La strategia comunicativa di Matteo...
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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE
CATTEDRA DI LINGUAGGI DELLA POLITICA E DEI NUOVI MEDIA
La strategia comunicativa di Matteo Salvini
I social network, la conquista dello spazio mediatico e lo storytelling
Relatore
Prof. Paolo Peverini
Candidato
Alessandro Monteleone
Matricola 635702
Correlatore
Prof. Aldo Paparo
Anno Accademico
2018/2019
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Sommario Introduzione .......................................................................................................................... 3
Capitolo 1 Ecosistema ........................................................................................................... 9
1.1 L’ecosistema politico italiano............................................................................................................................ 9
1.2 L’ecosistema dell’informazione ......................................................................................................................16
1.3 Immigrazione e sicurezza ................................................................................................................................25
Capitolo 2 Fenomenologia di Salvini .................................................................................. 33
2. 1 La biografia di Matteo Salvini........................................................................................................................33
2.2 L’uso strategico dei social network ....................................................................................................................37
2.3 La simbiosi con i media tradizionali ..............................................................................................................52
2.3 Salvini in piazza, tra la gente ...........................................................................................................................64
Capitolo 3 Storytelling ......................................................................................................... 77
3.1 La struttura narrativa........................................................................................................................................77
3.2 La strategia comunicativa ................................................................................................................................86
3.3 Il riposizionamento ..........................................................................................................................................94
Conclusione......................................................................................................................... 99
Bibliografia ........................................................................................................................ 108
Sitografia ................................................................................................................................................................ 111
Riassunto............................................................................................................................ 116
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Introduzione
L’ambizione del presente lavoro è cogliere l’efficacia dello storytelling, attraverso lo studio del
fenomeno Matteo Salvini, analizzando le caratteristiche della sua strategia comunicativa,
l’ambiente in cui è collocata e i risultati raggiunti.
L’arte di raccontare storie – può esser utile fissare subito qualche nozione – è una disciplina
nata con le prime forme di personalizzazione e mediatizzazione del panorama politico
statunitense, stante la consapevolezza, supportata dagli studi di psicologia cognitiva,
dell’efficacia delle storie nella trasmissione di un messaggio. L’uso della narrazione con finalità
persuasive, come afferma Christian Salmon nell’opera Storytelling. La fabbrica delle storie1,
sta conoscendo, però, un’evoluzione, iniziata con gli anni Novanta, e una recente accelerazione,
grazie alla diffusione di internet. Lo studio della costruzione delle storie, infatti, ha via via
superato i confini degli studi accademici linguistici e dell’insegnamento diretto ad aspiranti
romanzieri, debordando in tutti i settori della società, in particolare in ambito politico e
commerciale. Ciò che, però, spinge l’autore a parlare del presente come epoca narrativa, non
è la diffusione capillare di tale pratica, ma la nuova funzione assunta dalle storie che, oltre ad
aver perso l’antica mansione didascalica, hanno iniziato a rivaleggiare con il pensiero logico,
con il razionale e l’analisi dei fatti, anche nei campi in cui la realtà è sempre stata considerata
elemento imprescindibile e che ora è avviluppata ad un filo narrativo che filtra le percezioni e
stimola le emozioni desiderate. Occorre, tuttavia, abbandonare quell’alone di sospetto che,
soprattutto in Italia, avvolge lo storytelling, causato principalmente da resistenze culturali che,
da un lato, concepiscono gli strumenti di marketing politico unicamente come veicolo di falsità
e, dall’altro, ne evidenziano solo gli aspetti più evidenti e banali, riducendo una pratica di
grande profondità alla semplice divisione del mondo in fazioni opposte e a qualche slogan di
successo stampato sui manifesti.
La scelta di tale caso di studio è, dunque, giustificata da una pluralità di ragioni. In primo luogo,
per la rilevanza intrinseca che dovrebbe avere per lo studioso sociale l’ultimo episodio di una
serie, iniziata con le elezioni politiche del 2013, di smottamenti nel consenso elettorale in cui
milioni di elettori modificano la propria preferenza convergendo verso partiti sempre diversi.
In secondo luogo, per la straordinarietà nell’uso dello storytelling, originalità che può essere
declinata lungo tre direttive: innanzitutto, l’uso spregiudicato, finanche manipolatorio del
1 Salmon C., Storytelling. La fabbrica delle storie, Roma, Fazi (2008), Introduzione
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racconto, attraverso il quale creare un clima d’opinione favorevole all’offerta politica della
Lega, anche qualora questo significhi propagare sentimenti xenofobi, oltretutto nascosti in un
messaggio apparentemente innocuo facile a diffondersi, preferendo irresponsabilmente una
semplificazione dal forte impatto mediatico ad un approccio ponderato e strutturato, che
coniughi una legittima posizione politica dalle tinte conservatrici e isolazioniste con un
messaggio che non svilisca la dignità umana. Poi, la distanza del punto di partenza dall’arrivo
del riposizionamento: la trasformazione radicale di un partito che nacque autonomista o
secessionista e riesce ad apparire coerente nel presentarsi, oggi, come nazionale e nazionalista;
che guardava al progetto europeo con entusiasmo e che, oggi, individua nelle burocrazie di
Bruxelles la mano oscura colpevole dei mali d’Italia; che praticava riti pagani appartenenti alla
cultura celtica e, oggi, esibisce simboli del culto cattolico arrogandosi il ruolo di difensore della
fede cristiana; che dalla vecchia schiera dei nemici, i cittadini meridionali, la partitocrazia
romana e gli stranieri immigrati, ha espunto i primi due disconoscendo storiche battaglie senza
imbarazzo. Infine, la capacità di penetrazione del messaggio che ha garantito tale strategia
comunicativa che, se da un lato evidenzia la validità della strategia stessa, dall’altro mette in
luce la vulnerabilità del sistema italiano, in particolare del mondo dell’informazione che non ha
saputo assolvere alle proprie funzioni di controllo sul potere e di coltivazione della memoria
collettiva e del mondo dei partiti politici che, anche a causa di una complessa rete di alleanze e
convergenze storiche, non ha saputo offrire una visione alternativa.
Gli strumenti impiegati per condurre l’analisi ed essere in grado di rispondere alla domanda di
ricerca sono innanzitutto di natura semiotica, concepita nell’accezione moderna come la
“scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale”2 da Ferdinand De Saussure,
disciplina che si occupa cioè dello studio dell’attribuzione di un significato ad un segno, una
parola, un simbolo, un testo, di come questo venga trasmesso e comunicato, delle sue possibili
interpretazioni. Si tratta, dunque, di immergersi dalla superficie dei testi fin nelle profondità dei
significati, coglierne le sfumature e le rappresentazioni, comprendere ciò che possono evocare
tanto nella sfera passionale, quanto nella memoria, nella cultura di chi ascolta, metterli in
relazione tra loro e con il mondo sociale che li ha generati, ed emergere con la conoscenza
necessaria a ricostruire la storia che dà sostanza, coerenza, potere persuasivo al messaggio. La
metodologia semiotica, tuttavia, non è costruita in modo astratto e formale, ma viene sviluppata
in funzione dei dati che si desidera spiegare e comprendere: il livello empirico non va infatti
considerato come una di manifestazione delle idee platoniche o figlio di una sorta di
2 Saussure F., Corso di linguistica generale, Roma, Laterza (2017), p. 26
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determinismo, ma come un’entità creata al fine di un progetto e iscritta in un contesto sociale,
culturale e valoriale ben preciso e individuato. Ed è per questo motivo che l’analisi empirica
condotta tanto sulla vasta produzione testuale di Matteo Salvini, quanto sul mondo dei mezzi
di comunicazione e di informazione segue un approfondimento sull’ambiente che ospita e
genera i dati. Questo ecosistema è stato analizzato con l’approccio olistico caro all’École des
Annales, che impone uno studio dell’evoluzione storica delle strutture piuttosto che degli eventi
e abbraccia sia una prospettiva sincronica, che quindi tiene conto della moltitudine di elementi
che compongono un sistema con approccio multidisciplinare, sia una diacronica, che ne segue
lo sviluppo e l’evoluzione nel tempo. Apparirebbe, infatti, sorprendente o quantomeno
inaspettato, sicuramente inspiegabile, il successo elettorale raggiunto da Matteo Salvini alle
elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del 2019, senza un’analisi che ricerchi nel
passato, anche recente, i prodromi e i fattori facilitatori che hanno reso possibile la straordinaria
efficacia del suo storytelling.
Per questo motivo, la tesi ha una struttura tripartita che principia l’analisi proprio dal livello più
generale, quello del contesto storico e culturale, il campo di battaglia in cui si concretizza la
strategia, evidenziando nel modo più esaustivo possibile tutti gli aspetti ritenuti pertinenti per
la comprensione del fenomeno che prescindano dal contributo salviniano; l’immersione
prosegue poi nello studio della strategia per come si manifesta nelle sue forme, nelle sue
tattiche, nelle sue battaglie, nella scelta delle armi e di come vengono impiegate. Infine, il
fondo: l’esame dello storytelling, della costruzione della storia come veicolo di un messaggio
per ottenere consenso elettorale, il significato profondo che viene trasmesso con strumenti
narrativi raffinati.
Più in dettaglio, nel primo capitolo viene affrontato l’ecosistema, cioè il contesto di relazioni
che rende possibile un fenomeno, concentrandosi, nel primo paragrafo, sul sistema politico
italiano, inteso sia come rapporti tra i partiti politici sia come tendenze di lungo e breve periodo;
dunque, si racconta della complessità nate nella XVIII legislatura che hanno condotto ad un
intreccio tra i partiti tra maggioranza e opposizione per la formazione di un governo sostenuto
da due formazioni politiche avversarie; poi, si annotano alcune peculiarità del caso italiano:
dalla lunga tradizione antipolitica, alle nuove forme di disintermediazione, alla composizione
socioeconomica dell’elettorato, alle caratteristiche che deve avere un partito perché possa
essere, quantomeno in campo semiotico, definito populista. Il secondo paragrafo presenta il
sistema italiano dell’informazione, che, sin dall’Unità, ha intessuto rapporti di reciproco
interesse con i poteri economici e politici, impossibilitato dalle condizioni culturali del Paese a
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reggersi sul mercato; è da un approccio critico che, dunque, emerge l’immagine di un
giornalismo che, nonostante le evoluzioni sociali e tecnologiche, ha incontrato numerose
difficoltà nell’assolvere al proprio ruolo democratico di quarto potere, ma ha piuttosto
contribuito a diffondere effetti di realtà e distorsioni che producono una percezione alterata. Il
terzo paragrafo, infine, si occupa del tema cardinale dell’offerta politica salviniana:
l’immigrazione, la sicurezza e la loro relazione. Si affrontano, innanzitutto, quali siano le reali
dimensioni del fenomeno affinché si colga ancor meglio la discrepanza tra i fatti e il racconto
costruito su di essi; si esplorano i possibili significati di sicurezza e, dunque, di insicurezza, con
accezioni e sfumature che mutano tra incolumità, fiducia, intimità, così da poter essere di volta
in volta legate ai più disparati argomenti. Inoltre, viene messa in luce la rappresentazione sui
media del fenomeno migratorio sin dalle origini, per cui lo straniero è quasi sempre legato a
episodi di cronaca o comunque illeciti penali e raramente è oggetto di approfondimento, di
lucida riflessione scevra di sensazionalismi finalizzati alle vendite stimolate dal pregiudizio.
Nel secondo capitolo è stata analizzata la fenomenologia, cioè lo studio delle manifestazioni
empiriche, di Salvini, a partire dalla sua biografia politica, utile a comprendere la genesi del
suo percorso politico e della sua comunicazione. Ripercorrendo all’indietro, infatti, la sua vita
si possono scorgere numerosi esempi di aspetti caratteriali che sono rimasti immutati dagli anni
Novanta, dalla figura di eterno oppositore, ai temi trattati, dalla spregiudicatezza dei toni, alla
durezza delle soluzioni proposte con finalità provocatorie. A seguire, si trova uno studio
qualitativo e quantitativo dell’uso strategico, pertanto innovativo, dei social network, impiegati
per sondare il clima di opinione e il consenso attorno alle proposte politiche, per disintermediare
il rapporto con la community di elettori, per dispiegare quella sapiente e misurata alternanza tra
contenuti a carattere politico e quelli di natura privata. Sono stati inoltre approfonditi tanto i
temi principali, quanto la gestione delle passioni: se per i primi i risultati, cioè una
concentrazione di argomenti di stampo nazionalista, vengono rispettate le attese; le passioni
hanno riservato alcune sorprese, sia per quelle suscitate che per quelle evocate.
L’analisi fenomenologica è, poi, proseguita sui media tradizionali, cioè stampa e televisione:
costì è stata avviata una profonda analisi empirica per rispondere con dato certo, numerico
all’interrogativo sulla natura del rapporto simbiotico instaurato durante l’anno lungo di
governo, per avere la misura dell’occupazione dello spazio mediatico da parte di Matteo
Salvini, ben consci delle particolarità dei media italiani. Infatti, sono stati raccolti manualmente
dati sulle ricorrenze dei riferimenti a Salvini, sul numero di volte che il leader della Lega veniva
citato testualmente, sugli articoli su immigrazione e sicurezza nelle prime pagine de Il Corriere
7
della Sera, La Repubblica, il Sole 24 Ore, Il Fatto Quotidiano, La Verità e Il Giornale dal primo
maggio 2018, grossomodo l’inizio della stesura del contratto di governo, fino al 26 maggio
2019, giorno delle elezioni europee vinte con distacco dalla Lega. Va, inoltre, detto che è stata
preferita la lettura delle oltre duemilatrecento prime pagine, attraverso le facilmente reperibili
rassegne stampa online, ai sistemi informatici automatizzati poiché questi avrebbero tralasciato
un’enorme mole di dati, non essendo in grado né di comprendere i numerosi appellativi
imputabili a Salvini, né leggere le immagini, le caricature e le vignette, né di stabilire la paternità
delle citazioni, né di stabilire se un articolo stia parlando di un reato commesso da un italiano o
da uno straniero. In altre parole, il titolo verosimile “il Viminale: la pacchia è finita” non sarebbe
stato computato, rendendo l’analisi gravemente incompleta. Infine, i dati raccolti sono stati
messi in relazione con i risultati dei report mensili sul pluralismo televisivo forniti dall’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), così da avere un quadro quanto più completo
che (di)mostri sostanzialmente la riuscita della strategia volta alla conquista dello spazio
mediatico. Nell’ultimo paragrafo del capitolo, sono stati poi esaminati i molteplici aspetti delle
innumerevoli manifestazioni di piazza tenute da Salvini: l’uso di un abbigliamento denso di
significati, che siano le ormai celebri felpe con il nome della località o il vestire impropriamente
le divise delle forze dell’ordine; il protagonismo, cioè la tendenza a presenziare personalmente
ogni evento di partito, oscurando gli altri esponenti; infine, trova luogo l’analisi testuale del
discorso di chiusura della campagna elettorale, una storia che rilegge la realtà con occhi parziali
e che offre i primi spunti preparatori al terzo capitolo che, appunto, si occuperà di storytelling.
Nell’ultima sezione della tesi, si predisporranno gli strumenti per rispondere alla domanda
iniziale di ricerca sull’attività di raccontare storie come strategia di comunicazione persuasiva,
attraverso la discesa nelle profondità dei processi di significazione, cioè l’attribuzione di senso
ai testi, ai discorsi, che danno sostanza all’offerta politica leghista e che ne determinano la
capacità di penetrazione e, quindi, il successo. Viene esaminato come dietro la pratica della
divisione del mondo in fazioni opposte, il popolo Noi omogeneo e depositario di virtù contro il
popolo Loro confuso e malvagio, si celi un racconto tale da poter essere analizzato con gli
schemi e la struttura di una fiaba, con i suoi ruoli narrativi, di volta in volta assegnati a esponenti
del mondo empirico in relazione all’appartenenza al Noi o al Loro. L’analisi prosegue
indagando sulla rappresentazione che questi personaggi hanno nel testo, di quali pregi e difetti,
di quali caratteristiche li distinguono dagli altri. Inoltre, spazio viene dedicato anche alle
passioni, alle emozioni che vengono manifestate, suscitate, evocate come veicolo dei contenuti
e come stimolo per l’ascoltatore. Il paragrafo successivo si occupa, invece, della strategia
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salviniana, a partire delle cornici interpretative e delle metafore che offrono uno schema
concettuale attraverso il quale leggere il mondo e attribuire nuovi significati agli avvenimenti,
come, ad esempio, la retorica del buonsenso con la quale nascondere sotto il rassicurante senso
comune una proposta politica estrema e che consente di trasformare il fenomeno migratorio in
un’invasione di una potenza nemica. Vengono, poi, anche elencate le altre armi a disposizione
di Salvini: un clima di opinione favorevole, per condizioni storiche e culturali, ad accogliere
l’offerta leghista; il poter contare su un partito strutturato e con solide basi territoriali,
organizzato in maniera verticistica. Una menzione anche all’uso tanto del vittimismo quanto
della provocazione, utilizzati per compattare la comunità leghista sia nei casi di attacco esterno
sia nei casi in cui è Salvini a lanciare il guanto di sfida. L’ultimo paragrafo analizza, infine, il
tentativo di riposizionamento geografico dell’immagine della Lega, un tempo Nord, con
l’intento di allargare il bacino elettorale in cui diffondere il messaggio; le trasformazioni nella
simbologia, nei colori, negli slogan elettorali.
In ultimo, la conclusione in cui finalmente verranno fornite risposte sulle potenzialità dello
storytelling che, dopo tale percorso spogliato delle sue accezioni banalizzate, ha dimostrato le
straordinarie possibilità, qualora sia sostanziato da un uso consapevole e da una strategia ben
congeniata. Il tutto, però, senza dimenticare il punto di partenza – errore in cui facilmente si
incappa – cioè considerare l’ambiente in cui gli elementi e i fenomeni si muovono e
interagiscono, condizionandosi reciprocamente. Riflessioni e nuovi interrogativi saranno, poi,
dedicati agli aspetti deteriori e dei pericoli a cui lo storytelling può esporre, quando diviene
strumento di mistificazione cotanto audace da stravolgere la percezione della realtà anche di
chi vi ricorre.
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Capitolo 1 Ecosistema
1.1 L’ecosistema politico italiano
Come già anticipato nell’introduzione, in questo paragrafo verrà analizzato sì il sistema
politico, ma da una prospettiva più ampia, appunto ecosistemica: non solo i soggetti, variamente
declinati come partiti, elementi o offerta politica, ma anche i fenomeni di lungo periodo e le
innovazioni che hanno coinvolto la democrazia italiana.
Appare, innanzitutto, necessaria una disamina dei partiti politici nel periodo oggetto del lavoro,
cioè dal 5 marzo 2018 al 26 maggio 2019. Questa analisi sarà sintetica, in quanto la presente
trattazione non necessita di particolari approfondimenti di storia partitica, e parziale, poiché
sarà sufficiente conoscere il posizionamento dei soggetti politici e il loro rapporto con la Lega
di Matteo Salvini.
Nello schieramento di centrodestra, oltre alla Lega, di cui si scriverà più diffusamente, si
trovano Forza Italia (FI) e Fratelli d’Italia (Fd’I). Se per il partito guidato da Giorgia Meloni è
facile individuare una collocazione nell’alveo dell’estrema destra nazionalista e post-fascista3,
il partito di Silvio Berlusconi presenta alcune ambiguità4 dovute alle radici populiste5 e la natura
di partito personale, patrimoniale6 e market oriented7. Nelle ultime tornate elettorali, si è
presentato come un partito liberale, europeista e conservatore8. Il centrodestra vive, com’è noto,
una condizione inedita, se non spiazzante, di un’alleanza elettorale che si presenta come tale ad
ogni votazione, amministra numerosissimi comuni e undici Regioni, ma al Governo è divisa:
infatti, mentre la Lega è nella maggioranza insieme al Movimento Cinque Stelle, FI e Fd’I sono
all’opposizione. Un’opposizione per questo complessa e, talvolta, ad intermittenza nei casi in
cui vengano discusse in Parlamento proposte figlie del programma elettorale del centrodestra.
3 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), p. 135 4 Ivi, pp. 257-274 5 Maraffi M., Gli italiani e la politica, Bologna, il Mulino (2007). P. 204 6 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), p. 213 e sgg. 7 Grandi R. Vaccari C., Come si vincolo le elezioni, Roma, Carocci editore (2016), p. 51 8 Statuto di Forza Italia, Articolo 1: “Il Movimento Politico Forza Italia è una associazione di cittadini che si
riconoscono negli ideali propri delle tradizioni democratiche liberali, cattolico liberali, laiche e riformiste
europee. Essi ispirano la loro azione politica ai valori universali di libertà, giustizia e solidarietà concretamente
operando a difesa del primato della persona in ogni sua espressione, per lo sviluppo di una moderna economia di
mercato e per una corretta applicazione del principio di sussidiarietà”
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Nel centrosinistra, si posizionano il Partito Democratico (PD), Liberi e Uguali (LeU) e Più
Europa (+E). Il PD è il polo gravitazionale del centrosinistra; diviso tradizionalmente in
correnti9, spazia dalla sinistra liberale alla socialdemocrazia, al cristianesimo sociale. Il risultato
sfavorevole del 4 marzo 201810 – il peggiore della sua storia – ha scoperchiato le tensioni interne
e ha costretto il partito ad una lunghissima analisi della sconfitta11 che ha portato, da un lato,
alle dimissioni dei quadri dirigenti, dall’altro, al differimento delle elezioni primarie di un
anno12. Questa fase di transizione, non del tutto conclusa, ha egemonizzato l’attenzione degli
esponenti del partito verso questioni prevalentemente ombelicali, alla ricerca sia dei
responsabili sia dei nuovi temi e figure da cui ripartire. A complicare ulteriormente questa non
facile situazione, sono emersi diversi scandali, tra cui alcuni con rilevanza penale
particolarmente grave. Per quanto riguarda, infine, LeU e +E, nonostante siano partiti dalla
scarsa consistenza elettorale, meritano una menzione in quanto ospitano due dei bersagli
privilegiati di Matteo Salvini: Laura Boldrini, da sempre distintasi per le sue posizioni inclusive
nei confronti dei migranti, e Emma Bonino, storica esponente del fu Partito Radicale.
Fuori dall’asse destra-sinistra, si colloca il Movimento Cinque Stelle (M5S). Questa formazione
politica è complessa e multiforme, assomma nella sua offerta politica temi cari
all’ambientalismo, al progressismo, alla democrazia diretta; anti-establishment ma strenuo
difensore della Costituzione e dell’indipendenza della Magistratura13; per la partecipazione
civica, ma con un controllo verticale e cameratesco di ogni aspetto del partito14. Il risultato
estremamente positivo alle elezioni politiche del 2018 gli ha attribuito la responsabilità di
formare una maggioranza, obiettivo raggiunto grazie alla sponda offerta dalla Lega, dopo il
fallimento delle trattative con il PD. La convivenza con il partito di Matteo Salvini è stata
formalizzata in un contratto, lex suprema e guida dell’azione politica della XVIII legislatura. Il
Cinque Stelle, così, si trova nella condizione opposta rispetto a FI e Fd’I: alleato a livello
nazionale, avversario nei livelli inferiori.
La Lega, invece, merita un approfondimento e un’analisi dilatata indietro nel passato, affinché
si possano più facilmente contestualizzare posizioni ed esternazioni altrimenti inaspettate. La
Lega Nord (LN) nasce nel 1991 dalla fusione di formazioni politiche denominate “leghe” sorte
9 Statuto del Partito Democratico, Articolo 7: “Il Partito Democratico riconosce e rispetta il pluralismo delle
opzioni culturali e delle posizioni politiche al suo interno come parte essenziale della sua vita democratica […]” 10 Camera dei Deputati: 18,7%; Senato 19,1%, https://elezioni.repubblica.it/2018/ 11 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), pp. 254-256 12 Svoltesi appunto il 3 marzo 2019 13 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), p. 302 14 Ivi, p. 304
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su base regionale nel nord Italia15. Fin da subito attua una strategia di radicamento territoriale
sul modello dei partiti di massa. Le proposte politiche, basate su xenofobia e ordine, liberismo
e autonomia, accompagnate dalla polemica antipartitica e dall’invito alla rivolta fiscale, fruttano
alla LN un 8,6% alle elezioni politiche del 1992. Un risultato notevole considerando che il
partito di Umberto Bossi si presenta solo nelle regioni settentrionali16.
Alle elezioni del 1996, prosegue il trend positivo: il 10% su base nazionale, con vette del 40%
nelle zone dove ormai si può parlare già di subcultura verde, incentrata sul mito della Padania,
su una fitta rete di associazionismo, su una struttura di comunicazione autogestita (in questo
contesto nascerà Radio Padania) e su attività economiche17.
La seconda metà degli anni Novanta, però, vede l’Italia attraversare una fase caotica, tra crisi
economica e continue mutazioni politiche con inevitabili conseguenze sulla stabilità dei
governi. Questa temperie rischia di annullare l’interesse dell’elettore verso un pittoresco partito
che invoca la secessione e si batte contro i potenti, identificati con “(la famiglia, ndr) Agnelli,
il Papa e la mafia”18. Quindi, per mantenersi autonomo e sempre più antagonista rispetto agli
altri partiti di centrodestra, Bossi occupa un terreno ancora libero: la xenofobia. Sentimento
caro al 58% degli elettori leghisti e al 36% dell’elettorato nazionale. L’ostilità contro gli
stranieri, la domanda di sicurezza, inoltre, si accentuano ancor di più nelle fasi politiche in cui
la LN è alleata con Forza Italia, Alleanza Nazionale (AN) e l’Unione dei Democratici Cristiani
(UDC), dilagando in attacchi contro la Chiesa, l’Unione Europea, nel continuo tentativo di non
essere marginalizzata19.
Le elezioni del 2001 segnano, poi, un altro passo verso un posizionamento più stabile. Da un
lato, gli attentati dell’11 settembre trasformano la LN in un difensore del cattolicesimo contro
la minaccia terroristica di matrice islamica; dall’altro, si salda un’alleanza tra FI e LN che
perdura fino ad oggi. Il gioco di squadra tra Berlusconi e Bossi si articola nell’uso dell’impero
mediatico dell’imprenditore milanese come veicolo per le esternazioni estremiste del leader
leghista, successivamente smentite, ridimensionate, articolate o rilanciate dall’altro20.
Questo idillio viene interrotto dal malore di Bossi, che viene colpito da ictus nel marzo 2004;
senza un leader così carismatico, la dirigenza del partito, conscia dell’indebolimento della Lega,
15 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), p. 186 16 Ivi, p. 187 17 Ivi, pp. 193-194 18 Intervista a U. Bossi, marzo 1997, riportata in Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, p. 195 19 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), pp. 195-197 20 Ivi, p. 198
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rafforza il repertorio estremista di destra: pena di morte, contro i diritti degli omosessuali,
xenofobia; in più, viene abbandonato definitivamente il neopaganesimo e abbracciata la fede
cattolica21.
Un ulteriore passo avanti verso l’estremizzazione di queste posizioni viene fornito dal periodo
passato all’opposizione al secondo governo Prodi. La Lega, con l’avallo di Berlusconi, cavalca
con rinnovata irruenza temi che irritano i moderati della maggioranza, dall’antieuropeismo alla
liberalizzazione delle armi. Inoltre, nella battaglia sulla sicurezza si aggiungono due nuove
armi: l’indulto del 2007, che causa un’impennata dei reati, e la crescita del numero di immigrati.
Gli elettori leghisti sono i più sensibili al problema della criminalità connessa all’immigrazione,
tanto che la retorica sulla secessione del Nord non sarà più il motore dell’adesione al partito22.
Al governo Prodi II, segue un ritorno nella maggioranza al fianco di FI. L’ultimo governo
Berlusconi si concluderà rovinosamente, tra inchieste giudiziarie e l’aumento degli interessi sul
debito pubblico. Ad aggravare la crisi della LN, impossibilitata dalla situazione ad esprimere la
sua natura barricadiera, emergono inchieste che vedono il vertice del partito coinvolto in illeciti
penali e comportamenti farseschi23.
Il 5 aprile 2012 Bossi si dimette; il rinnovamento guidato da Roberto Maroni, porterà
all’elezione di Matteo Salvini e Flavio Tosi nel congresso federale. Questo cambio alla testa
del partito, però, non ne modifica il profilo: rimangono intatte le proposte di autonomia del
Nord, l’ostilità verso gli immigrati, l’opposizione all’Unione Europea24.
Alle elezioni del 2013, la LN riesce a superare la soglia di sbarramento per una manciata di
voti25. L’opposizione solitaria al governo Monti, infatti, non basta a mantenere il consenso,
poiché nel frattempo è nato il Movimento Cinque Stelle, monopolista dei temi anti-
establishment e morali. Contro questo nuovo soggetto, la Lega tenta di intercettare i voti in
uscita dai partiti tradizionali, mettendo in campo una strategia strutturata sul territorio e sulla
riconoscibilità26. Alla Lega, così, non resteranno che i temi delle origini: xenofobia e rivolta
fiscale27. Questa fase di transizione, inoltre, vedrà la celebrazione delle elezioni primarie, vinte
21 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), p. 199 22 Ivi, pp. 201-202 23 Acquisto di titoli di Stato e diamanti in Tanzania e Cipro, intermediazioni con la ‘ndrangheta, acquisto di una
laurea in Albania per Renzo Bossi, et cetera. Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino
(2018), p. 204 24 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), p. 205 25 4,1%, sbarramento fissato al 4%. 26 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 28 27 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), p. 206
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da Matteo Salvini contro Bossi. Questo passaggio di consegne significherà la ricalibratura di
alcune proposte: l’immigrazione sarà il tópos dell’offerta leghista, accompagnata dalla
scomparsa della questione settentrionale, in favore di un’apertura a tutto il Paese, e dalla
polemica anti-Berlusconiana28. A ciò si accompagna una ristrutturazione del partito, che si
verticalizza, con leader incontrastato che salta il quadro intermedio e annichilisce l’opposizione
interna29. Questa strategia, passata anche dal cambio del nome e del colore: da Lega Nord a
Lega, dal verde al blu, porterà il partito a raggiungere il primato nello schieramento di
centrodestra, con il 17,3% ottenuto alle elezioni del 201830. L’importanza sempre crescente
della questione migratoria ha instaurato un rapporto reciproco tra opinione pubblica, sempre
più spaventata dallo straniero, e Lega, che ha saputo alimentare questo clima e proporsi come
attore privilegiato nel risolverlo31. La Lega ha calcato un solco tracciato da lungo tempo,
oltretutto lasciata libera di agire senza l’opposizione degli altri partiti, frenati da una varietà di
motivi visti sommariamente, perché, se i 338 parlamentari del Movimento Cinque Stelle sono
alleati, i 219 degli altri partiti di centrodestra non sono certamente avversari. Se a questi
vengono aggiunti i seggi assegnati alla Lega, si raggiungono i 740 parlamentari amici su 945.
Dopo aver sinteticamente analizzato l’offerta politica, si ritiene necessaria un cenno alla
domanda: l’elettore leghista. Fin dal 1992, il leghista è caratterizzato per una sorda ostilità nei
confronti dei partiti, corrotti e insensibili ai problemi della gente comune, per la rivendicazione
di autonomia, per sentimenti di odio verso gli immigrati32. L’età media evidenzia come la Lega
sia un partito di occupati nella fase centrale della loro carriera, con bassa insicurezza e paura
del futuro, più preoccupati di perdere potere d’acquisto33. Si tratta di un elettorato
prevalentemente maschile, con titolo di studio fermo alla scuola dell’obbligo, residente nei
centri urbani minori (fino a 30mila abitanti), lavoratore autonomo, impiegato o operaio34. Per
quanto riguarda il consumo mediale, la televisione rimane la fonte primaria di informazioni, al
secondo posto troviamo i giornali; si può inoltre parlare di consumo di appartenenza poiché si
riscontra una correlazione tra il voto verso la Lega e la visione dei canali Mediaset e la lettura
dei quotidiani Il Giornale e Libero35. Infine, solo il 3,7% degli elettori della Lega ha indicato
internet come prima fonte di informazioni; il 48,8% non ha citato alcuna fonte web. Senza
28 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), pp. 207-208 29 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 40 30 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), pp. 210-211 31 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 23 e p.81 32 Ignazi P., I partiti in Italia dal 1945 al 2018, Bologna, il Mulino (2018), p. 188 33 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 86 34 Itanes, Vox Populi, Bologna, il Mulino (2018), p. 81 35 Ivi, pp. 57-59
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anticipare riflessioni successive, questa informazione dice molto: fino al 2018, l’attivismo in
rete di Salvini non ha trascinato l’elettorato sul nuovo strumento, ma ha pagato dal punto di
vista della definizione dell’agenda mediatica, grazie all’eco prodotta dai mezzi tradizionali36.
