LA TOMBA DELLE CINQUE SEDIE - gruppiarcheologici.org · Le due pro-babili sepolture, si trovano in...

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Roma - Via Baldo degli Ubaldi, 168 PERIODICO DEI G.A. D’ITALIA Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27/2/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - DCB - Roma set.-ott. 2007 Anno 3 Num. 5 CINQUE ANNI DI LAVORO BEN SPESI IN UNO SCAVO CHE CANCEL- LA 1700 ANNI A CERVETERI PAG. 8-9 LE RICERCHE SUL DNA A P R O NO NUOVE VIE ALLA CONO- S C E N ZA DEGLI ETRU- SCHI PAG. 2 LUDUS O “LU- RIDUS” MA- GNUS?? IL DE- GRADO, I SI- LENZI, LE IN- CURIE DEI MONUMENTI ROMANI PAG. 7 Vittoria Carulli Una riscoperta che trasmette, dal fondo dei millenni, il culto degli antenati: LA TOMBA DELLE CINQUE SEDIE "E’ un ‘unicum’ per la disposizione e la funzione degli ambienti" La Tomba delle Cinque Sedie, fu scoperta nel 1866 dai Castellani, ricca famiglia romana di orafi. Situata ai margini occidentali del Pianoro della Banditaccia, risale alla seconda metà del VII secolo a.C. (650 - 625 a.C.). Costituita da tre camere e dromos di accesso scavati nel tufo, la Tomba prende il nome dai cinque sedili scolpiti in sequenza nella parete sinistra della camera laterale sinistra. Appare alquanto danneggiata nel suo arredamento mo-dellato nel tufo. Le porte di ingresso alle tre camere sono arcuate, ad imita- zione delle porte di accesso nel mondo degli Inferi. L'ingresso, con dromos a scalini, è orien- tato in direzione nord-ovest (caratteristica tipica della tipologia funeraria del periodo che va dalla fine dell'VIII secolo all'inizio del VI secolo a.C.), dove gli Etruschi pensavano si trovasse l'Aldilà. La tomba, inserita in un tumulo di cui a tutt'oggi è possibile vedere l'esatta dimensione (22 metri di diametro), è un "unicum" per la disposizione e la funzione degli ambienti. Di grande inte-resse sono le due camere laterali che si aprono ai fianchi del dromos a cielo aperto. Quella di destra presenta, in un angolo, una mensa dalle gambe concave, per probabili picco- li sacrifici di animali. Quella di sinistra (metri 2,80 per 2,50) presenta un arredamento inusuale: cinque pic-cole poltrone ad elementi lineari, con spalliera cruciforme, poggioli che scendono dal- l'alto verso il basso e sgabelli poggiapiedi il tutto sca-vato nel tufo. All'angolo, tra la parete di fondo e quella di destra, è modellato una sorta di cesto scanalato di forma cilindrica, che molti archeologi identificano in un sacello domestico. Altre ipotesi indicano che, probabilmente, era una sorta di cesto destinato a contenere vivande, come altri simili elementi del medio orientaliz- zante ceretano (vedi Tomba Campana di Monte Abetone). In origine questa camera presentava anche altri arredi, ora andati perduti: due pic-cole "mensae" (mense) poste di fronte alle sedie, due troni con spalliera ricurva situati su una pedana rettangolare comune, un altarino con tre cavità circolari a coppella per libagioni, posto a destra dell'ingresso. Tutti questi elementi sono stati documentati con disegni, eseguiti, a suo tempo, dall'Istituto Archeologico Germanico, molto atti- vo in Roma fin dall'Ottocento. Tutto il mobilio, di formato ridotto, è stato realizzato scolpendolo nella roccia tufacea. La cella, priva di banchine per deposizioni, costituisce l'eccezionale testi- monianza di un piccolo ambiente del culto fune- rario annesso al monumento sepolcrale. Sulle cinque sedie, erano originariamente sedute altret- tante statuette (alte 48 cm circa), in terracotta, a figura umana, in vesti cerimoniali del tardo periodo orientalizzante, in atto di compiere un'of- ferta. Secondo la tesi più accreditata, esse sono da identificare con le immagini degli antenati del- l'aristocratica coppia destinata ad essere sepolta nella tomba attigua, rappresentati, nel momento del banchetto funebre, in atto di compiere liba- gioni. In particolare queste statue rappresente- rebbero le coppie dei genitori dei due proprietari della Tomba e il nonno capostipite dell'aristocra- tica famiglia. La Tomba ricalca l'impianto e l'ar- redamento della casa etrusca del periodo. Le cin- que statuette degli avi costituirebbero una delle attestazioni più significative del culto riservato agli antenati dalle grandi famiglie gentilizie del- l'epoca. Secondo l'archeologo Helbig, come scrisse sul "Bull Inst" del 1866, delle cinque sta- tuette, al momento della scoperta, due sono state ritrovate in uno stato di distruzione tale che rese impossibile il ricomporle, mentre tre erano intat- te. Attualmente, due esemplari sono conservati al British Museum di Londra, e uno ai Musei Capitolini (Palazzo dei Conservatori) di Roma. Insieme ad esse fu ritrovata una splendida fibula d'oro, molto arcaica, simile a quella con cui sono fermati i mantelli delle statuette. La fibula è com- posta da tre bastoncini d'oro congiunti mediante una piccola stecca sempre d'oro. Sulla stessa sono disposte sedici sfingi in quattro serie, ognu- na di quattro. Insieme furono ritrovati anche frammenti di alcune stoviglie di argilla giallastra, di fattura arcaica. Questa camera, così sontuosamente arreda- ta, era evidentemente un ambiente di culto, dove aveva un gran peso il significato del ban- chetto funebre. La presenza dei due troni, riser- vati simbolicamente ai due probabili defunti, deposti nella tomba, può essere interpretata come simbolo della "potestas" e del rango sociale del "pater e mater familias". Le due pro- babili sepolture, si trovano in altrettante "klinai" situate nella camera principale (metri 5,50 per 2,80) che presenta una banchina lungo le pareti e un soffitto displuviato, sostenuto da un "colu- men" centrale e due travi laterali. Questa stanza, a sua volta, è messa in comunicazione con gli ambienti di culto per mezzo di due piccole celle. La mancata separazione di questi ambienti sta- rebbe a significare il collegamento simbolico con la continuazione della vita anche dopo la morte. E' probabile, quindi, che la Tomba fosse riservata a due sole deposizioni e che i due troni dovessero accogliere le immagini dei due defunti che partecipavano, assieme ai loro ante- nati, seduti sui cinque seggi, ad un banchetto cerimoniale immaginato nell'oltre tomba.

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Roma - Via Baldo degli Ubaldi, 168 PERIODICO DEI G.A. D’ITALIA Poste Italiane S.p.A. Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27/2/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - DCB - Roma

set.-ott. 2007Anno 3 Num. 5

CINQUE ANNIDI LAVOROBEN SPESI INUNO SCAVOCHE CANCEL-LA 1700 AN NI ACER VE TE RI

PAG. 8-9

LE RICERCHESUL DNAA P R O N ONUOVE VIEAL LA CONO -S C E N Z ADEGLI ETRU -SCHI

PAG. 2

LUDUS O “LU -RI DUS” MA -GNUS?? IL DE -GRADO, I SI -LENZI, LE IN -CU RIE DEIMONUMENTIROMANI

PAG. 7

Vittoria Carulli

Una riscoperta che trasmette, dal fondo dei millenni, il culto degli antenati:

LA TOMBA DELLE CINQUE SEDIE"E’ un ‘unicum’ per la disposizione e la funzione degli ambienti"

La Tomba delle Cinque Sedie, fu scoperta nel1866 dai Castellani, ricca famiglia romana diorafi. Situata ai margini occidentali del Pianorodella Banditaccia, risale alla seconda metà delVII secolo a.C. (650 - 625 a.C.). Costituita da trecamere e dromos di accesso scavati nel tufo, laTomba prende il nome dai cinque sedili scolpitiin sequenza nella parete sinistra della cameralaterale sinistra. Appare alquanto danneggiata nelsuo arredamento mo-dellato nel tufo. Le porte diingresso alle tre camere sono arcuate, ad imita-zione delle porte di accesso nel mondo degliInferi. L'ingresso, con dromos a scalini, è orien-tato in direzione nord-ovest (caratteristica tipicadella tipologia funeraria del periodo che va dallafine dell'VIII secolo all'inizio del VI secoloa.C.), dove gli Etruschi pensavano si trovassel'Aldilà. La tomba, inserita in un tumulo di cui atutt'oggi è possibile vedere l'esatta dimensione(22 metri di diametro), è un "unicum" per ladisposizione e la funzione degli ambienti. Digrande inte-resse sono le due camere laterali chesi aprono ai fianchi del dromos a cielo aperto.Quella di destra presenta, in un angolo, unamensa dalle gambe concave, per probabili picco-li sacrifici di animali. Quella di sinistra (metri2,80 per 2,50) presenta un arredamento inusuale:cinque pic-cole poltrone ad elementi lineari, conspalliera cruciforme, poggioli che scendono dal-l'alto verso il basso e sgabelli poggiapiedi il tuttosca-vato nel tufo. All'angolo, tra la parete difondo e quella di destra, è modellato una sorta dicesto scanalato di forma cilindrica, che moltiarcheologi identificano in un sacello domestico.Altre ipotesi indicano che, probabilmente, erauna sorta di cesto destinato a contenere vivande,come altri simili elementi del medio orientaliz-zante ceretano (vedi Tomba Campana di Monte

Abetone). In origine questa camera presentavaanche altri arredi, ora andati perduti: due pic-cole"mensae" (mense) poste di fronte alle sedie, duetroni con spalliera ricurva situati su una pedanarettangolare comune, un altarino con tre cavitàcircolari a coppella per libagioni, posto a destradell'ingresso. Tutti questi elementi sono statidocumentati con disegni, eseguiti, a suo tempo,dall'Istituto Archeologico Germanico, molto atti-vo in Roma fin dall'Ottocento. Tutto il mobilio,di formato ridotto, è stato realizzato scolpendolonella roccia tufacea. La cella, priva di banchineper deposizioni, costituisce l'eccezionale testi-monianza di un piccolo ambiente del culto fune-rario annesso al monumento sepolcrale. Sullecinque sedie, erano originariamente sedute altret-tante statuette (alte 48 cm circa), in terracotta, afigura umana, in vesti cerimoniali del tardoperiodo orientalizzante, in atto di compiere un'of-ferta.

Secondo la tesi più accreditata, esse sono daidentificare con le immagini degli antenati del-l'aristocratica coppia destinata ad essere sepoltanella tomba attigua, rappresentati, nel momentodel banchetto funebre, in atto di compiere liba-gioni. In particolare queste statue rappresente-rebbero le coppie dei genitori dei due proprietaridella Tomba e il nonno capostipite dell'aristocra-tica famiglia. La Tomba ricalca l'impianto e l'ar-redamento della casa etrusca del periodo. Le cin-que statuette degli avi costituirebbero una delleattestazioni più significative del culto riservatoagli antenati dalle grandi famiglie gentilizie del-l'epoca. Secondo l'archeologo Helbig, comescrisse sul "Bull Inst" del 1866, delle cinque sta-tuette, al momento della scoperta, due sono stateritrovate in uno stato di distruzione tale che reseimpossibile il ricomporle, mentre tre erano intat-

te. Attualmente, due esemplari sono conservati alBritish Museum di Londra, e uno ai MuseiCapitolini (Palazzo dei Conservatori) di Roma.Insieme ad esse fu ritrovata una splendida fibulad'oro, molto arcaica, simile a quella con cui sonofermati i mantelli delle statuette. La fibula è com-posta da tre bastoncini d'oro congiunti medianteuna piccola stecca sempre d'oro. Sulla stessasono disposte sedici sfingi in quattro serie, ognu-na di quattro.

Insieme furono ritrovati anche frammenti dialcune stoviglie di argilla giallastra, di fatturaarcaica.

Questa camera, così sontuosamente arreda-ta, era evidentemente un ambiente di culto,dove aveva un gran peso il significato del ban-chetto funebre. La presenza dei due troni, riser-vati simbolicamente ai due probabili defunti,deposti nella tomba, può essere interpretatacome simbolo della "potestas" e del rangosociale del "pater e mater familias". Le due pro-babili sepolture, si trovano in altrettante "klinai"situate nella camera principale (metri 5,50 per2,80) che presenta una banchina lungo le paretie un soffitto displuviato, sostenuto da un "colu-men" centrale e due travi laterali. Questa stanza,a sua volta, è messa in comunicazione con gliambienti di culto per mezzo di due piccole celle.La mancata separazione di questi ambienti sta-rebbe a significare il collegamento simbolicocon la continuazione della vita anche dopo lamorte.

E' probabile, quindi, che la Tomba fosseriservata a due sole deposizioni e che i due tronidovessero accogliere le immagini dei duedefunti che partecipavano, assieme ai loro ante-nati, seduti sui cinque seggi, ad un banchettocerimoniale immaginato nell'oltre tomba.

