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CRONACHE DAL FORO PARMENSE Anno XXII numero 3 – ottobre 2013 Crowdfunding Una buona novella Esperienze: l’avvo- cato nella società La verità del giu- dizio Giudizio penale e danno Segnali di fumo pag. 3 pag. 15 pag. 20 pag. 15 pag. 23 pag. 29 Direttore responsabile: avv. Giuseppe Negri Periodico quadrimestrale a cura dell’Ordine degli Avvocati di Parma. Autorizzazione del Tribunale di Parma n.14 del 10 giugno 1992. Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Parma

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CRONACHE DAL FORO PARMENSEAnno XXII numero 3 – ottobre 2013

Crowdfunding

Una buona novella

Esperienze: l’avvo-cato nella società

La verità del giu-dizio

Giudizio penale e danno

Segnali di fumo

pag. 3

pag. 15

pag. 20

pag. 15

pag. 23

pag. 29

Direttore responsabile: avv. Giuseppe Negri

Periodico quadrimestrale a cura dell’Ordine degli Avvocati di Parma. Autorizzazione del Tribunale di Parma n.14 del 10 giugno 1992. Spedizione in abbonamento postale art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Parma

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Sommario

pag. 3 “Crowdfunding”

pag. 8 Attività del Consiglio

pag. 8 Variazioni

pag. 10 Aggiornamento albi

pag. 11 Comunicazioni:

stato dei lavori sui regolamenti di attuazione della riforma

forense di competenza del C.n.f.

parere sull’opinamento

parere sulla prescrizione dell’azione disciplinare

parere sulla sostituzione in udienza

pag. 15 Una buona novella

pag. 20 Esperienze: l’avvocato nella società

pag. 21 La verità del giudizio e l’opinione pubblica

pag. 23 Giudizio penale ed azione di danno

pag. 29 Segnali di fumo

pag. 33 Giurisprudenza disciplinare

pag. 39 Giurisprudenza

chiuso in redazione il 4 dicembre 2013

Comitato di redazione:

avv. Nicola Bianchi, avv. Andrea Conforti, avv. Emanuela De Roma, avv. Valentina Gastaldo,avv. Alberto Magnani, avv. Alessandra Mezzadri,avv. Giuseppe Scotti

Hanno collaborato a questo numero:

avv. Vittorio Anelli avv. Giuseppe Boselli avv. Enrico De Risio avv. Isabella Grassi avv. prof. Giorgio Pagliari avv. Anna Papadia avv. Giacomo Voltattorni

Cari Colleghi,

il Consiglio e la Fondazione vi propongono la nostra rivista, ormai giunta al ragguar-devole traguardo del ventiduesimo anno e del sessantacinquesimo numero, in una veste rinnovata: più sobria, moderna, coe-rente con i tempi ed adeguata alle esigen-ze della società, come vorremmo che fosse la nostra professione. La riforma grafica e la nuova distribuzione sperimentale mira-no anche a risparmi di spesa, doverosi in questo momento tanto travagliato.

In omaggio al grande concittadino del quale ricorre il bicentenario, questo numero è interamente composto, salva la copertina, in caratteri bodoniani. Dei successivi, invece, sarà tratto grafico distintivo l’uso della massima varietà di tipi di carattere.

Col ringraziamento ai tanti che da tempo lo fanno, rivolgo a tutti voi l’invito a collaborare con CRONACHE: un provve-dimento interessante, l’analisi di un caso che vi è capitato, l‘approfondimento di una delle riflessioni che quotidianamen-te affrontiamo (e –perché no?- la foto di copertina, da proporre in rigoroso bianco e nero, oppure un disegno) possono essere utili a tutti e rendere ancor più vivo e gra-devole questo canale di colloquio tra noi.

Con molti auguri per una serena pausa natalizia a voi ed alle vostre famiglie.

Ugo Salvini

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Il Crowdfunding

Nato nell’industria dello spettacolo, ma definitivamente affermatosi dopo la crisi finanziaria, il “crowd funding” o “crowdfunding” (in inglese crowd significa folla e funding finanziamento) è un metodo per la raccolta di fondi al fine di finanziare un progetto imprendi-toriale (per esempio lo sviluppo di un nuovo prodotto o servizio e l’avvio della produzione o prestazione del servizio) oppure un progetto di altro genere come la realizzazione di un film, la registra-zione di un disco, la produzione di uno spettacolo teatrale, una campagna po-litica, un nuovo software, un’indagine giornalistica, oppure anche un’iniziativa benefica.

Lo strumento è, quindi, rivolto ai più svariati settori e possiede un contenuto molto variabile (il più alto grattacielo colombiano il “BD Bacatà” nella ca-pitale Bogotà, è stato finanziato con il crowdfunding).

I fondi sono richiesti dal promotore dell’iniziativa direttamente al pubblico dei consumatori interessati al prodotto, al servizio oppure al raggiungimento di un determinato obiettivo d’interesse pubblico, ciò avviene attraverso l’attivi-tà di un terzo soggetto di questo metodo: le c.d. “piattaforme” di crowdfunding1.

Si tratta di soggetti i quali gratuita-mente, oppure a fine di lucro trattenendo una percentuale delle somme raccolte, mettono a disposizione un sito inter-net nel quale il promotore può espor-

1 Le piattaforme di crowdfunding sono assai numero-se, generaliste oppure specializzate in settori partico-lari, la più nota è la statunitense www.kickstarter.com (che ha finanziato progetti per milioni di dollari, film per registi come Spike Lee ed in settori molto diversi), quelle italiane più note sono www.eppela.com, www.produzionidalbasso.com, crowdfunding-italia.com, ma ve ne sono molte altre che sono citata nello stu-dio “Analisi delle Piattaforme di Crowdfunding Italiane di Daniela Castrataro (twintangibles & crowdfuture) e Ivana Pais (Università Cattolica) Novembre 2012 poi aggiornato nel Novembre 2013.

re, spesso con un video o comunque in modo accattivante, la sua proposta, i ter-mini anche temporali della richiesta di denaro, indicando che cosa viene pro-messo in cambio ai finanziatori.

A questi ultimi, che ordinariamente forniscono piccole somme, nella mag-gioranza dei casi viene promessa una copia del prodotto o la prestazione del servizio oppure altri vantaggi non mo-netari (reward based crowdfunding ovvero “crowdfunding basato su di un premio”).

In altri casi ai finanziatori è offerta una quota societaria del soggetto promo-tore oppure altri tipi di remunerazione comunque classificabili come un van-taggio di carattere sostanzialmente monetario (equity crowdfunding2 – ovvero “crowdfunding basato sulla par-tecipazione al capitale di rischio”).

La disciplina legale generale appli-cabile, da un punto di vista civilistico,

2 www.returnonchange.com, https://rockthepost.com/

è quella della promessa al pubblico di cui all’art. 1989 c.c.3 “Colui che, rivol-gendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o com-pia una determinata azione, è vin-colato dalla promessa non appena questa è resa pubblica.”.

A seconda del tipo di promessa, del contenuto e delle condizioni di essa (in alcuni casi l’esborso del finanziamento da parte degli interessati avviene sol-tanto una volta raccolte promesse di finanziamento a copertura dell’intera somma richiesta per finanziare il pro-getto), il promotore si porrà in una con-

3 Articolo 1989 Promessa al pubblico. [I]. Colui che, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione, è vincolato dalla pro-messa non appena questa è resa pubblica. [II]. Se alla promessa non è apposto un termine, o questo non ri-sulta dalla natura o dallo scopo della medesima, il vin-colo del promittente cessa, qualora entro l’anno dalla promessa non gli sia stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista nella promessa.

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dizione di responsabilità diversa nei confronti dei finanziatori.

Difficile argomentare in merito vista l’alta variabilità del contenuto dell’offerta, tuttavia è utile segnalare come in quasi tutte le piat-taforme di crowdfunding la disciplina con-trattuale è ridotta al minimo: semplicemente si avverte che il gestore del sito non fornisce alcuna garanzia trattandosi unicamente del fornitore del sito e non un garante delle inizia-tive pubblicizzate e che il “premio” sarà con-segnato nel solo caso di raccolta della somma integrale richiesta e che potrebbero sorgere difficoltà nella buona esecuzione del progetto.

L’offerente può inserire anche una serie di limitazioni di responsabilità in caso di falli-mento dell’iniziativa o di raggiungimento di un risultato diverso da quello sperato.

In relazione al fatto che il contratto viene sottoscritto a distanza e per fatti concludenti (con il versamento della somma ed un “click” su di una pagina web) è utile porsi il quesito dell’efficacia della limitazioni di responsa-bilità eventualmente presenti anche in rela-zione all’eventuale applicazione della disci-plina delle vendite a distanza e fuori dai locali commerciali e, quindi, del D.Lgs. 206/2005 (Codice del Consumo): l’appli-cazione della citata normativa è da valutarsi anche alla luce del fatto che il promittente possa qualificarsi come un professionista o meno.

Utile segnalare che tale norma subirà a bre-ve4 significative modifiche in forza del recepi-mento della Direttiva 2011/83/UE del parla-mento europeo e del consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori.

Quanto detto in sostanza esaurisce il tema del crowdfunding basato su di un incentivo di carattere non monetario, qualora, invece, ci si riferisca, all’equity crowdfunding, quindi alla promessa al pubblico di un remunerazio-ne sostanzialmente monetaria, allora il tema si complica in considerazione delle norme a re-golamentazione del settore dell’offerta al pub-blico di strumenti finanziari nel quale si inse-risce il fenomeno in commento, il riferimento è alla disciplina relativa fissata dal D.Lgs. 58/1998 (Testo Unico in materia Finanziaria od altrimenti detto “TUF”).

Per tale ragione l’Italia ha ritenuto di nor-mare il fenomeno in parola, tanto che dal Lu-glio del 2013 è la prima nazione europea ad adottare un regolamento completo a proposito dell’equity-crowdfunding: la norma è stata introdotta dall’art. 30 comma 2 Decreto Leg-

4 entro il 13.12.2013 con entrata in vigore a Giugno 2014.

ge 18.10.2012 n.179 convertito (in vigore con modificazioni dalla legge 17.12.2012 n. 221): si parla dell’art. 50 quinquies del TUF e del regolamento Consob correlato.

L’art. 50 quinquies5 (“gestione di por-tali per la raccolta di capitali per start-up innovative”), con la definizione legale dell’equity crowdfunding fissa un regime regolamentare speciale, per le fattispecie che vi rientrano, che consente di sottrarsi alla disciplina ordinaria dell’offerta al pub-blico di strumenti finanziari ben più com-plessa e responsabilizzante sia per l’emitten-te (“crowdfunder”) sia per l’intermediario (piattaforma di crowdfunding).

La norma di legge ha delegato alla Consob

5 Articolo 50 quinquies TUF Gestione di portali per la raccolta di capitali per start-up innovative.1. E’ gestore di portali il soggetto che esercita professional-mente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capi-tali per le start-up innovative ed è iscritto nel registro di cui al comma 2.2. L’attività di gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative è riservata alle imprese di investimen-to e alle banche autorizzate ai relativi servizi di investimento nonché ai soggetti iscritti in un apposito registro tenuto dalla Consob, a condizione che questi ultimi trasmettano gli ordini riguardanti la sottoscrizione e la compravendita di strumenti finanziari rappresentativi di capitale esclusivamente a banche e imprese di investimento. Ai soggetti iscritti in tale registro non si applicano le disposizioni della parte II, titolo II, capo II e dell’articolo 32.3. L’iscrizione nel registro di cui al comma 2 è subordinata al ricorrere dei seguenti requisiti:a) forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società coope-rativa;b) sede legale e amministrativa o, per i soggetti comunitari, stabile organizzazione nel territorio della Repubblica;c) oggetto sociale conforme con quanto previsto dal comma 1;d) possesso da parte di coloro che detengono il controllo e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo dei requisiti di onorabilità stabiliti dalla Consob;e) possesso da parte dei soggetti che svolgono funzioni di am-ministrazione, direzione e controllo, di requisiti di professiona-lità stabiliti dalla Consob.4. I soggetti iscritti nel registro di cui al comma 2 non possono detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza di terzi.5. La Consob determina, con regolamento, i principi e i criteri relativi:a) alla formazione del registro e alle relative forme di pubbli-cità;b) alle eventuali ulteriori condizioni per l’iscrizione nel registro, alle cause di sospensione, radiazione e riammissione e alle misure applicabili nei confronti degli iscritti nel registro;c) alle eventuali ulteriori cause di incompatibilità;d) alle regole di condotta che i gestori di portali devono rispet-tare nel rapporto con gli investitori, prevedendo un regime semplificato per i clienti professionali.6. La Consob esercita la vigilanza sui gestori di portali per veri-ficare l’osservanza delle disposizioni di cui al presente articolo e della relativa disciplina di attuazione. A questo fine la Consob può chiedere la comunicazione di dati e di notizie e la trasmis-sione di atti e di documenti, fissando i relativi termini, nonché effettuare ispezioni.7. I gestori di portali che violano le norme del presente arti-colo o le disposizioni emanate dalla Consob in forza di esso, sono puniti, in base alla gravità della violazione e tenuto con-to dell’eventuale recidiva, con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento a euro venticinquemila. Per i soggetti iscritti nel registro di cui al comma 2, può altresì essere disposta la sospensione da uno a quattro mesi o la radiazione dal registro. Si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 196. Resta fermo quanto previsto dalle disposizioni della parte II, titolo IV, capo I, applicabili alle imprese di investimento, alle banche, alle SGR e alle società di gestione armonizzate.”

La disciplina legale generale applicabi-le, da un punto di vista civilistico, èquella della promes-sa al pubblico di cui all’art. 1989 c.c

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l’emanazione del relativo regolamento (la cui analisi dei rischi e vantaggi si trova rappresentata dal diagramma qui sotto riportato e proveniente dal sito www.consob.it).

Il “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line” emanato da Consob ai sensi degli artt.li 50-quinquies e 100-ter del D.Lgs. 24.2.1998 n. 58 e adot-tato con delibera n. 18592 del 26 giugno 2013.

Il regolamento ha autorizzato le so-cietà neocostituite italiane c.d. “inno-vative”, e quelle comunitarie con una sede secondaria e stabile organizzazione fiscale in Italia, ad emettere ed offrire al pubblico dei risparmiatori, purché attraverso enti autorizzati, le quote o le azioni del proprio capitale sociale.

In sostanza è stato introdotto l’obbligo di affidare l’offerta al pubblico a sogget-ti, le piattaforme di crowdfunding, che siano iscritti in un Registro tenuto dalla Consob.

Le Banche sono iscritte di diritto sen-za verifiche ma soltanto con una forma di pubblicità, mentre per gli altri sog-getti l’iscrizione avviene nel rispetto del Regolamento e la Consob delibera entro 60 giorni decretando, a seguito di un’istruttoria, l’iscrizione od il rigetto (ad oggi sul registro on-line CONSOB si trova unicamente un soggetto: “Start

Up S.r.l.” – www.starsup.it non ancora attivo).

Gli elementi da rispettare per l’iscri-zione sono:

- i requisiti di onorabilità dei soggetti che detengono il controllo o che svolgo-no funzioni amministrative o gestionali;

- la diligenza, correttezza e traspa-renza nella informazione al pubblico e nella gestione ed in particolare riguardo all’obbligo di evitare situazioni di con-flitto di interesse;

- l’informativa agli investitori non isti-tuzionali circa l’adeguatezza del rappor-to fra le proprie risorse e l’investimento nel crowdfunding da considerarsi ad al-tro rischio;

- l’informativa pubblica sui dati rile-vanti del gestore;

- l’informativa pubblica sulle start-up innovative.

Un altro aspetto fissato dalla norma-tiva è quello della piena trasparenza nell’agire garantita da obblighi relativi alla gestione degli ordini di adesione degli investitori anche connessi ai ri-schi operativi, obblighi di riservatezza ed obblighi di conservazione della do-cumentazione.

L’art. 21 fissa i termini delle infor-mative da trasmettere alla Consob per esempio in caso di variazioni dello statuto, dei soggetti che detengono il controllo o dei soggetti che svolgono le funzioni di amministrazione, direzione e controllo, informazioni relative alla per-

dita dei requisiti di onorabilità da parte dei soggetti che sono tenuti a goderne, le date di inizio, interruzione e riavvio dell’attività.

La stessa norma impone che, entro il 31 marzo di ciascun anno, il gestore trasmetta alla Consob una relazione sulle attività svolte e sulla struttura organizzativa con i dati sull’operativi-tà del portale in modo aggregato e i dati sui reclami ricevuti per iscritto, le mi-sure adottate per rimediare a eventuali carenze rilevate, nonché le attività pia-nificate.

Consob ha la facoltà, nei casi di ne-cessità ed urgenza, di disporre in via cautelare la sospensione dell’attività del gestore per un periodo non superiore a novanta giorni “qualora sussistano fondati elementi che facciano presu-mere l’esistenza di gravi violazioni di legge ovvero di disposizioni generali o particolari impartite dalla Consob atte a dar luogo alla radiazione dal registro”.

L’art. 24 del Regolamento fissa le “condizioni relative alle offerte sul portale” in base alle quali il gestore verifica che lo statuto o l’atto costitutivo dell’emittente preveda:

“a) il diritto di recesso dalla so-cietà ovvero il diritto di co-vendita delle proprie partecipazioni nonché le relative modalità e condizioni di esercizio nel caso in cui i soci di con-trollo, successivamente all’offerta, trasferiscano il controllo a terzi, in favore degli investitori diversi dagli investitori professionali o dalle al-tre categorie di investitori indicate al comma 2 che abbiano acquistato o sottoscritto strumenti finanziari offerti tramite portale. Tali diritti sono riconosciuti per il periodo in cui sussistono i requisiti previsti dall’ar-ticolo 25, commi 2 e 4, del decreto e comunque per almeno tre anni dalla conclusione dell’offerta; b) la comu-nicazione alla società nonché la pub-blicazione dei patti parasociali nel sito internet dell’emittente”.

L’elemento più significativo della normativa è quello che impone di coinvolgere investitori istituzionali in ciascun progetto.

Il gestore dovrà verificare, infatti, “che una quota almeno pari al 5% degli strumenti finanziari offerti sia

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stata sottoscritta da investitori pro-fessionali o da fondazioni bancarie o da incubatori di start-up innovative previsto all’articolo 25, comma 5, del decreto”.

In sostanza l’equity crowdfunding in Italia è condizionato alla presen-za di investitori istituzionali che ga-rantiscano la sottoscrizione del 5% di ciascun progetto.

Tale investimento, se promesso da in-vestitori antecedentemente all’offerta al pubblico, può essere revocato in base all’art. 25 del Regolamento “quando, tra il momento dell’adesione all’of-ferta e quello in cui la stessa è de-finitivamente chiusa, sopravvenga un fatto nuovo o sia rilevato errore materiale concernenti le informazio-ni esposte sul portale, che siano atti a influire sulla decisione dell’investi-mento”.

Un’altra restrizione dell’equity crowdfunding italiano è che esso è ri-servato alle start-up innovative nel settore tecnologico o a vocazione sociale ovvero quelle società che han-no i requisiti per iscriversi nella sezione speciale del Registro delle Imprese.

Ci si riferisce alle società nate dalla legge 17.12.2012 n. 221 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese c.d. “Legge crescita 2.0”) che ha istituito le c.d. start-up innovative nel settore tecnologico che consente, con alcuni vantaggi in materia di diritto del lavoro e fiscale, la costituzione ed iscrizione alla relativa sezione speciale del Registro Imprese delle “società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovve-ro una società europee, residente in Italia, le cui partecipazioni non sono quotate su un mercato regolamenta-to” che possiedano i seguenti requisiti:

- la maggioranza del capitale è dete-nuta da persone fisiche dalla costituzio-ne e per almeno 24 mesi;

- sono costituiti da non più di quaran-totto mesi;

- hanno sede principale in Italia;- dal secondo anno il totale del valore

della produzione annua non è superiore a 5 milioni di euro;

- non distribuiscono, e non hanno di-stribuito, utili;

- hanno come oggetto sociale lo svi-luppo la produzione e la commercializ-zazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;

- non sono state costituite da una fu-sione scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azien-da;

- possiedono alcuni altri requisiti dimensionali caratterizzanti (le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o su-periori al venti per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della pro-duzione, sono collaboratori a qualsiasi titolo in percentuale di almeno un terzo della forza lavoro complessiva persone in possesso di titolo di dottorato di ri-cerca – oppure sono dottorandi – op-pure laureati che abbiano svolto attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati; siano titolari o depositarie o licenziatarie di almeno un privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semicon-duttori o ad una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa).

E’ evidente che non tutte le ini-ziative economiche potranno ve-dersi riconosciute in queste carat-teristiche e, di conseguenza, non potranno fare ricorso all’equity crowdfunding.

V’è chi6 ha criticato questa limitazione in quanto non sarebbe giustificata da al-cuna ragione di protezione dei consuma-tori/investitori in quanto “non si vede perché si dovrebbe discriminare un giovane designer che abbia disegna-to una collezione di abbigliamento e voglia accedere al crowdfunding per finanziare la produzione rispetto ad un giovane che abbia realizzato o intenda realizzare un applicazione per dispositivi portatili. La ragione non sembra poter essere individua-ta nell’esigenza di protezione degli investitori essendo indubbio che l’in-vestimento nelle attività tipicamen-

6 Francesco Dagnino “Regolamento Consob: raccol-ta di capitali di rischio con portali on-line di start-up innovative” Il Sole 24-Ore 30.7.2013 - http://www.di-ritto24.ilsole24ore.com/avvocatoAffari/mercatiImpre-sa/2013/07/regolamento-consob-raccolta-di-capitali-di-rischio-con-portali-on-line-di-start-up-innovative.html

te svolte dalle start-up innovative (sviluppo di tecnologie innovative) è per definizione più rischioso rispetto all’investimento in attività “tradi-zionali”. Sarebbe stato, dunque, più opportuno rimettere al gestore, sen-za alcuna limitazione, la selezione delle offerte da presentare sul por-tale”.

Sono, inoltre, esclusi gli strumenti finanziari diversi dalla condiviso-ne di quote ed azioni: non è, quindi, possibile attraverso l’equity crowdfun-ding in Italia, poter remunerare i finan-ziatori con strumenti quali obbligazioni o warrant obbligando i promotori a far entrare nel capitale sociale i finanziato-ri.

Il Regolamento esclude, infine, la possibilità per i gestore diversi dal-le banche di detenere la disponibi-lità di somme di denaro dei clienti, attività per la quale, quindi, si dovrà fare riferimento a banche ed imprese di investimento che, nei riguardi dei consumatori/investitori, opereranno nel rispetto del TUF e della disciplina di at-tuazione compreso l’obbligo di stende-re un profilo dell’investitore e valutare l’adeguatezza dell’investimento rispetto alle caratteristiche del cliente.

Sono esentati da questo “passaggio” gli investimenti di limitate dimensioni che, quindi, la piattaforma di crowdfun-ding potrà raccogliere direttamente dai consumatori/finanziatori: i limiti sono cinquecento euro per investimento e mille euro annui per le persone fisiche e cinquemila euro per investimento e diecimila euro annui per le persone giu-ridiche

Il complesso di questi vincoli, per quanto forse giustificati in alcuni casi dalla volontà di salvaguardare il pubbli-co dei risparmiatori, hanno come conse-guenza di restringere l’applicazione pra-tica dello strumento a casi residuali nei quali, in ogni modo, l’intervento di un professionista del credito sarà comun-que di fatto necessario.

Cenni alla legislazione straniera7

7 SEC Issues Proposal on Crowdfunding 2013-227 Washington D.C., Oct. 23, 201 http://www.sec.gov/News/PressRelease/Detai l /PressRe-lease/1370540017677 - Regulation of Crowdfunding in Germany, the UK, Spain and Italy and the Impact of the Euroean Single Market Giugno 2013 – European Crowdfunding Network

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USA: nel corso del 2013 la S.E.C. (“Securities and Exchange Commis-sion” la Cosob statunitense) ha cancel-lato il divieto sulla generale sollecitazio-ne al pubblico stabilendo la possibilità della vendita di quote sociali on-line (il procedimento normativo è ancora in corso tanto che è aperta una consulta-zione pubblica fino a Febbraio 2014), si tratta di una normativa di favore che escluderebbe gli obblighi della registra-zione prevista per l’offerente al pubblico di titoli in capitale di rischio dando un quadro normativo per regolare i portali registrati per la raccolta fondi che in-termediari ed offerenti sono obbligati ad utilizzare quando si tratta di equity crowdfunding (il settore vale 5,1 mi-liardi di dollari nel 2013 con un valore raddoppiato rispetto all’anno 2012).

Inghilterra: la “British Financial Ser-vices Authority” ha autorizzato le piatta-forme di crowfunding ad operare e ren-de disponibili alcuni strumenti quali il servizio di conciliazione “ombudsman” ed un quadro legale già esistente “Col-lective investement scheme”).

Germania: la normativa è molto arti-colata ed esenta dal regime ordinario degli investimenti finanziari soltanto investimenti per prodotti nuovi e con limiti di ammontare, altrimenti offre un regime normativo speciale per gli in-vestimenti attraverso il crowdfunding, soltanto il reward based crowdfunding, ricollegandosi al principio che l’offerta/donazione non costituisce un investi-mento finanziario.

Francia: ovviamente al fenomeno in parola è stato trovato un nome nella lingua nazionale che è “financement participatif”, le due autorità compe-tenti (Autorité des Marchés Finan-ciers “AMF“ e Autorité de Contrôle Prudentiel et de Résolution “ACPR”) hanno emanato il 15.5.2013 linee gui-da tipizzando tre forme di piattaforme di crowdfunding (Conseiller en in-vestissement participatif”) (i) piat-taforme che sollecitano investimenti ai quali viene promesso un beneficio in natura (ii) piattaforme che raccolgono investimenti ai quali viene promesso un rimborso in denaro ed un interesse (iii) piattaforme che promettono agli investi-tori una qualche forma di partecipazio-ne al capitale della società promotrice o nella titolarità dell’investimento.

Spagna: allo stato attuale il crowdfun-ding “ordinario” non è regolato da al-cuna norma e l’equity crowdfunding è esentato da alcune disposizioni del “regime MiFID”.

Consultazione pubblica della Commissione Europea

La Commissione Europea ha lanciato una consultazione pubblica sul tema del crowdfunding che consente a chiun-que di esprimere il proprio parere in merito.

Reperibile on-line sul sito europa.eu8 fino al 31.12.2013 è stata ideata per comprendere come promuovere il crowdfunding in Europa.

Si rivolge al pubblico per avere sug-gerimenti in merito all’adozione di stru-menti di “soft-law” ovvero strumenti non cogenti, diversi da norme di legge quali, per esempio, regolamenti di cate-goria ai quali le piattaforme potrebbero fare riferimento volontariamente.

ConclusioniI limiti posti all’equity crowdfun-

ding dal Regolamento Consob 2013 (e dall’art. 50 quinquies del TUF introdot-to nel 2012) sono tali da disincentivarne l’effettivo impiego e rendere sostanzial-mente necessario rivolgersi a soggetti istituzionali pertanto o le Banche ed altri Enti promuoveranno il crowdfun-ding oppure difficilmente ci sarà uno sviluppo significativo di questa forma di reperimento di capitali e di investi-mento.

