conferisce al suo titolare, in ogni Paese contraente per il quale è rilasciato, un insieme di diritti uguali a quelli che deriverebbero da una concessione di brevetto nazionale. Il titolo concesso si configura più come un fascio di diritti che come un unico ed unitario brevetto, efficace per l’intero territorio di tutti i Paesi aderenti. Questo fascio di brevetti forma un tutt’uno fino a quando la procedura di concessione non si sia conclusa e si scompone in una serie di brevetti nazionali dopo che essa sia terminata. E’ infatti il giudice nazionale che valuta le eventuali contraffazioni e nullità: nonostante ciò esso è vincolato alla normativa convenzionale, riguardante la nozione di invenzione brevettabile, i requisiti per la brevettabilità, i soggetti di diritto, le cause per la nullità e la procedura di concessione del brevetto: su tali aspetti la Convenzione ha previsto norme di omogenea applicazione negli Stati aderenti, a volte divergenti dalla normative nazionali. Con riferimento ai rapporti con le altre convenzioni internazionali, il principio di trattamento nazionale e il diritto di priorità sanciti nella Convenzione di Unione di Parigi, trovano applicazione anche nella C.B.E.. Inoltre, poiché essa si configura come un trattato di natura regionale, i brevetti europei possono essere rilasciati in seguito ad una domanda internazionale, in conformità con le norme del Patent Cooperation Treaty. In particolare con la procedura Euro – PTC, è possibile ottenere un brevetto valido per tutti i Paesi aderenti alla C.B.E., con un solo deposito PTC. Essa costiuisce inoltre il fondamento della Convenzione sul Brevetto Comunitario, firmata con l’intento di superare i limiti della Convenzione in esame, ma non ancora entrata in vigore a causa della ritrosia degli Stati su alcuni aspetti procedurali. Infine non si dimentichi che, la Convenzione non pregiudica l’esistenza dei brevetti nazionali e dei relativi Uffici106. Si deve quindi ritenere che il sistema giuridico europeo non si sostituisca ai diritti nazionali, ma costituisca un nuovo sistema brevettale con quelli coesistenti. Così il titolare rimane libero di scegliere tra una serie di depositi presso ognuno dei Paesi per i quali richiede la tutela e l’iter europeo che, con un solo deposito presso un unico Ufficio, conferisce la tutela in ognuno dei Paesi designati dal titolare stesso. Non si dimentichi che tali strade si possono intrecciare con il sistema P.C.T., quando i Paesi individuati siano anche membri del Patent Cooperation Treaty la scelta si allargherà e il titolare potrà optare per la via europea diretta o per il sistema Euro – P.T.C.. 105 In precedenza, infatti, il richiedente che avesse voluto ottenere la tutela per la sua invenzione in ognuno dei Paesi in cui intendeva renderla pubblica, doveva affidarsi alle varie legislazioni nazionali, perdendo tra il resto notevole tempo e sforzi, nel tentativo di comprenderne a pieno le varie differenze e sfaccettature. Tra i vari Stati infatti le differenze a livello di tutela brevettale erano notevoli, sia con riferimento alla procedura da seguire per ottenere il brevetto stesso, sia per quanto concerne i diritti di tutela così concessi. 106 L’art. 2 della Convenzione stabilisce infatti che: “In ciascuno degli Stati contraenti per i quali esso è concesso, il brevetto europeo ha gli stessi effetti ed è soggetto alle medesime regole di un brevetto nazionale concesso in questo Stato, salvo che la presente Convenzione non disponga altrimenti”.

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L’Organizzazione Europea dei Brevetti (O.E.B.)107, istituita dalla omonima Convenzione, ha stretto accordi di cooperazione con diversi Paesi non aderenti alla C.B.E.; si tratta di un sistema di estensione che offre ai richiedenti dei brevetti europei una tutela anche in questi Paesi, in modo semplice e redditizio. In essi i brevetti avranno gli stessi effetti delle domande e dei brevetti nazionali e beneficeranno della stessa tutela conferita dall’Ufficio Europeo dei Brevetti nei Paesi membri dell’U.E.B.. Si prevede che, in un prossimo futuro, molti altri Paesi si affiancheranno agli attuali sei con cui tali accordi sono attualmente in vigore. Per quanto riguarda le lingue dell’Ufficio europeo dei brevetti, la Convenzione distingue, in linea di principio, tra lingue ufficiali, lingua della procedura e lingua ufficiale di uno Stato membro, diversa da inglese, francese e tedesco. Le tre lingue ufficiali sono l’inglese, il francese e il tedesco e in una di esse devono essere depositate le domande di brevetto europeo. Esistono comunque varie eccezioni a questa regola generale, che permettono ad esempio ad un soggetto domiciliato in uno Stato membro la cui lingua ufficiale sia diversa da una delle tre sopra citate, di depositare la domanda nella propria lingua. Qualora una di queste ipotesi venga sfruttata e la domanda sia presentata in una lingua diversa da inglese, francese o tedesco, il titolare avrà un margine di tre mesi, decorrenti dalla data di ricevimento della domanda e di pubblicazione nel Bollettino Europeo dei brevetti, per presentare una traduzione, dichiarata perfettamente conforme al testo originale, in una delle tre lingue ufficiali. La lingua scelta fin dall’inizio per il deposito della domanda o in seguito, per la sua traduzione, sarà considerata la lingua della procedura per l’intero procedimento davanti all’U.E.B.. 3.2 La procedura per il rilascio di un Brevetto Europeo I brevetti europei sono concessi per qualsiasi invenzione che sia nuova, suscettibile di applicazione industriale e che implichi un’attività inventiva. La procedura si caratterizza, rispetto alla procedura per il rilascio del brevetto italiano, per la presenza di un esame approfondito circa i requisiti sostanziali di brevettabilità: dunque il brevetto europeo sarà assistito da una forte presunzione di validità, essendo stato rilasciato solo dopo un attento esame relativo alla sussistenza di tutte le condizioni per la concessione del diritto. La domanda può essere presentata, prendendo data da quel momento, 107 Il procedimento per il rilascio di un brevetto europeo è accentrato presso l’Organizzazione Europea dei Brevetti, istituita con l’art. 4 della Convenzione, centro operativo e cuore direzionale dell’intero sistema. Si tratta di un’organizzazione dotata di autonomia amministrativa e finanziaria, composta da due organi, l’Ufficio Europeo dei Brevetti competente per il rilascio del brevetto, e il Consiglio di Amministrazione che controlla l’attività dell’Ufficio stesso.L’Organizzazione possiede personalità giuridica, vale a dire che essa può operare giuridicamente e compiere attività economiche. Per quanto riguarda la sua rappresentanza, spetta al Presidente del Consiglio di Amministrazione, che opera esclusivamente per gli scopi perseguiti dall’organizzazione stessa. La sede dell’Organizzazione è fissata a Monaco di Baviera, cosicché i due organi che la compongono si stabiliscono in Germania. All’Aja invece hanno sede la Sezione di deposito e le Divisioni di Ricerca competenti per talune fasi della procedura. Infine il Protocollo sulla centralizzazione107 istituisce una agenzia distaccata dell’U.E.B. a Berlino, incaricata della ricezione di tutti i documenti indirizzati all’U.E.B. e della gestione dei pagamenti delle tasse. Infine a partire dal 1° gennaio 1991 è in funzione a Vienna un centro di documentazione INPADOC, creato come centro di documentazione brevettale e assorbito dall’U.E.B. in seguito ad un accordo con l’Austria.

