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/ due moduli di atterraggio (lan- der)Viking sono sulla superficie di Marte ormai da quasi un intero anno marziano; i due veicoli orbitanti (orbiter)Viking ruotano attorno al pia- neta e lo fotografano da un tempo poco maggiore. I !ander raccolgono dati sulle caratteristiche dell'atmosfera marziana, sulle rocce e sul suolo fin dal momento in cui scesero sul pianeta nell'estate del 1976 (si veda l'articolo Marte visto dai Viking di Marcello Fulchignoni e Mar- cello Coradini in «Le Scienze», n. 100, dicembre 1976). Nel frattempo gli orbiter hanno misurato il contenuto di vapore acqueo dell'atmosfera, hanno rilevato la temperatura superficiale e hanno foto- grafato la superficie con risoluzione e ni- tidezza mai raggiunte in precedenza. L'insieme delle fotografie scattate e degli esperimenti condotti dai quattro veicoli spaziali rivela che Marte è un pia- neta con una storia più complessa di quanto si credeva. Essi hanno fornito prove sperimentali che anche i più antichi terreni disseminati di crateri sono stati modificati da attività vulcanica, che lo scorrere dell'acqua nella storia primor- diale del pianeta ne determinò significati- vamente l'aspetto e che in seguito forti venti hanno ridistribuito su larga scala il materiale superficiale. Sorprendente- mente questa attività eolica ha prodotto solo un limitata erosione della superficie. La superficie di Marte assomiglia ai de- serti terrestri di rocce vulcaniche più che alla superficie lunare costellata di crateri; inoltre Marte, ritenuto una volta un mondo di dune dalle forme arrotondate, sembra avere poca sabbia. La missione Viking ha fornito anche prove sperimen- tali che in parte rafforzano e in parte mo- dificano le ipotesi relative all'atmosfera e al clima primordiale di Marte formulate dopo la missione Mariner 9 degli anni 1971 e 1972. Marte prima dei Viking Mariner 9 fotografò praticamente l'in- tera superficie di Marte con una risolu- zione di pochi chilometri e una piccola parte della superficie con una risoluzione di poche centinaia di metri. La copertura globale di Marte per opera di Mariner 9 indicò che il pianeta era costituito da due emisferi significativamente diversi: un emisfero meridionale aspro, ricco di cra- teri, attraversato da enormi depressioni a forma di canali, e un emisfero settentrio- nale più regolare, con pochi crateri, pun- teggiato da vulcani estinti. I due tipi di terreno sono separati approssimativa- mente da un cerchio massimo inclinato di 30 gradi circa sull'equatore. I erateri nell'emisfero sud hanno di- mensioni che culminano nei 1600 chilo- metri di diametro del bacino Hellas. L'abbondanza di crateri nelle regioni maggiormente costellate da tali strutture è paragonabile a quella presente sugli al- tipiani lunari luminosi. È stata determi- nata l'età di campioni di roccia e di ter- reno raccolti sugli altipiani lunari durante le missioni Apollo e tali età indicano che la maggior parte dei crateri in quelle zone ha avuto origine da quattro a 4,5 miliardi di anni fa. A quell'epoca la Luna era bombardata dai detriti interplanetari la- sciati dalla formazione del sistema solare. Dato che l'abbondanza dei crateri su Marte è simile a quella sulla Luna, si pensa che il terreno craterizzato marziano abbia approssimativamente la stessa età degli altipiani lunari. In altre parole, quasi metà della superficie di Marte è costituita da antichi terreni dove molte delle strut- ture maggiori sono rimaste immutate per circa quattro miliardi di anni. Mariner 9 rivelò che le aree dell'emi- sfero settentrionale marziano a minore densità di crateri sono pianure formate dalla lava che ricoprì la superficie in tempi successivi, dopo che si esaurì il bombar- damento del pianeta. I pochi crateri nelle pianure sono il risultato dell'impatto sporadico di asteroidi o comete. Anche se non è ancora possibile stimare con ragio- nevole certezza le età assolute delle pia- nure, la notevole diversità di abbondanza di crateri da regione a regione comporta che le età delle pianure variano da centi- naia di milioni a qualche miliardo di anni. I canali di Marte nel dettaglio fotogra- fico fornito da Mariner 9 sembravano in- dicare che il clima del pianeta in passato fosse stato molto diverso da quello at- tuale. Se si condensasse in un sol luogo tutta l'acqua presente attualmente nel- l'atmosfera di Marte, si formerebbe una quantità d'acqua minore di quella di uno stagno. In effetti, l'abbondanza di acqua nell'atmosfera odierna è così ridotta che la pioggia è impossibile. Nell'epoca in cui i !ander Viking sce- sero sul pianeta la maggior parte degli studiosi era convinta che i canali più ampi, che sono larghi decine di chilometri, fos- sero stati scavati dall'acqua prodotta dalla fusione del ghiaccio sotto la superficie. Alcuni ricercatori ritengono che il ghiac- cio sia una conseguenza di un'atmosfera più densa che il pianeta avrebbe avuto nel suo primo miliardo di anni di vita. Se- condo i calcoli di Fraser P. Fanale del Jet Propulsion Laboratory del California In- stitute of Technology, l'atmosfera pri- mordiale di Marte avrebbe contenuto ammoniaca e metano oltre ad anidride carbonica e vapore acqueo. Secondo Ja- mes B. Pollack dell'Ames Research Center della National Aeronautics and Space Administration, un'atmosfera di tale composizione avrebbe intrappolato radiazione infrarossa («effetto serra») e sarebbe stata abbastanza calda da conte- nere una quantità significativa di vapore acqueo. A un certo punto nel passato va- rie reazioni avrebbero eliminato l'ammo- niaca e il metano dall'atmosfera. L'at- mosfera sarebbe diventata allora più trasparente alla radiazione infrarossa. A seguito di ciò l'atmosfera si sarebbe raf- freddata e il vapore acqueo contenuto in essa si sarebbe condensato precipitando sulla superficie, facendosi poi strada verso le regioni polari nel regolite (mate- riale non compatto che si trova sulla cro- sta) e nella crosta del pianeta fratturata dagli urti. Mariner 9 rivelò inoltre che entrambi i poli di Marte sono ricoperti da uno strato di ghiaccio e di polvere portata dai venti dello spessore di vari chilometri. Nei de- positi più antichi il ghiaccio e la polvere non sono stratificati; in quelli più recenti si alternano in strati dello spessore di qualche decina di metri ciascuno. Le grandi quantità di polvere presenti in questi depositi forniscono prove ulte- riori che Marte ebbe in passato un'atmo- sfera più densa di quella odierna; l'atmo- sfera attuale non sembra capace di tra- sportare verso i poli quantità così rilevanti di materiali. In effetti il processo più re- cente consiste nell'erosione parziale dei depositi per opera dei venti, che sottrag- gono residui dai depositi polari formando un mantello che ricopre gran parte delle regioni ad alta latitudine. I depositi stra- tificati indicano non solo che in passato il clima di Marte era diverso da quello at- tuale, ma che era anche soggetto a cam- biamenti periodici. Sulla base delle fotografie trasmesse da Mariner 9 si avanzarono varie ipotesi per spiegare l'origine dei depositi polari. Al-. cuni ricercatori proposero che i depositi di ghiaccio e polvere si fossero accumulati soprattutto in un antico periodo in cui l'atmosfera marziana era più densa. Altri suggerirono che i depositi polari si fossero accumulati durante tutta la storia di Marte e che il loro accumulo sia stato regolato dalla quantità di radiazione so- lare ricevuta dal pianeta, soprattutto nelle regioni polari. Calcoli eseguiti da Cari Sa- gan e dai suoi collaboratori della Cornell University e da William K. Hartmann del Planetary Science Institute di Flagstaff, Arizona, indicavano che la quantità di calore ricevuta da Marte sarebbe potuta cambiare nel caso che il Sole avesse mu- tato la propria luminosità. Si pensa che simili variazioni si attuino in un periodo compreso tra uno e 100 milioni di anni. Inoltre, William R. Ward del Jet Pro- pulsion Laboratory dimostrò che l'incli- nazione dell'asse di rotazione di Marte cambia significativamente col tempo a causa dell'azione gravitazionale del Sole sul rigonfiamento equatoriale del pia- neta. Al momento l'asse di Marte è incli- nato di circa 25 gradi rispetto alla per- pendicolare al piano della sua rivoluzione intorno al Sole. In un periodo compreso tra 100 000 e un milione di anni l'inclina- zione dell'asse passa, però, da un minimo di 15 gradi a un massimo di 35. Per com- plicare ulteriormente le cose, calcoli più recenti di Ward, di Joseph A. Burns e di Il 13 settembre dello scorso anno, corrispon- dente al tardo inverno nell'emisfero setten- trionale marziano, verso il mezzogiorno locale fu fotografata della brina su Marte con gli strumenti posti a bordo del !ander diV iking 2. Il !ander si trova in Utopia Planitia a una lati- tudine di 48 gradi. L'immagine è diretta verso sud-ovest sopra la struttura del veicolo spa- ziale. Le formazioni di brina sono le chiazze bianche alla base delle rocce. Probabilmente è ciò che resta di un sottile deposito di ghiaccio d'acqua, forse frammisto a un clatrato in cui l'anidride carbonica è imprigionata nel ghiac- cio d'acqua. La brina si è accumulata lenta- mente durante l'inverno man mano che l'acqua si trasferiva dall'emisfero meridionale a quello settentrionale. L'analisi del colore della super- ficie indica che la brina era rimasta sul terreno per almeno 100 giorni prima della fotografia. La superficie di Marte Le immagini senza precedenti delle missioni Viking recano precise informazioni sul modellamento della superficie del pianeta dovuto all'attività vulcanica, all'impatto di meteoriti, all'acqua e al vento di Raymond E. Arvidson, Alan B. Binder e Kenneth L. Jones