Diversa e più ottimistica deve dirsi l’analisi del crowdfunding ordinario, quello nel quale l’offerente promette una remunerazione non monetaria: in estrema sintesi può definirsi come l’ot-tenimento di un pagamento anticipato da parte di un piccolo imprenditore che realizza un prodotto nuovo e non vuole rivolgersi ai canali ordinari di finanzia-mento.

Tutto ciò dal punto di vista del “con-sumatore” si traduce in un atto di grande fiducia (anche se in relazione a somme di piccolo ammontare) perché si acqui-sta e paga oggi un prodotto od un ser-vizio che deva ancora essere sviluppato

8 CONSULTATION DOCUMENT “Crowdfunding in the EU - Exploring the added value of potential EU action” http://ec.europa.eu/internal_market/consul-tations/2013/crowdfunding/docs/consultation-docu-ment_en.pdf

tanto che la relativa consegna è promes-sa per molti mesi dopo il versamento.

Per tale ragione lo strumento esami-nato sembrerebbe poco consono ad uno sviluppo significativo in una società come la nostra nella quale la fiducia reciproca è riposta con difficoltà tanto che altri canali di finanziamento “non professionali” previsti dalla disciplina legale hanno avuto scarso successo (per esempio non è nota allo scrivente nem-meno un’applicazione, rivolta realmente al pubblico, dell’istituto dei titoli di de-bito delle s.r.l. in vigore dal 1.1.2004).

Nonostante ciò, e forse proprio per l’assenza di alternative in un certo nu-mero di casi, il crowdfunding non deve essere sottovalutato visto che si presta a fornire una “cornice” ad uno strumen-to di finanziamento diretto molto adatto alla situazione attuale ed a fornire lo sti-molo ad iniziative dando luogo, insieme al finanziamento delle stesse, anche ad una fidelizzazione dei consumatori che si può rivelare un importante strumento di marketing.

Non è un caso che in Italia, ed anche a Parma9, a sperimentare il crowdfun-ding siano soprattutto persone giovani che da un lato trovano un irrigidimento del sistema bancario ostacolo alle loro iniziative e dall’altro sono propense, per attitudine personale, alla speranza di suscitare negli altri la fiducia che essi stessi ripongono nel prossimo.

Alberto Magnani

9 Myriam Farina, Guido Ponzini ed altri giovani mu-sicisti hanno fondato un orchestra con un progetto, definito “MG_Inc Orchesta”, finanziato attraverso il crowdfunding http://it.ulule.com/mg_inc_orchestra/

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8

avv. ANTONIO SAGUATTI: Parma, borgo G. Cantelli 9, tel., telefax e e-mail invariati;

avv. PAOLA PIERESCA: Parma, borgo G. Cantelli 9, tel., telefax e e-mail invariati;

avv. MATTEO DEL BUE: Parma, borgo G. Cantelli 9, tel., telefax e e-mail invariati;

avv. SERGIO VENTURA: posta elettronica certificata [email protected];

avv. ANDREA MERLI: tel. e telefax 0521/1800609, cell. 380/1419708;

avv. LUISELLA LAZZARONI: tel. 0521/535837, telefax 0521/206559, cell. 392/6519511, e-mail [email protected], posta elettroni-ca certificata invariata;

avv. CRISTINA LAPENNA: Parma, piazzale Santa Croce 7, invariati tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata;

dott.ssa MARIANNA CRIVA-RO: posta elettronica certificata [email protected];

dott.ssa MILENA ORLANDELLI: Parma, via M. Adorni 16/1, tel. e te-lefax 0521/231208, posta elettronica certificata [email protected];

avv. MARIA FRANCESCA AL-BERTINI: e-mail [email protected];

dott.ssa DANIELA RAELI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. AFRO AMBANELLI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. RAFFAELE BUSANI: secondo studio, Parma, borgo Ronchini 5, tel. 0521/270490, telefax 0521/799134;

avv. PAOLO MAINI: e-mail [email protected];

avv. SALVATORE CONIGLIO: telefax 0521/711784;

avv. PAOLO MINGORI: Parma, via Camillo Rondani 4, invariati tel, telefax, e-mail e posta elettronica certificata;

avv. ANDREA MONTI: posta elet-tronica certificata avv.andreamonti@

pec.it;

avv. FRANCESCA MINARDI: e-mail [email protected];

avv. FLAVIO ANGIONI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. MATTEO CORSO: posta elet-tronica certificata [email protected];

avv. ANDREA REGOLISTI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. FEDERICO DONELLI: posta elettronica certificata [email protected];

dott.ssa LAURA FLORA: posta elet-tronica certificata [email protected];

avv. CARLO POLLINI: posta elet-tronica certificata [email protected];

dott. LUCA DE RISO DI CARPI-NONE: Parma, borgo del Parmigia-nino 8, tel. 0521/287271, telefax 0521/232485, posta elettronica certificata [email protected];

avv. PAOLA ROSA MUZZETTA: unico studio, Parma, strada Cavour 33, tel. 0521/236033, telefax 0521/289171, e-mail [email protected], posta elet-tronica certificata invariata, casella UNEP n. 363;

dott. NICOLA MUSSINI: posta elet-tronica certificata [email protected];

dott. SIMONE LUPPI: posta elettro-nica certificata [email protected];

avv. MARINA VECCHIA: Parma, strada Cavour 33, tel. 0521/236033, telefax 0521/289171, e-mail e posta elettronica certificata invariati, casella UNEP n. 363;

avv. CHIARA VENTURA: posta elettronica certificata [email protected];

avv. IVANO BANDINI: Parma, via Goito 7, tel. 0521/231264, telefax 0521/230372, invariate e-mail e posta elettronica certificata;

dott.ssa MARINA VALLONI: posta elettronica certificata [email protected];

dott.ssa MARINA CENTONZE: Par-

Variazioni ATTIVITA’ DEL CONSIGLIO Dal 3 luglio 2013 al 3 dicembre 2013 il Consiglio si è riunito n. 20 volte.Elenco delle presenze dei Consiglieri alle adunanze:

avv. Ugo Salvini n. 20avv. Elisa Gandini n. 20avv. Enrico Maggiorelli n. 18avv. Simona Brianti n. 20avv. Giuseppe Bruno n. 20avv. Vittorio Cagna n. 18avv. Francesco Giuseppe Coruzzi n. 19avv. Paola De Angelis n. 20avv. Matteo de Sensi n. 20avv. Daniela Francalanci n. 19avv. Raffaele Iorio n. 17avv. Alessandra Mezzadri n. 19avv. Federica Piombi n. 19avv. prof. Lucia Silvagna n. 16avv. Marcello Ziveri n. 17

OPINAMENTO PARCELLE

Dal 3 luglio 2013 al 3 dicembre 2013 l’apposita commissione consiliare (ovvero il Consiglio) ha opinato n. 83 parcelle ed emesso n. 26 pareri di congruità. Ha tenuto 12 tentativi di conciliazione ai sensi dell’art. 13 della nuova legge professionale, uno dei quali riuscito.

PROCEDIMENTI DISCIPLINARI

Dal registro dei reclami nei confronti degli iscritti dal 3 luglio 2013:

Esposti: pervenuti n. 38archiviati n. 31Disciplinari aperti n. 16 (di cui 1 sospeso in attesa di definizione del procedimento penale)Disciplinari celebrati n.11 (6 non luogo a procedere, 4 avvertimento, 1 non colpevole) n. 4 (riuniti) n. 1 (non luogo a procedere) n. 4 per prosecuzione (1 sospensione poi revocata, 2 non luogo a procedere)

Disciplinari fissati n. 5Procedimenti cautelari n. 1 (non luogo a procedere)Revoca di provvedimento cautelare n. 1

RICHIESTE DI AMMISSIONE AL PATROCINIO A SPESE DELLO STATOdal 3 luglio 2013 al 3 dicembre 2013

pervenute n. 185ammesse n. 170non ammesse n. 6non luogo a provvedere n. 2pendenti n. 4ritirate n. 3

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ma, via Verdi 9, tel. 0521/711622, telefax 0521/1852744, invariate e-mail e posta elettronica certificata;

avv. MARIA GIULIA ORTALLI: po-sta elettronica certificata [email protected];

avv. PAOLA LUCCHINI: Parma, strada Repubblica 41, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

avv. SILVIA NUTINI: Parma, viale Mentana 148, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

avv. MASSIMILIANO PORCA-RI: Parma, via Chiavari 5/e, tel. 0521/1759820 - 1759821, telefax 0521/995819, invariati e-mail e posta elettronica certificata;

avv. PENELOPE VECLI: Parma, via Chiavari 5/e, tel. 0521/1759820 - 1759821, telefax 0521/995819, invariati e-mail e posta elettronica certificata;

Studio Legale Associato PORCA-RI – VECLI: Parma, via Chiavari 5/e, tel. 0521/1759820 - 1759821, telefax 0521/995819;

dott. ALBERTO BRUNAZZI: posta elettronica certificata [email protected];

dott. FRANCESCO CAMATTINI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. FABRIZIO COLLI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. LISA COLLI: e-mail [email protected], posta elettronica certificata [email protected];

dott. MICHELE VANOLLI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. VALENTINA CIURLEO: Parma, Piazza Garibaldi 23, telefax 0521/384821, cell. 328/5889187; e-mail [email protected]; posta elettronica certificata [email protected];

dott.ssa ELEONORA BASSI: posta elettronica certificata [email protected];

dott.ssa BARBARA RIVAROLI: po-sta elettronica certificata [email protected];

avv. BARBARA GIOVANNEL-LI: Parma, via Chiavari 5/e, tel. 0521/1759820 - 1759821, telefax 0521/995819, invariati e-mail e posta elettronica certificata;

dott.ssa FRANCESCA GUIDETTI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. FRANCESCO CORUZZI: Parma, strada Giovanni Inzani 23/a, tel. e telefax 0521/208432, invariati cell., e-mail e posta elettronica certificata;

dott. PIERFRANCESCO GUIDO: posta elettronica certificata [email protected];

avv. FRANCO CAVALLI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. DAVIDE GIRARDI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. PAOLO RIGHINI: Parma, via Petrarca 20, tel. e telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

avv. GIOVANNI DE ANGELIS: e-mail [email protected];

avv. GIUSEPPE DE STEFANO: telefax 0521/1994408;

dott.ssa FRANCESCA SCIMONEL-LI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. ADRIANA CARUSO: posta elettronica certificata [email protected];

avv. NICOLA MANCANIELLO: telefax 0521/1798029;

avv. ERIKA FERRARI: tel. 0521/285657, telefax 0521/285680;

avv. CHIARA LAEZZA: posta elettronica certificata [email protected];

avv. FRANCESCA MICHELI: e-mail [email protected];

avv. GENTIAN ALIMADHI: Parma, borgo Giacomo Tommasini 18, invariati tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata;

avv. MICHELE NACCI: secondo Studio, Bitonto (BA), via Pie-tro Ravanas 43, tel. e telefax 080/3758477, posta elettronica certificata [email protected];

dott.ssa SHARA GOLLO: Parma, via Mazzini 1, tel. 0521/206494, telefax 0521/385509, e-mail [email protected], invariata la posta elettronica certificata;

avv. CARLO ALBERTO LICCI: Parma, borgo Antini 3, invariati tel., telefax, e-mail e posta elettronica

certificata;

avv. ALBERTO RONDANI: e-mail [email protected];

dott.ssa CATERINA MANCUSO: posta elettronica certificata [email protected];

dott. LUCA FERRARI: posta elettronica certificata [email protected];

dott.ssa SILVIA BALZANO: posta elettronica certificata [email protected];

dott.ssa GIULIA PINI: e-mail [email protected];

avv. ALICE CURCIO: Parma, Galle-ria Polidoro 7, tel. 0521/503499, te-lefax 0521/507697, invariate e-mail e posta elettronica certificata;

avv. PAOLA DE ANGELIS: Parma, via Goito 7, tel. 0521/231264, tele-fax 0521/230372, e-mail [email protected], invariata la posta elettronica certificata;

DE ANGELIS STUDIO LEGALE ASSOCIATO: Parma, via Goi-to 7, tel. 0521/231264, telefax 0521/230372;

avv. FRANCESCA DENTE: Parma, via Salnitrara 8, tel. 0521/570378, telefax 0521/711784, e-mail [email protected];

avv. ANDREA TANZI: Parma, viale Mentana 45, telefax 0521/384205, invariati tel., e-mail e posta elet-tronica certificata, casella UNEP n. 364;

avv. PIERO ANGELUCCI: Parma, via Verdi 9, tel. 0521/711622, tele-fax 0521/1852744, invariati cell., e-mail e posta elettronica certificata, casella UNEP n. 361;

avv. LUISELLA LAZZARO-NI: tel. 0521/1801960, telefax 0521/1801958;

avv. STEFANO ANTENUCCI: e-mail [email protected];

avv. MARCO VALENTI: primo studio, Langhirano, via XX Settem-bre 49, tel. 0521/853960, telefax 0521/882967, secondo studio, Parma, Piazzale Santafiore 7, tel. 0521/239241, invariati e-mail e posta elettronica certificata;

avv. MICHELANGELA PIAZZA: primo studio, Langhirano, via XX Settembre 49, tel. 0521/853737, telefax 0521/882967, secondo studio, Parma, Piazzale Santafiore 7,

tel. 0521/239241, invariati e-mail e posta elettronica certificata;

avv. STEFANO PEZZONI: Parma, borgo Rodolfo Tanzi 59, invariati tel., telefax, e-mail e posta elettroni-ca certificata;

avv. MICHELE BRUNELLI: e-mail [email protected];

avv. LAURA FERRARINI: Parma, viale Mentana 45, tel. 0521/206566, telefax 0521/384205, invariati e-mail e posta elettronica certificata, casella UNEP n. 364;

avv. CASIMIRO NIGRO: tel. 0521/571086, telefax 0521/1851933, casella UNEP n. 361;

avv. DANIELA DALL’ASTA: casella UNEP n. 362:

avv. MARTA REGGIANI: casella UNEP n. 362;

avv. VIRGINIA MORI: casella UNEP N. 365;

avv. MONIA MORA: primo studio, San Secondo Parmense, via Indipen-denza 3, invariati tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata;

avv. MASSIMO BANCHINI: e-mail [email protected], (errata corrige CRONACHE numero 2, giugno 2013);

avv. SEBASTIANO CORAZZA: e-mail [email protected];

avv. LISA BORGHI: posta elettroni-ca certificata [email protected];

avv. DANIELA DE MATTEIS: Parma, via Goito 16, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

avv. STEFANIA PICCININI: telefax 0521/232820;

avv. ANTONELLA PASQUAREL-LA: Parma, vicolo Cervi 2, telefax 0521/1998611, cell. 331/4194438, e-mail [email protected], posta elettronica certi-ficata [email protected];

avv. ELENA GIUSEPPA MARTINA: cell. 388/0648833, posta elettronica certificata [email protected];

avv. EMANUELA CECI: Parma, via-le Giovanni Rustici 2, invariati tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata;

avv. PIER LUIGI ALLEGRI: Parma,

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via Ferdinando Maestri 6, telefax 1782723992, invariati tel., e-mail e posta elettronica certificata;

avv. CLAUDIA MANFREDI: Parma, borgo Garimberti 6, invariati tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata;

avv. MATTEO ANGELOTTI: Parma, borgo Garimberti 6, tel. 0521/384530 – 0521/386586, telefax 0521/201426, cell. 328/9583874, posta elettronica certificata [email protected];

avv. VALENTINA SILVIA CAR-LUCCIO: Parma, borgo Garimberti 6, tel. 0521/384530 – 0521/386586, telefax 0521/201426, cell. 320/3870257, invariate e-mail e posta elettronica certificata;

avv. MANFREDO LAZZERINI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. STEFANO NEVICATI: casella UNEP n. 125;

avv. ANGELA AIELLO: casella UNEP n. 295;

avv. LAURA PANELLI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. SIMONA VARESE: Parma, p.le Santafiora 7, posta elettronica certi-ficata [email protected], invariati tel., telefax ed e-mail;

avv. GIOVANNA PITITTO: Parma, p.le Santafiora 7, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata inva-riati, soppresso tel. 0521/207047;

avv. STEFANO RUSTICI: Parma, p.le Santafiora 7, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

avv. ROBERTO CORRADI: Parma, p.le Santafiora 7, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

dott.ssa BARBARA RIVAROLI: Parma, p.le Santafiora 7, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

avv. VINCENZO CECERE: Parma, viale Fratti 7, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

avv. LAURA SANTORO: Parma, viale Fratti 7, tel., telefax, e-mail e posta elettronica certificata invariati;

avv. ALESSANDRA PALERMO: po-sta elettronica certificata [email protected];

avv. SILVIA GUARESCHI:

e-mail [email protected];

avv. PAOLA MARINO: e-mail [email protected];

avv. SILVIA CENCI: e-mail [email protected];

avv. BARBARA FONTANESI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. LAURA ACQUISTAPACE: e-mail [email protected];

avv. GIANDOMENICO PITARO: telefax 0521/508427;

dott. DOMENICO CARLONE: e-mail [email protected];

avv. STEFANO FRESCHI: telefax 0521/507454, e-mail [email protected], casella UNEP n. 204;

avv. MASSIMILIANO GERMI: Parma, via Toscana 45/1, tel. 0521/1810601 - 0521/1811616, telefax 0521/1880236, invariati e-mail e posta elettronica certificata;

avv. FRANCESCA ZANETTI: posta elettronica certificata [email protected];

avv. ELISA AGNETTI: secondo studio, Berceto, piazza San Mode-ranno 4;

avv. ANNALISA AZZALI: Parma, viale Partigiani d’Italia 1, tel. e telefax 0521/239221, casella UNEP n. 237 non attiva, invariati e-mail e posta elettronica certificata;

avv. ALBERTO DE DOMINICIS: e-mail [email protected];

avv. RAFFAELLA DE DOMINICIS: e-mail [email protected];

AGGIORNAMENTO ALBI

ALBO AVVOCATI

ISCRIZIONI

1. CRISTIANO BINI per trasferimento dall’Ordine di Reggio Emilia (9/7/2013);2. CHIARA LAEZZA (23/7/2013);3. VALENTINA CIURLEO (30/7/2013);4. BARBARA PAOLETTI (30/7/2013);5. ELISABETTA ZANICHELLI (3/9/2013);6. MATTEO MORUZZI (17/9/2013);7. MARCO SANVITI (24/9/2013);8. SILVIA CARAVA’ per trasferimento dall’Ordine di Torino (1/10/2013);9. FRANCESCO LOMBARDI (29/10/2013);10. GIUSEPPE DELLISANTI per trasferimento dall’Ordine di Taranto (29/10/2013);11. FRANCESCA PRIORI all’Elenco Speciale degli Avvocati addetti agli Uffici Legali (19/11/2013).

CANCELLAZIONI

1. VERONICA FRIGI per trasferimento all’Ordine di Reggio Emilia, delibera 23/7/2013 con decorrenza 15/7/20132. ELENA REGGIANI per trasferimento all’Ordine di Bologna, delibera 23/7/2013 con decorrenza 8/7/20133. ARRIGO ALLEGRI a domanda (30/7/2013)4. FEDERICO MARIANELLI a domanda (10/9/2013)5. ELISA RIGOLIN per trasferimento all’Ordine di Roma, delibera 17/9/2013 con decorrenza 5/9/20136. GENNARO GALLO a domanda, delibera 24/9/2013;7. MONICA RICCO’ a domanda (1/10/2013)8. SIMONA INFORTUNA per trasferimento all’Ordine di Catania, delibera 22/10/2013 con decorrenza 23/7/20139. ELISABETTA ZANICHELLI a domanda (5/11/2013)10. TERESA SALVIONI a domanda, dall’Elenco Speciale dei professori universitari a tempo pieno, delibera 19/11/201311. FERDINANDO BERNINI a domanda (26/11/2013)12. STEFANO PAVARANI a domanda (3/12/2013)13. GIOVANNI MAZZITELLI per trasferimento all’Ordine di Roma, delibera 3/12/2013 con decorrenza 21/11/2013.

Alla data del 3 dicembre 2013 gli iscritti all’albo erano mil-leduecentoventotto.

Dal 3 luglio 2013 al 3 dicembre 2013

PRATICANTI AVVOCATI

Iscritti n. 12Cancellati n. 5

PATROCINATORI LEGALI

Iscritti n. 5Cancellati n. 10

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Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense (legge 31 dicembre 2012, n. 247)Regolamenti di attuazione di competenza del Consiglio nazionale forense:stato dei lavori al 14 ottobre 2013

OGGETTO DELL’ATTO

POTESTÀNORMATIVA

STATO

1.Associazioni maggiormente rappre-sentative

CNF Bozza all’esame del PLENUM

2. Codice deontologico CNF Bozza all’esame del PLENUM

3. Formazione continua CNF Bozza all’esame del Gruppo di lavoro consiliare

4.Modalità trasmissione albi ed elenchi; elenco nazionale avvocati

CNF Bozza in corso di elaborazione

5. Scuola superiore dell’Avvocatura CNF Bozza in corso di elaborazione

6. Organizzazione uffici CNF Bozza all’esame del PLENUM

7. Scuole forensi CNF Bozza all’esame del PLENUM

8. Sportello per il cittadino CNF APPROVATO in via definitiva

9. Osservatorio permanente sull’eser-cizio della giurisdizione CNF APPROVATO in via preliminare Inviato a Coa e

Associazioni per la consultazione

10. Associazioni specialistiche maggior-mente rappresentative CNF APPROVATO in via definitiva

11. Riscossione contributi CNF APPROVATO in via preliminare

12. Reg.elezione componenti CDD CNFAPPROVATO in via preliminare Inviato a Coa e Associazioni per la consultazione

13. Reg. procedimento disciplinare CNFAPPROVATOInviato a Coa e Associazioni per la consultazione

14. Parametri DM su proposta CNF

bozza DM esaminata dal Consiglio di Stato; parere del CNF deliberato

Comunicazioni

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Parere 10 aprile 2013 - rel. Cons. PerfettiPrescrizione dell’azione disciplinare (art. 56 L. n. 247/2012) –

applicabilità nell’immediato – esclusione.

È stato chiesto a questa Commissione di esprimere parere circa l’applicabilità immediata dell’art. 56 della L. n. 247/2012 che disciplina la prescrizione dell’azione disciplinare.

L’opinione della Commissione è che la norma non sia di applicazione immediata, quest’ul-tima dipendendo dall’entrata a regime del nuovo sistema disciplinare.

Ciò per le ragioni che seguono.

La disposizione disegna un nuovo volto della prescrizione, anzitutto, aumentando da cinque a sei anni il termine oltre il quale si estingue il potere disciplinare (comma 1).

Secondariamente, prevede che nel caso di condanna penale per reato non colposo, la prescri-zione per la riapertura del giudizio disciplinare ai sensi dell’art. 55 è di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna (comma 2).

Poi, tipizza gli atti che hanno efficacia interruttiva, limitandoli a tre: (i) la comunicazione all’i-scritto della notizia dell’illecito, (ii) la notifica della decisione del consiglio distrettuale di disciplina, (iii) la notifica della sentenza pronunciata su ricorso dal CNF (comma 3, primo periodo). Stabilisce che da ogni atto interruttivo decorra un nuovo periodo di prescrizione, che però non è di sei anni, ma di cinque (comma 3, secondo periodo). Infine, prevede che in nessun caso, pur in presenza di più atti interruttivi, il termine di sei anni può essere prolungato di oltre un quarto (comma 3, quarto periodo).

Ciò posto, l’applicabilità immediata della nuova disposizione non si può giustificare con l’ipote-tico argomento del cd. favor rei.

Intanto perché il comma 1 introduce sicuramente disposizione meno favorevole per l’incolpato dato che aumenta, in luogo di diminuire, la durata della prescrizione, così protraendo il tempo entro cui il consiglio distrettuale di disciplina può esercitare l’azione.

Secondariamente, perché il principio del cd. favor rei è regola di portata generale operante nel processo penale, mentre quello disciplinare di cd. primo grado non è un processo, ma un procedimento amministrativo. La norma, poi, dell’art. 65, co. 5, ultimo periodo, secondo cui “(…) le norme contenute nel codice deontologico (quello nuovo da emanare entro un anno: N.d.R.) si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli all’incolpato” conferma che là dove il legislatore ha inteso rendere applicabile immediatamente regole più favorevoli, l’ha esplicitamente previsto (ubi voluit dixit).

Conclusione confermata dall’art. 63, co. 2, ove si stabilisce che i nuovi poteri ispettivi del CNF di cui al primo comma, “(…) possono essere esercitati per quanto riguarda i procedimenti in corso (…)”; il che rende chiaro che nella prospettiva del legislatore è necessaria una previsione espressa di applicabilità immediata di nuovi istituti. Come, infine, conferma l’art. 48 che intro-duce una disciplina transitoria per la pratica professionale a tenore della quale la nuova durata del tirocinio (18 mesi) è applicabile anche a quelli in corso, ma ciò solo perché è espressamente previsto.

Detto questo, la norma dell’art. 56 non può applicarsi nel suo complesso nell’immediato perché è parte integrante del quadro del nuovo procedimento disciplinare rispetto al quale non vive di vita autonoma.

In questo senso è particolarmente significativa la disposizione del secondo comma che detta re-gola a proposito della prescrizione per la riapertura del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 55, norma alla quale, perciò, si lega intimamente.

Quale conseguenza dell’autonomia di procedimento disciplinare e penale (art. 54, co. 1) decli-nata nel senso che la pendenza del secondo non produce effetti sul primo anche quando – è dato ritenere

– l’ontologia dell’illecito disciplinare dipenda dalla statuizione sul fatto/reato (diversamente da ora, allorché la sospensione necessaria del procedimento disciplinare è funzionale a regolare proprio questa interferenza), l’art. 55 ipotizza il caso di un procedimento penale che abbia escluso o, per converso, accertato il fatto/reato per il quale l’incolpato sia stato, in precedenza, rispet-tivamente condannato, ovvero prosciolto in sede disciplinare con provvedimento definitivo. In tal

la norma dell’art. 56 non può ap-plicarsi nel suo complesso nell’im-mediato perché è parte integrante del quadro del nuovo procedimento di-sciplinare rispetto al quale non vive di vita autonoma

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caso ipotizza la possibilità di riaprire il procedimento disciplinare ad opera dello stesso Consiglio distrettuale di disciplina che lo aveva definito. Tale riapertura, dunque, e la conseguente nuova prescrizione della relativa azione, è strettamente dipendente (costituendone forma di bilanciamento) dalla già vista statuizione di non interferenza tra procedimento penale e disciplinare che costituisce una novità peculiare della normativa. In buona sostanza tutte le norme esaminate legandosi l’un l’altra fanno parte di un sistema integrato che presuppone il nuovo quadro disciplinare e, non per ultimo, il nuovo organo depositario del relativo potere.