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direttamente o a mezzo posta all’Ufficio Europeo di Monaco o al suo distaccamento dell’Aja, oppure anche presso gli uffici brevettali nazionali degli Stati membri della Convenzione, che provvederanno a trasmetterla all’Ufficio europeo, da qualunque persona fisica o giuridica, indipendentemente dalla nazionalità o dal luogo di residenza. Chiunque la effettui avrà il dovere di indicare con precisione i Paesi nei quali desidera essere tutelato. In qualunque momento, fino al rilascio del brevetto, è possibile ritirare la designazione di un Paese contraente, mentre non è possibile aggiungere alla lista, Paesi che non siano stati indicati nella prima richiesta di concessione. Tutto l’iter procedurale inizia con il deposito della domanda da parte del richiedente. La domanda deve contenere una richiesta di rilascio di brevetto europeo, una descrizione dell’invenzione che inizi con un titolo e precisi il ramo della tecnica cui si riferisce l’invenzione nonché lo stato della tecnica ad esso anteriore, una o più rivendicazioni che definiscano l’oggetto della tutela, eventuali disegni a corredo della descrizione e delle rivendicazioni ed un riassunto. Pervenuta la domanda di deposito, la sezione di deposito si occupa dell’esame sulla regolarità formale della domanda, per attribuirle una data di deposito dalla quale la domanda europea produce gli stessi effetti di una domanda di brevetto nazionale. L’esame del deposito comporta anche la verifica dell’avvenuto pagamento delle tasse di deposito e di ricerca, dell’eventuale deposito della traduzione della domanda in una delle tre lingue ufficiali, se richiesta, nonché l’adempimento di altri oneri di natura formale. Contemporaneamente all’esame formale, hanno luogo i lavori di ricerca con i quali l’U.E.B. ricerca, tra brevetti e domande di brevetto pubblicate in un gran numero di Paesi e tra pubblicazioni tecniche e scientifiche, quale sia la tecnica anteriore più pertinente all’invenzione in esame, verifica cioè la novità e l’originalità dell’invenzione di cui si chiede la brevettazione. Entrambi i rapporti così redatti sono inviati al richiedente con tutte le informazioni e i documenti necessari, perché decida, in base a tali conclusioni, se continuare o meno la procedura. Egli potrà abbandonare totalmente la procedura in caso gli esisti della ricerca siano totalmente sfavorevoli, oppure limitare adeguatamente la portata della propria domanda. Trascorsi almeno 18 mesi dalla data di deposito della domanda, o dal deposito rivendicato come priorità, la domanda di brevetto europeo viene pubblicata sul Bollettino europeo dei brevetti nella lingua ufficiale scelta all’atto del deposito, dandone notizia al richiedente e avvertendolo che la procedura potrà proseguire solo su suo impulso entro 6 mesi dalla pubblicazione. Spetta infatti al richiedente il brevetto europeo, anche alla luce del rapporto europeo di ricerca, valutare l’opportunità di continuare nel procedimento chiedendo l’esame della domanda. Tale richiesta di esame, da effettuarsi entro 6 mesi dalla pubblicazione della domanda, comporta il pagamento di una tassa ulteriore a quelle già pagate per il deposito e la ricerca e apre la vera e propria fase dell’esame dell’invenzione, diretta ad un’attenta verifica del fatto che la domanda di brevetto e l’invenzione che ne forma l’oggetto soddisfino tutte le condizioni per il rilascio del brevetto europeo. Se il richiedente ha effettuato la richiesta di esame prima che gli fosse trasmesso il rapporto di ricerca, l’ufficio europeo lo invita a confermare la sua richiesta dopo tale trasmissione. La Divisione di esame competente del’Ufficio europeo dei brevetti, in contraddittorio con il richiedente, analizza la domanda e verifica la sussistenza dei requisiti di brevettabilità, quali richiesti dall’art. 94 della Convenzione e, se l’esame dà esito positivo, notifica al richiedente il testo sul quale intende concedere il brevetto, potendo esso comportare delle modifiche rispetto alla domanda iniziale, invitando quest’ultimo al pagamento delle tasse dovute. Entro tre mesi dovranno essere corrisposte le tasse di concessione, di stampa del fascicolo di brevetto e dovranno essere

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fornite le traduzioni delle rivendicazioni nelle due lingue ufficiali diversa da quella utilizzata durante l’intero iter. Inoltre, se vi è l’accordo con il richiedente ed altre condizioni, la decisione di rilasciare il brevetto europeo viene pubblicata sul Bollettino europeo dei brevetti, prendendo effetto da tale data. Contemporaneamente alla pubblicazione della decisione, viene pubblicato anche il fascicolo del brevetto europeo, contenente la descrizione dell’invenzione, le rivendicazioni e, se del caso, i disegni. Successivamente viene rilasciato al richiedente il certificato ufficiale attestante l’ottenimento del diritto di brevetto. Si tratterà di un fascio di brevetti nazionali, simili a quelli che il titolare potrebbe ottenere attraverso una serie di depositi plurimi presso ognuno degli Stati per i quali ha effettuato la rivendicazione durante la procedura U.E.B.. Il brevetto europeo ha quindi gli stessi effetti, in ogni Paese, di un brevetto nazionale rilasciato dall’Ufficio Nazionale Brevetti di quel Paese e ogni interferenza sarà valutata sulla base della legislazione dello Stato in cui essa si verifica. La durata del brevetto europeo, o meglio dei vari brevetti nazionali, è di venti anni, decorrenti dalla data di deposito di domanda di brevetto europeo. Contro la concessione di un brevetto europeo, entro un termine massimo di nove mesi dalla data di pubblicazione della decisione di concessione del brevetto108, chiunque può presentare opposizione scritta al rilascio avanti l’Ufficio europeo onde ottenere la revoca o la modifica, senza essere tenuto a dimostrare che il brevetto in questione costituisca per lui un pregiudizio o che egli abbia un interesse specifico sul caso109. L’esame dell’opposizione compete alla relativa Divisione di Opposizione, la quale, informato il titolare e concessogli un periodo sufficiente per apportare eventuali modifiche, esaminerà le motivazioni addotte e potrà: a) rigettare l’opposizione per l’infondatezza delle motivazioni; b) accogliere l’opposizione e revocare il brevetto concesso; c) mantenere il brevetto concesso se, modificato alla luce dei rilievi emersi, esso soddisfi le condizioni richieste dalla normativa, vi sia l’accordo del titolare sulle modifiche e questo adempia alle incombenze (tasse ed eventuali traduzioni) conseguenti alle modifiche. Esistono infine le Commissioni di ricorso e la Commissione ampliata di ricorso, cui compete un’altra ed eventuale fase del procedimento, che si apre quando un soggetto, che sia intervenuto nelle precedenti fasi, presenti ricorso contro una decisione assunta in sede di esame di deposito, di esame della domanda o di procedura di opposizione, entro due mesi dalla notifica della decisione emessa, con la clausola che entro quattro mesi vengano presentati i motivi a sostegno di tale ricorso. L’organo che ha emesso la decisione impugnata può rettificare tale decisione entro un mese dal ricevimento della memoria motivata depositata dal ricorrente; in tal caso cessa la materia del contendere. Se la decisione impugnata non viene rettificata, il ricorso viene deciso da una Commissione dei ricorsi o se si tratta di una questione di particolare importanza giuridica o quando sia il Presidente dell’U.E.B. a richiederlo a seguito di due pronunce contrastanti da parte di altrettante Commissioni di ricorso, il ricorso viene deciso dalla Commissione ampliata di ricorso. Esaminato il ricorso, la Commissione decide sullo 108 Trascorsi nove mesi dalla data di pubblicazione della decisione di concessione di brevetto, senza che siano state presentate opposizioni, il titolo potrà essere attaccato solo davanti alle singole autorità giudiziarie nazionali. 109 Le cause per le quali può presentare opposizione sono tassative e sono le seguenti: l’invenzione oggetto del brevetto ottenuto non era brevettabile; l’invenzione non è stata descritta in modo sufficientemente chiaro e completo perché un esperto del ramo possa attuarla; il brevetto concede l’esclusiva su un oggetto più ampio rispetto a quello delineato nella domanda iniziale di brevetto.