A conclusione del paragrafo, occorre delineare un quadro delle tendenze di lungo e breve
periodo che caratterizzano il sistema politico italiano. La prima è che l’elettorato italiano,
durante la Prima Repubblica, si distribuiva prevalentemente nell’area moderata, con la Seconda
Repubblica si è polarizzato tra le due grandi coalizioni, con le elezioni del 2018 ha iniziato uno
spostamento verso destra, confermato in quelle del 201937.
Con gli sconvolgimenti di inizio Anni Novanta, inoltre, la disaffezione e il disinteresse verso la
politica si sono tramutati in sentimenti negativi, venendo così a creare un’ampia base di
riferimento per i partiti antiestablishment, sfidanti o più comunemente chiamati populisti.
Questo spazio, minore negli altri Paesi, si è basato su tre dinamiche: indebolimento della
capacità di mediazione dei partiti di massa, il peso crescente della leadership personale,
l’influenza dei media sulla politica38. L’indebolimento dei partiti, inoltre, è compensato dalla
centralità del leader39, che non solo viene consacrato da una continua esposizione sui media
tradizionali40, ma umanizzato e, al tempo stesso, spettacolarizzato dai nuovi media41. Se, da una
parte, è vero che la personalizzazione e la campagna elettorale permanente42 hanno investito la
maggior parte delle democrazie contemporanee, segnando il passaggio dalla democrazia dei
partiti alla democrazia del pubblico43; d’altra parte, questi effetti si sono innestati in un
coacervo di fattori storici e istituzionali tipicamente italiani44. Per citarne due: il sistema
elettorale maggioritario che ha caratterizzato la Seconda Repubblica e la discesa in campo del
più grande operatore televisivo privato45. Quest’ultimo aspetto non va sottovalutato: è noto che
la televisione sia la fonte di informazione principale dell’elettore medio, ma c’è dell’altro. Si
riscontra, infatti, una correlazione negativa tra l’esposizione televisiva e la fiducia
interpersonale: all’aumentare delle ore passate davanti alla tivù aumenta la diffidenza verso le
36 Itanes, Vox Populi, Bologna, il Mulino (2018), p. 68 37 Ivi, pp. 44-45 38 Maraffi M., Gli italiani e la politica, Bologna, il Mulino (2007), pp. 206-207 39 Ivi, p. 170 40 Ivi, p. 176 41 Viviani L., Sociologia dei partiti, Roma, Carocci editore (2015), p. 123 42 Dal 4 marzo 2018 al 26 maggio 2019: elezioni politiche nazionali, europee, amministrative per 13 regioni e
per oltre 4000 comuni 43 Manin B. (1997) 44 Maraffi M., Gli italiani e la politica, Bologna, il Mulino (2007), p. 157 45 Ivi, p. 266
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altre persone. In più, aumenta la fiducia verso i media stessi, in particolare per i fruitori delle
reti Mediaset46.
Due ultimi argomenti: la disintermediazione e il populismo. La prima può essere definita come
la capacità degli attori politici di mettere in atto un’autorappresentazione pubblica senza
ricorrere all’intervento di soggetti esterni, cioè i media. In altre parole, lo schema classico
politico-media-cittadini viene rimodellato in politico-cittadini-media47.
Per affrontare il populismo si dovrà, infine, abbandonare un approccio strettamente
politologico, che fornisce molteplici e inadeguate definizioni, talvolta tanto ampie da integrare
la democrazia stessa, talaltra troppo restrittive e adatte solo al singolo caso. Per questo, verrà
abbracciata una prospettiva semiotica. Quindi, ciò che interesserà maggiormente non sarà darne
una descrizione, ma individuare gli effetti caratterizzanti, i sistemi di valori e i processi di
significazione48.
Il primo tratto caratterizzante è la vaghezza semantica di fondo, l’affidarsi ad una nebulosa di
significato che costituisce il campo d’azione del soggetto politico49. Questo aspetto garantisce
l’immunità dalla coerenza e la coesistenza di aspetti contraddittori. Nella convivenza caotica di
cause e valori, rientrano anche la risemantizzazione e l’appropriazione strategica di figure
storico-politiche; il definirsi in negativo, sulla base di qualcosa che non si è come tratto
distintivo della propria identità; il definirsi contro qualcuno o qualcosa; definirsi portavoce di
una serie di figure ed emblemi acefali, come il popolo; l’uso di queste figure come destinante50.
Il secondo tratto è l’implosione. Nel momento di emersione del populismo avviene una perdita
di senso delle differenze stabilite, del senso comune. Ciò che, però, rende il populismo qualcosa
di diverso da una normale dinamica democratica è la sua radicalità temporale e spaziale: il
cambiamento è molto più veloce e più esteso, accompagnato da toni apocalittici e
rivoluzionari51. In questo tratto, inoltre, rientra la trasformazione della natura dei valori: una
volta al potere, le promesse vengono potenzializzate: non sono realizzate, ma diventano
realizzabili52. Il terzo sono i corpi, intesi come molteplicità di individui riuniti attorno a un
sentimento comune nato dall’interazione con altri corpi, in altre parole l’assemblearismo53. Il
46 Maraffi M., Gli italiani e la politica, Bologna, il Mulino (2007), pp. 281-283 47 Bentivegna S., A colpi di tweet, Bologna, il Mulino (2015), pp. 77-78 48 Sedda F. Demuru P., Da cosa si riconsce il populismo, Ipotesi semiotiche, Actes Sémiotiques n°121 (2018),
pp. 1-2 49 Ivi, p. 3 50 Ivi, pp. 5-6 51 Ivi, p. 7 52 Ivi, p. 10 53 Sedda F. Demuru P., Da cosa si riconsce il populismo, Actes Sémiotiques n°121 (2018), p. 13
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quarto è l’estesia54. “L’apparizione dei corpi ha a che fare non con la rappresentazione mediale
dei corpi, ma con la trasformazione dello spazio mediale in uno spazio corporeo […]. Tra media
e realtà non c’è più soluzione di continuità […]. Gli schermi si riempiono di immagini di corpi
collettivi o individuali che stanno per collettivo. E così ecco le immagini delle grandi adunate
o format televisivi che mettono in scena il tumulto di passioni che attraversa la gente comune.
Al contempo circolano le immagini di corpi individuali “comuni” che traducono e rilanciano
sofferenze e aspirazioni del corpo collettivo, mente i leader politici vecchi e nuovi vengono
portati ad esporre la propria quotidianità corporea o addirittura una nuda corporeità”55. Inoltre,
questa logica si estende al linguaggio, in cui emerge il turpiloquio, l’insulto e l’invettiva. Infine,
il corpo si fa parola, racconto e mito: “il gesto corporeo chi si espone alla contingenza,
all’improvvisazione, alla presenza, al rischio del fallimento estesizza l’azione politica e
comunicativa di cui il corpo del leader è simbolo”56. L’ultimo tratto è la negatività, con cui si
intendono due pratiche semiotiche distinte: da un lato, è l’identificazione di sé in base a ciò che
non si è; dall’altro, è la negazione di un soggetto in quanto alternativo e avversario57.
1.2 L’ecosistema dell’informazione
“L’antropofago è uscito dalla sua tana”; “L’orco della Corsica è appena sbarcato a Golfe-Juan”;
“La tigre si è mostrata a Gap. Concluderà la sua miserevole avventura tra le montagne”; “Il
mostro è realmente avanzato”; “Il tiranno è ora a Lione”; “Bonaparte avanza a grandi passi, ma
è impossibile che arrivi a Parigi”; “L’Imperatore Napoleone è giunto a Fontainebleau”; “Ieri
sera Sua Maestà Imperiale ha fatto il suo ingresso pubblico al palazzo delle Tuileries, in mezzo
ai suoi fedeli sudditi. Niente può superare la gioia universale”58. Questa climax, che
accompagna il ritorno di Napoleone dall’esilio dell’Elba, può far certamente sorridere, così
lontana nel tempo e dettata da un’epoca in cui si faceva un uso disinvolto della ghigliottina.
Eppure, è possibile fornire numerosi esempi di episodi simili avvenuti in tempi recenti, benché
ormai i diritti fondamentali siano garantiti a tutti e gli strumenti di tortura riposti al sicuro nei
54 Valenza percettiva dell’esperienza estetica, Greimas 55 Sedda F. Demuru P., Da cosa si riconsce il populismo, Actes Sémiotiques n°121 (2018), p. 16 56 Ivi, p. 16 57 Ivi, p. 18 58 Prime pagine de Le Moniteur dal 9 marzo al 22 marzo 1815. Riportate in Travaglio M., Slurp!, Milano,
Chiarelettere (2015), pp. 13-14
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musei. Il primo esempio lo fornisce The Post Internazionale (TPI)59: tra il 4 e il 5 giugno 2019
scrive più articoli su una minorenne olandese che, vittima di gravi abusi, si lascia morire con il
consenso della famiglia. I titoli, in ordine cronologico, sono: “Olanda, 17enne stuprata da
bambina ottiene l’eutanasia”, “Chi era Noa, la ragazza stuprata da bambina che ha ottenuto
l’eutanasia in Olanda”, “Come funziona l’eutanasia in Olanda, che permette anche ai bambini
di morire”, “La bufala dell’eutanasia concessa in Olanda alla 17enne Noa”, “Noa Pothoven non
è morta di eutanasia, ma di disperazione”60. Si potrebbe obiettare, d’altro canto, che TPI sia una
piccola testata online che necessita di pubblicare velocemente senza avere il tempo di verificare
le fonti, ma questa contraddittorietà interna colpisce anche testate storiche e più blasonate. Ad
esempio, il Sole 24 Ore il 7 giugno 2019 pubblica “Turismo, a Gabicce niente stagionali: tutta
colpa del reddito di cittadinanza”61, la notizia viene rilanciata e accende il dibattito pubblico
sulla questione. Fino a quando il Fatto Quotidiano contatta telefonicamente il presidente degli
albergatori di Gabicce, che smentisce la correlazione tra mancanza di stagionali e reddito di
cittadinanza. Allora, il Sole 24 Ore pubblica un secondo articolo il 9 giugno: “Gabicce e la fuga
degli stagionali: ecco quanto si guadagna nel turismo”62, facendo finta di non aver avuto alcun
ruolo nella diffusione della versione falsa. E ancora, due casi che riguardano il Corriere della
Sera. Nell’inverno 2018 l’Italia si è duramente confrontata con le istituzioni europee sulla
sostenibilità del bilancio, il primo novembre 2018, il quotidiano titola “Deficit, pronta la
procedura Ue”. Com’è noto, non solo la procedura di infrazione non è stata inflitta, ma negli
stessi giorni, sullo stesso giornale, il corrispondente da Bruxelles, Ivo Caizzi, solo qualche
pagina più avanti smentiva la notizia. Il clima di tensione all’interno della redazione è poi
emerso con una lunga lettera con cui il giornalista si scagliava contro il direttore Luciano
Fontana, accusandolo di creare falsi scoop63. L’altro episodio riguarda il vicedirettore Federico
Fubini64, che, in un’intervista rilasciata a TV2000 il primo maggio 201965, confessa di aver
taciuto la notizia dell’aumento della mortalità infantile in Grecia a seguito dei tagli al welfare
imposti dalla crisi economica, in quanto arma elettorale per i partiti antieuropeisti.
59 Sito di informazione online, con 1.107.965 di follower su Facebook 60 Alcuni articoli sono stati eliminati o modificati; i titoli sono al link
https://www.facebook.com/repubblicater2/photos/a.2260791717482713/2429511777277372/?type=3&theater 61 https://www.ilsole24ore.com/art/turismo-gabicce-niente-stagionali-tutta-colpa-reddito-cittadinanza-ACOgcuO 62 https://www.ilsole24ore.com/art/gabicce-e-fuga-stagionali-ecco-quanto-si-guadagna-turismo-ACFKRKP 63 Testo integrale della lettera: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/08/corriere-della-sera-il-corrispondente-
accusa-il-direttore-notizia-inesistente-in-prima-su-procedura-infrazione-ue-italia/4881912/ 64 Oltretutto sospeso dall’Ordine dei giornalisti dal novembre 2005 a luglio 2019 per morosità, fonte:
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/07/10/corriere-espulso-dallordine-fubini-salda-dopo-14-
anni/5313188/ 65 https://www.tv2000.it/tgtg/video/tgtg-del-1-maggio-2019-federico-fubini/
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Sono solo alcuni esempi66 di informazione che, per motivi economici o politici, non informa;
non dovrebbe dunque stupire il discredito di cui soffre il sistema dell’informazione italiano,
televisione compresa. Non per nulla, più dell’80% degli italiani dichiara di avere poca o nessuna
fiducia nell’informazione televisiva e circa il 75% prova lo stesso per la stampa. Percentuali
sconosciute agli altri Paesi europei67. È, quindi, opportuno chiedersi quali siano le cause di una
condizione tanto scomoda quanto pericolosa.
Già Indro Montanelli, nella sua Storia d’Italia, ravvisava un vizio, uno sviamento della funzione
dell’intellettuale italiano, cresciuto alla corte del Principe, unico committente in un popolo di
analfabeti. A causa di ciò, l’intellettuale ha cercato un padrone, piuttosto che un mercato, senza
mai uscire dai circoli accademici per adempiere alla propria funzione di guida dell’opinione
pubblica, senza nemmeno adottarne il linguaggio68.
Questa lettura, d’altro canto, viene confermata dalla storia della nascita dei maggiori quotidiani
nazionali nella seconda metà del XIX secolo: in un contesto di analfabetismo diffuso, per i
quotidiani era impossibile reggersi sul mercato; l’unico rimedio alla chiusura per debiti era
rivolgersi al finanziamento pubblico e privato, configurando una dipendenza della stampa al
potere politico ed economico. Questo rapporto di vicinanza e contiguità tra stampa e potere
viene definito “pluralista-polarizzato” o “mediterraneo”69, contraddistinto da una stampa
elitaria, dall’intervento statale nell’editoria e da un impiego dei media con finalità politiche.
Tale contesto, invece che evolvere nel pluralismo, con il passare degli anni, si è radicato ed
esteso, configurando un oligopolio di editori impuri, cioè con altri interessi diversi
dall'editoria70. Ancor peggiore la condizione della televisione, che, fino al 2004, offriva un
duopolio tra Rai e Mediaset. La prima è la società concessionaria in esclusiva del servizio
pubblico radiotelevisivo, su cui il Governo ha potere di nomina del direttore generale che, a sua
volta, nomina i direttori di rete e delle testate giornalistiche. La seconda, è noto, è di proprietà
di Silvio Berlusconi, che ha giocato e, seppur meno, gioca ancora un ruolo fondamentale nello
66 Altri esempi in Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), pp. 47-57; Travaglio M., Slurp!,
Milano, Chiarelettere (2015); Travaglio M., Post verità e post giornalismo, International Journalism Festival,
https://www.facebook.com/journalismfest/videos/post-verit%C3%A0-e-post-giornalismo/10154296821077854/ 67 Campus D. Ciaglia A., Il sistema dei media in Italia: libertà dei media, pluralismo e fiducia
nell’informazione, XXV Convegno SISP, Dimensione Comunicazione Politica (2011), p. 24 68 Travaglio M., Slurp!, Milano, Chiarelettere (2015), p. 12 69 Definizione nata dallo studio comparato Hallin D.C. Mancini P. Modelli di giornalismo. Mass media e politica
nelle democrazie occidentali, Roma-Bari, Laterza (2004); caratteri del giornalismo mediterraneo ibidem, Cap. 5 70 Per citarne alcuni: Angelucci, Berlusconi, Cairo, Caltagirone, Confindustria, De Benedetti.
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scacchiere politico italiano con sprezzo del conflitto di interessi e della legge antitrust, la cui
normativa è stata rimodellata sulle esigenze imprenditoriali di Mediaset71.
Il risultato di ciò non è indolore. Innanzitutto, si è diffusa la percezione del distacco tra il sistema
dell’informazione e l’opinione prevalente nel Paese72. Infatti, una parte non trascurabile dei
temi percepiti al centro dell’attenzione mediatica dal pubblico ha una copertura ridotta nei
mezzi d’informazione e viceversa. Distacco aggravato dal consumo distratto e denso di
interferenze, con cui la notizia è manipolata involontariamente nella memoria con i dati
dell’esperienza, delle conversazioni faccia a faccia, dei social network. La conseguenza è la
diffusione di una certa insofferenza e una reazione infastidita ad un racconto che non
corrisponde alla propria realtà. Due esempi chiariranno meglio. Nella prima settimana di
febbraio 2018, un mese prima delle elezioni, Macerata è scossa da un raid di stampo razzista: a
fronte di un 2% di notizie su stampa e telegiornali, il 30% del pubblico riteneva la notizia di
primo piano; non solo: mentre nei media i leader maggiormente associati al fatto di cronaca
siano stati Berlusconi e Renzi, nella percezione degli intervistati i veri protagonisti erano Salvini
e Di Maio. La seconda settimana di febbraio, invece, i media si occupavano con scrupolo del
cosiddetto scandalo dei rimborsi M5S, notizia ampiamente sovrastimata e di scarso interesse
per il pubblico73. Tutto ciò si riflette inevitabilmente sulla diffusione e sulle vendite negli ultimi
cinque anni: un calo che va dal dimezzamento di Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24
Ore e Il Giornale, alla perdita di un terzo delle copie per La Stampa, Il Messaggero, La Nazione
e Il Fatto Quotidiano74. Questa diaspora di lettori è comunque in parte compensata dalla
fruizione delle loro versioni online gratuite che, invece, conoscono un trend positivo75.
È giunto ora il momento di addentrarsi e scoprire quali siano gli strumenti e i metodi che
caratterizzano l’azione dei mass media italiani. Innanzitutto, serve soffermarsi sulla notizia in
sé: questa può essere definita come il racconto di un avvenimento. A questi due elementi, però,
può essere attribuita una diversa importanza dal giornalista, che produrrà una notizia come
informazione se privilegia l’avvenimento, oppure una notizia come racconto mitico se è il
racconto ad essere essenziale. Sebbene il primo tipo di notizia dovrebbe costituire l’asse
portante dell’informazione, è l’elemento del racconto a giocare un ruolo fondamentale poiché
ha una funzione di integrazione sociale attraverso la produzione di una narrazione di lungo
71 Paccagnella L., Sociologia della comunicazione, Bologna, il Mulino (2010), pp. 95-95 72 Itanes, Vox Populi, Bologna, il Mulino (2018), p. 47 73 Ivi, pp. 53-55 74 Dati ADS riportati in https://www.ilpost.it/2019/01/30/quanto-vendono-quotidiani/ 75 https://www.primaonline.it/2019/07/03/291677/classifica-comscore-maggio/
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periodo, altrimenti detta mito. In definitiva, la notizia andrà tenuta ben distinta
dall’informazione76. Per tracciare però le sfumature che intercorrono tra due estremi fin qui
trattati come opposti, si può analizzare il mezzo televisivo, fonte principale d’informazione in
Italia. Bisogna, infatti, interrogarsi su quanto spazio sia rimasto all’informazione a discapito del
racconto nella televisione, che ha comunque avuto una fondamentale funzione educatrice e
mitopoietica durante la Prima Repubblica. È, inoltre, doveroso annotare che l’informazione si
va trasformando in infotainment, fusione di information ed entertainment, che meglio risponde
alle dinamiche della tivù commerciale. Su questo fenomeno il dibattito è aperto, tra chi ritiene
che l’intrattenimento escluda l’informazione e chi pensa che sia un utile veicolo per diffonderlo
velocemente e con leggerezza a tutte le fasce sociali77.
La notizia, dunque, è presentata come il testo di un rapporto su un evento, ma i due tipi di idea
di fondo – informazione e mito – producono testi con strutture e finalità diverse, finanche
opposte. A partire dal destinatario: il lettore implicito, un lettore immaginario a cui un testo è
rivolto e che va distinto dal lettore empirico. È una accezione più ampia di enunciatario, cioè il
simulacro del destinatario esplicitamente iscritto nel testo, che include l’insieme delle strategie
di interpretazione che ogni testo iscrive al proprio interno78. L’informazione prevede un lettore
cittadino critico e attivo, il mito prevede invece uno spettatore passivo, tuttalpiù alla ricerca di
svago. L’assenza di una prospettiva critica, inoltre, conduce lo spettatore ad un atteggiamento
politico conservatore o reazionario. Ciò spiega come l’uso politico attraverso lo strumento
ludico marginalizzi la notizia come informazione, perché ad essa non si contrappone il semplice
mito, ma l’intero sistema della manipolazione del consenso. Il consumatore televisivo,
solitamente appartenente alle fasce meno istruite della società, si trova in balia di una
formazione politica che prescinde da dati reali, ma è fondata su valori simbolici. Inoltre, è bene
ribadirlo, è stata dimostrata una correlazione statistica significativa tra la teledipendenza e uno
spostamento degli orientamenti di voto verso destra79.
Ma questa analisi può essere ancor più incisiva, spostando i riflettori sui telegiornali. Questo
misto di avvenimenti, mito e intrattenimento viene perfettamente rappresentato dai tg, che
inseriscono videoclip musicali, sequenze di film, intermezzi e collegamenti con gli show che
seguiranno, una quantità di interviste che non ha eguali tra le emittenti pubbliche degli altri
Paesi. Estremizzando un po’, si potrebbe affermare che la funzione primaria è quella di
76 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), pp. 13-17 77 Ivi, pp. 20-22 78 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), p. 69 79 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), pp. 23-25
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intrattenere, più che informare. Le notizie che vengono fornite, inoltre, sono racconti mitici
sebbene percepite come oggettive, poiché, nonostante siano una narrazione di eventi mutevoli
con forme costanti, la notizia diventa reiterazione di un flusso ininterrotto. In questo emergono
i protagonisti delle storie, personaggi con cui immedesimarsi80. L’oggettività, dunque, è solo
un effetto di senso, quello che Greimas ha chiamato mascheramento oggettivante. Quest’ultimo
si basa sulla spersonalizzazione del discorso, con la cancellazione delle marche
dell’enunciatore, sull’astrazione, attraverso la cancellazione dei deittici riferiti a un tempo ed a
uno spazio precisi, all’oggettivazione e all’autenticazione del sapere, attraverso il ricorso a
riferimenti che fungono da fonti di autorità81.
A ciò si aggiunge la questione della lingua. Umberto Eco concludeva la Guida
all’interpretazione del linguaggio giornalistico definendolo una “circolare privata di gruppi di
potere, strumento di occultazione delle informazioni troppo scomode, date in modo che nessuno
possa realizzarne il potenziale politico, il quotidiano italiano appare […] come uno strumento
autoritario di repressione”82. Oscurità, complessità, non referenzialità rendevano il giornale non
informativo83. Senza entrare troppo nel dibattito tra Eco e De Mauro, entrambi individuavano
nell’oscurità il tratto fondamentale della lingua del giornalismo italiano, eppure, con l’ingresso
della televisione commerciale, qualcosa è cambiato: la logica dell’infotainment richiedeva una
lingua semplificata. Questo per due motivi già accennati: la logica di mercato tesa a proporre
un prodotto accessibile a tutti per allargare a fasce sempre più ampie di popolazione,
tradizionalmente esclusi dal confronto politico84; la selezione per via clientelare e non
meritocratica dei giornalisti. Questo secondo aspetto – che comprende un sostanziale
abbassamento della qualità dei giornalisti – è figlio tanto del rapporto di amicizia storicamente
strutturato tra media e potere, quanto della paura di epurazioni in particolare dopo il cosiddetto
Editto Bulgaro, con cui l’allora Presidente del Consiglio dei ministri fece allontanare alcuni
giornalisti dalla Rai85. Quanto al primo aspetto, l’innovazione della lingua è passata attraverso
tre direttrici: lo svecchiamento, la vivacizzazione e lo stile brillante. Questi espedienti retorici
si manifestano con metafore sportive, richiami al cinema o ad opere letterarie e l’uso di
congiunzioni (in particolare e e ma) all’inizio dei titoli che creano una continuità fittizia.
80 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), pp. 26-27 81 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), p. 106 82 Eco U. (1971), p. 377 cit. in Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), p. 29 83 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), p. 29 84 Fenomeno noto come dumbing down. Cit. in Sorice M., I media e la democrazia, Roma, Carocci editore
(2014), p. 105 85 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), pp. 39-47
22
Quest’ultima non è neutra, ma ha un valore dirompente in quanto la notizia – in teoria, nuova
per definizione – viene ricondotta a un flusso noto tra lettore e testata. Questo rapporto si basa
su quella che Eco chiamava l’enciclopedia, cioè un insieme di conoscenze, attitudini e sistemi
di valori condivisi tra testata e lettore; quasi ogni articolo, infatti, presuppone un sapere
precedente che deve essere richiamato (si pensi all’uso di ancora)86. Inoltre, un uso rinnovato
della lingua non ha cambiato il rapporto con il lettore, né la finalità educatrice della testata87.
Un altro aspetto è la costruzione e il racconto dell’informazione. La notizia è il racconto di un
avvenimento che deve essere prodotto dal giornalista; quindi, si avrà un soggetto, che è autore
e narratore, e un oggetto, che può essere un evento materiale o più spesso una dichiarazione
altrui. Il discorso si manifesta sotto forma di un’enunciazione che ha per prodotto un enunciato
ed è riconducibile ad un locutore. Quando nella sua enunciazione il locutore riporta un
enunciato altrui, si ha un discorso riportato, gli strumenti che la grammatica fornisce per
riportarlo sono il discorso diretto e quello indiretto. Bisogna, poi, introdurre una distinzione
ulteriore: tra locutore ed enunciatore. Il primo è il responsabile dell’enunciato; il secondo è il
soggetto dell’enunciazione. Nel testo giornalistico, questa differenziazione ha un’importanza
fondamentale, perché consente di operare uno scarico di responsabilità del cronista, quando
riporta affermazioni non sue. Ma l’abbassamento del livello del linguaggio ha introdotto nel
giornalismo un elemento di rottura dell’equilibrio: il discorso indiretto libero, con cui il locutore
sfuma le differenze con l’enunciatore, abbracciandone il punto di vista. Con questo
nascondimento si intende ottenere una enfatizzazione della mimesi a spese della diegesi,
determinando ambiguità, in quanto può non essere più chiaro a chi vada attribuita la
responsabilità enunciativa88. Ciò che cambia, raccontando un evento mimeticamente o
narrativamente (diegeticamente) è l’effetto di realtà: il narratore che si trova sullo stesso piano,
temporale e spaziale, della storia che racconta crea più facilmente un’illusione di testimonianza
diretta tesa a dimostrare la veridicità di quanto racconta89.
Così si torna alla revisione linguistica del telegiornale italiano, passando dal piano
dell’espressione a quello del contenuto. Il tg nostrano è accomunato con quelli esteri da una
certa tendenza generale alla drammatizzazione, alla emozionalizzazione e alla
fictionalizzazione, ma si differenzia per l’utilizzo strutturale dello spettacolo nell’informazione,
tanto nei telegiornali, quanto nei programmi di approfondimento, in cui spesso, come già
86 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), pp. 70-72 87 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), pp. 63-72 88 Ivi, pp. 101-113 89 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), pp. 94-95
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anticipato, si dà ampio spazio ad annunci di nuove uscite cinematografiche o editoriali, si opera
il cosiddetto “traino”, cioè il collegamento con lo show successivo, si indugia su eventi di
costume. Questo modus operandi, però, non va interpretato come una crisi d’identità, ma è un
programma consapevole di dissolvenza dell’identità del giornalista in format che è anche
informazione90. La lingua, ormai abbandonata l’oscurità, tende ad un ideale di vivacità e
brillantezza con l’intento di essere comprensibile e vicino allo spettatore, impiegando un
vocabolario colloquiale e gergale. Anche questa scelta ha implicazioni nella struttura del testo
e, per questo, nell’ideologia della gestione della notizia. Il notiziario mira, infatti, a presentarsi
come voce della comunità degli spettatori, a tal punto da introdurre l’uso del noi, che perfeziona
l’opera di fusione tra l’istanza narrante e il pubblico. Il conduttore raffigura con segnali verbali
relativi alla sua collocazione all’interno dell’azione comunicativa, dalla postura all’uso della
prima persona singolare, ponendosi al fianco dello spettatore. Lo scopo di questa strategia è, da
una parte, cognitivo, dall’altra, manipolatorio. Perché l’identificazione fittizia vuole persuadere
lo spettatore che il racconto dell’evento sia l’evento stesso e perché il cronista-narratore
prescrive le reazioni da tenere di fronte all’evento91. Talvolta, avviene un passo ulteriore: non
viene assunto il linguaggio e il punto di vista dello spettatore, ma quello dei personaggi della
notizia, attraverso l’uso del vocabolario sportivo (scendere in campo, dribblare), legato al
mondo dei motori (partire in quarta, ammortizzatori sociali), o della criminalità (giustiziare,
soffiata, sballo), anche mafiosa (pizzo, mandamento, uomini d’onore)92. Così, con la doppia
immedesimazione tra narratore-spettatore e narratore-oggetto, la realtà si dissolve nella
mediazione93. Questa, però, non va intesa etimologicamente, come un ponte tra soggetto ed
oggetto, ma come un processo, un’azione che genera le condizioni per l’emergere di soggetti
ed oggetti94; tanto autonoma dal fatto che può precederlo o ridefinirlo. Nel primo caso si parla
di premediazione, cioè che ogni mediazione anticipa quelle future95, fenomeno facilmente
osservabile nei casi di malattie epidemiche nei luoghi più sperduti del mondo, la cui paura del
contagio giunge fino nelle capitali europee e nordamericane, senza che, ovviamente, sussista il
minimo rischio96.
90 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), pp. 117-123 91 Ivi, pp. 123-127 92 Ivi, pp. 133-144 93 Ivi, p. 146 94 Grusin R., Radical mediation, Cosenza, Pellegrini Editore (2017), p. 248 95 Ivi, p. 257 96 Ivi, p. 283
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Gli assunti raggiunti fin qui possono apparire eccessivamente forti, quindi, è bene ricordare ed
esplicitare che quanto detto finora, ovviamente, non riguarda tutte le testate, tutti i giornalisti,
tutte le notizie. Sarebbe un deficit democratico sproporzionato. D’altra parte, è vero anche che,
in Italia, le notizie che non rispondo alle “Cinque W” sono molto diffuse97, lasciando in mano
al lettore una story piuttosto che una history98. Infatti, l’effetto di realtà che emerge dalla notizia
usa gli stessi strumenti del romanzo verista: il discorso indiretto libero per nascondere il
narratore e il suo punto di vista, che si confonde con quello dei protagonisti della vicenda o
della comunità degli spettatori; parafrasando la poetica di Verga, la notizia “deve sembrare
essersi fatta da sé”. Fondamentalmente in questo si sostanzia la quintessenza della
spettacolarizzazione, la teatralizzazione, che giustifica la quantità abnorme di interviste99 che,
quando riguardano la cronaca nera, mettono in scena il dolore senza alcun contenuto
informativo e che, quando hanno per oggetto un potente, sono molto moderate nel contestare100.
Su quest’ultimo aspetto, è bene soffermarsi. “L’abdicazione all’assunzione di un punto di vista
riconoscibile da parte del professionista dell’informazione è un fatto di espressione linguistica.
Contrabbandato sotto le spoglie della vivacizzazione retorica, dell’avvicinamento alle parole
della gente, ha in realtà una conseguenza sulla struttura formale della notizia: si prendono le
parole di un personaggio che è parte della scena e con ciò si rinuncia ad una voce autonoma, a
filtrare la notizia attraverso un punto di vista esterno all’enunciato e responsabile
dell’enunciazione […]. Questo dato di espressione (relativo alla forma linguistico-testuale della
notizia) prepara e sostiene, sul piano del contenuto, il servilismo dell’informazione nei
confronti del potere”101. Non per nulla, le notizie politiche sono sempre accompagnate da una
batteria di dichiarazioni di politici, tagliate e ordinate in funzione dell’effetto di realtà che si
vuole consegnare allo spettatore102.
Altri strumenti per generare un effetto di realtà sono la tematizzazione e la topicalizzazione.
Nel testo giornalistico, infatti, sono importanti non solo gli elementi, ma anche come vengono
messi in relazione per generare un effetto di senso. Il giornalista stabilisce queste relazioni
definendo, in primo luogo, la gerarchia tra le notizie, creandone poi i rapporti e, infine,
scegliendo di trattare nello stesso testo un certo numero di notizie, come fossero collegate da
un tema comune. Quest’ultima è la topicalizzazione, da distinguere dalla tematizzazione,
97 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), p. 148 98 L’Italiano non conosce questa distinzione, forse tra romanzo e verbale. 99 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), pp. 67-68 100 Loporcaro M., Cattive notizie, Milano, Feltrinelli (2017), pp. 157-162 101 Ivi, p. 166 102 Ivi, p. 171
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poiché attiene al piano del contenuto: è una ricerca di un tema comune a varie notizie per poterle
accostare e determinare l’articolazione del piano dell’espressione del testo; tutto ciò è
particolarmente evidente nelle prime pagine dei giornali e nelle aperture dei tg. Come si vedrà
nel paragrafo successivo, questo filo rosso tra le notizie può essere anche arbitrario103.