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due moduli di atterraggio (lan-der)Viking sono sulla superficie diMarte ormai da quasi un intero

anno marziano; i due veicoli orbitanti(orbiter)Viking ruotano attorno al pia-neta e lo fotografano da un tempo pocomaggiore. I !ander raccolgono dati sullecaratteristiche dell'atmosfera marziana,sulle rocce e sul suolo fin dal momento incui scesero sul pianeta nell'estate del1976 (si veda l'articolo Marte visto daiViking di Marcello Fulchignoni e Mar-cello Coradini in «Le Scienze», n. 100,dicembre 1976). Nel frattempo gli orbiterhanno misurato il contenuto di vaporeacqueo dell'atmosfera, hanno rilevato latemperatura superficiale e hanno foto-grafato la superficie con risoluzione e ni-tidezza mai raggiunte in precedenza.

L'insieme delle fotografie scattate edegli esperimenti condotti dai quattroveicoli spaziali rivela che Marte è un pia-neta con una storia più complessa diquanto si credeva. Essi hanno fornitoprove sperimentali che anche i più antichiterreni disseminati di crateri sono statimodificati da attività vulcanica, che loscorrere dell'acqua nella storia primor-diale del pianeta ne determinò significati-vamente l'aspetto e che in seguito fortiventi hanno ridistribuito su larga scala ilmateriale superficiale. Sorprendente-mente questa attività eolica ha prodottosolo un limitata erosione della superficie.La superficie di Marte assomiglia ai de-serti terrestri di rocce vulcaniche più chealla superficie lunare costellata di crateri;inoltre Marte, ritenuto una volta unmondo di dune dalle forme arrotondate,sembra avere poca sabbia. La missioneViking ha fornito anche prove sperimen-tali che in parte rafforzano e in parte mo-dificano le ipotesi relative all'atmosfera eal clima primordiale di Marte formulatedopo la missione Mariner 9 degli anni1971 e 1972.

Marte prima dei Viking

Mariner 9 fotografò praticamente l'in-tera superficie di Marte con una risolu-zione di pochi chilometri e una piccola

parte della superficie con una risoluzionedi poche centinaia di metri. La coperturaglobale di Marte per opera di Mariner 9indicò che il pianeta era costituito da dueemisferi significativamente diversi: unemisfero meridionale aspro, ricco di cra-teri, attraversato da enormi depressioni aforma di canali, e un emisfero settentrio-nale più regolare, con pochi crateri, pun-teggiato da vulcani estinti. I due tipi diterreno sono separati approssimativa-mente da un cerchio massimo inclinato di30 gradi circa sull'equatore.

I erateri nell'emisfero sud hanno di-mensioni che culminano nei 1600 chilo-metri di diametro del bacino Hellas.L'abbondanza di crateri nelle regionimaggiormente costellate da tali struttureè paragonabile a quella presente sugli al-tipiani lunari luminosi. È stata determi-nata l'età di campioni di roccia e di ter-reno raccolti sugli altipiani lunari durantele missioni Apollo e tali età indicano chela maggior parte dei crateri in quelle zoneha avuto origine da quattro a 4,5 miliardidi anni fa. A quell'epoca la Luna erabombardata dai detriti interplanetari la-sciati dalla formazione del sistema solare.Dato che l'abbondanza dei crateri suMarte è simile a quella sulla Luna, sipensa che il terreno craterizzato marzianoabbia approssimativamente la stessa etàdegli altipiani lunari. In altre parole, quasimetà della superficie di Marte è costituitada antichi terreni dove molte delle strut-ture maggiori sono rimaste immutate percirca quattro miliardi di anni.

Mariner 9 rivelò che le aree dell'emi-sfero settentrionale marziano a minoredensità di crateri sono pianure formatedalla lava che ricoprì la superficie in tempisuccessivi, dopo che si esaurì il bombar-damento del pianeta. I pochi crateri nellepianure sono il risultato dell'impattosporadico di asteroidi o comete. Anche senon è ancora possibile stimare con ragio-nevole certezza le età assolute delle pia-nure, la notevole diversità di abbondanzadi crateri da regione a regione comportache le età delle pianure variano da centi-naia di milioni a qualche miliardo di anni.

I canali di Marte nel dettaglio fotogra-

fico fornito da Mariner 9 sembravano in-dicare che il clima del pianeta in passatofosse stato molto diverso da quello at-tuale. Se si condensasse in un sol luogotutta l'acqua presente attualmente nel-l'atmosfera di Marte, si formerebbe unaquantità d'acqua minore di quella di unostagno. In effetti, l'abbondanza di acquanell'atmosfera odierna è così ridotta chela pioggia è impossibile.

Nell'epoca in cui i !ander Viking sce-sero sul pianeta la maggior parte deglistudiosi era convinta che i canali più ampi,che sono larghi decine di chilometri, fos-sero stati scavati dall'acqua prodotta dallafusione del ghiaccio sotto la superficie.Alcuni ricercatori ritengono che il ghiac-cio sia una conseguenza di un'atmosferapiù densa che il pianeta avrebbe avuto nelsuo primo miliardo di anni di vita. Se-condo i calcoli di Fraser P. Fanale del JetPropulsion Laboratory del California In-stitute of Technology, l'atmosfera pri-mordiale di Marte avrebbe contenutoammoniaca e metano oltre ad anidridecarbonica e vapore acqueo. Secondo Ja-mes B. Pollack dell'Ames ResearchCenter della National Aeronautics andSpace Administration, un'atmosfera ditale composizione avrebbe intrappolatoradiazione infrarossa («effetto serra») esarebbe stata abbastanza calda da conte-nere una quantità significativa di vaporeacqueo. A un certo punto nel passato va-rie reazioni avrebbero eliminato l'ammo-niaca e il metano dall'atmosfera. L'at-mosfera sarebbe diventata allora piùtrasparente alla radiazione infrarossa. Aseguito di ciò l'atmosfera si sarebbe raf-freddata e il vapore acqueo contenuto inessa si sarebbe condensato precipitandosulla superficie, facendosi poi stradaverso le regioni polari nel regolite (mate-riale non compatto che si trova sulla cro-sta) e nella crosta del pianeta fratturatadagli urti.

Mariner 9 rivelò inoltre che entrambi ipoli di Marte sono ricoperti da uno stratodi ghiaccio e di polvere portata dai ventidello spessore di vari chilometri. Nei de-positi più antichi il ghiaccio e la polverenon sono stratificati; in quelli più recenti

si alternano in strati dello spessore diqualche decina di metri ciascuno.

Le grandi quantità di polvere presentiin questi depositi forniscono prove ulte-riori che Marte ebbe in passato un'atmo-sfera più densa di quella odierna; l'atmo-sfera attuale non sembra capace di tra-sportare verso i poli quantità così rilevantidi materiali. In effetti il processo più re-cente consiste nell'erosione parziale deidepositi per opera dei venti, che sottrag-gono residui dai depositi polari formandoun mantello che ricopre gran parte delleregioni ad alta latitudine. I depositi stra-tificati indicano non solo che in passato ilclima di Marte era diverso da quello at-tuale, ma che era anche soggetto a cam-biamenti periodici.

Sulla base delle fotografie trasmesse daMariner 9 si avanzarono varie ipotesi perspiegare l'origine dei depositi polari. Al-.cuni ricercatori proposero che i depositidi ghiaccio e polvere si fossero accumulatisoprattutto in un antico periodo in cuil'atmosfera marziana era più densa. Altrisuggerirono che i depositi polari si fosseroaccumulati durante tutta la storia diMarte e che il loro accumulo sia statoregolato dalla quantità di radiazione so-lare ricevuta dal pianeta, soprattutto nelleregioni polari. Calcoli eseguiti da Cari Sa-gan e dai suoi collaboratori della CornellUniversity e da William K. Hartmann delPlanetary Science Institute di Flagstaff,Arizona, indicavano che la quantità dicalore ricevuta da Marte sarebbe potutacambiare nel caso che il Sole avesse mu-tato la propria luminosità. Si pensa chesimili variazioni si attuino in un periodocompreso tra uno e 100 milioni di anni.