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E’ stato recentemente appurato che il DNA dialcune popolazioni germaniche ha qualche somi-glianza con quello degli Etruschi1. Ma quel cheha suscitato scalpore è che si è anche trovato cheil DNA degli abitanti del vicino Oriente (Turchia,Siria, Giordania) assomiglia a quello degli Etru-schi e dei Toscani. Anche il DNA di coloro cheabitano nelle isole del mar Egeo (Lemno e Rodi)è simile a quello degli odierni “Etruschi“; esso èperò diverso da quello di Turchi, Siriani e Gior-dani2. In uno studio parallelo è stato poi riscon-trato che anche i bovini di Turchia, Siria eGiordania hanno somiglianza genetica conquelli toscani di razza Chianina e Marem-mana3. Ringrazio il prof. Guido Barbujani e ilprof. Antonio Torroni, conduttori delle equipericercatrici, per avermi inviato gli originali testiinglesi delle loro pubblicazioni, ed avermi libe-rato dalle confuse informazioni che avevoavuto dai media. Per render tutto questo produttivo in campo

storico occorre riesaminare il materiale archeo-logico e linguistico, nonché le antiche fonti let-terarie che trattano delle origini degli Etruschi.Si raccontava che Maleoto, in epoca ante-

riore alla guerra di Troia, condusse dal porto diRegisvilla (fra Tarquinia e Vulci) ad Atene unamigrazione di Pelasgi4. Era questo il nome,spiegava Mirsilo di Lesbo, che i Greci avevanodato ai Tirreni perché “questi migravano astormo, come cicogne (Pelargoi), dall’Italia inGrecia e in molte regioni dei barbari”5. Si dicevache Maleoto fosse “Imperatore dei Tirreni”,avesse inventato la tromba (come il lidio Tir-reno!), fosse diventato re degli Argivi e tirannodi Atene, ed avesse scorrazzato per le isole Egee6.Si dovette anche dire che egli avesse approdato edimorato in Lidia, perché una fonte lo presentacome figlio di Ercole e di Onfale (come il lidioTirreno!)7. Si diceva che tutta la costa Ionicadell’Asia minore, a cominciare dal promontoriodi Micale, era stata abitata dai Pelasgi, e che pe-lasgiche erano state pure tutte le vicine isole8. I Pelasgi, racconta Erodoto, introdussero ad

Atene e da qui a Samotracia, a Lemno e nellealtre isole Egee il culto dei Grandi Dèi. DiodoroSiculo aggiunge poi che Dardano, da Samotracia,introdusse il culto in Asia minore dove i suoi di-scendenti fonderanno Troia9. E’ da questo panorama mitostorico che Virgi-

lio dovette recepire la tradizione secondo cuiDardano dalla tirrena città di Corito o Corinto(Tarquinia) emigrò a Samotracia, e poi in Asia,dove introdusse il culto dei Grandi Dèi e diedeorigine a Troia10.Già Erodoto notò che ai suoi tempi le residue

genti pelasgiche della Grecia e dell’Anatolia par-lavano ancora un’incomprensibile lingua bar-bara11. In tempi moderni, poi, nell’isola diLemno, e stata trovata una stele scritta in una lin-gua simile all’etrusca, e in un alfabeto simile aquello dell’Etruria meridionale donde la tradi-

zione faceva venire gli abitanti dell’Isola. Dapoco, infine, s’è scoperto che il DNA degli abi-tanti di Lemno somiglia a quello degli Etruschiancor più di quanto somigli a quello dei popoliAnatolici. E’ dunque possibile che Virgilio avesseattinto a fonti che riproducevano in forma miticauna qualche verità storica. Le migrazioni, secondo Dionigi d’Alicarnasso,

sarebbero iniziate due generazioni prima dellaguerra di Troia, cioè attorno al 1250 a.C.12In quello stesso periodo, come si legge nei ge-

roglifici del tempio di Karnac, in Egitto, il fa-

raone Merneptah, durante il quinto anno del suoregno (1232 a.C.), sconfisse una coalizione di Li-bici e Popoli del Mare, fra cui i TWRWSH (va-rianti Twrjsh.w, Twjrshh.w). Questi ultimi, sispecificava, erano venuti, via mare, dal nord, edavevano tentato di invadere l’Egitto dai confinioccidentali.

L’Egitto non era l’unica mira dei Popoli delMare. Essi invasero l’Anatolia, e provocarono lafine dell’impero ittita.

Gli Ittiti erano un popolo indoeuropeo dell’Anatolia. Le loro supreme divinità maschili fu-rono Tarhunt, dio della tempesta (connesso al-l’aruspicina) e rappresentato come un toro, e suofiglio Telepino, dio della fertilità. Molti re ne por-tarono i nomi. Attorno al 1290, la capitale del-l’impero divenne Tarhunt-assa, la città del dioTarhunt13; ed ebbe sovrani che si chiamavano va-riamente Tarhunta e Kurunta. Arzawua (la futuraLidia) era un regno vassallo, e comprendeva asua volta i regni di Seha (la futura Misia) e dellaattigua Wilusa (Ilio-Troia). Fra i re di Shea(Misia) ricordiamo Manapa-Tarhunta perché inuna occasione difese la vicina Wilusa (Troia).Tra il 1193 e il 1187 a.C. , durante il regno di

Ramses III, alcuni dei vecchi popoli del mare edaltri nuovi tentarono nuovamente d’invaderel’Egitto, ma furono fermati. Nei geroglifici deltempio di Medinet Habu si spiega che alcuni con-tingenti “giunsero per mare e per terra”, mentrealtri vennero “dalle isole centrali del mare”. Fraquesti ultimi sono elencati i Twrwsh. Questi, sidice, con ulteriore specificazione, “venivano dal

mezzo del mare”14. Questi popoli, dunque,Twrwsh compresi, respinti dagli Egizi, retroces-sero nelle loro isole del mar Egeo, e in Anatolianelle terre del già invaso regno ittita.

E’ in questo momento (1183 a. C.) che gliAchei, approfittando della caduta dell’impero it-tita, distruggono Wilusa (Troia), forse già invasadai Twrwsh (Tirreni?) come voleva Virgilio. Alcuni hanno accostato il nome dei Twrwsh a

quello dei Tyrse-noi che è il nome col quale iGreci chiamavano sia gli Etruschi che alcuni po-poli del Mediterraneo orientale. Poteva trattarsidi popoli d’una stessa stirpe. Gli storici antichi parlavano pure, come ab-

biamo visto, di migrazioni di genti tirrene dal-l’Italia in varie isole Egee fra cui Lemno eSamotracia. Ora, anche se non può esser datoper scontato che i TWRWSH venissero dall’Ita-lia, quel che rende produttivo il loro accosta-mento coi Tyrsenoi dell’Egeo è però il fattoche, dopo i tempi oscuri che seguirono la finedell’impero ittita, sulle coste occidentali del-l’Anatolia già occupata dai TWRWSH nac-quero regni che nella famiglia dei loro primi revantavano personaggi che si chiamavano Tyrse-nos o Tyrrhenos (cfr. TWRWSH). Oggi, poi, s’èscoperto che il DNA degli attuali “Tirreni”d’Italia somiglia da un lato a quello degliodierni abitanti dell’Anatolia, e dall’altro, se-paratamente, a quello degli attuali “Tirreni” delleisole Egee di Lemno e Rodi. A ottanta miglia marine da Lemno, sul luogo

dell’antico regno anatolico di Shea, troveremola Misia governata da Telefo. Si diceva che eglifosse nato nella terra del re Corito (come Dar-dano), in Arcadia, e ne fosse figlio adottivo. Erapoi emigrato nella Misia, ed aveva sposato Astio-che sorella di Priamo re di Troia. Ebbe tre figli:* Euripilo, che durante l’assedio dei Greci a

Troia, condusse un esercito di Ittiti Cetei (Ittiti)15in soccorso della città (cfr. Tarhunta che soccorreWilusa-Troia).* Tarconte (cfr. Tarhunta) e Tirseno (cfr.

Twrwsh), che dopo la guerra di Troia, vennero inEtruria, dove si unirono ai profughi troiani portatida Enea. Tarconte fondò Tarquinia, e Tirrenofondò Cere. Nei graffiti di una specchio etruscodi III sec. a. C. si vede Tarconte a colloquio conPriamo re di Troia.Secondo una variante, Telefo stesso portò i

Cetei (Ittiti) in Italia dove fondò Tarquinia16 eCapua. Verosimilmente, Tarconte (cfr. Tarhunta) rap-

presenta l’elemento anatolico, e Tirreno quellogià immigrato in Anatolia. Parallelamente, sul luogo di Arzawua trove-

remo la Lidia e la città di Tyrsa (cfr TWRWSH).Secondo Xanto di Lidia (iniz. V sec. a.C.), il reAti, agli inizi della nazione, divise il regno tra ifigli Lido e Torebo. Questi diedero il loro nomeai popoli che governavano; e “da Lido disceseroi Lidi, e da Torebo i Torebi”. Erodoto disse in-

2 Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007

Alberto Palmucci

C O R I T O - T A R Q U I N I A :L ’ O R I G I N E E I L D N A D E G L I E T R U S C H I

Un re e una regina ittiti in venerazione del Dio TESHUB o TARHUN

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vece che Ati, in seguito a una carestia, divise ilpopolo fra sé e suo figlio Tirreno (cfr.TWRWSH), e lo fece emigrare. Costui, giunto inItalia, chiamò Tirreno il suo popolo. Evidente-mente, Ati e Lido rappresentano l’elemento ana-tolico della nazione, e Torebo quello tirrenointegrato; Tirreno, infine, rappresenta l’elementotirreno non integrato e quindi indotto a emi-grare17. Si ricordi la figura del tirreno Maleoto cheda una parte è quella di colui che inventa latromba tirrena (come Tirreno!) e conduce i Tir-reni dall’Italia nel bacino orientale del Mediterra-neo, e dall’altra è un lidio figlio di Ercole e diOnfale (come Tirreno!) che introduce la trombatirrena fra i Dori della Grecia.

Residue popolazioni tirreniche vivevano inAnatolia ancora nel II sec. d.C. come dimostranole epigrafi trovate presso il lago di Ascanio18.

Abbiamo già visto che gli storici greci cono-scevano genti tirrene d’origine italica che ave-vano abitato varie isole dell’Egeo fra cui Lemnoe Samotracia. Costoro, si diceva, erano partiti dalporto di Regisvilla (fra Tarquinia e Vulci) unpaio di generazioni prima della guerra di Troia.Anche Virgilio, nell’Eneide, sostenne che i Tir-reni, dalla città etrusca di Corito o Corinto, oggiTarquinia, s’erano recati nell’isola di Samotracia,nel Mar Egeo, e da qui sulle coste dell’Asia doveavrebbero fondato Troia. Sempre Virgilio diràche sarà poi questo il motivo per cui Enea, nipotedi Dardano tirreno, dopo la rovina di Troia, ri-condurrà i Troiani a Corito (Tarquinia), centro fe-derale dove Tarconte gli cederà il comando dellaLega Etrusca.Chi era Tarconte? Secondo Licofrone (IV-III sec. a.C.) Tarconte

e Tirreno erano figli di Telefo (figlio di Ercole odi Corito) re della Misia. Si ricordi che a Seha(Misia) aveva regnato Tarhunta che aveva portatosoccorso a Wilusa (Ilio-Troia). Tarconte (cfr. Tar-hunta) rappresenta dunque l’elemento anatolico,e Tirreno quello tirreno già emigrato in Anatolia.Strabone fuse la tradizione di Licofrone con

quella di Erodoto, e disse che Tirreno era nipotedi Ercole (come il misio Tirreno) e di Onfalelidia (come il tirreno Maleoto), e veniva dallaLidia. Questa, già dai tempi di Erodoto, com-prendeva la Troade, la Misia (antica Seha), eforse pure Tarhunt-assa, la città del dio e del reTarhunt-a, capitale dell’impero ittita.

Tirreno incarica Tarconte (vd. Tarhunta) difondare tutte le città dell’Etruria. Questi fondaTarquinia (etr. Tarchu-na) e le dà il proprio nome(cfr. Tarhunt-assa = la città di Tarhunta) e in su-bordine tutte le altre città dell’Etruria e della Pa-dania. Anche in questa migrazione, dunque,Tarconte rappresenta l’elemento anatolico, e Tir-reno quello tirreno già emigrato in Anatolia. Sirammenti il nome del tirreno Maleoto che da unaparte è quello di colui che inventa la tromba tir-rena (come Tirreno) e conduce i Tirreni dall’Italianel bacino orientale del Mediterraneo, e dall’altraquello di un lidio figlio di Ercole e di Onfale(come Tirreno) che introduce la tromba tirrenafra i Dori della Grecia.Sembra proprio che il tema del ritorno a Co-

rito Tarquinia dei Tirreni, cantato da Virgilio,espliciti il comune denominatore di tutte le tradi-zioni. Gli stessi Etruschi ritenevano che i Troianifossero venuti nella loro terra. Lo dimostrano lenumerose figure prodotte su oggetti vari e soprat-tutto su due anelli dove si vede Enea che trasportain Etruria il padre Anchise coi Penati di Troia, ela madre Turan (Afrodite): qui il nome dellamadre è etrusco a significare l’origine etrusca

dell’eroe.Ma gli Etruschi ritennero pure d’aver avuto un

apporto di gente dalla Lidia. Quando Tarcontevide nascere il divino Tagete (etr. Tarchies) dallezolle della terra di Tarquinia, chiamò sul luogotutti i capi delle città federate. Tagete allora dettòle norme della divinazione, e Tarconte le tra-scrisse in un poema che i Romani chiamaronoLibri Tagetici19. In questi Libri, Tarconte dissed’essere un aruspice già istruito dal lidio Tirreno;e nella parte che riguardava gli auspici sui terre-moti accennò a mali che potevano accadere nella“nostra Lidia”20. Si ricordi però che la Lidia in-cludeva la Misia e la Troade.A Gravisca, porto di Tarquinia, è stata rinve-

nuta un coppa di VI secolo appartenente a unlidio chiamato Pactyes. Si tratta dell’unico docu-mento archeologico, finora trovato, della pre-senza di Lidi in Etruria, e potrebbe non essere uncaso che sia stato rinvenuto proprio a Tarquinia.Pactyes era il ricco tesoriere di Creso re dellaLidia, del quale parla Erodoto (I, 153). Grass so-stiene che costui andò in esilio a Gravisca e vimorì. Chiunque egli fosse, la sua presenza a Tar-quinia dovrebbe essere significativa di un piùampio e antico scambio di relazioni. D’altronde,durante il VI sec., il porto di Tarquinia fu metaesclusiva in Etruria di un grandissimo numero dimercanti provenienti dalle coste Anatoliche, spe-cialmente da Focea, e dalle prospicienti isoleEgee. In quel periodo fu forse importato dal-l’Asia il toro maremmano, i cui resti ossei sonofrequenti a Gravisca.Sembra, poi, che tra i frammenti degli Scholia