1.3 Immigrazione e sicurezza
Nelle interviste compiute da Itanes104 a ridosso del voto, solo un tema, tra numerose questioni
economiche e culturali, metteva d’accordo gli elettori di centro, di destra e di sinistra:
l’immigrazione. Tutti concordavano che in Italia ci fossero troppi immigrati105. Niente di cui
stupirsi; eppure queste interviste sono del 2013, elezioni in cui l’immigrazione non ha giocato
alcun ruolo, schiacciata da temi economici e dall’Europa.
Considerando che troppi non è una parola neutra, ma qualifica l’eccedenza in negativo e non è
usata a sproposito, ma è proprio quella utilizzata nel questionario, bisogna chiedersi come mai,
anche quando l’immigrazione non è un tema politicamente saliente, gli stranieri in Italia sono
troppi.
Innanzitutto, i numeri. Al 31 dicembre 2018, i residenti stranieri sul territorio sono 5.255.503.
Il numero è cresciuto di oltre un milione dai 4.027.627 del primo gennaio 2011. L’anno con i
maggiori ingressi è stato proprio il 2013: 534.364 in più106.
Per quanto riguarda la provenienza, si trova una rappresentanza di praticamente tutti i Paesi del
pianeta, ma le comunità più grandi vengono da Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina,
Filippine, India, Bangladesh, Moldova, Egitto, Pakistan, Nigeria, Sri Lanka e Senegal107.
Gli stranieri regolari rappresentano l’8,7% della popolazione residente; questa percentuale –
ovviamente – non è uniforme su tutto il territorio italiano, ma, riducendo della scala di
osservazione, si configura come una distribuzione a macchia di leopardo, con zone
completamente popolate di autoctoni e zone dove questi ultimi sono la minoranza108.
103 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), pp. 29-32 104 Italian National Election Studies 105 Itanes, Voto Amaro, Bologna, il Muino (2013), p. 140 106 http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=12313 107 http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_POPSTRCIT1 108 http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_POPSTRRES1
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Finora, però, si è parlato di residenti regolari, cioè quelli che hanno ottenuto un visto, un
permesso di soggiorno o altro nulla osta comunque denominato o, ancora, hanno goduto di una
sanatoria per legge. Gli unici numeri certi sugli irregolari sono quelli sugli sbarchi sulle coste
italiane di imbarcazioni che, a vario titolo, portano, al netto dei richiedenti asilo, migranti
economici che, in quanto tali, non hanno diritto di permanenza. Nel 2017 sono giunte 85.211
persone, 16.935 nel 2018 e 3.126 fino alla metà del 2019109. Su tutti gli altri il dato è
inconoscibile110.
Per quanto riguarda il legame con la criminalità, “il peso della componente straniera, ovvero
delle persone di 18 anni e più nate all’estero, tra gli autori dei reati è andato aumentando a
partire dagli anni Novanta, mentre prima di allora il fenomeno era trascurabile. Se nel 1990 gli
stranieri erano pari al 2,5 per cento degli imputati, nel 2009 gli stranieri rappresentano il 24 per
cento del totale degli imputati. Guardando alle nazionalità degli stranieri che commettono reati,
emerge che molte comunità non contribuiscono al fenomeno se non in misura del tutto
trascurabile. […]. Gli stranieri rappresentano il 32,6 per cento del totale dei condannati, il 36,7
per cento dei detenuti presenti nelle carceri e il 45 per cento del totale degli entrati in carcere.
La relazione tra le diverse incidenze è costante negli anni ed appare dovuta a molteplici fattori,
legati alla minore capacità di difesa durante l’iter processuale, al tipo di reati commessi (che
prevede in misura maggiore il carcere) e alla minore capacità-possibilità di accedere alle misure
alternative al carcere sia prima che a seguito della condanna, non possedendo i requisiti per
poterle chiedere. […] La percentuale di stranieri irregolari che commettono reati sul totale degli
stranieri aumenta passando dai reati di carattere espressivo a quelli strumentali: infatti, la
percentuale degli stranieri è relativamente più bassa per i reati contro la famiglia (49 per cento),
sale progressivamente per le lesioni (62 per cento), per gli omicidi (69 per cento), per i furti (76
per cento, con quote dell’83 per cento per i furti con destrezza e dell’85 per cento per quelli in
abitazione) e raggiunge il massimo per le violazioni sul traffico e spaccio degli stupefacenti.
Inoltre, una parte degli imputati stranieri lo è per reati legati alla condizione di immigrato
irregolare: nel 2009, 24.771 individui (il 17,7 per cento degli imputati nati all’estero) hanno
proprio l’immigrazione illegale come reato più grave commesso, mentre 4.042 individui (il 2,9
per cento del totale) è imputato per falsa attestazione o dichiarazione a Pubblico ufficiale su
identità o qualità personali proprie o di altri. […] Gli stranieri sono imputati principalmente per
109 Cruscotto statistico giornaliero, 09-07-2019, Ministero dell’Interno 110 Anche il XXIV Rapporto Ismu Sulle Migrazioni 2018 si riferisce solo alle persone sbarcate, indicando il
numero degli irregolari in 533.000 unità. Numero arbitrario e ampiamente sottostimato, considerando anche solo
a titolo d’esempio il rapporto Welforum che stima oltre 100.000 collaboratrici domestiche clandestine.
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furto, violazione delle norme sugli stupefacenti e lesioni, cioè per reati che impattano
maggiormente sulla percezione della criminalità, oltre che per i reati legati alla loro condizione
di irregolari (come l’immigrazione e le false attestazioni o dichiarazioni a Pubblico ufficiale su
identità o qualità proprie o di altri).”111
Ma è proprio la percezione quel che più interessa. L’istituto Cattaneo e l’Eurostat, nel 2018,
hanno evidenziato come l’Italia sia il Paese con la percezione più alterata del fenomeno
migratorio rispetto agli altri Paesi europei, con un divario tra quantità reale e percepita di 17,4
punti percentuali112. La sicurezza, infatti, può essere indagata da due prospettive: quella
percepita e quella oggettiva. La prima si basa fondamentalmente sul controllo e sulla maggiore
importanza data all’accezione punitiva della pena e alle vittime reali o potenziali, in altre parole
sulla paura del crimine, che, scollegata dall’andamento del fenomeno in sé, ha aperto un nuovo
filone di studi di criminologia. Da quest’ultimo è emerso che, in Italia, i mezzi di informazione
hanno posto al centro il tema sicurezza a partire dalla seconda metà degli anni Novanta e in
modo particolarmente accentuato nel triennio 2007-2009 e nell’ultimo periodo; seguiti poi dalle
pubblicazioni scientifiche sul tema con uno scarto temporale di circa 2 anni113. “I sentimenti di
paura e incertezza possono essere più o meno diffusi, ma ciò che conta è che condizioni di
ansia, isolamento, fastidio e vulnerabilità trovino discorsi politici e culturali che incanalino e
nutrano percezioni, credenze ed emozioni e diano ad esse un significato coerente, articolandole
e flettendole nella direzione della paura per la propria sicurezza personale, fino ad essere
incorniciate come una minaccia per l’esistenza stessa della comunità politica”114. Questo perché
le paure personali non hanno un impatto sensibile nella società, attengono alla psicologia;
invece, l’interazione politica rendere la paura della criminalità un dato condiviso e auto-
evidente. L’aumento delle persone che legano l’immigrazione alla minaccia per la sicurezza
conferma il fatto che l’immigrazione per una fetta consistente della popolazione voglia dire
soprattutto insicurezza; in questa direzione, infatti, si sono mossi gli esponenti politici che
hanno favorito questo cambiamento dei frame cognitivi115. Ricordando che l’Italia è un Paese
tra i più sicuri al mondo e che, per questo, quando si parla di impennate o diffusione della
criminalità si parla di microcriminalità (rapine, furti in abitazione, etc.), l’attenzione mediatica
e politica si è spostata sull’insicurezza percepita. Questo lo strumento per continuare a parlare
111 https://www.istat.it/it/files/2012/05/Capitolo_2.pdf; per dati aggiornati al 2014, ma non aggregati:
https://www.istat.it/it/files/2017/10/Delitti-imputati-e-vittime-dei-reati.pdf 112 Villa M., Migrazioni e comunicazione politica, Milano, FrancoAngeli (2019), p. 10 113 Maneri M., Si fa presto a dire sicurezza, Etnografia e ricerca qualitativa – 2/2013, pp. 283-286 114 Ivi, p. 291 115 Villa M., Migrazioni e comunicazione politica, Milano, FrancoAngeli (2019), p. 25
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di sicurezza anche in assenza di un pericolo incombente. Tale è stato l’accordo delle parti in
causa che, senza sforzo, si è passati dalla domanda di sicurezza al suo corollario le persone
chiedono più sicurezza. A questo fine, i media nazionali hanno riportato più volte i risultati di
semplici indagini di opinione con toni allarmistici, da non confondere, però, con un certo
sensazionalismo, perché l’errore originario di interpretazione, spesso, è causato dagli stessi
istituti di ricerca. Ad esempio, nel 2008, un’indagine svolta da Makno collocava gli indifferenti
all’immigrazione tra chi provava sentimenti negativi causando un aumento solo matematico
della porzione di popolazione ostile allo straniero; il Corriere della Sera, il 30 aprile 2008,
infatti, titolò: “Immigrati, l’Italia ha più paura”. O l’Istat, nel 2010: indagine sulla percezione
di sicurezza quando si è fuori di casa, l’Istituto dà più spazio e commento al 28,9% di insicuri
che al restante 71,1% di sicuri116. Durante la campagna elettorale per le politiche 2018,
l’immigrazione è stato il primo tema dei telegiornali, monopolizzando circa un quarto dello
spazio totale dedicato alla campagna elettorale stessa, nonostante gli arrivi fossero crollati117.
E ancora: come già scritto, durante il Governo Prodi II il tema sicurezza è stato calcato a fondo
dall’opposizione, ma anche dal Corriere della Sera che, in quel triennio, ha pubblicato in media
286 titoli all’anno sull’argomento, quasi uno al giorno festivi esclusi118. Uno studio sull’Ansa
ha classificato 1856 documenti sul tema diffusi dal 1998 al 1999 a ridosso dell’esplosione della
prima “emergenza immigrazione”119. I risultati: il 92% dei dispacci ha come protagonisti
immigrati solo se clandestini o protagonisti di altri illeciti penali, anche se avvenuti all’estero;
i comunicati e le dichiarazioni ufficiali costituiscono un terzo dell’informazione
sull’argomento; in altre parole, una notizia su tre è in realtà un commento alla notizia. Se la
vittima è straniera, inoltre, non viene intervistata. Se la notizia riguarda l’immigrato in ambito
economico, racconta di come questo accetti mansioni rifiutate dagli italiani. In sintesi, l’Ansa
ignora l’identità culturale, le relazioni sociali positive e l’integrazione degli immigrati.
L’immigrazione, in definitiva, acquista evidenza per l’agenzia di stampa solo quando si fa
emergenza. Sensazionalismo, spettacolarizzazione e drammatizzazione, sebbene sviliscano la
funzione informativa, hanno maggior presa sul pubblico, che, soprattutto nelle fasce meno
istruite, si fa catturare da notizie superficiali ma di grande effetto120.
116 Maneri M., Si fa presto a dire sicurezza, Etnografia e ricerca qualitativa – 2/2013, pp. 291-293 117 Rapporto MediaMonitor Politica 2018, Sapienza Università di Roma 118 Maneri M., Si fa presto a dire sicurezza, Etnografia e ricerca qualitativa – 2/2013, p. 301 119 Corte M., Noi e gli altri, l’immagine dell’immigrazione e degli immigrati sui mass-media italiani, Prospettiva
EP (gennaio-marzo 2002), p. 3 120 Ivi, pp. 6-9
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Questo costrutto mediatico-politico è ancor più interessante se si pensa che l’Italia non ha
conosciuto né un aumento di lungo periodo della criminalità, né un aumento della paura della
criminalità, che anzi sono andata diminuendo negli ultimi decenni121. Eppure, il tema della
sicurezza, dagli anni Ottanta, è stato sempre centrale nel discorso politico. Nasce subito come
costola dell’immigrazione, da sempre associata all’invasione e alla criminalità. Questi due
temi, assieme alla marginalità sociale, creano una fascia di popolazione pericolosa
ontologicamente. Questa narrazione penetra l’opinione pubblica e il discorso politico a tal punto
da far produrre una normativa sempre più restrittiva, in cui non rientra più solo una legittima
lotta al crimine, ma viene estesa al più generico degrado122. E queste leggi vengono salutate
positivamente in modo pressocché unanime, qualsiasi posizione critica viene tacciata di essere
antipatriottica e quindi si sviluppa una corsa piuttosto goffa a chi offre un parere autorevole,
per posizionarsi nel lato giusto dell’opposizione noi/loro123. In questo caso, quindi si può parlare
di securitariarizzazione, cioè “il processo di costruzione sociale che spinge un settore ordinario
della politica nella sfera delle questioni relative alla sicurezza per mezzo di una retorica del
pericolo che punta a giustificare l’adozione di misure speciali che eccedono il quadro giuridico
e le ordinarie procedure di decisione politica. […] È il processo attraverso il quale una questione
viene trasformata in un problema relativo alla sicurezza del tutto indipendente dalla sua natura
obiettiva, o dalla rilevanza concreta. […] È un particolare frame teorico-politico attraverso cui
una varietà sempre crescente di questioni sono tematizzate”124. A questo scopo, i migranti
vivono la doppia condizione di invisibilità e di supervisibilità: da una parte, ignorati come
soggetti di diritti sociali; dall’altra, evidenziati come soggetti devianti e pericolosi125.
L’immagine che emerge, infatti, è di un essere “sporco, povero, bugiardo, incline alla violenza
e all’illegalità, ha qualcosa di minaccioso ed è fonte di disagi e di disturbi, nero, malato,
contagioso e pericoloso come la peste, invadente, viene a sporcare qualcosa di nostro, colpevole
della sua miseria tenta di toglierci la sicurezza che ci siamo duramente conquistati, si muove
sempre in gruppo, non ha ritegno”126.
Se nel paragrafo sull’informazione non si è scritto di social network, in quanto Facebook,
Twitter e gli altri non sono testate registrate in tribunale con il dovere di informare ma nascono
121 Maneri M., Si fa presto a dire sicurezza, Etnografia e ricerca qualitativa – 2/2013, pp. 295-296 122 Ivi, pp. 297-298 123 Ivi, p. 305 124 Campesi G., Migrazioni, sicurezza, confini nella teoria sociale contemporanea, Studi sulla questione
criminale, VII. N° 2 (2012), p. 11 125 Ivi, p. 15 126 Gli aggettivi sono citati testualmente dai dispacci Ansa cit. in Corte M., Noi e gli altri, l’immagine
dell’immigrazione e degli immigrati sui mass-media italiani, Prospettiva EP (gennaio-marzo 2002), p. 10
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e sono progettati come luoghi di comunicazione interpersonale mediata dai computer127, per
quanto riguarda l’immigrazione, può essere interessante analizzare anche le comunità online. I
migranti, infatti, sono stati un argomento centrale fin dalla campagna elettorale del 2018. Lega,
Fratelli d’Italia, Forza Nuova e CasaPound sono riusciti a imporre un’agenda mediatica a loro
favorevole, tanto da non lasciare spazio né al Movimento Cinque Stelle, che ha tentato di
inseguire, né alla sinistra, che ha alternato proposte contraddittorie a posizioni meramente
inefficaci128. “Un meccanismo che i diversi soggetti, in base anche a una leadership più giovane,
attuano con azioni mirate, in cui è strategico l’utilizzo delle nuove tecnologie e delle piattaforme
social. Si pensi, per esempio, alle dirette Facebook di Salvini o all’auto-produzione di notizie
riportate in modo sovrabbondante attraverso i profili dei principali esponenti della destra
italiana. […] La diffusione di pagine e contenuti di matrice razzista, non sempre collegati a fatti
realmente accaduti, dimostrano una centralità di queste tematiche anche sui canali più
istituzionali”129. Come già evidenziato per i media tradizionali, le abitudini e la cultura dei
migranti vengono omogeneizzate in una grande uniformità confusa, che rappresenta un blocco
di stranieri da contrapporre a al cittadino occidentale; ciò che differisce sui social è che questi
cittadini devono patriotticamente denunciare la volontà di qualche non meglio specificato
potere sovranazionale che ordisce un piano di contaminazione dei popoli130. L’aumento dei
fruitori di tali contenuti rispecchia lo spostamento a destra – soprattutto su questi temi –
dell’elettorato e la diffusione dei contenuti stessi risponde alle logiche di mercato di cui si
scriveva per i media tradizionali. Agli internauti non interessano le ragioni che portano intere
aree del mondo a doversi spostare, ma la notizia nasce con l’arrivo: la conclusione del viaggio,
lo sbarco premediato e poi spettacolarizzato. Le soluzioni proposte sono, ovviamente,
semplificate in quanto non tengono conto del diritto e dei trattati internazionali che regolano
l’agire in mare131. Un altro aspetto è l’hate speech, il discorso d’odio, che ha una correlazione
con le notizie false, in quanto costruite proprio per suscitare sentimenti negativi e dirette ad un
pubblico che non ha gli strumenti cognitivi per individuarle e ignorarle132. Questo problema si
iscrive nella più ampia crisi dell’informazione tradizionale e nell’ancor più problematica crisi
127 Paccagnella L., Sociologia della comunicazione, Bologna, il Mulino (2010), p. 184 128 Gangi M., L’utile migrante, Democrazie e diritto n°1/2018, FrancoAngeli, pp. 111-112 129 Ivi, p. 113 130 Ivi, p. 114 131 Ivi, p. 117 132 Ivi, p. 119
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delle istituzioni della formazione, assieme alla facilità di accesso alle tecnologie della
comunicazione anche tra le fasce della popolazione escluse dall’informazione accreditata133.
Entrando più nell’analisi dell’uso politico dell’immigrazione, l’effetto di realtà è prodotto dal
discorso politico nel perseguimento della sua finalità intrinseca di raccolta e organizzazione del
consenso. Inoltre, se l’enfasi sui temi e sulle divisioni tende a scemare al termine della
campagna elettorale, la particolare messa in scena simbolica e discorsiva del tema
dell’immigrazione invece permane anche nei mesi successivi. A resistere sono le chiavi
interpretative, le prospettive di senso, le categorie e i valori che hanno alimentato il clima
d’opinione. William Riker ha coniato a tal proposito la nozione di erestetica, per indicare “una
strategia di alterazione strutturale dello spazio simbolico entro cui si svolge la competizione
politica mediate il controllo dell’agenda”. Si torna, dunque, a parlare di framing che, a questo
punto, può essere definito, da una parte, come un’operazione di selezione e di enfasi su alcuni
aspetti della realtà percepita e, dall’altra, come principi organizzativi che tengono insieme e
danno coerenza a simboli e idee. Considerando entrambe le interpretazioni, i frame inquadrano
la questione, eliminano gli elementi di disturbo e creano una linea interpretativa coerente,
seguita, quindi, da cause, responsabilità e soluzioni134. Inoltre, l’immigrazione in quanto tale
può essere definito come frame primario, però questa indicazione è limitante, in quanto spesso
di fa riferimento a frame collaterali, ovvero è oggetto di tematizzazione, ma sullo sfondo e in
modalità implicite135, come per le cornici sicurezza-legalità o ancora quella accoglienza-
emergenza. Nel frame primario securitario, l’immigrazione è inserita in un continuum che va
dal terrorismo alla regolamentazione del diritto d’asilo ed esclude qualsiasi questione
riguardante i diritti umani e di cittadinanza. Tale processo può essere collegato al fenomeno
della demopolitics: un modo di interpretare il governo dello Stato come fosse una casa privata
e riconfigurare le relazioni tra la cittadinanza, lo stato e il territorio. Alla casa si ricollegano un
insieme di valori quali la famiglia, l’intimità protetta e il mondo esterno ostile, oltre al concetto
di proprietà e di appartenenza. Minoritario ma ugualmente presente è il frame economico, cioè
l’interpretazione del fenomeno migratorio alla luce dei costi per la gestione a carico dello Stato,
in particolare nella declinazione riferita al cosiddetto “business dell’immigrazione”136. Al frame
133 Gangi M., L’utile migrante, Democrazie e diritto n°1/2018, FrancoAngeli, p. 120 134 Villa M., Migrazioni e comunicazione politica, Milano, FrancoAngeli (2019), pp. 74-75 135 Ivi, p. 82 136 Ivi, pp. 86-88
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primario, poi, si accompagnano quelli collaterali: oltre a quelli già citati, altri sono fascismo-
antifascismo e sicurezza in sé stessa137
Gli stranieri o la supposta minaccia dei confini, infatti, sono sempre più spesso rappresentati
come un macro-fenomeno in grado di spiegare e ricomprendere in sé tutta una serie di altri
disturbi, incertezze, insoddisfazioni a cui la politica è tenuta a dare ascolto. A fronte di una
chiave interpretativa così semplice insieme così onnicomprensiva, i margini di contro-framing
non sono ampi. Oltretutto, raramente i partiti rivali hanno accolto il celebre suggerimento di
Lakoff di non pensare all’elefante, cioè di non impegnarsi a smentire il frame dell’avversario,
ma di svilupparne di propri. Anche se va detto, a loro discolpa, che l’effettiva possibilità di
imporre frame diversi non dipende solo dalla capacità comunicativa dei soggetti politici, ma
anche dalla risposta che dà l’opinione pubblica di fronte a cornici alternative138. “Incoraggiato
tanto dai fatti di cronaca quanto da una comunicazione piuttosto aggressiva da parte della Lega,
il tema dei processi migratori e delle sue conseguenze ha guadagnato spazi fino a raggiungere
importanti picchi di attenzione. A occupare una posizione discorsiva vantaggiosa in tale
situazione sono certamente coloro che possono rivendicare la sicurezza come valore di
riferimento della propria identità storico-politica. Ma anche e soprattutto coloro che riescono
ad articolarla in un frame primario che la connette in una logica apparentemente stringente
all’idea centrale dell’immigrazione sia in quanto causa del problema, l’insicurezza, che
possibile soluzione, le espulsioni”139.
137 Villa M., Migrazioni e comunicazione politica, Milano, FrancoAngeli (2019), pp. 89-90 138 Ivi, pp. 83-84 139 Ivi, p. 91
33
Capitolo 2 Fenomenologia di Salvini
2. 1 La biografia di Matteo Salvini
La storia della Lega è già stata raccontata, ma ora conviene soffermarsi sulla prospettiva
biografica di Salvini. Infatti, molte delle azioni e delle esternazioni che recentemente hanno
suscitato scandalo non vanno lette come il risultato di una strategia mediatica studiata a tavolino
attraverso sofisticati sistemi di sentiment analysis, ma affondano le radici in una personalità che
ha mostrato le proprie caratteristiche e una certa coerenza sin da tempi non sospetti, prima
dell’avvento dei social network, dell’attenzione dei media tradizionali e dell’affermazione
come leader della Lega. Per questo il primo passo di un capitolo sulla fenomenologia di Salvini
non può prescindere dal ripercorrere i suoi primi passi in politica, con cui possono essere messi
in luce episodi paradigmatici del suo atteggiamento riguardo alla comunicazione politica e alla
politica come comunicazione, riguardo alla scelta dei temi e al modo scioccante con cui
affrontarli.
Il giovane Matteo Salvini prese la tessera della Lega Lombarda a 17 anni, nel 1990 a Milano.
Prima di quell’anno, la Lega Nord, in città, non riusciva a raccogliere particolari consensi,
relegata dall’opinione pubblica a movimento rozzo tutt’al più pittoresco. Eppure, di lì a poco,
la capitale morale d’Italia sarebbe stata sconvolta dall’inchiesta Mani Pulite che, se da un lato
scosse l’elettorato, dall’altra, assicurò alla giustizia gran parte della classe dirigente e politica
milanese. La reazione fu dirompente: infatti, alle elezioni comunali del 1993 la Lega,
cavalcando il malcontento, prese il 40,6% dei voti, ottenendo ben 36 consiglieri su 60 e, quindi,
in grado di instaurare un governo monocolore. In quei trentasei c’era Matteo Salvini, 20 anni.
Tanto giovane da meritarsi un articolo, il primo, sul Corriere della Sera: Senza la cravatta ma
col tifo della mamma (2/07/1993)140.
Dopo l’esperienza infelice di governo nazionale del 1994, è noto come Bossi abbia puntato
sulla linea più estrema, infatti si passò dall’autonomia alla secessione. Il nuovo Stato Padano
necessitava però di un Parlamento, in cui avrebbero avuto rappresentanza le varie anime della
Lega. La lista dei Comunisti Padani a Milano avrebbe dovuto essere guidata dall’allora autista
di Bossi, ma questi passò ai liberaldemocratici, così, con pochi elementi in organico, la
posizione fu ricoperta dal più noto, o meno anonimo, Salvini, che, poco dopo, ereditò addirittura
140 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), pp. 24-27
34
la guida dell’intero gruppo parlamentare poiché il capogruppo lasciò, in quanto venditore
ambulante obbligato a vagare per l’Italia seguendo i mercati di paese141. Da questa posizione
iniziò a incarnare, sul finire degli Anni Novanta, la figura dell’eterno oppositore sia all’interno
della Lega, che verso l’esterno: allestiva banchetti contro le moschee, invitava a non pagare le
tasse e il canone Rai, faceva sopralluoghi nei campi nomadi. Un altro gioco del destino, poi, lo
fece rientrare in Consiglio comunale: alle elezioni del 1997 la Lega Nord dimezzò i voti e
Salvini fu il primo dei non eletti, ma due anni dopo il capogruppo leghista Ronchi morì,
lasciandogli il seggio. All’opposizione, il suo temperamento fu esaltato: nel 1998 istituì un
numero telefonico per segnalare casi di delinquenza legati agli immigrati clandestini; nel 1999
organizzò una manifestazione per chiedere al sindaco di centrodestra Albertini più sicurezza;
poi dilagò contro i campi nomadi legalizzati, le moschee, perfino contro il blocco del traffico
per ridurre i livelli di smog; sempre nel 1999 non strinse la mano al Presidente della Repubblica
in visita a Milano, giustificandosi: “No grazie, dottore, lei non mi rappresenta”. È evidente
come, spesso, sia prevalsa la provocazione sulla strategia politica142. Infatti, a causa di questi
modi, Salvini fino a quel momento non fu incaricato di nessuna funzione di governo comunale,
d’altra parte, però, gli valsero una crescente popolarità, testimoniata dal numero crescente di
preferenze: nel 2001, con la Lega al 4,4% ne prese 765 contro le 554 di Bossi; nel 2006, pur
con il partito sceso al 3,7%, ne conquistò ben 3127143.
Un altro passo fondamentale fu l’esperienza a Radio Padania Libera. La prima trasmissione
condotta da Salvini si chiamava “Mai dire Italia”, in cui venivano derise ed evidenziate le
storture della politica italiana e del Paese in generale, con una buona dose di satira politicamente
scorretta. La trasmissione ebbe un tale successo da trovare spazio nel palinsesto tutta la
settimana; prevedeva il commento ai fatti del giorno e alle notizie sui temi cari alla Lega:
immigrazione, criminalità, tasse, ma soprattutto era una trasmissione in cui gli ascoltatori erano
liberi di telefonare per intervenire in diretta. “Mai dire Italia” mandava in diretta una vera e
propria controstoria italiana capace di far notizia per la sua vena provocatoria e dissacrante con
Salvini battitore di un’asta di soluzioni da bar: clandestini respinti dalla marina militare, alloggi
popolari solo agli italiani, castrazione chimica, meglio la polenta del kebab e così via. In altre
parole, venne data dignità ai più bassi istinti sdoganando non solo il politicamente scorretto, ma
soprattutto il verbalmente violento. A ciò si aggiungeva tutta la rivisitazione della storia d’Italia
con occhi padani: la Resistenza padana, il 25 aprile padano, abolizione del 2 giugno. Ma la
141 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), pp. 29-34 142 Ivi, pp. 35-37 143 Ivi, p. 40
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radio non era solo uno strumento di comunicazione, veniva usata ancor più efficacemente come
mezzo di mobilitazione della sezione giovanile del partito e sui militanti144. La mobilitazione
era sempre finalizzata a qualche happening o evento eclatante e sorprendente che avesse grande
eco sui media. Questa strategia fu premiata alle elezioni europee del 2004: circa 14.000
preferenze. Ancora una volta, però, Salvini fu il primo dei non eletti; ancora una volta, però,
per un complesso gioco di ricorsi sui seggi vinti dalla Lega Nord, riuscì ad ottenere un biglietto
per il Parlamento europeo145. Alle elezioni europee del 2009 superò le 70.000 preferenze. La
sua campagna elettorale venne aperta dalla proposta di introdurre l’apartheid nell’azienda di
pubblico trasporto milanese, poi dichiarò che era stato uno scherzo; proseguì con la
pubblicazione di un video che lo ritraeva mentre intonava in coro “senti che puzza, scappano
anche i cani, stanno arrivando i napoletani”, poi si fece una foto mentre prendeva un caffè in
uno storico bar del centro di Napoli146. Una strategia, migliorata nel tempo e giunta fino ad
oggi, che alterna momenti ad altissima intensità seguiti a contromosse sornione. Poi, come già
scritto, le inchieste decapitarono il partito e Salvini riuscì a conquistarne la guida. Il controllo
della Lega, però, a differenza della gestione di Bossi, non si basava sul carisma personale e su
una struttura rigida, ma sulla popolarità del leader legittimato dai continui successi elettorali147
e dall’afonia degli altri dirigenti di partito, in parte privati della libertà personale dalla
magistratura, in parte espulsi, in parte integrati nella nuova conduzione, trasformando così un
partito gerarchico e localista in un party in central office, in altre parole un comitato elettorale
al servizio del leader che muove tutti i fili dalla sua scrivania148. Le successive elezioni europee,
le uniche che prevedono le preferenze su scala nazionale, confermano il trend crescente: oltre
350.000 nel 2014 (Lega al 6,15 %)149 e più di 2,2 milioni nel successo del 2019 (Lega al
34,26%)150.
Il 6 novembre 2016, giorno dell’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti
d’America, è una data fondamentale in questa storia: da una parte, diede a Salvini la conferma
che una comunicazione incessante e basata sul politicamente scorretto è premiante; dall’altra,
Trump sarà la musa ispiratrice del cambio della simbologia del partito, del conseguente
144 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), pp. 44-48 145 Ivi, pp. 48-51 146 Ivi, pp. 52-54 147 Passarelli G. Tuorto D., La lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), pp. 38-39 148 Ivi, pp. 40-41 149 https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/26/europee-2014-i-piu-votati-sono-bonafe-pd-salvini-lega-e-fitto-
forza-italia/1000841/ 150 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/27/europee-2019-oltre-2-milioni-di-voti-per-salvini-557mila-
preferenze-a-berlusconi-nel-pd-in-testa-pisapia-e-calenda/5210610/
36
riposizionamento e della personalizzazione del partito, di cui si scriverà successivamente. Al
tycoon americano fa compagnia, inoltre, l’altro ispiratore del modello di uomo politico forte:
Vladimir Putin. I rapporti con l’ex spia russa erano già stati avviati dal 2014, quando i due si
incontrarono a Milano e poi a Mosca per discutere di varie questioni di politica internazionale
e per l’affratellamento tra la Lega e Russia Unita, il partito di Putin151. Un altro modello politico
da non dimenticare è il Front National di Marine Le Pen, con cui esistevano rapporti già da
tempo, ma solo con la nazionalizzazione della Lega si sono trasformati in un’alleanza, poi estesa
al Partito per la Libertà olandese, al Partito per la Libertà austriaco, a Interesse Fiammingo, ad
Alternativa per la Germania ed altre formazioni minori di Polonia Regno Unito e Romania, con
cui infine è stato formato un gruppo europarlamentare chiamato Europa delle Nazioni e della
Libertà152. Vanno poi menzionate le liaison dangereuse con i gruppi neofascisti nostrani,
CasaPound e Forza Nuova, con cui Salvini ha instaurato un rapporto simbiotico: da una parte,
questi gruppi di estrema destra hanno cercato legittimazione nel rapporto con la Lega tanto da
normalizzare i loro messaggi o il dichiararsi fascista; dall’altra, Salvini ha potuto contare su un
bacino di voti certo e su militanti disinibiti. Comunque, questi rapporti furono presto interrotti
poiché l’estremismo di questi gruppi risultava indigesto anche all’elettorato leghista153.