Inoltre, William R. Ward del Jet Pro-pulsion Laboratory dimostrò che l'incli-nazione dell'asse di rotazione di Martecambia significativamente col tempo acausa dell'azione gravitazionale del Solesul rigonfiamento equatoriale del pia-neta. Al momento l'asse di Marte è incli-nato di circa 25 gradi rispetto alla per-pendicolare al piano della sua rivoluzioneintorno al Sole. In un periodo compresotra 100 000 e un milione di anni l'inclina-zione dell'asse passa, però, da un minimodi 15 gradi a un massimo di 35. Per com-plicare ulteriormente le cose, calcoli piùrecenti di Ward, di Joseph A. Burns e di

Il 13 settembre dello scorso anno, corrispon-dente al tardo inverno nell'emisfero setten-trionale marziano, verso il mezzogiorno localefu fotografata della brina su Marte con glistrumenti posti a bordo del !ander diV iking 2.Il !ander si trova in Utopia Planitia a una lati-tudine di 48 gradi. L'immagine è diretta versosud-ovest sopra la struttura del veicolo spa-ziale. Le formazioni di brina sono le chiazzebianche alla base delle rocce. Probabilmente èciò che resta di un sottile deposito di ghiacciod'acqua, forse frammisto a un clatrato in cuil'anidride carbonica è imprigionata nel ghiac-cio d'acqua. La brina si è accumulata lenta-mente durante l'inverno man mano che l'acquasi trasferiva dall'emisfero meridionale a quellosettentrionale. L'analisi del colore della super-ficie indica che la brina era rimasta sul terrenoper almeno 100 giorni prima della fotografia.

La superficie di MarteLe immagini senza precedenti delle missioni Viking recano preciseinformazioni sul modellamento della superficie del pianeta dovutoall'attività vulcanica, all'impatto di meteoriti, all'acqua e al vento

di Raymond E. Arvidson, Alan B. Binder e Kenneth L. Jones

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«Colate» di detriti circondano il cratere Arandas di 25 chilometri di diametro, fotografatodall'orbiter di Viking I il 22 luglio 1976. Anche se il bordo del cratere è ben definito, sembra che ilmateriale intorno a esso sia stato trasportato lungo il terreno, invece di essere scagliato via nelmomento in cui la meteorite colpì la superficie. In alto a sinistra sembra che la colata sia statadeviata attorno a un piccolo cratere. I solchi radiali sulla superficie della colata possono essere statiscavati per erosione durante le ultime fasi del processo d'urto. Probabilmente la colata ebbeorigine quando il calore generato dall'impatto della meteorite fece fondere il ghiaccio sotto lasuperficie e l'acqua e il vapore trasportarono il materiale fuori dal cratere in un flusso continuo.

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«Big Joe» è il nome dato al grande masso scuro a destra del centro diquesta fotografia scattata dal !ander di Viking I al mezzogiorno localedel 23 agosto 1976. Il masso misura circa due metri e si trova a 10 metricirca dal lander; fa parte di un gruppo di massi che appaiono tra detritidi materiale a grana fine. È probabile che in passato Big Joe fossericoperto da tale materiale, parte del quale sembra aderire ancora allasua sommità come un deposito bruno-giallastro. L'immagine è stataripresa nell'estate dell'emisfero settentrionale, una stagione nota per lamancanza di tempeste di polvere; ciononostante, il colore bruno-gialla-stro del cielo è dovuto a particelle di polvere sospese. Evidentemente,

una certa quantità di polvere resta presente nell'atmosfera marzianaper la maggior parte del tempo. All'orizzonte, al centro dell'illustra-zione, è visibile il profilo di un cratere da impatto a circa 300 metri dallander. I numeri attorno all'illustrazione aiutano a interpretare la foto-grafia. I numeri nella colonna all'estrema sinistra indicano l'elevazionein gradi al di sopra e al di sotto del piano orizzontale della telecamera; inumeri nelle due righe in alto indicano l'azimut in gradi rispettivamen-te nel sistema di coordinate della telecamera e in quello del lander.Il nord è a un azimut di 130 gradi. Gli altri numeri si riferiscono allelinee di scansione con cui la telecamera costruisce l'immagine.

O. Brian Toon dell'Ames ResearchCenter mostrano che l'inclinazione del-l'asse può avere raggiunto sporadica-mente i 45 gradi in un epoca precedente,anteriore alla formazione del grandecorrugamento vulcanico Tharsis.

Un radiometro, posto a bordo della na-vicella spaziale Mariner 7, aveva rivelatoche le calotte glaciali stagionali di Marte

erano composte di anidride carbonica allostato di ghiaccio. Sembrava probabile chela calotta glaciale residua, che sussistevain estate, fosse composta anch'essa dighiaccio di anidride carbonica. Se la ca-lotta glaciale permanente fosse fatta dighiaccio di anidride carbonica (ghiacciosecco), un aumento relativamente piccolodella temperatura atmosferica farebbe

aumentare la pressione atmosferica mar-ziana che passerebbe dal suo valore at-tuale compreso tra due e 10 millibar a unvalore compreso tra 30 millibar e un bar,ossia la pressione atmosferica terrestre allivello del mare. La stima di 30 millibar,calcolata da Bruce C. Murray e dai suoicolleghi del California Institute of Tech-nology, era basata sulla quantità di radia-

zione solare ricevuta dalle calotte glacialiquando l'asse di rotazione di Marte eraalla sua massima inclinazione di 35 gradi enell'ipotesi che l'atmosfera trasportasseun quantitativo minimo di calore ai poli.La stima di un bar, calcolata da Sagan edai suoi collaboratori, era un limite supe-riore che risultava da un occasionale ef-fetto serra, per cui un incremento inizialedella temperatura porta a un aumentodella pressione atmosferica, consentendocosì un maggiore trasferimento di caloreverso i poli, il che permetterebbe a suavolta l'evaporazione di una quantità an-cora più elevata di anidride carbonica.

In periodi più caldi, o quando i poli diMarte erano rivolti più direttamenteverso il Sole di quanto facciano attual-mente, la densità dell'atmosfera marzianasarebbe stata maggiore e una quantità piùelevata di polvere sarebbe stata strappataper erosione nelle regioni a minore latitu-dine per essere trasportata verso i poli.Man mano che l'atmosfera si raffreddavasopra i poli e si condensava formando lecalotte di ghiaccio, la polvere si sarebbedepositata insieme con il materiale con-densato. In periodi più freddi, però, sisarebbe condensata ai poli una quantità diatmosfera così elevata che i suoi restigassosi a latitudini più basse sarebberodiventati molto poco densi e avrebberotrasportato ai poli molto meno polvere.

Le osservazioni degli orbiter Viking

Gli orbiter Viking, che iniziarono l'os-servazione fotografica di Marte all'iniziodell'estate del 1976, hanno fornito imma-gini del pianeta molto più nitide di quelletrasmesse da Mariner 9. La differenza eradovuta soprattutto al fatto che Mariner 9si era avvicinato a Marte quando il pia-neta era ancora avvolto in una tempestadi polvere. Inoltre, dopo la tempesta, erarimasta nell'atmosfera una quantità taledi polvere da oscurare significativamentela superficie di Marte per vari mesi terre-stri. Gli orbiter Viking incomiciarono ariprendere immagini di Marte quandol'atmosfera era relativamente priva dipolvere. Inoltre, anche se le telecameresugli orbiter Viking sono costituite da si-stemi Vidicon simili a quelli a bordo diMariner 9, essi avevano un potere risolu-tivo notevolmente migliore.

Le fotografie riprese dagli orbiter Vi-king mostrano che gran parte della su-perficie di Marte conserva dettagli topo-grafici minuti: colate di lava, rilievi ru-gosi, e materiali espulsi da crateri ap-paiono ben evidenti. Inoltre le fotografiemostrano numerose colate di lava anchenei terreni craterizzati più primitivi. Sullabase di questi ultimi aspetti Michael H.Carr dell'US Geological Survey e i suoicolleghi suggeriscono che anche granparte dell'antico terreno craterizzato nel-l'emisfero meridionale fosse sommersodalla lava. Questo livellamento prodottodall'azione vulcanica spiegherebbe per-ché i terreni marziani ricchi di crateri ab-biano profili relativamente dolci e rego-lari al confronto dei rilievi montuosi chesi trovano sulla superficie lunare.

Il fatto che le strutture più antiche suMarte conservino aspetti ben definiti in-dica pure che nella storia del pianeta sisono avute poche frantumazioni di roccee ridistribuzioni di detriti. L'unica provaevidente di erosione eolica su larga scalasi trova in regioni composte dai depositisedimentari più antichi, come quelli inprossimità dei poli. È probabile che i de-positi polari si siano consolidati solo par-zialmente e siano pertanto facilmentesoggetti all'erosione da parte del vento.

Gli orbiter Viking hanno mostrato chele pianure settentrionali ad alta latitudinesono qualcosa di più che semplici mantellidi detriti. Sono costituite da un complessodi colate di lava e di depositi di polvereportata dal vento, a loro volta parzial-mente erosi dal vento. Più vicino al polonord le telecamere degli orbiter trovaronograndi estensioni di dune attorno alla ca-lotta di ghiaccio residua; le dune sem-brano composte da particelle grandi comegranelli di sabbia. Particelle grandi comesabbia, che su Marte variano probabil-mente da 0,1 millimetri a vari millimetri,sono troppo grandi e pesanti per restaresospese nell'atmosfera rarefatta ed esseretrasportate, ma sono abbastanza piccole eleggere da essere rotolate e sollevate dalvento per brevi distanze. Invece, le parti-

celle di polvere, che su Marte sono piùpiccole di 0,1 millimetri, sono abbastanzapiccole e leggere da essere trasportate insospensione.