Se per i motivi anzidetti non può sostenersi l’applicabilità immediata dei commi 1 e 2, non sarebbe giustificata quella del solo comma 3, penultimo periodo, laddove si afferma che, ad onta della pluralità degli atti interruttivi, “(…) in nessun caso il termine stabilito nel comma 1 può essere prolungato di oltre un quarto”. Infatti, la nuova durata massima della prescrizione così prevista è calibrata sul termine di sei anni oggetto di una previsione che - per come si è sopra visto - non opera nell’immediato, onde l’inapplicabilità della prima deriva da quella della seconda.

Quanto detto non toglie che, entrato in vigore il nuovo sistema disciplinare, le norme sulla pre-scrizione non trovino immediata applicazione anche ai procedimenti in corso trattandosi, appunto, di situazioni in corso di effetto su cui può appuntarsi lo ius superveniens.

Parere 23 ottobre 2013 - rel. Cons. PerfettiLa persistenza, nei Consigli dell’ordine, del potere di opinamen-

to delle parcelle

La Presidenza dell’Unione Triveneta ha trasmesso nota circolare inviata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Verona ai propri iscritti, nella quale invita questi ultimi a sospendere le richieste di opinamento parcelle al Consiglio dell’Ordine, richiamando due pronunce del locale Tribunale secondo le quali l’entrata in vigore dell’art. 9 del D.L. n. 1/2012 avrebbe determinato il venir meno, in capo agli Ordini forensi, del potere di opinamento parcelle. Secondo tale orientamento, peraltro contrario a precedente circolare dello stesso Presidente del Tribunale, si sarebbe determinata, in particolare, l’abrogazione tacita degli artt. 636 c.p.c. e 633, comma 1, nn. 2 e 3 c.p.c.

Tale interpretazione non può essere condivisa: come già sostenuto nel Dossier n. 6/2012 dell’Uffi-cio studi di questo Consiglio, deve escludersi che l’abrogazione delle tariffe disposta dall’art. 9 del DL n. 1/2012 (cd. Cresci Italia) avesse determinato il venir meno del potere del COA di esprimersi sulla congruità della parcella. La clausola abrogativa contenuta nella predetta normativa (art. 9, comma 5, cit.) testualmente dispone che “sono abrogate le disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1”, e quindi non può che colpire solo le disposizioni che richiamano espressamente l’istituto tariffario. Ebbene, la disposizione – anteriore alla nuova legge professionale – che istituiva la funzione di opinamento del COA (segnatamente l’art. 14, lett. d) R.D.L. n. 1578/33) non conteneva alcun rinvio alle tariffe. A ben vedere, la portata abroga-tiva del menzionato art. 9 riguarda le tariffe come criterio di determinazione del compenso, e dunque incide sui criteri attraverso cui è esercitato il potere di opinamento, e non investe la sua persistenza in capo al Consiglio dell’Ordine forense.

Vale peraltro rilevare, sia pure incidentalmente, che il Consiglio dell’Ordine, in sede di opinamen-to, potrà continuare a fare applicazione delle abrogate tariffe qualora la prestazione professionale in relazione alla quale è reso il parere di congruità si sia esaurita sotto il vigore delle tariffe medesime. Come riconosciuto dalla stessa Corte di cassazione (cfr. ex multis, sentenze 17406/12; 17405/12; 16581/12), infatti, il compenso dell’avvocato va inteso quale corrispettivo unitario a fronte della pre-stazione professionale complessivamente prestata: ne consegue che, in caso di successione nel tempo di diversi regimi tariffari, debba farsi riferimento alla “tariffa vigente al momento in cui la prestazione professionale si è esaurita”.

Con riferimento specifico alla presunta abrogazione tacita degli artt. 633, comma 1, n. 2) e 3) e dell’art. 636 c.p.c., si aggiunge quanto segue.

Per ciò che riguarda, in particolare, l’art. 636, si ritiene che l’art. 9 del D. L. n. 1/12 abbia potuto al più determinare l’abrogazione del solo secondo periodo, che fa espresso riferimento alle tariffe, senza intaccare il primo periodo, che si riferisce invece alla necessità di produrre, al fine di ottenere il decreto ingiuntivo, la parcella accompagnata dal parere della competente associazione professionale.co

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L’art. 633, comma 1, n. 3) – che contiene un riferimento alle tariffe – non attiene tuttavia al com-penso dell’avvocato, ma solo a quei professionisti assoggettati a tariffa “legalmente approvata” (cd. tariffe normative). La sua sorte a seguito del D. L. n. 1/12, pertanto, è del tutto irrilevante in relazione alla sopravvivenza del potere di opinamento delle parcelle in capo ai Consigli dell’Ordine degli av-vocati.

Quanto all’art. 633, comma 1, n. 2) – relativo agli “onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati […] in occasione di un processo”, è giocoforza osservare che, non contenendo alcun riferimento alle tariffe, la disposizione non può ritenersi minimamente intaccata dal richiamato art. 9, comma 5, D. L. n. 1/12.

Parere 23 ottobre 2013 - rel. Cons. PerfettiLa possibile oralità della delega in sostituzione

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ferrara riferisce di un’interpretazione data dalla Corte di Appello di Milano a proposito della previsione recata dall’art. 14, comma 2 ultima parte, legge n. 247/2012, laddove recita che “gli avvocati possono farsi sostituire da altro avvocato, con incarico an-che verbale, …”; secondo detta Corte di appello la disposizione si interpreta nel senso che la delega orale deve necessariamente essere conferita in udienza dal delegante.

Questa Commissione, investita dal Consiglio dell’Ordine di Ferrara della questione esprime al riguardo il seguente parere.

L’art. 14 sotto la rubrica “Mandato professionale – Sostituzioni e collaborazioni” specifica, al se-condo comma, che l’incarico “per lo svolgimento dell’attività professionale è personale”. La lettura combinata di tali norme con quella concernente “l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale”, recata dal sesto comma del precedente art. 2, consente di ritenere che la sostituzione del legale sia sempre praticabile, ma non v’è dubbio che, non foss’altro che per la provenienza, l’opinione della Corte di Appello di Milano attenga esclusivamente alle funzioni dell’av-vocato quale soggetto della giurisdizione.

L’interpretazione in esame muove da un trasparente presupposto, ovverosia che l’esistenza della delega orale debba essere provata e che tale prova non possa che essere costituita dalla diretta perce-zione del suo conferimento in udienza, davanti al giudice.

A parere di questa Commissione, un siffatto orientamento urta, in primo luogo, con il dato letterale della norma. La previsione dell’oralità del conferimento è infatti esplicita e si contrappone alla diversa ipotesi, altrettanto chiara, che il Legislatore ha formulato con riferimento alla delega scritta che può essere rilasciata al praticante abilitato.

Secondariamente, esso, trascura un dato logico prima ancora che giuridico e cioè che il conferi-mento ad un collega terzo dell’incarico di sostituzione implica l’impossibilità di presenziare all’udien-za. Da ultimo la lettura proposta si traduce in sostanziale disapplicazione della norma destinata a non avere applicazione pratica.

L’opposta interpretazione, che valorizza il dato letterale trova, inoltre, consistenti conferme nella legislazione di numerosi Paesi dell’Unione Europea.

In Inghilterra ed in Galles, ad esempio, qualsiasi delega per un’udienza può essere orale e non è richiesta la presenza del delegante. In Belgio, la sostituzione all’udienza dell’avvocato munito di man-dato ad litem presuppone il tacito assenso del cliente e non richiede forma scritta, fatta eccezione per casi specifici in cui è invece richiesto il mandat exprés. Ancora, in Francia, il Reglément Intérieur National prevede all’art. 6.2 che la rappresentanza in giudizio del cliente da parte dell’avvocato possa essere esercitata, fatte salve le specifiche eccezioni, senza mandato scritto e non reca alcuna norma che regoli le deleghe fra gli avvocati finalizzate alle sostituzioni in udienza. Per tale ragione, anche detta delega potrà essere orale, con il solo onere di informare preventivamente il cliente della circostanza.

Ad avviso della Commissione, infine, la previsione che l’avvocato possa farsi sostituire rilasciando delega orale senz’altro onere probatorio è coerente con i caratteri della funzione che esercita e con l’affidamento che di per sé genera quanto a coerenza con i valori e diritti che, rispettivamente, incarna e tutela; in quest’ottica, la dichiarazione di chi – in veste di avvocato - si accrediti quale sostituto di un collega per delega orale ricevutane, rileva di per sé ed a prescindere da qualsiasi profilo probatorio fermo rimanendo che ogni eventuale irregolarità troverebbe specifica sanzione deontologica ed anche co

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penale (art. 483 c.p.).

Il parere della Commissione, in ordine alle modalità di esercizio della facoltà spettante all’avvocato di incaricare un altro avvocato come proprio sostituto di udienza ai sensi del secondo comma dell’art. 14, Legge n. 247/2012, è quindi nel senso che l’avvocato, ferma la sua eventuale responsabilità di stampo professionale nei confronti del cliente, deontologica ed anche penale per dichiarazioni false, possa farsi sostituire in udienza, conferendo incarico orale ad un Collega senz’altro onere probatorio né del conferente – che non deve necessariamente essere presente in udienza seppur al solo fine del conferimento della delega – né del delegato che non è tenuto ad esibire alcuna prova dell’incarico conferitogli diversa dall’affermazione di averlo ricevuto.

1. La seduta “filtro”.

Il richiamo evangelico è metafori-co, vuol solo significare che la sentenza della Corte Cost. n. 272/2012, che ha dichiarato la illegittimità dell’impianto della obbligatorietà della mediazione per eccesso di delega del dlgs. 28/2010, ha dato occasione ad un felice restyling contenuto nell’articolo 84 comma 1 del “decreto del fare”, entrato in regime dal 21.09.2013. Ed invero il Ministero della Giustizia, congedata la parabola dell’a-rancia, ha avuto modo di osservare che statisticamente le fallite conciliazioni erano per lo più state determinate dal-la mancata partecipazione delle parti chiamate. E tale assenza, ad onta delle (flebili) negative ripercussioni in sede processuale, trovava ragione dalla ri-luttanza della parte chiamata a versare compensi all’organismo di mediazione ritenuti sproporzionati a fronte di un esito incerto. Il legislatore ha quindi escogitato una sorta di seduta “filtro” (è ormai un trend in sede processuale) a carattere preliminare nella quale il me-diatore invita le parti e i loro avvocati ad esprimersi sulla volontà di iniziare la procedura e, nel caso positivo, a proce-dere nella mediazione.

La funzione catalizzatrice della me-

diazione è agevolata dalla speditezza processuale, ma soprattutto dalla dispo-sizione secondo cui in tale fase in caso di mancato accordo nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione. A carico delle parti aderenti le sole spese di avvio del procedimento e/o le spese vive. E’ venuta a cadere la proposta del Governo che aveva indicato un’indenni-tà minima in tale ipotesi. Ne deriva che viene istituita una sostanziale gratuità riversata sugli organi di mediazione. Mi pare perciò di dover sottoscrivere quan-

Una buona novella: il d.l. 69/2013 convertito in legge n. 98/2013 sulla mediazione obbligatoria.

to osserva Marco Marinaro in “Guida al Diritto” 2013 – 38 – pag. 10 “La nuova norma appare quindi contraddittoria ri-spetto alle dichiarate finalità di elevare il livello qualitativo degli organismi e dei mediatori e pone non pochi dubbi circa la legittimità costituzionale della stessa imponendo a soggetti pubblici e privati (organismi di mediazione) che operano in un mercato concorrenziale regolamentato, la sostanziale gratuità dell’opera prestata. Restano evidente-mente a loro carico i costi per i compen-

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si dovuti ai mediatori per l’opera intel-lettuale prestata (che per altro continua ad essere infungibile anche nel nuovo “primo incontro” con le parti proprio in virtù del dettato normativo). Restano fuori le spese dell’avvocato che assiste le parti.

In caso di prosecuzione del procedi-mento dopo il primo incontro sorge per le parti l’obbligo di versare il compenso a prescindere dal fatto che, nel prosie-guo, venga raggiunto un accordo.

2.- La “competenza” territoria-le del mediatore.

La novella agevola inoltre la media-zione introducendo –di contro al parere del Governo nella persona del sottose-gretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri, motivato con il timore della giu-risdizionalizzazione della procedura - il superamento della sconcertante ubiqui-tà territoriale della precedente norma-tiva, con la disposizione che vuole la domanda di mediazione presentata me-diante una istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente. Per individuare questo luogo occorre valutare ipoteticamente quale sarebbe il giudice competente per quella controversia, e scegliere un organismo che operi ad es. nella cir-coscrizione territoriale dove risiede la controparte (art. 18 c.p.c.) oppure dove è sorta e deve eseguirsi l’obbligazione (art. 20 c.p.c.). Naturalmente nell’am-bito dell’organismo di mediazione non esiste un regolamento di competenza. La prescrizione territoriale non opera se l’accordo è raggiunto1. In caso diverso c’è chi, rifacendosi ad una applicazio-ne dell’art. 410 c.p.c. quando vigente, ritiene che il Giudice d’ufficio o la parte sollevino tempestiva eccezione di in-competenza dell’organo conciliativo, di conseguenza il Giudice dovrà ordinare la ripetizione del tentativo avanti a quel-lo territorialmenete competente.

Tuttavia il nuovo articolo 4 primo comma nulla ha a che vedere con la ratio giurisdizionale che garantisce la imparzialità (o la precostituzione) dell’organismo, ma solo di agevolare la

1 A tale conclusione si perviene in considerazione della natura negoziale e non processuale del requisito della com-petenza, la cui violazione – se può giustificare il rifiuto di partecipare alla mediazione – non dovrebbe incidere sulla validità ed efficacia del suo prodotto finale, una volta che la parte chiamata aderisca al procedimento e raggiunga un accordo (F. Cuomo Ulloa “La nuova mediazione – profili applicativi” Zanichelli Editore 2013 pag. 255). La transazi-one cancella la pretesa controversa e il giudizio pendente.

parte chiamata impedendo la scelta di organismi che potrebbero costringerla a sostenere costi eccessivi (F. Cuomo Ul-loa “La nuova mediazione” cit. pag 255 e nota 27). Tant’è che non legittima il mediatore a respingere la domanda per incompetenza territoriale, semmai solo a segnalare alle parti la circostanza. Dopo di che “sempre nello stesso primo incontro, invita le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e nel caso positivo procede con lo svolgimento” (art.8 I c.).

Su questo terreno che, come da nota che precede, è da definirsi negoziale, le esigenze relative all’individuazione dell’organismo per la ratio sottesa sub art. 4 I c. nulla hanno a che vedere con l’incompetenza processuale e pertanto possono essere liberamente derogabili dalle parti come si desume dal citato art. 8 I c. Pertanto, una volta accettato di partecipare all’incontro, il convenuto, a conciliazione fallita, non può solle-vare l’eccezione di improcedibilità per “incompetenza atecnica” del mediato-re perché, aderendo, ha dimostrato che la ratio della norma è stata soddisfatta. Né varrebbe eccepire preliminarmen-te nella mediazione l’incompetenza del mediatore perché trattasi di meccani-smo che opera solo in sede processuale, comunque vanificato dalla partecipazio-ne alla procedura. Le deroghe conven-zionali ovviamente non incidono sulla competenza territoriale del Giudice, mentre la riserva di eccezione, proprio perché occupa una sede negoziale, po-trebbe essere valutata come potenzial-mente contraria al principio di buona fede. Ne segue che solo non partecipan-do alla mediazione per tale giustificato motivo il convenuto può sollevare tem-pestivamente l’eccezione di improcedi-bilità davanti al giudice, che disporrà l’attivazione presso l’organo idoneo.

3.- I giustificati motivi della mancata partecipazione.

Ormai in tutti i convegni e nella dottrina è conferma che tali eccezioni debbono avere un carattere obiettivo che non attenga al merito (prima della C.C. 272/2012 ci fu il caso di una parte convocata che addusse a giustificazione l’incostituzionalità della legge). Ed è bene che parte convenuta non concluda soltanto adducendo la improcedibilità della causa per mancato tentativo di conciliazione senza concludere nel me-

rito poiché in tal caso, se l’accordo non riesce, incorre nella preclusione di cui all’art. 115 I° comma c.p.c. Una lata ac-cezione del giustificato motivo che attin-ga al merito della controversia concre-terebbe un arbitrario rifiuto dell’istituto.

Richiamo al riguardo la mia “La mediazione vacante” (in Cronache n. 2 e 3/2012, pag. 37) e Marco Marinaro in Guida al Diritto n. 27/2012 pag. 49; da ultimo Bove “Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione”, in “Socie-tà” 2012, 304 e ss.: “quanto alla man-cata partecipazione derivata dall’aver ritenuto infondata la pretesa avversaria, simile scusante non pare poter essere ragionevolmente inquadrabile quale giustificato motivo”. Il tutto già con rife-rimento alla precedente normativa.

Esemplificativamente ricorrono gli estremi del giustificato motivo oltre che nella circostanza della violazione, non sanata, delle regole territoriali del me-diatore, per le condizioni particolari di salute della parte chiamata. Non solo, c’è qualche autore (Luiso) che ritiene sussistere giustificato motivo ove, anche se fosse rispettata la competenza territo-riale, il procedimento di mediazione si svolga in un luogo distante da quello ove vive la parte convocata, sicché la parte-cipazione le imponesse oneri non esigi-bili in termini di spese in proporzione al valore dell’affare.

L’ingiustificata partecipazione com-porta l’applicazione, a carico della par-te che si sia costituita in giudizio (con l’irragionevole esclusione della parte “doppiamente” contumace) del secon-do comma dell’art. 116 c.p.c., solo che l’oggetto di quel disposto si trasferisce da un comportamento processuale ad uno extraprocessuale, comporta altresì il versamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato per il giudizio ex art. 8, comma IV bis, in forza di ordinanza non impugnabile da emettere nel corso dell’udienza dell’art. 183 c.p.c. (Bove, op. cit, 304 e ss).

Sanzioni piuttosto vaghe e tenui se si tiene presente che l’articolo 116 c.p.c. si limita ad un prudente apprezzamento delle prove appartenente più alla logi-ca che al diritto, e soprattutto senza un determinabile riferimento identificativo dei tanti fatti di causa da dover ritenere per ammessi. Meglio sarebbe stato inci-dere ulteriormente per questo titolo sul-le spese processuali all’esito del giudi-

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zio, oltre e coordinatamente con quanto previsto dall’art. 13, ferma la sanzione.

4.- La nuova mediazione dele-gata.

Particolare attenzione va portata al nuovo comma 2 dell’art. 5, modificato significativamente. Il Giudice non si li-mita ad invitare le parti alla mediazio-ne, ma la “dispone”, anche in sede di appello fino alla precisazione delle con-clusioni. E se qualche dubbio dovesse ancora residuare quel “fermo quanto disposto dall’art. 1 bis ect.” sta a signi-ficare che l’esperimento mediatorio può essere reiterativo di quello di apertura. Univoca per questa interpretazione quel “in tal caso l’esperimento del procedi-mento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”. Ne segue che l’art. 5, II comma, introduce una fatti-specie di mediazione obbligatoria ope judicis -con relativa assegnazione dei termini per l’esperimento. In ogni caso: quando le parti raggiungono un accordo il processo non serve, e nessuno compa-re all’udienza successiva; se le parti non lo raggiungono il processo riparte dal punto in cui si trovava quando il giudice ha disposto lo svolgimento della media-zione. Se infine nessuna parte provvede a presentare l’istanza, il processo vie-ne chiuso in rito ai sensi dell’art. 187 c.p.c. rimettendo la causa in decisione sulla questione pregiudiziale di rito, ma potrà anche provvedere all’istruttoria e decidere delle condizioni di procedi-bilità insieme al merito. Trattandosi di presupposto processuale, la decisione della condizione di procedibilità as-sume la forma della sentenza (art. 279 II° comma n. 2) impugnabile nei modi ordinari. Conformandoci alla giurispru-denza di cui all’art. 412bis c.p.c. laddo-ve, nonostante il tentativo non andasse espletato, siano stati tempestivamente eccepita o rilevata l’improcedibilità, sospeso il giudizio, assegnato termine perentorio e poi erroneamente emessa pronuncia di chiusura del processo per non essersi provveduto all’esperimento, il giudice d’appello, se la pronuncia è stata di improcedibilità della domanda, deve dichiarare nulla la sentenza, prov-vedendo poi a decidere il merito, stante l’eccezionalità delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c.. Deve invece ri-mettere la causa al primo giudice, ex art. 354 IIc. c.p.c. se la pronuncia di primo grado sia stata di estinzione del giudizio. Analogamente nel più raro

caso inverso: erronea negazione del tentativo di conciliazione in primo gra-do, soccombenza nel merito della parte che ha sollevato l’eccezione, appello in punto di improcedibilità unitamente al merito, il Giudice di appello dispone il tentativo di conciliazione prima di deci-dere sul merito.

Altra questione: si ritiene che se sono proposte più domande, ed una o solo al-cune di esse sono sottoposte all’obbligo del tentativo di conciliazione, sia prefe-ribile, anziché separarle, disporre per tutte in sede delegata l’espletamento del tentativo di mediazione per favorire una soluzione unitaria purché non abbiano ad oggetto diritti indisponibili.

5.- Clausola di mediazione.

La novella dell’art. 5 comma 5 pre-vede la clausola di mediazione, in con-tratti, statuti o atti costitutivi di enti, applicabile in fattispecie convenzionali, diverse da quelle obbligatorie.

Non possono essere considerate “condizioni di procedibilità” non po-tendo la volontà delle parti introdurre nuovi presupposti processuali. Pertan-to la mancata mediazione è eccepibile solo dalle parti nella prima difesa e il giudice assegna i termini per lo svolgi-mento della mediazione. Ne segue che l’eventuale violazione di una clausola di mediazione può fondare una pretesa risarcitoria, non rendere inammissibile la tutela giurisdizionale.

6.- L’assistenza dell’avvocato è davvero obbligatoria ? Pareri dif-formi.

- Ma risponde al vero che “l’as-sistenza” (non la “rappresentanza”) dell’avvocato alla parte in mediazione debba considerarsi essenziale?

Ci sono due scuole di pensiero. Una l’ho sentita in un convegno formativo. E’ vero che in sede di conversione del “decreto del fare” l’art. 8 è stato modifi-cato prevedendo che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono parte-cipare con l’assistenza dell’avvocato”; tuttavia l’art. 12 novellato prospetta due ipotesi: a) che l’accordo sia stato sotto-scritto dalle parti e dagli stessi avvocati, nel qual caso costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzio-ne per consegna e rilascio, l’esecuzione per gli obblighi del fare e non fare, non-

ché per l’iscrizione di ipoteca giudizia-le. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme im-perative e all’ordine pubblico. b) Segue però questo testo: “in tutti gli altri casi l’accordo legato al verbale è omologa-to, su istanza di parte, con decreto del Presidente del Tribunale, previo accer-tamento della regolarità formale e del ri-spetto delle norme imperative e dell’or-dine pubblico” “il verbale (omologato) di cui al comma primo costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”.

Questa distinzione potrebbe portare a ritenere che i procedimenti di media-zione possono svolgersi legittimamente anche senza l’assistenza di un avvoca-to, con la differenza che si ha un doppio meccanismo di attribuzione all’accor-do dell’efficacia esecutiva, quando il medesimo sia stato raggiunto fra parti assistite tutte dai legali e quello in cui manca la loro partecipazione. Il legi-slatore avrebbe dunque previsto che l’attribuzione dell’efficacia esecutiva all’accordo delle parti avvenga alterna-tivamente o ex lege oppure attraverso un provvedimento di omologazione del giudice. Si tratta di una scelta basata su valutazioni di opportunità e non di una via necessitata, in quanto niente avreb-be impedito al legislatore, se l’avesse voluto, di attribuire in ogni caso all’ac-cordo l’immediata efficacia esecutiva ex lege, senza la necessità di un intervento del giudice.

Pertanto secondo la prima tesi l’ob-bligatorietà della partecipazione degli avvocati è relativa, cioè in ragione della modalità di azione dell’efficacia esecu-tiva dell’accordo. Tale opinione sarebbe corroborata dalla direttiva 2013/11/UE che all’art. 8 lettera b stabilisce che “le parti hanno accesso alla procedura (tra cui rientra la mediazione) senza essere obbligate a ricorrere ad un avvocato o consulente legale”. E sebbene non sia stata approvata dagli Stati membri, gra-va sugli stessi l’obbligo dello standstill, nel senso che gli Stati devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva2.

2 Va opportunamente ricordato che la Corte di Giustizia della Comunità Europea con la sentenza 18 marzo 2010 ha stabilito che “i requisiti del tentativo obbligatorio di con-ciliazione, siano necessari per renderlo compatibile con il diritto alla tutela giurisdizionale:che si stratti di un vero e proprio procedimento di mediazione nel quale il mediatore non possa imporre una soluzione (“che tale procedura non

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Dunque l’assistenza del legale ha l’effetto di consentire di arrivare imme-diatamente all’attribuzione della qualifi-ca di titolo esecutivo dell’accordo; negli altri casi si deve ricorrere al più lungo procedimento dell’omologa giudiziale, appartenente, come noto, alla volonta-ria giurisdizione. Anche per il Luiso è escluso che la mancata assistenza dei legali produca delle conseguenze nel caso in cui si è raggiunto un accordo.

Secondo l’illustre autore le conse-guenze vanno semmai ricercate in re-lazione all’ipotesi in cui l’accordo non sia raggiunto. “E in questa direzione si dovrebbe ritenere che a) se si tratta di mediazione obbligatoria, l’onere non è soddisfatto se l’istante non era assistito da un legale; b) la partecipazione ad un procedimento senza l’assistenza di un legale non evita alla controparte le con-seguenze previste dall’art. 8, IV° - bis” (Luiso “Dir. Proc. Civile” 2013, Vol. V, pag. 47).

Altrimenti il legislatore avrebbe più semplicemente scritto “le parti possono partecipare con l’assistenza dell’avvoca-to”. Non pare però dubbia la obbligato-rietà della assistenza dell’avvocato nella mediazione delegata.

Per il novellato art.16 – IV bis, un altro zuccherino per la nostra categoria: gli avvocati iscritti all’albo sono di dirit-to mediatori, ma ciò non li esenta dalla attività di formazione. Si osservi che i poteri affidati agli avvocati – attestazio-ne e certificazione della conformità del verbale all’ordine pubblico e alle norme imperative – è novità di un certo rilievo: per la prima volta si trasferisce agli av-vocati una funzione di “tipo omologa-torio” prima riservata al Giudice dello Stato.