Le ultime due mosse di Matteo Salvini sono state quelle che l’hanno portato al Governo:
l’alleanza con Berlusconi per le elezioni politiche del 2018 e il contratto con Luigi Di Maio. La
prima si basava sullo storico patto tra Lega Nord e Forza Italia, in cui, però, i rapporti di forza
tra i due partiti era ormai ribaltati, con Salvini perno del centrodestra e candidato premier e
Berlusconi interdetto dall’elettorato passivo e attivo per una condanna per frode fiscale154. La
seconda è il corteggiamento e l’apertura di Salvini al leader del Movimento avvenuto durante
la lunga fase di consultazioni, che, dopo il “passo di lato” di Berlusconi, hanno condotto alla
stesura del “Contratto per il governo del cambiamento” durante il mese di maggio 2018155.
Il “Governo del cambiamento”, al secolo Governo Conte, ha prestato giuramento al Presidente
della Repubblica il primo giugno 2018. Salvini Ministro dell’interno e vicepremier con Di
Maio. Da quel giorno, se non per rare eccezioni, il patto ha retto fino ad agosto 2019 in mezzo
a continue discussioni su qualunque tema, grazie agli interessi convergenti dei due partiti: da
una parte, Salvini ha tentato, riuscendoci, di egemonizzare la destra; dall’altra, Di Maio ha
151 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), pp. 64-67 152 Ivi, pp. 69-70 153 Ivi, pp. 73-74 154 Ivi, pp. 78-79 155 Ivi, pp. 82-83
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tentato, riuscendoci in parte, di far approvare le proposte fondamentali del programma
pentastellato. Ma ciò che colpisce è che Lega e Movimento hanno interpretato
contemporaneamente il ruolo di governo e di opposizione, non lasciando spazio agli altri
competitor che, invece di incunearsi nelle differenze tra i due partiti di maggioranza, non hanno
saputo mettere in atto una strategia degna di tale nome. A discolpa dell’opposizione, va detto
che lo spazio di manovra politica e mediatica era piuttosto ristretto: infatti, all’interno della
maggioranza si poteva trovare l’anima barricadiera e disintermediata incarnata dai vicepremier
e quella moderata e istituzionale, impersonata ad esempio dallo stesso Giuseppe Conte o dai
ministri Giovanni Tria e Enzo Moavero Milanesi; si trovavano proposte, anche estreme,
riconducibili sia alla destra sia alla sinistra, per questo difficilmente intercettabili156. A questo
si aggiungeva la situazione di campagna elettorale permanente. Solitamente ci si riferisce a
questo fenomeno per inquadrare il comportamento dell’uomo politico che impiega strategie di
marketing politico anche in assenza di competizioni elettorali imminenti, ma in Italia nel
periodo considerato la campagna elettorale è stata giustificata dal susseguirsi di appuntamenti
elettorali: come già ricordato, dal 4 marzo 2018 al 26 maggio 2019 si è votato
continuativamente per rinnovare il Parlamento italiano, quello europeo, undici consigli
regionali e oltre quattromila comuni.
2.2 L’uso strategico dei social network
Matteo Salvini è indubbiamente il politico italiano che maggiormente ha saputo usare i social
come strumento di costruzione del consenso, attraverso il racconto di una miscela di attività
politiche e spaccati di vita privata, volti alla strategia di digital engagement, cioè la creazione
di un luogo mediatico in cui gli elettori possono essere coinvolti, informati e strutturare un
rapporto con il leader157. La confidenza con i social network lo ha reso un brand politico con i
tratti caratteristici degli influencer, in grado di ingombrare l’ambiente digitale con una miscela
di temi politici, ideologici o connessi alla sfera privata che, assecondando i gusti e le tendenze
del proprio pubblico, riescono a creare una connessione. Proprio per questo motivo, anche nella
parentesi in cui Salvini è stato Vicepresidente del Consiglio e Ministro dell’Interno, il
linguaggio istituzionale viene scartato a priori in quanto inadeguato all’habitat comunicativo e
156 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), pp. 84-85 157 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), p. 45
38
relazionale dei social network, preferendo un registro che oscilla tra il basso e l’informale, che
presenta alcune caratteristiche: l’uso di parole ed espressioni colloquiali e quotidiane;
presuppone e instaura una certa intimità tra gli interlocutori o quantomeno un rapporto paritario,
che induce le parti a partecipare esprimendo le proprie emozioni e valutazioni senza filtri; la
scelta di soluzioni linguistiche comuni e non ricercate; il continuo ricorso a segnali enfatici allo
scopo di mantenere alto il coinvolgimento e l’attenzione; raro l’uso del dialetto lombardo;
talvolta, poi, Salvini adotta un registro triviale, con espressioni offensive o irrispettose158.
La pagina Facebook viene aperta nel 2010, quando Salvini era ancora consigliere comunale a
Milano. Fin da subito il social network viene utilizzato per raccontare le proprie attività
quotidiane e per rilanciare tutti i contenuti che la piattaforma offre, dai meme, ai video, alle
notizie, e che giochino in favore della propria proposta politica, confermando la salienza di certi
temi a discapito di altri. Già nel biennio 2010-2012, nel momento più buio della Lega, la pagina
si contraddistingueva per quella che oggi viene considerata la sua strategia vincente: notizie di
cronaca nera locale, anticipo e rilancio della propria presenza in qualche programma televisivo,
numerosi post – video, foto o testuali – che incitavano alla partecipazione dell’utente
destinatario del messaggio, il tutto condito da toni non propriamente istituzionali. Questa
strategia ha portato certamente i suoi frutti: Matteo Salvini è oggi il politico più seguito
d’Europa con oltre 3,7 milioni di follower, contro i 2,5 milioni di Angela Merkel e i 2,4 milioni
di Emmanuel Macron159. L’account Twitter è stato aperto nel 2011 con una funzione più di
ufficio stampa o, ancor meglio, di megafono delle attività di Matteo: ospitate in televisione,
foto e video delle manifestazioni di piazza, livetwitting (il commento in diretta di un evento
rilevante), oppure, per aggirare il limite di caratteri, vengono condivisi screenshot dei post
polemici su Facebook. In altre parole, Twitter non è uno strumento autonomo, ma è
complementare e funzionale a Facebook. Oggi ha 1,1 milioni di follower. L’ultimo social
network da citare è Instagram, su cui viene aperta la pagina ufficiale nel 2014. L’uso che ne
viene fatto è quello proprio del mezzo: fotografie del vissuto quotidiano, dalla scrivania
dell’ufficio a qualche prelibatezza gastronomica; a cui si aggiunge il caricamento in differita
delle dirette Facebook nella sezione IGTV, nata nel 2018. Anche su Instagram, Salvini ha
superato il milione di follower160.
158 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), pp. 29-30 159 Si aggiunga che dall’inizio della raccolta dati per il presente lavoro (febbraio 2019), i follower di Salvini
siano aumentati di 1,5 milioni, quelli di Macron di 100.000 e Merkel ha eliminato la pagina ufficiale. 160 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp.50-53
39
La costante dei tre social utilizzati è che non hanno mai smesso di acquisire nuovi like,
commenti, condivisioni, almeno fino alla caduta del Governo Conte I. Questo risultato è
l’effetto della combinazione di toni che stimolano passioni, invito alla partecipazione degli
utenti (call to action) e di una presenza costante e tempestiva su tutti i temi rilevanti dell’agenda
mediatica161 con un numero elevatissimo e vario di contenuti pubblicati, strategia comunque
comune ai challenger parties162 . La call to action è uno strumento tipico del marketing digitale
in grado di generare una costante interazione con la comunità spinta ad esprimersi dalla
conformazione aperta o interrogativa del post. Interessante è anche l’ora di pubblicazione,
poiché, a differenza degli altri politici, i post di Salvini si concentrano nel tardo pomeriggio e
nella sera, fasce orarie in cui, da un lato, c’è maggiore traffico di utenti, e, dall’altro, viene
lasciato tutto il tempo necessario ai quotidiani di riprendere le sue dichiarazioni nell’edizione
del giorno successivo163.
Dal 2018, Salvini pubblica su Facebook una media di 11 post al giorno, superando Di Maio
(7,2) e Giorgia Meloni (6,8), in gran parte video, soprattutto durante le fasi più calde della
campagna elettorale. Se si aggiungono anche i tweet la media giornaliera sale a 22 post164.
L’alto tasso di pubblicazione non risponde solo all’esigenza dell’onnipresenza, ma intende
anche volgere a proprio favore il funzionamento dell’algoritmo di Facebook, l’EdgeRank, che
favorisce i contenuti caratterizzati da brevità, velocità di fruizione e numero di interazioni. Per
quanto riguarda l’engagement rate, la capacità di un canale di coinvolgere gli utenti
considerando il rapporto tra il numero totale delle interazioni e il numero dei fan, questo ha
subito un calo da agosto 2018 giustificato dall’aumento esponenziale dei fan sulla pagina, non
tutti attivi, e dall’abbassamento dell’interesse verso la politica dei cittadini, stremati dopo la
lunga marcia iniziata il 5 marzo 2018 per la formazione del governo. I picchi di engagement e
di nuovi follower, invece, si sono registrati il 5 marzo 2018, tra il 10 e il 17 giugno 2018, tra il
3 e il 9 gennaio 2019. Se la prima data banalmente rispecchia il successo elettorale, gli altri
periodi sono caratterizzati dal monopolio sull’informazione dei casi Aquarius e Sea Watch, due
imbarcazioni in uso ad Organizzazioni Non Governative intente a far sbarcare immigrati
clandestini salvati da un infausto destino al largo delle coste africane165.
161 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), p. 54 162 Bobba G., Social media populism: features and likeability of Lega Nord communication on Facebook,
European Consortium for political research (2017), p. 12 163 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), pp. 27-28 164 https://www.youtrend.it/2018/07/06/la-comunicazione-totale-di-salvini/ 165 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 55-58
40
Dal punto di vista stilistico, Salvini utilizza testi brevi, spesso dentro caselle di testo e immagini,
quando deve comunicare concetti semplici. Anche questo accorgimento, oltre a facilitare la
fruizione del contenuto e catturare l’attenzione, come l’uso del maiuscolo, è promosso
dall’algoritmo del social. Quando, invece, l’ex Vicepresidente ha bisogno di più spazio, viene
pubblicato un video o aperta una diretta. Quasi sempre all’interno dei testi si trova una call to
action per invogliare gli utenti a esprimere il loro appoggio con un like, un commento o una
condivisione166.
In questo gioco è fondamentale il ruolo della community: gli utenti contribuiscono alla
diffusione dei contenuti oltre le cerchie raggiungibili dalla pagina fonte. La community, come
già ripetuto, viene spesso sollecitata a rispondere e, quindi, a creare traffico sul post. A ciò si
aggiungono i canali fiancheggiatori, cioè altre fanpage, gruppi Facebook non ufficiali e chat su
Telegram che vengono gestiti in modo coordinato dallo staff che si occupa della comunicazione,
che, assieme ai software di sentiment analysis, costituiscono la cosiddetta “Bestia”. Al livello
superiore della struttura di marketing si trova SalviniLab167, la struttura automatizzata di
rilancio e costruzione di post a disposizione di tutti i candidati della Lega. Inoltre, sul sito
ufficiale di Matteo Salvini è possibile, per chi lo desidera, diventare “portavoce”, cioè dare il
consenso alla condivisione automatica sui propri profili social dei contenuti generati da Salvini.
Questo consente, in particolare su Twitter, di far andare in tendenza gli hashtag leghisti,
falsando il reale interesse sull’argomento con i bot168.
Inoltre, anche per le interazioni spontanee, la strategia di Salvini riesce a superare la
disintermediazione creando una vera e propria identificazione. Questo sentiment deriva in
primo luogo, come già anticipato, dalla contaminazione tra vita privata e pubblica-politica, due
sfere che si intersecano per generare un senso di realtà sull’effettiva conoscenza che i follower
hanno del proprio leader, che appare come un cittadino medio, profondamente umano ed
empatico169. Ma la vita privata serve anche come pretesto per creare un collegamento con la
vita pubblica-politica: una foto dei figli per rafforzare le posizioni sulla famiglia tradizionale,
una sigaretta per dimostrare il nervosismo generato dall’alleato di governo, una sconfitta
dell’A.C. Milan per ricordare con nostalgia l’epoca d’oro vissuta dall’Italia in un passato
166 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), p. 59 167 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), p. 21 168 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 61-63 169 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), p. 28
41
indeterminato e così via. Ma questo uso dei social, che spesso viene ricondotto alla
spettacolarizzazione e alla popolarizzazione, appare sostanzialmente come una peculiarità di
Salvini che, infatti, ha da sempre unito i due piani fin dalla nascita della pagina Facebook nel
2010170. Non solo: Salvini, grazie all’esperienza maturata in radio, si è sempre dimostrato in
grado di reagire efficacemente sia alle critiche e agli insulti, sia ai momenti in cui altre
community online si mobilitavano contro di lui. Alcuni esempi: nel maggio 2015 la pagina
Progetto Kitten organizzò un flash mob con cui inondò le pagine social di Salvini con foto di
gatti, l’hashtag #gattinisusalvini andò in trend topic con ventiduemila partecipati nel volgere di
poche ore; Salvini ribaltò la situazione ringraziando e invitando i propri seguaci a commentare
con le foto dei propri animali domestici. Altra shitstorm capovolta fu in occasione della Falafel
Cup, una competizione fittizia organizzata da una pagina Facebook satirica per l’elezione del
miglior cuoco di kebab; il vincitore dell’ambito premio fu proprio Matteo Salvini la cui pagina
fu per questo presa d’assalto con numerosi commenti di congratulazioni e di fotomontaggi
dell’ex Ministro alle prese con la preparazione del piatto arabo; la risposta fu “La Falafel Cup
2015 è nostra! […] Vado a farmi un kebab alla polenta per festeggiare” (3/7/2015). Tali episodi
sono emblematici della abilità che Salvini possiede nel ribaltare momenti di possibile crisi di
immagine, benché mossi da fini puramente ludici, in occasioni di campagna elettorale e di
rafforzamento dei legami nella community. Ma la dimostrazione della capacità di interpretare e
coinvolgere l’elettorato e i seguaci appare al meglio nei due concorsi Vinci-Salvini, indetti
durante la campagna elettorale per le politiche nazionali e per le europee. Il concorso prevedeva
l’iscrizione dell’utente ad un sito che registra e assegna un punteggio per ogni like, commento,
condivisione e rilancio degli hashtag ufficiali della Lega. Chi raccoglie più punti nell’arco della
settimana vince, in palio una chiacchierata con Salvini. Il ricorso alla gamification risponde
sostanzialmente a tre esigenze: aumentare esponenzialmente il traffico e le interazioni,
diffusione dei contenuti politicamente favorevoli in modo organizzato, fidelizzare gli utenti
apparendo vicino e leggero171.
Passando ora ai contenuti (Tab. 1), attraverso l’analisi quantitativa per parole chiave emerge
che dal 2018 poco meno del 30% dei post includono riferimenti all’Italia e agli italiani, più del
20% riguardano il tema dell’immigrazione e altrettanti quello della sicurezza. Considerando
che un post può rientrare in più categorie, circa il 47% dei post di Salvini riguarda uno di questi
tre temi, che alla fine sono il pilastro dell’offerta politica della nuova Lega. Ciò che differisce
170 Il primo post in assoluto recita “Adoro la crema al mascarpone!” (26/12/2010, Facebook) 171 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 63-67
42
dalla vecchia Lega Nord è chiaramente il riferimento ossessivo all’Italia e la scomparsa della
parola “federalismo” con una sola menzione in un anno, sostituita da “autonomia” e “Padania”
che invece non è mai stata usata nel periodo di analisi172. Il riposizionamento della Lega si
configura come una delocalizzazione della proposta politico-comunicativa, stravolgendo la
logica localista a partire dai claim elettorali che evidenziano l’obiettivo di valicare il Po173.
Mes
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1 29% 22% 14% 16% 37% 21% 26% 16% 6%
2 26% 15% 11% 20% 23% 24% 13% 5% 5%
3 25% 13% 14% 21% 20% 22% 12% 8% 3%
4 28% 15% 10% 24% 27% 13% 11% 8% 3%
5 28% 13% 15% 19% 24% 23% 14% 10% 9%
6 28% 23% 14% 22% 23% 17% 8% 8% 7%
7 26% 29% 27% 16% 15% 15% 12% 8% 7%
8 30% 30% 20% 18% 13% 13% 13% 9% 7%
9 31% 31% 32% 17% 20% 17% 17% 12% 5%
10 32% 25% 28% 19% 21% 18% 18% 14% 6%
11 25% 24% 31% 20% 17% 16% 10% 7% 5%
12 21% 15% 21% 25% 14% 20% 15% 5% 5%
Tabella 1. Percentuale di contenuti per categoria sul profilo Facebook di Salvini nel 2018174
La triade Italia-immigrazione-sicurezza, in crescita nella seconda fase dell’anno, è mitigata
dagli altri post, un quinto del totale, dai toni colloquiali e leggeri, che però si mantengono stabili.
Nel mese di maggio 2019, invece, Salvini ha utilizzato la sua pagina Facebook unicamente per
la campagna elettorale. Dall’analisi quantitativa risulta che sono stati pubblicati 147 post dall’1
al 26 maggio, di cui solo 2 post di testo e 145 video. Questi ultimi sono di differenti tipologie:
5 sono videoclip con montaggio e editing riassuntivi di momenti salienti della campagna
elettorale; 27 sono riproposizioni di programmi televisivi o radiofonici in cui Salvini era ospite;
32 sono dirette destinate dall’utenza del social network; 81 sono comizi mandati in diretta sulla
pagina Facebook. Purtroppo, non tutti i post sono categorizzabili per argomento, in quanto non
172 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 68-69 173 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), p. 22 174 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), p. 72
43
tutti presentano una didascalia che ne riassuma il contenuto, come ad esempio per gli 81
appuntamenti di piazza dove, benché sia facilmente immaginabile che vengano toccati tutti i
temi dello spettro leghista, è presente solo il luogo dell’evento e la call to action che invita gli
utenti a prendere parte anche da casa. Dunque, i post che è possibile incasellare sono 47 e
riguardano: 12 post sulla sicurezza degli italiani, 4 sulla mafia, 4 sulla flat tax, 4 sugli immigrati,
4 sulla volontà di far contare di più l’Italia in Europa, 4 contro i maltrattamenti sugli animali, 2
contro la disoccupazione, 2 sul rinnovamento della politica italiana, 2 sulla ripartizione dei
richiedenti asilo in Europa, 2 sui porti chiusi, 1 contro le politiche di austerity, 1 sulla flessibilità
delle politiche di bilancio, 1 sulla riforma delle pensioni definita Quota Cento, 1 contro le
droghe, 1 sulla povertà in Italia, 1 sull’inquinamento e infine 1 sull’efficienza del Sistema
Sanitario Nazionale.
Altri tre aspetti vanno evidenziati. Il primo è la scarsa attitudine a parlare di più argomenti in
un singolo post: contrariamente agli altri politici, infatti, Salvini dedica solitamente un post ad
un argomento, eccezione alla regola solo nei casi in cui i due argomenti siano affini, come
immigrazione e sicurezza175. Il secondo riguarda l’edulcorazione dei post di stampo razzista,
che difficilmente si rivolgono agli stranieri in quanto tali, se non in casi di degrado estremo, ma
si basano sulla denuncia dei problemi sociali ed economici causati dagli immigrati, sulla difesa
dell’identità culturale italiana e sull’attacco ai presunti poteri che traggono vantaggio
dall’immigrazione; questo genera, più che odio razziale, razzismo concorrenziale, cioè il
conflitto tra le fasce di popolazione marginali in competizione per l’accesso alle risorse176. Il
terzo è il silenzio sui temi economici – se non l’abbassamento delle tasse – perché, a differenza
dei temi culturali, non riescono ad abbracciare con una proposta condivisa tutti gli elettori
leghisti, che si dividono tra imprenditori e lavoratori dipendenti, i cui interessi sono
fondamentalmente contrapposti177.
Unendo quanto detto della community con i contenuti, si possono analizzare le reazioni ai post
di Salvini, sia dal punto di vista delle interazioni medie per categoria tematica, sia per il numero
medio di anger e love, le due reazioni più utilizzate tra quelle messe a disposizione dal social
network. Su quest’ultimo aspetto, Salvini non si colloca né primo nel ricevere reazioni anger,
né ultimo in love (Tab. 2). Ovviamente, il numero e il tipo di interazioni variano sensibilmente
in base all’argomento trattato: i post di denuncia sono quelli che ricevono più interazioni, seguiti
175 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 70-71 176 Aime M., Eccessi di culture, Torino, Einaudi (2004), p. 92 177 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 72-74
44
immediatamente dall’immigrazione, dalla sicurezza e dall’Italia. Inoltre, va osservato come i
post a contenuto leggero ricevano riscontri in linea con la media dei post e assumono la funzione
di interruzione di un flusso altrimenti stancante di invettive e lamentele; a ciò si aggiunge che
spesso questi post escono dal social network perché rilanciati sui media tradizionali per la loro
banalità o curiosità. Sono, comunque, i post dal tono indignato e quelli sull’immigrazione a
riceve più interazioni e reazioni anger rispetto ai love178.
Leader % media Anger per
post
% media Love per post % media altre reazioni
Matteo Salvini 3,6% 5,0% 3,6%
Luigi di Maio 1,0% 6,7% 1,6%
Giorgia Meloni 4,8% 4,7% 3,4%
Laura Boldrini 2,7% 7,0% 5,0%
Matteo Renzi 1,0% 5,7% 3,2%
Tabella 2. Percentuale media di anger, love e altre reaction per leader politico nel 2018179
Per comprendere meglio l’uso dei social network sono stati selezionati a titolo esemplificativo
– sarebbe impossibile analizzare l’intero corpus – due post su Facebook e due Tweet, in quanto
sufficientemente rappresentativi dei diversi modi con cui Salvini rende i social network
strumenti di comunicazione politica e da cui emergono alcuni capisaldi della narrazione
salviniana che saranno esaminati nel capitolo successivo.
178 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 76-79 179 Ivi, p. 77
45
Immagine 1. (Twitter, 18 giugno 2019)
Il primo è un retweet (Imm. 1) di una notizia di cronaca che racconta di una signora di etnia
rom condannata a venticinque anni di reclusione per aver compiuto quarantadue furti. Il primo
aspetto da analizzare è la notizia stessa, o meglio la scelta, tra gli innumerevoli fatti di cronaca,
di rilanciare un contenuto che riguarda un crimine commesso da una persona appartenente ad
una minoranza tanto bistrattata come quella rom, con il palese intento di confermare il
pregiudizio contro la comunità nomade. Il secondo aspetto è la semplificazione, l’intervenire
sugli effetti piuttosto che sulle cause, assumendo il punto di vista banalizzato dell’uomo
comune: il problema in questo caso, semmai, è il sistema penale che consente a qualcuno di
inanellare cotanti illeciti rimanendo a piede libero o il degrado in cui si ritrova a vivere parte
della società italiana, non che una signora in evidente stato di esclusione sociale ne approfitti.
Il terzo è l’opposizione binaria che emerge dalla didascalia: la maledetta ladra rom, che dà alla
luce schiere di figli solamente per sfuggire alla pena, e le famiglie perbene, amorevoli e
implicitamente italiane. Il quarto è la provocazione e la fermezza: Salvini propone, infatti, che
la signora debba essere messa in condizione di non avere più figli lasciando intendere il ricorso
ad una sorta di castrazione, che però in Italia non è prevista per nessuna fattispecie penale e
altrove in Europa solo per i reati sessuali più gravi180. Ma di questa esternazione non sono
interessanti tanto l’assurdità, l’impraticabilità e la gravità dell’affermazione, quanto l’orario di
pubblicazione: come già detto, infatti, Salvini preferisce pubblicare nelle ore serali, così da
180 https://pagellapolitica.it/dichiarazioni/6786/in-quali-paesi-europei-e-prevista-la-castrazione-chimica
46
fornire merce informativa per le redazioni dei giornali proprio nel momento in cui sono
impegnate nella composizione dell’edizione del giorno successivo, così come accade nel
secondo tweet analizzato (Imm. 2).
Immagine 2. (Twitter, 19 luglio 2018)
Pubblicazione serale di una notizia, stavolta non rilanciata ma prodotta: l’allora Ministro
dell’Interno querela per diffamazione a mezzo stampa il giornalista Roberto Saviano per averlo
definito “Ministro della Malavita”, citando Gaetano Salvemini su Giovanni Giolitti. Poi, il
“come promesso” che ha un duplice significato: da un lato, “l’avevo promesso e l’ho fatto”
quindi coerenza; dall’altro, “come vi avevo promesso”, “come sapevamo tra di noi”, cioè un
riferimento all’Enciclopedia del destinatario, il quale era già a conoscenza della volontà di
Salvini di ricorrere a mezzi giudiziari. L’ultima annotazione è sul registro linguistico che scende
nel triviale con le già note finalità di immedesimazione e senso di vicinanza. Il tweet, infine, si
conclude con il “baci” provocatorio.
47
Immagine 3. (Facebook, 12 giugno 2018)
Nell’Immagine 3 si trova un post del 12 giugno 2018, giorno in cui si è svolta una
manifestazione contro il divieto di sbarco imposto da Salvini alla nave Aquarius. Con il post,
recante la fotografia di una pizza, viene creato un clima di intimità all’interno della comunità
social, che rafforza i legami attraverso la condivisione di un momento di sollievo e riposo, dopo
una giornata di attacchi esterni, comunque inefficaci perché perpetrati da uomini da poco. Con
queste poche parole, Salvini riesce a rendere evidente la demarcazione tra il Noi e il Loro senza
neppure menzionare quali siano gli schieramenti, affidandosi unicamente alla conoscenza dei
fatti del destinatario: da una parte, infatti, si trovano gli “Amici” favorevoli ai porti chiusi,
dall’altra chi si oppone alla politica salviniana, immediatamente svilito e non meritorio di una
risposta, tanto irrilevante da non perturbare le passioni della community.
Immagine 4. (Facebook, 25 maggio 2018)
Infine, il secondo post (Imm. 4) è stato pubblicato pochi istanti dopo che il Presidente della
Repubblica respinse e rimandò la formazione del primo Governo Conte. Questo post dimostra
più di altri la spontaneità del Salvini comunicatore: difficile immaginare, infatti, calcoli
machiavellici dietro ad una frase così istintiva che, proprio per la sua semplicità, genera un forte
effetto di senso di amicizia, intimità, familiarità, sembra emergere da un dialogo privato in cui
48
l’elettore-amico, immaginando lo scoramento del Salvini-amico, chiede “Come stai?” e ottiene
la risposta.
Questi quattro esempi, inoltre, offrono lo spunto per un’altra riflessione: una delle principali
differenze, oltre a quelle già citate, nell’uso dei due social network, Facebook e Twitter, è il
destinatario del messaggio. Infatti, se il primo è prevalentemente rivolto agli elettori e ai seguaci
di Salvini, quindi con contenuti politici e privati finalizzati alla gestione del consenso; il
secondo è utilizzato soprattutto per oltrepassare la barriera digitale dei new media: i tweet
pubblicati da Salvini, infatti, sono esche gettate in un habitat popolato più densamente rispetto
a Facebook da giornalisti e opinion makers e che, quindi, verranno notate prima e più
facilmente, cosicché possano poi essere rilanciate sui media tradizionali.
La matrice divisiva dei messaggi di Salvini crea, quindi, un ambiente polarizzato, in cui far
scontrare fan e haters in una battaglia di commenti e interazioni che ha un solo vincitore:
Salvini, il cui engagement rate si nutre del dibattito generato dai post181. E polarizzare genera
influenza. Questo il concetto alla base della strategia social ed elemento centrale della
narrazione quotidiana, volta a generare interazioni attraverso stereotipi ed etica popolare che
perfettamente si confanno alla struttura cognitiva tanto del destinatario empirico quanto
dell’enunciatario. Attraverso l’intransigenza di questa polarizzazione dei discorsi diventa
intuitivo individuare il nemico e l’opposizione binaria, di volta in volta riempita di significato
(Italia-Europa, Noi-Immigrati, Partito del PIL-Partito dei No, etc.). I nemici simbolici o
empirici vengono portati in vincula nella narrazione leghista, caratterizzata – fin dai tempi di
Radio Padania – dalla violenza verbale. A questo serve lo stile di Salvini: ad incentivare il
ragionamento analogico stimolato dal largo uso di metafore che attivano l’Enciclopedia del
lettore, ne stimolano i sentimenti e le emozioni che null’altro sono se non schemi cognitivi
primordiali182. Ed è a questo fenomeno che risponde, più che mai, la selezione di notizie
rilanciate sulle pagine social, che vengono connotate e, dunque, assumono attribuzioni
ideologiche non immediatamente manifeste, ma che appaiano naturali per il pubblico di Salvini,
ormai assuefatto all’interpretazione della realtà dei flussi migratori sotto la lente opaca
dell’incorniciamento: immigrato uguale insicurezza183.
181 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), p. 28 182 Ivi, pp. 30-31 183 Hall S., Encoding / Decoding in Hall S. et al., Culture, Media, Language (1980), trad. Marinelli A. Fatelli G.,
Tele-visioni, Roma, Meltemi (2000), pp. 40-43
49
Tutto ciò ha, però, un costo. Nel nuovo modello di campagna elettorale, va detto che gli
investimenti in pubblicità nel comparto digitale, e in particolare nei social network, sono
aumentati per tutti i partiti. La Lega ha speso su Facebook184 128.762 euro per l’intera
campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, superato da Forza Italia (134.345
euro) e dal Partito Democratico (136.697)185, ma nell’ultimo mese Salvini torna in testa alla
classifica con 78.000 euro contro i 73.000 del PD. Sul social, inoltre, è possibile consultare
anche il target su cui sono indirizzati i post, ad esempio: i temi dedicati in particolare alle donne
di età media del centro-sud sono stati “Stavolta voto Lega”, “Salvini ha fermato la mangiatoia
dell'immigrazione” e “Il 58% degli italiani è favorevole alla castrazione chimica”; verso un
pubblico maschile è stata invece indirizzata l’immagine di un ragazzo di colore che affronta un
vigile urbano recante la didascalia “Se non avessi questa divisa”, che ha ottenuto particolare
popolarità in Campania prima che Facebook lo rimuovesse per violazione degli standard186.
A conclusione del paragrafo, vanno considerati altri due aspetti caratterizzanti della
comunicazione social di Salvini, fin qui solo accennati: il cibo e gli insulti
Il Salvini politico social, come detto, diventa influencer, ma in alcuni casi si spinge oltre,
trasformandosi in brand ambassador indipendente di grandi marche o prodotti italiani, come la
Nutella, il Barolo, la Barilla187. Questi post a contenuto alimentare appaiono come inoffensive
foto di specialità gastronomiche, ma non lo sono: innanzitutto, perché attivano un’immediata
identificazione tra il leader e la propria base, grazie alla banalità o frugalità della pietanza,
preparata frettolosamente alla bell’e meglio; poi, perché le caratteristiche dei cibi ritratti
vengono estese alle isotopie della politica salviniana, sia per quanto riguarda i significati
(genuinità, italianità), sia per il rinvio a intere enciclopedie del destinatario. Ad esempio, la
Barilla: il claim storico della multinazionale è “Dove c’è Barilla c’è casa”; senza ribadire quanto
già detto nel paragrafo 1.3 a proposito dell’enorme carico semiotico attribuito a casa, facilmente
ricorda i vari “Padroni a casa nostra”, “Immigrati a casa loro”, “Renzi a casa”, “Se entri a casa
mia ti sparo” ribaditi ossessivamente da Salvini, tanto da rientrare nel formulario salviniano
assieme ad “Amici”, “Che fate?”, “Che mi dite?”, “E voi?”. Oltretutto, le fotografie al cibo
riescono, da una parte, a veicolare il ruolo da difensore dei valori tradizionali e, dall’altra, a
184 Il social ha adottato una policy di trasparenza, dopo gli scandali di Cambridge Analytica 185 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), p. 20 186 https://www.ilsole24ore.com/art/elezioni-europee-sfida-facebook-salvini-spende-piu-tutti-m5s-quasi-assente-
ACuarBE 187 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), p. 30
50
creare engagement attirando l’attenzione sia dei fan, che riconoscono come quotidiane e proprie
le abitudini mostrate da Salvini, sia degli haters, quando invece il cibo appare tutt’altro che
invitante. Tutto fa gioco alla creazione di un senso comune costruito su evidenze nazionalmente
condivise, di immediata comprensione e illusorietà188.
Infine, il secondo aspetto: gli insulti. Questo aspetto è condiviso con Donald Trump, ma con
due diversità: se il Presidente americano usa attaccare direttamente il proprio bersaglio189,
Salvini preferisce provocare con allusioni, sfide velate, non detti, adottando uno stile più
ragionato oppure beffandosi dell’avversario, magari mandando saluti e “bacioni”. Inoltre, a
differenza di Trump, Salvini incrementa la produzione a ridosso degli appuntamenti elettorali.
Limitatamente a Twitter, gli attacchi, raccolti dal 29 luglio 2018 al 10 giugno 2019, sono 229.