La massa degli accumuli di detriti sullepianure settentrionali e delle dune vicineai poli sembra costituita da materialestrappato via per erosione dagli stessi de-positi polari. Quando i depositi furonoerosi dal vento, la polvere fu portata lon-tano mentre la sabbia venne lasciata in-dietro e si accumulò in dune vicine ai poli.Ci si chiede in qual modo i depositi polaridi polvere possano fornire sia polvere chesabbia. Forse ciò è possibile perché leparticelle grandi come sabbia sono costi-tuite in realtà da particelle di polvere te-nute insieme da ossidi, sale o ghiaccio.

L'interpretazione dei dati forniti dairadiometri posti sugli orbiter Viking, ef-fettuata da Hugh H. Kieffer dell'Univer-sità della California a Los Angeles e daisuoi collaboratori, ha rivelato che la tem-peratura sopra la calotta di ghiaccio resi-dua al polo nord durante il periodo estivodell'emisfero settentrionale marziano eradi circa 205 kelvin (68 gradi centigradisotto lo zero). Dato che la pressione at-mosferica superficiale su Marte è di solisei millibar circa, la temperatura avrebbedovuto essere minore di 148 kelvin per

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mantenere una calotta permanente dighiaccio di anidride carbonica. Anche seil ghiaccio nella calotta fosse un compostoclatrato in cui il ghiaccio di anidride car-bonica fosse rimasto imprigionato nelghiaccio d'acqua, esso non potrebbe sus-sistere a temperature superiori a 155 kel-vin circa. L'unico prodotto di condensa-zione che può restare stabile a 205 kelvinè il ghiaccio d'acqua.

L'idea che la calotta polare residua siafatta solo di ghiaccio d'acqua è rafforzatada un'analisi dei dati raccolti dagli spet-trometri degli orbiter Viking condotta daCrofton B. Farmer e dai suoi collabora-tori al Jet Propulsion Laboratory. Essihanno trovato che la quantità di vaporeacqueo nell'atmosfera durante l'estatedell'emisfero nord è tale da richiederetemperature maggiori di 200 kelvin.

Le osservazioni della calotta polare re-

sidua meridionale durante l'estate del-l'emisfero sud sono di difficile interpreta-zione a causa di una nube di polvere discala planetaria che può aver mitigato letemperature atmosferiche. Probabil-mente, anche la calotta glaciale residuameridionale è costituita da ghiaccio d'ac-qua, anche se le misure della sua tempe-ratura non consentono chiare conclusionie rimane una debole possibilità che il suocostituente principale sia ghiaccio di ani-dride carbonica.

Dato che sembra accertata la presenzadi ghiaccio d'acqua in entrambi i poli, leipotesi che considerano l'acqua come unagente importante nel passato di Marte sisono diffuse notevolmente. Inoltre, lefotografie riprese dagli* orbiter Vikinghanno rivelato che i canali su Marte sonoancora più numerosi di quanto fu indicatodalle fotografie trasmesse da Mariner 9,

mostrandoci canali di dimensioni minoriche formano un sistema di drenaggio benpiù fitto e completo di quanto si pensavain precedenza. Lo scorrere della pioggiaprodotta da un'antica densa atmosferapuò avere scavato alcune delle reti di ca-nali. Altri canali possono essersi formatiquando il ghiaccio sotterraneo vennesciolto dal calore liberato in attività vul-caniche. Allora i canali sarebbero statiprodotti quando il ghiaccio si sciolse, ilterreno sovrastante sprofondò e l'acquacorse via. In tal caso la formazione deicanali sembrerebbe direttamente corre-lata alla storia termica del pianeta.

Dati interessanti a favore della pre-senza di ghiaccio d'acqua nella crosta enel regolite di Marte sono stati ottenutianche dall'esame di immagini delle ter-razze, dei contrafforti e delle ondulazionicaratteristiche dei materiali emessi da

molti crateri di grandi dimensioni. SullaLuna sembra che i materiali emessi dacrateri di impatto siano costituiti da bloc-chi di materiali che furono scagliati viadall'urto originale per ricadere sulla su-perficie, scavando miriadi di crateri se-condari da impatto. Su Marte i depositiespulsi circondano i crateri da impattoquasi come una colata solidificata. Ciò èdovuto probabilmente al fatto che il ca-lore sviluppatosi nell'urto sciolse e vapo-rizzò il ghiaccio d'acqua intrappolatonella crosta, così che l'acqua allo stato diliquido e di vapore portò via dal cratere ilmateriale espulso in un flusso continuo didetriti lungo il terreno. In alcune fotogra-fie si può vedere perfino dove il flusso fudeviato attorno a ostacoli che ne ostrui-vano il cammino.

Anche se ora si riconosce nell'acqua unagente importante nel passato di Marte.

la scoperta che le regioni polari sono do-minate probabilmente da ghiaccio d'ac-qua anziché da ghiaccio di anidride car-bonica pone limiti severi all'intensitàdelle passate fluttuazioni climatiche. Seuna calotta di ghiaccio di acqua su Martericevesse una maggiore quantità di lucesolare, incomincerebbe a evaporare su-blimando direttamente da ghiaccio solidoa vapore. La temperatura avrebbe dovutocrescere di almeno 70 kelvin perché lapressione del vapore acqueo su Marteraggiungesse il valore necessario per l'e-sistenza di acqua allo stato liquido. Unaumento di temperatura così grande sa-rebbe molto improbabile anche se la lu-minosità del Sole subisse la massima va-riazione teoricamente permessa, o l'incli-nazione dell'asse del pianeta cambiassedel massimo valore consentito. In effetti,l'ottima conservazione della maggior

parte delle superfici marziane più anticheè coerente con l'ipotesi che le condizioniatmosferiche su Marte non abbiano su-bito fluttuazioni notevoli per la maggiorparte della storia del pianeta. Sembraprobabile che gran parte dei depositi po-lari si sia formata in tempi molto antichi eda allora sia soggetta all'erosione colica.Il periodo esatto in cui si formarono e lacausa della loro formazione, così come lastoria di qualsiasi densa atmosfera pri-mordiale che può essere stata favoritadall'effetto serra, restano un mistero.

Illander di Viking 1 toccò il suolo mar-ziano sulle pendici occidentali della re-gione chiamata Chryse Planitia (22,5gradi di latitudine nord, 47,8 gradi di lon-gitudine ovest). Il luogo di atterraggio vi-sto dall'orbita si presenta come la superfi-cie di un mare lunare: è una pianura vul-canica regolare poco craterizzata, segnata

Chryse Planitia, il luogo ove toccò terra il !ander di Viking 1, è unapianura costellata di massi. A destra del centro sono visibili varie zonedi fondo roccioso scoperto. Più in basso si vedono piccoli depositilineari e striature di sedimenti che hanno inizio dalle rocce. Le striaturesi estendono approssimativamente in direzione nord-sud. Verso l'alto a

sinistra c'è una grande area detritica in cui si accumularono depositi inun periodo in cui i venti soffiavano da nord a sud. A causa dell'esten-sione in azimut dell'immagine composita sembra che le striature cam-bino direzione con l'azimut. Il centro del mosaico è diretto versosud-est. L'intero mosaico copre 160 gradi di azimut. La topografia

locale fa sì che la distanza dall'orizzonte passi da varie decine di metrisulla sinistra a vari chilometri sulla destra. Il terreno è, in basso, a solidue metri circa dalla macchina da ripresa. Un riferimento per valutarele dimensioni delle strutture superficiali è fornito dall'oggetto cilindricobrillante posto sul suolo al centro della parte inferiore del mosaico; è

lungo 10 centimetri. Il «piede» del lander è visibile in basso a destra ealtre parti del veicolo sono visibili a sinistra. Sotto la navicella lo scaricodel retrorazzo ha soffiato via il materiale superficiale, rivelando un tipodi suolo rotto e incrostato detto «duricrust»; qualche frammento diquesto tipo di suolo è visibile a sinistra dell'oggetto cilindrico.

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da una serie di rugosità. Le pareti deicrateri sembrano quasi intatte e anche lerugosità sono ben conservate. L'erosionedeve essere stata molto scarsa o comun-que limitata a una scala dell'ordine deimetri, dato che la morfologia dei depositiespulsi e delle rugosità è cambiata moltopoco.

Il luogo di atterraggio si trova circa 130chilometri a est di Lunae Planum, unadelle pianure di Marte maggiormente co-stellata di crateri. Lunae Planum si trova auna quota più elevata di Chryse Planitiadi un chilometro circa e il confine tra ledue regioni è segnato da una serie di scar-pate irregolari. Alcuni grandi canali cor-rono attraverso Lunae Planum, emer-gono dalla scarpata e si spingono a estattraverso Chryse Planitia verso il luogodi atterraggio. Molto probabilmente i ca-nali furono prodotti da acqua contenutanel terreno e generata dal ghiaccio pre-sente in Lunae Planum. A un certo punto

del passato attività vulcaniche e geoter-miche fecero sciogliere parte del ghiacciopresente nel sottosuolo dando luogo acorrenti impetuose che si scavarono unavia tra i depositi di Lunae Planum e siriversarono su Chryse Planitia. Il flusso diacqua da Lunae Planum si aprì un varcoattraverso numerosi crateri e ondulazionidel terreno che si trovano a ovest delluogo di atterraggio.