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stesso, rigettandolo o accogliendolo. Nel caso decida di accogliere il ricorso, la Commissione può sostituirsi all’organo la cui decisione è stata impugnata e decidere diversamente, oppure può rinviare la decisione a tale organo che dovrà attenersi alle direttive della Commissione110. 3.3. Brevetto Europeo e Brevetti Nazionali La Convenzione lungi dal sopprimere i brevetti nazionali o da sostituirsi ad esse, insegue l’obiettivo di regolare la coesistenza tra il sistema europeo e quelli statali. Tant’è che è espressamente prevista e regolata la fattispecie in cui un brevetto formi contemporaneamente oggetto di una domanda di brevetto o di un brevetto nazionale e di una domanda di brevetto o brevetto europeo, in cui i due titoli abbiano la stessa data di deposito o beneficino della stessa data di priorità111. La Convenzione non detta un disciplina unitaria ma affida ai vari legislatori nazionali il compito di regolare la materia: così il legislatore italiano ha stabilito che, laddove un brevetto nazionale tuteli la stessa invenzione coperta da brevetto europeo, il titolo italiano cessa di espletare i suoi effetti dalla data in cui il termine per la presentazione di opposizioni al brevetto europeo sia scaduto, oppure dalla data di conclusione di un’eventuale procedura di opposizione intrapresa, senza che il titolo italiano è stato concesso, quando si tratti di una data posteriore a quella di cui alle due ipotesi precedenti112. 110 Nel quadro dei ricorsi infine, si deve menzionare l’importante istituto della restituito in integrum, previsto dall’art. 122 della Convenzione e finalizzato a consentire al titolare del brevetto di essere reintegrato nella perdita di diritti subita a seguito dell’inosservanza dei termini, eliminando gli effetti giuridici negativi ad essa conseguenti. La reintegrazione dei diritti può essere richiesta tanto dal richiedente quanto dal titolare di brevetto europeo, mentre è esclusa per l’opponente e per coloro che intervengono in un procedimento di opposizione. Perché la reintegrazione possa aver luogo, è necessario che l’impedimento che non ha consentito l’osservanza dei termini abbia causato la perdita diretta della domanda di brevetto o di un diritto particolare, quali ad esempio il diritto di priorità o il diritto di designazione di un determinato Stato contraente. 111 Art. 139 della Convenzione. 112 Un caso molto interessante al riguardo è stato quello deciso dalla Corte di Appello di Bologna il 3 maggio 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, p. 116 ss.; secondo cui: “ Nel caso in cui per la medesima invenzione siano presentate sia una domanda di brevetto italiano sia una domanda di brevetto europeo designante l’Italia, pur essendo prevista la prevalenza del brevetto europeo, gli effetti della tutela decorrono dalla data in cui la prima domanda con la descrizione e gli eventuali disegni è stata resa accessibile al pubblico. La contraffazione brevettale, indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti, integra di per sé un comportamento non conforme ai principi della correttezza professionale, idoneo a danneggiare l’altrui azienda e quindi suscettibile di censura ai sensi dell’art. 2598, n. 3 c.c.”. Il 6 giugno 1990, la Nuova Polti s.p.a, conveniva in giudizio la Pietro Fogacci s.r.l. esponendo che: era produttrice di piccoli elettrodomestici e titolare di domanda di brevetto europeo depositata il 20 marzo 1989 per un “tappo di sicurezza per contenitori sotto pressione di vapore”, preceduta da domanda di brevetto depositata il 13 aprile 1988 all’UPICA di Milano; di recente aveva appreso che la società convenuta utilizzava per le proprie apparecchiature un tappo di sicurezza uguale a quello brevettato. Chiedeva pertanto che accertata la contraffazione dei brevetti e l’attività di concorrenza sleale, il Tribunale condannasse la società Fogacci al risarcimento dei danni, al pagamento di una provvisionale e la pubblicazione della sentenza. Il Tribunale ha accolto le domande della ricorrente e la Fogacci s.r.l. ha proposto appello deducendo che il Tribunale aveva errato: nel non tenere conto dell’esistenza del brevetto francese del 31 dicembre 1968 che quindi toglieva la brevetto Polti il requisito dell’originalità; nel non considerare che gli asseriti atti di contraffazione erano stati compiuti in epoca precedente a quella in cui il brevetto era stato reso accessibile al pubblico; nel ritenere la concorrenza sleale. Secondo quindi l’appellante il brevetto ottenuto dalla società Polti sarebbe privo del requisito dell’originalità per l’esistenza di un’anteriorità costituita dal brevetto francese pubblicato il 28 agosto 1970 e rilasciato alla Società Anonime des Usines Chausson e pertanto eccepiva la nullità del brevetto Polti per difetto di originalità. Il brevetto Chausson affronta il problema della realizzazione di un tappo di chiusura per