Veronensia all’Eneide (X,194) si possa rinvenireun cenno ai rapporti fra Gravisca e una regionedell’Asia.Per le relazioni della Lidia con l’Etruria po-

trebbe aver qualche significato anche la presenzain alcune epigrafi lidie di una lettera a forma di 8con suono di F, che trova corrispondenza nell’al-fabeto etrusco a partire dal VI sec. Pare inoltreche all’evoluzione grafica di quel segno in Lidiacorrisponda la stessa evoluzione in Etruria. Indi-zio possibile questo d’una continuità di contatti. A Gravisca, infine, durante il VI sec., si vene-

ravano le stesse divinità dei riti Misterici diLemno e Samotracia: Vea-Demetra, Core, i Dio-scuri e Apollo.Se ci furono migrazioni dall’Oriente, la loro

più importante meta dovette esser Tarquinia. Unaragione in più sta nel fatto che è da questa cittàche poi iniziò la conquista della regione e la dif-fusione dell’aruspicina. Sul piano mitostorico,Tarconte, venuto dall’Oriente, costituisce l’aru-spicina, fonda Tarquinia e, in subordine, tutte lecittà dell’Etruria e della valle Padana. Sul pianoarcheologico, il primato dell’area che apparterràalla lucumonia di Tarquinia si era già manife-stato dal XIV secolo coi contatti col mondo mi-ceneo documentati a monte Rovello, SanGiovenale, Blera, e in una tomba della stessa Tar-quinia. Per l’età compresa fra Bronzo finale eprimo Ferro, l’insediamento del Calvario di Cor-neto (Tarquinia), è il più vasto che si conosca. Ilmateriale, poi, ritrovato nelle necropoli dei poggidi Tarquinia, e soprattutto quello delle necropolidi Corneto (Arcatelle, Le Rose, Villa Falgari) èpiù antico di quello che dello stesso tipo si ritrovanella restante Etruria e nella Padania. IL PROBLEMA DELLA LINGUA Pare che nell’Etrusco coesista una struttura

grammaticale affine all’indoeuropea con un

fondo di vocabolario in molti casi estraneo all’in-doeuropeo, e privo di riscontri.In questi casi, ove si presuma la venuta di stra-

nieri, i linguisti ritengono che la struttura gram-maticale derivi dalla lingua degli immigranti,mentre il lessico sia quello della popolazione lo-cale. Hencken ritiene che, nel caso dell’Etruria,agli inumatori dell’età del Bronzo si siano so-vrapposti gli incineratori indoeuroperi dell’etàdel Ferro venuti da nord via mare e approdati aTarquinia21. C’è chi dice invece che gli immigratierano venuti dal vicino Oriente. Se, come le ana-lisi dell’equipe di Barbujani hanno dimostrato, ilDNA degli scheletri Etruschi ha qualche affinitàanche con quello di alcune odierne popolazionigermaniche, entrambe le provenienze dovrebberoaver concorso alla formazione del popolo etru-sco. Per quanto riguarda la componente orientale,

il noto glottologo bulgaro Vladimir Georgiev haanalizzato il nome Etruria. Secondo lui, questodiscende da una forma ittita del nome di Troia(*Trusia > lat. Etruria); la lingua etrusca derivada un dialetto ittito parlato a Troia e nell’isola diLemno; il nome Tarquinia e Tarconte discende daquello “della suprema divinità ittito-luvia, Tar-hunt”22. Dalle premesse linguistiche il Georgiev ha

conseguito che, dopo la rovina di Troia, granparte degli abitanti emigrarono in più luoghi, sìche lo stato troiano si ridusse ad un piccolo terri-torio costituito dalla Troade meridionale, dallaMisia occidentale, dalla Lidia settentrionale edalle vicine isole di Lemno ed Imbro. Il ricordodella migrazione fu così conservato come unaleggenda lidia nel racconto di Erodoto. Al tempodi questo storico (V sec. a.C.), infatti, la Lidiacomprendeva la Troade e la Misia; e tutte e treparlavano lingue simili fra loro. La colonizzazione dell’Etruria, dice il Geor-

giev, non riguardò tutto il popolo troiano. Unaparte di esso andò a stabilirsi presso gli Elimidella Sicilia, e solo più tardi emigrò in più tempie a gruppi isolati “in alcune zone delle costedell’Etruria a Tarquinia, Cere, ecc.”. A poco apoco i Troiani si integrarono nella popolazionelocale influenzandola e restandone influenzati23.Dopo il Georgiev, altri studiosi, come Franci-

sco Adrados24 e Onofrio Carruba25, hanno riscon-trato nell’Etrusco notevoli componenti dellelingue indoeuropee dell’Anatolia, quali l’Ittito, ilFrigio, il Licio ed in minor misura il Lidio.

NOTE1 C. Vernesi e altri, The Etruscans: a Popula-

tion-Genetic Study, “American Journal ofHuman Genetics”, March 2004; Serial coales-scent simulations suggest a Weak genealogicalrelationship between Etruscans and modern Tu-

TARQUINIA – Tomba dei tori (VI sec. a.C.) Divinità etrusca con forma di toro (Tarhun?)

Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007 3

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scans, “PNAS”, May 2006.2 A. Achilli e altri, Mitochondrial DNA Varia-

tion of Modern Tuscans Supports the Near EsternOrigin of Etruscans, “American Journal ofHuman Genetics”, aprile, 2007, pp.759-768. 3 M. Pellecchia e altri, The mystery of Etru-

scan origins: novel clues from Bos taurus mitho-condrial DNA, “Proceedings of the RoyalSociety”, January, 2007.4 Strabone, V, 2.5 Mirsilo, in Dionigi d’Alicarnasso, Antichità

Romane, I, 23-24; 28.6 Lattanzio, Scoli alla Tebaide di Stazio, IV,

224; D. Briquel, Les Pelasges in Italie, Roma,1986.7 Scolio Iliade, XVIII, 219. D. Briquel, cit. , p.

267.8 Strabone, XIII, 3; Conone, 61. 9 Erodoto, Storie, I, 56; 57; II, 51; IV, 145;

Diodoro, V, 47-49.10 Virgilio, Eneide, III, 170; VII, 205-242.11 Erodoto, cit. , I, 57.

12 Dionigi d’Alicarnasso, cit. , I,23; 28.13 J. Mellaart, Dove nacque la civiltà, Roma,

1981.14 G. Farina, I popoli del mare, “Aegyptus”, I,

1920.

15 Omero, Odissea, XI, 519.16 Excerpta Latina Barbari; Stefano Bizantino,

Tarchonion.17 Xanto Lidio, in Dionigi Alicarn. cit., I, 28;

Erodoto, cit. , I, 94.18 G. Quispel, Gli Etruschi nel Vecchio Testa-

mento, “StEtr”, 1940, p. 411.19 Cicerone, Divinazione, II, 50.20 Giovanni Lido, De Terremotibus, 58.21 H. Hencken, Tarquinia, Villanovians and

Early Etruscans, Cambridge, 1968, p. 427.22 A. Palmucci, La figura di Tarconte: un ponte

mitostorico fra Tarquinia e Troia, in Anatolischund Indogermanisch (Anatolico ed indoeuropeo),Acten des Kolloquiums der IndogermanischenGesellschaft, Pavia 22-25 Settembre 1998 (Uni-versità Studi Pavia, dipartimento Scienze Anti-chità), Innsbruck, 2001, pp. 341-353.23 V. Georgiev, La lingua e l’origine degli

Etruschi, Roma, 1979.24 F. Adrados, Etruscan as an IE Anatolian

language, “JIES”, 107, 1994, p. 363 sg. ; Moreon Etruscan as an IE-Anatolian Language, “KZ”,107, 1994, p. 54 sg.25 O. Carruba, Nuova Lettura dei Cippi della

Tunisia, “Athenaeum”, LIV, 1976.

TARQUINIA – Tomba dei tori (VI sec. a.C.) Raffigurazione generica di toro maremmano

4 Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007

Il nostro gruppo ha un vecchio computer, possoutilizzarlo a costo 0?Certamente! Escludendo – per non dilungarci

oltre il dovuto – i computer particolarmente ob-soleti, che richiederebbero particolari configura-zioni e non permetterebbero la piena operativitàad “uso ufficio”, e le macchine Apple, ancorapoco diffuse, prendiamo in considerazione unnormale PC di qualche anno di vita, diciamo nonpiù vecchio di 8/9 anni.Non toccherò, con questa risposta, tutti i punti

necessari, come collegamento ad internet, instal-lazione della stampante, particolari applicativi oi dettagli dei programmi elencati: la rubrica hacome scopo quello di indirizzare il lettore versoalcune soluzioni ottimali di base, non certo uni-che o “migliori” in assoluto. Se volete ulterioresupporto consiglio di fare visita ad uno dei tantiLinux User Group italiani www.linux.it/LUG/che, solitamente, offrono volentieri e gratuita-mente supporto per rimettere in piedi il vecchioPC con soluzioni open source (cfr. a codiceaperto, quindi gratuite).Parte I, sistema operativo, antivirus ed Office – Come base dobbiamo avere il sistema opera-

tivo: molto probabilmente è già presente Micro-soft Windows 95/98/2000/XP (prodottocommerciale che detiene quasi il monopolio sulmercato), il che andrebbe bene al nostro scopo; inquesto caso, con il CD originale, è consigliabilereinstallare il sistema avendo cura di formattare(cioè cancellando completamente) il disco rigido,in modo da ripartire da zero (evitando dunqueeventuali virus, rallentamenti e problemi di altrasorta). In caso non ci fosse Windows o la copia pre-

sente non fosse originale possiamo installareUbuntu, sistema operativo Linux semplice, com-patibile e gratuito. Lo si scarica da www.ubuntu.it (c’è anche l’op-

zione che permette di farselo inviare tramiteposta tradizionale); la guida in italiano disponi-

bile su help.ubuntu-it.org . Una volta in possesso del sistema operativo è

fondamentale – di questi tempi – un antivirus. Diefficienti e gratuiti ce ne sono molti, molti di essiperò non possono essere utilizzati se non per usopersonale: tra questi l’ottimo Grisoft AVG Anti-virus Free Edition, scaricabile dal sito free.gri-soft.com. Per il gruppo dunque la scelta ricade suClamWin, reperibile su www.clamwin.com.Questo antivirus non funziona automaticamente:

va avviato periodicamente per controllare il com-puter e bisogna aver la cura di tenerlo aggiornato(il programma vi chiederà di scaricare gli aggior-namenti da internet).Entriamo ora nel vivo della questione, perso-

nalizzando il PC in modo da renderlo adatto aduso ufficio (quindi utilizzabile per elaborare let-tere, bilanci, schedari, volantini, etc.). La scelta,vista la completezza e la diffusione, ricade suOpenOffice.org (in italiano), scaricabile dal sitoit.openoffice.org: praticamente identico al com-merciale Microsoft Office, include al suo internoWriter (word processor, come MS Word), Im-press (per le presentazioni, come MS Power-Point), Calc (foglio di calcolo, come MS Excel),

Draw (per realizzare volantini o disegni) e Base(per i databases, come MS Access).Fondamentale, per chiudere il cerchio intro-

dotto con il precedente capoverso, è la creazionee visualizzazione PDF. Questo formato – letteral-mente Printable Document Format, formato didocumento stampabile – assicura che un docu-mento, portato su un qualsiasi altro computer,come se fosse una “fotografia” dell’originale(non modificabile naturalmente), venga visualiz-zato e stampato correttamente (per altre informa-zioni http://it.wiki pe dia.org/wiki/Pdf ). Per fare PDF di buona qualità basta installare

PrimoPDF, reperibile da www.primopdf.com:esso creerà una finta stampante che prende ilnome dal programma, su cui “stampare” i docu-menti (una volta inviato chiederà dove salvare il.pdf generato).Per visualizzare tali documenti bisogna invece

dotarsi di Adobe Reader, scaricabile dawww.adobe.com/it/products/acrobat/readstep2.html .Ora il PC in vostro possesso è pronto per essere

utilizzato presso la vostra sede, nella prossimapuntata approfondiremo l’uso di internet, posta emedia in generale.

L’esperto risponderisponde Joshua Cesa –[email protected] , del G.A. Goriziano, esperto in informatica

Hai una domanda da porresu informatica, legislazione,etc.?

Scrivi a

[email protected]

http:www.sto-riaarte.altervi-sta.orgDa circa un mese

è sul web, per il soloLazio meridionale,un indice degli argo-menti di storia, ar-cheologia e storia

dell’arte. Il sito, con splendide foto,verrà imple-mentato con riferimento ad archeologia italiana edel resto del mondo. L’indice è alla pagina:http://www.sto riarte.altervista.org/indice -

lazio/in dex.htm

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Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007

Città morte, un’espressionenemmeno tanto fantasiosa ed evo-cativa più di funebri presagi, chedi passate glorie e nascoste ric-chezze storico – archeologiche.

Nella Campagna Romana,appena a nord della Capitalel’unica città morta conosciuta, stu-diata e visitata è Galeria, l’anticaCareia, di recente salvaguardatacon l’istituzione di un’area protet-ta, sulla via Clodia.

In realtà a pochi chilometridalla stessa Galeria altri insedia-menti, che nell’ antichità conobbe-ro splendore ed importanza atten-dono di uscire dall’ anonimato e diricevere maggiore attenzione daparte di studiosi e di un più vastopubblico sensibile alla dimensioneambientale del turismo. Non sitratta di torri isolate o di sbrec-ciati castelli, ma dei resti di comu-nità già vive e presenti fin dalperiodo etrusco.

Nel cuore di un territorio anco-ra non completamente devastato,tra i silenzi dei corrugamenti plio-cenici, interessanti scoperte ciattendono.