La superficie di Chryse Planitia

Per confrontare le immagini riprese dal!ander di Viking 1 con quelle riprese dagliorbiter Viking, va tenuto presente che illander si trova sul fianco di un corruga-mento. Visto dal lander il luogo è moltosimile a molti deserti pietrosi terrestri,soprattutto a quelli di rocce vulcaniche.

Il panorama lievemente ondulato è dicolore bruno-giallastro, disseminato dirocce e costellato di detriti di materiale a

grana fine. Entro 30 metri dal veicolo spa-ziale si possono distinguere numerosi af-fioramenti del fondo roccioso. Sulle foto-grafie scattate dal lander non si vede al-cuna prova evidente della inondazione diLunae Planum; non si possono rilevare néstrutture spazzate via, né canali e neppuredepositi fluviali. Apparentemente l'inon-dazione non ha raggiunto il luogo di at-terraggio oppure le sue tracce sono statequasi cancellate dal tempo. È pure possi-bile che la superficie abbia subito altera-zioni così profonde dopo l'inondazione danon lasciare alcuna caratteristica fluvialericonoscibile.

La rassomiglianza del luogo di atter-raggio con i deserti pietrosi terrestri ri-sultò piuttosto sorprendente sulla base diciò che la maggior parte dei ricercatori siattendeva dopo le immagini di aspettolunare di Chryse Planitia riprese dall'or-bita. I caratteri dominanti della regionevista dall'orbita sono i crateri. Dal terreno

solo pochi crateri sono evidenti nelle im-mediate vicinanze del lander. Basandosisul numero di crateri di grandi dimensionivisibili dall'orbita, Edward A. Guinness,Jr, dell'Università di Washington calcolòche se Marte fosse simile alla Luna si do-vrebbero osservare nel campo di vista dellander circa 35 crateri di diametro va-riante tra 25 e 50 metri.

In realtà nel 1970 Donald E. Gault eBarrett S. Baldwin, Jr., dell'Ames Re-search Center previdero che su Marte do-veva esserci una relativa scarsità di crateridi diametro inferiore a 50 metri. Calco-larono che l'atmosfera pur rarefatta diMarte è sufficientemente densa da di-struggere piccole meteoriti in arrivoprima che raggiungano la superficie. Aseguito di ciò la superficie di Marte nonsarebbe soggetta ai ripetuti impatti di pic-coli oggetti dotati di velocità elevata e allaconseguente craterizzazione di pochimetri di spessore di terreno superficiale.

L'unica popolazione significativa di cra-teri di diametro inferiore a 50 metri do-vrebbe essere costituita dai crateri secon-dari prodotti dall'impatto di detriti sca-gliati via durante la formazione di uncratere di grandi dimensioni (con un dia-metro cioè di decine di chilometri). Alcontrario, la superficie lunare mostra unospettro continuo di dimensioni di crateri el'impatto di piccoli oggetti nel corso dimilioni di anni ha prodotto un suolo pol-veroso. Su Marte urti di grosse propor-zioni frantumerebbero la superficie dis-seminando su di essa uno strato disconti-nuo di blocchi relativamente grandi, pro-prio come sul luogo di atterraggio. Lanatura del terreno marziano deve esserestata determinata da altri processi.

Oltre alle rocce e agli affioramenti visi-bili sul terreno, a Chryse Planitia si trovamateriale a grana fine in abbondanzasotto forma di striature sul lato sottoventodella maggior parte delle rocce; le stria-

ture sono profonde vari centimetri e siestendono per una lunghezza compresatra 10 centimetri e un metro. A nord-estdel lander si trova un complesso di detritiin un'area costellata di massi; questi ac-cumuli di detriti si formarono probabil-mente quando materiale trasportato dalvento rimase intrappolato tra massi ab-bastanza grandi da ridurre localmente lavelocità del vento. Molti accumuli mag-giori mostrano una struttura stratificata olaminare. Solitamente sulla Terra non siosservano stratificazioni di detriti in ac-crescimento o in movimento; le stratifica-zioni sono visibili solo quando i detritisono stabilizzati dalla vegetazione o dallacementazione e sono scavati dall'erosioneeolica. Sembra che su Marte i detriti os-servati siano di antica formazione e sisiano poi consolidati parzialmente inrocce sedimentarie che sarebbero stateerose recentemente.

In media gli assi maggiori delle stria-

Utopia Planitia, luogo di atterraggio del lander diViking 2, assomigliasuperficialmente a Chryse Planitia, dato che il terreno è disseminato dimassi. Il terreno è però notevolmente piatto e l'orizzonte dista molti

chilometri. Le dimensioni sono date dal masso più grande al centrodell'immagine, che si trova a 2,75 metri dal veicolo spaziale ed è largo35 centimetri. Nessun fondo roccioso sembra affiorare. Una depres-

sione ben evidente, larga un metro circa e profonda 10 centimetri,taglia orizzontalmente la parte centrale dell'illustrazione. Vari accu-muli di detriti ne occupano la parte inferiore. Depositi lineari o striature

si estendono sottovento dalle rocce all'estrema sinistra e hanno appros-simativamente lo stesso azimut di quelle di Chryse Planitia. Il pianorobrillante all'orizzonte a destra è in direzione del grande cratere Mie.

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Due accumuli di materiale a grana fine si trovano a 15 metri dal landerdi Viking 1. I detriti a destra sono composti di materiale più scuro diquello di sinistra. Gli spettri dei detriti scuri indicano che è l'unico

esempio di materiale di questo tipo nei due luoghi di atterraggio. Tuttele altre zone di terreno viste dai !ander sono molto simili. Sono proba-bilmente analoghe al terreno predominante nelle aree brillanti.

ture lasciate dal vento dietro le rocce sonodiretti verso sud. Fotografie di regionipoco a nord del luogo di atterraggio scat-tate da Mariner 9 mostrano che anche legrandi striature che partono dai crateripuntano approssimativamente verso sud.Entrambi questi complessi di striaturesembrano indicare che i venti superficialiprevalenti hanno soffiato da nord a suddurante il periodo in cui si formarono lestriature. Inoltre, lo schema degli stratiesposti sui detriti mostra che la direzionedei venti era da nord a sud anche quandosi depositarono i detriti.

Un'altra caratteristica del luogo di at-terraggio fu rilevata proprio dall'atter-raggio. Presso la navicella lo scarico delretrorazzo soffiò via i frammenti liberi dimateriale superficiale, mettendo in luceuna crosta di suolo spezzettata secondouno schema poligonale. Questo tipo disuolo noto come duricrust ha un aspettosimile a quello dei depositi detti calichenegli Stati Uniti sudoccidentali e nelMessico. Sulla Terra il duricrust si formaquando soluzioni diluite di sali mineralimigrano verso l'alto attraverso il suolo;l'acqua evapora dalle soluzioni e i sali e lealtre sostanze si raccolgono proprio sottola superficie. Probabilmente lo stessoprocesso ha avuto luogo su Marte. Non sisa se l'acqua su Marte proviene da porirelativamente grandi sotto la superficie oda pellicole sottili di acqua tra grani dimateriale. Probabilmente proviene dapellicole sottili, dato che le variazioni nelcontenuto di vapore acqueo degli stratiinferiori dell'atmosfera suggeriscono chel'acqua segue un ciclo regolare di scambiotra la superficie e l'atmosfera.

Prelevando campioni di terreno dalsuolo davanti al !ander e analizzandone lacomposizione chimica con lo spettrome-tro a fluorescenza per raggi X a bordo dellander si ottenne una prova diretta dellapresenza di sali nel duricrust marziano.Priestley Toulmin III dell'US Geological

Survey e i componenti del gruppo trova-rono che lo zolfo, un probabile compo-nente di sali minerali, era un po' più ab-bondante nelle zolle di terreno che nelterreno sciolto. Le zolle sono numeroseattorno al lander e sono probabilmenteblocchi di duricrust spezzati dall'atterrag-gio e anche dal vento naturale.

La superficie di Utopia Planitia

La scelta del luogo di atterraggio per illander di Viking 2 fu basata in parte suldesiderio dei ricercatori di avere il se-condo lander in una regione sostanzial-mente diversa da quella del primo, ma chefosse però abbastanza regolare da con-sentire la riuscita dell'atterraggio. Il re-quisito principale era però che il luogopresentasse un contenuto elevato di va-pore acqueo così da rendere massima laprobabilità di trovare evidenza di vita. Fuscelta la superficie di Utopia Planitia, chefa parte del mantello di detriti che ricoprele grandi pianure dell'emisfero setten-trionale. Le osservazioni orbitali rivela-rono che la superficie è spezzata da frat-ture che suddividono il terreno in formepoligonali con lati lunghi chilometri. Illuogo di atterraggio (48 gradi di latitudinenord, 225,6 gradi di longitudine ovest) sitrova 200 chilometri a sud-ovest delgrande cratere Mie, che ha un diametro di100 chilometri.

Subito dopo che il lander di Viking 2 sistabilizzò sulla superficie apparve chia-ramente che il luogo di atterraggio vistodalla Terra era simile superficialmente aquello del lander di Viking 1: la superficieè costituita da un pianoro disseminato dirocce con duricrust. La somiglianza peròfinisce lì. Il !ander di Viking 2 è atterratoin una regione piatta dove la maggiorparte del rilievo topografico è costituitada fenditure che dividono il terreno inpoligoni. Non si possono vedere affiora-menti di fondo roccioso. Massi e ciottoli

affondano parzialmente in uno strato dimateriale finemente sminuzzato o si ap-poggiano sopra a questo. Anche se sonopossibili altre spiegazioni dell'aspetto delluogo di atterraggio, è probabile che illander di Viking 2 si sia appoggiato su unaccumulo di detriti fuoriusciti dal cratereMie. Sulla Terra le colate di detriti tra-sportano comunemente grandi rocce allasuperficie del flusso, lasciando un campodi massi immersi parzialmente nel mate-riale più fine.