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Sempre a proposito dei rapporti tra i titoli nazionali e il titolo europeo, merita un accenno la cosiddetta possibilità di conversione di una domanda europea in una corrispondente richiesta nazionale. Si tratta di una possibilità consistente nella facoltà data ad un titolare di convertire la sua domanda di brevetto europeo in una semplice richiesta di brevetto nazionale quando l’iter per il brevetto europeo sia bloccato sul nascere dalle autorità nazionali del suo Stato di residenza, per ragioni enumerate dalle singole legislazioni nazionali. In Italia ad esempio, tale possibilità è offerta nei casi in cui la domanda, depositata originariamente in lingua italiana, non sia stata tradotta in una delle lingue ufficiali entro i termini prescritti. La stessa conversione è ammessa quando la domanda sia stata rifiutata, ritirata o abbandonata nel corso della procedura di fronte all’Ufficio Europeo dei Brevetti, ma risponda positivamente a tutti i requisiti richiesti dalla legislazione italiana. . contenitori sotto pressione, contenenti un liquido ad alta temperatura che impedisca che il tappo possa essere tolto quando il liquido è caldo. Il brevetto Polti riguard un tappo di sicurezza, per piccoli generatori di vapore per uso domestico ( ferri da stiro, attrezzi di pulizia…), allo scopo di fornire un tappo del serbatoio del vapore che non possa essere svitato se non quando la pressione all’interno del serbatoio sia scesa al di sotto di un determinato valore con la finalità di impedire la violenta fuoriuscita di vapore e liquido bollente. Dall’esame delle differenti caratteristiche dei due trovati, l’esperto ha tratto la conclusione che la soluzione Polti non appare direttamente derivabile dalla tecnica nota ed ha conseguentemente affermato la sussistenza del requisito della altezza stessa inventiva. Si deve quindi ritenere che l’eccezione di nullità del brevetto Polti sia del tutto infondata. Inoltre, secondo l’appellante, gli atti di utilizzazione dell’invenzione sarebbero avvenuti prima del momento in cui la domanda di deposito del brevetto venne resa accessibile al pubblico. Anche tale tesi non può essere condivisa. La società Polti depositò due domande di brevetto, europeo e italiano per la medesima invenzione. Il d.p.r. 32/1979 stabilisce la preminenza del brevetto europeo in caso di cumulo delle protezioni; il brevetto europeo venne depositato in data 20 marzo 1989 e concesso in data 3 marzo 1993. Tale brevetto rivendica la priorità italiana del 13 aprile 1988 e poiché ai sensi dell’art. 4 del r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, gli effetti del brevetto decorrono dalla data in cui la domanda con la descrizione e gli eventuali disegni è resa accessibile al pubblico, il brevetto Polti fu reso accessibile al pubblico il 13 ottobre 1989, da tale data gli atti di utilizzazione compiuti dalla Fogacci devono considerarsi illeciti; la violazione del brevetto è durata fino al giugno 1990, epoca in cui la società appellante ha cessato la produzione e la commercializzazione dei tappi di sicurezza. L’usurpazione del brevetto Polti si è dunque verificata. In altri termini, fermo restando l’accertamento della violazione brevettale, il consulente ha inteso evidenziare che, sotto il profilo dell’aspetto esteriore, i due tappi, quello prodotto dalla Polti e quello prodotto dalla Fogacci, presentavano caratteristiche diverse, tali da impedirne la confondibilità. Prendendo spunto da tale riflessione, la società appellante ha sostenuto che il Tribunale avrebbe dovuto escludere la concorrenza sleale. Anche su tale argomentazione non è possibile convenire, atteso che la contraffazione brevettale indipendentemente dalla confondibilità dei prodotti, integra di per sé un comportamento non conforme ai principi della correttezza professionale, idoneo a danneggiare l’altrui azienda e quindi suscettibile di censura ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c.”.

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I modelli di utilità e l’industrial design

Sommario:1. I modelli di utilità nel nuovo Codice della Proprietà Industriale; 2. La nuova disciplina dell’Industrial Design; 2.1. I requisiti di protezione: novità e carattere individuale; 2.2. Il contenuto del diritto su un disegno o modello; 2.3 La contraffazione dei modelli e dei disegni; 3. La tutela del design a livello comunitario; 3.1. La procedura per il deposito della domanda in sede comunitaria. 1. I modelli di utilità nel nuovo Codice della Proprietà Industriale Non tutte le innovazioni tecnologiche sono di portata tale da poter essere tutelate con il brevetto per invenzione; alcune di esse, infatti, si risolvono in una nuova forma che conferisce al prodotto una particolare efficacia e comodità di utilizzo113. Si tratta di miglioramenti tecnici più limitati, che tuttavia l’ordinamento tutela per mezzo del brevetto per modello di utilità, conferendo il diritto a chi le ha ideate di sfruttarle in esclusiva per un periodo di tempo limitato (10 anni). La disciplina dei modelli d’utilità è stata ricompressa all’interno del nuovo Codice dei Diritti di Proprietà Industriale, nella Sezione V (articoli 82 – 86). La creazione di una forma utile, in quanto atta a conferire ad un prodotto industriale una maggiore efficacia o comodità di applicazione o impiego, determina l’insorgere di un interesse allo sfruttamento in regime di esclusiva della forma stessa, potendo quest’ultima dare origine ad un vantaggio concorrenziale. L’ordinamento giuridico riconosce e tutela l’interesse dell’ideatore all’utilizzazione esclusiva della forma utile attraverso il sistema brevettale e, solo quando la forma non è brevettabile, attraverso la repressione della concorrenza sleale e la tutela del marchio di forma. La forma di un prodotto, che lo renda particolarmente efficace o di comodo impiego, può nascere insieme allo stesso o essergli successiva quale perfezionamento: in entrambi i casi essa potrebbe ambire ad essere qualificata come invenzione e tutelata con un brevetto per invenzioni industriali piuttosto che con un brevetto per modelli di utilità. L’ottenimento dell’uno piuttosto che dell’altro tipo di brevetto rileva ai fini della durata dell’esclusiva sulla forma creata: ventennale nel caso di un brevetto per invenzioni, decennale nel caso di brevetto per modelli di utilità. L’elemento discriminante tra le forme utili che costituiscono invenzioni e quelle che possono solo costituire oggetto di un brevetto per modello di utilità, è dato dal tipo di progresso che esse comportano rispetto alla preesistente situazione della tecnica ovvero dal grado di originalità che esse posseggono. Come si può immaginare, è molto difficile individuare un criterio per distinguere i due livelli di originalità: ora ci si affida ad una valutazione “quantitativa”, che ravvisa nei modelli di utilità delle forme costituenti progressi tecnici di portata più limitata rispetto alle invenzioni; ora si parla di criteri “qualitativi”, dicendo che l’invenzione protegge una forma nuova, il modello di utilità il miglioramento di una forma già esistente. La difficoltà di definire con precisione la natura della forma creata (invenzione o modello di utilità), ha fatto sì che l’ordinamento giuridico predisponesse dei meccanismi: si tratta della facoltà di presentare due 113 Ai sensi dell’art. 82 del nuovo c.p.i. :”possono costituire oggetto di brevetto per modello di utilità i nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego a macchine, o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti di uso in genere, quali i nuovi modelli consistenti in particolari conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti”.