Echi di un convegno: per quanto poi concerne la qualifica di avvocato che deve essere posseduta dal professioni-sta che potrebbe assistere la parte in mediazione, occorre tener presente che l’art. 2 comma 7 della legge 31.12.2012

conduca ad una decisione vincolante per le parti”); che ab-bia un termine massimo di durata (“non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizio-nale”); che produca gli stessi effetti della domanda giudi-ziale (“sospenda la prescrizione dei diritti in questione”); che non sia eccessivamente oneroso dal punto di vista eco-nomico (“non generi costi ovvero ingeneri costi non ingenti, per le parti”); che le modalità con cui si svolge lo rendano di fatto accessibili a tutti gli utenti (“la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione”); che non impedisca la tutela cautelare (“sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi ecce-zionali in cui l’urgenza della situazione lo impone”).

n. 247, recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione fo-rense, stabilisce che “l’uso del titolo di avvocato spetta esclusivamente a coloro che siano o siano stati iscritti ad un albo circondariale, nonché agli avvocati del-lo Stato”.

In relazione a ciò si potrebbe rite-nere che possano assistere le parti in mediazione – in quanto avvocati - non soltanto i professionisti attualmente iscritti all’albo ma anche coloro che lo siano stati in passato e che successiva-mente abbiano chiesto la cancellazione. A tale riguardo, dato che viene indicato il termine “avvocato” senza precisare se sia iscritto o meno all’albo, è possibile ritenere che il legislatore – in base al principio ubi lex voluit dixit, ubi no-luit tacuit - abbia voluto consentire alle imprese (eventualmente interessate ad ottenere il titolo esecutivo “immediato” di cui al richiamato art. 12 comma 1) di poter partecipare alle mediazioni anche con i propri legali interni che siano stati iscritti all’albo, oppure che siano attual-mente iscritti negli elenchi speciali de-gli avvocati dipendenti da Enti pubblici.

7. Modifiche di domande, am-pliamento oggettivo e soggettivo della controversia e del tentativo.

Il legislatore non ha approfittato della rielaborazione dell’istituto per dirimere le questioni connesse ai temi sopra indicati. Le varie problematiche discendono dal regime della obbligato-rietà della mediazione prevista dall’art. 5 I° comma che “comporterà un’ine-vitabile processualizzazione della do-manda di mediazione, resa necessaria anche in vista della successiva verifica che il Giudice adito dopo l’eventuale fallimento del tentativo dovrà compiere dell’identità dell’oggetto della doman-da di mediazione e dell’oggetto della domanda giudiziale, al fine di ritenere soddisfatta la condizione di procedibili-tà. (Francesca Cuomo Ulloa “La media-zione nel processo riformato” Zanichelli 2011, pag. 115).

Tanto rilevante la questione se si ponga mente al fatto che la domanda di mediazione può essere idonea a spiega-re gli stessi effetti della domanda giu-diziale su prescrizione e decadenza (nei limiti dettati dall’art. 5 VI° comma), comportando così un livello di tecnici-smo particolare nella redazione della domanda. “E così nel caso sopravven-

gano, nel corso del giudizio, modifiche ad alcuno degli elementi caratterizzan-ti la controversia, personae, petitum o causa petendi… a rigore il giudice –ora come allora- dovrebbe arresta-re il processo ogni qualvolta rilevi un elemento di novità non interessato dal previo tentativo, causando però in tal modo pericolosi “corto circuiti proces-suali” destinati ad incidere non solo sul singolo procedimento, bensì anche sui valori costituzionalmente tutelati, quali il diritto di azione ex art. 24 Cost. o il principio di ragionevole durata del pro-cesso ex art. 111 Cost.” (F. Ferraris “La novellata mediazione nelle controversie civili e commerciali: luci ed ombre di un procedimento revitalizzato” in “I con-tratti, 2013/10, 954 e segg.)”.

Si tratta di scegliere tra una rigida impostazione processualistica della do-manda di mediazione e le esigenze di tutela costituzionale sopra menzionate. Occorre al riguardo considerare che –a differenza di quanto accade nel proces-so civile dove vige un onere di rigorosa identificazione del petitum e della cau-sa petendi- nella mediazione prevale il principio dell’informalità, dovendo la parte limitarsi ad indicare nella doman-da l’oggetto e le ragioni della sua prete-sa (vedi art. 4 II c.).

“Sembra pertanto corretta l’interpre-tazione di chi…suggerisce di adottare un criterio di valutazione sostanziale e non formale, tenendo conto che nella mediazione la parte istante non ha cer-tamente l’onere di formulare compiuta-mente ed esattamente le sue domande sotto il profilo giuridico e fattuale come invece accade per la domanda giudizia-le3. Il mediatore e ora anche gli avvoca-ti che necessariamente prendono parte alla mediazione, d’altro canto, potreb-bero colmare le eventuali lacune nella identificazione dell’oggetto della media-zione nel verbale di mancato accordo ove ciò ritenessero utile al fine di dimo-strare il soddisfacimento della condizio-ne di procedibilità” (Francesca Cuomo Ulloa “La nuova mediazione cit” Zani-chelli 2013, pag. 162). Ovviamente se il riscontro sostanziale risultasse nega-tivo si dovrebbe attivare il meccanismo di sanatoria per consentire alle parti di ripetere l’esperimento della mediazione sulle diverse pretese avanzate nel giudi-zio di merito.

3 In questi termini Trib. Mantova 25/06/2012 in www.cen-tounomediatori.it

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In particolare, il legislatore non pre-cisa se l’esperimento del procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della sola domanda intro-duttiva del giudizio ovvero di tutte le domande giudiziali in materia obbli-gata, anche proposte in corso di causa (domanda riconvenzionale, intervento volontario principale, chiamata in causa innovativa). Se tali domande non sia-no state oggetto unitario del tentativo di conciliazione si ritiene, come già a proposito degli artt. 410 e segg. c.p.c. e a differenza dalle controversie agrarie, che la condizione di procedibilità sia riservata solo alla domanda attrice. In tal senso depongono non solo la analoga formulazione letterale dell’art. 410, ma anche una interpretazione coerente con il dettato del nuovo articolo 111 Cost. (ragionevole durata del processo): tra le tante Trib. Milano 10.02.2001 in “de jure”. Tale la conclusione anche della dottrina, specie per la domanda ricon-venzionale (cfr. Luiso Dir. Proc. Civ. 2013, Vol. V, pag. 76 e Cuomo Ulloa Francesca “La mediazione nel processo riformato” cit. 2011, pag. 121 e segg.), salvo differenti punti di vista in giuri-sprudenza per i processi plurilaterali (intervento volontario o coatto, litiscon-sorzio volontario o facoltativo): vedasi a riguardo Ferraris op. cit. pag. 958 nota 13.

A maggior ragione va tendenzial-mente respinta la tesi di un regresso alla fase del tentativo dato che la novella odierna prevede una possibilità di “re-cupero conciliativo” mediante il raffor-zamento della mediazione delegata.

8. – Titolo esecutivo e trascri-zione: l’accordo nella duplice modalità di formazione è titolo esecutivo. Si col-loca sub art. 474 c.p.c. II c. n. 1: “… e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva”.

In questi primi anni di applicazione del D.lgs. 28/2010 è sorto in giurispru-denza il problema della trascrivibilità dell’accordo con cui si dà atto della av-venuta usucapione della proprietà o di un diritto reale su un immobile4 Per eli-minare ogni incertezza, il D.L 69/2013 ha aggiunto all’art. 2643 c.c. un numero 12 bis del seguente tenore: “gli accor-di di mediazione che accertano l’u-

4 Trib. Varese 20.11.2012, www.ilcaso.it ha limitato il ten-tativo obbligatorio di conciliazione alle sole domande reali di rivendicazione e non a quelle personali di restituzione. Conf. Luiso op. cit., 67.

sucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticato da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.

“In realtà i dubbi della giurispruden-za erano infondati, e della disposizione speciale non vi è alcun bisogno, posto che la trascrivibilità (art. 2643 n.13 c.c.) delle transazioni che hanno per oggetto controversie sui diritti menzionati nello stesso art. 2643 c.c. consente comunque la trascrizione di ogni accordo avente ad oggetto la proprietà o un diritto reale mi-nore su un immobile. Ciò perché la di-zione della norma è omnicomprensiva, e ricomprende tutte le controversie aventi ad oggetto un qualunque diritto previsto dall’art. 2643 c.c.. La necessità dell’au-tenticazione dell’accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato comporta che lo stesso, già sottoscritto in sede di mediazione, sia sottoscritto di nuovo innanzi al notaio: il notaio, in-fatti, deve attestare che le sottoscrizioni sono state apposte in sua presenza. Si consideri inoltre, che trattandosi di atti soggetti a pubblicità – un originale della scrittura privata deve essere conserva-ta dal notaio ex art 72 legge notarile”. (Luiso op. cit. V° pag. 54).

Sarà così possibile che si abbiano due esemplari dell’accordo: uno deposi-tato presso la segreteria dell’Organismo e l’altro presso il Notaio5.

La presente rassegna si limita a mettere in luce le novità salienti della novella, rimandando al testo per ogni chiara disposizione, come ad esempio i diversi termini. Ricordato che dalla materia della mediazione obbligatoria è oggi escluso il risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli

5 È appena il caso di accennare che altra è la questione dell’intreccio della mediazione con la trascrizione della domanda giudiziale con effetti prenotativi ai sensi dell’art 2852 c.c., che si pone all’origine del giudizio. Come per i procedimenti speciali, non si avrà una esenzione totale dalla condizione di procedibilità, ma una alterazione del suo meccanismo operativo: una volta notificata e trascritta la domanda (non preceduta dalla mediazione), l’attore avrà in-fatti l’onere di avviare la mediazione, dovendo in mancanza il giudice (fermi gli effetti della domanda trascritta) rilevare l’improcedibilità e disporre il differimento della udienza al fine di consentirne l’esperimento. In definitiva il nostro legislatore ha equiparato la domanda di mediazione alla domanda giudiziale non in toto, ma limitatamente alla pre-scrizione e alla decadenza: con particolare riferimento alla domanda di mediazione, non ne ha previsto la trascrivibil-ità –come invece ha fatto per la domanda di arbitrato- (artt. 2652 e 2653 c.c.). Tuttavia la trascrizione di una domanda di mediazione avrebbe comunque una portata molto limita-ta, in quanto evidentemente essa potrebbe “prenotare” solo la trascrizione di un accordo il cui contenuto corrisponda alla domanda stessa: ogni ulteriore pattuizione che diverga dalla domanda evidentemente non potrebbe acquisire effica-cia verso i terzi a far data dalla trascrizione della domanda di mediazione (Luiso op. cit. pag. 71).

e natanti, ma inclusa la responsabilità sanitaria, che il ripristino della media-zione obbligatoria avrà efficacia per i 4 anni successivi al 21 settembre 2013, dopodichè il ministero eseguirà il mo-nitoraggio degli esiti della sperimenta-zione, che il termine di durata del ten-tativo è portato da quattro a tre mesi, che non esiste sospensione dei termini feriali nemmeno se afferenti ad una me-diazione giudizialmente demandata ex art. 5 II c. relativa ad un giudizio per il quale tale sospensione è prevista (art. 6 secondo comma); ciò premesso, vie-ne confermata la scissione tra il dies a quo relativo agli effetti sostanziali della domanda di mediazione, che decorrono dal momento della comunicazione della stessa alla controparte ai sensi dell’art. 8 comma 1 ultima parte in combina-to disposto con l’art. 5 ult. comma, e il momento che segna l’inizio del procedi-mento, i cui termini decorrono dal depo-sito della istanza.

Concludo rilevando una nota disso-nante nell’art. 8 comma 1: “il mediato-re sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso po-sitivo, procede con lo svolgimento”. La funzione notarile assegnata nel primo incontro al mediatore è un fuor d’opera, incoerente con l’impianto della legge.

Giacomo Voltattorni conciliatore bancario

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Per collocare nella giusta dimensio-ne il mio percorso si deve tener conto che il monito dei miei genitori è sempre stato, ben prima che apparisse all’o-rizzonte la possibilità di un’esperienza politica (peraltro da mia madre sem-pre demonizzata), “il tuo lavoro per garantirti autonomia e indipendenza sempre e comunque”.

Questo insegnamento arriverei qua-si a dire che è l’unico che ho preso as-solutamente alla lettera. Questo spiega perché sono e mi ritengo un professore universitario e un avvocato tempora-neamente “comandato” ad altro inca-rico. La politica, cui mi sono rivolto tardi (a trent’anni suonati) per moti-vazioni ideali, è sempre stata un hobby, cioè una occupazione del tempo libero, anche se ciò ha significato accettare gli “straorari”. Questo spiega anche perché ho raggiunto il traguardo par-lamentare solo grazie al percorso delle primarie, cioè comunque di una scelta demandata al corpo elettorale e non alle dirigenze di partito. Rimanendo un hobby e non una professione, infat-ti, il mio essere in politica è sempre sta-to libero, nel senso che mi sono preoc-cupato del merito delle questioni e non delle convenienze. E non ho mai curato l’inserimento nelle organizzazioni par-titiche ai livelli più alti, cioè a quelli che possono consentire la carriera.

Credo che tutto questo renda ten-denzialmente credibile l’affermazione per la quale l’impegno in politica è stato per una sfida per dimostrare il valore e l’utilità di questo impegno. Sotto questo profilo, non bisogna dimenticare che il disprezzo per la politica e per i politici non è di oggi nemmeno nella sua inten-sità. Oggi la frattura è resa più pla-sticamente evidente dalla drammatica situazione sociale e socioeconomica, caratterizzata da tensioni, difficoltà e paure che portano ad esasperare la re-azione. Orbene, è proprio questa moti-vazione che ha reso frutto di una stessa tensione l’attività politica con l’attività professionale e di insegnante. Ho sem-pre pensato in relazione all’esperienza professionale di mio padre che l’avvo-

catura recasse con sè una responsabi-lità politica (nel senso di governo della polis) e che l’avvocatura, che per me non è mai stata la prima scelta, recasse con sè una responsabilità sociale molto forte. L’esperienza concreta ha confer-mato e conferma questa convinzione nel momento stesso in cui la crisi della giustizia ha raggiunto livelli che riten-go indegni di un paese europeo.

Apro una parentesi: non ho evitato, anche nell’attuale veste, di sottolineare questo e di sollecitare una seria assun-zione del tema da parte del Parlamen-to e del Governo. E non ho evitato di denunciare che la mancata assunzione del tema nella sua dimensione radicale, cioè di una vera riforma (e non di pan-nicelli caldi), è una colpa gravissima e mina ogni credibilità di un vero spirito riformatore: l’Italia non va in Europa nè politicamente nè socialmente, senza un nuovo sistema giudiziario.

Torno al tema. L’avvocatura ha in-nate in sè quelle responsabilità, di cui ho parlato prima, non solo e non tanto per la configurazione come esercente di pubblico servizio, ma essenzialmen-te e soprattutto perché il rapporto dell’avvocato con il cliente è essenziale non solo per mantenere nella giusta di-mensione il rapporto del primo con la giustizia, ma anche per la funzione di aiuto psicologico e di «mediazione» so-ciale che esercita insita nel ruolo lega-le. Sono osservazioni che oggi appaiono fuori tempo e fuori luogo: la realtà dice altro, ne sono consapevole !. Nondi-meno lo sottolineo perché mi pare una dimensione inalienabile, che dovrebbe richiamare tutti noi ad una riflessione sulla interpretazione della professione. La crisi in atto, peraltro, sta tornando a rendere più evidente questi elementi e, per certo, a dover fare i conti con essi, nel senso che la domanda di assi-stenza, sia essa di singole persone sia essa di imprenditori coinvolti nella cri-si, si caratterizza, infatti, sempre più come una domanda di aiuto: il senso del ricorso all’avvocato appare sempre più spesso come il ricorso, mi si passi il termine, ad un assistente sociale: c’è

bisogno di tutela giudiziaria, ma non ci sono più i mezzi per potersela assicura-re e, comunque, non ci sono più i mezzi per poterla pagare ai livelli delle tarif-fe (non voglio aprire questo capitolo!). La congiunzione tra l’avvocatura e la politica come governo della polis torna ad essere chiarissima, riproponendo la questione etica, ma anche evidenzian-do quella relazione, che ho inteso sot-tolineare prima. Fare politica nell’ac-cezione corrente del termine non è, in quest’ottica, qualcosa che allontana completamente dall’esperienza di una vita: è in realtà, una occasione che impone di interpretare in altra sede la responsabilità politica, di cui ho parla-to prima. Il che, di fatto, non crea una soluzione di continuità sul piano etico. E nemmeno sul piano professionale; dà l’occasione di un diverso angolo di vi-suale.

Mi sembra doverosa un’ultima chio-sa interessante l’esperienza la mia va-lutazione è sicuramente “deviata” dal momento in cui la sto vivendo: un mo-mento di estrema delicatezza politica che colora il tutto di una intensità e di un pathos, che credo non sia stato di molti momenti della vita repubblicana. Dico sempre per significare tutto ciò: un’esperienza breve, ma intensa!

Su altro piano l’esperienza è mol-to interessante perché completa il mio percorso di studio e di formazione so-prattutto nel lavoro in Commissione e nella Giunta delle elezioni. Dell’Aula, ............preferisco non parlare. Pe-raltro l’esperienza sicuramente “spro-vincializza” chi, come me, ha avuto il torto di non uscire con adeguata inten-sità dalla “petite Capital”: si conosce un altro mondo (mi immagino le iro-nie!).

Giorgio Pagliari

Esperienze: l’avvocato nella società

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I pratici del diritto…alle prese con i clienti, i Giudici di Pace, i mediatori, i Tribunali…sempre nella frenetica ricerca dei precedenti giurisprudenziali, le massime, che in qualche modo corroborino le tesi da sostenere in giudizio…e poi, magari, si imbattono, per caso, sfogliando riviste giuridiche, in un articolo di dottrina che riassume, fotografa, mirabilmente, e drammaticamente, tutto il mondo in cui vivono.

Così anch’io (pur minimo pratico del diritto) scorrendo in questi giorni una rivista, pur datata, sono incappato nelle pagine scritte da Giulio Cianferotti (“Logica del processo, logica del giudizio ed opinione pubblica”, in Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile, 2009, 1426) che mi limito a ritagliare, in questa mia barbara escursione del testo, confidando in una longanime indulgenza dell’Autore e sperando di fare comunque ammenda con il raccomandarne la lettura, veramente suggestiva, per esteso.

L’Autore, prendendo spunto dalle “passioni e interessi che si scontrano e si manifestano attorno ai grandi processi, alle causes célèbres”, richiamato il principio per cui “l’elemento costitutivo del giudizio è la terzietà del giudice”, posta a garanzia della “verità del giudizio” (pur considerata come verità non assoluta, ma umana), evidenzia come “la pubblica opinione, quando interviene in maniera diretta nel processo come parte…assume il ruolo di parte tra eccessi emotivi, ideali e politici inevitabili, e quasi sempre animosamente sollecita o si oppone, promuove o avversa, affianca o contrasta l’azione avviata contro l’imputato. In quanto parte in causa, la pubblica opinione non può farsi giudice, non può essere giudice, perché si farebbe giudice in causa propria, comprometterebbe la terzietà e con essa la sostanza del giudizio…inclina fatalmente, inesorabilmente, a prevaricare sul giudizio e sul giudice, a precostituire, influenzare e determinare il giudizio”.

In termini, l’Autore richiama una paradigmatica citazione di Salvatore Satta dalle Lezioni sul processo penale del Carnelutti: “…il principio della pubblicità del dibattimento si spiega soltanto in quanto si riconosca al pubblico che ha diritto di assistere al processo la qualità di parte, e appunto in quanto parte gli è vietato di manifestare opinioni e sentimenti, di tenere contegno tale da intimidire o provocare: se egli fosse terzo, cioè estraneo al conflitto di interessi esploso nel reato, tutto

ciò evidentemente sarebbe superfluo. E come parte preme contro la sottile barriera di legno che lo divide dal giudice: se riesce a superarla materialmente, sarà il linciaggio; se riesce a superarla spiritualmente, sarà la parte che giudicherà e non il giudice, cioè non si avrà giudizio”.

Veramente illuminante e suggestiva la prospettazione drammatica di questa intuizione.

Riguardo alla “verità del giudizio”, l’Autore, di nuovo citando Satta, evidenzia il parallelismo della domanda di Pilato, Quid est veritas? con l’altra Quid est processus?, risolventesi nella negazione della “essenza stessa del giudizio”, che è la ricerca della verità, per concludere che “Pilato non crede nella ‘verità giudiziale’ del processo e diventa per Kelsen il primo esempio di capo politico democratico che, in una questione controversa, si rivolge al popolo e si attiene alla sua decisione”…evidentemente nulla di più drammaticamente attuale!...anche se il tono, complice l’irresistibile trascorrere del tempo, è divenuto sempre più dimesso.

A chiosa del passo Kelseniano l’Autore introduce una citazione di Zagrebelsky: “In questa maniera…si lascia che il principio di maggioranza, il plebiscito, l’urlo del popolo, la tumultuante immediatezza della folla accorsa nell’aula giudiziaria o adunata nella piazza o sondata nella propria atomistica individualità, il crucifige! dell’opinione pubblica, il grido della parte, si sostituiscano alla verità del giudizio; si ammette che il giudice rinneghi, assieme a sé stesso, la logica del processo e l’essenza del giudizio, abdichi alla propria terzietà e si faccia capo politico democratico per appellarsi al popolo, per delegare la decisione al popolo sovrano, al pubblico, all’opinione pubblica, alla parte; si contrappone il principio maggioritario, il principio di sovranità popolare, di democrazia, l’investitura popolare, al diritto, all’accertamento giudiziale del diritto…”.

Si resta stupiti di fronte a tanta illuminante intuizione e quasi non si sa se le pagine scritte da Giulio Cianferotti (destinate agli Studi per Remo Martini), risalenti quattro anni addietro, e le citazioni in esse, ben più datate, siano il dono di un’eccezionale dote profetica, oppure costituiscano il resoconto di solerti e puntuali stenografi dei fatti accaduti in questi ultimi tempi e ancor oggi in corso di accadimento.

La verità del giudizio e l’opinione pubblica

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Trasmesso questo mio brevissimo sunto all’Avvocato Nicola Bianchi, del Comitato di redazione di Cronache, il 3 ottobre mi raggiunge un arguto messaggio dell’Avvocato stesso, coerente al frenetico evolversi degli eventi: “La ringrazio vivamente dell’attenzione. Il pezzo è certamente degno di pubblicazione. Ho solo una perplessità legata ai tempi: prevedendo l’uscita alla metà di dicembre, non vorrei che l’aggancio profetico all’attualità venisse travolto dall’assoluta instabilità di ogni cosa italiana. Le proporrei di rischiare, magari riservando a lei (fin dopo la metà di novembre) d’intervenire sul testo”.

Aderendo all’invito dello stimato Collega, decorso il termine prudenziale assegnatomi, pur dovendo riconoscere pari doti profetiche all’Avvocato Nicola Bianchi, ritengo tuttavia di poter arrischiare dato che “l’aggancio profetico all’attualità” delle osservazioni di Giulio Cianferotti mi sembra sia connaturato all’argomento e alla materia trattata.

Oltre il classico riscontro nel processo a Gesù del Vangelo di Giovanni e nei prestigiosi giuristi citati, nelle pagine scritte da Giulio Cianferotti il rapporto tra processo e opinione pubblica è infatti indagato con diffusi richiami di vicende dell’ ‘800 e del ‘900, di processi celebri (l’affaire Dreyfus e il J’accuse di Zola), con le passioni e gli interessi che si manifestano e si scontrano specie sulla stampa, con l’intervento dell’opinione pubblica nel processo come giurì, come “opinione pubblica rappresentata nella giuria”…

Ne emerge quindi che il rapporto tra verità giudiziale e opinione pubblica non è legato a una attualità, ma è una costante di tutti i tempi e costituisce argomento della storia del diritto e del processo.

Potrebbero far parte della storia del diritto anche Tribunali del popolo sorti, in un relativamente recente passato, pur nella nostra città, chi non ricorda le lenzuolate?...e, subito dopo, a livello nazionale, con tutte le connesse ripercussioni e passioni sociali e politiche, le c.d. mani pulite…la stessa ideologia del Tribunale del popolo, del processo come giudizio del popolo sovrano, oltre emergere nella ieratica formula del dispositivo della sentenza letto dal giudice in pubblica udienza, non si rivela pure nella plastica formula “la giustizia è amministrata in nome del popolo”, voluta nelle aule di giustizia da espressioni sociali e politiche che a quella ideologia si ispirano?...in definitiva, le pagine di Cianferotti possono essere di stimolo a esemplificazioni e riscontri storici infiniti.

Giuseppe Boselli

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1. E’ un dato di comune esperienza, e comunque lo abbiamo imparato sui ban-chi dell’università, che uno stesso fatto può contemporaneamente costituire un illecito penale, perché previsto dalla leg-ge come reato, e un illecito civile, perché ha causato un danno ingiusto da riparare mediante la restituzione del maltolto o il risarcimento per equivalente: basta pen-sare all’omicidio, non importa se doloso o colposo, alle lesioni personali, al furto, al danneggiamento, e chi più ne ha più ne metta. Sotto il profilo penale, questi delitti comportano l’applicazione delle sanzioni previste dal relativo codice; dal punto di vista della persona offesa o del danneggiato (sappiamo che queste figure non sempre coincidono, come nel caso dell’omicidio; ma non è questa la sede per approfondire l’argomento), ai fatti-reato di cui sopra conseguirà il diritto al risarcimento dei danni.

2. La necessaria base di partenza del nostro discorso è quindi l’art. 185 c.p.; norma tra le più note dell’intero sistema codicistico:“Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili.Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimo-niale, obbliga al risarcimento il col-pevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”.Da questa norma trae appunto la sua giu-stificazione processuale l’esercizio, nel processo penale, dell’azione civile per le restituzioni e il risarcimento dei danni provocati dal reato.

3. Sappiamo, però, che non necessaria-mente l’azione civile deve essere eser-citata nel processo penale, mediante la costituzione di parte civile del danneg-giato. Questa è una mera facoltà, e in tal

caso, come si dice in modo molto espres-sivo, l’azione civile è ospitata nel proces-so penale; anzi, qualcuno si spinge oltre e definisce ospite tollerato la parte civile. Il danneggiato ha però un’altra possibili-tà, e cioè esercitare direttamente l’azione davanti al giudice civile.

4. Non è questa la sede per approfon-dire le notevoli problematiche poste dall’innesto dell’azione civile nel pro-cesso penale; e nemmeno possiamo qui approfondire i complicati rapporti tra l’azione penale e l’azione civile, discipli-nati dall’art. 75 c.p.p., che ci limitiamo a ricordare.Si vuole invece concentrare il discorso sulle relazioni tra le pronunce del giu-dice penale e l’azione di danno: sia che questa venga esercitata ex novo davanti al giudice civile; sia che l’azione di dan-no giunga al giudice civile dopo essere stata inizialmente proposta in sede pe-nale, magari dopo l’emanazione da parte del magistrato penale di una condanna generica al risarcimento, cui segua il giudizio civile per la liquidazione.

5. Iniziamo dai riflessi, sul giudizio ci-vile, del giudicato penale di condanna.Norma fondamentale è l’art. 651 c.p.p.: “La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudi-cato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illicei-tà penale e all’affermazione che l’im-putato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restitu-zioni e il risarcimento del danno pro-mosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel pro-cesso penale.La stessa efficacia ha la sentenza ir-revocabile di condanna pronunciata

a norma dell’articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato”.