Il bersaglio prediletto sono gli altri partiti, esponenti e movimenti politici variamente declinati,
dal Partito Democratico a gruppi femministi (76 post); seguono testate giornalistiche, giornalisti
e intellettuali (50 post); poi le istituzioni europee (22); personaggi dello spettacolo (16);
immigrati, minoranze, richiedenti asilo (12) e le ONG (10); e ancora, esponenti del clero, dal
curato di campagna al Papa (10); infine, gli attacchi diretti a istituzioni internazionali,
sovranazionali e ad altre nazioni, in particolare Francia e Germania (13).
Per coglierne l’effettiva durezza, a seguire viene presentata una breve antologia: Associazione
Nazionale Partigiani, “fate schifo” (Twitter 28/1/2019); Tito Boeri, “è in perenne campagna
elettorale: ha stufato. Si dimetta, si candidi col Pd alle Europee e la smetta di diffondere
ignoranza e pregiudizio” (Twitter 15/11/2018); Laura Boldrini, “ci è o ci fa?” (22/12/2018),
“questa vive su un altro pianeta” (25/08/2018); Massimo Cacciari, “intellettualone di sinistra
sempre agitato” (24/3/2019); Andrea Camilleri, “sinistro” (5/3/2019); Luciano Canfora
“professorone di sinistra” (15/1/2019); centri sociali, “non ci sono piú i comunisti di una volta,
consiglio piú uovo sbattuto e meno canne al centro sociale” (5/5/2019), “delinquenti”
(24/5/2019), “penosi figli di papà antagonisti, che tante coccole ricevono da certa sinistra”
(19/2/2019), “vergogna, fate schifo” (6/11/2018); Furio Colombo “noto intellettuale della
sinistra al caviale, mi fa schifo e mi vergogno per lui” (24/6/2018); Commissione Europea
“servi degli interessi della finanza e dei poteri forti” (20/5/2019); Corte Europea per i diritti
dell’uomo “buonisti, Corte Europea per i Diritti dei Rom” (24/7/2018); Massimo D’Alema
“poveretto” (26/3/2019); Luigi De Magistris “incapace” (8/6/2018); Unione Europea “un
188 Terracciano B., Il sovranismo è servito: la retorica salviniana del buono made in Italy, Associazione italiana
studi semiotici, XLVI congresso, Palermo (2018) 189 https://www.nytimes.com/interactive/2016/01/28/upshot/donald-trump-twitter-insults.html
51
incubo” (24/5/2019); “ci entra in casa, in banca, nel frigorifero” (22/5/2019), “quella della
precarietà, della Fornero, dell’immigrazione selvaggia, delle tasse, della distruzione del Made
in Italy” (21/5/2019), “ci impone di aumentare tasse, Iva, i conti correnti” (18/5/2019), “ci
vogliono far mangiare le schifezze che arrivano dall’altra parte del mondo“ (8/12/2018); Fabio
Fazio “simpatico buonista e accogliente milionario di sinistra” (20/4/2019); Elsa Fornero “ha
rubato sei anni di vita a milioni di italiani” (13/1/2019); Francia “ha alimentato venti di guerra
per interessi economici” (24/5/2019); Islam “una religione che dice che la donna vale meno
dell’uomo non sarà mai padrona a casa nostra” (18/5/2019); Mario Monti “dice enormi
sciocchezze” (11/5/2019); ONG “aiutano gli scafisti” (28/5/2019), “aiuta chi utilizza soldi degli
immigrati per commerci di droga e armi” (21/5/2019), “ha messo a rischio vite umane”
(19/5/2019), “non sono soccorritori, sono scafisti e come tali verranno trattati” (17/5/2019),
“finti generosi” (4/5/2019), “complici del traffico di esseri umani” (5/4/2019), “operano un
traffico di esseri umani organizzato” (29/1/2019), “signori finanziati da Soros” (24/6/2018),
“avvoltoi del Mediterraneo” (20/6/2018); Partito Democratico “perdenti” (25/2/2019),
“disperato, raccoglie quello che ha seminato” (30/12/2018); Matteo Renzi “poltronaro amico
dei banchieri” (29/9/2018); richiedenti asilo “ci portavano la guerra in casa” (24/5/2019), “nella
maggior parte dei casi si rivelavano delinquenti, spacciatori, stupratori” (22/5/2019), “finiti
bambini”, (21/5/2019), “violentano, rubano e spacciano” (14/5/2019); Rom “vivono con la luce
elettrica rubata e i roghi tossici” (15/5/2019), “i campi Rom si confermano una attrazione per i
delinquenti” (13/5/2019), “ce ne sono molti che sono dei delinquenti” (21/6/2018); Roberto
Saviano “simpatico, buonista e accogliente milionario di sinistra” (20/4/2019); la sinistra
“intellettualoni, professoroni, analisti, sociologi” (9/5/2019), “ecco la sinistra in Italia,
avvertimenti in stile mafioso” (1/12/2018), “preferiscono tutelare l’illegalità, l’abusivismo e le
merci contraffatte” (20/7/2018); la stampa “qualche giornalista fazioso e disinformato falsifica
perfino i numeri e la realtà” (16/12/2018); Gino Strada “maestro dell’orchestra sinfonica
buonista” (1/12/2018)190.
Per Salvini e la sua community, dunque, la volgarità e la violenza verbale sono condotte incluse
nella libertà di espressione. Le minoranze e gli oppositori vengono scherniti dal leader, con la
finalità consapevole di dare avvio ad una shitstorm di commenti che insultano e mortificano il
bersaglio fino a declassarne la dignità. Inoltre, l’insulto impossibilita all’interazione, poiché
190 https://www.wired.it/attualita/politica/2019/06/10/salvini-lista-insulti-avversari-
twitter/?fbclid=IwAR0AG7t9qF572kkfINpEQiBBvBfVdg-_lnzDSz9A8i-DMYdB4CTg5bcrgYQ
52
l’avversario ingiuriato non potrà rispondere nel merito ad una critica che si limita ad
offendere191.
2.3 La simbiosi con i media tradizionali
Nel paragrafo precedente si è, dunque, approfondito come Salvini sia molto abile nell’uso dei
social network, tuttavia è nel rapporto con i media tradizionali che forse va indagato il suo vero
successo. Questo per alcuni motivi già accennati, che occorre ricordare. Innanzitutto, i numeri:
anche confrontando forzatamente due ambienti non correlati, come la popolarità sui social
network e l’appetibilità elettorale, le interazioni ai post di Salvini oscillano in media tra le
quindici e le trentamila ciascuno, i follower sono oltre 3 milioni. Mancherebbero, quindi,
all’appello comunque altri 6 milioni di elettori che hanno scelto la Lega alle europee. In secondo
luogo, si è già detto di come l’elettore leghista usi in minima parte internet per informarsi
preferendo di gran lunga la televisione, perlopiù le reti Mediaset, e la carta stampata,
solitamente Il Giornale e Libero. In terzo luogo, è stato analizzato come spesso la strategia
social fosse finalizzata proprio a scavalcare il muro dei new media per occupare lo spazio nei
media tradizionali. Quarto: la natura dei mezzi d’informazione italiani che adottano criteri di
notiziabilità non proprio anglosassoni, non distinguono tra fatto e commento e concedono
enorme spazio a interviste e indiscrezioni.
Per indagare la capacità di penetrazione di Salvini sui media o il bisogno dei media di un
argomento prêt-à-porter – sottovalutandone le conseguenze – è stata avviata una fase empirica.
Per quanto riguarda la carta stampata, nel periodo di analisi, dal primo maggio 2018 al 26
maggio 2019, sono state contate le ricorrenze di alcune parole o argomenti chiave nelle prime
pagine dei tre maggiori quotidiani nazionali, il Corriere della Sera, la Repubblica e il Sole 24
Ore, di due testate appartenenti al mondo di centrodestra, il Giornale e La Verità; infine de il
Fatto Quotidiano. Se la scelta dei primi tre giornali è banalmente per la loro maggiore
diffusione, per i secondi è richiesta una giustificazione. Il Giornale è, secondo la distinzione di
Agostini192, il tipico quotidiano-attivista di centrodestra, inoltre è di proprietà della famiglia
Berlusconi, il cui più noto esponente è alleato della Lega. Discorso simile per La Verità, che è
stato preferito a Libero perché, oltre ad essere meno legato ai partiti, essendo di recente
191 Dematteo L., L’idiota in politica, Milano, Feltrinelli (2011), p. 143 192 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), p. 78
53
fondazione, si è ipotizzato fosse indotto a distinguersi dai concorrenti nel mercato dei lettori di
centrodestra. In ultimo, il Fatto Quotidiano scelto per l’indipendenza e l’eterogeneità delle
firme che lo compongono. Questi sei quotidiani raggiungono una diffusione totale, somma delle
copie cartacee e digitali vendute, di oltre 821.000 unità193; considerando che, in media, ogni
copia viene letta da almeno sei lettori194, vengono raggiunte circa cinque milioni di persone.
Benché questo numero possa apparire esiguo relativamente al totale degli elettori, va ricordato
come difficilmente gli altri mezzi di informazione producano notizie proprie, lasciando il
compito di ricercare lo scoop o curare inchieste ai giornalisti del cartaceo e limitandosi a
rilanciarle. In altre parole, i giornali producono gli scoop e le notizie, i telegiornali li diffondono.
Sono state analizzate le prime pagine perché svolgono una doppia funzione strategica: da una
parte, presentano il giornale come testata immediatamente riconoscibile e distinguibile, anche
come individuo semiotico; dall’altra riportano i fatti del giorno considerati rilevanti. Tuttavia,
poiché l’agenda setting mediale è stabilita in simbiosi con i telegiornali e i new media e, dunque,
il lettore è già informato sugli avvenimenti, la testata può permettersi maggiore libertà sulla
prima pagina, concedendo anche ampio spazio al commento. Questo processo ha traghettato
l’impaginazione stessa dalla tradizionale pagina scritta, caratterizzata da una scelta selettiva di
notizie di rielevo, che resiste su il Sole 24 Ore, verso la cosiddetta pagina manifesto, che
seleziona un maggior numero di notizie presentate con il solo titolo, spesso accattivante,
disposte in modo movimentato. La pagina manifesto non spiega gli eventi, funge piuttosto da
indice dei contenuti interni e produce un effetto di senso di ricchezza e varietà195. I titoli di
prima pagina svolgono, dunque, una funzione fondamentale e possono essere distinti in
interpretativi, che forniscono al destinatario una chiave di lettura immediata sul fatto, patemici,
quando la dimensione passionale prevale sulla descrizione, e iconici, se aiutano il lettore a
inquadrare il fatto attraverso testi facilmente individuabili196.
Infine, per quanto riguarda la scelta delle parole chiave e degli argomenti sulle prime pagine
dei sei quotidiani e, dunque, conteggiato nell’analisi, è stata data rilevanza a:
▪ La presenza della parola “Salvini” e riferimenti più o meno velati, sia istituzionali
(Ministro dell’Interno, leader della Lega, il Viminale) che informali e satirici (Ducetto,
193 http://www.adsnotizie.it/_dati_DMS.asp 194 http://www.fieg.it/upload/documenti_allegati/RAPPORTO%202013%20SUI%20QUOTIDIANI%20-
%20INDICATORI-CHIAVE.pdf 195 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), pp. 32-36 196 Peverini P., I media: strumenti di analisi semiotica, Roma, Carocci Editore (2017), pp. 74-76
54
Ministro della Paura, Cazzaro Verde); e se la sua figura fosse rappresentata in fotografie
e vignette (Salvini in tabella).
▪ Citazioni di dichiarazioni di Salvini, nelle forme descritte nel paragrafo 1.2, interviste e
indiscrezioni (Citazione in tabella).
▪ Presenza di notizie riguardanti il frame sicurezza e immigrazione, intese sia come fatti
di cronaca legati a residenti non italiani (omicidi, stupri, rapine, spaccio di sostanze
stupefacenti, etc.), sia come ingressi di migranti per mare e per terra (Sic/Imm in tabella).
I dati sono stati raccolti manualmente. I calcoli sono stati effettuati in ambiente Excell.
Di seguito, vengono presentati i risultati.
Mese Citazione Salvini Sic/Imm %
5 15 92 4 51
6 49 109 117 61
7 27 75 88 42
8 37 87 83 48
9 31 81 55 45
10 28 54 77 30
11 22 71 41 39
12 17 65 40 36
1 37 100 92 56
2 22 85 27 47
3 28 79 47 44
4 22 80 59 44
5 20 96 30 53
TOT 355 1074 760 46
Tabella 3. Risultati aggregati e percentuale di presenza di Salvini sulle prime pagine
Ciò che appare subito visibile dalla Tabella 3 con i valori assoluti aggregati, somma di tutti gli
articoli pertinenti sui sei giornali, e la percentuale di articoli su Salvini è il numero.
Soffermandosi sul totale, infatti, emerge come 1074 articoli significhino, divisi sui 13 mesi di
analisi, circa 83 prime pagine al mese, o, altrimenti, 14 prime pagine per giornale al mese
(appunto il 46% riportato in Tab. 3). Detto in altri termini, il lettore ha trovato articoli su Salvini
un giorno sì e l’altro no. Per oltre un anno.
55
Figura 1. Presenza di Salvini, Citazioni e Sic/Imm sulle prime pagine aggregate
La Figura 1 rappresenta, invece, l’andamento nel tempo dell’interesse verso il leader della Lega,
le citazioni e il tema sicurezza/immigrazione. Emerge immediatamente l’andamento delle tre
linee: calante fino a dicembre 2018, quando, a gennaio 2019, subisce un’impennata che resta
stabile fino alle elezioni europee, almeno per Salvini.
Da notare, inoltre, i due picchi in corrispondenza di giugno 2018 e gennaio 2019, mesi di aspra
diatriba politica contro i tentativi di navi, proprietà di ONG, di sbarco di migranti. Altro piccolo
balzo in alto, oltre al mese di campagna elettorale, è agosto 2018, in cui è scoppiato il caso
Diciotti197.
A ottobre, poi, gli articoli su sicurezza e immigrazione (77) superano quelli su Salvini (54) per
due casi di cronaca giudiziaria, l’omicidio di Desirée Mariottini198 e l’arresto di Domenico
Lucano199, che occupano le prime pagine.
Nei mesi di novembre e dicembre, invece, l’attenzione dei giornali si volge alla complessa
mediazione con l’Unione Europea sulla legge di bilancio; l’immigrazione passa in secondo
piano, Salvini resta stabile.
197 Nave della Guardia Costiera italiana bloccata in porto con a bordo migranti, che ha causato un’indagine a
carico di Matteo Salvini per sequestro di persona. 198 Giovane tossicodipendente stuprata e uccisa in uno stabile abbandonato di Roma da ragazzi africani, secondo
le indagini. 199 Sindaco del comune calabrese di Riace arrestato perché accusato di favoreggiamento dell'immigrazione
clandestina e illeciti nell'affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti.
56
Un ultimo spunto. A maggio 2018, sono solo 4 gli articoli su sicurezza e immigrazione, il mese
successivo, a Governo insediato, diventano 117, aumentando di quasi trenta volte.
Tabella 4. Valori assoluti e percentuali presenza Salvini sui quotidiani
Figura 2. Valori percentuali presenza Salvini sui quotidiani
La Tabella 4 e il grafico in Figura 2 presentano il numero e la percentuale di articoli al mese
per giornale, limitatamente a Salvini: il 65% delle prime pagine del Corriere della Sera, il 60%
di Repubblica, il 55% del Giornale, il 52% del Fatto Quotidiano, seguono La Verità con il 33%
e il Sole 24 Ore con il 10%. Questi valori disaggregati per testata impongono una serie di note.
La prima è che i giornali che hanno parlato di più di Salvini sono il Corriere della Sera, con
picchi del 77% delle prime pagine, e la Repubblica, che raggiunge l’83%. La seconda è la
conferma dell’ipotesi su La Verità, cioè che ha tentato di discostarsi dai concorrenti, seguendo
lo stesso andamento degli altri quotidiani, ma con più parsimonia. La terza è su il Sole 24 Ore:
REPUBBLICA FATTO Q. LA VERITA' CORRIERE GIORNALE SOLE 24 ORE
Mese Salvini % Salvini % Salvini % Salvini % Salvini % Salvini %
5 18 0,60 15 0,50 13 0,43 21 0,70 17 0,57 8 0,27
6 25 0,83 16 0,53 19 0,63 22 0,73 22 0,73 5 0,17
7 21 0,70 10 0,33 11 0,37 15 0,50 17 0,57 1 0,03
8 19 0,63 19 0,63 10 0,33 21 0,70 15 0,50 3 0,10
9 18 0,60 12 0,40 8 0,27 21 0,70 19 0,63 3 0,10
10 11 0,37 11 0,37 8 0,27 13 0,43 10 0,33 1 0,03
11 16 0,53 17 0,57 5 0,17 18 0,60 14 0,47 1 0,03
12 15 0,50 14 0,47 4 0,13 17 0,57 13 0,43 2 0,07
1 22 0,73 20 0,67 12 0,40 22 0,73 19 0,63 5 0,17
2 16 0,53 19 0,63 8 0,27 22 0,73 18 0,60 2 0,07
3 16 0,53 15 0,50 10 0,33 19 0,63 16 0,53 3 0,10
4 18 0,60 17 0,57 8 0,27 20 0,67 16 0,53 1 0,03
5 20 0,67 16 0,53 13 0,43 23 0,77 19 0,63 5 0,17
TOT 235 0,60 201 0,52 129 0,33 254 0,65 215 0,55 40 0,10
57
nonostante il numero di articoli sia basso (40 in 13 mesi), com’era facile prevedere per un
quotidiano di settore, va sottolineato come raramente questi si occupino di temi attinenti al
programma della Lega, ma più frequentemente siano appelli rivolti a Salvini a non interrompere
la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino a Lione, o
sue dichiarazioni sul tema.
Tabella 5a. Valori assoluti per quotidiano
Tabella 5b. Valori assoluti per quotidiano
REPUBBLICA FATTO Q. VERITA'
Mese Citazione Salvini Sic/imm Citazione Salvini Sic/imm Citazione Salvini Sic/imm
5 2 18 0 1 15 0 3 13 2
6 12 25 19 6 16 18 7 19 21
7 6 21 11 2 10 20 3 11 21
8 9 19 16 5 19 14 4 10 19
9 8 18 9 2 12 4 3 8 18
10 9 11 11 3 11 9 6 8 20
11 8 16 8 1 17 3 1 5 13
12 2 15 5 3 14 5 2 4 14
1 13 22 20 1 20 18 3 12 16
2 10 16 5 0 19 3 1 8 10
3 9 16 7 0 15 4 4 10 12
4 5 18 11 3 17 5 2 8 17
5 3 20 4 0 16 2 2 13 12
TOT 96 235 126 27 201 105 41 129 195
Media 7,38 18,08 9,69 2,08 15,46 8,08 3,15 9,92 15,00
CORRIERE GIORNALE SOLE 24 ORE
Mese Citazione Salvini Sic/imm Citazione Salvini Sic/imm Citazione Salvini Sic/imm
5 4 21 0 5 17 2 0 8 0
6 13 22 23 10 22 24 1 5 12
7 8 15 15 7 17 19 1 1 2
8 12 21 10 5 15 21 2 3 3
9 12 21 12 5 19 10 1 3 2
10 8 13 16 2 10 20 0 1 1
11 8 18 7 4 14 10 0 1 0
12 7 17 8 3 13 8 0 2 0
1 16 22 18 3 19 19 1 5 1
2 8 22 8 3 18 1 0 2 0
3 10 19 10 4 16 12 1 3 2
4 9 20 9 2 16 15 1 1 2
5 12 23 4 2 19 7 1 5 1
TOT 127 254 140 55 215 168 9 40 26
Media 9,77 19,54 10,77 4,23 16,54 12,92 0,69 3,08 2,00
58
Giunti alle Tab. 5a e 5b, aumenta ancor più il dettaglio. Come già ampiamente visto, il Corriere
della Sera e la Repubblica sono i quotidiani che più spesso portano Salvini in prima pagina, ma
ciò che qui è interessante notare è che sono gli stessi che lo citano in media più spesso: per 9,77
volte al mese sul Corriere e 7,38 volte sulla Repubblica200. Come era facile aspettarsi, poi, La
Verità e il Giornale sono le testate che aprono le loro edizioni su questioni di migranti o di fatti
di cronaca nera: rispettivamente 15,00 volte al mese e 12,92. Il Fatto Quotidiano si piazza in
una posizione mediana, scrivendo su Salvini in media per metà del mese, ma lasciando a lui la
parola solo 2 giorni.
Per quanto riguarda l’altro media tradizionale, la televisione, l’analisi è stata condotta grazie ai
dati raccolti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che, mensilmente,
produce dei report201 calcolando il tempo di antenna202 e il tempo di parola203 dedicato sui
telegiornali dalle reti nazionali ai partiti politici204. I dati estrapolati riguardano i succitati tempi
per Rai e Mediaset, confrontati con il dato di antenna del Movimento Cinque Stelle, primo
partito in Parlamento e alleato di governo della Lega. Senza ribadire quanto i telegiornali siano
in media la prima fonte di informazione del cittadino italiano, per comprenderne l’importanza
e, soprattutto, le dimensioni, basti sapere che le edizioni delle 20:00 del TG1 e del TG5,
insieme, coprono più di 10 milioni di spettatori.
Di seguito i risultati.
200 Per comprendere le implicazioni derivanti dall’uso delle citazioni e i conseguenti effetti oggettivanti, si
rimanda al Par. 1.2 201 https://www.agcom.it/pluralismo-politico-sociale-in-
televisione?p_p_id=listapersconform_WAR_agcomlistsportlet&p_p_lifecycle=1&p_p_state=normal&p_p_mode
=view&p_p_col_id=column-1&p_p_col_pos=1&p_p_col_count=2&_listapersconform_
WAR_agcomlistsportlet_javax.portlet.action=userSearch 202 Indica il tempo complessivamente dedicato al soggetto politico-istituzionale ed è dato dalla somma del
“tempo di notizia” e del “tempo di parola” del soggetto. 203 Indica il tempo in cui il soggetto politico/istituzionale parla direttamente in voce. 204 Purtroppo, i dati sui tempi extra-TG sono frammentati e di difficile manipolazione.
59
Tabella 6. Tempo di antenna e di parola per Lega e Movimento Cinque Stelle sui TG Rai e
Mediaset205
Figura 3. Confronto percentuali Tempo di antenna per Lega e Movimento Cinque Stelle
Come si nota in Tab. 6 e, ancor meglio, in Fig. 3, l’andamento della presenza della Lega in
televisione rispecchia grossomodo quello sulla stampa (Fig. 1), ma si può notare come la
percentuale di tempo dedicato agli esponenti del Movimento Cinque Stelle sia maggiore.
Tuttavia, si parla di partiti, non di politici. La maggiore presenza del Cinque Stelle, infatti, non
sorprende, poiché la maggior parte dei Ministeri, oltretutto tra i più rilevanti, sono assegnati a
esponenti del Movimento.
205 Legenda: TA: tempo di antenna; TP: tempo di parola; R: Rai; M: Mediaset.
Mese TA Lega R % TALR TP Lega R % TPLR TA Lega M % TALM TP Lega M % TPLM TA M5S R % TAMR TA M5S M % TAMM
5 23:56:56 25,33 06:01:11 24,12 21:21:21 26,97 06:45:37 27,84 32:13:22 34,08 27:51:26 35,18
6 04:52:15 12,23 01:35:21 11,35 03:00:59 8,59 00:47:56 7,53 08:52:58 22,31 09:32:27 27,18
7 05:18:34 16 01:39:15 13,19 05:13:19 6,45 01:20:00 12,31 02:26:11 7,34 02:31:48 3,13
8 03:47:42 9,55 01:55:55 9,71 02:44:41 8,11 01:02:24 7,49 04:24:40 11,1 03:45:12 11,09
9 05:39:40 12,49 01:28:02 8,16 05:39:53 11,51 00:53:38 4,66 04:44:44 10,47 05:39:18 11,49
10 03:07:40 8,47 01:06:39 6,87 03:09:11 6,06 00:52:59 3,82 03:50:37 10,41 07:12:27 13,86
11 02:51:50 8,2 00:58:23 7,17 02:45:45 7,06 00:28:17 3,22 07:59:47 22,89 09:13:12 23,56
12 02:20:20 7,7 01:06:46 7,68 03:51:46 10,36 01:57:43 10,78 03:05:06 10,16 04:01:11 10,78
1 02:32:10 7,3 00:40:10 5,04 03:27:39 7,69 00:28:56 2,85 06:12:04 17,85 10:48:02 24,01
2 04:03:31 11,11 01:01:10 8,63 06:55:41 10,84 02:08:24 7,95 10:21:42 28,37 14:29:21 22,67
3 06:08:03 15,31 01:49:22 13,45 05:52:02 12,21 02:31:46 12,86 09:15:06 21,04 13:32:34 22,74
4 09:05:37 20,67 01:59:42 13,44 11:35:23 21,21 01:45:01 16,79 09:39:14 22,94 09:32:03 23,4
5 ~ 10:30:00 23,69 ~ 02:10:00 17,02 ~ 11:00:00 19,21 ~ 03:00:00 13,26 ~ 11:30:00 24,35 ~ 11:00:00 19,38
Media 13,70 11,22 12,02 10,10 18,72 19,11
60
Quando, invece, si analizza il tempo di parola dei singoli politici, la situazione cambia.
Purtroppo, l’AGCOM ha prodotto un solo report a riguardo, sul mese di gennaio 2019206.
Tabella 7. Tempo di parola di politici per testata (primo e secondo classificati)
Ed ecco come la Tab. 7 mostra che, nonostante la Lega non sia il partito che ha più spazio in
televisione, Matteo Salvini viene mandato in onda più di ogni altro politico, anche dello stesso
Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. Spingendo un po’ l’analisi, si potrebbe
addirittura affermare che, quando viene offerto il microfono ad un Leghista, sarà sempre Salvini
a parlare; a differenza del Movimento, che adotta un approccio più corale e istituzionale. Unica
eccezione, la Mediaset dove il proprietario della rete si ritaglia uno spazio che altrove non ha.
Unendo, in definitiva, questi dati anche soltanto con i 10 milioni di spettatori dell’edizione
serale delle reti ammiraglie di Rai e Mediaset, si comprende quanto la voce di Matteo Salvini
abbia risuonato nelle case degli elettori durante la cena.
Prima di tirare le somme del paragrafo, si è ritenuto interessante confrontare anche la presenza
di Salvini e della Lega sui media tradizionali con l’andamento nei sondaggi.
206 Classifica dei 20 soggetti che hanno fruito del maggior tempo di parola tra i soggetti politici e istituzionali
rilevati nei telegiornali e nei programmi, periodo: 1/1/2019 – 31/1/2019, GECA Italia per AGCOM
TG1 % TG2 % TG3 %
Salvini 15,55 Salvini 20,54 Salvini 10,69
Conte 12,12 Conte 8,55 Conte 9,21
TG4 % TG5 % TG6 %
Berlusconi 18,43 Salvini 14,27 Berlusconi 22,24
Salvini 15,46 Berlusconi 14,16 Salvini 12,53
TGSKY % TG7 % RAINEWS %
Salvini 21,12 Salvini 15,5 Salvini 12,56
Conte 11,12 Di Maio 11,06 Conte 11,96
61
Mese Sondaggi207 %
Stampa
% TG
5 24,4 56 26,15
6 27,2 69 10,41
7 29,8 49 11,23
8 30,3 56 8,83
9 32,2 52 12,00
10 32,2 35 7,27
11 30,4 47 7,63
12 32 42 9,03
1 32,2 63 7,50
2 33,8 55 10,98
3 33,4 51 13,76
4 31,6 53 20,94
5 34,3 61 21,45
Tabella 8. Confronto percentuali presenza Salvini sui quotidiani208 e sui telegiornali con
sondaggi elettorali
Figura 4. Confronto tra andamento nei sondaggi della Lega, spazio dedicato a Salvini sui
quotidiani e spazio dedicato alla Lega nei telegiornali.
207 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), p. 76 208 Escluso il Sole 24 Ore
62
Come emerge dalla Tab. 8 e dalla Fig. 4, l’andamento delle tre line segue un trend comune,
considerando ovviamente che i sondaggi registrano il gradimento del mese precedente. Infatti,
gli unici due periodi di calo nei sondaggi corrispondono alla minor presenza sui media: le
trattative di fine anno sulla legge di bilancio e le settimane precedenti alla campagna elettorale.
Mentre in vertici alti a giugno 2018 e gennaio 2019 hanno preceduto fasi di crescita. Ciò
significa che, almeno cronologicamente, la propensione al voto verso la Lega ha seguito un
aumento della quantità di spazio mediatico su Salvini.
Si potrebbe affermare, giunti a questo punto, che il leader del Carroccio abbia conquistato anche
i media tradizionali, come per i social network, usando come cassa di risonanza delle sue
esternazioni e proposte politiche le redazioni dei quotidiani e dei telegiornali.
Ma qui si presenta un interrogativo. In fondo, l’ambiente dei social network è retto da algoritmi,
non di intelligenze artificiali o umane, che, benché segreti e gelosamente custoditi, agiscono
meccanicamente, in altre parole reagiscono in maniera predeterminata. È sufficiente coglierne
appieno il funzionamento, certamente obiettivo non accessibile a chiunque, per volgerlo a
proprio favore utilizzando i giusti stimoli. Per i quotidiani e i telegiornali non c’è algoritmo che
tenga: le redazioni sono composte da una pluralità di persone, di interessi editoriali, politici,
economici, convergenti e confliggenti. E, dunque, la domanda: perché testate, più o meno
indipendenti, concedono a Salvini tanto spazio?
La risposta la può, forse, fornire Richard Grusin, che si è posto un interrogativo simile riguardo
a Donald Trump. Lo studioso americano, infatti afferma che un elemento essenziale e
indispensabile dell'ascesa di Trump sono stati gli strumenti e l’impegno nella sua campagna di
stampa formale, informale, sui media tradizionali e in rete per produrre uno stato d'animo
collettivo che convincesse gli elettori che la presidenza di Trump fosse un futuro accettabile,
possibile e per molti desiderabile e inevitabile. L'impatto patemico e materiale generato dalle
ripetute speculazioni dei mass media su ciò che sarebbe potuta essere una presidenza Trump
era così pervasiva che anche la maggioranza degli elettori che hanno votato contro Trump hanno
cominciato a sentire come tale eventualità fosse possibile, nonostante gran parte dei media
stampati, televisivi e in rete, si fosse spesso schierato esplicitamente contro la presidenza
Trump. Attraverso la continua premediazione dell’elezione di Trump a presidente, i media
informali e social network hanno contribuito a far nascere il Presidente Trump, in gran parte
63
facendo sembrare che fosse già presidente209. Parallelamente, i media italiani hanno reso Salvini
una fonte inesauribile di notizie, opinioni, interviste, editoriali ed articoli sulla conduzione non
ordinaria del Ministero e sull’azione politica in generale, evocando ipotesi sull’imminente
ritorno di un regime autoritario, sull’uscita dall’Europa e dall’euro oppure sulla possibilità di
una soluzione finale per risolvere il fenomeno migratorio. Tutte evenienze che ad una parte
dell’elettorato, priva di memoria storica e di una certa sensibilità, potrebbero risultare
congeniali.
Grusin giunge così a definire i media evil, cattivi, malvagi, riferendosi, però, non al male
morale, sociale o politico di cui i media sono spesso strumentali ma all'opera deleteria integrata
nei media stessi. Lungi dal considerare i media come neutri rispetto ai fini con cui entrano in
relazione, i media e la mediazione, infatti, possono essere considerati come una barriera
semitrasparente nelle relazioni tra fatto e fruitore del media, con una capacità attiva propria di
deformazione e manipolazione delle cose o delle persone con cui vengono in contatto210.
Piuttosto che attribuire l’elezione di Trump ai suoi talenti individuali o al messaggio politico
persuasivo che lui e i suoi consiglieri articolavano, la cattiva mediazione di Trump va intesa
come un processo materiale, ecologico che funziona organicamente, senza mente e quasi
involontariamente; in altre parole, connaturato all’infrastruttura che regge il mondo dei media.
Il marchio "Trump" funziona replicandosi con tanta efficacia che questo, le persone, gli eventi
e la politica che Trump tiene insieme, prende il sopravvento sull'ambiente mediatico,
spiazzando i suoi concorrenti. Nessuno di loro, infatti, ha mai trovato un modo per acquistare e
sviluppare uno spazio sui media. Anche l’uso dei social network concorre al risultato: una
produzione continua ed eccentrica di contenuti crea traffico di utenti tramite like, commenti e
condivisioni, quindi ripreso da siti di informazione formali e informali e, infine, giunge sui
media tradizionali211.