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domande alternative e della conversione del brevetto da un tipo all’altro114. In ordine al primo dei suddetti meccanismi, può dirsi che la legge consente all’avente diritto al brevetto di depositare contemporaneamente, per la medesima forma utile, due domande alternative di brevetto: una per invenzione industriale ed una per modello di utilità, da valere quest’ultima solo nel caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte. La presentazione delle due domande alternative sposta sull’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi il compito di qualificare come invenzione o come modello la forma di cui si vuole avere l’esclusiva. Tale meccanismo però, non esaurisce ogni possibile problema legato alla qualificazione della forma utile creata. Infatti, ottenuto ad esempio dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi un brevetto per invenzioni, resta possibile che un terzo, controinteressato alla concessione dell’esclusiva, contesti la correttezza della qualificazione operata dall’Ufficio e chieda all’autorità giudiziaria di dichiarare la nullità del brevetto per l’inidoneità dell’oggetto per cui è stato concesso. In tale ipotesi, la legge stabilisce che il titolare possa richiedere al giudice che, accertata l’eventuale nullità del brevetto ma anche la sussistenza dei requisiti per la validità del medesimo come modello di utilità, ne disponga la conversione in brevetto per modello di utilità. La conversione opera in teoria tra tutti i tipi di brevetti, ma agli effetti pratici trova applicazione quasi esclusivamente nel passaggio da un brevetto per invenzione ad uno per modello di utilità. La disciplina giuridica del brevetto per modello di utilità non differisce molto da quella dettata per il brevetto per invenzioni115. Il brevetto per modello di utilità ha durata decennale e può essere richiesto per ottenere l’esclusiva sullo sfruttamento di una nuova forma di un prodotto industriale che conferisca allo stesso una particolare efficacia o comodità di applicazione o di impiego, ma senza assurgere al rango di una vera e propria invenzione. Il modello di utilità è, come l’invenzione, una soluzione di un problema tecnico ed il relativo brevetto conferisce l’esclusiva sul concetto innovativo che sta dietro alla nuova forma creata, così da riservare all’ideatore anche l’esclusiva sullo sfruttamento di eventuali forme diverse, ma che possano ritenersi equivalenti alla precedente in quanto risalenti al medesimo concetto innovativo e funzionali alla soluzione dello stesso problema tecnico. Una forma funzionale all’efficienza o alla comodità di applicazione o di impiego di un prodotto industriale è ritenuta dalla legge brevettabile come modello di utilità a condizione che presenti i seguenti requisiti: novità, originalità (attività inventiva), industrialità, liceità. Per la novità, l’industrialità e la liceità si rinvia alla disciplina del brevetto per invenzioni, mentre il concetto di originalità merita un approfondimento in quanto su questo requisito si gioca la possibilità di tutelare la forma utile e nuova con il brevetto per invenzione piuttosto che con il brevetto per modello di utilità. Si è detto che l’elemento discriminante tra le forme utili che costituiscono invenzioni e quelle che possono solo costituire oggetto di un brevetto per modelli d’utilità, è dato dal tipo di progresso che esse comportano rispetto alla preesistente situazione della tecnica, ossia dal grado di originalità che esse possiedono. Affinché possa essere richiesto un brevetto per modello di utilità, occorre che la nuova forma conferisca al prodotto una maggiore efficienza e comodità d’impiego: tale miglioramento, pur senza c 114 Art. 84 del nuovo Codice dei diritti di Proprietà Industriale: “E’ consentito a chi chiede il brevetto per invenzione industriale, ai sensi del presente codice, di presentare contemporaneamente domanda di brevetto per modello di utilità, da valere nel caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte”. 115 L’art. 86 del nuovo Codice dei diritti di Proprietà Industriale afferma infatti che: “Le disposizioni della sezione IV, sulle invenzioni industriali, oltre che a tali invenzioni, spiegano effetto anche nella materia dei modelli di utilità, in quanto applicabili.”

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costituire un salto tecnico proprio dell’invenzione, non si deve esaurire nel semplice adeguamento di un trovato già noto, ma deve comportare soluzioni ed accorgimenti creativi che incrementino il complesso dello nozioni già acquisite. Ai fini della originalità, non è sufficiente dunque che la nuova forma apporti una qualche utilità o comodità di impiego, ma è necessario che comporti un apprezzabile sforzo creativo, senza limitarsi ad un elementare sviluppo delle forme preesistenti: come per le invenzioni, deve essere imprevedibile per il tecnico medio del ramo, allo stato attuale della tecnica. Il diritto al rilascio del brevetto si sostanzia nel diritto di ottenere dalla Pubblica Amministrazione competente, un provvedimento con il quale, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, viene concesso il diritto di brevetto, ossia il diritto di sfruttare industrialmente ed economicamente la forma utile creata in regime di esclusiva. Se il diritto morale ad essere riconosciuto autore spetta sempre al creatore della forma utile, il diritto al rilascio del brevetto è solo in via generale attribuito all’ideatore, potendo anche spettare ad altri. In proposito assumono particolare importanza le ipotesi della forma creata dal lavoratore dipendente o dal commissionario di una ricerca, della forma ideata in gruppo e, infine, della brevettazione del non avente diritto. Oggi l’attività inventiva è spesso svolta alle dipendenze di strutture organizzate, le quali ricercano, formano e coordinano le risorse intellettuali, forniscono loro gli strumenti e le conoscenze necessarie per l’invenzione, sopportano il rischio che la ricerca sia infruttuosa o comunque non remunerativa. Questo fatto ha indotto l’ordinamento a dettare una disciplina ad hoc per le invenzioni dei dipendenti, che la legge dichiara applicabile, salvo patto contrario, anche alle forme brevettabili come modelli di utilità116. Presupposto indispensabile è il fatto che l’invenzione sia stata raggiunta, almeno nella sua parte essenziale, durante il periodo nel quale aveva esecuzione il rapporto di lavoro dipendente: nessuna importanza riveste la validità o l’invalidità del contratto o la sua effettiva stipulazione, ciò che rileva è che di fatto si fosse instaurato un rapporto per cui l’attività lavorativa dell’inventore si sia inserita con carattere di subordinazione nell’organizzazione aziendale altrui. La legge non disciplina espressamente l’ipotesi in cui un’attività di ricerca venga commissionata a soggetti esterni all’impresa privata, cosicché la regolamentazione dei rispettivi interessi viene lasciata alla contrattazione delle parti. I principali problemi in materia possono sorgere quando una determinata situazione non abbia ricevuto una preventiva disciplina contrattuale: il contratto di ricerca è infatti un contratto atipico, ossia non previsto e disciplinato dalla legge, e pertanto la disciplina del caso concreto dovrà essere ricostruita attraverso l’applicazione delle norme dettate per figure contrattuali tipiche e affini, in genere individuate nel contratto d’appalto o d’opera. La legge, salvo patto contrario tra le parti, attribuisce i diritti connessi ad un’invenzione realizzata con lo sforzo congiunto di una pluralità di soggetti a tutti i componenti del gruppo cui può ricondursi l’attività inventiva conclusasi con successo, secondo le regole dettate dal codice civile in materia di comunione. Tuttavia si preferisce un’analitica regolamentazione pattizia delle situazioni che possono conseguire al raggiungimento di un’invenzione di gruppo, in modo da sostituire la disciplina voluta dalle parte alla disciplina suppletiva dettata dalla legge. La procedura per ottenere il brevetto per modello di utilità è sostanzialmente analoga 116 L’art. 86, secondo comma, del nuovo Codice dice: “Sono estese ai brevetti per modello di utilità le disposizioni in materia di invenzioni dei dipendenti e le licenze obbligatorie”.