6. Come visto, il primo comma si riferi-sce alla sentenza irrevocabile (e quindi passata in giudicato) di condanna pro-nunciata in seguito a dibattimento.Come sappiamo, il vigente c.p.p. ha previsto però i c.d. riti alternativi; o, per meglio dire, i procedimenti speciali disciplinati dal Libro 6° del codice: tra gli altri, il giudizio abbreviato, quello immediato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti, cioè il patteggia-mento. Su quest’ultimo torneremo.Invece, soffermiamoci brevemente sulla sentenza pronunciata all’esito del giudi-zio abbreviato, che è la sentenza emessa all’udienza preliminare allo stato degli atti. Proprio a questa sentenza si riferisce il 2° comma dell’art. 651, attribuendo alla pronuncia irrevocabile di condanna emessa nel giudizio abbreviato a norma dell’articolo 442 la stessa efficacia del-la sentenza dibattimentale.Però, questa efficacia si ha solo rispetto al giudizio civile di danno.Uscendo invece da questo ambito, è bene avere presente che la sentenza resa nel giudizio abbreviato non spiega efficacia di giudicato sui giudizi civili non di dan-no. Quali possono essere questi giudizi civi-li non di danno, che fanno seguito a un giudizio penale? Possiamo immaginare l’ipotesi in cui un lavoratore dipendente subisca una condanna penale per la com-missione di un determinato fatto-reato e per questa stessa ragione abbia subito un licenziamento disciplinare, impugnato davanti al giudice del lavoro.E’ la fattispecie esaminata da Cass. civ. a Sez. Unite 19/1/2010 n. 674: “La sen-tenza penale irrevocabile pronun-ciata (non in seguito a dibattimento,

Le pronunce del giudice penale e l’azione di danno

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ma) a conclusione del giudizio abbre-viato non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, ben-ché sia parificata, a determinate con-dizioni e ai soli fini del giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento, a quella emessa a se-guito di dibattimento (nella specie, la Suprema corte ha cassato la senten-za di merito che, in un giudizio civile sulla legittimità di un licenziamento, aveva attribuito efficacia di giudica-to alla sentenza penale emessa a con-clusione di un giudizio abbreviato)”.Questo perché l’art. 654 c.p.p., con ri-ferimento ai giudizi civili non di danno, attribuisce efficacia alle sole sentenze penali, di condanna o assoluzione, che siano state pronunciate a seguito del di-battimento.

7. Chiudiamo la parentesi e torniamo ap-punto ai riflessi del giudicato penale sui giudizi civili di danno, che costituiscono l’oggetto della nostra chiacchierata.E torniamo quindi al primo comma dell’art. 651 c.p.p..Innanzi tutto, ricordiamo che, anche con riferimento alla problematica in esame, vale il principio generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Sul punto la giurisprudenza è pacifica; tra le tante, ricordiamo Cass. 20/04/2006, n. 9235, secondo cui “l’autorità del giudicato (anche penale) copre sia il dedotto che il deducibile, ovvero non soltanto le questioni di fatto e di dirit-to investite esplicitamente dalla deci-sione (c.d. “giudicato esplicito”), ma anche le questioni che - sebbene non investite esplicitamente dalla decisio-ne - costituiscano comunque presup-posto logico essenziale ed indefettibile della decisione stessa (c.d “giudicato implicito”), restando salva ed impre-giudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove, che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o, quantomeno, che non fossero deducibili nel giudizio, in cui il giudicato si è formato”.

8. Soffermiamoci sul termine “fatto” che compare nell’art. 651 c.p.p..Per “fatto” si intende l’elemento oggetti-vo-materiale del reato; nel concetto rien-trano la condotta, l’evento, il nesso ezio-logico. Attenzione: il nesso eziologico al quale facciamo ora riferimento è quello

tra la condotta e l’evento, quale elemento del fatto-reato. Da non confondere, quin-di, con il nesso di causalità tra il fatto e il danno, ai fini della risarcibilità di quest’ultimo; aspetto su cui torneremo.Ancora, nel concetto di “fatto”, agli ef-fetti dell’art. 651 c.p.p., rientrano le cir-costanze di tempo e luogo, che non sono oggetto di scrutinio da parte del giudice civile. Questi è invece chiamato a pro-nunciarsi sulla consapevolezza e sulle modalità soggettive del reato.Quanto appunto agli aspetti soggettivi, possiamo ricordare Cass. 18/06/2004, n. 11432: “Ai sensi dell’art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, con esclu-sione della colpevolezza, il cui esame è autonomamente demandato al giu-dice civile”.Quanto agli aspetti oggettivi, possia-mo richiamare la motivazione di Cass. 28/09/2004, n. 19387, secondo cui “Per “fatto” accertato dal giudice pena-le deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità feno-menica, costituita dall’accadimen-to oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso”. Pertanto, la ricostruzione storico - dinamica di tali elementi preclude “un nuovo accerta-mento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episo-dio. Egli può invece indagare su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale ai fini del giudizio a lui demandato, come ad esempio il comportamento della parte lesa, ne-gli aspetti non esaminati dal giudi-ce penale, ed incidenti sull’apporto causale nella produzione dell’even-to. Altresì rimesso all’accertamento ed alla valutazione del giudice civi-le è l’elemento soggettivo del fatto, escluso dalla nozione obbiettiva di esso, e non comprensibile nella nozio-ne di “illiceità penale” di cui all’art. 651 cod. proc. pen.”. La sentenza ha quindi enunciato il seguente principio

I riflessi del giudicato penale sui giudizi civili di danno, che costituiscono l’oggetto della nostra chiaccherata

di diritto: “nel giudizio civile per il ri-sarcimento del danno il fatto accer-tato dal giudice penale con sentenza irrevocabile di condanna ha efficacia vincolante nei confronti dell’imputa-to - danneggiante per quanto attiene alla sua realtà fenomenica e pertanto la ricostruzione della dinamica di un incidente, in relazione alle modalità obbiettive della condotta (commissi-va od omissiva) del medesimo, non-ché alle circostanze di tempo e luogo accertate dal giudice penale non può esser diversamente ricostruita, ma soltanto valutata”.Questi ultimi concetti sono condivisi an-che di recente.Ad es., Cass. 30/11/2011, n. 25575, in una situazione processuale abbastanza particolare, ha stabilito: “È erronea per violazione dell’art. 651 cod. proc. pen. la sentenza di appello [civile] che non abbia tenuto in considerazione la sentenza penale - emessa prima della notificazione dell’atto di appel-

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lo e divenuta irrevocabile prima del deposito della comparsa di risposta con appello incidentale - contenen-te l’accertamento delle modalità del sinistro stradale (…), atteso che, in tal caso, è fatto obbligo alla Corte di appello riesaminare la controversia alla luce degli accertamenti in fatto contenuti nella pronuncia del giudice penale”.Sempre a proposito della definizione del concetto di fatto, possiamo ricordare Cass. 1/06/2004, n. 10480, secondo cui “alla luce del vigente art. 651 c.p.p., nel giudizio civile di risarcimento del danno la sentenza penale irrevoca-bile di condanna ha autorità di cosa giudicata quanto alla sussistenza del fatto in tutti i suoi elementi costituti-vi accertati dal giudice penale, e, nel caso di lesioni personali, devono esse-re comprese tra detti elementi anche le conseguenze delle lesioni; pertan-to, il giudice civile non può ritenere che la malattia abbia avuto conse-guenze diverse da quelle accertate in sede penale, ma può tuttora prendere in considerazione, ai fini del risarci-mento, gli effetti dannosi verificatisi successivamente alla sentenza pena-le”.Su un piano parzialmente diverso sembra invece porsi la giurisprudenza più recen-te. Ricordiamo ad es. Cass. 4/07/2011, n. 14648: “Ai sensi dell’art. 651 cod. proc. pen., la sentenza penale irre-vocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risar-cimento del danno quanto all’accer-tamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale e all’affer-mazione che l’imputato lo ha com-messo, con esclusione della colpevo-lezza, il cui esame è autonomamente demandato al giudice civile. Detta sentenza non è, tuttavia, vincolan-te con riferimento alle valutazioni e qualificazioni giuridiche attinen-ti agli effetti civili della pronuncia, quali sono quelle che riguardano l’in-dividuazione delle conseguenze dan-nose che possono dare luogo a fatti-specie di danno risarcibile”.

9. Nella pratica, è molto frequente che il giudice penale, quando il danneggiato si è costituito parte civile, emetta una con-danna generica al risarcimento, even-tualmente assegnando una provvisionale

e rimettendo le parti al giudice civile per la liquidazione.E’ l’ipotesi prevista dall’art. 539 c.p.p.:“Il giudice, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del dan-no, pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile.A richiesta della parte civile, l’impu-tato e il responsabile civile sono con-dannati al pagamento di una provvi-sionale nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova”.Qui si aprono vaste problematiche.Secondo l’orientamento tradizionale, la condanna generica del giudice penale, che riguarda solo l’an debeatur, costi-tuisce una declaratoria iuris, cioè astrat-ta, che “ha ad oggetto l’accertamento dell’esistenza d’un fatto illecito anche solo potenzialmente dannoso. Tale giudizio pertanto prescinde da ogni accertamento sull’esistenza del dan-no, sulla sua entità, e sulla sussisten-za del nesso eziologico tra condotta ed evento”. In tal senso, tra le tante, si era pronunciata Cass. 29/11/1995, n. 12393. Quindi, secondo questa imposta-zione, il giudice civile successivamente investito resta libero di escludere in ra-dice l’esistenza stessa del danno, unito dal nesso eziologico col fatto illecito; di conseguenza, con la sentenza definitiva può essere negata l’esistenza stessa del danno, senza che ciò comporti alcuna contraddizione con la precedente pro-nuncia sull’an.Sul punto le pronunce sono innumerevo-li.A mero titolo di esempio, si cita Cass. 27/06/2001, n. 8807, secondo cui “La condanna generica al risarcimento dei danni pronunciata dal giudice in sede penale…integra gli estremi di una sentenza contenente solo l’accer-tamento della potenziale capacità le-siva del fatto - reato e dell’esistenza, probabile, di un nesso di causalità tra l’illecito ed il pregiudizio lamen-tato. Spetta, infatti, al giudice della liquidazione accertare in sede civile l’esistenza effettiva del danno stesso e determinarne l’ammontare, con la verifica del nesso di causalità in con-creto”.Più di recente, Cass. 21/03/2008, n. 7695: “Qualora il giudice penale li-miti la sua decisione alla condanna generica al risarcimento dei danni,

la sentenza, pur se passata in giudi-cato, non vincola il giudice civile de-mandato alla liquidazione, restando salvo il potere-dovere dello stesso di escludere l’esistenza del danno risar-cibile o il suo collegamento causale all’illecito, ove la parte interessata non fornisca in concreto le relative prove”; sulla base di tali principi, la sentenza ha quindi escluso la configura-bilità di danni in re ipsa.In linea generale, dunque, la sentenza di condanna generica al risarcimento del danno, per così dire, certifica solo la po-tenzialità dannosa dell’illecito e non anche l’effettiva sussistenza di un danno risarcibile, che dovrà essere accertato secondo le regole ordinarie: fra le più re-centi, tra i giudici di merito, Tribunale Lecco 15 gennaio 2010 n. 529 (in Giur. Merito 2010 p. 2152).

Tuttavia, la giurisprudenza opera un di-stinguo e ha chiarito che, “con la sen-tenza di condanna generica, il giu-dice può non limitarsi ad accertare l’esistenza di un fatto potenzialmente idoneo a produrre un danno, ma può accertare anche la reale entità dello stesso, lasciando quindi impregiu-dicata soltanto la sua liquidazione, purché nell’ambito della “causa pe-tendi” (Cass. 18/01/2000, n. 495).In tal caso, se il magistrato penale si è espresso sull’entità del danno e sul rap-porto eziologico in concreto, e non solo in astratto, il che è appunto possibile nel caso di condanna generica, il giudice della liquidazione non potrà tornare su questi aspetti perché sul punto valgono i principi del giudicato (il chiarimento è fornito da Cass. 329/2001); al giudice civile, quindi, resta demandato il solo potere di determinare il quantum risar-citorio.

10. Nessun problema di efficacia extra-penale pone infine il provvedimento del giudice penale che assegna alla parte civile costituita una somma a titolo di provvisionale.Infatti, tale provvedimento ha carattere meramente delibativo e non acquista ef-ficacia di giudicato in sede civile, men-tre la quantificazione della provvisionale è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica. L’orientamento è talmente consolidato, che non sembra necessario citare precedenti sul punto.

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11. Passiamo al versante opposto e cioè all’eventualità in cui sia stata pronuncia-ta una sentenza penale di assoluzione.L’ipotesi è regolata dall’art. 652 c.p.p.:“La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudi-cato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una fa-coltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse del-lo stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato ab-bia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma 2.La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronun-ciata a norma dell’articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbre-viato”.Innanzi tutto, è risaputo che la predetta efficacia extrapenale della sentenza di-battimentale (o resa all’esito di giudizio abbreviato, nell’ipotesi di cui al secondo comma appena citato) non opera quando, ad es., l’imputato sia stato assolto perché il fatto non costituisce reato. Questa for-mula può avere effetti pregiudizievoli in sede di giudizio civile, amministrativo o disciplinare, perché, ovviamente, un fatto di per sé accertato, che non viene sanzionato penalmente in quanto non costituisce reato, può comunque rileva-re negli altri settori del diritto; per cui chi lo ha commesso può essere tenuto a risarcire i danni se il fatto stesso integra illecito civile, oppure può subire san-zioni amministrative o disciplinari e via dicendo.

12. Meno scontata è un’ulteriore que-stione, esaminata dalla giurisprudenza anche in anni recenti. La Cassazione ha chiarito che, “ai sen-si dell’art. 652 (nell’ambito del giu-dizio civile di danni) e dell’art. 654 (nell’ambito di altri giudizi civili) cod. proc. pen., il giudicato di asso-luzione ha effetto preclusivo nel giu-dizio civile solo ove contenga un ef-fettivo e specifico accertamento circa

l’insussistenza o del fatto o della par-tecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia de-terminata dall’accertamento dell’in-sussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen. [quindi, in sostanza, per insufficienza di prove] (Nella specie, in relazione ad un infortunio sul lavoro cagiona-to da una macchina raddrizzatrice di filo di ferro sprovvista di idoneo dispositivo di blocco e di schermo di protezione, la corte territoriale ave-va ritenuto che la sentenza penale, in parte assolutoria ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen, e in parte - quan-to alle violazioni antinfortunistiche - dichiarativa della prescrizione, non avesse alcuna efficacia preclusiva, per cui, dopo aver proceduto ad un autonomo accertamento dei fatti, ha affermato la responsabilità del dato-re di lavoro ex art. 2087 cod. civ.; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha rigettato il ri-corso)” (Cass. 11/02/2011, n. 3376).

13. Quest’ultima massima introduce un ulteriore argomento, che ha notevole ri-levanza pratica.Finora abbiamo esaminato l’efficacia ex-trapenale delle sentenze di condanna e di assoluzione. Di frequente, però, ci si imbatte in situazioni intermedie.Una di queste è stata appena accennata, e cioè la prescrizione del reato; altra ipo-tesi è quella dell’amnistia.Se vogliamo, le pronunce di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o amnistia non sono né car-ne né pesce: non infliggono ovviamente una condanna penale; ma, con altrettanta chiarezza, pur essendo sentenze di pro-scioglimento, non recano un’assoluzione piena.Più volte, quindi, si è posto il problema di quali rapporti vi siano tra le pronunce di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o amnistia e i giudizi civili di danno.

La questione è stata esaminata dalle Sezioni Unite Civili della S.C., con la sentenza 26/1/11 n. 1768 (edita in Foro It. 2011, I, 2411, oltre che in varie altre riviste).

Per cogliere i termini della questione, e anche per dare maggiore concretez-za all’argomento, si espone la vicenda processuale così come riscostruita nella sentenza.

Nel 1981, in un ospedale del Lazio, una donna muore purtroppo di parto. Il gine-cologo e l’ostetrica che l’hanno seguita nel travaglio vengono sottoposti a proce-dimento penale per il reato di omicidio colposo.

“Il primo giudice penale condanna il solo medico ed assolve per insufficien-za di prove l’ostetrica.

Il giudice d’appello penale ritiene, invece, che entrambi gli imputati ab-biano concorso a cagionare il fatto: il medico nella misura del 60% e l’oste-trica nella misura del 40%. In questa sede, tuttavia, il giudice, accertati i fatti materiali posti a base delle im-putazioni e concesse ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche, per effetto di queste ultime dichiara prescritto il reato. Provve-dendo, altresì, sulle domande delle parti civili, condanna gli imputati al risarcimento del danno…”.

La Cassazione penale “conferma la sentenza d’appello, eccezion fatta per la condanna al risarcimento del danno a carico dell’ostetrica, consi-derato che nei suoi confronti non era stata emessa condanna, neanche ge-nerica, in primo grado”. Attenzione; questo come vedremo è un particolare decisivo: nei confronti dell’ostetrica, e relativamente agli interessi civili, il giu-dizio penale si chiude senza alcuna de-cisione.

“Essendo questo l’esito del giudizio penale, i congiunti della vittima, dopo avere transatto la lite con il ginecologo, convengono innanzi al giudice civile l’ostetrica per il risarci-mento del danno.

Il Tribunale di Latina ritiene la con-venuta responsabile nella stessa misu-ra già stabilita dal giudice penale (il 40%). La Corte d’appello di Roma, invece, con la sentenza…impugnata per cassazione ritiene non vincolan-te la statuizione del giudice penale e contiene la colpa concorrente della [ostetrica] nella misura del 10%”. Il ricorso per cassazione dei congiunti della vittima “censura la sentenza, tra l’altro: per aver violato il giudicato penale che si sostiene essersi formato

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per effetto del rigetto del ricorso degli imputati avverso la sentenza penale d’appello; per aver violato l’art. 652 c.p.p., il quale, si afferma, sancireb-be il principio dell’efficacia extrape-nale anche della sentenza di proscio-glimento per prescrizione del reato, quando sia stata pronunciata in esito ad un concreto accertamento dei fatti materiali ascritti all’imputato”.

La motivazione è molto articolata. Non la possiamo ovviamente approfondire oggi, ma dobbiamo limitarci all’essenziale.

Dopo avere richiamato gli opposti orien-tamenti formatisi nella giurisprudenza delle sezioni semplici e alcuni preceden-ti delle Sezioni Unite civili e penali, la sentenza 1768/11 muove essenzialmente dal rilievo secondo il quale, “a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codi-ce di procedura penale, devono rite-nersi definitivamente espunti dall’or-dinamento i principi di unitarietà delle giurisdizioni civile e penale e della conseguente prevalenza del giu-dizio penale sul giudizio civile, vigen-do, piuttosto il principio della parità ed originarietà dei diversi ordini giu-risdizionali e della sostanziale auto-nomia e separazione dei giudizi, ad eccezione di determinati tipi formali di pronuncia per ipotesi tassativa-mente prescritte”. Sulla base di ciò, la sentenza enuncia il seguente principio di diritto: “La disposizione di cui all’art. 652 c.p.p. (così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 del codice di rito pena-le) costituisce un’eccezione al prin-cipio dell’autonomia e della separa-zione dei giudizi penale e civile, in quanto tale soggetta ad un’interpre-tazione restrittiva e non applicabile in via analogica oltre i casi espres-samente previsti. Ne consegue che la sola sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto ac-certato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempi-mento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima) pronunciata in seguito a dibattimento ha effica-cia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre alle sentenze di non doversi proce-dere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non va riconosciuta alcuna efficacia extra-penale, benché, per giungere a tale conclusione, il giudice abbia accer-tato e valutato il fatto (nella specie,

il giudice penale, accertati i fatti ma-teriali posti a base delle imputazioni e concesse le attenuanti generiche, per effetto dell’applicazione di que-ste ha dichiarato estinto il reato per prescrizione); b) che, in quest’ultimo caso, il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acqui-siti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fat-to in contestazione (nella specie, il giudice civile, ha proceduto ad un ri-parto delle responsabilità diverso da quello stabilito dal giudice penale)”; il ricorso dei danneggiati viene dunque respinto.

14. Quindi, il principio generale è: se il giudice penale dichiara di non doversi procedere per prescrizione o amnistia, e non ha emesso alcuna pronuncia riguar-do agli interessi civili, il giudice civile successivamente investito, pur potendo prendere in esame gli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamen-te ed autonomamente rivalutare il fatto.

Diversa, invece, è la situazione se il giu-dice penale, pur emettendo sentenza di proscioglimento per prescrizione o am-nistia, si pronuncia sugli interessi civili.

Si richiama al riguardo l’art. 578 c.p.p.:

“Quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarci-mento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per am-nistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.

Sul punto si è espressa Cass. 21/06/2010, n. 14921: “Qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risar-cimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, ed il giudi-ce di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per am-nistia o per prescrizione, decidano sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, una tale decisione, se la predetta condan-na resta confermata, comportando necessariamente, quale suo indispen-sabile presupposto, l’affermazione della sussistenza del reato e della sua commissione da parte dell’imputa-

to, dà luogo a giudicato civile, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti, in cui si verta sul-le conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento, deri-vanti dal fatto, la cui illiceità, ormai definitivamente stabilita, non può più essere messa in discussione”.

Bisogna quindi fare i conti con un giu-dicato civile, che spiega gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. (ricordate: L’accerta-mento contenuto nella sentenza pas-sata in giudicato fa stato a ogni ef-fetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa). In tali casi, quindi, l’imputato, pur prosciolto dal reato, “non può più contestare la declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ma soltanto l’esi-stenza e l’entità in concreto di un pre-giudizio risarcibile” (Cass. 6/11/2002, n. 15557); nel giudizio civile, quindi, l’onere probatorio dell’attore danneggia-to riguarderà in questo caso l’esistenza e l’entità dei danni e il nesso causale con il fatto-reato.

15. Infine, grande rilevanza pratica han-no le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, cioè il patteggia-mento di cui agli artt. 444 e segg. c.p.p..

Al riguardo, il riferimento obbligato è l’art. 445 comma 1 bis: “Salvo quanto previsto dall’articolo 653, la senten-za [di patteggiamento] anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sen-tenza è equiparata a una pronuncia di condanna”.

Sulla rilevanza extrapenale di tale pro-nuncia, la giurisprudenza è sostanzial-mente pacifica.Già pochi anni dopo l’entrata in vigore del vigente c.p.p., la questione è giunta all’esame delle Sez. Unite della Cassa-zione, anche se non a composizione di un contrasto giurisprudenziale, ma perché il procedimento aveva ad oggetto un giudi-zio di responsabilità disciplinare di un ingegnere.La sentenza è la n. 12165 del 10/12/93, secondo cui i fatti o i comportamenti contrari alle norme di deontologia ben possono risultare dalla sentenza di pat-teggiamento, “non essendo di osta-colo il fatto che tale pronuncia (da considerare sentenza di condanna) non abbia efficacia, ai sensi dell’art.

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445…, nei giudizi civili o amministra-tivi, ove in sede disciplinare si tenga conto non della condanna penale in sé ma del fatto, obiettivamente con-siderato, che ad essa ha dato luogo”.In particolare, secondo la giurispruden-za, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. costituisce un importante elemento di prova nel processo civile: la richiesta di patteggiamento da parte dell’imputato implica, infatti, il ricono-scimento del fatto reato e quindi un’am-missione di colpevolezza che esime la controparte dall’onere della prova; salvo che l’imputato non contesti i fatti dedotti in sede penale e non adduca le ragioni per le quali, pur innocente, sia giunto alla determinazione di accettare la pena patteggiata.Il discorso, quindi, si sposta sul piano probatorio. In sostanza, è vero che, per espressa previsione di legge, la sentenza di patteggiamento non spiega efficacia di giudicato. Tuttavia, ai fini civilistici, essa può costituire un’importantissima fonte di prova.Sul punto le pronunce sono numerose.La sentenza di patteggiamento “costi-tuisce indiscutibile elemento di pro-va per il giudice di merito, il quale, qualora intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputa-to avrebbe ammesso una sua insus-sistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, può essere utilizzato come prova per l’emissione di un avviso di accertamento e, dal giudice tribu-tario, nel giudizio sulla legittimità dell’accertamento (la Corte cassa pertanto la sentenza di secondo gra-do favorevole al contribuente e, de-cidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente)” (Cass. 30/9/2005 n. 19251).

Cass. Sez. Unite 31/7/2006 n. 17289 (che si è pronunciata in tema di respon-sabilità disciplinare di un avvocato) ag-giunge che “la sentenza di applicazio-ne di pena patteggiata, pur non po-tendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sem-pre una ammissione di colpevolezza, esonera la controparte dall’onere della prova. (Nella specie, relativa a responsabilità disciplinare di un avvocato, la S.C. ha confermato la

condanna resa dal Consiglio nazio-nale forense, non avendo il ricorren-te indicato quali elementi probatori a suo favore avesse sottoposto al giudi-ce di merito al fine di spiegare perché avesse - pur innocente - accettato una pena patteggiata per il reato di con-cussione continuata)”.

La sentenza di patteggiamento, “pur non contenendo un accertamento ca-pace di fare stato nel giudizio civile, contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di me-rito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare. (Sulla base di tale principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in un processo per il risarcimento del danno da infortunio sul lavoro, aveva semplicemente escluso ogni ri-levanza civile della sentenza di pat-teggiamento resa dal giudice penale nei confronti del datore di lavoro)” (Cass. 19/11/2007 n. 23906).

In sostanza, quindi, chi ha patteggiato in sede penale e sia convenuto nel succes-sivo giudizio civile di danno, deve forni-re una versione alternativa, spiegando perché “avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giu-dice penale abbia prestato fede a tale ammissione”.

Enrico De Risio

Il discorso, quindi, si sposta sul piano probatorio.

In sostanza, è vero che, per espressa previsione di legge, la sentenza di patteggiamen-to non spiega efficacia di giudicato.

Tuttavia, ai fini civilistici, essa può costituire un’im-portantissima fonte di prova

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il diritto preso sul serio&

il diritto preso sul ridere

“La legge, nella sua maestosa uguaglianza, vieta sia ai ricchi che ai poveri di dormire sotto i ponti, di elemosinare e di rubare il pane” (Anatole France).