Ed oggi ce ne andiamo a CastelCampanile…

La strada, che congiunge la via

Braccianese – Claudia all’ Aurelianon è molto larga e sale e scendecontinuamente seguendo le ondula-zioni del terreno. Si attraversanozone a pascolo ed a seminativo,piccole valli che si aprono all’oriz-zonte verso il mare.

Ad un certo punto, a circa quat-tro chilometri da Palidoro, ti fermidavanti ad un’insegna di un agritu-rismo, dove si legge: “ Casale delCastellaccio”. Ti chiedi il perchédi un tal nome.

La fantasia e la memoriacominciano a lavorare: il toponimocastellaccio non è insolito nellaCampagna Romana e non ha nem-meno un significato dispregiativoperchè sta ad indicare, nella tradi-zione popolare, un non meglio pre-cisato insediamento fortificato,vecchio più che antico.

Ma perché proprio quel nome eperchè proprio lì?

Chiedi chiarimenti e spiegazio-ni ai proprietari dell’ agriturismo,in verità piuttosto sorpresi che cisia qualcuno più interessato allastoria di un nome piuttosto che alleloro specialità gastronomiche.

Tutto quello che sanno dirti cheproprio ad un tiro di schioppo dall’agriturismo, dall’altra parte della

valle, incisadalle pigreacque delfosso delTavolato, cisono dei rude-ri e delletombe etru-sche.

In veritàdi quello cheil Tommasettid e f i n i v a“castello for-tissimo egrande“ orar i m a n g o n opoche ma pos-senti rovinesu un acroco-ro tufaceodella lunghez-za di circa sei-cento metri,che dominaun modesto er o m a n t i c oavvallamento.

E p p u renell’ altomed i o e vo ,C a s t e lCampanile,insieme aCerve t e r i ,Ceri e Sant’A n g e l oc o s t i t u i v auno deipochi abitatitra l’Aurelia e ilf i u m eArrone.

Le strut-ture murariee s i s t e n t isono relativealla chiesaed allarocca. Il latoovest dell’acrocoro sipresenta apicco sullavalle delfosso delT a v o l a t omentre glialtri lati appaiono difesi anche daun muro di cui si conservano scar-se tracce. L’insediamento è divisoin tre zone da due fossati artificia-li. Nella parte nord del pianororimangono i resti di due torrette apianta rettangolare e una parete incementizio con paramento a bloc-chetti irregolari attribuite dal DeRossi ad una chiesa. La rocca verae propria occupa la zona meridio-nale, separata dal resto dell’inse-diamento da uno dei due fossati epresenta un autonomo sistema difortificazione.

Di fronte al castello, nella rupetufacea di Pizzo del Prete, è scava-to un ambiente a pianta irregolarecontenente 552 nicchie. E’ probabi-le che si tratti di una strutturamedioevale per l’allevamento deicolombi.

Secondo il Tomassetti ed ancheil Nibby, che qui condusse alcuniscavi nel 1824, si tratterebbe diArtena, antico castello cerite. Manon tutti gli autori sono con con-cordi con questa collocazione.

Quello che rimane può far pre-sumere un importante insediamen-

to, prima etrusco, poi romano edinfine medioevale, a tutt’oggi scar-samente studiato. Da ricognizioninell’ area del castello, di recentesconvolta da sbancamenti e scaviabusivi, è risultato che non visono state frequentazioni anteriorial medioevo.

Le prime notizie dell’insedia-mento medioevale risalgono al1007: in questa data su una perga-mena di Santa Maria in via Latacompare l’esistenza di un FundusCampaninus,

Di Fundus Campaninus siparla pure in un documento delladiocesi di Porto e Santa Rufina,mentre nel 1254 nel testamento diAlberto dei Normanni compare unCastellum Campanilis.

Nella prima metà del ‘400, unanota dell’ elenco del Sale e delFocatico permette di stimare lapopolazione del borgo in circaottocento abitanti.

Sempre secondo il Tommasettila cittadina fortificata fu abitatafin oltre il secolo XVI e tra le suemura fu sepolto Gianandrea degliAnguillara, poeta di fama, che tra

Silvio Vitone Itinerari nella Campagna RomanaLe città morte dell’ Agro Aurelio

CASTEL CAMPANILE

Pagine regionali: LAZIO5

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Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007

dusse in italiano le Metamorfosidi Ovidio.

Nel secolo XV il castello persedi importanza forse a causa dellasua posizione su una strada divenu-ta secondaria e quindi non piùpunto strategico.

All’interno di Castel Campanilei Templari possedevano la chiesadi San Lorenzo. Questa chiesa ècitata negli atti del processo tra iTemplari e lo Stato della Chiesa.

Viene riferito dal Tomassettiche che la chiesa di San Lorenzo sitrovava, come spesso capita per lecostruzioni di carattere religiosodella Campagna Romana, fuori delcastello. Alla chiesa di San Lorenzoprobabilmente apparteneva anchela tenuta nei di presso di CastelCampanile che confinava con il ter-ritorio di Ceri ed aveva un’esten-sione di circa 70 rubbia seminabi-li ( circa 129 ettari ) come risultadall’ inventario dell’ di San

Giovanni dei Templari del 1339. Nella carta del catatasto

Alessandrino, il castro antico èancora ben visibile. Dal Settecento,con la tenuta passata ai Borghese,il borgo cessò di vivere.

Una menzione a parte meritaanche il cosiddetto Casale di CastelCampanile che si incontra due chi-lometri prima lungo la strada deno-minata appunto Casale di CastelCampanile.

La lunga vicenda giudiziariatra il Capitolo di San Pietro e glieredi di Giovanni Stefano deiNormanni si concluse con la spar-tizione della tenuta e la costruzio-ne del Castrum Novum CastriCampanilis.

E’ risaputo, inoltre che la tenu-ta, o parte di essa era nel Trecento,una delle quattro proprietà dell’ordine dei Templari nell’ AgroRomano.

6

Franco Occhio

AQUARIA RIPRENDE L’ATTIVITA’Lo scavo della montagnola e abbellimento del MuseoDopo la pausa feriale, riprende

il sabato archeologico, con il labo-ratorio didattico di scavo presso lamontagnola del Bosco Vecchio.

Il setacciamento dello stratosuperficiale del terreno (che anni faera stato ammassato in previsionedell’ampliamento della cava diargilla su un terreno che in seguitoera risultato di alto interessearcheologico e quindi vincolatodalla Soprintendenza), ha già datorisultati interessanti.

Ma il lavoro, che non può inalcun modo danneggiare le struttu-re antiche in quanto il materiale ègià stato divelto dal suo luogo ori-ginario, è comunque un’ottimaoccasione per imparare le tecnichee le cautele che devono essereseguite durante uno scavo archeolo-gico.

Il gruppo dei ricercatori sta manmano aumentando di numero edimostrano il loro interesse nonsolo ricercatori del nostro comunema anche giovani che provengonodalle zone vicine.

La presenza dell’IspettoreOnorario Moro Omobono è lagaranzia affinché tutto si svolga nelmassimo rispetto delle norme e chei reperti eventualmente recuperatisiano subito sommariamente cata-logati e poi conservati presso ilMuseo Aquaria di Gallignano adisposizione della SoprintendenzaArcheologica.

Un’altra iniziativa di prestigio èquella di rendere sempre più attra-ente il piccolo Museo diGallignano.

In collaborazione con il GruppoDECA, e particolarmente con l’ar-tista Rita Giuliani, stanno per esse-re predisposti dei grandi pannellidipinti che andranno ad abbellirel’atrio del Museo stesso.

I quadri, che hanno scopo didat-tico, rappresenteranno le caratteri-stiche essenziali del paesaggio edelle popolazioni che hanno abitatole nostre terre nell’antichità: i pri-mitivi con le loro capanne sullepalafitte in mezzo alle paludi, i celtiche portarono l’arte della lavorazio-ne dei metalli e i romani che, dopo

la conquista, qui si stabilirono sulleterre centuriate.

E’ già stato posto in opera ilpannello che riproduce centurionidell’esercito romano pronti all’as-salto.

Sarà un colpo d’occhio di gran-de effetto che dovrebbe colpire il

visitatore e predisporlo ad unaosservazione più consapevole deireperti conservati nelle vetrine delpiccolo Museo.

Chi fosse interessato alo scavodidattico del sabato, potrà telefona-re allo 0374-860950 oppure contat-tarci in internet all’indirizzo [email protected]

Un CD di Aquaria Invito al museoIl Gruppo Archeologico

Aquaria ha realizzato un CD daltitolo “Invito al Museo”, per cerca-re di aumentare l’interesse per ilpiccolo Museo di Gallignano gesti-to in proprio dal Gruppo stesso.

Una prima carrellata si fermasul paesaggio della zona archeolo-gica e sulla chiesetta dellaMadonna di Villavetere dove il pre-sentatore ripropone la storia del-l’ara di Giove, rintracciata propriopresso il piccolo Santuario nel lon-tano 1796 e della quale si sonoperse le tracce.

Poi viene ricordato il ripostigliodi attrezzi di metalli e di pani dibronzo, scoperto nel 1882: solo percaso si è venuti a sapere che i reper-ti si trovano esposti presso il Museodel Castello Sforzesco di Milano.

Alla fine, davanti alle limpide

acque delle Fontane Sante il pre-sentatore parla del corredo del mili-tare celtico trovato nella tomba rin-venuta nel 1963 proprio sulla spon-da dell’antico lago Gerundo ma chepuò essere visto presso il Museo diCrema.

Sono queste tre esperienze chehanno motivato i fondatori delGruppo Archeologico a lavorareaffinché tutti i reperti che in qua-lunque modo fossero venuti allaluce nel territorio potessero rimane-re vicini al luogo del ritrovamento atestimonianza della storia del nostriantenati.

Le immagini quindi si concen-trano sul Museo, viene inquadratala targa in cotto che ricorda la gene-rosità della Famiglia Covi che haposto a disposizione i locali e vieneproposta la visita al Museo con leimmagini dei reperti delle vetrine

su alcuni dei quali viene attirata laparticolare attenzione del visitatore.

Al termine, dopo le immaginidel significativo monetiere, vengo-no proposte le immagini delle pub-blicazioni che in questi anni sonostate fatte da Aquaria e si rinnoval’invito ad una visita personale.

E’ una mezz’oretta di filmatosnello ed interessante.

Il CD è disponibile anche perscuole e per le Associazioni.

Chi desiderasse averne unacopia potrà farne richiesta presso ilGruppo. (tel. 0374-860950 – Fax0374-85695 –E.mail [email protected]).

La nuova terracotta dellaSantella di San Gabriele:nel vanoinferiore sono conservate le ossaumane raccolte nei campi vicini.

I viaggi studio del GAR del 2008- serie giovani

TURCHIA - ISTANBUL Dal 18 al 25 marzo€ 650,00

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7Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007

«Si trovano vestigia di unamagnificenza e di uno sfaceloche superano la nostra immagi-nazione.

Ciò che hanno rispettato ibarbari, l’han devastato icostruttori della nuova Roma».

«FORTUNATAMENTE, NOI AVEVAMOGIÀ TOCCATO QUELL’ETÀ IN CUI LARAGIONE VIENE A SOCCORSO DELL’IN-TELLIGENZA…».

J. W. GOETHE

– Excuse me, where is theLudus magnus, please?

– Sorry, but today in Romethere is only the Luridus magnus!

Allo stato attuale delle cosedovremo rispondere così allo stra-niero che chiede informazioni circal’ubicazione del Ludus magnus,monumento il cui livello d’impor-tanza è secondario ormai a quellod’abbandono e che da segno didegrado ne è diventato simbolo.

Il complesso ricadeva all’inter-no della II regio augustea ed è postoimmediatamente a est del Colosseo– cui è collegato da un passaggiosotterraneo – compreso tra le vieLabicana e San Giovanni inLaterano. La realizzazione si farisalire a Domiziano (13 settembre81 - 18 settembre 96) e, com’ènoto, l’edificio, interamente inopera laterizia, era sede della prin-cipale caserma dei gladiatori (vd.modello ricostruttivo) che com-prendeva un’arena per lo svolgi-

mento degli allenamenti e gli allog-giamenti per i gladiatori stessi.Secondo le fonti antiche, verificatein parte con sondaggi e in parte tra-mite l’esame dei frammenti dellaForma Urbis severiana, nei dintornidovevano sorgere anche il Ludusmatutinus (destinato ai bestiarii), ilLudus gallicus e il Ludus dacicusoltre a tutta una serie di edifici di“servizio” che svolgevano i molte-plici compiti connessi ai giochi delvicino anfiteatro Flavio, come iCastra misenatum (riservati aimarinai della flotta di Miseno inca-ricati di manovrare il velario), lospoliarium (dove erano svestiti icorpi dei gladiatori morti), il sania-rium (locale di cura per i gladiatoriferiti) e l’armamentarium (il depo-sito delle armi gladiatorie). Tuttaviameno della metà del complesso per-tinente al solo Ludus magnus èstato riportato alla luce (e per que-sta volta viene da esclamare: fortu-natamente!), la restante parte con-servatasi si estende sotto l’area rac-chiusa dalle vie San Giovanni inLaterano e dei Santi QuattroCoronati comprendente l’isolatoposto tra queste.

La storia del sito è abbastanzainfelice e dal sapore tipicamenteitaliano. La scoperta risale al 1937,ma gli scavi, interrotti per gli even-ti bellici, furono ripresi e terminatisolo negli anni 1959-61. Da alloraun silenzio di assenza e degrado è

calato sull’intero complesso monu-mentale.

Oggi la situazione è a dir pococritica, l’incuria dell’edificio – deltutto abbandonato alle ingiurie delclima e del tempo – ha portato aevidenti segni di cedimento e didisgregazione delle opere murarie(foto sottostante).