Il successo elettorale di Trump – conclude Grusin – è stato ottenuto non tanto perché la gente
concordava con la sostanza di ciò che stava dicendo, o condivideva la sua rappresentazione
della politica o dei suoi piani per risolvere i problemi degli Stati Uniti, ma come risultato del
suo travolgente dominio del panorama mediatico. Certamente, il suo messaggio nazionalista e
suprematista ha fatto appello a un segmento dell'elettorato statunitense, che, però, è una
209 Grusin R., Donald Trump’s Evil Mediation, Theory & Event, Volume 20, Number 1, January 2017
Supplement, p. 87 210 Ivi, p. 89 211 Ivi, p. 92
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porzione ampiamente minoritaria della popolazione. Per essere eletti era necessaria una
massiccia campagna di cattiva mediazione per far credere all'opinione pubblica americana che
questo “buffone perfetto, questo grossolano razzista, sessista fosse adatto per essere presidente
(t.d.r.)”. Trump è stato, dunque, aiutato nella campagna elettorale dall'infrastruttura politico-
mediatica più che dalla sua rappresentazione nei media212.
Quelle appena riportate sono, certamente, assunzioni molto forti, che non possono essere
integralmente applicate al caso italiano. Tantopiù che il sistema dei media e dell’informazione
nostrano ha delle particolarità che lo distinguono nettamente dal panorama mediatico
americano, a partire dalla natura governativa delle nomine Rai. D’altro canto, i dati raccolti, in
particolare quelli su la Repubblica e il Corriere della Sera, possono far ipotizzare che sia
avvenuto qualcosa di simile: la brandizzazione di un Ministro dell’Interno che ha fornito, per
oltre un anno, argomenti su cui scrivere, per cui indignarsi, contro cui muovere l’opinione dei
lettori. Per 223 volte in un anno, infatti, le due testate hanno riportato una citazione testuale,
dunque senza smentita, di Salvini, sia che si occupasse di materie di sua competenza, sia nelle
attribuzioni di altri ministeri, sia che straripasse in esternazioni non idonee alla carica
istituzionale ricoperta, fatte proprio con l’intento di causare straniamento e, quindi, di essere
ripreso in prima pagina. Dunque, se da un lato, i giornali accusavano Salvini di lucrare sulla
paura dello straniero, dall’altro, si potrebbe ipotizzare che queste testate abbiano lucrato sulla
paura di Salvini. Questa strategia e, di riflesso, la reazione della stampa hanno reso Salvini il
brand di maggior valore sulla carta stampata italiana213.
2.3 Salvini in piazza, tra la gente
Ma non si vive di soli media. Un altro aspetto fondamentale della comunicazione di Salvini è
la quantità senza pari di eventi, raduni, comizi nelle piazze delle città italiane. Mettendo insieme
gli eventi ufficiali, la partecipazione a sagre e feste di paese, gli appuntamenti delle numerose
campagne elettorali, sono state contate214 almeno 286 volte in cui Salvini si è affacciato da un
palco, dal giugno 2018 al maggio 2019. Più esattamente sono stati: 27 a giugno, 13 a luglio, 11
212 Grusin R., Donald Trump’s Evil Mediation, Theory & Event, Volume 20, Number 1, January 2017
Supplement, p. 93 213 https://www.infodata.ilsole24ore.com/2019/05/25/elezioni-europee-quale-brand-vale-piu-sui-giornali/ 214 Grazie anche e soprattutto ad un elenco pubblicato da Anonymous Italia (link scomparso)
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ad agosto, 9 a settembre, 22 ad ottobre, 8 a novembre, 13 a dicembre, 21 a gennaio, 30 a
febbraio, 23 a marzo, 26 ad aprile e addirittura 83 a maggio, durante la campagna elettorale per
le europee. Questi numeri, inoltre, vanno probabilmente corretti al rialzo, poiché altre fonti
contano, solo per i primi quattro mesi del 2019, ben 211 eventi, tra comizi elettorali e incontri
non istituzionali215. Questa capacità di spostamento rapido tra una tappa e l’altra è resa possibile
dall’uso dei mezzi in dotazione alla Polizia – tra cui anche il velivolo Piaggio P-180216 - poiché
gli appuntamenti di partito vengono quasi sempre organizzati in concomitanza con impegni
istituzionali.
È, ovviamente, impossibile riuscire a condurre un’analisi quantitativa sui discorsi pronunciati
in cotanti eventi, poiché, da un lato, non molti sono rintracciabili, se non in riassunti sulla
stampa, anche locale; dall’altro, rispondono, di volta in volta, a finalità diverse: elezioni
amministrative regionali e comunali, elezioni europee, adunate di partito e così via.
Ciononostante, per riportare almeno un carotaggio della retorica salviniana dal vivo, si è scelto
di analizzare in dettaglio il discorso che, pacificamente, può essere considerato il più importante
della campagna elettorale più importante, fra le tante dell’anno analizzato: la chiusura della
campagna per le elezioni europee, il 18 maggio a Milano217 alla presenza dei leader dei partiti
europei alleati della Lega. Questo evento, infatti, ha ricevuto copertura totale dalla macchina
comunicativa della Lega: diretta sul canale Lega Salvini Premier su Youtube e sul profilo
ufficiale di Matteo Salvini, live-tweetting su Twitter. Su quest’ultimo social network – una
breve parentesi – l’hashtag ufficiale della Lega era #il26maggiovotolega, che però non è andato
in trend topic, superato dal più goliardico #Salvinibaciamilano, gioco di parole utilizzato tanto
dai contestatori, quanto da inconsapevoli supporters.
La manifestazione si è tenuta in Piazza del Duomo. Il palco è stato rivolto perpendicolarmente
alla facciata della Basilica della Natività della Beata Vergine Maria, meglio nota come Duomo,
e allestito con una scenografia che prevedeva: le quinte formate da due cartelloni esterni blu
recanti “L’Italia rialza la testa” e il simbolo del partito, poi due cartelloni interni rossi laterali
con su scritto “Stop Burocrati Banchieri Buonisti Barconi”, infine, uno blu al centro con il claim
“Prima l’Italia”, “il buonsenso in Europa” tradotto anche in inglese, il simbolo della Lega e
l’hashtag ufficiale. Il leggio rialzato è al centro del palco.
215 https://www.repubblica.it/cronaca/2019/05/14/news/il_ministro_latitante-226209342/ 216 https://www.giornalettismo.com/matteo-salvini-ferrari-cielo-
spostamenti/?fbclid=IwAR2FtxetoJABItS2DZrB4D65JBQKNkoWFwlrBs9pRXhn_cYSoHmpzadnro0 217 https://www.youtube.com/watch?v=jV2__74nKvk&list=LL-sm_EFWyt7ZA_j3BhX0UFQ&index=2&t=8s
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Salvini appare sulle note di Nessun Dorma della Turandot di Giacomo Puccini, cantata da
Luciano Pavarotti, indossa un completo blu petrolio senza cravatta, la camicia è bianca. Si
posiziona dietro al leggio, circondato da attivisti.
Di seguito verranno analizzati in dettaglio alcuni passaggi ritenuti paradigmatici dell’intero
impianto narrativo, che verrà poi sviscerato nel capitolo successivo.
“Innanzitutto, grazie e fatemi dire che questa è una giornata eccezionale. E vi dico grazie per essere qua
a cambiare la storia insieme a noi. Una rispostina e poi parleremo di vita, di futuro, di speranza. In questa
piazza c’è gente che ama, c’è gente che rispetta, a Milano oggi c'è gente che vive con passione, che non
si rassegna ad un futuro di povertà, di precarietà, di paura e di schiavitù. Come diceva Gilbert
Chesterton218 – e questo l'ho pensato stanotte, quando mi sono addormentato a casa, abbracciato a mia
figlia di sei anni, pensando che quello che sto e che stiamo facendo non lo stiamo facendo per noi, ma
lo stiamo facendo per i nostri figli e le nostre figlie. E questo Chesterton scriveva che il vero soldato
combatte non perché odia ciò che c'è di fronte a lui, ma perché ama ciò che c'è dietro di lui. E noi amiamo
la nostra terra, amiamo i nostri figli, amiamo i nostri valori, amiamo la madonnina che ci protegge
dall’alto e ci accompagna e ci accompagnerà.”
Il discorso si apre con i consueti ringraziamenti per la partecipazione e passa immediatamente
al contrattacco verso le critiche mosse nei giorni precedenti da parte dell’opinione pubblica,
contro una manifestazione che riuniva una serie di formazioni politiche dell’ala conservatrice
dei Parlamenti europei. Nell’incipit, infatti, vengono attribuite numerose qualità ai presenti,
volte a riaffermare sia i motivi del conservatorismo, sia una serie di riferimenti eterogenei,
sviluppati in seguito. Inoltre, vengono introdotti altri due temi che rimarranno presenti in tutto
il discorso: la sfera semantica parentale e quella religiosa, che diventerà fondamentale nella
retorica salviniana nel periodo successivo a quello analizzato.
“In questa piazza non ci sono estremisti, non ci sono razzisti, non ci sono fascisti, semmai in Italia e in
Europa la differenza è tra chi guarda avanti, fra chi parla di futuro, fra chi costruisce un sogno, fra chi
parla di lavoro e chi invece fa i processi ai fantasmi del passato che non tornano, parlano di passato
perché non hanno un’idea di futuro. Lasciamo agli altri volentieri le paure, i fantasmi del passato, noi
insieme stiamo costruendo il futuro, qua non c'è l’ultradestra: qua c’è la politica del buonsenso. Gli
estremisti sono quelli che hanno governato l'Europa per vent'anni nel nome della precarietà e della
povertà. Questi sono gli estremisti qua c'è in Europa originaria, L'Europa di cui parlava colui che oggi
compirebbe 99 anni ed è uno dei più grandi uomini, non della storia della Chiesa, ma della storia
dell'umanità: San Giovanni Paolo II che nacque proprio un 18 maggio di tanti anni fa e che parlava di
218 Scrittore inglese vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo.
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vocazione dell’Europa alla fraternità, alla solidarietà di tutti i popoli che la compongono dall'Atlantico
agli Urali, che parlava di nazioni, parlava di popoli, parlava di unità nelle differenze e non parlava della
Turchia in Europa, perché la Turchia non è e non sarà mai Europa, parlava di orgoglio.“
Nel secondo blocco dell’introduzione, si trova esplicitata, prima, l’opposizione binaria tra
passato e futuro arricchita dalle sfumature paura contro coraggio, che fondamentalmente
risemantizza le posizioni lungo l’asse progressisti-conservatori, attribuendo a sé il progresso e
agli altri l’immobilismo impaurito. Poi, viene risemantizzato anche l’estremismo stesso, di cui
la Lega viene sovente accusata: gli estremisti diventato i fautori delle politiche di austerità
promosse dall’Unione Europea. Al che, attraverso le parole del papa, viene tratteggiata
l’immagine dell’Europa desiderata. Qui, Salvini, interrotto dalla folla che applaude e invoca il
suo nome, si concede un momento per parlare a braccio.
“Fatemi dire che di solito, io non faccio mai un foglietto, però fra stanotte e stamattina, per rispetto nei
vostri confronti, mi son messo giù a penna con correzioni e cancellazioni cinque o sei pagine, perché
stiamo vivendo un momento storico talmente importante che dobbiamo fare ogni cosa giusta per liberare
questo Paese e Continente dall'occupazione abusiva organizzata a Bruxelles in questi anni e, quindi,
grazie per essere qua perché la risposta alle polemiche siete voi.”
In queste poche parole improvvisate si coglie molto la capacità di lettura del contesto e del
destinatario, forse anche istintiva, di Salvini: sotto al palco, infatti, si trova l’elettore urbano
della Lega, dunque borghese e di età mediamente avanzata. Prima viene solleticata una certa
cultura del rispetto, poi la possibilità di essere protagonisti in una svolta storica neo-
irredentistica; ma, soprattutto, il voler sottolineare di aver utilizzato una penna, strumento un
tempo protagonista ormai relegato ad appunti frettolosi e firme scarabocchiate, e non il
computer: macchina complessa e coattivamente introdotta nel lavoro, che faticosamente le
generazioni risalenti più indietro nel tempo hanno imparato ad usare. Questa non sarà la prima
affermazione di questo genere, a metà strada tra la nostalgia e il luddismo.
“Lo stesso Giovanni Paolo II parlava di vecchia Europa, invitandola ritrovare sé stessa a riscoprire le
sue origini e le sue radici; chi ha tradito l'Europa? Chi ha tradito uno dei più bei sogni ipotizzati dai padri
fondatori? L'Europa dei popoli delle Nazioni di cui parlavano De Gasperi, De Gaulle, Margaret
Thatcher? L'hanno tradita le élite e i poteri forti che hanno occupato questa Europa nel nome della
finanza delle multinazionali, del Dio denaro e dell’immigrazione fuori controllo le Merkel, i Macron i
Soros, gli Junker. Mentre noi oggi siamo in questa piazza sotto l'acqua, sotto la pioggia purificatrice. Ci
sono uomini del Partito Democratico che fanno un convegno al chiuso con alcuni di quei commissari
europei che hanno distrutto il sogno europeo. La scelta del 26 maggio è fra il futuro e il passato, tra le
piazze e i comitati d'affari che si trova nelle stanze a decidere il nostro futuro, fra il lavoro e la
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disoccupazione e io sono orgoglioso perché insieme stiamo costruendo il futuro alla luce del sole a testa
alta col sorriso.”
Continua, poi, attraverso i riferimenti alla religione, a introdurre nuove opposizioni, stavolta tra
figure di spicco della politica europea del Novecento con politici attuali, affiancati da George
Soros, imprenditore statunitense bersaglio di molteplici teorie complottiste. Chiaramente la
Lega è la prosecutio dei primi; il Partito Democratico alleato dei secondi. Per la seconda volta,
Salvini viene interrotto dal clamore della folla; dunque, risponde.
“Grazie amici, se serve per voi, per l'Italia e per i miei figli, io do la vita! Non mi fermo davanti a niente
e a nessuno, è un impegno d'onore: qualcuno ogni tanto mi dice: “Rallenta stai attento non combattere
la mafia, la camorra, la ndrangheta, i poteri forti, spacciatori e scafisti”, più mi dicono rallenta più vado
avanti come un treno per difendere il mio paese e per difendere il diritto alla vita di un intero continente
col sorriso, la consapevolezza di essere nel giusto.”
Viene così sciorinato un elenco dei cattivi: le organizzazioni criminali e i generici poteri forti,
contro cui Salvini afferma di essere disposto anche al sacrificio più estremo, impavidamente e
con la forza di una distinzione tra giusto e sbagliato evidente e che non ammette repliche.
“L'Europa di cui parlava Benedetto XVI, un Europa che nasce dall'incontro di diverse civiltà e di cui
qualcuno ha perfino negato le radici giudaico cristiane. Chi nega le sue radici è un traditore e non
costruisce nessun futuro. Questo siamo orgogliosamente, altrimenti rischieremmo di spalancare le porte
a quella Eurabia di cui parlava una grande donna come Oriana Fallaci, una delle madri fondatrici di
questa Europa che sta risorgendo e rinascendo. Non possiamo accogliere il diverso se dimentichiamo
quello che siamo. Questo è quello che vogliamo fare e ovviamente per accogliere chi arriva da lontano
dobbiamo poterlo fare, questo insegna anche il catechismo della chiesa cattolica e questo dice un grande
cardinale Robert Sarah un cardinale africano e quindi esperto delle cose di cui stiamo parlando che ha
scritto poco tempo fa: “Bisogna fare di tutto perché tutti gli uomini possono restare nel paese dove sono
nati” e sono contento, con la mia azione di governo, d'aver dato una risposta nei fatti e non con le parole.
De Gasperi diceva: “un politico deve fare non deve parlare”. Anche a Sua Santità Papa Francesco, che
oggi ha detto che bisogna ridurre i morti nel Mediterraneo, la politica di questo governo sta azzerando i
morti nel Mar Mediterraneo. Questo stiamo facendo con orgoglio e spirito cristiano e i numeri, perché
la politica è passione ma sono i numeri dicono che la politica delle porte aperte e dei porti aperti, fra il
2015 e il 2018, ha causato, secondo i dati dell’Onu, quasi 15.000 tra morti e dispersi. La nostra politica
di rigore e solidarietà per chi merita da 15.000 morti è sceso a meno di 1000 vittime sul fondo del Mar
Mediterraneo. Stiamo salvando vite, diciamolo con orgoglio. Domani andando a messa, a qualcuno,
pochi per fortuna, che fanno politica dal pulpito che l'unico modo per salvare quelle donne e quei
bambini è combattere gli scafisti e i trafficanti e aiutare l'Africa cresce nel suo continente: noi non
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vogliamo schiavi, non vogliamo deportazioni di massa, non vogliamo ghetti, non vogliamo
sfruttamento, anche perché con quei barconi comprano armi e droga.”
Qui viene aperto il primo argomento cardinale del discorso: l’immigrazione. Ma la prospettiva
è dal lato della conservazione dei valori fondanti della cultura europea, che, secondo Salvini,
corrispondono a quelli derivati dalla religione cristiana. Infatti, in questo brano i riferimenti al
cristianesimo compensano e giustificano l’azione di Governo; anzi: la guidano. È papa
Francesco a chiedere meno sbarchi; è il papa emerito Benedetto XVI a ricordare le radici
cristiane, è il cardinale Sarah a invitare a non emigrare; è lo storico segretario della Democrazia
Cristiana a richiamare all’azione. Le figure appena citate, dunque, diventano destinanti della
politica di Salvini. Destinanti tanto preminenti da far cadere nel vuoto le critiche mosse da
qualche sacerdote che fa politica durante l’omelia. La nuova politica di Salvini, dunque, spazza
via la molle accoglienza indiscriminata, con un nuovo corso basato sulla rigidità e sulla cristiana
solidarietà, che però viene concessa solo ai meritevoli, cioè coloro che rispettano la cultura e le
leggi della comunità che li accoglie. Per questo motivo, infine, viene affidato ad una sola frase,
lasciata alla fine di un elenco, il richiamo al collegamento tra gli immigrati e la criminalità. Sarà
l’unica menzione in tutto il discorso.
Salvini viene di nuovo interrotto dalla folla, che viene ringraziata nuovamente per la presenza
e per l’ordine, tanto che “poliziotti e carabinieri sono tranquilli e disarmati perché ovunque noi
andiamo portiamo il sorriso e lasciamo le città più pulite e ordinate di come abbiamo trovate”.
Poi prosegue.
“E, vi dicevo, questa sera tornando a casa, faranno vedere l'ennesima nave di una ONG che sta
disubbidendo alle indicazioni della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza, noi abbiamo fatto
scendere neonati e malati perché mai io dirò a qualcuno: “Voltati dall'altra parte mentre un bambino
rischia la vita”. La vita è sacra, la vita è sacra e quindi bimbi ustionati e malati da quella neve sono
scesi, però quella nave fino a che il ministro dell'Interno sono io, in un porto italiano non entra. Non
può uno Stato, non può un continente farsi dettare le regole dai complici degli scafisti e dai trafficanti
di esseri umani pagati dai Soros di turno: no non è il mio paese, non nel mio nome, anche perché se
riaprissimo i porti, come vuole qualcuno in Parlamento e spero non al governo, tornerebbero a morire
migliaia di persone in Italia e in Europa. Si arriva col permesso. E chi vota Lega il 26 maggio, se ci
aiuterete a portare la Lega da primo partito italiano a primo partito europeo, il presidio e la difesa dei
confini dal livello nazionale, lo portiamo in tutta Europa e qua non entra più nessuno senza permesso e
questo che vi chiediamo. E se un'immigrazione può essere facilitata e agevolata, penso semmai più che
all'immigrazione dai paesi islamici, all'immigrazione di paesi a noi più culturalmente vicini e penso ai
discendenti dei milioni di italiani che sono emigrati nel resto del mondo e che sono i benvenuti qualora
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volessero tornare nella loro città e nei loro paesi. Questa è l'immigrazione su cui eventualmente siamo
disponibili a lavorare, perché qualcun altro che oggi si finge pacifico e dialogante non aspetta che il
momento di essere in maggioranza per poi imporre la sua legge che non è compatibile con la nostra
libertà, perché una religione che dice che la donna vale meno dell'uomo non sarà mai padrona in casa
mia, mai!”
Il brano si apre con una citazione del celebre discorso di papa Giovanni XXIII, per poi passare
all’attacco delle Organizzazioni Non Governative che si occupano del salvataggio dei migranti
in mare. Ancora una volta, quanto più i temi e le soluzioni politiche risultano ciniche e divisive,
tanto più Salvini manifesta il bisogno di appellarsi alla sfera religiosa. Viene, dunque, rinnovata
la fermezza e le sue ragioni, segue la promessa di esportare tale politica a tutto il continente
europeo in caso di vittoria alle elezioni. Si chiude così l’argomento “immigrazione”: con una
nota contro gli islamici atta a rinnovare il piano culturale e religioso dello scontro. Il tutto tra
scroscianti applausi.
“Europa delle Nazioni, Europa della democrazia dove dovrà tornare centrale il Parlamento europeo che
è l'unico organismo liberamente eletto. Basta con le decisioni prese in qualche ufficio di nascosto a
Bruxelles o in Lussemburgo: il tempio della democrazia è il Parlamento europeo e noi, vi chiedo e vi
prego, potremmo essere maggioranza. Lasciando a casa la sinistra, finalmente dopo anni di disastri. È
questo: le élite contro i popoli, i comitati d'affari contro i lavoratori, i banchieri da una parte e
risparmiatori dall'altra, i grandi i pochi che guadagnano tanto con queste regole europee e dai tanti che
stanno perdendo tutto. È vero che siamo Davide contro Golia ma la storia insegna a volte i piccoli, se
sono determinati e motivati, sconfiggono i poteri forti anche se sono pieni di soldi e di arroganza e
questo che stiamo facendo: la rivoluzione dei piccoli, delle province, dei territori, delle campagne, dei
villaggi, delle città. L'Europa non sono Macron e Juncker. L'Europa è Leonardo da Vinci. L'Europa sono
i nostri agricoltori e i nostri pescatori massacrati dalle regole europee. Rimettiamo al centro il lavoro.”
Questa parte approfondisce le opposizioni binarie, richiamate anche negli slogan della
scenografia, care a tutto il panorama politico populista, riassumibili nella formula: élite contro
popolo. Nuovamente, alle élite, intese come aristocrazia finanziaria, viene affiancata la sinistra
e, attraverso un ulteriore riferimento biblico, si pone lo scontro tra la categoria dei potenti,
personificati in Emmanuel Macron e Jean-Claude Juncker, e i deboli, rappresentati dai pescatori
e agricoltori italiani, detentori di virtù eroiche.
“Il 26 maggio andiamo a prenderci l'Europa, andiamo a cambiarla questa Europa, da cima a fondo,
usciamo dalla gabbia. Il dibattito delle televisioni italiane è piccolino: “E il 3%, il 2%, e lo spread, e il
deficit, e i mercati”. Noi abbiamo 5 milioni di poveri in Italia, 20 milioni di disoccupati in Europa, hanno
provato ad abituarci alla fame, alla precarietà, alla povertà, spiegandoci che non c'è un mondo diverso,
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come provarono a fare con Galileo, che provò a dire: “No la Terra non è piatta, la Terra è tonda ed è la
Terra che gira intorno al sole”. Lo incarcerarono perché era un matto che metteva in discussione l'ordine
costituito, grazie perché siamo come Galileo: un pacifico esercito di matti che sta salvando il futuro dei
nostri figli che hanno diritto al lavoro alla vita alla salute.”
Una moderata critica al sistema dell’informazione e una nuova menzione alla storia della Chiesa
fungono da gancio al secondo argomento principale del discorso: la riforma fiscale e
l’introduzione della tassazione ad aliquota unica in Italia. Che, sebbene non sia attinente alle
elezioni europee in quanto riforma fiscale interna, occupa largo spazio nella seconda parte del
discorso.
“Questa Europa ci imporrebbe di aumentare le tasse, di aumentare l'iva, di tassare la casa, di tassare ai
conti correnti: mai! La Lega al governo è garanzia che non aumenterà di un centesimo di euro neanche
una di queste tasse. Non un pericoloso sovversivo ma Winston Churchill diceva che una nazione che si
tassa nella speranza di diventare più ricca è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi
tirando il manico: non ci riesce. Ecco perché questi 15! (vengono esposti cartelli con scritto “15%”) Al
referendum del 26 maggio, io non prendo 20 impegni, ne prendo uno: di cambiare l'Europa da cima a
fondo, ma se date alla Lega di essere prima forza in Italia e in Europa io non mollerò fino a che chiunque
in Italia, imprenditore, artigiano, lavoratore, dipendente, operaio, insegnante o pensionato non pagherà
il 15% di tasse, il 15% di tasse non una lira di più, con coraggio, è un momento che richiede coraggio,
è un momento che richiede visione. Guardate che cosa sta facendo Donald Trump per l'economia
americana, con coraggio, abbassando le tasse sta ripartendo l'economia. Anche qua non solo non
vogliamo aumentarle ma l'unico modo per rilanciare il lavoro e combattere l'evasione fiscale non è
aumentare le tasse ma è di diminuirle e questo faremo al 15%. Dateci la forza, dateci il coraggio, dateci
i numeri, dateci la possibilità di farlo perché volere è potere. Domani su qualche giornale ci sarà
discussione “ma tanto non ci riesce”, “è una promessa elettorale”, me l'avevano detto anche sulla legge
Fornero e la stiamo smontando pezzo per pezzo e andremo avanti fino in fondo, fino a quota 41, mi
avevano detto che non saremmo mai riusciti ad approvare la legittima difesa ed è legge dello Stato la
legittima difesa, mi avevano detto che non saremmo mai riusciti a bloccare barchini e barconi e abbiamo
ridotto del 90 per 100 gli sbarchi in questo paese volere è potere se il popolo vuole.”
Ecco, appunto, la proposta, sul modello del Presidente degli Stati Uniti: la cosiddetta flat tax,
estesa a tutte le professioni. Interessante notare come venga citata la moneta corrente in Italia
prima dell’introduzione dell’euro, con l’obiettivo di suscitare nostalgia tra i presenti in piazza.
Una continua ripetizione dei richiami al coraggio vuole rendere epico e grave uno snodo
elettorale che, a questo punto, diventa in modo manifesto un referendum tra due scelte: essere
audaci e prendere in mano il controllo oppure continuare, pavidamente, a subire le scelte di
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figure sinistre. Inoltre, a dimostrazione della credibilità della proposta, nonostante le critiche
reali o anticipate, vengono citati alcuni successi della Lega, raggiunti durante il governo giallo-
verde: la legittima difesa, la riforma della legge Fornero sulle pensioni e il blocco degli sbarchi.
Smette di piovere e Salvini ne approfitta per interpellare nuovamente le persone sotto al palco.
“Avete anche fatto smettere di piovere. Va’ che roba. Fatemi vedere un po’ di bandiere da tutta Italia e
da tutta Europa guarda che spettacolo, ragazzi siete una cosa emozionante. Io vi ringrazio perché quello
che stiamo facendo col sorriso e democraticamente è possibile grazie a voi. Ringrazio anche gli undici
leader europei, fategli un enorme applauso che sono qua in Italia che sono qua a Milano a scrivere una
pagina di storia. E fatemi dire che sono orgoglioso di essere italiano perché di solito erano i politici
italiani ad andare all'estero a farti spiegare come cambiare l’Europa adesso il cambiamento
dell'Europa passa da Milano, passa dall’Italia! Mai più col cappello in mano come Renzi e come Monti!
A testa alta, con l'orgoglio, col sorriso, con le idee chiare e con la coscienza di essere nel giusto.”
L’appello è tutto all’orgoglio e al patriottismo: i leader di tutta Europa appaiono raccolti attorno
ad un solo uomo, che risalta anche per contrasto rispetto a due figure politiche identificate come
fallimentari e, soprattutto, servizievoli nei confronti delle istituzioni europee, a discapito
dell’interesse nazionale. E, dunque, si passa all’ultimo tema del discorso: la proposta politica
della Lega in Europa.
“Falcone ricordava che ognuno di noi deve essere giudicato per ciò che ha fatto, contano le azioni non
le parole e io dopo questi mesi di governo porto in dote ai milioni di italiani che ci stanno seguendo via
internet, via social e via televisione un Paese più moderno è più sicuro, aiutateci a trasformare anche
l'Europa in un continente più moderno è più sicuro, dove ritorni il sogno. Aiutateci a restituire ai nostri
figli il sogno, il sorriso, la speranza di rimanere qua a fare i medici, a fare l'insegnante, a far gli
imprenditori e io chiarisco che governo un Paese, e grazie voi andremo a governare in Europa, dove ci
sono 60 milioni di persone perbene che chiedono solo di avere un po’ meno tasse, un po’ meno
burocrazia, perché abbiamo gli imprenditori e gli operai migliori al mondo, non abbiamo niente da
invidiare a nessuno, dobbiamo solo liberare energie, aprire porte e finestre. Gli estremisti sono quelli
della speculazione, gli estremisti sono quelli della disoccupazione, gli estremisti sono quelli che hanno
provato a spiegarci che non c'è un'alternativa alla precarietà al mondo robotizzato. Tutti a casa la sera
a rimbecillirsi davanti allo stesso programma e poi invece di andare in negozio o in bottega a far la
spesa o da uno dei nostri artigiani sul computer a fare click ordinando un prodotto che arriva dall'altra
parte del mondo magari confezionato da un bambino sfruttato nei campi alla faccia del diritto alla salute
e alla tutela dell’ambiente. Io mi ribello a un futuro fondato sullo sfruttamento sulla precarietà e sulla
povertà. Il 26 maggio possiamo terminare la rivoluzione del buonsenso e del sorriso dipende da voi,
dipende da ciascuno di voi.”
73
Salvini spende il nome del magistrato Giovanni Falcone, nato proprio il 18 maggio, per
affermare di aver apportato un contributo positivo al Paese, rendendolo più moderno e sicuro.
L’appello alle persone perbene è, dunque, quello di fare in modo che tali qualità siano estese
all’intero continente, per esportare la cosiddetta rivoluzione del buonsenso, argomento centrale
nella retorica politica e strumento di giustificazione dei provvedimenti di marca salviniana;
persone perbene che si distinguono dai veri estremisti, che vogliono invece abbrutire il mondo
con la finanza e la robotizzazione. E qui, di nuovo, si trova una critica al mondo virtuale e
dell’informatica, mossa dal politico più attivo proprio nel mondo dei social network e più
presente sui media tradizionali, associata all’evocazione dell’immagine nostalgica della
bottega.
“Noi abbiamo preparato – siccome ci sono norme su tutto quello che riguarda il Dio denaro, il business,
la finanza, le banche – una Carta dei diritti, dei popoli europei che sarà il primo documento che la Lega
e l’alleanza dei popoli delle Nazioni, di cui facciamo orgogliosamente parte, presenterà al Parlamento
europeo: al posto del Dio denaro, il diritto al lavoro, alla vita, alla felicità e alla salute per noi e per i
nostri figli. Torniamo a parlare di diritti, di futuro, di speranza e permettetemi di dire grazie, perché sto
incontrando centinaia di migliaia di uomini liberi in tutta Italia, da nord a sud e, da ministro e da leghista,
avere unito la parte migliore di questo paese, è quello che mi riempie di maggiore orgoglio. Grazie qua
ci sono sindaci lombardi e sindaci siciliani, sindaci veneti e sindaci emiliani.”
Dunque, prima della conclusione, viene annunciata la proposta di una sorta di Costituzione
europea, basata su diritti comuni alle democrazie occidentali, più la felicità, citata nella
Dichiarazione di indipendenza americana, per modificare l’Unione Europea, dipinta come
plasmata a tutela del denaro, della finanza e delle banche. Oltretutto, con l’uso della locuzione
Dio denaro Salvini riprende la tematica religiosa, additando quasi di eresia le preoccupazioni
materialiste dei policy makers europei. Dal secondo periodo del brano, emerge chiaramente il
riposizionamento attuato dalla Lega di Salvini: infatti, il popolo da tutelare con la Carta dei
diritti è geograficamente trasversale; ma su questo aspetto ci si soffermerà nel terzo capitolo.
“In tutta Italia le persone perbene stanno riprendendo in mano il loro futuro lo faremo in tutta Europa.
Noi manteniamo la parola, noi siamo persone leali, questo governo ha fatto tante cose buone e ne farà
ancora tante altre di cose buone perché la Lega è garanzia di stabilità, di futuro e di lealtà. La nostra
parola vale, non abbiamo tempo per beghe o litigi, le lasciamo agli altri, la nostra parola vale. E c'è un
continente a cui dare un futuro e quindi ci affidiamo a voi, alle donne gli uomini di buona volontà
(prende in mano un rosario) ci affidiamo ai sei patroni di questa Europa: a San Benedetto da Norcia, a
Santa Brigida di Svezia, a Santa Caterina da Siena, ai santi Cirillo e Metodio, a Santa Teresa Benedetta
della Croce, ci affidiamo a loro, affidiamo a loro il destino il futuro la pace e la prosperità dei nostri
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popoli e io personalmente affido l'Italia, la mia e la vostra vita al cuore immacolato di Maria che son
sicuro ci porterà la vittoria, perché questa piazza, questa Italia, questa Europa è il simbolo di mamme,
papà, uomini e donne che col sorriso, con coraggio e con determinazione vogliono una convivenza
pacifica, danno rispetto ma chiedono rispetto e io vi ringrazio amici e fratelli dal profondo del cuore
perché stiamo scrivendo la storia. Prima ci hanno ignorato, poi ci hanno deriso, poi ci hanno combattuto
e il 26 maggio vinciamo noi! Viva l'Italia, viva la libertà, viva l'Europa dei popoli, dei giovani e delle
Nazioni grazie, grazie, grazie!”