Il diritto di avere diritti.La citazione che ho posto nel sot-totitolo della rubrica potrebbe ben essere adottata come chiave di let-tura dell’opera di Stefano Rodotà “Il diritto di avere diritti” (Laterza, 2012), che nel titolo richiama una frase di Hannah Arent. Lo scritto-re francese sembra antivedere, a distanza di un secolo, la evoluzio-ne e la rivoluzione del diritto e dei diritti che Rodotà disegna nell’ordi-namento statuale e internazionale nell’epoca della globalizzazione. In Italia la disuguaglianza era consa-crata nel diritto positivo dallo Sta-tuto Albertino e dal Codice Civile. L’ordinamento denegava libertà ed uguaglianza, producendo esclusio-ne e impossibilità di uscire dalle gabbie degli status che definivano

la condizione effettiva delle per-sone. Per una lunga fase storica il beneficiario della pienezza della soggettività è stato soltanto il ma-schio maggiorenne, alfabetizzato, proprietario. La soggettività delle donna era cancellata, con l’esclu-sione dalla sfera pubblica, con la ridotta capacità patrimoniale. Lo stesso codice del commercio 1882 introduceva un elemento di dispa-rità dal momento che il comune cit-tadino era sottoposto a leggi diverse a seconda che avesse rapporti con commercianti o altri comuni citta-dini.La legislazione sociale successiva apportava modifiche in senso egua-litario, dando maggior evidenza alla realtà delle condizioni materiali. Ma soprattutto con la nostra Carta Costituzionale (art. 3) veniva in luce il riferimento sia alla uguaglianza formale (primo comma), e quindi alla soggettività astratta, quanto a quella reale, che il secondo comma evidenzia riferendosi agli “ostacoli di fatto” da rimuovere, misurando la soggettività con la concretezza del reale.“Il rapporto tra i due commi dell’art. 3 si arricchisce in una direzione che, da una parte conferma rilevan-za e limiti dell’uguaglianza formale per la costituzione del soggetto; e dall’altra fa emergere le condizioni

materiali dell’esistenza delle perso-ne concrete.Le modalità di una transizione dal soggetto ad una persona trovano qui una definizione puntuale, quando si attribuisce alla Repubblica il com-pito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che li-mitando di fatto le libertà e le ugua-glianze dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona uma-na”.Da qui alla necessità di una legisla-zione disuguale in nome della rea-lizzazione effettiva della uguaglian-za il passo è obbligato.Risuona icastica l’affermazione di John Rawls: “in una società giusta le disuguaglianze sono a favore de-gli svantaggiati”. Con ciò contrad-dicendo chi, ad esempio per il caso dell’omofobia, ritiene che una tute-la speciale possa costituire una de-roga al principio dell’uguaglianza.Con l’articolo 2 si garantiscono “i diritti individuali dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua persona-lità” (sicché, ancora una volta, la di-cotomia operata dalla recente legge sulla omofobia tra diritti individuali e collettivi non appare compatibile con il disposto costituzionale).E così il principio della solidarie-tà, sempre espresso dall’art. 2 cost., l’art. 36, e l’art. 32, che “apre la via

segnali di fumo

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ad una più intensa considerazione dell’autodeterminazione della per-sona, che assume così i tratti di di-ritto fondamentale”.La sentenza Cort. Cost. n. 438 del 2008 pone in risalto, attraverso gli artt. 2,13,32, la sintesi dei due dirit-ti fondamentali della persona: quel-lo all’autodeterminazione e quel-lo alla salute. Mentre nel lontano habeas corpus il diritto alla vita e alla incolumità fisica era limitabile in base alla legge, oggi si opera un ribaltamento del principio: il trasfe-rimento di sovranità dallo Stato alla persona nel decidere della propria salute e della propria vita1. Compaiono altresì “gli indigenti” ai quali devono essere garantite cure gratuite (art. 32), “incapaci e meri-tevoli che pur privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” (art. 34); la madre e il bambino “ai quali deve essere as-sicurata adeguata protezione” (art. 37).Sotto la spinta di una materialità delle condizioni reali vengono così costruite categorie generali, non più astratte. E la persona umana viene in tal modo costituzionalizzata nei suoi diritti.La concezione unitaria della perso-na vale a sgombrare il campo dalla teoria che riconosce i singoli diritti della personalità, finendo per tipiz-zarli; si riafferma così l’esigenza di

1 Tenga a mente l’operatore del diritto queste righe tratte dal Rodotà: “Altra questione è quella riguardante i casi in cui al medico si indirizza il rifiuto di cure o la decisione di non ini-ziare neppure la terapia o la scelta della terapia accettabile. Liberi dall’ingannevole formula dell’ <<alleanza terapeuti-ca>>, in sé ambigua o indicazione d’una via per ridimen-sionare il potere della persona, si può affrontare in termini generali il tema della relazione tra medico e paziente. Che è relazione comunicativa, irriducibile alla banalizzazione del consenso attraverso la firma di un modulo che evoca piutto-sto la sottoscrizione di un contratto di assicurazione o di for-nitura di servizi, o nel quale si manifesta l’attitudine <<di-fensiva>> del medico, soprattutto preoccupato di mettere il suo agire al riparo da eventuali responsabilità civili o penali. Contano le parole usate, e il modo, dunque il momento della comunicazione, il tempo ad essa dedicato, il dialogo con un linguaggio capace di far sì che il sapere medico giunga alla persona con l’indispensabile grado di comprensibilità, e non come una sottile sopraffazione attraverso la quale il medico recupera il suo potere. L’informazione, quella che fonda il consenso appunto <<informato>>, quindi l’autodetermina-zione, esige una procedura gestita da soggetti consapevoli della particolarità della situazione e rispettosi dell’ultima parola spettante all’interessato”.

superare la frammentazione della persona umana e di dare ingresso ai nuovi interessi emergenti della vita sociale, non ancora considerati dal legislatore.In base ai bisogni e alle esigen-ze della vita sociale i diritti della persona si diffondono nel tempo e nello spazio consolidandosi in essa. Essi traggono origine da fonti di-verse, alcuni da carte dei diritti di livello internazionale, anche se tale origine presta il fianco alla obiezio-ne che le carte dei diritti hanno un significato ottativo (come dire pro-grammatico) e non sono giuridica-mente vincolanti; alcuni trovano il loro fondamento nelle carte costitu-zionali; altri nella disciplina della unione europea; altri ancora nelle regole del codice civile; altri infine nella disciplina della legislazione speciale.

Tale progressiva inclusione, che in uno Stato Costituzionale come il nostro viene facilitata allargandosi ai diritti di quarta e quinta genera-zione (come quello alla privacy, alla tutela globale dell’ambiente, e del genoma umano), non può prescin-dere dall’azione politica dal basso dei cittadini, dalle dichiarazioni di incostituzionalità e dalle elabo-razioni giurisprudenziali “costitu-zionalmente orientate”, a cui cor-risponde una limitazione ponderata della sovranità popolare. Va però avvertito che la interpre-tazione delle disposizioni della Carta di Nizza (2000) sui diritti fondamentali dell’uomo, in vigore nell’Unione Europea dal Trattato di Lisbona del 2009, frena l’attuazio-ne del percorso teorico di Rodotà, costringendo i diritti sociali entro i limiti permessi dal fiscal compact, imponendo il pareggio dei bilanci statali da prescrivere con norma costituzionale. “Il riconoscimen-to” dei diritti sociali operati dalla

Carta nell’articolo 34 non equivale e non incide come le parole come “tutela”, “assicura”, “garantisce”, “protegge”. A questa stregua non è consentito applicare incondiziona-tamente la Costituzione Italiana, il suo art. 36, quelli che lo precedono e che lo seguono, prevalendo i so-vraordinati trattati europei. “I trattati operano da tempo, inci-dendo sulla portata e sull’efficacia delle norme costituzionali relative ai diritti. La Corte Costituzionale, proprio con riferimento ai diritti so-ciali, per effetto delle restrizioni del bilancio, imposte dal liberismo eco-nomico istituzionalizzato, ha dovu-to inventare la categoria dei diritti finanziariamente condizionati, ridotti cioè a interessi protetti se e quando consentito dall’andamento della congiuntura economica, e nei soli margini lasciati dagli obiettivi supremi dell’ordinamento europeo” (Gianni Ferrara in “La vocazione civile del giurista - saggi dedicati a Stefano Rodotà a cura di G. Alpa e V. Roppo – Laterza 2013, pag. 292 – 297 con amplia esemplicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia”) 2

2 Alcune significative sentenze. Come quella che permette ad una impresa di esercitare la libertà di stabilimento per sottrarsi agli obblighi di un contratto collettivo (n. 4338/05 dell’11.12.2007); quella secondo cui, a fronte della con-giunzione della libertà di stabilimento con la libertà di circolazione dei servizi, debba recedere il diritto dei lavo-ratori a uniformare i salari dello stesso settore (C. 341/05 del 18.12.2007); quella che sempre in relazione alla libertà di stabilmento, la rende prevalente rispetto al diritto dei la-voratori a un salario più alto (C. 346/06 del 03.04.2008); quella che, prescrivendo una interpretazione estensiva della direttiva sullo stabilimento delle imprese definisce superflue le norme statali sulla ispezione del lavoro, sulla indicizzazione dei salari in corrispondenza del costo della vita, sulla trasmissione delle informazioni (C. 309/06 del 12.06.2008); quella che legittima la riduzione della in-dennità di licenziamento per i lavoratori che si trovini in prossimità dell’età pensionabile (C. 124/11 C. 125/11 C. 142/11 del 06.12.2012); ma soprattutto la pronunzia che dà il via libera alla conclusione e alla ratifica del Trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità da parte degli Stati, soffocando i diritti sociali già all’atto della previsione della spesa pubblica degli Stati della Zona Euro (C. 370/12 del 27.10.2012).

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Inversioni ad U sulla Corte co-stituzionale.

“[…] di qui anche quella bizzar-ria della Corte costituzionale, organo che non si sa che cosa sia e grazie all’istituzione del quale degli illustri cittadini verrebbero collocati al di sopra di tutte le assemblee e di tutto il sistema del parlamento e della democrazia, per esserne i giudici. Ma chi sono costoro ? Da che parte trarreb-bero essi il loro potere se il popo-lo non è chiamato a sceglierli ?”.Se ponessi al lettore il quesito “chi è l’autore di questa dichiarazio-ne?”, sono certo che mi sentirei ri-spondere senza tentennamenti con un nome solo. Non lo faccio per non rientrare nella schiera degli italia-ni, e non solo, che ne sono osses-sionati. Ma soprattutto perché non è una domanda retorica. La frase appartiene nientemeno che a Pal-miro Togliatti, che l’ha pronunciata nel suo discorso all’Assemblea co-stituente nella seduta dell’11 marzo 1947. Sconcerto tra gli intellettuali che per venerante imitazione hanno intinto la penna nell’inchiostro ver-de 3.Eppure la sinistra nel dopoguerra fu determinante nella istituzione della Corte, che dovette attendere fino al 1956.Non c’è dubbio che ragioni di tat-tica e strategia siano alla base dell’inversione di rotta. Quando il fronte popolare si trovò escluso dal Governo comprese l’utilità di que-sto organo di garanzia.Sta di fatto che il populismo dema-gogico da una parte, e quello ideo-logico dall’altra possono incon-trarsi. Ma mentre il primo in Italia sembra ripetersi senza soluzione di continuità, il secondo ha acquisito una coscienza matura e (quasi) sta-

3 Per i meno giovani: Togliatti scriveva con inchiostro verde.

bile del valore istituzionale degli organi di garanzia, al di sopra delle espressioni popolari e parlamentari. A onor del vero le inversioni ad U non sono disdegnate dalla opposta scuola di pensiero. Quando occorra, non esita a travestire i parlamentari in giudici, ricusarli avanti a non si sa quale Autorità superiore, e ad in-vocare l’intervento della deprecata Corte Costituzionale.

Il tempo delle pere.Si era appena dopo la fine della seconda guerra mondiale e al Qui-rinale, il massimo dei palazzi del potere, sedeva un integerrimo Pre-sidente, Luigi Enaudi.Questi, una sera, invitò a cena un gruppo di giornalisti e la servitù, per dessert, portò in tavola un piatto di pere, di grandi dimensioni.Il Presidente ne prese una e fece: “Troppo grande per me, qualcuno ne vuole la metà?”; disse di si lo sceneggiatore Ennio Flaiano al qua-le venne depositata nel piatto la sua metà. Erano tempi di grande fruga-lità. Poi, come ricorda Flaiano, co-minciò l’era delle “pere indivise”.

(rif. Enrico Deaglio).

Pellegrino Riccardi: un giusto tra le nazioni.

Nel Settembre di 70 anni fa, in un tardo pomeriggio, il Pretore di una cittadina emiliana esce furtivo di casa, si guarda attorno per assicu-rarsi che nessuno lo veda o sospetti, entra con passo disinvolto nella sede comunale, allogata in una grande villa anni venti ove aveva stanza anche la Regia Pretura. Come chi ha qualche affare da sbrigare, si ac-

certa che non ci sia nessuno, e si in-fila nell’Ufficio Anagrafe. Qui, con abilità professionale, sottrae carte d’identità all’uso dell’ufficio, vi im-prime il timbro a secco del Comu-ne, poi, alla sera, a casa, comincia indisturbato il suo lavoro: in poche parole, con la collaborazione di un impassibile incisore, falsifica le tes-sere con nominativi e dati anagrafi-ci di terzi sconosciuti, a beneficio di amici che da un momento all’altro, sotto la morsa razziale, avrebbe-ro avuto la necessità di espatriare clandestinamente. Quel Pretore era Pellegrino Riccardi, che avrebbe concluso la sua carriera giudiziaria, iniziata come Pretore di Varano Me-legari, come Presidente della Sezio-ne Penale del Tribunale di Parma.In un libretto di affettuoso ricordo il nipote Carlo Bocchialini dedica al nonno Pellegrino una raccolta di memoria dei fatti di cui il Riccardi fu silenzioso, schivo protagonista dall’8 Settembre in poi.Il “Pretore” come ancora venne chiamato, si rifiutò di scrivere al-cunché su questi episodi: “A chi vuoi che interessi ?”Ed allora, il nipote Carlo, che ave-va appreso quelle narrazioni dalla voce di nonno Pellegrino, in un rap-porto di devota frequentazione e di quotidiano apprendimento, diffuso anche agli amici dell’Autore, si ri-solve a colmare quel vuoto non solo per amore, ma perché quelle espe-rienze non cadano nell’oblio ed illu-minino il cammino dei posteri.Poiché, come ebbe a dire il “Pre-tore” quando il 26.12.1988, presso l’Ambasciata di Israele, gli conse-gnano la medaglia dei Giusti, su proposta della Signora Enrica Vige-vani, la cui famiglia aveva aiutato a far espatriare in Svizzera evitando-ne la deportazione “Se tutti avesse-ro fatto quel poco che ho fatto io la Shoah non ci sarebbe stata”.Il racconto, breve, semplice, spesso

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serrato, si diffonde sulle peripezie dell’avvocato Rolando Vigevani e i suoi famigliari ebrei, sui nascondi-menti della città o delle campagne di Parma, sui numerosi tentativi di sfuggire al nazismo espatriando in Svizzera: il tutto guidato dal-la inventiva operosa di Pellegrino Riccardi, che finì per attribuirsi per un certo tempo la paternità di Tullo, figlio dell’avvocato Vigevani, troppo piccolo per varcare clan-destinamente il confine. I raccon-ti sono attinti dai corposi diari del Vigevani. Ricorrono fra gli amici i nomi del prof. Aurelio Candian, degli avv.ti Isi e Bazini, procura-tori negoziali del Vigevani quando questi era espatriato, tra i “salvati” quelli dell’Avv. Giacomo Ottolenghi e signora, dell’Avv. Dino Foà, tutti personaggi che ricorrono nel nostro ricordo diretto o riflesso nel tempo.Né manca il risalto alle figure femminili come la moglie Enrica dell’avv. Vigevani, delle due sorelle e della bambinaia Tina, e di Elena Riccardi, moglie di Pellegrino.Ricorrente l’illusione degli ebrei fino all’ultimo di non rimanere vit-time in Italia delle persecuzioni razziali, e della “espulsione” dalle scuole degli allievi ebrei senza una immediata consapevole reazione dei concittadini, proprio come in altre testimonianze.Pellegrino Riccardi era un “borghe-se” di campagna, di cultura solida e vivissima capacità mnemonica, ac-compagnate da modestia, arguzia, ritegno, insofferenza per riti e ceri-monie, e da una schiva fede catto-lica. Non si riuscì a convincerlo ad andare a Gerusalemme a piantare il suo albero nel giardino dei Giusti, nonostante l’insistenza dell’amba-sciatore israeliano. Nessuna me-raviglia: mi dicono che quando, Presidente della sezione penale del Tribunale di Parma, gli venne proposta la nomina a Presidente del

Tribunale, egli rispose: “C’la roba chi, la n’ m’intarésa miga”, in-tendendo che non gradiva formalità, celebrazioni ect. L’opera di Carlo Bocchialini “Pel-legrino Riccardi – un giusto tra le nazioni”- ed Guaraldi LAB Atelier 65 Ed, 2013, è in duplice lingua, italiana ed inglese, ed esce con il contributo dell’ordine degli avvo-cati di Parma e di Ius & Law, e il patrocinio della comunità ebraica di Parma.

Giacomo Voltattorni

I SEGNALI DEI LETTORI

Questa rubrica non si chiama “La Ripubblica”. Non pubblichiamo più volte interventi clonati, evitan-do anche di diffonderci con le stes-se repliche. Il lettore che torna su un tema archiviato potrà leggersi utilmente il libro che sopra abbia-mo commentato.

G. Volt.

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la restituzione della somma di una of-ferta reale che la controparte aveva re-spinto. Il professionista invitava quin-di espressamente il cliente a ritirare detta somma presso il proprio studio, unitamente a tutta la documentazione relativa agli incarichi conferitigli. Su esposto disciplinare del Cliente, che non ritirava quanto di sua spettanza, il Consiglio territoriale sanzionava il professionista, sospendendolo per mesi tre. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha accolto l’impu-gnazione e, conseguentemente, annul-lato la sanzione disciplinare).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Neri), sentenza del 10 aprile 2013, n. 54

Alle delibere dei COA si appli-ca il principio di conservazione del provvedimento amministra-tivo

All’attività, anche disciplinare, dei Consi-gli territoriali -la quale è ispirata al minor formalismo possibile- si applica il princi-pio di conservazione del provvedimento amministrativo (Nel caso di specie, l’in-colpato aveva impugnato la sanzione disciplinare, eccependo la nullità della decisione stessa per asserita irrego-larità della composizione dell’organo giudicante dal momento che ne aveva fatto parte un avvocato avverso la cui elezione era stato proposto ricorso. Il CNF, rilevata la mancanza di prova che, l’assenza del predetto avvocato ovvero la presenza di altro consigliere avrebbe determinato un esito differente del giudizio disciplinare, in applicazio-ne del principio di cui in massima ha respinto l’eccezione).Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Morlino), sentenza del 10 aprile 2013, n. 55

L’erronea indicazione della norma deontologica contestata

In presenza di contestazione disciplinare adeguatamente specifica quanto all’indi-cazione dei comportamenti addebitati, l’er-ronea od omessa indicazione delle precise norme deontologiche che si assumono vio-late non costituisce motivo di nullità della decisione (Nel caso di specie, l’incolpa-to aveva eccepito l’erroneità dell’ad-debito, asserendo che l’articolo 23 cdf contestatogli riguarda i rapporti tra difensori nel processo penale, mentre l’addebito contestatogli doveva a suo

Pluralità di addebiti ed unicità della sanzione

Qualora il Consiglio territoriale infligga distinte sanzioni per ciascuno degli ad-debiti, ove in sede di appello risulti con-fermata la responsabilità dell’incolpato, è facoltà del Consiglio Nazionale correggere la motivazione e procedere alla valutazio-ne complessiva delle condotte contestate ai fini della irrogazione dell’unica sanzio-ne ritenuta congrua (Nel caso di specie, il Consiglio territoriale infliggeva all’incolpa-to due distinte sanzioni, all’esito di altret-tanti procedimenti disciplinari, riuniti solo in sede di appello).

Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Picchioni), sentenza del 10 aprile 2013, n. 52

Non commette illecito disciplinare l’avvocato che, per strategia, non si presenta all’u-dienza penale

L’assenza ingiustificata del difensore di fi-ducia all’udienza penale non ha automatico rilievo deontologico (art. 38 cdf), atteso che tale condotta ben può essere dovuta ad una insindacabile strategia processuale, che peraltro non lascia privo di difesa il pro-prio assistito, stante la nomina del difenso-re d’ufficio ex art. 484 c.p.p. (Nel caso di specie, su segnalazione del magistrato, il COA locale aveva sanzionato il pro-fessionista per il solo fatto di non esser-si presentato all’udienza. In applica-zione del principio di cui in massima, il CNF, rilevato che detta assenza era stata concordata con il proprio assisti-to e nell’interesse di questi, ha accolto il ricorso ed annullato la sanzione).Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Ver-miglio, Rel. Neri), sentenza del 10 aprile 2013, n. 53

Mettere a disposizione (presso il proprio studio) le somme da restituire al cliente è sufficiente ad escludere l’illecito

Non commette illecito disciplinare ex art. 44 cdf l’avvocato che, anziché direttamente restituire al proprio cliente la somma spet-tantegli, si limiti a mettergliela a disposi-zione presso il proprio studio, affinché la possa ritirare unitamente alla documenta-zione della sua pratica (Nel caso di spe-cie, il cliente aveva chiesto all’avvocato G

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dire inquadrarsi nella previsione di cui all’art. 33 cdf).Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Morlino), sentenza del 10 aprile 2013, n. 55

L’avvocato che subentri al collega senza adoperarsi per il saldo commette un illecito per-manente (per il quale, finché perdura, non decorre prescri-zione)

Qualora la condotta ascritta al professio-nista abbia natura omissiva, il termine di prescrizione non inizia il suo decorso fin-ché non cessi la condotta incriminata, che nella specie assume i connotati della con-tinuità e della permanenza (Nella specie, il professionista subentrava al collega senza preoccuparsi di sapere se i suoi onorari fossero stati saldati o adope-rarsi per il loro pagamento, con ciò vio-lando l’art. 23 del codice deontologico).Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Morlino), sentenza del 10 aprile 2013, n. 55

L’obbligo di adoprarsi per il pagamento della parcella del collega non è escluso dalla conflittualità di questo con il cliente

I rapporti conflittuali tra il cliente ed il collega cui si sia subentrati non valgono di per sè ad escludere l’obbligo del nuovo difensore di avvertire il collega sostituito e di adoprarsi affinché il cliente soddisfi le sue richieste economiche, con onere della prova dell’assolvimento di tale obblighi a carico del professionista subentrante (Nel caso di specie, all’avvocato subentrato è stata inflitta la sanzione disciplinare della censura).Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Morlino), sentenza del 10 aprile 2013, n. 55

L’avvocato di fiducia che non si presenti all’udienza nella speranza di ottenere un termi-ne a difesa, vìola il dovere di diligenza

Sebbene l’assenza ingiustificata del difen-sore di fiducia all’udienza penale non ab-bia automatico rilievo deontologico se do-vuta a strategia difensiva (dilatoria) o stru-mentalmente omissiva, deve comunque af-

fermarsi la responsabilità disciplinare del difensore per negligenza professionale ove la strategia stessa fosse quella di ottenere un mero rinvio da parte del difensore d’uf-ficio nominato in sua sostituzione, giacché a quest’ultimo non è appunto consentito chiedere i termini a difesa ex art. 108 cpp, non ricorrendo i casi di rinuncia, ovvero di revoca, od ancora di incompatibilità, od in-fine di abbandono della difesa (Nel caso di specie, in applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha affermato la responsabilità sostanziale dell’incolpa-to per il mancato rispetto degli artt. 8 e 38 del cod. deont.)Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Ma-riani Marini, Rel. Merli), sentenza del 10 aprile 2013, n. 56

Il divieto di produzione in giudizio di missiva riservata o contenente proposta transattiva prevale sul dovere di difesa

L’art. 28 c.d.f. vieta di produrre in giudizio corrispondenza qualificata come riservata o comunque contenente proposte transatti-ve scambiate tra colleghi, esclusa qualsia-si valutazione da parte del destinatario del divieto circa una prevalenza dei doveri di verità o di difesa sul principio di affidabi-lità e lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processua-li della produzione vietata.Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Mariani Marini), sentenza del 10 aprile 2013, n. 58

Il divieto di produrre in giudi-zio la corrispondenza tra colle-ghi opera anche nei confronti del nuovo procuratore

Il professionista che subentri ad altro col-lega precedentemente officiato dal clien-te, deve osservare i medesimi criteri di riservatezza in ordine alla corrispondenza scambiata tra colleghi (art. 28 cdf) che gli venga consegnata dal precedente difensore o dal cliente stesso (Nel caso di specie, la missiva era assertivamente pervenuta all’avvocato dal cliente, che a sua volta la avrebbe irritualmente ricevuta dalla praticante del precedente difensore).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Mariani Marini), sentenza del 10 aprile 2013, n. 58

La cancellazione dall’albo dell’avvocato privo di residen-za o domicilio professionale nell’ambito della circoscrizione

Ai sensi degli artt. 31 e 37, comma 1 n. 3 del R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 (ra-tione temporis applicabili), la permanen-za dell’iscrizione nell’Albo degli avvocati è subordinata al mantenimento, da parte del professionista, del requisito della residen-za o del domicilio professionale nell’am-bito della circoscrizione di riferimento. A tale imprescindibile condictio facti cor-risponde lo specifico dovere dell’avvocato di comunicare al Consiglio dell’Ordine di appartenenza ogni successiva variazione dei suddetti luoghi (Nel caso di specie, il COA aveva disposto la cancellazione dall’albo degli avvocati del professioni-sta che era risultato senza residenza o domicilio professionale nell’ambito del-la circoscrizione di competenza).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Berruti), sentenza del 7 maggio 2013, n. 66

L’individuazione del domicilio professionale nel caso di più sedi dello Studio legale

Qualora il professionista si avvalga di più sedi, il domicilio va individuato tenuto conto della durata, della frequenza, della periodicità e della continuità delle presta-zioni professionali erogate, del numero dei clienti e del giro di affari realizzato.Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Berruti), sentenza del 7 maggio 2013, n. 66

La pubblicità “occulta” dell’av-vocato

La pubblicità informativa, essendo con-sentita nei limiti fissati dal Codice Deon-tologico Forense, deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica ma-nifestazione dell’avvocato ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clien-tela reale o potenziale (Nel caso di spe-cie, l’articolo -spacciato per intervista, peraltro rilasciata dietro contribuzione alle spese di pubblicazione- era in real-tà una pubblicità “occulta” in cui, an-che attraverso diverse fotografie, sem-plicemente si elogiavano la struttura, le competenze e le attività dello studio professionale).