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a quella prevista per l’ottenimento del brevetto per invenzioni. L’apposita domanda va inoltrata all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi o alle competenti sedi della Camera di Commercio. il brevetto per modello di utilità è soggetto al pagamento della tassa di domanda e della tassa di concessione. A causa dell’incertezza che spesso può sussistere sulla natura dell’innovazione (invenzione o modello di utilità) è consentito all’autore inoltrare contemporaneamente ambedue le domande. 2. La nuova disciplina dell’Industrial design La disciplina di quelli che, fino al 2001, venivano chiamata modelli di utilità e modelli ornamentali, è stata non poco sconvolta in occasione dell’attuazione da parte del Governo della Direttiva n. 98/71/CE. Il filo conduttore e la cifra interpretativa della Direttiva 98/71, è il riavvicinamento delle singole legislazioni nazionali di settore in materia di definizione del concetto di disegno o modello industriale, dei requisiti necessari per sua protezione, del contenuto della tutela, della durata della tutela, delle cause di nullità dei brevetti e delle relazioni fra la tutela brevettale e altre forme di protezione. Se da un lato dunque il legislatore comunitario prende atto della disarmonia esistente fra i vari Paesi europei in materia di protezione giuridica del design e quindi degli ostacoli che si frappongono alla libera circolazione dei medesimi, dall’altro propone come strumento risolutivo il ricorso ad una disciplina unitaria. Le disposizioni sostanziali del diritto nazionale che la direttiva mira ad armonizzare sono quelle concernenti l’oggetto, il contenuto e la durata della tutela dei disegni e dei modelli registrati e dunque la definizione di disegno o modello (art. 1), i requisiti per la sua protezione (artt. 3 – 8), il contenuto della tutela (artt. 9,12, 13 e 15), la durata della tutela (art. 10), le cause di nullità (art. 11) e le relazioni con le altre forme di protezione ed in particolare con il diritto di autore (art. 17)117. Il Governo italiano ha attuato la direttiva comunitaria con il D.Lgs n. 95 del 2 febbraio 2001 modificando la vecchia Legge Modelli (Regio Decreto n. 1411 del 25 Agosto 1940) e in misura minore il codice civile e la legge sul Diritto D’Autore (L. n. 633 del 22 Aprile 1941). La riforma ha ad oggetto la disciplina sostanziale dei modelli industriali, ormai datata ed inadeguata a far fronte alle esigenze di una produzione e distribuzione dalle dimensioni sempre più globali118. L’aspetto centrale della nuova disciplina dei disegni e modelli sta nella stessa definizione di disegno o modello, secondo la quale “Possono costituire oggetto di registrazione i disegni e modelli che siano nuovi ed abbiano carattere individuale” (art. 33 del Codice di Proprietà Industriale)119. Da questa definizione il primo dato che emerge con forte evidenza è l’abbandono di qualsiasi riferimento al carattere ornamentale dei disegni e modelli. Dal nuovo testo dell’art. 33 infatti, sono stati eliminati sia l’aggettivo “ornamentale” che il requisito dello “speciale ornamento” richiesti invece dalla norma precedente ai fini della concessione della privativa120. Il legislatore italiano ha palesemente accantonato un criteri di valutazione basato su un 117 A. Fittante, “La tutela giuridica dell’industrial design: il recepimento della Direttiva 98/71/CE, in Il diritto industriale n. 1, 2001, p. 5 118 M. Panucci, “La nuova disciplina italiana dell’industrial design”, in Il diritto industriale, n. 4, 2001, p. 320. 119 Nuovo art. 5 della Legge Modelli. 120 Il vecchio art. 5, comma 1, LMI stabiliva che:” Possono costituire oggetto di brevetto per modelli e disegni ornamentali i nuovi modelli o disegni atti a dare, a determinati prodotti industriali, uno speciale ornamento, sia per la forma, sia per una particolare combinazione di linee, di colori o di altri elementi”.

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valore estetico positivo (“lo speciale ornamento”), per rendere più neutra la disciplina. Questa impostazione produce importanti conseguenze applicative: in primo luogo, potrebbe essere considerata irrilevante l’esistenza di un gradiente estetico nel disegno o nel modello divenendo così più semplice proteggere le forme. La vecchia normativa, infatti, richiedendo ai fini della proteggibilità lo “speciale ornamento”, presupponeva l’esistenza di una valenza estetica, diversa dal valore individualizzante, distintivo, cui si riferisce il nuovo testo dell’art. 33. Inoltre, la nuova impostazione potrebbe incidere sulla tradizionale distinzione tra forma tecnica, tutelata attraverso il modello di utilità, e forma estetica, protetta invece attraverso il modello ornamentale. Altra innovazione è l’abbandono del termine “brevetto”, utilizzato dalla vecchia norma ed ormai riservato alle sole invenzioni, a favore della parola “registrazione”. Sempre con riferimento alla nozione di “disegno” o “modello”, l’art. 31 del Codice di Proprietà Industriale, parla di “aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale e/o dei materiali del prodotto stesso e/o del suo ornamento”. In questa nuova definizione il legislatore fa riferimento sia all’intero prodotto che ad una sua parte, riconoscendo così espressamente la tutelabilità di singole parti di un prodotto complesso, ma, allo stesso tempo, delimitandone la tutela all’aspetto esteriore. 2.1. I requisiti di protezione: novità e carattere individuale Ai sensi dell’art. 5, comma 1, i disegni e modelli per poter essere registrati devono essere nuovi ed avere un carattere individuale. In tema di novità, l’art. 5 bis stabilisce che “Un disegno o modello è nuovo se nessun disegno o modello identico è stato divulgato anteriormente alla data di presentazione della domanda di registrazione ovvero, qualora si rivendichi la priorità, anteriormente alla data di quest’ultima. I disegni e modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto per dettagli irrilevanti”. La novità di un modello, dunque, è collegata al concetto di “divulgazione anteriore”: per cui un disegno non può considerarsi nuovo se un disegno identico sia stato precedentemente messo a disposizione del pubblico in una qualsiasi regione del mondo. Ai sensi del nuovo art. 34 del Codice dei Diritti di Proprietà Intellettuale:”il disegno o modello si considera divulgato se è stato reso accessibile al pubblico per effetto di registrazione o in altro modo, ovvero esposto, messo in commercio o altrimenti reso al pubblico, a meno che tali eventi non potessero ragionevolmente essere conosciuti dagli ambienti specializzati del settore interessato, operanti nella Comunità, nel corso della normale attività commerciale, prima della data di presentazione della domanda di registrazione o, qualora si rivendichi la priorità, prima della data di quest’ultima”. La norma esclude dalle divulgazioni che inficiano i requisiti della novità e dell’individualità, quelle avvenute anteriormente alla data di registrazione del disegno o modello, ma non ragionevolmente conoscibili dagli ambienti specializzati. Questa disposizione, sulla base del criterio di ragionevolezza, impone all’interprete di valutare se gli “ambienti specializzati” siano in realtà o meno in condizione di venire a conoscenza dell’esistenza di quel determinato disegno. Non è quindi escludibile il caso di un disegno che, pur essendo cronologicamente molto datato, renda non registrabile un nuovo modello perché comunque conosciuto o ragionevolmente conoscibile dagli operatori del settore. All’opposto, potrebbe validamente considerarsi nuovi disegni, più o meno vecchi, ma conservati in luoghi