A ciò recentemente si è aggiun-ta l’apertura di alcuni locali di ten-denza nella limitrofa via SanGiovanni in Laterano, nulla di pre-occupante se non fosse che la con-tinua presenza all’aperto, lungo lastrada, di decine di ragazzi che ognifine settimana s’incontra per degu-stare birre e quant’altro, sta contri-buendo notevolmente – e inevita-bilmente – a trasformare il Ludusmagnus in una discarica a cieloaperto, dove all’osservazione delcalcestruzzo romano, delle architet-ture e dell’opus spicatum dei pavi-menti si è sostituita quella dellemarche di birra (Ceres e Bud sem-brerebbero le più gettonate), paginestrappate di riviste, lattine, tova-glioli da bar, bicchieri di plastica ealtro ancora. Ovviamente non man-cano neanche resti di panini e lebottigliette di plastica, oggetti que-sti facenti parte del tipico “arma-mentario” posseduto dal turistamedio(cre). Lungi da noi il volerprivare qualcuno dal beneficiare ditali libagioni, ma almeno si discutala scelta del luogo dove queste

avvengono.In definitiva le ingiurie subite

dal tempo appaiono un’inezia seposte a confronto con le offesecommesse dall’uomo, per suanegligenza e per la sua stoltezza, edè altresì avvilente constatare perl’ennesima volta, ma purtroppo maiultima, il degrado materiale e mora-le di questi siti. E provoca ancorapiù sconcerto quando a giacere inun tale stato di mal conservazione èun importante nucleo archeologico,peraltro così legato e prossimo alColosseo (visitato da diversi milio-ni di individui l’anno).

La tutela e valorizzazione deisiti di notevole valore storico-cultu-rale, come quello in questione, è unimpegno che il GAR ha ogni voltafatto proprio, affrontandolo semprecon legittima prontezza e ampiacompetenza. Nelle battaglie per ladifesa del patrimonio culturale nonsempre siamo potuti essere in primafila, ma questo perché non sempreci sono state delle file… Così spes-so ci siamo ritrovati da soli. Solonoi, ma pur sempre noi, con lanostra passione e la nostra cultura.Noi che desideriamo, amiamo farequalcosa. Noi che diciamo basta,noi che vogliamo aiutare chi troppo

spesso ci vede avversari da combat-tere più che preziosi alleati su cuicontare, noi nuove leve del GAR,noi che non c’eravamo ma avrem-mo voluto esserci, per vivere gior-nate memorabili come quella dellontano 1973 di Largo Argentina,nell’Area Sacra.

Al Ludus magnus va ridatoil suo giusto collocamento nellastoria, in quella storia che sempreinsegna, ma da cui l’uomo nonsembra imparare mai.

LV (RI) DVS MAGNVSL’abbandono e il degra-do del notorio complessoarcheologico posto a duepassi dall’anfiteatro Flavio.

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Nuova Archeologia - set.-ott. 20078Ritrovamento al la necropol i etrusca del la Bandi taccia

Commento della redazionea cura di Giorgio PoloniLa ricerca e i lavori sono durati quattro anni. Dalla convenzione stipulata con la Soprinten-denza Archeologica nel 2003 ad oggi, la Sezionedi Cerveteri del Gruppo Archeologico Romano hascavato, setacciato e smaltito qualcosa come 400camion di terra, portando alla luce una grandepiazza sacra e una serie di ulteriori ritrovamenti,reputati tra i più importanti dell’intera necropoli. La piazza, che si trova di fianco alla Tomba delleCinque Sedie, è raggiungibile tramite due scalein ottimo stato di conservazione scavate nel tufo.Infatti è situata cinque metri sotto il livello stra-dale ed era evidentemente riservata a cerimoniesacre. Su di essa si affacciano gli ingressi di ben11 tombe, due delle quali ritrovate completamenteintatte.Esse hanno restituito due corredi funerari integridi 30 pezzi, tra cui una oikonoe dipinta con fiori di

loto, due specchi bronzei, di cui uno con le figureincise di Leda e il Cigno, un vaso del VI sec. condipinti due atleti in corsa, 35 cippi funerari a co-lonna e a casetta, rispettivamente per gli uomini eper le donne.La stampa locale e quella nazionale, nel diffon-dere la notizia dei ritrovamenti, hanno espressolusinghieri apprezzamenti per la competenza e lapassione dimostrata dalle socie e dai soci della Se-zione.Hanno parlato di queste scoperte il TG Regionale,i quotidiani Il messaggero, il Tempo, Il Giornale,e una troupe di Sky ha documento l’intera zona.Nei giorni successivi il sito è stato visitato dal di-vulgatore televisivo Alberto Angela e da unatroupe di Sky, ma soprattutto da illustri archeologistranieri: Sibille E. Haynes, già direttore del Bri-tish Museum di Londra e docente all’università diOxford e Friedrhelm Prayon, docente di archeolo-gia classica all’Università di Tubinga, accompa-gnati da funzionari della Soprintendenza e dalla

infaticabile ed entusiasta responsabiledella Sezione, Vittoria Carulli.

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Dal sito http://www.ilmondodimauroelisi.it/

Stralcio dell’intervista rilasciata dalla scrittriceDiletta Nicastro,

“Quando ho letto questa notizia su Il Corrieredella Sera mi sono emozionata. Sono stata a Cer-veteri due volte in vita mia e la reputo bellissima.Pensare che la zona si sia arricchita ulteriormentemi fa davvero piacere. Leggere, per esempio, delritrovamento dello specchio bronzeo con inciso ilmito di Leda e il Cigno o di un vaso risalente al VIsecolo con dipinti due atleti in corsa, mi ha dato ibrividi”.

“E’ esattamente questo”, continua la Nicastro,“quello che mi affascina del Patrimonio dell’Uma-nità. Ovunque ci si volti c’è una nuova storia, unnuovo messaggio che ti arriva dal passato, vicino olontano che sia. E ci insegna qualcosa che appartienea tutti noi. Vorrei davvero dire grazie al Gruppo Ar-cheologico Romano, perchè con il loro infaticabilelavoro e la loro intuizione hanno donato a tutti noi(e quando dico tutti, intendo il mondo intero) un re-galo davvero prezioso”. “Ora sono curiosa di sapere quello che gli studiosi egli esperti comprenderanno grazie a queste nuovescoperte. Perchè, come sempre, ogni ritrovamento èsolo l’inizio di una nuova, splendida avventura”.

A ridosso della Tomba delle Cinque Sedie, una splendida piazza, riportata allaluce dopo 2.600 anni, scavata nel tufo a circa 5 metri sotto l'attuale livello delterreno, era riservata alle cerimonie sacre. Ben 11 tombe, di cui 9 a camerae 2 a fossa e 2 di bambini si affecciavano sulla stessa

L’inaugurazione IL 4 ottobre 2007 il sito è stato aperto al pubblico alla presenza divarie autorità, ricevute dalla Soprintendente dottoressa Anna MariaMoretti e dal Commissario Straordinario di Cerveteri dottor RaffaeleBonanno. Erano presenti tra gli altri la dottoressa Rita Cosentino, ispettrice di zona della Soprintendenza, il Prefetto Mosca, una rappresentanza delT.P.A. dei Carabinieri e una della Guardia di Finanza, gli Assessori alla cultura della Provincia e della Regione.

La cella di sinistra presentacinque piccole poltrone adelementi lineari, con spallieracruciforme, poggioli chescendono dall'alto verso ilbasso e sgabelli poggiapiediil tutto scavato nel tufo. Le 5statuette, in terracotta, a fi-gura umana, in vesti cerimo-niali del tardo periodoorientalizzante, in atto di com-piere un'offerta rappresente-rebbero le coppie dei genitorie il nonno capostipite della fa-miglia.

Mostriamo l’interno di due, delle quattro tombe, chesi affacciano sulla piazza. L’una è databile intorno alIV secolo a.C., l’altra, che si trova immediatamentesotto la Tomba delle Cinque Sedie, è databile intornoal V secolo a.C. Particolare del cunicolo presentenella tomba del V secolo, e che probabilmente rego-lava il drenaggio del Sepolcro delle Cinque Sedie…

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Il “labirinto“ è uno dei tanti misteri dell’egit-tologia su cui molti hanno indagato e scrittosenza arrivare a nessun risultato sia sulla corri-spondenza delle ricerche archeologiche con i testidegli antichi storici, sia sulla sua effettiva fun-zione.

Lo stato attuale del sito e dei pochi ruderiche si trovano a Sud della piramide di Amenem-hat III non consente di identificare la struttura ar-chitettonica del complesso (fig.1).

Le testimonianze di Erodoto, Strabone eDiodoro confermano indubbiamente la sua esi-stenza e la sua importanza in termini di vastità edipotizzano anche una funzione cultuale e ammi-nistrativa.

Sulla descrizione di Plinio il vecchio esi-stono dubbi in quanto alcuni studiosi dubitanoaddirittura che il sito sia stato visitato dallo sto-rico.

Si disse che in epoca tolemaica le restantistrutture furono utilizzate come cava di pietre mala descrizione di Strabone (de visu nel 25 a.C.)sembra smentire questa ipotesi: la grande can-nibalizzazione fu quindi posteriore ed effettuataforse dai romani e dagli arabi.

Dopo le descrizioni di Diodoro, Strabone ePlinio non risulterebbero altre testimonianze sto-riche fino al Rinascimento quando ritornò uncerto interesse per le antichità classiche.

Sulla base della descrizione di Erodoto,Athanasius Kircher (1602 –1680) elaborò una

fantasiosa ricostruzione più ispirata ai mosaicipompeiani che ai canoni egizi ma che rappresen-tava tuttavia i 12 cortili con i lunghi corridoi eforse an che (avendo la pazienza di contare) le1500 camere (fig.2).

Dopo lo studio di Kircher dovranno trascor-rere circa due secoli per trovare un rinnovato in-teresse all’archeologia egizia da parte diNapoleone che pro mosse un enorme lavoro di ri-cerca durante la campagna militare d’Egitto del1798/99 , ma sia “La Description d’Egypte “ cheil diario di viaggio di Vivant Denon non parlanodel “labirinto” anche se Denon descrive il Fayumed il lago Meride: evidentemente i ruderi passa-rono inosservati forse perchè la vicina piramidedi Amenemhat III in rovina non era di evidenteinteresse archeologico.( fig.3).

Le prime ricerche con scavi in sito furonoiniziate dalla spedizione prussiana condotta daRichard Lepsius nel 1840 che fu il primo ad attri-buire le rovine di Hawara al tempio funerario diAmenemhat III ( la decifrazione dei geroglificidi J.F.Champoillon è del 1829, Lepsius ebbemodo di studiarli ed individuare il nome).

Poichè non trovò nulla di interessante sulsito del “labirinto”, spostò gli scavi sulle nume-rose tombe di epoca romana che si trovavano in-torno e che davano alla luce reperti di maggioresoddisfazione anche economica.

Scavi più approfonditi furono condotti dal-l’archeologo inglese Flinders Petrie nel 1888 madeluso anche lui dagli scarsi riscontri ritrovati sirivolse alle tombe romane trovando numerosi di-pinti, mummie e ritratti di personaggi della riccaborghesia dell’epoca ( oggi questi capolavorisono conosciuti come i “Ritratti del Fayum” esono conservati sopratutto nei musei inglesi efrancesi).

Flinders Petrie riprese ancora gli scavi nel1911 sempre senza scoperte significative ma

ebbe il merito di pubblicare i risultati delle ricer-che con planimetria del sito ed azzardò anche unaparziale ricostruzione del “ labirinto” con il suoposizionamento a Sud della piramide indivi-duando una presumibile superficie occupatadall’edificio di ca. 28.000 m2.

Più recentemente missioni di scavo belghe sisono occupate del sito di Hawara con Dieter Ar-nold (1979/80), Ingrid Blom-Boer (1989) eUphill ( 2000) ma sempre con risultati che nonapportano nessuna nuova conoscenza e non con-sentono la ricostruzione grafica del “labirinto”.

ConclusioniAllo stato attuale non si può mettere in dub-

bio l’esistenza di una struttura complessa comepure l’identificazione del sito con l’area a Suddella piramide di Amenemhat III anche se in ef-fetti non esistono riscontri sulla affermazione diErodoto (non confermata da Strabone) dell’esi-stenza di 3000 stanze distribuite su 2 piani: dagliscavi effettuati non sembra emergere l’esistenzadi un piano sotterraneo.

Considerati poi i canoni architettonici dellepiramidi costruite dal 2000 al 1800 a.C. (MedioRegno), non si trova mai una superficie cosìestesa dedicata ad un tempio funerario od altraarea cultuale attinente la piramide.

La realizzazione più complessa si riscontranella piramide di Pepi I della VI dinastia (ca.4 se-coli prima) oppure nel piazzale (scoperto) dellapiramide di Zoser (III dinastia: 2680/60 a.C.).

Quindi se il labirinto si trovava effettiva-mente in quel sito non poteva essere solo un tem-pio funerario ad occupare tutta quella superficiema qualcosa di più complesso.

Sappiamo che la prima testimonianza cono-sciuta risale al tempo di Erodoto che andò inEgitto ben 1400 anni dopo la costruzione dellapiramide di Amenemhat III ed è quindi lecito ipo-tizzare che durante questo enorme arco di tempocon le complicate vicissitudini storiche del paese,in un qualche periodo intermedio si decise di rea-lizzare una costruzione che poteva non avere at-tinenza con la piramide.

Le descrizioni di Erodoto e Strabone (se nonsono fantasiose) sono abbastanza dettagliate: lostato di conservazione doveva quindi esserebuono fino all’epoca romana.

Inoltre i 12 nomarchi citati da Erodoto sonoeffettivamente esistiti nel confuso periodo fra il1000 ed il 700 a.C. e la corrispondenza con i 12cortili potrebbe non essere casuale: non si puòquindi affermare con certezza che Erodoto hasbagliato la datazione del periodo.