Approssimativamente le fenditure vi-sibili dal !ander di Viking 2 sono larghe unmetro e . profonde 10 centimetri e pre-sentano bordi lievemente rialzati. I solchivisibili dal lander sono molto più piccoli diquelli osservati dall'orbita, ma è proba-bile che le strutture abbiano la stessa ori-gine. Le dimensioni e la forma delle fen-diture viste dal !ander fanno di loro unbuon analogo fisico del terreno poligo-nale che si trova nelle regioni fredde ter-restri. Sulla Terra questo tipo di terreno siforma nel suolo saturo di ghiaccio dove lebasse temperature fanno sì che il terrenosi contragga e si spezzi; di solito le fendi-ture suddividono il terreno in uno schemadi poligoni. In primavera il suolo gelato sisgela e le fenditure si riempiono di acqua.All'inizio dell'inverno l'acqua diventaghiaccio e nel corso dell'inverno il ghiac-cio, che è meno resistente del suolo con-gelato, si spezza secondo lo stessoschema. Cicli ripetuti di questo processocreano un terreno tagliato da fenditure inuno schema poligonale, con cunei dighiaccio nelle fenditure.

L'ipotesi che questo processo operinormalmente su Marte è ostacolata dalfatto che le temperature a Utopia Planitiasono sempre al di sotto del punto di dicongelamento dell'acqua. Benton C.Clark della Martin Marietta Corporationha stimato che se il ghiaccio contenessedei sali, il punto di congelamento dellasoluzione sarebbe abbassato solo di 10 o

20 kelvin al di sotto del punto di fusionedell'acqua pura. Alle temperature diUtopia Planitia il ghiaccio non si scio-glierebbe mai.

Un altro processo capace di formareterreno poligonale è la disidratazionedelle argille. I terreni argillosi, che sono iprincipali candidati come maggiori co-stituenti del suolo marziano studiato neiluoghi di atterraggio, si espandono e sicontraggono almeno del 20 per centoquando assorbono o perdono acqua. Se ilterreno su cui si è posato il !ander di Vi-king 2 fu in passato saturo di acqua e poi siinaridì, è possibile che si siano create fen-diture che hanno generato solchi in unoschema poligonale.

Nel luogo di atterraggio del lander diViking 2, così come in quello del lander diViking 1, sono visibili piccole striatureche si diramano sottovento da alcunerocce. Inoltre, detriti a grana fine ingom-brano il fondo di un grande solco davantial lander. Anche in questo caso i detritiindicano che la direzione prevalente delvento è approssimativamente da nord asud; pertanto è possibile che Chryse Pla-nitia e Utopia Planitia siano soggette allostesso schema di venti. Dato che le duelocalità sono separate da circa 180 gradidi longitudine (sono cioè su facce oppostedel pianeta) un sistema di venti che abbiainteressato entrambe avrebbe dovutoessere di proporzioni planetarie. Moltoprobabilmente sia le striature che gli ac-cumuli di detriti si formarono durantetempeste di polvere nel periodo in cuiMarte era alla minima distanza dal Sole,quando il flusso atmosferico nell'emisferosettentrionale avrebbe potuto essere indirezione nord-sud. Le stazioni meteo-rologiche sui lander Viking, che misura-rono il flusso dei venti durante le tempe-ste di polvere del 1977, non mostranoperò nessun predominio di venti in dire-zione nord-sud.

Il suolo di Marte

LUNGHEZZA D'ONDA (MICROMETRI)

Spettri di riflessione relativi ai detriti brillanti e a quelli scuri osservati nel luogo di atterraggio del!ander di Viking 1, e uno relativo al terreno di una buca scavata dal braccio mobile che raccogliecampioni di terreno. Gli spettri sono stati ottenuti al Langley Research Center della NationalAeronautics and Space Administration con una tecnica speciale elaborata da Friedrich O. Huck eStephen K. Park. Gli spettri mostrano la frazione di luce solare riflessa a lunghezze d'ondacomprese tra 0,5 micrometri (nel blu) e I micrometro (nell'infrarosso vicino). La forma dellospettro è simile per i detriti brillanti (colore più intenso) e per la buca scavata (colore più chiaro):entrambi presentano una banda di assorbimento a 0,93 micrometri, il che implica che hanno unacomposizione analoga. L'unica differenza di rilievo tra i due spettri è nell'intensità della luceriflessa. (In realtà era ragionevole attendersi questa differenza dato che il terreno nella buca erastato modificato nello scavo incrementando la microtopografia del suolo, la diffusione e l'ombreg-giamento, e diminuendone il potere riflettente.) Lo spettro dei detriti scuri (in nero) presentainvece una forma diversa. La banda di assorbimento a 0,93 micrometri è scomparsa, dando allospettro un aspetto piatto. La differenza tra i detriti brillanti e quelli scuri può essere rappresen-tativa della differenza tra le grandi aree chiare e scure di Marte viste dalla Terra.

Lo spettrometro a fluorescenza perraggi X posto su ciascun lander ha analiz-zato campioni di terreno e ha determinatol'abbondanza di elementi di numero ato-mico superiore a quello del sodio (che hanumero atomico 11). Toulmin e i suoicolleghi hanno esaminato i dati e hannodimostrato che la composizione globaledel suolo è sostanzialmente analoga neidue luoghi di atterraggio. La composi-zione è diversa da quella di qualsiasi tipoconosciuto di minerale o di roccia presoisolatamente, il che indica che il terreno ècostituito probabilmente da un compli-cato miscuglio di materiali.

La superficie di Marte sembra costi-tuita da terreno derivato da rocce igneebasiche, cioè da rocce che si sono cristal-lizzate da una fusione ricca in magnesio ein ferro. Paragonate alle rocce terrestri,sono ricche in magnesio, ferro e calcio epovere in potassio, silicio e alluminio.Queste abbondanze sono compatibili conla specie di materiali che ci si aspette-rebbe da una fusione parziale del man-tello di Marte.

È probabile che il suolo analizzato daglispettrometri per raggi X dei Viking siacostituito da una mistura di minerali ar-gillosi ricchi in ferro, idrossidi di ferro,solfati e carbonati. Queste deduzionisono coerenti con i risultati degli esperi-menti combinati condotti sui lander con igascromatografi e con gli spettrometri dimassa, in cui si trovò che dai campioni disuolo riscaldati si liberano vapore acqueoe anidride carbonica. Il terreno contieneuna quantità d'acqua pari all'uno percento in peso, parte della quale si trovaprobabilmente in minerali idrati.

Sulla Terra i materiali basici sono alte-rati chimicamente dall'acqua e generanoterreni argillosi ricchi in ferro. È possibileche lo stesso processo sia stato attivo suMarte in passato, quando prevaleva l'ac-qua allo stato liquido. Parte del terrenopuò essersi formato anche quandomagma a elevata temperatura penetrò nelregolite e nella crosta impregnata di

ghiaccio, eruttando in modo esplosivo eformando tufo argilloso. Inoltre, nel casoche si sia resa disponibile una quantitàsufficiente d'acqua, il calore liberato negliimpatti avrebbe potuto essere sufficienteper trasformare in argille i materiali roc-ciosi di origine vulcanica.

Un'interessante ipotesi alternativa èstata proposta da Robert L. Huguenindell'Università del Massachusetts. Eglisuggerisce che il tipo di terreno sia statodeterminato soprattutto dall'ossidazionestimolata dall'irradiazione ultraviolettadelle rocce. La radiazione ultraviolettaemessa dal Sole non è assorbita dall'at-mosfera di Marte essendo questa priva diuno strato di ozono. In presenza di piccolequantità di vapore acqueo questa radia-zione può disgregare i silicati di alluminiodeterminando la migrazione degli ioni,come gli ioni ferro, verso la superficiespezzando così la struttura cristallina deiminerali. Non sappiamo in quale misura

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Queste immagini ravvicinate mostrano la varietà delle rocce marziane.Le due fotografie in alto mostrano le rocce di Chryse Planitia; le duefotografie in basso mostrano le rocce di Utopia Planitia. Il masso in altoa sinistra è lungo 25 centimetri circa; il suo aspetto chiazzato e variegatoricorda le rocce ignee terrestri erose dal vento, Il duricrust scopertodallo scarico del retrorazzo è visibile in basso a sinistra. La roccia in altoa destra, larga 20 centimetri, sembra una breccia vulcanica. Un avval-lamento spazzato dal vento è visibile su un lato della roccia; un depositodi materiale portato dal vento si estende dall'altro lato. Le cavità delterreno di forma allungata furono prodotte quando i massi scagliati viadall'atterraggio colpirono il terreno. La roccia in basso a sinistra è un

blocco rettangolare largo 40 centimetri circa. La forma angolare dellaroccia indica che il suo aspetto è dominato da piani di frattura tra loroperpendicolari. Sullo sfondo è visibile materiale detritico con una roc-cia conica che può essere stata modellata dall'erosione del vento. Laroccia a forma di arachide in basso a destra può essere un blocco di lavalargo 30 centimetri. Le cavità che mostra possono essersi prodottequando il gas presente nella lava formò bolle o vesciche e poi si liberò,oppure possono essere il risultato dell'erosione eolica di inclusioni dimateriale meno resistente. Entrambi i luoghi di atterraggio mostranouna varietà di forme rocciose in parte erose e in parte di aspettoprimitivo. La maggior parte di esse sembra essere di origine vulcanica.