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difficilmente accessibili o normalmente non accessibili a tali ambienti121. Mentre il requisito della novità presuppone una non identità del disegno o modello rispetto ad un disegno o modello anteriore, il requisito dell’individualità esprime un attributo diverso. La norma parla infatti di “impressione generale” suscitata nell’utilizzatore informato che altro non è che l’impressione confusoria eventualmente suscitata in un consumatore di medio - alta attenzione. Impressione confusoria che costituisce però il normale parametro di riferimento utilizzato per valutare i casi di concorrenza sleale per imitazione servile, nonché il parametro utilizzato con riguardo ai marchi (“rischio di confusione”). Una delle maggiori novità apportate dal Decreto Legislativo n. 95 del 2 febbraio 2001, riguarda l’eliminazione del divieto di cumulo tra la tutela prevista dalla normativa sui modelli e quella prevista dal diritto d’autore. Infatti, ai sensi dell’art. 2575 del Codice Civile vigente, e analogamente a quanto disposto dall’art. 1 della legge n. 633 del 1941 (“Protezione del diritto d’autore ed altri diritti connessi al suo esercizio”), “formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”. Il legislatore italiano, infatti si è conformato a quanto disposto dalla direttiva comunitaria che all’art. 17122 stabilisce che il cumulo tra la tutela brevettale dei modelli di design e quella predisposta dalle norme sul diritto d’autore non deve essere esclusa per legge; spetterà invece ai singoli Stati definire le condizioni di accesso alla protezione (novità, originalità, valore artistico….)123. 2.2. Il contenuto del diritto su un disegno o modello Ai sensi del nuovo articolo 8 bis, introdotto dall’art. 10 del Decreto Legislativo n. 95 del 2001, “la registrazione di un disegno o modello conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo senza il suo consenso. Costituiscono in particolare atti di utilizzazione la fabbricazione, l’offerta, la commercializzazione, l’importazione o l’impiego di un prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato, ovvero la detenzione di tale prodotto per tali fini”. I diritti conferiti dalla registrazione del disegno o modello non si estendono invece: a) agli atti compiuti in ambito privato e per fini non commerciali; b) agli atti 121 Nel rispetto dell’art. 6 della direttiva, la norma individua alcuni ulteriori casi di anteriorità non distruttive dei requisiti di novità ed individualità. Il secondo comma infatti dispone che: “Il disegno o modello non si considera reso accessibile al pubblico per il solo fatto di essere rivelato ad un terzo sotto vincolo esplicito o implicito di riservatezza”. Il terzo comma, prevede poi una sorta di grace period a favore dell’autore del disegno o modello nel caso di predivulgazioni avvenute nei dodici mesi precedenti la data di presentazione della domanda di registrazione o, quando si rivendichi la priorità, nei dodici mesi precedenti la data di quest’ultima. L’ultima ipotesi è infine quella prevista dal quarto comma, che disciplina il caso delle divulgazioni abusive ai danni dell’autore o del suo avente causa avvenute nei dodici mesi antecedenti la data di presentazione della domanda. 122 L’art. 17 della direttiva recita testualmente: “I disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva, sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d’autore vigente in tale Stato fina dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere”. 123 M. Panucci, “La nuova disciplina italiana dell’industrial design”, in Il diritto industriale, n. 4, 2001, p. 317.

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compiuti ai fini di sperimentazione; c) agli atti di riproduzione necessari per le citazioni o per fini didattici, purchè siano compatibili con i principi di correttezza professionale, non pregiudichino indebitamente l’utilizzazione normale del disegno o modello e sia indicata la fonte. I diritti esclusivi conferiti dalla registrazione del disegno o modello non sono esercitati riguardo all’arredo e alle installazioni dei mezzi di locomozione navale e aerea immatricolati in altri paesi che entrano temporaneamente nel territorio dello Stato; all’importazione nello Stato di pezzi di ricambio e accessori destinati alla riparazione dei mezzi di trasporto; all’esecuzione delle riparazioni sui mezzi di trasporto. Ai sensi del nuovo articolo 9 (articolo 37 del Codice dei diritti di Proprietà Industriale), “la registrazione del disegno o modello dura cinque anni a decorrere dalla data di presentazione della domanda. Il titolare può ottenere la proroga della durata, per uno o più periodi di cinque anni fino ad un massimo di venticinque anni dalla data di presentazione della domanda di registrazione”. Il legislatore ha definito il controverso argomento della tutela dei componenti di un prodotto complesso. La soluzione è frutto di un compromesso sofferto: il problema del livello di protezione da riconoscere alle parti staccate di un prodotto complesso era stato oggetto di forti contrasti in sede di approvazione della direttiva ed aveva assunto particolare rilievo con riguardo al settore automobilistico, dove il fenomeno della riproduzione dei pezzi di ricambio degli autoveicoli da parte di produttori indipendenti riveste proporzioni significative. La soluzione adottata dalla direttiva all’art. 14, è stata di consentire agli Stati membri di mantenere in vigore tutte le disposizioni a tutela delle parti staccate di un prodotto complesso che fossero state adottate precedentemente all’entrata in vigore della direttiva, non imponendo agli Stati che non prevedessero tale forma di protezione di introdurre la registrazione come disegno o modello per questi componenti. Gli Stati sono cioè stati esonerati dall’attuare gli artt. 1, lett.b) e c), e 3, par. 3, della direttiva nelle parti di un prodotto complesso, ma la direttiva ha riconosciuto loro la possibilità di introdurre nuove disposizioni allo scopo di liberalizzare il mercato dei prodotti in esame. Il principio affermato dal legislatore italiano è quello della proteggibilità del pezzo (viene riconosciuto in linea di principio un diritto esclusivo sui componenti), ma la tutela esclusiva è compressa quando il prodotto sia destinato al ricambio. 2.3. La contraffazione dei modelli e dei disegni La contraffazione dei modelli e dei disegni non è differente dalla contraffazione dei marchi e dei brevetti, concretizzandosi in una violazione del diritto di esclusiva del titolare, in questo caso del diritto esclusivo su una particolare forma estetica di un prodotto. Abbiamo visto come “un disegno o modello ha carattere individuale se l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce dall’impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno e modello che sia stato divulgato prima della data di presentazione della domanda di registrazione”. Coerentemente, il nuovo arti. 8 ter afferma che “i diritti esclusivi conferiti dalla registrazione di un disegno o modello si estendono a qualunque disegno o modello che non produca nell’utilizzatore informato una impressione generale diversa”. Alla domanda: “Questo modello è abusivo?” si dovrebbe quindi rispondere affermativamente se l’”impressione generale” che esso suscita nell’utilizzatore informato, non è differente da quella del disegno o modello con il quale lo si confronta. L’impressione generale è qualcosa di più generico di una copia pedissequa: anche un