Se il territorio in quel momento era diviso in12 parti ( il numero dei “nomi”variava da 32 a 42

Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007

Giorgio Agnese

HAWARAIpotesi sul “ Labirinto” di Amenemhat III

Fig. 2. Ricostruzione del Kircher

Fig. 3. Piramide di Amenemhat III

Fig. 1. Panoramica del luogo

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a causa della differenti divisioni amministrativedel territorio) il complesso poteva essere un edi-ficio cultuale/amministrativo per la gestione delPaese (forse i 12 nomi potevano essere soloquelli relativi al basso Egitto).

Erodoto dice anche che la piramide è“ ........di 40 orge situata presso un angolo dove fi-nisce il labirinto, sulla quale sono scolpite grandifigure – La strada verso di essa è fatta sottoterra........“.

Stabilito che la misura della base è sbagliatain quanto risulterebbe essere ca.106 m. anzichè73 m (40 orge), la sua affermazione potrebbe tro-vare un riscontro reale in quanto questa piramideha l’ingresso decentrato verso S/W dove difronte poteva trovarsi l’uscita del “ labirinto” co-

perto.

Si confermerebbe così anche la descrizionedi Strabone del percorso del labirinto coperto (.....salendo sul tetto si poteva vedere una unicagrande distesa di pietra.....).

Una ricostruzione grafica del labirinto ade-rente alla realtà non è possibile, ma come eserci-zio più attendibile di quello di Athanasius Kirchersi può tentare una planimetria partendo dai rilievitopografici e dalle ipotesi di Flinders Petrie checertamente aveva avuto modo di studiare il sitocome nessun altro.( fig.4)

Pino G. dell’Orco

Mura Ciclopico-Pelasgiche e Amelia

Il soggetto in trattazione ha già visto ampi epreziosi studi da parte di eminenti ricercatori etuttavia inerenti questioni e problematiche riman-gono basicamente irrisolte; l’angolo di visualedel presente studio non le risolve anzi le esasperasperabilmente verso nuovi e più specifici quadridi studio atti a superare notevoli difficoltà.

Mura cosiddette ciclopiche o pelasgiche sonopresenti in molteplici siti europei tra cui l’Italia.Denominazioni e datazioni sono per lo più dettateda espressioni o convenzioni culturali in quantopopoli così nominati permangono ignoti nonchéalquanto fantasiosi per l’archeologia, e nondi-meno non da ignorare a causa di importanti fattiarchetipi mitici e leggendari di preistoria e proto-storia: in realtà una spina nel fianco della ricerca.

Tra i più importanti esemplari di tali muraglieabbiamo quelle di Amelia, imponenti: Ameliache è detta più antica di Roma, tradizionalmentenominata appresso ad un mitico Ameroe (oAmiro) figlio di Atlante, città che su una lapideromana è detta AMERAE(1).

Curiosando nei possibili paralleli formali lon-tani, è straordinario osservare muraglie ad es. aCuzco di identica fattura nelle smussature aibordi delle pietre, tipici spigoli a incastro e mo-numentalità. Il confronto in apparenza acciden-tale, in realtà comporta grossi problemi

relativamente ad una serie difattori, rilevanti eppure nonimmediatamente verificabili,soprattutto a causa di con-venzioni attuali che a tutte leapparenze occorrerà modifi-care radicalmente verso altriorizzonti.Già la ‘discendenza’ da

Atlante di Ameroe, indi-cando cioè una provenienzanautico-oceanica dal lontanooccidente extra-mediterra-neo(2), ci permette di colle-gare l’eponimo all’etnico‘Aymara’, quanto possibil-mente al gentilizio incaico‘Ama ru’ (sicuramente an-tico), giusto per individuarele generalità dei possibili ar-tefici delle possenti mura diAmelia.Ciò affermato, è necessa-

rio chiedersi chi furono real-mente i Ciclopi e Pelasgi ;soprattutto i secondi, sicuri popoli del mare (pe-lagoi/pelasgoi): tanto importanti anche in rile-vanti storie e vicissitudini preistoriche e

protostoriche? L’interrogativo comportaineludibili oggettività.

Atlas, Okeanos, Atlantoi e Beati Occi-dentali sono ele-menti che l’archeologiaconosce, ma mai studia come materia an-tropica, deontologica, tanto meno nelle re-lative componenti e conseguenze nautiche- nel caso di Amelia invece, e non permera casualità importantissime. I tantivuoti in archeologia, che appaiono ora esa-cerbati dal “dilemma” dell’esclusione diIlio di Schliemann dal famoso contestoomerico (relegata cioè alla stregua dei tantitoponimi Troia in Europa), di certo mai sa-ranno eliminati senza accuratissimi studinautici soprattutto oceanici. Come ap-punto sarà per Troia autentica, che Omero

pone in teatro oceanico, maanche infiniti effetti miticidovranno correlarsi a taleteatro: grande, insicuro einapprofondibile quantopossa apparire a prima vista.L’archeologia della prei-

storia, che si distingue perevidenze scarne, spessocontraddittorie e mai di sin-golo contesto, non concedeche probabilità basate suapprocci fran camente argo-mentativi lasciati al ver-detto della correttezza eplausibilità degli elementiproposti. Va osservato non-dimeno, che più che un im-penetrabile mistero, ilpassato umano è in tuttaprobabilità una questionedi orizzonti, includendo inquesti le fantasie antropi-che, una vera selva.La leggenda popolare ha

dovunque attribuito a grandi ossa di sauri emammiferi l’appartenenza ad antichi ed eroicigiganti, specialmente osservando opere liticheimponenti e misteriose, spesso intessendo (o ri-correndo a storie archetipe) racconti immagi-nosi e mitici. Anche le fantasie però hanno unfondamento; e se è effettivamente necessarioricercare giganti reali, e il loro regno, l’indica-zione è su antiche carte presso la Patagonia(Gigas Regio), nonché ricorrendo a disegni set-tecenteschi delle spedizioni di Cook o Byron,dove sono raffigurati patagoni alti circa 2,20metri, e un adolescente di 8 o 10 anni apparealto come un ufficiale britannico.Ciò offre importanti considerazioni, ad

esempio sul fatto che la parola Ona *tawr-tawr‘terra-terra’ echeggia proprio il ‘Tar-taro’ osprofondo delle terre (Patagonia), del mitogreco dove furono relegati i giganti ribelli dopoil famoso conflitto con il celeste Zeus(3).

Fig.4. Ipotesi di Flinders Petrie

II patagoni

Mura di Cuzco

Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007 11

In questa rubricaospiteremo articolidi taglio partico-lare, con riletturelibere di eventistorici

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A parte giuste questioni sul perché tali ogget-tività non siano state rilevate finora, oltre all’as-senza di reperti ossei di tali giganti o individui dialtezza ge neticamente eccessiva, possiamo co -mun que chiederci quanto possano incidere, constorie remotissime, questi patagoni sui ‘Ciclopi’- dal momento cioè che l’intero continente suda-merindo su una mappa globale a Caprarola e sualtre, è chiamato El Chaco. Se il suggerimentopotrà apparire carente o non approfondibile, èpossibile comunque ricor-rere ad un altro Chac, questavolta della cultura cono-sciuta come Maya: il sensodi ‘Ciclope’ appare infattipiù chiaramente nella forma*Chac-lu-opan, Chac es-sendo il gigante (di quattro)reggente gli angoli cardinali(alias Bacab), scampato alDiluvio, lu = grande, opan =‘arrivare là’, il cui senso sa-rebbe ‘Chac del grande oriz-zonte’. Considerandoinoltre che immagini deiChacs li mostrano con unocchio (nella forma classicadi oculus) sulla fronte(4),quanto e in che modo avreb-bero inciso questi giganti neimiti dei greci attraverso Okeanos?Quanto ai Pelasgi, questi fantomatici costrut-

tori di mura (e di civiltà), li troviamo forse tra iPopoli del Mare (Atlantoi) illustrati dagli egizia Medinet Habu, distinti con copricapo piumati?Questi copricapo hanno visto continua o alternarappresentazione stereotipa di amerindi, dallaScoperta fino ad oltre il Barocco (e cfr. egizi eminoici); e piuttosto significativamente compa-iono su rilievo marmoreo nella cappella tombaledei Geraldini ad Amelia : rilievo con teoria diteste piumate, databile a circa un decennio primadella famosa Scoperta. Il Nunzio Apostolico An-tonio Geraldini “prestò potentissimo aiuto” a Co-lombo (e dopo di lui il fratello Alessandro), mamorì appunto nel 1489: cosa significano quei

pellirosse anteliteram, se non il fatto che la Sco-perta era solo da compiersi ma in modo subdoloe antistorico(5)?Quelle teste piumate (apparentemente anche

in variazione somatica-etnica) sono gli amerinditutti, e in special modo i Pulesata (già invasorimarittimi dell’Egitto) alias Pelasgi, peraltro giàcomparsi nell’arte scrittoria dell’Egeo(6)? Una at-tendibilità storica dei Pelasgi ci è tutt’ora negata;ma lo fu anche per gli antichi storici greci, che

confusamente li definivanoautoctoni non greci, o antenatidei greci, od un ethnos grecosparito nel tempo, erranti dilingua barbara etc., nonchéprovenienti dal Peloponnesorisiedendo quindi in Emonia.Rispettivamente, i due topo-nimi richiamano uno il nomemoderno di Polinesia, l’altroquello più antico egiziano dijmn, il “Nascosto (ad) Occi-dente”. Se la selva dei mitigreci, piaga archeologica, ri-chiede effettivamente unachiave di lettura (che forseperfino i mitografi non piùpossedevano, oppure eranoartefici di rebuses), la ‘lettura’può ben essere relativa a vi-

cissitudini e operatività di popoli avvezzi alle va-stità oceaniche ; tanto più se il nome originale‘Apia’ del Peloponneso (Apia traeva dal nomedel tiranno Apis, fratello di Niobe) appartiene ef-fettivamente ad una città Apia, dell’isola Upolu(presso le Samoa… altro nome ‘classico’), eNiobe è reputata madre di Pelasgo antenato deiPelasgi. Poiché classicamente Apis e Niobe sonofatti risalire ad Oceano, e Tetide, madre di Foro-neo primo uomo, sembrerebbe chiaro che il mitoabbia ben poco a che fare con i ristretti mari in-terni dell’area levantino-europea, e, semmai,frutto di vaste migrazioni dal Pacifico : da unaparte verso Ovest. Dall’altra verso Est al ‘Nasco-sto’ alias jmn/Emonia, e poi attraverso l’Atlan-tico a formare le civiltà euro/classiche; peraltro

anche diffondendo il megalitismo preistorico? Ipolinesiani, demiurghi, autori di tutto ciò?

Gli uto-aztechi Hopi da parte loro affermanoprovenienza nautica dal Centro Pacifico (appa-rentemente una travagliata epopea con approdoin Cile, poi percorso fino in Alaska con ultimaresidenza in Arizona): quanto possono affermaresimilmente le ‘nostre’ civiltà, i cui archetipi mi-tici (quanto ‘escatologici’) sono Okeanos edEsperos, nonché Beato Occidente? E perché neitesti epici si danno voci bilingue: greche, e degli‘Immortali’ [Occidentali]?

E’ drammatico che non vi sia attualmente al-cuna ipotesi circa tematiche navali oceaniche,vale la pena ricordarlo, e che infatti si navighi let-teralmente nel buio sulle reali origini di popoli eciviltà della storia nostrana. Un puzzle fenome-nalmente incompleto.

Tornando ora ai Pelasgi, il loro etnico è di-battuto, non ben definibile se non in termini digenio vegetale nondimeno, proprio la loro naturapelagica ne fa un popolo oceanico-occidentale(più lontana l’incognita, più lontana l’indagine),il che ci porta speculativamente alla parola mayapalò = ‘Spirito del mare’ - e qui, anche richia-mando la radice ‘pl –’ di nave e navigare non solosi chiama in causa Peleo, marito di Teti (e v. Te-tide moglie di Oceano), dea acquatica, ma ancheun forse occulto e strumentale, famoso uso delporto di Palos (e v. Colom bo/palomba ‘spiritodelle acque’).

In questa pur limitata trattazione argomenta-tiva, il campo geografico delle culture preistori-che non è più esclusivamente quello dei centrismiclassici (quasi un vicolo cieco) ma è spostato inaltra vasta specifica area e con altre direttrici,purtroppo mai ponderate, diciamo finora. E’ indubbio peraltro, che importanti simboli presentinell’antica Amerindia come il Labirinto, la Sva-stica, il Nodo di Salomone e la Croce, indirizzanoa tematiche stimoli e sviluppi verso una cono-scenza della preistoria stessa, globale. Cioè al difuori del campo minato delle abitudini culturali ovisioni tradizionali come si voglia chiamarle.

Amelia, documento pelasgico in tutta pro-

Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007

Amelia - Mura

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babilità ‘andino’ potrebbe dunque portare il nomedell’eponimo ‘Ameroe’ (generato daAtlante/Atlantico) (7) in linea diretta con l’etnicoAymara, ed il gentilizio Amaru: nel Qechua,amaru significa ‘serpente’. Ricercando simboliofidi in Amelia, il caso ha voluto che una araldicamarmorea locale porti dei serpenti : la storia oleggenda di questa è che in un fondo o sotterra-neo di palazzo fu trovato un covo di ofidi; mapoiché il casato dell’araldica è ‘Carpenti’ (un po’troppo umile) non è assolutamente impossibileche la C del cognome in origine fosse una Ç, aindicare *Serpenti. Altra leggenda è che il casatooriginò da terre lontane (si ipotizzano i Carpazi),il che non discosta dai temi indicati più sopra.Può un casato amerino di tale fatta e supposi-zione portare a termini tanto remoti?

Quanto alle mura, l’inca Garsilaso de laVega definì quelle di Sacsahuamàn, “di propor-zioni tali che chi non le ha viste non potrebbe cre-dere”, e Pizarro : “iberici che le vedono diconoche neanche il ponte [acquedotto] di Segovia oqualsiasi altra struttura innalzata da Ercole o daiRomani potrebbe reggere al confronto”. Pur se lemura di Amelia non posseggono eguale impo-nenza, possiamo chiederci comunque se questiispanici le abbiano osservate, e espresso com-menti quasi cogenti, od altro.