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Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Berruti), sentenza del 7 maggio 2013, n. 72

L’arbitro non può successiva-mente difendere la parte in quello stesso giudizio

La funzione di arbitro, ancorché designa-to dalla parte, è improntata a principi di terzietà ed imparzialità, sicché non può essere consentito all’avvocato, che abbia in precedenza assunto la veste di arbitro, accettare la difesa di una delle parti, se non in violazione dei principi di trasparen-za, imparzialità, indipendenza e terzietà che sono a presidio della funzione defen-sionale, che trovano presidio nell’art. 37 del c.d. (Nel caso di specie, l’avvocato impugnava il suo stesso lodo nell’inte-resse della parte che lo aveva nominato arbitro. In applicazione del principio di cui in massima, al professionista è stata inflitta la sanzione disciplinare della censura).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Damascelli), sentenza del 7 maggio 2013, n. 73

L’emissione di assegno scoper-to o senza l’autorizzazione del trattario

Il professionista, che consapevolmente emetta un assegno senza l’autorizzazione del trattario e/o in difetto di provvista, pone in essere un comportamento deontologica-mente rilevante perché lesivo dei doveri di probità, dignità e decoro ex art. 5 cdf, che debbono essere rispettati dall’avvocato sempre, nell’esercizio ma anche al di fuori dell’attività professionale.Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Pisano), sentenza del 27 mag-gio 2013, n. 82

L’avvocato ha (tuttora) l’ob-bligo di riscontrare, seppur negativamente, la richiesta di chiarimenti rivoltagli dal COA

Ai sensi dell’art. 24 del codice deontolo-gico, l’avvocato non ha (più) l’obbligo di esporre i fatti e le giustificazioni, ovvero a fornire le proprie difese, ma è comunque tenuto al riscontro, ovvero a rispondere, seppur in forma negativa, all’invito di chia-rimenti rivoltogli, così non sottraendosi al dovere di collaborazione e a quello di ri-spetto dell’autorità.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Morlino), sentenza del 27 mag-gio 2013, n. 78

L’assenza del difensore all’u-dienza per concomitanti impe-gni professionali

Pone in essere un comportamento deon-tologicamente rilevante, poiché lesivo del dovere di correttezza e probità, l’avvoca-to che non partecipi ad udienza per altri concomitanti impegni professionali, senza garantire adeguata sostituzione, a nulla ri-levando ai fini della sussistenza dell’illeci-to che dal comportamento non sia derivato alcun pregiudizio per la parte assistita, la cui sussistenza costituirebbe aggravante e non certo elemento costitutivo dell’illecito.Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Morlino), sentenza del 27 mag-gio 2013, n. 78

La mancata preventiva au-dizione dell’interessato nel procedimento di cancellazione amministrativa dall’albo per incompatibilità

In tema di cancellazione dall’albo degli avvocati di natura amministrativa e non di-sciplinare (nella specie, in quanto dipen-dente pubblico part-time), deve ritenersi che la chiarissima, per quanto risalente, norma prevista dall’art. 37, comma 2, L.P., unitamente al successivo art. 45 (che pur si riferisce al procedimento disciplinare e non a quello della cancellazione dall’al-bo), debba essere interpretata alla luce dei principi costituzionali (artt. 3, 24 e 97 Cost.) e della legislazione ordinaria in materia di pubblicità e trasparenza del-la Pubblica Amministrazione (condensati nella legge n. 241 del 1990 e successive modifiche), posto che l’atto finale della cancellazione incide direttamente su posi-zioni soggettive, che trovano tutela anche nell’ordinamento costituzionale, quali il diritto al lavoro (art. 4 Cost.). Ne consegue che la cancellazione amministrativa non può essere disposta se non dopo aver sen-tito l’interessato nelle sue giustificazioni, il quale deve essere posto in condizione di conoscere le ragioni specifiche per cui è stato avviato il procedimento che lo ri-guarda, di apprestare le proprie difese e di illustrarle anche oralmente, mentre d’altra parte l’annullamento del provvedimento di cancellazione lascia impregiudicato l’eser-cizio dei poteri connessi alla tenuta degli albi affidati dalla legge professionale al Consiglio dell’ordine locale.

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Sa-lazar, rel. Del Paggio), sentenza del 7 mag-gio 2013, n. 67

Il procedimento amministrativo avanti al COA non ha un termi-ne massimo di durata (a pena di nullità)

Il procedimento amministrativo avanti al COA risulta regolato dalla normativa speci-fica di cui alla Legge Professionale, per cui ad esso non si applica l’art. 2 L. 241/1990 sulla durata del procedimento amministra-tivo, giacché la mancata previsione di un termine finale del procedimento discipli-nare è coessenziale al fatto che esso debba avere una durata sufficiente per consentire all’incolpato di sviluppare compiutamente la propria difesa, senza che possano sus-sistere dubbi sulla manifesta infondatezza della eccezione di incostituzionalità ex art. 3 Cost. del procedimento disciplinare fo-rense che non prevede un termine massimo di durata rispetto a quello accordato agli impiegati civili e militari per i quali l’azio-ne disciplinare è assoggettata a termine, pena l’estinzione; infatti, quest’ultima nor-mativa si ricollega a peculiari esigenze del rapporto di pubblico impiego non presenti nell’ambito dell’attività del libero profes-sionista (Nel caso di specie, il ricorren-te aveva eccepito la nullità della sua cancellazione amministrativa dall’albo per la mancata conclusione del relativo procedimento nel termine di 90 giorni. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha rigettato l’eccezio-ne).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Sa-lazar, rel. Del Paggio), sentenza del 7 mag-gio 2013, n. 67

Le informazioni sull’esercizio professionale

Il codice deontologico, anche a seguito del-la entrata in vigore delle norme che pre-vedono la possibilità di dare informazioni sull’attività professionale, non consente una pubblicità indiscriminata ed elogiati-va, intrinsecamente comparativa in quan-to diretta a porre in evidenza caratteri di primazia in seno alla categoria, perché in-compatibile con la dignità e il decoro della professione e, soprattutto, a tutela dell’af-fidamento della collettività (Nel caso di specie, in una pubblicazione a paga-mento allegata ad un quotidiano na-zionale, la “law firm” veniva rappre-sentata come una tra “i migliori studi professionali italiani”, con gli avvocati

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più prestigiosi della città, per qualità professionali, personali e sociali, non-ché per notorietà e importanza della clientela individuata in un’importante banca nazionale).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Mariani Marini), sentenza del 7 maggio 2013, n. 74

La pubblicità “occulta” dell’av-vocato

La pubblicità informativa, essendo con-sentita nei limiti fissati dal Codice Deon-tologico Forense, deve essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica ma-nifestazione dell’avvocato ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clien-tela reale o potenziale (Nel caso di spe-cie, l’articolo -spacciato per intervista, peraltro rilasciata dietro contribuzione alle spese di pubblicazione- era in real-tà una pubblicità “occulta” in cui, an-che attraverso diverse fotografie, sem-plicemente si elogiavano la struttura, le competenze e le attività dello studio professionale).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Mariani Marini), sentenza del 7 maggio 2013, n. 74

La mancata risposta alla richie-sta di chiarimenti da parte del COA

Alla luce del principio enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sen-tenza n. 4773 del 28 febbraio 2011, non costituisce (più) illecito disciplinare san-zionato dal secondo capoverso dell’art. 24 del codice deontologico forense la man-cata risposta dell’avvocato alla richiesta del Consiglio dell’ordine di chiarimenti, notizie, o adempimenti in relazione ad un esposto presentato, per fatti disciplinar-mente rilevanti, nei confronti dello stesso iscritto, rappresentando la mancata rispo-sta al Consiglio dell’ordine l’esercizio di legittimo diritto di difesa.Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Sa-lazar, rel. Picchioni), sentenza del 27 mag-gio 2013, n. 80

L’inadempimento al mandato per assenza all’udienza

In difetto di una strategia difensiva concor-data con il cliente, pone in essere un com-portamento deontologicamente rilevante ex

art. 38 cdf il difensore di fiducia che non partecipi all’udienza, a nulla rilevando, peraltro, l’eventuale assenza di concrete conseguenze negative per il proprio assi-stito giacché ciò non varrebbe a privare di disvalore il comportamento negligente del professionista (Nel caso di specie, il professionista, che aveva omesso di presenziare all’udienza di discussione all’esito della quale il suo assistito era stato condannato, si era difeso soste-nendo di aver proposto impugnazione ed in quella sede il giudice di appello avrebbe senz’altro dichiarato la pre-scrizione del reato. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione discipli-nare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la dura-ta di mesi due).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Morlino), sentenza del 27 mag-gio 2013, n. 79

Sulla condotta “irreprensibile” (già “specchiatissima e illiba-ta”) necessaria per l’iscrizione all’albo avvocati e registro pra-ticanti

La condotta “irreprensibile” non è solo quella professionaleLa formula della “condotta specchiatissi-ma e illibata” (Legge Prof. n. 1578/1933) è stata sostituita dalla “condotta irrepren-sibile” (nuovo Ordinamento Forense, L. 31 dicembre 2012, n. 247), che tuttavia non modifica il contenuto sostanziale del re-quisito, dovendosi la irreprensibilità della condotta valutare alla stregua del codice deontologico forense.In sede di valutazione del requisito sog-gettivo della condotta irreprensibile (già, specchiatissima ed illibata) ai fini della iscrizione all’Albo degli Avvocati, la pre-sunzione di non colpevolezza sino alla con-danna definitiva non osta a che vengano va-lutati negativamente comportamenti tali da far dubitare, comunque, dell’affidabilità e dei requisiti attitudinali per lo svolgimento della professione forense, a nulla rilevando peraltro che i comportamenti contestati in sede penale riguardino fatti non rientranti nell’attività professionale forense, giacché il requisito in parola si estende all’intero stile di vita dell’aspirante all’iscrizione nel registro dei praticanti avvocati. (Nel caso di specie, il COA aveva respinto l’istanza di iscrizione nel registro dei praticanti presentata da soggetto nei cui confronti pendeva procedimento penale con 59 capi di imputazione).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Salazar), sentenza del 9 maggio 2013, n. 75

Le espressioni sconvenienti od offensive non sono scriminate dalla provocazione altrui

L’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione, con la dignità e con il de-coro imposti dalla funzione che l’avvocatu-ra svolge nella giurisdizione (art. 5 c.d.f.) e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive (art. 20 c.d.f.), la cui rilevanza deontologica non è peraltro esclusa dalla provocazione al-trui, né dallo stato d’ira o d’agitazione che da questa dovesse derivare (Nel caso di specie, il difensore dell’imputato, subi-to dopo la lettura della sentenza di con-danna del suo assistito, alla presenza di più persone esclamava ad alta voce: “Vergogna! Vergogna! Ho visto il Pub-blico Ministero parlare con l’avvocato di parte civile… abbiamo le foto!”).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Mariani Marini), sentenza del 27 mag-gio 2013, n. 85

L’introduzione in giudizio di prove false

Contravviene ai doveri di lealtà, correttez-za e verità (artt. 6 e 14 cdf) l’avvocato che introduca intenzionalmente nel processo prove false (Nel caso di specie, all’in-colpato veniva contestato di aver ot-tenuto dal Giudice di Pace un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo sulla scorta di “una falsa attestazione di debito” sottoscritta con la firma di un ex cliente moroso, che nel corso del giudizio di opposizione il CTU aveva dichiarato apocrifa. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disci-plinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la dura-ta di mesi due).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Per-fetti, rel. Borsacchi), sentenza del 6 giugno 2013, n. 87

L’accaparramento di clientela attraverso internet: l’offerta di prestazioni professionali ad un costo simbolico

Costituisce illecito disciplinare l’informa-zione, diffusa anche attraverso siti internet, fondata sull’offerta di prestazioni profes-sionali gratuite ovvero a prezzi simbolici o comunque contenuti e bassamente com-

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merciali, in quanto volta a suggestionare il cliente sul piano emozionale, con un messaggio di natura meramente commer-ciale ed esclusivamente caratterizzato da evidenti sottolineature del dato economico (Nel caso di specie, dopo aver elogiato -anche comparativamente- le qualità del proprio studio, l’avvocato offriva le proprie prestazioni professionali ad un “costo poco più che simbolico”. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare della sospen-sione dall’attività professionale per mesi due).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Picchioni), sentenza del 6 giu-gno 2013, n. 89

La riserva di maggiorare l’im-porto della parcella in caso di mancato spontaneo pagamento

In caso di mancato spontaneo pagamento da parte del cliente, l’avvocato può richie-dere un compenso maggiore di quello pre-viamente indicatogli solo ove ne abbia fatto espressa riserva, la quale, per poter valere come tale, deve contenere la specifica pre-visione di una maggiorazione dell’importo in mancanza di tempestivo integrale paga-mento della somma richiesta (Nel caso di specie, la prima parcella riportava la frase “solo dopo il pagamento del sal-do, mi riterrò soddisfatta di tutte le mie competenze e nulla avrò più a preten-dere in relazione alle pratiche in ogget-to”. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto che tale precisazione non costituisse espressa riserva ex art. 43 cdf).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Tacchini), sentenza del 8 giu-gno 2013, n. 94

La consegna dei documenti all’avvocato subentrato nella difesa

L’avvocato deve fornire al collega che lo abbia sostituito nella difesa tutta la docu-mentazione del proprio fascicolo di studio e non solo quella che egli unilateralmente ritenga strettamente necessaria per la pro-secuzione della difesa; la violazione di det-to obbligo costituisce illecito disciplinare, quand’anche non abbia prodotto danni per l’assistito.Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Tacchini), sentenza del 8 giu-gno 2013, n. 94

Sanzione disciplinare e assenza di precedenti comportamenti deontologicamente rilevanti

Nella determinazione in concreto della sanzione disciplinare da comminare all’in-colpato, possono venire in rilevo la man-canza di suoi precedenti disciplinari, la rimediabilità delle conseguenze del suo comportamento e il fatto che abbia tenuto un comportamento corretto nel corso del procedimento disciplinare (Nel caso di specie, l’avvocato era stato sanzionato dal COA con la sanzione della sospen-sione dall’esercizio della professione per mesi quattro per aver volontaria-mente danneggiato con uno strumento acuminato la fiancata dell’autovettu-ra di un collega. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ridotto la durata della sospensione a mesi due).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Picchioni), sentenza del 8 giugno 2013, n. 95

L’avvocato amministratore di sostegno non ha come clienti i parenti del beneficiario

Poiché l’amministratore di sostegno riceve incarico dal giudice tutelare e, peraltro, con esclusivo riguardo alla cura ed agli in-teressi della persona del beneficiario (art. 408 c.c.), ove tale munus sia ricoperto da un avvocato, nei confronti dei familiari del beneficiario stesso non trovano applicazio-ne gli obblighi ed i divieti previsti a tutela dei clienti, giacché il ruolo, i compiti e le funzioni dell’amministratore di sostegno possono appunto essere anche confliggenti con quelli dei predetti familiari (Nel caso di specie, il professionista era stato sanzionato dal COA di appartenenza per una presunta violazione dell’art. 51 cdf, avendo egli agito, peraltro in asserito conflitto di interessi, mediante ricorso per separazione personale nei confronti della moglie del beneficiario, la quale aveva in precedenza espresso il proprio consenso alla sua nomina come amministratore di sostegno del marito. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha accolto il ricorso ed annullato quindi la sanzione disciplinare).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Neri), sentenza del 17 luglio 2013, n. 102

Il ritardo (innocuo) nel depo-sito del rendiconto da parte dell’avvocato amministratore di sostegno

Non costituisce di per sè illecito disci-plinare il tardivo deposito del rendiconto da parte dell’avvocato nella sua veste di amministratore di sostegno, stante la na-tura ordinatoria e non perentoria di detto termine, specie ove il ritardo stesso non abbia prodotto danno ed appaia comunque giustificato da circostanze oggettivamente valutabili (Nella specie, il ritardo non aveva provocato alcun danno all’am-ministrato ed era comunque dipeso dal-la gravidanza dell’avvocato).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Neri), sentenza del 17 luglio 2013, n. 102

La restituzione di documenti al cliente mediante deposito pres-so il COA

L’obbligo dell’avvocato di restituire senza ritardo alla parte assistita la documentazio-ne dalla stessa ricevuta per l’espletamento del mandato quando questa ne faccia ri-chiesta non è assolto mediante il deposito della documentazione stessa presso la sede dell’Ordine degli Avvocati affinché provve-da alla riconsegna (nella specie, effettiva-mente avvenuta).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Ver-miglio, rel. Neri), sentenza del 17 luglio 2013, n. 100

Azioni contro la parte assistita per il pagamento del compenso

L’illecito disciplinare di cui all’art. 46 CDF si configura ogni qualvolta l’avvocato in-tenti un’azione giudiziaria contro il proprio cliente senza aver preventivamente rinun-ciato al mandato alle liti, e quindi senza aver evitato, con l’unico mezzo possibile, qualsiasi situazione d’incompatibilità esi-stente tra mandato professionale e con-temporanea pendenza della lite promossa contro il proprio assistito (Nel caso di spe-cie, il professionista aveva iniziato un giudizio volto ad ottenere il pagamento di prestazioni professionali contro una parte per la quale stava patrocinando, avendone ricevuto il mandato, altro giudizio in grado di appello. In appli-cazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione disciplinare dell’avvertimento).

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Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Per-fetti, rel. Pasqualin), sentenza del 18 luglio 2013, n. 112

La mancata comunicazione all’incolpato dell’avvio del sub-procedimento cautelare

In tema di procedimento disciplinare, com-promette il diritto di difesa dell’incolpato ed è pertanto nulla la delibera di sospen-sione cautelare adottata dal COA in assen-za di previa convocazione dell’incolpato idonea a fargli chiaramente comprendere che, oltre all’apertura del procedimento disciplinare nei suoi confronti, la sua con-dotta è anche valutata ai fini dell’adozione della misura cautelare della sospensione dall’esercizio della professione forense (Nel caso di specie, la comunicazione del COA ex art. 47 R.D. n. 37/1934 conteneva l’inciso “con riserva degli atti ulteriori”, che, in applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto insufficiente a ricomprendere l’informativa all’incolpato circa il sub-procedimento cautelare).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Broccardo), sentenza del 18 luglio 2013, n. 110

La delibera del COA che dispo-ne l’apertura del procedimento disciplinare non è impugnabile al CNF

La deliberazione dei COA territoriali che dispone l’apertura del procedimento disci-plinare non è immediatamente impugna-bile innanzi al CNF, attesa la sua natura di atto endoprocedimentale, inidoneo -in quanto tale- ad incidere su alcuna situazio-ne giuridica soggettiva dell’iscritto e quindi non riconducibile all’elenco tassativo degli atti scrutinabili dal Consiglio Nazionale in materia disciplinare, ovverosia le sole de-cisioni di chiusura dei procedimenti.Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Neri), sentenza del 19 luglio 2013, n. 114nota:In senso conforme, numerose sentenze del Consiglio Nazionale Forense oltre a Cass. civ., Sez. Unite, 22 dicembre 2011, n. 28335 (che ha così superato il proprio precedente orientamento, espresso da sent. n. 29294/2008). Infine, Corte di cassazione – Sezioni unite civili – Sentenza 5 luglio 2013 n. 16884, dopo aver confermato che la delibera de qua non è impugnabile da-vanti al CNF, ha altresì aggiunto che -seb-bene si tratti di atto amministrativo- non è

impugnabile neppure davanti al TAR.

Procedimento disciplinare e principio del favor rei

Pur nella consapevolezza dei costanti ar-resti giurisprudenziali, che più volte han-no affermato che nel procedimento disci-plinare, riguardando materia di infrazioni non penali, il principio di legalità non si applica alle sanzioni disciplinari, deve in-vero ritenersi che l’indubbia natura afflitti-va della sanzione disciplinare può indurre all’applicazione del principio generale del favor rei, in considerazione della rifles-sione che la retroattività della legge abro-gatrice troverebbe giustificazione in una primaria esigenza di parità sostanziale, costituzionalmente garantita.Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Per-fetti, rel. De Giorgi), sentenza del 18 luglio 2013, n. 113nota: In senso conforme, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Pasqua-lin), sentenza del 15 ottobre 2012, n. 152; Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Per-fetti, rel. Borsacchi), sentenza del 27 otto-bre 2008, n. 127.Il principio di cui in massima pare tro-vare ora espresso conforto nell’art. 65, co. 5, Nuova Legge Professionale (L. n. 247/2012), secondo cui “Le norme conte-nute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato”.

L’iniziativa giudiziale non cor-rispondente ad effettive ragioni di tutela del cliente

Le iniziative giudiziali (ivi compresa, estensivamente, la notificazione di un precetto) da proporre nei confronti della controparte devono corrispondere a effet-tive ragioni di tutela del proprio cliente e non devono essere inutilmente vessatorie, sicché integra illecito disciplinare la con-dotta del professionista che, ottenuto il pa-gamento della somma in forza di un titolo esecutivo, abbia nuovamente azionato un diverso titolo avente ad oggetto il medesi-mo credito (Nel caso di specie, il profes-sionista aveva agito in forza di un’ordi-nanza ex art. 186 bis cpc nonché della successiva sentenza definitiva, otte-nendo così due volte il pagamento per via coattiva dello stesso importo, e ciò, a suo dire, per una sorta di “giustizia sostanziale”, ossia ritenendo di far ot-tenere in tal modo al proprio cliente sì

una somma maggiore di quella statuita in sentenza ma comunque ancora non sufficiente rispetto alle originarie do-mande giudiziali. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha ritenuto congrua la sanzione discipli-nare della censura).Consiglio Nazionale Forense (pres. Alpa, rel. Pisano), sentenza del 19 luglio 2013, n. 117

La valutazione della condotta “irreprensibile” (già “specchia-tissima e illibata”) nel caso di condanna penale

La valutazione del requisito della condot-ta irreprensibile (già, specchiatissima ed illibata), necessario ai fini della iscrizione all’albo avvocati e al registro dei praticanti, va compiuta dal C.O.A. in modo autonomo ed indipendente anche dall’esito dell’e-ventuale procedimento penale che può aver coinvolto l’interessato, la cui condan-na penale non comporta pertanto un’au-tomatica inibizione dell’iscrizione, specie se relativa ad una condotta occasionale e risalente nel tempo, che non appaia ragio-nevolmente suscettibile di incidere attual-mente sulla affidabilità del soggetto che aspira a svolgere il delicato ruolo attribuito dall’ordinamento al professionista forense, e ciò, anche in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata (art. 27 co. 2 Cost.) dell’ordinamento professionale (art. 17 L. n. 247/2012, già art. 17 R.D.L. n. 1578/33), poiché risulterebbe vessatorio privare il soggetto richiedente della possi-bilità di dimostrare, nel corso della pratica forense, che egli è in possesso delle qualità necessarie per esercitare onorevolmente la professione (Nel caso di specie, il Procu-ratore Generale della Repubblica im-pugnava la delibera del 2012 del COA di iscrizione nel Registro speciale dei praticanti Avvocati senza patrocinio di soggetto condannato con sentenza del 2003, patteggiata ai sensi dell’art. 444 e ss. c.p.p., per i reati di cui all’art. 337 e 582 c.p., deducendo la carenza in capo all’iscritto del necessario requi-sito della condotta specchiatissima ed illibata, ora irreprensibile. In applica-zione del principio di cui in massima, il CNF ha rigettato il ricorso).Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Per-fetti, rel. Allorio), sentenza del 20 luglio 2013, n. 125

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UNA INTERESSANTE OR-DINANZA DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE DOTT. FERRETTI AVANTI IL IL TRIBUNALE DI PARMA del 20/05/2013, SUL PIGNORA-MENTO DELLA QUOTA SO-CIALE.

(Analisi della problematica, nel codice civile, nel codice di pro-cedura civile, nella dottrina, nella giurisprudenza)

IMPLICAZIONI PRATICHE E PRASSI CONSEGUENTE.

SOMMARIO:

1. L’art. 2471 cc nell’attuale formu-lazione e storia delle sue modifiche. La possibilità di espropriare una quota so-ciale. Difficoltà interpretative. Analisi del primo comma

2. L’analisi della sentenza n. 209/2013 del Tribunale di Udine.

3. Art 2471 cc, secondo comma: one-re di notificare l’ordinanza che dispone la vendita. Il terzo ed il quarto comma.

4. Analisi del caso concreto ed or-dinanza del 20/05/2013 dott. Ferretti, Tribunale di Parma. La nascita di un procedimento espropriativo ad hoc e sue conseguenze.

1. L’art. 2471 cc nell’attuale formulazione e storia delle sue modifi-che. La possibilità di espropriare una quota sociale. Difficoltà interpretati-ve. Analisi del primo comma.

L’esecuzione dell’espropriazione di quota sociale di srl è disciplinata dall’art 2471 cc che nella nuova formulazione licita:

“La partecipazione può formare oggetto di espropriazione. Il pignora-mento si esegue mediante notificazione al debitore ed alla società e successiva iscrizione nel Registro delle Imprese.

L’ordinanza del giudice che dispone la vendita della partecipazione deve essere notificata alla società a cura del creditore.

Se la partecipazione non è libera-mente trasferibile e il creditore, il debi-tore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita

ha luogo all’incanto; ma la vendita è priva di effetto se, entro dieci dall’ag-giudicazione, la società presenta un al-tro acquirente che offre lo stesso prez-zo.

Le disposizioni del comma prece-dente si applicano anche in caso di fal-limento di un socio.”

La semplice lettura lascia aperte una serie di problematiche per quanto concer-ne le modalità di messa in esecuzione della procedura espropriativa.

Tale articolo ha subito modifiche con la riforma del diritto societario del 2003 e più recentemente con la L 2/2009 che ha soppresso il libro soci e quindi l’obbligo dell’annotazione del sequestro della quota.

Non si ravvisa alcun richiamo alla pro-cedura in concreto da applicare.

Anche a voler ragionare in favore del presso terzi, nell’articolo non è dato trova-re alcun sostegno letterale che implichi la necessità di intimare alla società la com-parizione ad apposita udienza per rendere le dichiarazioni previste dall’art 547 cpc, anche se in passato tale procedura è stata quella sempre utilizzata in cagione della previsione della necessità della notifica sia al debitore esecutato sia alla società par-tecipata.

Per quanto concerne l’iscrizione nel Registro delle Imprese, il legislatore non specifica neppure se l’incombenza deve essere curata, così come nel pignoramen-to immobiliare, dall’Ufficiale Giudiziario, salva la possibilità per il creditore proce-dente di provvedervi da sè, ovvero dal cre-ditore procedente in analogia al processo esecutivo mobiliare laddove ad esempio si proceda nei confronti di mezzi iscritti al PRA.

Il pignoramento presso terzi prevede espressamente la necessità dell’udienza di comparizione del terzo, e su questa base appare più che lecito domandarsi se, stan-do così le cose, il pignoramento di quota di srl, debba essere effettuato o meno uti-lizzando tale istituto e per le ragioni che verranno esposte si è data risposta negativa al quesito.

2. L’analisi della sentenza n. 209/2013 del Tribunale di Udine.

Nell’ottica di un approccio critico oc-corre preliminarmente chiedersi quale si-gnificato abbia la previsione nel medesimo articolo della necessità della notifica del G

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pignoramento alla società.

La soluzione che è stata data in giuri-sprudenza, (successivamente alla modi-fiche legislative del 2003 e del 2009), a tale prescrizione consiste nell’attribuirle lo scopo di rendere opponibile il vincolo pignoratizio e di ottenerne la collabora-zione dell’amministratore. (Così Senten-za Tribunale di Udine n. 209/2013 del 18/02/2013).

Tale sentenza ha per così dire segna-to un punto di svolta e si pone alla base dell’ordinanza che qui si intende commen-tare.

Ritengo quindi corretto fare prima una breve analisi della suddetta.