Infine, la conclusione delimita nuovamente quale sia il popolo della Lega: persone perbene,
laboriosi, con famiglia, rispettosi e sorridenti. Poi definisce il partito: affidabile, risoluto e
dedito al lavoro. Tornano potentemente i riferimenti religiosi, addirittura con l’esposizione di
un rosario, agitato a mo’ di benedizione durante l’invocazione dei Santi, rivolgendosi alle donne
e agli uomini di buona volontà.
In definitiva, il discorso di Matteo Salvini risponde piuttosto bene ai canoni del populismo
individuati nel Par 1.1: innanzitutto, una vaghezza semantica di fondo, in cui non vengono mai
definiti i confini delle idee espresse (i poteri forti, la finanza, le multinazionali); la
risemantizzazione di concetti (nella fattispecie, soprattutto l’estremismo; solitamente, il
buonsenso) e l’appropriazione strategia di figure storico-politiche (da Oriana Fallaci a papa
Francesco, da Galileo Galilei ad Alcide De Gasperi); il definirsi in negativo o direttamente
contro: il popolo leghista non è élite finanziaria, non ha rapporti con multinazionali, non ha
profitto dall’immigrazione. Un secondo tratto di cui già si era parlato, in termini di implosione,
è la carica rivoluzionaria del discorso populista: il momento elettorale, ciclico e istituzionale
per definizione, diventa un referendum per lo scardinamento dell’ordine costituito, tanto da
richiedere un surplus di coraggio da parte del cittadino-elettore. Poi, interviene la corporeità di
una massa di persone accomunate dallo stesso fine, che occupano uno spazio fisico, più volte
ringraziate ed elogiate. A queste caratteristiche se ne aggiunge un’altra ancor più comune nel
discorso politico: l’opposizione binaria e la divisione del mondo nella dicotomia noi-loro.
Chiaramente, in questo caso il noi ed il loro assumono significati cari al populismo di destra: il
noi popolo lavoratore e di buonsenso, il loro élite mondiale dei poteri forti; il noi difensore delle
tradizioni e delle radici culturali, il loro per la globalizzazione culturale e per il meticciato.
È interessante, però, notare come alla giustificazione addotta solitamente nella comunicazione
salviniana per le politiche contrarie all’immigrazione, cioè il buonsenso, sia stato preferito il
richiamo alla sfera religiosa. La retorica del buonsenso, infatti, poggia la sua forza sull’evidenza
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della bontà delle soluzioni proposte219, mentre quella religiosa può contare su una capacità di
persuasione strutturata in secoli di storia. In questo modo, Salvini si trasforma da destinatario
delle aspirazioni dei suoi elettori a realizzatore delle proposte espresse da più esponenti della
comunità cattolica. Il popolo, dunque, da destinante diventa aiutante nella missione di difendere
l’identità cristiana d’Europa e d’Italia.
L’analisi delle ricorrenze220, infatti, conferma questa lettura: l’Europa compare 34 volte, seguita
dai 27 riferimenti alla religione cattolica; mentre il buonsenso viene richiamato solo 3 volte e
“perbene” appena 2, pochi anche i riferimenti alla sicurezza (3), ai migranti (6) e alla difesa (5).
Per quanto riguarda, invece, la posta in gioco di portata rivoluzionaria, bisogna avere coraggio
(11), per il futuro (16), per i figli (8), per il sogno (6). Infine, i riferimenti nazionalistici sono:
13 volte Italia, 10 popolo, 8 nazione.
Occorre menzionare, infine, un ultimo aspetto fondamentale delle manifestazioni pubbliche di
Salvini: l’uso strategico dell’abbigliamento, che sia una divisa di qualche Corpo dello Stato o
le celebri felpe con il nome della località in cui si trova. Queste ultime hanno contraddistinto
le uscite pubbliche, sia in televisione che in piazza invero, per tutto il periodo dell’ascesa
politica, un modo per mostrarsi informale, strumento stilistico per creare identità e rassicurare
l’immedesimazione dell’ascoltatore, oltre a far apparire chiaramente il messaggio stampato sul
petto per tutta la durata dell’apparizione. Da Vicepremier, non potendo più presenziare agli
eventi istituzionali con un abbigliamento inadeguato, pur di indossare il meno possibile l’abito
formale, ha optato per le divise delle forze dell’ordine. L’uso di tale indumento è stato,
oltretutto, estremizzato poiché non è raro, nella storia recente italiana, vedere un Ministro o un
Presidente del Consiglio indossare, ad esempio, la mimetica nelle visite all’esercito o
l’uniforme da pompiere sui luoghi disastrati da qualche evento climatico221, ma Salvini ha usato
tali indumenti anche durante comizi e adunate di partito, associazione privata e, per definizione,
di parte, in cui stride la presenza, tantopiù da protagonista, di un simbolo dello Stato. Ma la
divisa risponde all’ormai noto gioco polarizzante tra i due significati possibili da attribuirgli:
viene, infatti, indossata per evocare nell’osservatore sicurezza e autorità, generando una
reazione mediatica tra chi si indigna, per il richiamo autoritario o per l’uso improprio, e chi si
esalta, perché desideroso di uno Stato basato su ordine e fermezza. E questo genera traffico e
dibattito, sui social network e sui media tradizionali, intanto le foto di Salvini travestito da
219 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), p. 41 220 Condotta sul testo integrale con Lexicool. 221 Ad esempio: Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini, Matteo Renzi, Angelino Alfano,
Marcello Pera, Ignazio La Russa, Enrico Letta.
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poliziotto o con una maglia con su scritto “I love Calabria” si diffondono, creando una notizia,
ottenendo copertura dei media anche in casi in cui l’evento in sé non avrebbe avuto rilevanza
alcuna222.
222 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), pp. 104-107
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Capitolo 3 Storytelling
3.1 La struttura narrativa
Il comizio di Salvini riportato nel paragrafo precedente, a ben guardare, non è altro che un
racconto. Vi si trovano, infatti, un eroe impavido, un nemico temibile e un obiettivo da
raggiungere, elementi tipici delle storie. Come tale può essere, dunque, analizzato
individuando, in termini semiotici, tre livelli: la struttura narrativa, cioè chi sono i protagonisti
e quali obiettivi li muovono; il modo in cui emerge dal discorso la relazione tra Salvini e
l’elettore; come sono rappresentate le passioni e le emozioni223. Ma per comprendere quanto
detto, occorre fare un passo indietro.
“Raccontare storie”, storytelling appunto, è una disciplina che si è sviluppata con la prima
personalizzazione e mediatizzazione della vita politica statunitense, dalla fine degli anni
Cinquanta, stante la consapevolezza dell’importanza del saper raccontare in un contesto dove
la competizione si basa sul consenso. Quest’ultimo aspetto è motivato, secondo la psicologia
cognitiva, dall’efficacia del raccontare storie nel funzionamento e nello sviluppo della mente
umana, poiché è lo strumento di organizzazione dell’esperienza, della percezione della realtà,
della lettura delle azioni proprie e altrui; in altre parole, il racconto è il modo con cui l’essere
umano attribuisce un significato e un senso alla vita e al mondo circostante224. Per questo
motivo, viene spesso impiegato dalle formazioni politiche per fornire alla propria proposta un
veicolo di grande efficienza, ciò che muta, tuttavia, è la consapevolezza e la sofisticazione con
cui viene introdotto. Infatti, possono essere facilmente ricordati numerosi esempi dell’impiego
di tale strumento, soprattutto negli Stati Uniti: come non citare il celebre spot televisivo “The
bear” per le elezioni presidenziali del 1984, in cui Ronald Reagan emergeva dal testo come
l’unico cacciatore in grado di scacciare la bestia ferina rappresentante l’Unione Sovietica; e
ancora Barack Obama nel 2008 con quel “Yes we can”, sintesi dell’esigenza di fronte
all’imminente catastrofe economica di sfondare il soffitto di cristallo, grazie alla positività, alla
fiducia: “yes”, all’unità rappresentata da quel “we”, il noi inclusivo e prima parola della
costituzione americana, e il “can”: potere, essere in grado, avere le capacità. Diversa fortuna
223 Cosenza G., Semiotica e comunicazione politica, Bari-Roma, Editori Laterza (2018), pp. 54-55 224 Ivi, pp. 22-28
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hanno avuto gli emuli italiani, in particolare quelli provenienti dal Partito Democratico, che
hanno adottato lo storytelling o in modo troppo superficiale, come il “Si può fare” di Walter
Veltroni nel 2008 e il “Rimbocchiamoci le maniche” di Pierluigi Bersani nel 2013,
fondamentalmente privi di significato e di coerenza con la proposta politica, oppure in modo
eccessivo, come Matteo Renzi e la sua “Rottamazione”, tanto aggressiva ed estrema da dover
essere ritrattata e smussata dopo l’elezione alla segreteria del partito. Dunque, le storie possono
essere analizzate con piglio scientifico, scavando nei livelli sempre più profondi di
significazione. Il primo livello è l’analisi narrativa, con cui si indaga sui protagonisti, cioè il
Destinante, chi affida l’incarico, e il Destinatario, chi lo riceve; il Soggetto, il protagonista, e
l’Antisoggetto, l’antagonista; gli Aiutanti, che supportano il protagonista, e gli Oppositori, che
aiutano l’antagonista. Inoltre, nel primo livello vengono analizzate anche le azioni dei
protagonisti, definite come Programmi narrativi di base, se principali, e Programmi narrativi
d’uso, se strumentali a quelli principali. I programmi narrativi, per volontà o per dovere, sono
messi in atto dal Soggetto per raggiungere l’obiettivo, chiamato Oggetto di valore, che
rappresenta l’insieme di significati positivi e desiderabili225. Il secondo livello è l’analisi
enunciazionale: la semiotica identifica il piano dell’enunciato, cioè i contenuti comunicati da
un testo, e il piano dell’enunciazione, che permette di individuare la struttura comunicativa.
Questa ripartizione permette di distinguere quali siano l’emittente e il destinatario, chi produce
e chi riceve empiricamente il messaggio, dalle loro rappresentazioni nel testo, rispettivamente
l’enunciatore e l’enunciatario226. L’ultimo livello è quello passionale: le emozioni, sia quelle
rappresentate esplicitamente, che quelle suscitate implicitamente, sono un veicolo
fondamentale nel gioco di persuasione necessario in particolare nella comunicazione politica227,
perché le passioni anticipano le varie articolazioni della significazione. In altri termini, alla base
si trova un investimento timico profondo: una disposizione affettiva primordiale che investe
tutte le relazioni con il mondo e viaggia tra due estremi, euforia e disforia, attrazione e
repulsione228.
Dunque, il testo non è un dato, un significato immediatamente evidente, ma una costruzione
socioculturale che viene rielaborata analiticamente dai destinatari, in un continuo negoziato tra
le parti. Spingendosi ancora oltre, anche il segno stesso è una realtà dinamica, che manca di una
conformazione finita e, pertanto, concede spazio ad un’interpretazione potenzialmente infinita,
225 Cosenza G., Semiotica e comunicazione politica, Bari-Roma, Editori Laterza (2018), p. 55 226 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), pp. 55-57 227 Cosenza G., Semiotica e comunicazione politica, Bari-Roma, Editori Laterza (2018), pp. 76-78 228 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), pp. 124-125
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finché non si produce una stabilizzazione istituzionale. L’insieme dei segni che compongono
un testo, attraverso strutture semantiche e sintattiche, attivano il destinatario nel ricercare il
senso complessivo nella propria enciclopedia, costituita dalla propria competenza linguistica,
lessicale, testuale, culturale. Secondo Umberto Eco, il testo appare come una macchina prigra,
una costruzione dialettica tra quanto viene reso esplicito e quanto spetta al destinatario
ricostruire229. Il significato del testo è, però, preesistente all’interpretazione del destinatario in
quanto figlio della volontà dell’enunciatore, è soltanto nascosto dal testo stesso, che è la
manifestazione empirica del senso230.
Per approfondire ulteriormente l’analisi narrativa ci si può affidare alle funzioni narrative di
Vladimir Propp231. Queste sono “l’operato di un personaggio determinato dal punto di vista del
suo significato per lo svolgimento della vicenda, dove il termine significato va inteso, qui, in
senso quasi matematico (il ruolo di un elemento e le sue variazioni in funzione del ruolo e delle
variazioni degli altri elementi) o, con Saussure, in senso economico (il valore dell’azione
rispetto alle relazioni che intrattiene con le altre azioni)”232. Le funzioni, inoltre, sono in numero
abbastanza limitato, tanto che Propp riesce a ricostruire una storia comune, ossia uno scheletro
che regge tutti i racconti studiati. “La Situazione iniziale di ogni fiaba è generalmente positiva:
dominano equilibrio, armonia, benessere. Tale equilibrio si incrina già nelle funzioni di esordio,
dove c’è un Divieto e la sua Infrazione, ma soprattutto inizia l’Investigazione dell’Antagonista.
Più il benessere iniziale è forte, più contrasterà con la sciagura incombente, ossia con quel
Danneggiamento procurato dall’Antagonista che dà inizio alla vicenda vera e propria […]. Il
che equivale a dire che a compiere la prima mossa significativa – ossia funzionale – della fiaba
è sempre l’Antagonista, il cattivo. […] La notizia della Mancanza procurata dal
Danneggiamento si sparge, e ha luogo la Mediazione, ossia la ricerca di chi dovrà riparare tale
Mancanza, assumendo cioè il ruolo di chi diventerà, a cose fatte, Eroe. L’Eroe, in altre parole,
non è tale già dall’inizio, ma lo diviene progressivamente grazie alla serie di Prove che dovrà
intraprendere per svolgere il proprio compito, il quale gli viene affidato, di solito, da chi ha
subito il Danneggiamento: può darsi il caso che la Vittima e l’Eroe coincidano, ma più spesso
il protagonista è una terza persona, una persona qualsiasi, a cui è attribuito il compito di
risolvere il problema. Il seguito della storia è presto detto: ecco la Partenza dell’Eroe alla ricerca
dell’Antagonista, che si trova in un altrove spazio-temporale ben definito, che viene chiamato
229 Marrone G., Prima lezione di semiotica, Bari-Roma, Editori Laterza (2018), pp. 139-141 230 Ivi, p. 144 231 Folklorista russo, autore del celebre libro Morfologia della fiaba (1928). 232 Marrone G., Prima lezione di semiotica, Bari-Roma, Editori Laterza (2018), p. 104-106
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Altro Regno. La sua ricerca è innanzitutto un viaggio, lungo il quale egli incontra alcuni
Aiutanti che gli fanno dono del mezzo magico necessario al momento della Lotta, oppure degli
Oppositori a cui lo sottrae. L’acquisizione della Fornitura occupa gran parte della fiaba, e in
qualche modo ne costituisce la parte centrale, poiché è qui che hanno luogo le avventure grazie
alle quali quella che all’inizio era chiamata una persona qualsiasi inizia a trasformarsi,
assumendo le sembianze di un Eroe. Raggiunto l’Altro Regno, si svolge la Lotta vera e propria
contro l’Antagonista, durante la quale avviene la Marchiatura, che si conclude, in questo genere
di fiabe, con una Vittoria, e dunque con la Rimozione della mancanza […]. Ma qui si chiude
solo una parte della fiaba, quella che riguarda la Vittima, la quale dal canto suo torna alla
Situazione iniziale. Dal punto di vista dell’Eroe, che durante le avventure legate alla Fornitura
e alla Lotta s’è assai trasformato, la storia continua. Inizia infatti il suo Ritorno a casa, tutt’altro
che facile, dove sarà sottoposto a nuove prove. Arrivato là dove era partito, incontrerà dei Falsi
Eroi che mentre lui era assente hanno preso il suo posto, contro i quali dovrà intraprendere
un’ennesima sfida, vincendo la quale potrà farsi riconoscere, anche grazie alla Marchiatura
subita, come colui il quale è l’unico e vero Eroe […]. Ogni fiaba racconta insomma due storie,
una circolare e una lineare. Da una parte il racconto oggettivo, collettivo, sociale, dove il
Danneggiamento viene superato e si torna alla Situazione iniziale. Dall’altra il racconto
soggettivo, individuale, dove l’Eroe supera tutte le sfide che incontra e da persona comune
acquista un nuovo status, diviene qualcuno al di sopra della media, assume una nuova identità.
Se nel primo caso c’è una conservazione, nel secondo c’è una trasformazione, ed è quest’ultima,
a ben vedere, che è l’anima di ogni fiaba. L’eroe si deve trasformare. Al termine della storia
non è uguale a ciò era all’inizio […]. Questo riconoscimento sociale del suo ruolo si collega
alla funzione finale del premio riconosciuto al protagonista e il cambiamento del suo statuto
rispetto all’inizio della vicenda. In sintesi, ogni fiaba è strutturata secondo tre grandi Prove
assegnate al protagonista per diventare Eroe: una Prova Qualificante (quella che Propp chiama
Fornitura), dove il protagonista incaricato di risolvere il Danneggiamento ottiene da un
Oppositore o da un Aiutante gli strumenti magici per agire; una Prova Decisiva (la Lotta), dove
avviene il combattimento con l’Antagonista, la Marchiatura e la conseguente Vittoria; una
Prova Glorificante (Smascheramento e Trasfigurazione) grazie alla quale l’Eroe assume al
livello sociale il nuovo status“233.
233 Marrone G., Prima lezione di semiotica, Bari-Roma, Editori Laterza (2018), pp. 107-110
81
Algirdas J. Greimas234, proseguendo sul solco tracciato da Propp, sintetizza nello Schema
Narrativo Canonico le fasi che costituiscono ogni programma narrativo: manipolazione,
competenza, performanza, sanzione. La prima fase vede il soggetto assumere l’incarico perché
convinto – appunto, manipolato – da qualcuno a intraprendere un programma. Nella fase della
competenza, il soggetto si procura quanto necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato.
Nella terza fase, quella della performanza, il soggetto agisce per realizzare l’Oggetto di Valore,
spalleggiato dagli Aiutanti e osteggiato dagli Opponenti. Infine, la sanzione, intesa solitamente
come giudizio del Destinante sull’operato del Soggetto235 .
Inoltre, la semiotica distingue, a proposito delle funzioni narrative che riguardano i protagonisti
degli eventi, due piani: gli attanti, che sono funzioni dello schema narrativo, posizioni non
ancora associate ad una personalità definita (Soggetto, Antisoggetto, Destinante, etc.), e gli
attori, appunto i personaggi che occupano una posizione attanziale. Questi ultimi sono
caratterizzati anche da un ruolo tematico, cioè un’identità stereotipata che consente di
inquadrarlo culturalmente. Non bisogna, poi, dimenticare che gli attori possono corrispondere
e incarnare contemporaneamente più ruoli attanziali, così come un attante può essere
rappresentato da più attori, ad esempio, riportando il discorso nel concreto, il popolo leghista
può avere un ruolo da Destinante e insieme da Aiutante, viceversa l’Antisoggetto può essere
incarnato tanto dal partito avverso, quanto dalle Organizzazioni Non Governative. Gli attori,
dunque, attengono alla manifestazione del testo; il concretizzarsi dello schema narrativo astratto
si articola attraverso una serie di procedure. La prima è, appunto, l’attorializzazione:
l’affidamento di un ruolo attanziale ad un individuo concreto; la seconda è la spazializzazione:
la contestualizzazione spaziale del programma d’azione; la temporalizzazione: l’attribuzione
della contestualizzazione storica e di una durata; la tematizzazione: il conferimento di
determinati valori ai temi trattati; la figurativizzazione: la creazione di una figura percettiva,
dell’aspetto dei personaggi236.
Dunque, la comunicazione di Matteo Salvini può essere riletta alla luce di quanto scritto finora
sulle tecniche di storytelling. Innanzitutto, i primi due passi: l’introduzione di una formula
binaria, strumento di semplificazione che divide e contrappone il mondo fra un noi omogeneo
e un loro avversario, e della personalizzazione della politica. Questi due primi strumenti
consentono di riassumere la complessità di una proposta politica nella voce di un solo uomo
234 Semiologo lituano, fondatore della semiotica strutturale. 235 Lorusso A.M. Violi P., Semiotica del testo giornalistico, Roma, Editori Laterza (2004), pp. 82-85 236 Ivi, pp. 86-87
82
che individua gli amici e i nemici della propria causa237, invitando i primi, depositari della virtù,
ad accogliere una visione del mondo che viene continuamente confermata dall’evidenza della
vita quotidiana e che deve essere abbracciata in quanto il successo (elettorale) dell’Eroe Salvini
dimostra la bontà della visione stessa238.
Ebbene, l’opposizione binaria può essere riempita di molteplici significati a seconda della
situazione: la più ampia è la divisione tra chi prova sentimenti positivi verso l’Italia, variamente
declinati in un miscuglio che spazia dall’orgoglio patriottico di stampo risorgimentale al
nazionalismo banale239, e chi, invece, depreca il Paese. Gli altri significati sono diverse
accezioni di questo amore-odio: la prima è culturale, tra chi difende l’identità italiana e chi
vorrebbe inquinarla, tanto con usi e costumi stranieri, come quelli islamici, quanto con
modifiche nella struttura sociale e famigliare, le rivendicazioni delle coppie omosessuali, ad
esempio. La seconda è sociale, tra immobili e mobilitati: divide, cioè, la società tra chi accetta
e tollera lo status quo, in cui inefficienze – anche, ovviamente, nella gestione della questione
migratoria – si affastellano in una società stagnate, e chi desidera innovazioni, rivoluzioni,
modifiche radicali nella conduzione della res publica, come emerge, ad esempio, da “Ho
promesso di difendere confini e sicurezza degli Italiani, questo faccio da due mesi da quando
sono ministro, questo continuerò a fare. 700.000 immigrati sbarcati coi governi di sinistra mi
sembrano abbastanza! Vogliono processarmi o arrestarmi? Facciano pure, io non sono solo. P.s.
I buonisti di sinistra che vogliono i “porti aperti” a tutti, lo sanno che cinque milioni di Italiani
vivono in povertà??? Prima gli Italiani. Il resto si vedrà.” (Facebook, 22 agosto 2018). L’ultima,
infine, riguarda l’economia, non tanto nel campo delle proposte politiche, tra socialismo e
liberismo, terreno in cui raramente Salvini si avventura, quanto nella vaga suddivisione tra i
portatori di prosperità e i portatori di povertà, anche definiti rispettivamente l’Italia del Sì contro
l’Italia del No, opposizione di paternità renziana che stabilisce a priori che la parola olofrastica
affermativa è sempre meglio di quella negativa, come nel caso dell’assegnazione delle
Olimpiadi invernali 2026: “Con le Olimpiadi a Milano e Cortina vince l'Italia del SÌ, che guarda
sempre avanti. E ora al lavoro!” (Facebook, 25 giugno 2019).
Ancor più in profondità, la formula binaria non è altro che il primo passo della concretizzazione
dei ruoli attanziali negli attori: la divisione tra buoni e cattivi, tra Soggetto, Destinante e Aiutanti
contro Antisoggetto, Antidestinante e Opponenti. Il Soggetto non può essere altri se non Matteo
237 Cosenza G., Semiotica e comunicazione politica, Bari-Roma, Editori Laterza (2018), p. 5 238 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 59-61 239 Definizione di Michael Billig che intende l’uso semplificato di simboli nazionali
83
Salvini, colui che detiene tutti gli elementi per rispondere ai bisogni dei propri adepti, in grado
di “garantire il ristabilimento dell’ordine dopo la crisi, permette di far ritornare la sicurezza
degli individui come delle masse popolari e, complessivamente la salvezza di una vecchia
identità messa in pericolo dai nuovi avvenimenti”240. Destinante e Aiutanti, come spesso accade
nella comunicazione politica, si compenetrano e sovrappongono a più riprese, in quanto è il
popolo, la gente di buonsenso, gli elettori leghisti che affidano il mandato all’Eroe e lo assistono
quando si trova in pericolo; una borghesia imprenditoriale che ha visto diminuito il proprio
potere d’acquisto, spaventata da un futuro possibilmente peggiore, nostalgica di un passato
vissuto in uno status di privilegio sociale ed economico e per la quale la questione migratoria
viene declinata come sintomo di una crisi senza fine oppure come espressione dei conflitti tra
mondi diversi241. Nel periodo considerato, gli Aiutanti sono stati anche i partiti e i leader alleati
italiani ed europei, alle elezioni, e il Movimento Cinque Stelle, al governo, non per nulla
solitamente chiamati “amici”. Una precisazione: esclusi i casi in cui Destinante o Aiutanti sono
esplicitamente favorevoli al progetto leghista, vengono preferiti attori muti, cioè che non
possono controbattere alla rivendicazione di portavoce o interprete o perché adespoti, come la
generalità del popolo italiano, o perché defunti, da Pasolini a Wojtyla242, o perché appropriati e
risemantizzati, come il Vangelo.
Per quanto riguarda l’altro lato della barricata, si trovano i poteri forti, le élite burocratiche che
curano la regia dei mali dell’Italia, a partire dall’invasione di immigrati243. Questa oscura
aristocrazia mondiale è l’Antidestinante di una pluralità di Antisoggetti: innanzitutto, l’Unione
Europea, responsabile tanto della crisi economica quanto dell’eccessivo afflusso di stranieri sul
suolo nazionale244 e rappresentazione autoevidente del contrario di Stato Sovrano245. Poi viene
il Partito Democratico, che non solo si presenta come formazione politica europeista e
favorevole all’integrazione, ma si spinge anche nel progressismo nei diritti civili. Infine, le
Organizzazioni Non Governative, esecutori materiali dell’invasione e sfidanti manifesti
dell’Eroe. Spesso legati tutti insieme alla stessa catena di comando, come, ad esempio: “Da
inizio 2017 ad oggi la Francia del “bravo Macron” ha respinto più di 48.000 immigrati alle
frontiere con l’Italia, comprese donne e bambini. Sarebbe questa l’Europa “accogliente e
solidale” di cui parlano Macron e i buonisti? […] L’Italia non è più il campo profughi d’Europa,
240 Tranfaglia N., Populismo - Un carattere originale nella storia d’Italia, Roma, Lit Edizioni Srl (2014), p. 20 241 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 106 242 Per approfondimenti: Giubilei F., I riferimenti culturali della Lega di Salvini, Roma, Nazione Futura (2018) 243 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 33 244 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), p. 74 245 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 99
84
la pacchia per scafisti e buonisti è finita!” (Facebook, 30 agosto 2018). Anche la schiera degli
Opponenti è piuttosto nutrita: vi trovano spazio gli intellettuali, giornalisti, artisti che, attraverso
appelli e manifestazioni di dissenso, cercano di arrestare l’azione di governo e di aizzare il
popolo contro il proprio leader, sebbene siano ascoltati solo da chi possiede un Rolex o abiti al
quartiere Parioli, in altre parole, cittadini che compongono sì una porzione di popolo, ma il
popolo-loro, il popolo-élite privilegiato che non conosce le difficoltà quotidiane dell’italiano
comune. A questo coro si aggiunge anche la Magistratura che cerca, con gli strumenti di sua
competenza, di intralciare l’opera di Salvini, macchiandosi sia di antipatriottismo sia di
protagonismo.
Dopo aver diviso il mondo tra bene e male, dopo aver dato una sostanza fisica agli attanti, la
storia di Salvini inizia a prendere corpo. C’era una volta, l’Equilibrio: l’età dell’oro, della
prosperità per il Regno Italia, dove ancora il tessuto sociale era forte e proteggeva il cittadino
dalla globalizzazione finanziaria, lo Stato era in mano a politici saggi e lungimiranti, che
garantivano ordine e sicurezza. Poi, d’improvviso, la Rottura: i poteri forti spazzano via il
governo democraticamente eletto a colpi di spread e danno il potere a Mario Monti, il quale
adotta una serie di provvedimenti che contrastano smisuratamente con l’interesse nazionale,
l’Oggetto di Valore; al governo Monti ne seguono altri, durante la diciassettesima legislatura,
che proseguono sulla stessa linea politica dal lato economico e aprono all’invasione di
immigrati. La misura è colma: serve un Eroe. Avviene la Manipolazione: Matteo Salvini viene
convinto dal popolo a prendere le redini del Paese. Dunque, inizia il percorso per procurarsi
quanto necessario per raggiungere l’obiettivo: da uomo comune diventa segretario della Lega,
tesse alleanze con gli altri partiti, ricerca maggiori consensi. Li ottiene e raggiunge l’Altro
Regno: il governo, le stanze del potere e delle élite; qui Salvini può finalmente lottare per
realizzare l’Oggetto di Valore: difendere l’Italia e riportarla agli antichi splendori. Infine,
giunge il giudizio del Destinante, la Sanzione positiva sul suo operato: i continui successi
elettorali fino al trionfo delle elezioni europee che consacrano l’Eroe.
Più che Eroe, a dire il vero, Capitano – e qui si passa all’analisi enunciazionale – perché così
viene chiamato e si fa chiamare Matteo Salvini. Interessante notare quante implicazioni
emergano dall’uso di tale appellativo: innanzitutto, è una delle possibili traduzioni dal latino di
dux, che apre a tutti i possibili richiami al passato fascista dell’Italia a cui qualche elettore di
estrema destra guarda con malinconia; poi, è un termine che rimanda alla sfera semantica
militaresca e del comando, cioè non una delega del potere previo consenso democratico, ma per
imposizione, tutt’al più per acclamazione verso una figura carismatica. Però, a questa
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rappresentazione autoritaria fa da contraltare l’altra parte della comunicazione di Salvini: quella
biografica, informale, quotidiana, empatica, imperfetta, che non nasconde le emozioni e i vizi,
ma li rivendica in quanto umani, mirata per connettersi con la quotidianità dei pubblici ed essere
percepiti come "uno di noi”. È, dunque, un approccio più umano e meno politico che restituisce
un primus inter pares sicuro di sé, delle sue capacità e forte dell’appoggio dei suoi pari. Questi
ultimi, infatti, vengono spesso appellati come “amici”, quasi a voler ridurre con le parole il
divario tra Paese reale e classe politica, e definiti come persone uguali tra loro, comuni, perbene,
di buonsenso, che passano la vita lavorando alacremente, che desiderano una vita fatta di
piacevole e rassicurante routine e che, soprattutto, possono liberarsi dal senso di colpa che li
colpisce quando vorrebbero meno stranieri e che quei pochi presenti vengano irreggimentati,
perché, come si vedrà nel paragrafo successivo, non si tratta di sentimenti xenofobi, ma di
semplice buonsenso.
E, dunque, si arriva all’ultimo livello: l’uso delle passioni, sia quelle rappresentate che quelle
suscitate. O, ancor meglio, quelle manifestate per suscitarne e guidare l’impatto patemico del
destinatario nella direzione voluta. Infatti, l’uso alternato di indignazione/rabbia e di
leggerezza/calma serve a gestire una comunicazione che propone soluzioni estreme senza
volerle mostrare come tali. A questo servono anche i continui richiami alla fermezza e al
coraggio necessari per affermare pubblicamente idee politiche retrive, solitamente declamate
con un tono di voce che rasenta un registro violento o scritte in maiuscolo sui social per
aumentare la carica di coinvolgimento, a cui fanno da contraltare le finestre aperte sugli
interessi privati e sui momenti di intimità famigliare, dai toni certamente più miti. Dal lato della
manifestazione delle passioni, inoltre, deve essere fatta menzione anche alla provocazione e
alla sfrontatezza, che, sebbene verranno approfondite nel prossimo paragrafo, meritano uno
spazio in quanto riescono, soprattutto nella rappresentazione mediatica, a crearsi un enorme
spazio, poiché, da una parte, accendono l’ira dell’avversario, sia esso giornalista, opinionista o
avversario politico, provocandone la reazione talvolta scomposta; dall’altra parte, suscitano una
reazione orgogliosa o quantomeno ilarità nel proprio elettorato. Sono, infatti, le emozioni
suscitate che generano maggiore traffico e incitano i pubblici all’interazione.