Che peruviani, o messicani, o amerindi chesiano, abbiano raggiunto via oceano l’Italia intempi preistorici e/o protostorici è tutto da veri-

ficare ma perfino inaccettabile attualmente. Ilfatto però o quel che sia, che avessero scelto luo-ghi caratterizzati da vulcani e terremoti appareprecisamente consono con i luoghi di origine ecultura - il Lazio compreso, cioè se, rivisitandoaccuratamente la vicenda troiana nei testi epici(principalmente Omero e Virgilio), emergano in-fine nuovi elementi di inusitata natura e concet-tualità. Troia d’Ellesponto non-omerica: tempinuovi per l’archeologia?

Troia nell’Egeo e non sull’Oceano comeOmero epicamente prescrive, è la naturale solu-zione negativa per Troia di Schliemann pure sedi innegabile storica importanza, indelebile in ta-lune conquiste archeologiche. E’ vero nondimeno

che la vocegaelica aege-ann significa‘oceano’ marichiederebbetroppi inter-venti e per-c o r s iinterpretativi.Il nome diOmero costi-tuisce dalcanto suo un

fenomenale programma in se già nel suo signifi-cato nel greco : “nongenuino” (ou meros), maspecialmente nellaforma Maya *u-moy-rij= “il cieco vecchio” chelega ammirevolmentecon l’antenato ‘Mayon’del poeta (e chi erano i‘Meoni’ di Ilio?).

La prima semanticaappare fornire unachiara indicazione sulperché o i perché dellafamosa ‘questione ome-rica’, la seconda in pienaconcordanza apre frontistraordinari a nuoverotte archeologiche.

Troia, Ciclopi e Pe-lasgi, Amelia, a tutte leapparenze sono parte diun gigantesco puzzle oquadro globale che ne-cessita approfondimentosenza crisi o remore co-scienziali - peraltro, nel-l’ottica ermeneutica dimâyâ ‘inganno e illu-sione’, d’altronde comevisto anche con lo stessonome ‘Omero’, che nelsuo complesso conduce all’enigmatico e discusso

nome di ‘America’ (a-meros-ge)– il toponimo ‘Ameria’ forse in-clusivamente.Le difficoltà insite nelle sug-

gestioni proposte sono nel quadrodi coordinate cronologiche cioègiusto per citare un qualcosa piùimmediatamente accessibile.D’altro canto occorre tenereconto di fenomenali lessemi indi-geni andini, in lista contenuta,chiaramente interpretabili : aru-spichu, marca, casta (razza),nasa, jatiri (medicone, v. gr. ia-

tròs). Se qualsiasi forma di sicurezza o genera-lizzazione è necessariamente escludibile nellaricerca del passato umano, di certo possono va-lere particolarità ma nel quadro di nuovi percorsiconcettuali, parametrici.

Lo studio delle opere “poligonie irregolari”od opus antiquum conta ormai circa due secolied è internazionale(8), ma sicuramente già affa-scinò e appassionò i popoli antichi che le attri-buirono ad esseri favolosi e potenti (Omerostesso menziona l’uso bellico di massi che “uo-mini d’oggi non saprebbero sollevare”), risalentiad una Epoca Eroica non certo risalente a soli 30secoli fa e precedenti. La tecnica peraltro per-mase e le ultime esecuzioni furono appunto peru-viane circa 500 anni fa. Un quadro tutt’altro chechiaro, nondimeno qui è inferito che il megali-smo sia originato in area polinesiana, diffuso dainsuperabili navigatori oceanici(9).

A giudizio dello scrivente, il gigantescoproblema delle mura poligonie potrà avere unaqualche plausibile soluzione solo quando l’ar-cheologia si munirà di scafi e vele nonché tantaarguzia in ordine di seguire le rotte degli antichimaestri, creatori di culture e civiltà, rotte sul-l’Okeanos protogonos dei classici: dei demiurghimarittimi.

Va rilevato il caso della mappa ecumenicadi Cosma Indicopleuste, tra sesto e decimo se-

colo, che indica il Nord oltreoceanico come illuogo abitato dagli uo-mini prima del Diluvio.Questa mappa straordina-ria – anche nel fatto cheil nome del suo autoretraduce “ordine di navi-gazioni esotiche” - allu-dendo sostanzialmente are antidiluviani(10) eviden-temente ‘Iperborei’, ciconduce sulla possibilepista della voce estremo-occidentale [maya]oaana, che appare suc-cessivamente in Mesopo-tamia nel nome deidemiurghi marittimiOannidi, uomini-pesce(11):termini ambedue di iden-tico significato cioè“colui che abita nell’ac-qua”, il primo possibil-mente anche responsabiledel sostantivo okeqnos,dove [maya] oc = ‘passo,orma’, ma anche ‘cane’,pertanto con tutte le im-plicazioni relative a vastie remoti percorsi ocea-nici nonché al riguardodel compagno escatolo-

gico nel viaggio infe ro-oceanico. E, volenti o no-lenti la pista conduce alle navi di ‘Magan’ (e‘Magilum’), cioè della terra Mayan (= *Maya-lum), della famosa prima epica assiro-babiloneseo sumerica che sia (in tali termini equiparare ilmaia Gukumatz al famoso Ghilgamesh é una in-teressante iperbole. in realtà il Quiché ilom é su-mero I-a-lum-ma cioé per colui “che vide ognicosa” sono identici.

Le catene diOceano della pro-fezia di Senecasono state aperteanche se con noto-rio storico ritardo,ma la vera Thuleancora attende diessere circostan-ziata nella sua pos-sibile entità(proto)messicana :Tula /Tollan, im-portante cultura-madre, di tantoche riguardal’Estremo Occi-dente nonché ap-punto parte di unpiù vasto pro-blema. Temi cherichiederebbero investigazioni e definizioni digrande impegno e profondità.

E’ fuori di ogni dubbio che prima dei grandiviaggi di scoperta (o ruberie e sfruttamento di ter-ritori altrui) le rotte globali erano appannaggiodei popoli oceanici, costruzione di scafi forti aagili, diffusionismi e scambi commerciali es-sendo regolari, a larga estensione e forse mille-nari. Nel contesto oceanico, va rilevata lasplendida posizione dell’isola di Borneo, doveperaltro sono stati rinvenuti resti umani CroMa-gnon, il toponimo stesso rammentando ‘Foro-neo’, che ad Argo era detto ‘primo uomo’, figlio

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di una ‘Melia’ (Malay?), o di Niobe e divenutoprimo re antenato dei Pelasgi – variante o esten-sione di quanto argomentato più sopra. Niobe,donna primordiale, come si sa finì molto male,importante comunque sembra il fatto che una fi-glia si chiamasse Cloride, quanto un figlio di Pe-lasgo era Cloros, che potrebbe intendere ‘verdemare’. L’etno-archeologia avrebbe sicuramenteproblemi a collegare greci e indoneso-melane-siani (e su ulteriori infinite rotte), ma non sonoescludibili contatti e trasmissioni culturali origi-nali e civilizzanti di fenomenale importanza. Staa noi, nella nostra competenza, o meglio corag-giosa lungimiranza replenire i vuoti che la cul-tura conservatrice ancorché immobilista haprovocato a danno della conoscenza del passatoumano. Con Amelia stessa, parte di un fenome-nale puzzle.

Uno spinoso e complesso teorema, emer-gente da date condizioni [ma quasi comparabilead un gioco di scacchi(12)] può apparire insupera-bile – eppure perfino impressioni attuali avreb-bero il loro peso: nel mentre tanti potrannochiedersi quali eccezionali esseri e con straordi-nari metodi e mezzi abbiano eretto le possentimura di Amelia, un peruviano residente in Um-bria ha confidato che qualora è di fronte a loro ècome sentirsi a casa sua…

Per cause di incompetenza e incuria unalarga parte delle mura di Amelia è miserabil-mente crollata, inoltre non poche pietre mostranosfaldamenti e disgregazioni dovuti a gas acidi esolforosi (un terminal bus è proprio a ridosso).Aggiungere altro non si può eccetto forse rimar-care sul passo dei tempi e del degrado in atto, piùpericoloso di quello naturale.

NOTE

(1) Un cartello archeologico locale sorpren-dentemente erra il toponimo : AVER(2) ‘Atlas’ : in azteco, atl = ‘acqua’, il tema

originale è pat(l), pa o po essendo alquanto uni-versale (ad es. cfr uto - azteca pautiwa e L pu-téus), fino a intendere “andare per” (Quiché pa),o Póntos e Poseidón etc.(3) I patagoni, oggi scomparsi, conducevano

vita miseranda – ma ebbero forse un eccezionalepotere precedente? In Patagonia, un toponimo attuale legge ‘Gente Grande’. (4) Una leggenda esquimese narra di un gi-

gante cannibale a cui (camminando sopra orci)sfuggirono marinai da lui catturati, lamentandosiquindi che avrebbe dovuto accecarli. La storia èchiaramente per i suoi canoni o fattori la stessadel Ciclope-Polifemo: di origine iperborea?(5) Nel suo Cristoforo Colombo, l’ultimo dei

Templari (2005, Sperling & Kupfer), R. Marinoha raccolto e argomentato tematiche e documentiriguardanti la scoperta e riscoperta del continenteoccidentale. In precedenti articoli su Il Tempo

di Roma ha rivelato gli importanti complotti fi-nanziari-politici pre-Scoperta. La data 1489 nelpresente testo, è quella dell’atlante di EnricoMartello dove sono disegnate le Indie occidentali(sic.), cioè quando fu consegnato al Papa Inno-cenzo VIII Cybo, sponsor dell’impresa. Neitanti misteri, omissis e depistaggi sulla veritàdella Scoperta risulta chiaro che il diretto obiet-tivo era l’oro delle ‘Indie’, ricongiungersi alregno dorato di Saturno “ai limiti di Atlante” : larotta era nelle tradizioni del ‘Beato Occidente’/Elysion e ‘Nascosto(ad)Occidente’ dei greci edegiziani, nonché ‘La Terra oltre il tramonto’ Iar-galon dei Celti, etc. Il ‘Nuovo Mondo’ era tut-t’altro che tale. Il Papa sponsor fu condannato alsilenzio storico, una epopea maledetta che hacambiato i connotati e le politiche del globo.(6) Sigilli minoici, un’ascia bronzea e un fa-

moso disco con ideogrammi e forse altro, mo-strano preistoriche teste piumate : idee, lingue etesti rimanendo indecifrati . La cultura correnteè inadatta, forse per le ragioni qui esposte? Vanotato che antichi documenti riferiscono di unascrittura ‘pelasgica’ : forse occidentale?(7) V. Nota 2. Oceano è ‘fiume attorno alle

terre’, spesso identificato come serpente ourobo-ros (mordente la coda), chiaramente quindi non‘medi-terraneo’. Appena oltre nel testo si faràriferimento a serpente, tutto può contribuire allapossibile chiarezza di incognite preistoriche.(8) Un compendio di studi e argomentazioni è

stato elaborato da Franco Della Rosa (Muraturein Opera Poligonale, Opus Antiquum, 2002.Gruppo Ricerca Fotografica – Amelia?), tuttavianell’elencare i siti delle opere manca di menzio-nare la Polinesia.(9) Il compianto Federico Zeri formulò che

maestranze umbre abbiano diffuso le tecnichepoligonali, il che non è accettabile a causa del-

l’ampiezza globale del fenomeno, più consonocon operatori oceanici. Altra storia può essereche, ‘umbro’ significando ‘diluvio’, il tema sileghi in qualche modo ai Chacs di cui sopra; per‘origini’ potrebbe comunque incidere la culturaarcheologica ‘Lapita’ della Polinesia. Le isoleUpolu e Palau apparirebbero inoltre importanti :il tema può richiamare palò, i Pelasgi, e una no-stra isola tirrenica. (gli atzechi dal canto loro par-lavano di un antica origine da Apuala, che nonpuò essere Apulia ma Upolu – tema perfetta-mente collegabile alla venuta dal Centro-Paci-fico degli stessi uto-aztechi Hopi). Il campo di ricerca e argomentazioni esteso a

Boreadi e Iperborei, può infatti includere proprioi polinesiani presso cui le parole borau = ”viag-giare” e tiaborau = “esperto di stelle”/ naviga-tore (e non ignorando l’isola di Bora Bora) e chechiamassero la Polare (a loro invisibile) “Pilastrodel cielo”, quindi a vasta e competente cono-scenza di oceani (e terre) ben al di sopra del-l’Equatore. Il loro moana “oceano” apparecorrispondere al maya oaana. Più che come “Vi-

chinghi del Mare” i polinesiani in tutta probabi-lità sono i diretti antenati dei Fenici cioè in con-siderazione della voce polinesiana *fei-nikau(rossa banana + palma – cfr. la greca “Nike”), ifenici = “i rossi” e una palma il loro emblema;inoltre in base a conclusivi studi australiani la fa-mosa Araba Fenice altro non sarebbe che il do-rato e splendido Uccello del Paradiso, le cuispoglie ben conservate erano dirette a tappeverso l’Egitto. Il tema oceanico Pacifico e Atlan-tico è evidentemente di grande importanza e va-stità quanto ingiustificatamente ignorato, dalcanto suo K. Kerénij licenzia molte questioni mi-tico-oceaniche come relative a “vecchi raccontiandati perduti”. Occorrerà invece identificare,decodificare miti e figure mitiche, ad es. attri-buire al divino polinesiano Tane (ovvero al po-polo che lo adorava) la creazione della notaentità fenicia “Tanit” (e la tipica forma “geome-trica” o decorativa corrispondente alla voce ta-niko, in ciò non escludendo il simbolo egiziodella vita, ank).(10) In Babilonikà, il caldeo Berosso riferisce

di scritti pre-diluviani (peraltro già menzionatida Assurbanipal), originali o copie associati allabiblioteca del Sole a Sippar. Gli insolvibili eproditori disastri in Irak (culla d’Europa) in tuttaprobabilità comprometteranno la parte di chia-rezze che Indopleuste e la nautica preistorica ciappaiono imporre.(11) Nel qual caso il nome del dio Ea effetti-

vamente corrisponderebbe alla parola maya haa= ‘acqua’. Il suo tempio a Uruk era ‘Eanna’, atempo debito avvisò Utanapishtim del Diluvio.(12) Una scacchiera costituisce l’araldica di

Papa Cybo Innocenzo VIII sponsor di Colombo(v. Nota 5), elemento che può essere consideratocome ‘scacchiera mondiale’. Molte araldiche dicasati amerini sono similmente congegnate.