Nella parte motiva partendo proprio dall’esame testuale dell’art 2471 cc il GU dottoressa Chiriacò, assume che poiché tale articolo non prevede “l’onere di citare la società ex art 543 comma II n. 4 cpc, fissando all’uopo un’apposita udienza nel-la quale agli amministratori sia permesso rendere le dichiarazioni di cui all’art 457 cpc, porta ad escludere che il pignoramen-to di quote di società a responsabilità li-mitata debba essere effettuato nelle forme del pignoramento presso terzi. Deve quin-di considerarsi definitivamente superato l’orientamento, formatosi nel vigore della precedente disposizione normativa, secon-do cui il pignoramento di quota dovesse av-venire nelle forme del pignoramento presso terzi”.

Prosegue poi sempre la suddetta sen-tenza con l’analisi testuale arrivando a spiegare la notifica alla società come “esi-genza di rendere opponibile alla società il vincolo (posto che il pignoramento cade su un bene che non è solo cespite patrimo-niale del singolo socio ma anche frazione del capitale sociale e misura della parte-cipazione alla vita della società) e ad otte-nere una forma di collaborazione da parte dell’amministratore”.

Così motivando viene meno quindi l’e-sigenza di far comparire il legale rappre-sentante e la relativa necessità di fissare un’udienza all’uopo preposta, tanto più che “la società è si terzo ma non è né possesso-re né debitor debitoris” conseguentemen-te non si ravvisa la necessità della intima-zione di non disporre del bene senza ordine del giudice, tipica del presso terzi.

Questa sentenza rappresenta un im-portante punto di svolta nonché di par-tenza sia per la risposta che fornisce sia perché è stata emessa in un giudizio di opposizione agli atti esecutivi laddove il

debitore chiedeva che venisse accertata e dichiarata la nullità, l’illegittimità e/o inef-ficacia dell’atto di pignoramento di quote sociali per mancato utilizzo della procedu-ra del presso terzi, in particolare per l’o-messa citazione dei terzi a comparire per rendere la dichiarazione ex art 547 cpc, e nel mio caso ha rappresentato le basi per arrivare alla ordinanza che qui si intende commentare.

3. Art 2471 cc, secondo com-ma: onere di notificare l’ordinanza che dispone la vendita. Il terzo ed il quarto comma.

L’aver escluso la procedura del presso terzi risolve solo in senso negativo il pro-blema ma non indica in concreto come l’e-spropriazione della quota sociale di una srl debba essere espletata.

Il secondo comma dell’art 2471 cc, prevede che l’ordinanza che dispone la vendita da parte del GE debba essere noti-ficata alla società a cura del creditore pro-cedente.

Se ne desume quindi che dal momento della notifica al debitore esecutato dell’atto di pignoramento della quota decorra il ter-mine di novanta giorni di cui all’art. 497 cc per formulare l’istanza di vendita e che, da questo punto di vista, la fase finale del pignoramento della quota di Srl, torni nel solco della procedura espropriativa mobi-liare presso il debitore con conseguente applicabilità degli artt. 534 e ss del cpc, con una significativa peculiarità.

Il penultimo comma dell’art. 2471 cc stabilisce infine che se la partecipazione non è liberamente trasferibile e il credito-re, il debitore e la società non si accordano sulla vendita della quota stessa, la vendita ha luogo all’incanto; ma la vendita è priva di effetto se entro dieci giorni dall’aggiudi-cazione, la società presenta un altro acqui-rente che offra lo stesso prezzo.

L’ultimo comma dispone l’applicazione del comma precedente anche al caso in cui vi sia il fallimento del socio.

4. Analisi del caso concreto ed ordinanza del 20/05/2013 dott. Fer-retti, Tribunale di Parma. La nascita di un procedimento espropriativo ad hoc e sue conseguenze.

Su queste considerazioni ho ritenuto di costituirmi in una espropriazione di quota di srl instaurata tramite la procedura di pi-

gnoramento presso terzi in danno di un mio cliente e di presentare istanza ex art 497 cpc volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del pignoramento, ottenendone l’ordinanza che qui si intende commentare.

Nella mia istanza, costituendomi per il debitore principale (socio proprietario della quota sociale pignorata), osservando che la procedura era stata instaurata come un presso terzi, che era stato trascritto il pignoramento sulla quota sociale con an-notazione nel Registro delle Imprese, ma che da tale data erano inutilmente decorsi i 90 giorni per depositare istanza di vendita, ho chiesto che venisse dichiarata l’i-nefficacia del pignoramento e la con-seguente estinzione della procedura esecutiva, con l’ordine di cancellazio-ne della trascrizione del pignoramen-to nel Registro delle Imprese a spese del creditore procedente.

Il giudice riservatosi all’udienza ha emesso l’ordinanza che qui si commenta.

Il dottor Ferretti esplicita chiaramen-te che l’art 2471 cc nel disciplinare che “l’espropriazione deve essere eseguita mediante notificazione al debitore e alla società e con l’iscrizione nel Registro del-le Imprese” allo stesso modo rileva come suddetto “articolo non rinvia in modo spe-cifico ad una delle procedure espropriative disciplinate nel codice di procedura civile, per cui è sostanzialmente dubbia l’appli-cabilità della procedura mobiliare presso il debitore, che ha ad oggetto crediti del debitore o beni mobili del debitore in pos-sesso di terzi”.

Ripercorre poi gli orientamenti giuri-sprudenziali (in ultimo Cass. 22361/2009 ed altre) che porta alla definizione della quota sociale come bene immateriale, sen-za però risolvere se tale bene mobile sia da considerarsi presso terzi o presso il de-bitore al fine di individuare la procedura espropriativa applicabile.

Analizza quindi la dottrina (cita Bru-netti, Rivolta, Graziani, Andrioli ed altri), nel suo storico divenire che in passato conformemente alla giurisprudenza (Cass 859/57 fino a Cass. 2926/97 ed altre) era orientata verso l’applicazione del presso terzi.

Giustifica tale orientamento passato con il ragionamento per esclusione.

Anche considerando la quota sociale un bene immateriale, l’applicazione della procedura espropriativa presso terzi trae la sua ragione d’essere dal considerare inapplicabile la procedura mobiliare pres-

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so il debitore a cagione dell’inesistenza di una cosa materiale da apprendere e nel contempo parimenti inapplicabile quella immobiliare prevista espressamente per i beni immobili, sussistendo tuttavia la ne-cessità di collaborazione degli organi so-ciali.

Partendo da queste premesse, il dottor Ferretti, pur rilevando come nel caso di specie la procedura ex art 543 e ss cpc sia tuttora seguita in alcuni Tribunali, assume che tale prassi non tiene contro delle nuo-ve disposizioni contenute nell’art 2471 cc introdotte con la riforma del 2003: la mera notifica al debitore ed alla società dell’atto di pignoramento e la successiva iscrizione nel Registro delle Imprese.

Assume il giudice che tale articolo “nonostante la mancanza di un riferimen-to espresso ad una delle procedure espro-priative previste dal codice di procedura, la nuova disciplina comunque esplicita le modalità per dare corso all’espropriazione delle quote di srl, mostrando di voler privi-legiare il creditore pignorante imponendo un regime pubblicitario con efficacia erga omnes”.

Interessante notare l’ampio excursus sia dottrinario che giurisprudenziale citato, così come il rilievo che foriera della nuova prassi è soprattutto la giurisprudenza (Trib. Parma 2005, Trib. Bologna 2004 ed altri), che ha scardinato con le sue pronunce la posizione di scacco con la quale la dottrina faceva vincere il presso terzi.

Le principali critiche prendono le mosse dalle funzioni che assume la noti-fica alla società: sicuramente informativa di un evento che produce effetti indiret-ti anche sulla società stessa, è parimenti funzionale a rendere operante anche nei confronti della stessa il vincolo del pignoramento, ma non le attribuisce lo scopo di consentire alla società stessa di rendere la dichiarazione in udienza tipica dell’espropriazione presso terzi.

Fatta questa analisi il giudice si è espresso “in favore di un procedimento ese-cutivo ad hoc, del tutto nuovo ed estraneo rispetto allo schema dell’espropriazione presso terzi, da svolgersi mediante notifica al debitore ed alla società di un atto com-plesso e sua successiva iscrizione nel Re-gistro delle Imprese, senza dover invitare la società a rendere la dichiarazione di cui all’art 547cpc e tanto meno instaurare l’e-ventuale giudizio di accertamento dell’ob-bligo del terzo.” Il dott. Ferretti chiarisce poi (conformemente alla giurisprudenza ci-tata) facendo sua la tesi di cui alla sentenza

del Tribunale di Udine n. 209/13 (che ha sancito il valore della notifica alla società e di cui si è dato ampio commento al se-condo paragrafo), che “anche l’elemento che potrebbe accumunare al pignoramento presso terzi il pignoramento di quote –cioè la notifica alla società- si giustifica con la sola esigenza di consentire l’immediata an-notazione del pignoramento nel medesimo libro soci”.

Questa ordinanza però va oltre alla Sentenza del Tribunale di Udine in quanto chiarisce in maniera definitiva l’intero iter che il pignoramento di quote sociali deve avere.

Una volta assunto che la notifica va fat-ta al debitore ed alla società e che l’atto di pignoramento va trascritto al Registro delle Imprese (con un iter quindi simile al presso terzi), assume il giudice che “dal momento che però, visto che l’art. 2471 cc prevede che l’ordinanza che dispone la vendita da parte del GE debba essere notificata alla società a cura del creditore procedente, se ne desume che, dal momento della notifica al debitore esecutato dell’atto di pignora-mento della quota decorra il termine di 90 giorni di cui all’art 497 cpc per formulare l’istanza di vendita e che, da questo pun-to di vista, la fase finale del pignoramen-to della quota di srl, torni nel solco della procedura espropriativa mobiliare presso il debitore con conseguente applicabilità degli art 534 e ss del cpc.”

Nel caso in esame, il creditore aveva ritenuto pienamente vigente la procedura presso terzi, aveva notificato e trascritto avanti il Registro delle Imprese, ma non aveva depositato istanza di vendita nel ter-mine di 90 giorni successivi alla notifica, e tale termine era inutilmente decorso a ca-gione, a dire il vero, non solo dell’erronea e scusabile interpretazione sulla correttezza del rito utilizzato ma anche del fatto che le udienze per la dichiarazione del terzo era-no fissate a distanza di mesi.

In conseguenza di tale mancata istanza, ed in accoglimento della istanza proposta dal debitore il giudice della esecuzione, “visto l’art 630 cpc” ha dichiarato “l’i-nefficacia del pignoramento e l’estinzione della procedura, con ordine di cancellazio-ne della trascrizione del pignoramento nel Registro delle Imprese a spese del credito-re procedente”.

Riassumendo quindi dall’esame con-giunto della sentenza del Tribunale di Udine (emessa in una causa di opposizione agli atti esecutivi) e dell’ordinanza emes-sa avanti il GE del Tribunale di Parma, si

assiste alla nascita di un procedimento espropriativo ad hoc per quanto con-cerne il pignoramento della quota so-ciale di srl che nella prima fase si rea-lizza (similmente al presso terzi) con la notifica sia al debitore che alla società di un atto di pignoramento, senza che vi sia però alcun obbligo di dichiara-zione e tanto meno la fissazione di una udienza a tale scopo, e con la trascri-zione del pignoramento presso il Regi-stro delle Imprese.

Dalla notifica al debitore, il credito-re deve nel termini di 90 giorni deposi-tare istanza di vendita (similmente alla procedura di espropriazione mobiliare presso il debitore) e successivamente provvedere alla notifica dell’ordinanza che ne dispone la vendita alla società stessa.

Si auspica che questa modalità così de-terminata, a parere della scrivente ampia-mente e correttamente motivata in punto di diritto e sostenuta dalla giurisprudenza di merito, segua il suo iter ed incardini defini-tivamente la procedura espropriativa della quota sociale dando certezza non solo del diritto ma anche delle modalità di attuazio-ne dello stesso.

Si segnala che sia l’ordinanza suddetta che le massime tratte sono state pubblicate su www.ilcaso.it ove è agevole trovare an-che la sentenza di Udine qui citata.

Isabella Grassi

INFORTUNIO SUL LAVO-RO – LESIONI – CONCOR-RENTE COMPORTAMENTO IMPRUDENTE DELLA VIT-TIMA E DELL’INVESTITORE – RILEVANZA DELLA CON-DOTTA DEL LAVORATORE NELL’ACCERTAMENTO DEL-LE RESPONSABILITÀ PER L’INFORTUNIO – COMPOR-TAMENTO “ABNORME” DEL LAVORATORE – RESPONSA-BILITÀ DEL DIRETTORE ED ADDETTO AL SERVIZIO DI SICUREZZA PER OMESSA VI-GILANZA – ESCLUSIONE

Il caso riguarda un’ipotesi di infortunio sul lavoro ove un’operaia – da un ventennio alle dipendenze di una società di lavora-zione del pomodoro – allontanatasi mo-mentaneamente dalla propria postazione di lavoro, nel far ritorno alla stessa veniva intercettata sul fianco e fatta cadere a terra da un muletto condotto da un operatore.

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L’istruttoria dibattimentale, incentrata sulla verifica dell’esistenza o meno di una condotta omissiva da parte del direttore ed addetto al servizio di sicurezza allo stabi-limento atta ad affermare ovvero ad esclu-derne un concorso di colpa quale concausa dell’evento, dava atto di una conclamata estraneità al fatto dell’imputato.

Dalle risultanze istruttorie emergeva, infatti, da un lato una assidua ed esauriente formazione dei lavoratori protagonisti della vicenda circa i percorsi da tenere durante lo svolgimento dei propri compiti; una com-piuta formazione e documentazione circa i pericoli conseguenti alla trasgressione ai dettami ricevuti nonché una precisa e pun-tuale segnalazione sulla pavimentazione dei percorsi obbligati da tenere onde scon-giurare ipotesi di scontro e, dall’altro lato, una pacifica condotta imprudente sia della vittima che del conduttore il carrello ele-vatore i quali, ognuno per la propria parte, avevano agito disattendendo le prescrizioni loro dettagliatamente impartite per ragioni di incolumità personale.

In parte motiva il Giudicante, al fine di dare compiutamente atto della propria adesione alla tesi di estraneità dell’impu-tato alla condotta incriminata, si sofferma in particolar modo sulla problematica re-lativa alla responsabilità del lavoratore in relazione a quella del datore di lavoro e, più specificatamente, sulla rilevanza del-la specifica condotta tenuta dal lavorato-re nell’accertamento delle responsabilità per l’infortunio occorso al medesimo nello svolgimento dell’attività lavorativa.

In particolare, dopo un accurato excur-sus sull’evoluzione normativa in materia di infortuni sul lavoro (cui è corrisposto un analogo ed approfondito excursus giu-risprudenziale caratterizzato da un conti-nuo divenire in linea con il modificarsi dei modelli di tutela del lavoratore succedutisi nel tempo), il Giudice si è infine sofferma-to sui pregi e le innovazioni apportate in subiecta materia dal Testo Unico della sicurezza (d.lgs. 9 aprile 2008, n.81) e sul-le relative pronunce giurisprudenziali che hanno via via circoscritto e ridimensionato – incanalandola entro confini più precisi – l’eventuale responsabilità del datore di lavoro.

Se, infatti, l’originario sistema di tutela del lavoratore era interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro rispetto al quale era previsto un obbligo di garanzia (derivante dall’art. 2087 c.c.) talmente am-pio da essere teso ad impedire qualunque evento prodottosi in danno del lavoratore – compresi quelli derivati dalla sua stessa

imprudenza, negligenza o disattenzione – con la promulgazione del d.lgs 626/94 e, più ancora, con il successivo d.lgs 81/2008, vi è un deciso abbandono di tale modello iperprotettivo a favore di un sistema di pre-venzione degli infortuni che, al contrario, prevede la collaborazione di tutti i soggetti interessati, ivi compreso il lavoratore ora adeguatamente formato ed informato e, per ciò stesso, auto-responsabilizzato.

Con la nuova normativa si passa, quin-di, da un dovere di vigilanza assoluto del lavoratore a carico del datore di lavoro (secondo un principio di “ontologica irrile-vanza della condotta del lavoratore”) ad un modello in cui – in un’ottica di conciliazio-ne delle esigenze di tutela del lavoratore con quelle di garanzia del datore di lavo-ro – si fa strada il concetto di “area di ri-schio” (vale a dire quell’area di rischio che il datore di lavoro è chiamato a valutare al fine di prevenire danni nei confronti dei la-voratori) ove il comportamento negligente, imprudente od imperito del lavoratore non rimane più ininfluente ma, al contrario, in determinate condizioni, può valere ad in-terrompere il nesso causale tra l’omissione del datore di lavoro e l’evento lesivo.

Se da un lato, infatti, il comportamen-to del lavoratore posto in essere all’interno della c.d. area di rischio propria della la-vorazione svolta continua ad essere irrile-vante ai fini di un esonero di responsabilità del datore di lavoro – e ciò anche qualora tale condotta fosse negligente, imprudente ovvero imperita – lo stesso non può certo dirsi qualora il comportamento del lavora-tore si ponga all’esterno della citata area di rischio.

A tal proposito, il Giudicante nel dare atto delle diverse correnti giurispruden-ziali succedutesi nel tempo volte a dare forma, contenuto e limiti alla citata area di rischio, ci ricorda come una condotta c.d. “esorbitante” - ossia posta in essere dal lavoratore al di fuori delle proprie man-sioni – sarà sempre esimente (e ciò anche qualora vi sia stata da parte del datore di lavoro un’omessa adozione dei dispositivi di sicurezza) mentre un comportamento te-nuto nell’ambito delle proprie incombenze varrà ad esimere la condotta del datore di lavoro ogni qual volta tale comportamen-to sia posto in essere in aperta violazione delle direttive ricevute ovvero avvenga con modalità di esecuzione talmente arbitrarie ed eccezionali da creare una situazione di rischio totalmente nuova ed imprevedibi-le (c.d. condotta abnorme”); sempre che, in questo secondo caso, il datore di lavoro abbia ab origine fornito tutti gli adeguati

mezzi di protezione potendo muoversi nei suoi confronti solo un rimprovero di omes-sa vigilanza del lavoratore.

In questa ottica, l’efficacia interruttiva del fattore causale concorrente viene, dun-que, ricondotto alla dominabilità umana (c.d. prevedibilità) che dovrà essere di vol-ta in volta valutata nel caso specifico co-sicché l’efficacia escludente sarà limitata alle sole ipotesi in cui il datore di lavoro abbia precedentemente predisposto tutte le più opportune misure di cautela così che gli sia addebitabile la sola omessa vigilan-za non potendo lo stesso, in caso contrario, appellarsi ad un’eventuale imprevedibilità del comportamento del lavoratore.

Peraltro, accanto al concetto di preve-dibilità, dovrà necessariamente affiancarsi anche il concetto di evitabilità dell’evento.

Di conseguenza, e per concludere, vo-lendo usare le parole del Giudice perve-nuto alla sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato di cui sopra, “una volta compiuta l’indagine causa-le, si dovrà procedere in maniera di-stinta (ma ugualmente imprescindibi-le) all’accertamento, in concreto, della colpa del datore di lavoro. Anche nelle ipotesi in cui la condotta imprudente del lavoratore non soddisfi i caratteri dell’esorbitanza o della abnormità e, dunque, sia irrilevante in una prospet-tiva causale, sarà comunque necessa-rio accertare che, a seguito di essa, sia comunque formulabile un rimprovero a carico del datore di lavoro, ovvero stabilire, con giudizio ex ante, se il da-tore di lavoro avrebbe potuto, nel caso concreto, prevedere l’evento lesivo ve-rificatosi con quelle specifiche modalità o se, invece, si sia realizzato un rischio diverso da quello che il datore di lavoro con tutta diligenza, prudenza e perizia richiesta avrebbe dovuto e potuto evi-tare”. Anna Papadia

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Tizia veniva tratta a giudizio avanti il Giudice di Pace di Parma per rispondere dei reati previsti dagli “artt. 582, 612, 594 c.p., perché, con più azio-ni esecutive di un medesimo disegno criminoso, schiaffeg-giandola e graffiandola, cagio-nava lesioni personali giudicate guaribili in giorni 6 a Caia, a cui minacciava altresì un ingiu-sto danno e di cui offendeva l’onore e il decoro, rivolgendo-le espressioni quali: “guarda, rumena, che ti faccio andare via dall’Italia, puttana, troia.”

Nel giudizio di primo grado la persona offesa si costituiva parte civile.

Il Giudice di Pace di Parma, con sen-tenza n.62/2012, pronunciata il 3.4.2012, depositata il 12.4.2012 pur condannando l’imputata per tutti i reati ascritti, rigetta-va la domanda risarcitoria proposta dalla parte civile. Più precisamente, nel dispo-sitivo era contenuta la statuizione“ Nulla come risarcimento alla parte civile “, men-tre nella motivazione il giudice di primo grado non esponeva le ragioni in base alle quali era stato disconosciuto il diritto della parte civile al risarcimento del danno, pur avendo condannato l’imputata stessa alla refusione delle spese di costituzione della parte civile.

L’appello

La pronuncia di primo grado, veniva impugnata dalla parte civile ex art. 576 c.p.p. relativamente al capo di sentenza con cui era stata rigettata la domanda risar-citoria, rilevandone la nullità in parte qua per difetto assoluto di motivazione, nonché la palese contraddizione con la statuizione che aveva condannato l’imputata alla refu-sione delle spese di costituzione di parte civile, atteso che la condanna dell’impu-tato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile può essere pro-nunciata soltanto nel caso di accoglimento della domanda di risarcimento del danno (v. art. 541,comma 1, c.p.p.).

Nel merito, veniva rilevato che l’impu-tata era stata condannata per tutti i reati a lei ascritti previsti, rispettivamente, dagli artt. 582, 612 e 594 c.p., rispetto ai quali la costituita parte civile rivestiva la qualità di soggetto passivo, vale a dire di titola-re del bene-interesse giuridico protetto in modo immediato e diretto dalla norma in-criminatrice.

Venivano richiamate le sentenze del-la Corte di Cassazione a S.U. n. 26972 e 26973 del 2008 - che avevano affermato il seguente principio di diritto ( v., tra le tan-te, Cass., 17 settembre 2010, n. 19816):” La parte danneggiata da un compor-tamento illecito che oggettivamente presenti gli estremi del reato ha diritto al risarcimento dei danni non patri-moniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c., i quali debbono essere liquidati in unica somma, da determinarsi tenendo con-to di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale assume nel caso concreto ( sofferenze fisiche e psichiche; danno alla salute, alla vita di relazione, ai rapporti affettivi e familiari, ecc.)” – per dimostrare l’errore in cui era incorso il Giudice di Pace di Parma, atteso che gli atti penalmente rilevanti commessi dall’imputata, siccome immediatamente lesivi dei diritti di natura strettamente per-sonale – alla salute e alla integrità fisica, alla libertà morale e all’onore – di cui era titolare la persona offesa, costituivano fatti illeciti dai quali erano derivati danni non patrimoniali che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, dovevano es-sere riconosciuti in favore della costituita parte civile, a sensi del combinato disposto degli artt. 185 c.p., 2043, 2059 c.c., e li-quidati in unica somma che tenesse conto delle sofferenze psichiche e fisiche patite da quest’ultima.

L’imputata non proponeva appello inci-dentale.

La sentenza d’appello

Il Tribunale di Parma, con sentenza 05.06.2013, n. 370, accoglieva l’appello. Oltre a rilevare il difetto assoluto di motiva-zione, il giudice di secondo grado osserva-va che, alla luce delle richiamate sentenze Cass., S.U. n. 26972 e n. 26973 del 2008, il giudice a quo, una volta ritenuta la re-sponsabilità penale dell’imputata, avrebbe dovuto comunque delibare in ordine alla richiesta risarcitoria portando l’indagine sulla lesione dei beni tutelati dalle norme violate. All’esito dell’accertamento dell’ef-fettiva lesione dell’onore e dell’integrità fisica della persona offesa da parte dell’im-putata, il Tribunale riformava parzialmen-te la sentenza e condannava l’imputata al risarcimento dei danni non patrimoniali a favore della parte civile, procedendo alla liquidazione in via equitativa.

Commento

La vicenda si presta ad alcune brevi considerazioni.

Sul piano processuale, alla parte civi-

le è stata (implicitamente) riconosciuta la piena facoltà di impugnare la sentenza di primo grado. Il problema poteva porsi, in astratto, stante il tenore dell’art. 38 del D. Ls. n. 274 del 2000 che, come è noto, pone un vincolo di collegamento fra la potestà di impugnazione del pubblico ministero e quella del ricorrente che ha chiesto la ci-tazione a giudizio dell’imputato a norma dell’art. 21. Al riguardo, peraltro, è stato chiarito che tale vincolo deve escludersi qualora, come nella specie, la disciplina applicabile è quella ordinaria: “nell’ambi-to di questa le facoltà di impugnazione della parte civile non hanno subito li-mitazioni con l’entrata in vigore della L. 20 febbraio 2006, n. 46, ma si sono invece estese per effetto della soppres-sione dell’inciso “con il mezzo previ-sto dal pubblico ministero” nell’art. 576 c.p.p., comma 1. In conseguenza di ciò, infatti, essendo venuto meno il vincolo di collegamento fra la potestà di impugnazione del pubblico ministero e quella della parte civile, a quest’ulti-ma è consentito gravarsi senza alcuna restrizione – ai soli effetti civili – contro la sentenza che le è sfavorevole, sia nel giudizio ordinario sia nel procedimento di pace” (Cass., Sez. Un. 29 marzo 2007; Cass., 14 marzo 2011, n. 10138).

Sul piano sostanziale la sentenza del tribunale ha posto l’accento sulla necessi-tà che il giudice proceda all’accertamento della lesione effettiva degli interessi tute-lati dalla norma penale, dando così conti-nuità all’indirizzo interpretativo secondo cui “Anche quando il fatto illecito inte-gra gli estremi del reato la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta “in re ipsa”, ma va sempre debitamente allegata e prova-ta da chi la invoca, anche attraverso presunzioni semplici” ( v. Cass., 12 aprile 2011, n. 8421).

Vittorio Anelli

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BQuesto numero usa il font Bodoni.

L’impronta severa, neoclassica delle lettere, connotata dal netto contrasto tra lo spessore delle aste e la sottigliezza dei filetti e delle grazie; la nuda, epigrafica composizione dei

frontespizi e delle dediche; l’arioso giusto rapporto tra testo e immagini, fra riga e riga, fra chiari e scuri fanno della pagina bodoniana un prodigio di armonia e leggibilità.

dalla biografia di Giambattista Bodoni nel sito del Museo bodoniano: www.mb-museobodoniano.it

Foto in copertina di Linda Vukaj

Linda Vukaj vive e lavora a Parma, ha vinto premi nazionali e internazionali e realizzato diverse pubblicazioni. Ha esposto le sue fotografie in numerose mostre collettive e personali a livello internazionale come a New York, Prishtina, Berlino e Belo Horizonte in Brasile. In Italia ha esposto a Parma, a Reggio Emilia nell’ambito della Fotografia Europea e a Cesena

nell’ambito delle Celebrazioni Verdiane.

progetto grafico di Alessandro Riccomini - stampa Cabiria