Dopo l'uscita dei due volumi

IL SISTEMA SOLARENELLE ESPLORAZIONI SPAZIALI eL'UNIVERSO: PROBLEMI E INCOGNITELE SCIENZE

edizione italiana di SCIENTIFIC AMERICANha pubblicato altri interessanti articoliriguardanti l'universo e il sistema solare,tra cui:

IMPULSI COSMICIDI RAGGI GAMMA

di I. B. Strong e R. W. Klebesabel (n. 101)

Sconosciuti fino a quattro anni fa, sono oraregistrati da strumenti a bordo dei satelliticon una frequenza di circa uno al mese;superano in splendore altre sorgenti di ra-diazione, ma la loro origine è un mistero.

SUPERNOVEIN ALTRE GALASSIE

di R. P. Kirshner (n. 103)

Poiché in una galassia questi cataclismistellari si verificano circa una volta ogni 50anni, il modo migliore per studiare la naturadelle supernove è quello di osservarle nel-

le galassie esterne.

LA MECCANICA QUANTISTICADEI BUCHI NERI

di S. W. Hawking (n. 105)

I buchi neri sono spesso descritti comeregioni dalle quali nulla, nemmeno la luce,può sfuggire. Vi sono però buoni motivi perritenere che una fuga di particelle sia pos-

sibile per effetto tunnel.

I CRATERINEL SISTEMA SOLARE

di W. K. Hartmann (n. 105)

Le esplorazioni spaziali hanno rivelato checrateri simili a quelli della Luna sono pre-senti su tutti i corpi del sistema solareinterno, la cui storia si può così ricostruire

studiandone la craterizzazione.

PHOBOS E DEIMOSdi J. Veverka (n. 106)

Le missioni dei Mariner e dei Viking hannofornito dati anche sui piccoli satelliti diMarte. Per la prima volta è stato possibileosservare da vicino la natura di corpi minori

del sistema solare.

ONDENEL VENTO SOLARE

di J. T. Gosling e A. J. Hundhausen(n. 107)

Le variazioni nella velocità del vento sola-re, prodotto dalla tenue atmosfera esternadel Sole che si espande nello spazio, ven-gono interpretate come onde di velocità

che si evolvono con la distanza.

LE COMPAGNE DELLE STELLEDI TIPO SOLARE

di H. A. Abt (n. 108)

É stata condotta una ricerca spettrograficasu oltre cento stelle relativamente vicineper stabilire quante fossero doppie e quali,tra queste, avessero per compagna un

pianeta.

IL CASO DELLE MACCHIESOLARI MANCANTI

di J. A. Eddy (n. 109)

Antiche registrazioni indicano che tra il1645 e il 1715 non vi furono praticamentemacchie solari. È probabile che l'attivitàsolare cambi in modo significativo e che ilperiodo attuale sia insolitamente attivo.

I GLOBULI DI BOK

di R. L. Dickman (n. 110)

Appaiono come oscure nubi sferiche digas e polvere interstellare su uno sfondoluminoso di stelle e gas. Dai dati disponibilisembra che stiano collassando e che pos-

sano essere stelle in formazione.

L'ATMOSFERA DI MARTEdi C. B. Leovy (n. 111)

Nonostante la sua densità sia inferiore aun centesimo di quella terrestre, ha nubie venti analoghi ed è l'agente principaledelle modificazioni della superficie del

pianeta.

questo processo possa avere determinatola natura del suolo.

Due magneti erano montati sulla zappadel braccio mobile di cui era dotato ogni!ander per prelevare campioni di suolo.Un magnete era montato sulla superficiedella zappa; l'altro era immerso nel me-tallo così che la sua intensità effettiva eraun dodicesimo di quella del primo ma-gnete. Quantità uguali di materiale si at-taccavano a entrambi i lati della zappa,quando questa era affondata nel terreno.Secondo Robert B. Hargraves della Prin-ceton University e David W. Collinsondell'Università di Newcastle upon Tyne,la percentuale in peso di materiale ma-gnetico doveva essere compresa tra il 3 eil 7 per cento nel caso in cui aderivanouguali quantità di materiale a entrambi imagneti. Se il terreno avesse una concen-

trazione minore di materiale magnetico,non ci sarebbe adesione sul magnete piùdebole. Pertanto nel suolo di Marte èpresente una quantità significativa dimateriale magnetico.

Il colore del materiale che aderiva aimagneti è lo stesso della superficie, il cheindica che i materiali magnetici sono rico-perti dagli stessi materiali che determi-nano il colore del suolo marziano. Candi-dati ragionevoli per i materiali magneticisono la magnetite, la maghemite, en-trambi ossidi di ferro, e il ferro-nichelmetallico. La maghemite è di colore bru-no-giallastro e può contribuire, nel casosia presente, al colore di Marte. L'abbon-danza di materiale magnetico e la suaprobabile natura sono in accordo anchecon una sorgente basica, come il basaltobasico.

Le telecamere sui lander dei Viking ri-presero immagini della superficie e delcielo in sei bande spettrali, comprese tracirca 0,5 micrometri di lunghezza d'onda(nel blu) e 1,0 micrometri (nell'infrarossovicino). Le fotografie a colori furono sin-tetizzate determinando dapprima l'irra-diazione spettrale di Marte in ogni bandae calcolando poi la sfumatura, la brillan-tezza e la saturazione del colore nell'in-tervallo di lunghezza d'onda in cui l'oc-chio umano è sensibile. L'irradiazionespettrale della superficie di Marte è ilprodotto dell'irradiazione solare, dellariflettività della superficie di Marte e dellecaratteristiche della luce diffusa dall'at-mosfera. Le illustrazioni a colori mo-strano che la superficie è di colore bruno--giallastro. Se si tralasciano gli effetti in-trodotti dall'atmosfera, il colore della su-

perficie tende ancora di più al marrone.Gli spettri di riflessione dedotti dai dati

forniti dalle telecamere per varie zone diterreno in entrambi i luoghi di atterraggiosono notevolmente simili e sembrano va-riare solo con l'illuminazione. Gli spettriottenuti hanno un aspetto simile a quellodegli spettri misurati dalla Terra per learee brillanti di Marte. Si pensa che taliaree siano ricoperte da un terreno a granafine chimicamente alterato. Una spiega-zione che si adatta ai dati disponibili pre-vede che la maggior parte del terrenoesposto nei luoghi di atterraggio e cam-pionato per le analisi sia costituito da unprodotto brillante dovuto alla disgrega-zione chimica operata dagli elementiatmosferici e mescolato dal vento su scalaplanetaria.

L'unica area osservata nei luoghi di at-terraggio che presenti uno spettro di ri-flessione significativamente diverso daquello di tutte le altre zone è un accumulodi materiali a circa 15 metri dal lander diViking 1. È possibile che questo accumulosignificativamente più scuro del suolo cir-costante sia stato lasciato indietro dalvento che ha portato via il materiale piùbrillante a Q portabile più facilmente. Lospettro dell'accumulo più scuro è simileagli spettri delle aree oscure di Marte ot-tenuti con gli strumenti da Terra. Questopuò essere composto da rocce ignee ric-che in ferro parzialmente alterate chesono state frantumate in particelle. Per-tanto, anche se i terreni nei due luoghi diatterraggio presentano notevoli somi-glianze, sussistono anche differenze chepossono riprodurre su piccola scala ledifferenze che esistono tra i classici ter-reni brillanti e oscuri di Marte, come livediamo dalla Terra.

La maggior parte delle rocce e degliaffioramenti di letti rocciosi che appaiononelle fotografie a colori scattate dai landersembrano più scuri del suolo circostante,ma la maggior parte di essi è in realtà piùbrillante quando è osservata in condizionidi illuminazione paragonabili. Per lo piùnelle fotografie l'angolo tra il Sole, la su-perficie e le telecamere è più grande per lefacce delle rocce che per il materiale sulterreno, così che la brillantezza dellerocce sembra minore. Le rocce e il suolopresentano forme spettrali simili, il cheindica che le rocce sono ricoperte da unaspolveratura di materiale di composi-zione analoga a quella del suolo. L'a-spetto generale della maggior parte dellerocce suggerisce un'origine vulcanica, an-che se alcune sembrano notevolmenteerose dal vento. La maggior parte dellerocce nel luogo di atterraggio del !ander diViking 2 e alcune di quelle presenti nelluogo di atterraggio del !ander di Viking 1sono butterate come quelle che si for-mano sulla Terra da lave ricche di gas. Igas imprigionati nella lava dalle pressioniesistenti a grandi profondità si liberanoquando la lava raggiunge la superficie eformano piccole sacche di gas. Quando laroccia fusa si raffredda e si indurisce, lesacche danno luogo a bolle o vescichenella roccia. Sfortunatamente è estrema-mente difficile distinguere le cavità pro-

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Page 7: La superficie di Marte - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1978...inoltre Marte, ritenuto una volta un mondo di dune dalle forme arrotondate, sembra avere poca

dotte da questo processo da quelle gene-rate invece dall'erosione eolica di minera-li più soffici.