Scacchiere non mancano nell’arte classica,spesso associate alle greche, e una comparecome insegna della terra delle (arpie-) Sirene suariballo a Boston. Un glifo maya la rappresentacome il giaguaro del sole notturno (= Ovest).La scacchiera è una forma elaborata del yin-

yang, l’alternanza di luce e oscurità, di vincita eperdita, delle rotte globali; l’ottavo stato è il Pa-radiso Riconquistato. Il cavaliere è l’errante,l’iniziato collegabile all’ordine templare. Loscacchiere o Excheqer implica l’alta finanza enaturalmente l’oro (cfr. nota 5). La scacchiera alcubo può far intendere il senso del casato Cybo,Cuba (con i suoi indigeni Cibonney), Citele/Cu-tebe e la Kaaba, nonché Kubera il dio hindi dellericchezze…. Il cubo è la terza potenza della fa-mosa quadratura del circolo, implicando esote-ricamente il ‘Trimegisto’, cioè il triplogigantesco continente (Nord, Centro e Sud) ‘na-scosto ad occidente’, in sostanza il ‘Regno Pro-messo’ del Principio e Fineo. La ‘Scoperta ‘ é ilcaso di dirlo ha fatto svanire un sibillino ‘mi-stero’ e segreto millenario.

14 Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007

Page 14: LA TOMBA DELLE CINQUE SEDIE - gruppiarcheologici.org · Le due pro-babili sepolture, si trovano in altrettante "klinai" situate nella camera principale (metri 5,50 per ... altri nuovi

Nuova ARCHEOLOGIAset.-ott. 2007 15

Il più grande uomo scimmia del PleistoceneEdito da Adelphi nel 2001,178 p.,€ 7,50.Oggi si cerca di far gattonare i

bambini: questo irridente libro in-vece ipotizza che, in un’era preisto-rica molto remota, probabilmentequalcuno, presagendo un futuro digrandezza e di dominio basato sul-l’uso dell’intelligenza e sulla sta-zione eretta, li costringesse da subitoa camminare sulle “zampe poste-

riori”. Roy Lewis ci trasporta nelPleistocene, dove un uomo scimmiamolto lungimirante e di ampie ve-dute, cerca di accelerare il progressotra i suoi simili, mettendo a duraprova la pazienza di tutti i suoi fa-miliari, che devono sottoporsi adesperimenti e seguirlo in avventurestrampalate. Da sempre però le persone

“troppo avanti”, eccessivamenteprogressiste e moderne, non com-prese dai loro contemporanei, pa-gano un prezzo molto alto allastoria...

Lettereal

DirettoreA proposito della nostra rivista

“Nuova ARCHEOLOGIA”, mi ècapitato per le mani un vecchio nu-mero di “ARCHEOLOGIA” deglianni sessanta e l’ho riletto con pia-cere. Sfogliandolo mi sono resoconto che non erano solo gli articolia suscitare il mio interesse, maanche la forma della rivista. Mispiego meglio, per forma intendo ilformato che è maneggevole (sonocirca 17 cm per 24 per una ventinadi pagine pari a circa 40 facciate) epermette di infilare la rivista in unaborsa senza difficoltà; è anche facileda sfogliare ed inoltre permette unadivisione degli articoli, con relativeillustrazioni, molto più netta. Nondobbiamo dimenticare inoltre che“Nuova ARCHEOLOGIA” non èsolo da leggere ma da conservare econsultare nel tempo. Se gli articolihanno un maggiore impatto visivosarà più facile raggiungere questoscopo. Con questo ringrazio per

l’ospitalità e saluto cordialmente.

Giorgio ZaraGruppo Archeologico Romano

Un nuovo campo per lavia AmerinaLa sede operativa del Pro-

getto Amerina è stata trasferitaa Corchiano (VT) grazie alla ge-nerosità dell’AmministrazioneCo mu nale che ha messo a no-stra disposizione due strutture.La direzione del campo con gli

alloggi e gli spazi ricreativi sonostati traslocati all’ Agriturismo Ri-dolfi, immerso nel verde a brevedistanza dal percorso dell’anticavia Amerina, mentre l’ufficio tec-

nico con i laboratori, l’archivio, ilmagazzino materiali, le cucine ela sala mensa saranno sistematinello storico Palazzo Ridolfi(sec.XVI), nel centro di Cor-chiano.l prossimo campo di Natale

2007 sarà il primo che faremonella nuova sede; il primo di unaserie che auspichiamo lunga eproficua.

Adria (RO) Museo Archeologico Nazionale tel. 0426.21812 * fino al 13.01.08* “BALKANI, ANTICHE CIVILTA’ FRA IL DANUBIO E L’ADRIATICO”Bologna Museo Civico Archeologico tel. 051.2757211 fino al 31.12.07* “GIOVANNI BATTISTA BELZONI”Ferrara Palazzo dei Diamanti tel. 0532.244949 fino al 06.01.08* “COSME’ TURA E FRANCESCO DEL COSSA”Torino Palazzo Bricherasio tel. 011.5711811 fino al 06.01.08* “I LONGOBARDI. DALLA CADUTA DELL’IMPERO ALL’ALBA DELL’ITALIA”Pergola (PU – Pesaro e Urbino) Museo dei Bronzi Dorati e della Città fino al 09.12.07* “ARCHEOLOGIA IN FESTA: CAPOLAVORI RECUPERATI”*Perugia Palazzo Baldeschi fino al 06.01.08* CAPOLAVORI DELLA MAIOLICA RINASCIMENTALE”Roma Colosseo fino al 17.02.08* “IN SCAENA: IL TEATRO NELLA ROMA ANTICA”Treviso Casa dei Carraresi tel. 0422.513150 Fino al 04.05.08* “GENGIS KHAN E IL TESORO DEI MONGOLI”Verrucchio (RN) Museo ex Convento di S. Agostino* Fino al 06.01.08* “LE ORE E I GIORNI DELLE DONNE”Volterra (PI) Palazzo dei Priori Fino al 08.01.08

Sveva Macrini

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Nuova ARCHEOLOGIAlug./ago. 200716

NuovaARCHEOLOGIAperiodico dei Gruppi Ar-

cheologici d’ItaliaDirezioneVia Baldo degli Ubaldi,16800167 RomaTel. 06 39376711Fax 06 6390133e-mail: [email protected] (segreteria)- [email protected](redazione)

Abbonamento annuo Italia euro 12,91 Europa euro 20,66 c/c post. n. 15024003 inte-stato a: “Gruppi Archeo logicid’italia - Via Baldo degliUbaldi, 168 - 00167 Roma”Direttore responsabileNunziante de MaioDirettore editorialeGiorgio PoloniGrafica ed impaginazioneEnnio LosurdoRedattori corrispondentiSebi Arena (Sicilia)Cristiana Battiston(Lombar.)Joshua Cesa (Friuli)Giampiero Galasso (Camp.)Marco Mengoli (Lazio)Pietro Ramella (Piemonte)Leonardo Lo Zito (Basilic.)Redazione RomaGianfranco GazzettiFiorella AcquaLucia SpagnuoloManuel VanniSilvio VitoneHanno collaboratoGiorgio AgneseVittoria CarulliPino G.Dell’OrcoSveva MacriniFranco OcchioAlberto PalmucciAutorizzazionen. 18/2005 Trib. di RomaRealizzazione e Stampac/o Tipografia Marina -Anzio Via 22 gennaio, 12/1400042 RomaChiuso in tip.: 20/12/2007

I Gruppi Archeolo-gici d’Italia aderi-

scono a:FORUM

Europeo delleAssociazioni per i beni culturaliCENTRO

Nazionale del Volon-tariato

PROTEZIONE CIVILEKOINÈ

Forum dei Paesidel Mediterraneo

ANANKE SrlVia Lodi, 27/c 10152 Torino. Tel. 011 2474362fax 011 2407249 e-mail [email protected] Sconto 30%su prodotti editoriali In catalogo consultabile sulsito internet www.ananke-edizioni.comARCHEOLOGIA VIVAGiunti Gruppo Editoriale -via Bolognese, 165 - 50139Firenzee-mail: [email protected] -www.archeologiaviva.it, Tel:0555062298 - Abbonamentoalla rivista bimestrale a 22,40Euro (anziché 26,40 Euro)estero 27 Euro; per nuovi ab-bonamenti, per rinnovi allascadenza ed abbonamenti re-galo a terzi (da parte di nostriiscritti).Eventuali abbonamenti perl’estero: 33 Euro (anziché 37Euro)Procedura operativa: raccoltadegli abbonamenti presso isingoli Gruppi, secondo laprocedura prevista ed inviataagli stessi (scheda riassun-tiva).EDITORIALE JACABOOKEditoriale Jaca Book Spa -via V. Gioberti, 7 - 20123MilanoTel. 0248561520, fax 0248193361; e-mail: [email protected] sui sito internet: www.jacabook.itAcquisto di prodotti editoriali In catalogo o pre-notazione di opere future: sconto del 20 %Condizioni amminisfrative: rivolgersi alle se-greterie dei Gruppi.LIBRERIA ARCHEOLOGICALibreria Archeologica Sri - via di S.Giovanni inLaterano, 46 - RomaTel. 067092268, 0677254441; fax 0677201395e-mail: [email protected] www.archeoio-gica.comSconto del 10 % per acquisto di titoli a catalogo.Catalogo sul sito internet www.ar -cheologica.comCondizioni amministrative: rivolgersi alle segre-terie dei Gruppi.T & M EDIZIONIT & M Telematica e Multimedialità Sri - Torredel Greco (Na)Fax: 0818477216; e-mail: [email protected] di prodotti editoriali: sconto dei 25 %Catalogo sul sito internet www.tm-muitimedia.itCondizioni amministrative: rivolgersi alle segre-terie dei Gruppi.EDIPUGLIA SrIAcquisto di prodotti in catalogo e prenotazioneopere future: Sconto deI 20 % sul prezzo di co-pertina, ordini telefonici (al n. 0805333056), viafax (al n. 0805333057), e-mail all’indirizzo: [email protected], oppure on-line tramite il sito In-ternet www.edipuglia.it. Condizioni amministrative:rivolgersi alle segreterie dei Gruppi. •

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tamento. Comunicazioni: tel.e fax: 055 8729235- 064 91506celI. 3358 437455 - e-mail: [email protected] OCTAVIAVia G.G. Bottari, 38-00135 Roma Tel/fax0630813432Hotel *** stelle, 45 posti letto (telefono, TV, frigobar), ristorante, sala conferenze, garage. Ottima-mente collegato con il centro di Roma. Informa-zioni: e-mail: hotelhoctavia@ libero.itHOTEL VILLA GRAZIELLAVia Coletti, 6 - 30175 Marghera (Venezia)Tel. 041921655; fax 041921031; e-mail:[email protected] ** 30 posti letto.L’hotel dispone di bar,sala colazione, parcheggio privato. Sconto dei10% sulle tariffe applicate e pubblicate/aggior-nate sul sito internet www.villagraziella.com.HOTEL GAUROVia Campi Flegrei, 30-80078 Pozzuoli (Napoli)Tel. 0818530730 fax 0818531264 - e-mail:[email protected] www. gauro.com Hotel ***parcheggio privato coperto; a 10 mm. da Baia;facilmente raggiungibile dalla metropolitana,della Cumana e dalla tangenziale. Facilitazionia presentazione tessera valida per l’anno incorso.HOTEL VILLA VACANZE “LA COLOM-BAIA”Via del Piano delle Pere - 84043 Agropoli (Sa-lerno)Tel. 0974821800 - fax 0974482378 - e-mail: [email protected] Hotel ***, 22 posti letto instanze doppie e triple con vista mare; ristorante,bar, piscina scoperta, parcheggio, parco; a pocadistanza da Paestum. Facilitazioni a tessera va-lida per l’anno in corso.HOTEL SANTA CATERINAVia Vittorio Emanuele, 4 - 80045 Pompei (Na)- Tel. 0818567494 fax 0818567513- e-mail: [email protected] *** Superior,camere con bagno pri-vato, telefono diretto,TVcolor satellitare,frigobar, aria condi-zionata; parcheggionon custodito. Dislo-cato nel centro diPompei.

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AGEVOLAZIONI PER I SOCI DEI GRUPPI ARCHEOLOGICI D’ITALIA

INDIA DEL SUD Dal 4 al 17 gennaioIN LIBIA - Tripolitania e desertodell’AcacusDal 02 all’11 Marzo 2008Le splendide rovine diLeptis Magna e Sabratha,il museo di Tripoli, il de-serto in “fuori strada” conpernottamenti in campi e

le incisioni rupestri.IN ARABIA PETREA Dal 2 al 14 maggioDamasco, Amman, Petra,il teatro romano di Bosrafra i meglio conservati almondo e Pella, sito ar-cheologico antichissimo,sono alcune delle metedel viaggio.

FRIULI VENEZIA GIULIA Dal 29 maggio all’8 giu-gnoIN GRECIA - Tesprozia,Epiro, Locride, Focide,BeoziaDal 31 maggio al 9 giugnoALGERIA E MAROCCOOttobre

I viaggi studio del GAR del 2008