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disegno o modello che sia leggermente diverso potrebbe suscitare la medesima impressione generale nell’utilizzatore informato. Al contrario, essendo tuttavia quest’ultimo, per definizione, “informato”, le differenze che possano considerarsi “rilevanti”, per quanto piccole possono essere percepite come un qualcosa di nuovo. Nel qual caso non si potrà parlare di contraffazione. Bisogna poi tenere presente che non si può parlare di contraffazione quando il disegno o modello di riferimento non è valido: non possono essere registrate le parti non visibili di un prodotto o quelle già divulgate. 3. La tutela del design a livello comunitario La protezione giuridica sui disegni o modelli comunitari, non cambia in base al fato che essi siano o meno formalmente registrati. Entrambi hanno infatti carattere unitario in tutta l’Unione Europea e condividono gli stessi requisiti di protezione già visti in riferimento alla normativa nazionale italiana (novità, carattere individuale, non contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume). Tuttavia, da un lato, il disegno o modello comunitario registrato comporta il diritto esclusivo di utilizzo e il potere di vietare la fabbricazione, l’offerta, la commercializzazione, l’importazione, l’esportazione, l’utilizzo o la detenzione per tali fini di prodotti che incorporano il disegno o modello e che non producono una differente impressione complessiva; esso gode inizialmente di una protezione della durata di cinque anni, rinnovabile per periodi di cinque anni fino ad un massimo complessivo di 25 anni. Dall’altro lato, il disegno o modello comunitario non registrato conferisce solamente il diritto di vietare l’utilizzo commerciale dello stesso unicamente se tale utilizzo deriva da copia e la sua tutela è limitata a tre anni dalla data in cui è stato divulgato per la prima volta al pubblico all’interno dell’Unione Europea. L’estensione a livello comunitario della disciplina dei modelli di design consente di avere una protezione solida e uniforme in tutta l’Unione Europea, a fronte di una notevole semplificazione delle formalità, oggi limitate a: una sola domanda; una sola lingua di deposito; un solo centro amministrativo; un solo pagamento. Dal punto di vista economico, inoltre, il deposito di una domanda di protezione comunitaria risulterà molto più vantaggioso rispetto alla richiesta di registrazione nazionale del modello in tutti i paesi dell’Unione. Il disegno o modello comunitario, una volta registrato, non deve essere necessariamente pubblicato, ma la sua pubblicazione può essere posticipata fino ad un massimo di 30 mesi, permettendo così all’autore o all’avente diritto di mantenere riservate le proprie creazioni finchè la divulgazione non sia ritenuta opportuna dal punto di vista commerciale. E’ anche possibile non pubblicare affatto il disegno o modello: in tal caso tuttavia la registrazione decadrà una volta trascorsi 30 mesi. Viene riconosciuta all’autore, inoltre, la facoltà di richiedere la protezione del disegno o modello entro un anno dal momento della prima divulgazione. Si tratta del cosiddetto “periodo di differimento”, il quale preserva il requisito della novità per un periodo di un anno dalla divulgazione del modello, consentendo al designer di valutare l’opportunità economica della richiesta di registrazione. Ciò è particolarmente vantaggioso per le piccole aziende, le quali sovente non dispongono dei mezzi economici per chiedere la registrazione dei modelli per i quali non esiste la ragionevole certezza di un ritorno dell’investimento.

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3.1. La procedura per il deposito della domanda in sede comunitaria E’ possibile depositare le domande di registrazione di un disegno o modello comunitario, sia presso lo stesso Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI), sia presso gli uffici della proprietà industriale degli Stati membri (in Italia, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e le Camere di Commercio). Qualsiasi persona fisica o giuridica, anche se appartenente ad un paese extracomunitario, può depositare una domanda, semplicemente compilando un apposito modulo e allegando un esemplare riproducibile del disegno per il quale si richiede la tutela, anche in forma fotografica, e attestando il pagamento delle tasse relative. Sono ammesse domande inviate a mezzo posta, telefax, e-mail o consegnate a mano. L’esame delle domande di registrazione è svolto sugli elementi formali: viene verificato che si tratti di una domanda di registrazione di disegno o modello e che questo non è contrario all’ordine pubblico o al buon costume (liceità del disegno). Non è quindi prevista alcuna procedura di opposizione e alla registrazione seguirà la pubblicazione, immediatamente dopo il “periodo di differimento”. Se la domanda non presenta i requisiti formali per essere accolta viene sollevata un’obiezione sulle eventuali carenze; solo nel caso in cui a questa obiezione non segua una correzione o un’integrazione della domanda, essa verrà rigettata. In caso di pubblicazione differita, invece, verranno iscritti nel registro solo i dati fondamentali della registrazione, mentre il resto rimarrà riservato per permettere al richiedente di completare al meglio le proprie strategie commerciali volte allo sfruttamento economico del disegno. L’annullamento del differimento può comunque essere chiesto in qualunque momento da parte del richiedente124. Una importante novità introdotta dal Regolamento Comunitario n. 6/2002 è l’istituzione di un diritto sui disegni e modelli non registrati125. Il disegno o modello non registrato diviene tutelabile se possiede tutti i requisiti richiesti per la valida registrazione, da valutarsi non al momento della data di deposito della domanda ma al momento della divulgazione. Il disegno o modello si considera “divulgato” se è stato pubblicato, esposto al pubblico, usato in commercio o in qualsiasi altro atto attraverso il quale il design possa ragionevolmente ritenersi conosciuto negli ambienti specializzati del settore interessato, operanti nella Comunità. Ciò significa che quando un modello non sia sostanzialmente identico ad uno precedentemente divulgato ma non registrato, non potrà parlarsi di abuso; inoltre l’art. 5 bis afferma espressamente che “i disegni o modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono soltanto per dettagli irrilevanti”. La ratio di questo sistema di protezione per i modelli non registrati, sta nel tentativo di avvantaggiare “i settori industriali che in un breve spazio di tempo producono molti disegni la cui vita ha buone probabilità di rivelarsi effimera, cosicché 124 Le informazioni relative ai disegni o modelli registrati in sede comunitaria vengono tenuti in un apposito data-base pubblicamente accessibile, chiamato registro dei disegni e modelli. Nel caso di una registrazione con pubblicazione differita, tuttavia, non sarà ammessa alcuna consultazione fino al momento della pubblicazione stessa, se non con il consenso del titolare. se invece l’autore o l’avente diritto decide di non procedere ad alcuna pubblicazione, non sarà mai possibile alcuna consultazione pubblica. Nel registro vengono anche annotate le modifiche del diritto sull’oggetto della registrazione, vale a dire: trasferimenti di proprietà, modifica di un nome o di un indirizzo, concessione in licenza…. 125 Nel nostro Paese esiste una fattispecie simile, ovvero il marchio di fatto, tutelato in base all’art. 2598 del Codice Civile, quando l’uso di un segno simile ad un marchio già utilizzato, anche se non registrato, si qualifica come comportamento di concorrenza sleale in quanto capace di creare confusione nei consumatori.

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in definitiva solo alcuni di essi verranno commercializzati”. Rimangono tuttavia i dubbi sulle difficoltà di provare concretamente l’abuso eventualmente subito; il titolare di un disegno o modello non registrato dovrà difendersi o agire contro la contraffazione fornendo la prova: dalla data di prima divulgazione, della presenza dei requisiti di validità del modello, della conoscenza da parte dei soggetti interessati all’interno della Comunità, della effettiva copia da parte del contraffattore. Nella pratica, la divulgazione potrebbe validamente ritenersi provata per mezzo di una rivista stampata che riporti una data di un’azione promozionale di massa, la pubblicazione durante un’esposizione internazionale, una corrispondenza datata e inviata a tutte le associazioni di categoria di un determinato settore industriale. Il regolamento Comunitario n. 6/2002, prevede un diritto di “preuso” per chi possa provare di aver iniziato in buona fede nel territorio dell’Unione l’uso di un disegno o modello successivamente protetto tramite una registrazione comunitaria non costituente copia. Per conciliare questa disposizione con la previsione di un periodo di grazia di 12 mesi durante il quale la divulgazione non fa venir meno i requisiti di novità e carattere individuale, si deve interpretare il preuso come “non divulgativo”, in quanto utilizzo del disegno o modello che non genera “ragionevole possibilità di conoscenza negli ambienti specializzati della Comunità”. Non essendoci divulgazione, il preutente non potrà quindi richiedere per il proprio trovato la protezione come disegno o modello non registrato. L’assenza del carattere divulgativo del preuso trova conferma nel fatto che lo stesso preuso può nascere anche da semplici preparativi all’uso del disegno.

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