Uno degli aspetti più interessanti dientrambi i luoghi di atterraggio, e proba-bilmente di Marte in generale, è l'appa-rente scarsità di sabbia al confronto di untipico deserto terrestre. La mancanza disabbia nei luoghi di atterraggio è statadedotta da Henry J. Moore II dell'USGeological Survey e dai suoi collaboratoriosservando le fotografie delle pareti dellebuche scavate dal braccio mobile di cuisono dotati i lander dei Viking per prele-vare campioni di terreno. I loro risultatiindicano che le particelle di piccole di-mensioni su Marte hanno per lo più dia-metri inferiori a 0,1 millimetri. Sarebbedifficile strapparle dalla superficie e unavolta strappate sarebbero probabilmenteportate via dal vento.

I venti di Marte

Particelle grandi come granelli di sab-bia sono presenti su Marte, probabil-mente nelle dune che circondano le ca-lotte di ghiaccio; forse costituiscono l'ac-cumulo scuro di detriti presente nel luogodi atterraggio del lander di Viking I eparte delle classiche regioni scure che sitrovano nell'emisfero meridionale a me-die latitudini. Il suolo marziano non con-tiene però lo stesso tipo di sabbia che sitrova sulla Terra. La maggior parte dellesabbie terrestri sono costituite di quarzo edi feldspati asportati da rocce ignee siliceee da rocce metamorfiche a opera degliagenti atmosferici. Quarzo e feldspato,dominanti nelle rocce silicee, sono resi-stenti all'azione chimica dei fenomeniatmosferici e all'attacco meccanico, esono i maggiori costituenti delle rocce se-dimentarie terrestri. Marte non si è dif-ferenziato fino a creare grandi quantità dirocce silicee; sul pianeta sono prevalentiprobabilmente i basalti basici. In questibasalti i minerali più abbondanti sono oli-vina, pirossene e plagioclasi. Huguenin hadimostrato che anche nell'ambientefreddo e arido caratteristico di Martequesti minerali sono rapidamente alteratidall'ossidazione stimolata dalla radiazio-ne ultravioletta.

Se il terreno brillante nei luoghi di at-terraggio è costituito, come si pensa, daminerali argillosi, il terreno sarebbe smi-nuzzato in grani di dimensioni molto ri-dotte. Particelle grandi come granelli disabbia potrebbero esistere comunquecome aggregati di particelle più piccole.Questi aggregati delle dimensioni di sab-bia avrebbero una vita molto breve nelsistema eolico di Marte. I granelli muo-vendosi sulla superficie viaggiano ap-prossimativamente con la velocità delvento. Dato che l'atmosfera di Marte hauna densità pari a un centesimo circa diquella terrestre, occorrerebbero venti dicirca 50 metri al secondo (180 chilometriall'ora) per erodere dalla superficie diMarte particelle grandi come sabbia.Particelle di sabbia terrestre in moto conquella velocità avrebbero un grande po-tere di erosione, ma aggregati di mate-

riale argilloso si frantumerebbero negliurti in innocui bruscolini di polvere. Pro-babilmente anche granelli di mineralicome olivina, pirossene e feldspato sispezzerebbero a quelle velocità. A se-guito di ciò il tasso di polvere eolica suMarte è probabilmente basso al con-fronto di quello terrestre. Il tasso ridottodi erosione spiega probabilmente perchégran parte della superficie marziana pre-senta strutture così nette e primitive. Ilmateriale leggero può muoversi rapida-mente, ma le rocce vengono invece erosemolto lentamente.

Il cielo nei luoghi di atterraggio è bru-no-giallastro e ha sempre avuto questocolore per tutto l'anno marziano tra-scorso da quando i !ander sono su Marte.Questa osservazione è un po' inattesa.Secondo i calcoli di Pollack, il colore èdovuto soprattutto alle particelle di pol-vere sospese nell'atmosfera fino a un'al-tezza di 40 chilometri. Ci si attendeva chegrandi quantità di polvere restassero so-spese nell'atmosfera dopo le tempeste dipolvere di maggiori proporzioni, chehanno luogo quando il pianeta passa alperielio, cioè al punto della sua orbita piùvicino al Sole. Le fotografie riprese dailander hanno mostrato però che il cielorestava bruno-giallastro anche quandoMarte era all'afelio, cioè al punto dell'or-bita più lontano dal Sole. In quel periodole tempeste di polvere di grandi dimen-sioni sono rare. O la polvere è sollevataspesso su Marte, oppure è sostenuta alungo dinamicamente dalla turbolenzaatmosferica. Se tutta la polvere presentenell'atmosfera precipitasse sulla superfi-cie costituirebbe, però, solo uno stratodello spessore di una frazione di millime-tro anche nei giorni più polverosi.

I !ander hanno raccolto dati durantedue grandi tempeste di polvere, che ini-ziarono entrambe nell'emisfero sudquando Marte si avvicinò al perielio nel1977. La prima tempesta iniziò in feb-braio, la seconda in maggio. La nube dipolvere fu distribuita rapidamente sututto il pianeta per opera dei venti di altaquota. Entrambe le tempeste duraronovari mesi. Nei luoghi di atterraggio nel-l'emisfero nord i venti raggiunsero rara-mente velocità tali da disturbare il mate-riale sul terreno. Sembra probabile che aseguito di entrambe le tempeste si sia ac-cumulato uno strato sottile di polvere sui!ander e sul terreno circostante. Lo stratodi polvere indica che non tutto il mate-riale sollevato nell'emisfero sud vi ri-tornò. Col passare del tempo le tempestedi polvere dovrebbero portar via la pol-vere dalle regioni meridionali di medialatitudine, portando in luce il fondo roc-cioso e lasciando depositi di materiale piùscuro meno soggetto all'azione degliagenti atmosferici. Forse questi depositisono le classiche aree scure osservatedalla Terra.

Su Marte la maggior parte delle tem-peste di polvere ha inizio alle latitudiniche si trovano direttamente sotto il Sole alperielio. Questo punto subsolare al pe-rielio varia lentamente a causa della pre-cessione dell'asse di Marte. Questa pre-

cessione fa sì che il punto subsolare alperielio si sposti da +25 a —25 gradi dilatitudine in un periodo di 50 000 anni.Lawrence A. Soderblom dell'US Geolo-gical Survey ha posto in evidenza il fattoche se le aree oscure su Marte sono effet-tivamente regioni private di una frazionerelativamente elevata dello strato bril-lante di polvere mobile, esse possonospostarsi attraverso l'equatore con lostesso periodo. In altre parole, circa20 000 anni fa la maggior parte delletempeste di polvere al perielio avevanoinizio alla latitudine del lander di Viking 1ed è probabile che Chryse Planitia siastata privata parzialmente dei suoi depo-siti brillanti. In tal caso è possibile che idepositi e le striature osservati nel luogodi atterraggio del !ander di Viking 1 ab-biano meno di 20 000 anni.

Il futuro

È chiaro che la missione Viking haesteso notevolmente la nostra conoscenzadella geologia marziana. Ora abbiamouna buona comprensione dell'aspettodella superficie e del tipo di materiali su-perficiali presenti. La scoperta che al-meno una delle calotte glaciali residue èfatta di ghiaccio d'acqua ha aumentatosignificativamente la nostra conoscenzadell'ampiezza delle fluttuazioni climati-che del pianeta. Rimangono insoluti al-cuni importanti problemi sulla evoluzionedella superficie di Marte. Le età dei variterreni del pianeta non sono note conmolta sicurezza. La struttura e la compo-sizione dell'interno di Marte restano an-cora per lo più misteriose. Senza tale co-noscenza non è possibile costruire un mo-dello teorico univoco che spieghi la for-mazione e l'evoluzione del pianeta.

Alcuni problemi possono trovare solu-zione in un'analisi ulteriore dei dati deiViking. Altri dovranno attendere mis-sioni successive. Una possibile missioneprevede l'uso di un veicolo orbitante,molto perfezionato rispetto al satelliteterrestre Landsat, capace di fornire un'a-nalisi delle caratteristiche chimiche e mi-neralogiche della superficie di Marte.Un'altra possibilità prevede l'uso di unveicolo senza uomini a bordo capace dimuoversi sulla superficie per centinaia dichilometri in un periodo di vari anni, chepotrebbe analizzare il regolite più detta-gliatamente di qualsiasi satellite orbi-tante. Una terza possibilità prevede l'im-piego di una serie di razzi penetranti, lan-ciati da una piattaforma orbitante, chepotrebbero inserirsi nella superficie delpianeta in punti diversi formando unarete di sensori meteorologici e sismici.Una quarta possibilità è costituita da unamissione capace di portare indietro cam-pioni di materiale marziano, permettendodi derivare quel tipo di dati ottenibile soloin un laboratorio terrestre. Basta consi-derare solamente la gran mole di dati chesi ottenne analizzando i campioni portatidalla Luna nelle missioni Apollo percomprendere l'ampiezza delle informa-zioni che si potrebbero ottenere da cam-pioni portati da Marte.

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