Indipendentemente da i toni accesi che si generano, la contrapposizione stessa sviluppa un’eco
dialettica che deborda oltre i confini dei social e coinvolge la restante opinione pubblica che, a
sua volta, si inserisce e alimenta il dibattito. Nel clima comunicativo, che oscilla tra stereotipi
e diffusione di stati emergenziali e ansiogeni, vengono poi lanciati, come ampiamente descritto,
contenuti condivisibili e rassicuranti, come quelli alimentari, che diventeranno un perfetto
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campo di scontro tra chi li riterrà simpatici e chi li giudicherà inadeguati, ciononostante
necessari ad alleviare la tensione, grazie ad argomenti leggeri e frivoli. Non si tratta, in
definitiva, solamente di suscitare emozioni positive o negative nelle persone, ma di riuscire a
stimolare quelle passioni in grado di innescare una reazione nel destinatario, di indurre le
persone a voler risolvere in qualche modo quella emozione, ad interessarsi e quindi a
condividere, commentare, esprimere un like, un anger o un love.
3.2 La strategia comunicativa
Lo spin doctor di Matteo Salvini, Luca Morisi, ha definito la propria strategia comunicativa
come la “formula TRT”, acronimo sciolto in Televisione-Rete-Territorio fisico. Questo trittico
è il campo di battaglia, scelto sin dagli albori della collaborazione, per raggiungere la duplice
identificazione tra leader e partito e tra leader ed elettorato grazie ad una presenza mediatica e
fisica costante. Per questo motivo, infatti, tanto nei comizi quanto nelle trasmissioni televisive,
raramente vengono mandate seconde linee del partito, ma sono presenziati solo e sempre da
Salvini246. Riassumendo, la strategia è retta da alcuni principi: definire oculatamente i temi del
governo, spostandoli sulle proposte leghiste, in modo da far apparire la Lega sempre decisiva;
controllare l’agenda mediatica attraverso l’intervento forte, chiaro, immediato e su tutti i media,
così da intestarsi il lavoro svolto dal governo; distrarre i media nei momenti di vulnerabilità
dell’esecutivo con esternazioni particolarmente radicali che causano un vespaio di polemiche
con opinionisti, giornalisti e politici di opposizione, spostando l’attenzione su argomenti di
nessun interesse per l’elettorato; l’onnipresenza mediatica e fisica di Salvini, di cui si è già
ampiamente parlato; l’identificazione dei nemici, sempre nuovi, uno per ogni argomento,
imponendo all’opinione pubblica una scelta di campo polarizzata247.
Ora, dopo aver analizzato i contenuti della storia Salvini e l’ambiente in cui è raccontata,
bisogna chiedersi quali siano gli strumenti, anzi il veicolo, con cui questa fa breccia nei cuori e
nelle menti degli elettori. Innanzitutto, i frame. Questo concetto indica una struttura di dati che
serve a rappresentare una situazione stereotipata in grado di incorniciare una situazione e, per
246 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 27-29 247 Ivi, pp. 19-21
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questo, creare un’aspettativa e indurre un’interpretazione; venne introdotto nella
comunicazione politica da George Lakoff che ne ampliò la nozione a “sistema concettuale” o
“struttura concettuale” che emerge per mezzo delle metafore248. Ciò accade perché l’essere
umano, per comprendere le proprie esperienze, ha la necessità di inserirle in uno schema
concettuale che faccia da contesto. Dunque, nella comunicazione politica, il frame è una cornice
interpretativa attraverso cui leggere la realtà e che, in sostanza, assolve a tre funzioni:
organizzare gerarchicamente i temi per salienza nel dibattito pubblico; individuare le cause dei
problemi e fornire possibili soluzioni; attivare l’impegno individuale nel posizionarsi sulla linea
polarizzata dei temi politici. Scelte lessicali, costruzioni grammaticali, ruoli narrativi e tempi
verbali incidono nell’inquadramento delle situazioni e, dunque, fanno emergere le
concettualizzazioni alternative che ne reggono la struttura, costruendo enunciati che, sotto il
profilo puramente formale, sarebbero del tutto equivalenti nel fornire una ricostruzione della
verità249. Grazie al potere performativo del discorso politico, una visione parziale e orientata
della realtà viene resa credibile, appetibile e in grado di giustificare una serie di comportamenti
e decisioni, con la finalità intrinseca di raccolta e organizzazione del consenso250. L’obiettivo
del discorso politico è, in altre parole, quello di attivare le analogie desiderabili grazie alla
stimolazione emotiva e cognitiva delle metafore; un esempio attinente al caso di studio può
essere certamente il fenomeno migratorio presentato come “invasione”, termine che richiama
un’azione bellica improvvisa e inarrestabile che, sfondato il limes, impone ai civili
l’occupazione usurpativa di un popolo straniero, pertanto appare adeguato rispondere ad essa
con mezzi militari, tentando strenuamente di difendere il confine della Patria251.
Al fine di comprendere l’efficacia di una strategia che, in soli sei anni ha portato un partito da
4 al 34 percento, possono essere ora individuati ed analizzati i pilastri che sostengono la
strategia comunicativa e lo storytelling di Matteo Salvini.
Il primo è la capacità di lettura e di anticipazione dello Zeitgeist, cioè il clima ideale, culturale,
spirituale che si considera caratteristico di un’epoca. Infatti, dopo la crisi economica del 2008,
il sentimento avverso all’ordine mondiale si è manifestato in gran parte dell’Occidente con
l’ascesa dei partiti cosiddetti populisti. Matteo Salvini si inserisce in questa schiera
presentandosi come un politico antisistema, antiestablishment, sovranista e statalista, che
mobilita il suo popolo attraverso il richiamo alle paure e alle ansie di perdere l’identità culturale
248 Cosenza G., Semiotica e comunicazione politica, Bari-Roma, Editori Laterza (2018), pp. 39-42 249 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 29-31 250 Villa M., Migrazioni e comunicazione politica, Milano, FrancoAngeli (2019), pp. 73-74 251 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 33
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e la preminenza sociale; a cui aggiunge le caratteristiche personali di uomo comune
ossessivamente mostrate sui social network e, ancor di più, in televisione252, dove riesce a
utilizzare un linguaggio comprensibile, a parlare per esempi evocativi di momenti di
quotidianità, ad unire performance attoriali convincenti a temi sentiti dagli spettatori253. Questi
ultimi, il pubblico-elettorato salviniano, sono disorientati da un mondo che presenta complessità
non sempre alla portata, non sempre inquadrabili, dunque, sono portati e ben disposti ad
accogliere le spiegazioni che ne vengono fornite, quand’anche queste creino un clima di
costante minaccia in cui vi siano ancor meno certezze e la sicurezza, intesa sia come tutela degli
interessi, sia come incolumità fisica, sia come ansia sociale, sia fortemente messa in dubbio.
Ciononostante, le risposte di Salvini assurgono sempre più ad egemonia, una modalità di
pensiero conformista in grado di spiegare facilmente ogni avvenimento in forma standardizzata,
a cui gli elettori si abituano, tanto da generare un codice comunicativo e di significazione che
trova continua conferma poiché gli elettori non hanno altre chiavi interpretative se non quelle
fornite dalla stessa egemonia culturale che diffonde insicurezza254.
Il secondo è la comunità e il continuo appellarsi ad essa. Salvini può, infatti, contare su una
base di elettori, seguaci, simpatizzanti e follower motivata e compatta che si fida ciecamente
delle sue scelte e approva la sua conduzione politica. Può, infatti, affidarsi al cosiddetto party
on the ground, cioè la struttura organizzativa del partito sul territorio, che, strutturata in anni di
attivismo politico e governo locale – non bisogna dimenticare d'altronde che la Lega è il partito
più vecchio in Parlamento – garantisce delle fondamenta solide all’azione del leader255. Il
vantaggio che questa comunità offre è notevole rispetto agli altri partiti che, invece, soffrono
una parentesi di scarsa mobilitazione, perché le risposte alla numerose call to action, che siano
sui social network o dal palco, generano un riscontro positivo di numerosi elettori256. Sia che si
tratti di argomenti non attinenti alla vita politica, come “Ossignur, domani comincia il Festival
di #Sanremo2015, è vero. Siete in trepidante attesa?” (Twitter, 9 febbraio 2017); sia che
vengano integrati in una strategia più ampia, ad esempio negli innumerevoli inviti a seguire
tramite radio, televisione o social gli appuntamenti pubblici del leader, le CTA si basano su uno
schema che prevede la selezione di un tema, da un problema quotidiano ad una notizia di
cronaca, la risemantizzazione e la trasformazione in oggetto di mobilitazione257. Un ulteriore
252 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 36-38 253 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), pp. 102-103 254 Tranfaglia N., Populismo - Un carattere originale nella storia d’Italia, Roma, Lit Edizioni Srl (2014), p. 14 255 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 45 256 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 38-39 257 Franzi A. Madron A., Matteo Salvini #ilmilitante, Firenze, goWare (2019), p. 23
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stimolo alla risposta è fornito dall’uso di un registro linguistico e di scelte lessicali politicamente
scorretti, che garantiscono l’effetto moltiplicatore del dibattito polarizzato258.
Il terzo è proprio la polarizzazione. Dividere il mondo in formule binarie, indurre a identificarsi
con uno dei due poli ed a contrapporsi all’altro è, a dire il vero, una strategia condivisa con gli
altri partiti politici che, in quanto obbligati a posizionarsi sul mercato elettorale, si distinguono
tanto per differenza con gli altri, quanto per le proposte. Salvini gioca questa partita perlopiù
sulla polarizzazione del fenomeno migratorio, presentandosi poi come il politico più adeguato
e pronto a fornire una soluzione in controtendenza con le inadeguatezze degli esponenti dei
governi precedenti. Questi ultimi, infatti, sono tacciati del cosiddetto razzismo al contrario,
cioè delle politiche che favorirebbero gli immigrati a detrimento dei cittadini italiani; tali accuse
riescono nel triplice obiettivo di suscitare indignazione contro gli altri partiti, rafforzare il
messaggio nazionalista della Lega e aumentare l’engagement grazie allo scontro social tra le
opposte fazioni259.
Il quarto è il vittimismo, cioè l’inclinazione a presentare la propria azione politica come
continuamente osteggiata da una pluralità di figure. Anche nello stesso discorso di Milano,
infatti, il popolo leghista, nonostante le rilevanti posizioni di potere ricoperte dalla Lega, era
presentato come Davide contro il Golia delle élite e dei poteri forti europei. Ma persino le più
blande e minute proteste, dalla rivolta dei lenzuoli ai contestatori mascherati da Zorro, dalle
critiche dei giornalisti alla satira, vengono rese una conferma di tale frame che trasforma ogni
opposizione in un’occasione per serrare i ranghi degli attivisti contro l’oscuro disegno, la
volontà di arrestare l’opera salviniana, quand’anche fosse espressa da un privato cittadino privo
di qualsiasi possibilità di intervento che vada oltre l’esprimere un voto260.
Il quinto è la provocazione, la sfida, l’invito alla lotta. “Salvini, nella maggior parte dei casi,
non sfida qualcuno, ma mostra ai suoi che sta sfidando il “buon senso” degli altri. O ciò che gli
altri ritenevano senso comune: limite etico-politico-comunicativo invalicabile. Non a caso le
provocazioni salviniane si muovono su un piano allusivo ed elusivo, senza mai chiamare in
causa direttamente gli avversari ma solo rendendoli presenti nel dileggio e nell’indifferenza;
senza mai accettare un vero duello, ovvero un confronto ad armi pari. Da questa invisibile
esclusione di un interlocutore che la pensa diversamente – che ovviamente ben si salda con
l’appariscente xenofobia del messaggio in sé e per sé – nasce il sentimento di provocazione
258 Ivi, pp. 96-97 259 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 39-41 260 https://www.wittgenstein.it/2019/06/11/salvini-vittimismo/
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della comunicazione di Salvini. […] Questo tipo di provocazione è perfettamente funzionale
alla (legittimazione della) figura del “capitano”. Come ha fatto notare Greimas, parlando dei
meccanismi della sfida, questo genere di azioni comunicative creano il terreno su cui si fondano.
Ora, secondo noi la provocazione ha questo di particolare: che fonda, prova a fondare, un
terreno radicalmente nuovo. O ancor meglio, sposta il terreno di gioco per cambiare il gioco
che definisce il senso del terreno. […] La sfida e la provocazione sono entrambe forme della
manipolazione. Ma mentre la prima è un tipo di “costrizione morale”, la provocazione è una
costrizione immorale. Mentre la sfida è, seppure in modo paradossale, una “proposta di
contratto” fra i due sfidanti e dunque sebbene attraverso un conflitto riconosce un comune
quadro dell’onore, un’etica comune, un sistema di valori, la provocazione (tanto più quella
allusiva, non dichiarata) mira a rompere il contratto vigente, a ricusare l’etica condivisa, a
definire come validi altri valori comunitari. […] La sfida infatti gioca a provocare l’altro, a
solleticarne l’orgoglio accusandolo di una incompetenza o di una impotenza che si sa già non
esserci. La provocazione “sostiene il vero per ottenere il falso”: Salvini nel suo agire
contraddittorio e provocatorio è vero, autentico: o quantomeno così viene riconosciuto da
coloro che si specchiano in lui. Il punto è che questa verità viene utilizzata per sostenere valori
falsi. O se si preferisce, valori ritenuti inautentici rispetto al quadro valoriale vigente. In tal
senso colui che sente la provocazione, che sente il fare di Salvini come provocatorio,
oltraggioso, si trova senza armi. Mentre nella sfida il soggetto sfidato è “costretto a rispondere”,
e dunque pur perdendo la libertà di scelta ha la possibilità di rifarsi vincendo il duello, nella
provocazione allusiva il problema dello sfidato è che il suo simulacro non è mai parte della
comunicazione del provocatore, se non come allusione alla figura del perdente: di qui la facilità
con cui Salvini si descrive come interprete dei sentimenti di 60 milioni di italiani. […] La
provocazione dunque sta proprio nel comunicare che si può fare a meno dell’altro, nel lasciargli
intendere che la sua presenza è superflua, è un piccolo rumore di fondo prossimo a essere
cancellato. La provocazione provoca prima di tutto non uno scatto d’onore ma uno sbandamento
emotivo e un’incertezza cognitiva. Colui che sente la provocazione ma che non viene sfidato
non sa cosa rispondere: non sa se deve rispondere. E conseguentemente non sa cosa rispondere.
Non a caso molto spesso il suo reagire si risolve nel balbettio inconcludente o nell’imitazione
del provocatore, del suo linguaggio, dei suoi modi. Il che dimostra che il provocatore ha già
fondato un nuovo terreno. Che a forza di provocazioni quotidiane, a forza di alludere a pratiche
e valori nuovi, ha piano piano spostato il limite fino a trascinare i suoi avversari in quel campo
valoriale che fino a ieri era pensato essere fuori dal vissuto comune. O che era addirittura
semplicemente impensabile. Ora, se chi subisce la forza semiotica della provocazione entra
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volente o nolente nel nuovo terreno, chi ci trova sono proprio i provocatori, gli specialisti e
padroni del nuovo campo. […] La provocazione è da “codardi”, perché non assume su di sé il
fare provocatorio ma lascia intendere che la provocazione è sempre messa in pratica per conto
di qualcun altro. Enfaticamente, per una giustizia e un bene superiore: ad esempio, la salvezza
dell’Italia dall’invasione migrante. Più prosaicamente, per assecondare il sentire del “popolo”
di cui il provocatore assume su di sé il dovere della pura espressione. E se prima questo sentire
pareva banalmente confinato, per esempio, alla volontà di riconoscimento territoriale – si pensi
alle felpe messe giorno per giorno, luogo per luogo – oggi invece a chiedere di essere
rappresentata è (sarebbe) una paura densa di risentimento alla ricerca di uno sfogo (dagli esiti
imprevedibili). La relazione intima, ammiccante, connivente che l’occhiolino salviniano
esprime quando nel tweet segue a frasi dal contenuto letteralmente immondo è quella di un
“giustiziere” che chiede una sanzione positiva (i like, la condivisione, il sostegno, l’esposizione
pubblica) ai propri “mandanti”. Se nella sfida lo sfidante metteva in scena il proprio simulacro,
nella provocazione il provocatore è un simulacro per i propri. Il corpo nudo di Salvini non è per
sé ma è lì, soprattutto, per conto del desiderio dei suoi (ipotetici) ispiratori: un desiderio di
superamento del senso di pudore collettivo, desiderio di un corpo quotidiano, anonimo e
invisibile, che vorrebbe esporsi così com’è, nella sua bruttezza (morale prima ancora che fisica)
e nonostante ciò essere desiderabile e desiderato. Potente. […] Certo, probabilmente dietro
queste provocazioni salviniane, ci sono algoritmi come “la Bestia”, al lavoro per tracciare
confini conflittuali, reazioni maggioritarie, gradimenti umorali e poter così approfondire il
lavoro su conflitti, reazioni e umori: per crearli/assecondarli. Ma queste opacità algoritmiche
non avrebbero senso ed efficacia se a incarnarle non ci fosse un vero, splendente, simulacro:
ovvero se non ci fosse un autentico provocatore come Salvini, capace proprio perché
coerentemente provocatorio di poter essere nuovo pur essendo vecchio, di essere antipolitico
pur avendo fatto solo il politico, di essere ipernazionalista pur essendo stato anti-meridionale e
anti-italiano, di essere ministro degli interni pur essendo sempre fuori, in giro a infrangere limiti
costituiti”261.
Il sesto ed ultimo è la retorica del buonsenso con cui Salvini, non solo ammanta le proposte
politiche più estreme per smorzarne la carica xenofoba, ma si presenta agli elettori, in
particolare in televisione, come restauratore di una normalità ormai perduta e semplifica i
problemi attraverso l’evidenza delle soluzioni. Ad esempio, il concetto spesso reiterato del “non
possiamo accoglierli tutti” è paradigmatico: in superficie è pacato, perfettamente ragionevole e
261 https://www.doppiozero.com/materiali/salvini-o-della-provocazione
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condivisibile, non emerge né rabbia, né odio, né paura, nessuna passione connotata
negativamente; eppure nasconde un sottotesto che merita un’analisi. Innanzitutto, il buonsenso
funge da scorciatoia cognitiva e narrativa per generare un senso di assennatezza e inevitabilità:
la cosa giusta da fare è immediatamente evidente e quindi sarebbe assurdo non realizzarla. In
secondo luogo, richiama alla struttura narrativa vista nel paragrafo precedente: il desiderio del
ritorno ad un’Italia composta di tranquille comunità di persone normali, senza la minaccia
dell’invasione di immigrati e della corruzione dei costumi che questa porta con sé, senza una
classe politica buonista che, invece, considera gli extracomunitari risorse utili e desiderabili per
la società dell’Italia del futuro. E ancora, “non possiamo accoglierli tutti” più che
un’affermazione, appare come una risposta ad una domanda o ad una imposizione presupposta,
inventata e attribuita agli Antisoggetti: i partiti di sinistra e l’Unione Europea. Questa
manipolazione evoca l’opposizione binaria tra gli anormali, cioè chi si domanda “possiamo
accoglierli tutti?” o affermi direttamente “dobbiamo/dovete accoglierli tutti”, e i normali, cioè
chi, anche magari consapevole di non stare offrendo una soluzione, risponde, con ragione,
“ovviamente non possiamo accoglierli tutti” perché la domanda immaginaria chiede all’Italia
uno sforzo sproporzionato per le capacità di un singolo Stato. Poi, l’uso del “tutti”: non poter
accogliere tutti intende che qualcuno possa essere accolto, quindi forse i richiedenti asilo o gli
immigrati meritevoli, lavoratori, educati, onesti sono implicitamente esclusi da questo regime
di fermezza, che infatti possono “entrare se hanno il permesso” 262. Il riferimento agli immigrati,
infatti, non comprende mai la generalità degli stranieri in quanto tali, ma sempre una selezione
dei peggiori presi a modello negativo per invocare una sorta di rieducazione o di segregazione
da estendere implicitamente agli altri; ad esempio dire “gli immigrati che delinquono vanno
messi in carcere”, sebbene sia formalmente corretta poiché, negli Stati di diritto, chiunque viola
la legge viene assicurato alla giustizia, pone l’accento solo sugli stranieri, che vengono dipinti
come naturalmente avvezzi al crimine, dunque potenzialmente pericolosi, dunque da limitare,
giocando sul ruolo del che relativo: “gli immigrati che delinquono vanno messi in carcere”
significa “limitatamente agli immigrati che delinquono”, ma può essere anche interpretata come
“gli immigrati, che delinquono, vanno messi in carcere” in cui l’incidentale, invece,
enfatizzando il pronome attribuisce una qualificazione intrinseca al soggetto a cui si riferisce:
“gli immigrati, i quali delinquono (tutti, per indole), vanno messi in carcere”; così facendo, la
proposta di stampo razzista viene edulcorata, diventa argomentabile e giustificabile, perciò non
262 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 41-42
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più stigmatizzata, ma annoverata come un’idea politica fra tante263. In terzo luogo, il messaggio
contenuto nella retorica del buonsenso scimmiotta quello all’interno dello slogan “Make
America Great Again” di Donald Trump: una nostalgia in senso nativista verso un passato in
cui le migrazioni erano un fenomeno estremamente marginale e dominava l’omogeneità
culturale ed etnica, un messaggio indirizzato all’elettorato razzista per ingraziarselo senza però
ammettere esplicitamente il proprio posizionamento e, quindi, infastidire gli ascoltatori più
ingenui che non colgono questa sfumatura di significato264. Un esempio di questi messaggi in
codice, in cui il compito di gerarchizzare le informazioni ricevute spetta all’attenzione selettiva
del destinatario, è “Chiusi altri tre negozi di cannabis cosiddetta “legale” in provincia di
Macerata. […] Complimenti al Questore e alla magistratura, lo Stato dimostra di non essere
complice di chi vende prodotti che fanno il male dei nostri figli. Sono sicuro che il “modello
Macerata” può essere replicato con successo in tutta Italia, oggi stesso manderò una direttiva
con questa indicazione.” (Facebook, 9 maggio 2019). Quella che sembra essere una crociata
contro la vendita di cannabinoidi innocui, infatti, indugia sulla collocazione geografica,
Macerata, e sulla opportunità di esportare il comportamento di tale cittadina, eletto a modello
ed evidenziato dalle virgolette. Appare, però, legittimo ipotizzare che rievocare, durante la
campagna elettorale, la città in cui ebbe luogo un attentato di matrice razzista e proporla come
esempio positivo da replicare altrove possa aver avuto l’effetto di legittimare un
comportamento criminale agli occhi di chi non lo ritiene tale. In conclusione, la retorica del
buonsenso, anche declinata nell’ossimoro rivoluzione del buonsenso, viene promossa a
categoria politica ed ideologia che nasconde, sotto la forza dell’evidente, dell’ovvio e del
banale, proposte politiche o affermazioni tutt’altro che comuni, palesi e condivise, talvolta
propriamente irrealizzabili, che si reggono fragilmente su luoghi comuni e vulgate nazionaliste
raramente smentite dal sistema dell’informazione, che anzi, come visto nei paragrafi precedenti,
ha sfruttato il tema immigrazione, anche in relazione a Salvini, in modo sconsiderato265.
263 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), pp. 46-47 264 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), p. 43 265 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), pp. 47-48
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3.3 Il riposizionamento
Il processo di riposizionamento della Lega prende avvio quando, durante la parentesi
Maroniana, appare evidente la perdita della capacità di attrazione dell’elettorato su temi che
hanno, ormai, perso la propria funzione storica di interprete del clevage territoriale. Così,
quando Matteo Salvini viene eletto segretario del partito, colta l’incapacità di penetrazione
nell’elettorato di proposte politiche stantie, decide di attuare una svolta lungo due direttive: il
riposizionamento del partito, da autonomista a nazionalista, e la personalizzazione del
messaggio. Se da un lato, è impossibile non notare la mutazione da “Prima il Nord” a “Prima
gli italiani”; dall’altro, è meno evidente la nuova strategia politica e comunicativa leader-
oriented: infatti, si passa dalla gestione collegiale e federale del partito di Maroni al monopolio
di Salvini. Questo controllo personale della linea del partito è, inoltre, certificato dall’altissima
percentuale di post sui social network della galassia leghista in cui viene citato il segretario:
quasi il 75%. Così, viene affermata la leadership e, con essa, la gerarchia interna al partito, ma
questa personalizzazione partecipativa serve anche nella costruzione dell’agenda setting, a
facilitare il processo di identificazione tra partito, leader, proposte ed elettori. Inoltre,
l’amplificazione del messaggio del leader consente di estendere la narrazione e i frame entro
cui leggere la realtà, imponendo ai media quanto all’opinione pubblica una selezione di
argomenti e il linguaggio con cui affrontarli266.
Tornando, invece, alla mutazione del riposizionamento inteso come estensione geografica, il
modello di riferimento è il Front National di Marine Le Pen: non più il partito/sindacato degli
interessi del Nord-Est italiano, ma una figura politica di destra radicale europea che, dunque,
abbraccia l’intero territorio nazionale, rispondendo alla necessità di intercettare una famiglia
politica in grado di garantire nuove basi ideologiche fondanti altrimenti mancanti, in assenza di
un elemento etnico-razziale o religioso forte. I temi che la vecchia Lega Nord proponeva agli
elettori padani vengono rielaborati per essere appetibili anche sotto al Po. Intanto, il Nord
scompare dai messaggi e dalle priorità della nuova Lega, mentre nasce nel Sud il movimento
gemello, Noi con Salvini, per rendere più digeribile il voto ad elettori storicamente disprezzati
dai politici della vecchia Lega Nord267. La scala dell’avversario principale viene ampliata: da
Roma ladrona, il nemico diventa l’Unione Europea, fredda macchina burocratica al servizio
266 Centorrino M. Rizzo P., La costruzione dell’influenza nel cyberspazio: la seconda vita della Lega (Nord),
Humanities – Anno VIII, n° 15 (2019), pp. 24-25 267 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 10-11
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della finanza; dalla xenofobia indirizzata contro i non-padani vengono espunti i cittadini
meridionali, un tempo parassiti del Nord industrioso, ora alleati nella battaglia contro lo
straniero. Inoltre, la battaglia per il federalismo o, ancor più, per l’indipendenza viene presto
dimenticata e con essa le vecchie amicizie con gli autonomisti catalani, irlandesi e scozzesi; il
modello di policy diventano gli USA di Trump e la Russia di Putin, entrambi impegnati contro
il disegno istituzionale dell’Unione Europea. La frattura territoriale, ancora una volta, non viene
abbandonata, ma allargata: non Padania contro Italia, ma Italia contro Europa, o, in astratto,
Stato contro organismi sovranazionali268.
Il nuovo posizionamento viene, quindi, sublimato nel nuovo slogan, emerso per la prima volta
nella campagna elettorale per le politiche del 2018: “Prima gli italiani”. Ma c’è dell’altro.
Infatti, Salvini, con il supporto del direttore della comunicazione Luca Morisi, ha attuato una
strategia di rebranding del partito, che comprende non solo una offerta politica ricalibrata sul
nuovo pubblico, ma anche la modifica del nome, del logo e dei colori. L’operazione ha seguito
varie tappe: innanzitutto, la scomparsa della parola “Nord” dal nome; poi il colore. La Lega
Nord era il partito con la più forte identità cromatica tra i soggetti politici italiani: il verde era,
ormai, tanto simbolico da diventare sinonimo di leghista (il fazzoletto verde nel taschino della
giacca, le camicie verdi, etc.). Con Salvini, invece, cederà il passo al blu, colore utilizzato
canonicamente dalla destra europea, che diventerà egemone della palette cromatica in
particolare dopo la vittoria di Trump, che farà nascere anche un nuovo logo, da affiancare a
quello storico con Alberto da Giussano, con la scritta bianca “Salvini Premier” su sfondo blu,
copiando lo stile del Presidente degli Stati Uniti269.
Ma non basta, ovviamente, cambiare colore, slogan e togliere il “Nord” dal nome per rendere
un partito, da localista, nazionale. Tantopiù, per trasformare un partito che ha fatto del disprezzo
per i cittadini italiani del Centro e, in particolare, del Sud un tratto caratterizzante e identitario.
Innanzitutto, per cogliere empiricamente se vi sia stato un riposizionamento verso Sud, si può
analizzare la nazionalizzazione del voto, cioè il processo di omogeneizzazione territoriale del
risultato elettorale270. La Lega, com’era facile aspettarsi, dal 1992 al 2013, ha raggiunto livelli
di nazionalizzazione più bassi rispetto agli altri partiti politici (attorno allo 0,40), ma con le
elezioni del 2018 ha subito un’inversione di tendenza, raggiungendo livelli simili agli avversari
(0,71), giustificata in parte dalla crescita notevole dei consensi (13 punti percentuali in più sul
268 https://www.letture.org/la-lega-di-salvini-estrema-destra-di-governo-gianluca-passarelli-dario-tuorto/ 269 Diamanti G. Pregliasco L., Fenomeno Salvini, Roma, Castelvecchi (2019), pp. 12-14 270 Espresso con una cifra compresa tra 0 e 1, con 0 minima nazionalizzazione e 1 distribuzione del voto identica
tra i territori (Corbetta, Passarelli, 2015)
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2013). Ma questi risultati vengono ridimensionati dai dati sulla provenienza del voto verso la
Lega: ancora nel 2018, il 61,5% dei voti veniva dal Nord, il 19,4 dalla Zona Rossa e il 19,1 dal
Centro-Sud. È, dunque, avvenuto uno spostamento del baricentro elettorale (Fig. 5), ma non
ancora sotto al Tevere271.
Figura 5. Baricentri elettorali del voto alla Lega272
Per quanto riguarda il successo elettorale raggiunto alle elezioni europee del 2019, si può notare
dalle Tab. 9 e Tab. 10 come il lento cammino verso Sud si sia arrestato, nonostante il raddoppio
della percentuale di voti. Infatti, il Nord continua a contribuire per oltre il 60%, la circoscrizione
Centro, cioè Zona Rossa più il Lazio, per il 20% e il rimanente 20% proviene dal Meridione.
271 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), pp. 58-63 272 Ivi, p. 64
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Circoscrizione Lega PD M5S
Nord-ovest 40,7 23,5 11,1
Nord-est 41,0 23,8 10,3
Centro 33,5 26,8 16,0
Sud 23,5 17,9 29,2
Isole 22,4 18,5 29,9
Totale 34,3 22,7 17,1
Tabella 9. Risultati elezioni europee 2019 per circoscrizione273.
Circoscrizione Voti %
Nord-ovest 3.190.306 34,85
Nord-est 2.377.933 25,98
Centro 1.845.135 20,16
Sud 1.285.329 14,04
Isole 454.935 4,97
Totale 9.153.638 100
Tabella 10. Provenienza voti alla Lega per circoscrizione274
In definitiva, la Lega più che nazionale, è nazionalista275. Infatti, da una parte, non si può ancora
parlare di un vero e proprio partito nazionale, in quanto, benché i voti raccolti dal Carroccio
siano quasi raddoppiati rispetto al 2018, non è mutata la distribuzione geografica; dall’altra,
però, un’espansione verso Sud è avvenuta, dove oltre il 20% dei votanti ha espresso una
preferenza verso la Lega.
Ma un altro fattore fa dubitare che il riposizionamento dell’offerta politica abbia ricevuto
un’accoglienza positiva dell’elettorato: la relazione tra dimensione cittadina e voto alla Lega.
Infatti, il partito risulta costantemente sottorappresentato nei maggiori centri urbani e nei
comuni capoluogo di provincia, rispetto alle realtà locali più ridotte, su tutto il territorio
nazionale, con differenze tra città e campagna anche di 13 punti al Nord e di 5 al Sud. Questa
differenza – basata sulla frattura territoriale – ha contraddistinto il voto alla Lega sin dalla
273 Pritoni A. Valbruzzi M., Elezioni europee del 26 maggio 2019 – le due Italia e la nuova geografia elettorale,
Istituto Cattaneo, p. 2 274 Dati del Ministero degli Interni 275 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), p. 56
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nascita276. Così, anche alle europee del 2019, si è confermata vincente nei paesi, in particolare
le piccole conurbazioni del Nord e del Sud, dove le percentuali tutt’altro che negative ottenute
nel Meridione derivano soprattutto dal consenso raccolto nelle piccole realtà locali277. Questo
fenomeno può essere presto spiegato da almeno due fattori: l’elemento culturale e quello
economico. Per quanto riguarda il primo, la vita nei grandi centri urbani abitua sovente al
multiculturalismo, dunque alla convivenza, pacifica o meno, con tradizioni e culture non
autoctone che, in assenza di condizioni di particolare degrado, vengono via via integrate. In
merito all’elemento economico, le città hanno avuto un maggior numero di strumenti per
rispondere alla crisi economica del 2008 e per beneficiare dei tentativi politici di risolverla,
mentre, invece, i piccoli comuni hanno subito il peggioramento della condizione economica
disarmati, agli occhi di cittadini tra cui, sempre più, si diffonde un sentimento di ostilità verso
la globalizzazione e sfiducia verso una politica non in grado di dare risposte risolutive278. A
supporto di questa lettura, si può citare anche la relazione tra voto alla Lega e presenza di
stranieri, rapporto che spesso è stato riconosciuto come spiegazione onnicomprensiva del
successo di Salvini. Ma, per quanto su scala nazionale, vi sia una debole seppur presente
correlazione, la dinamica è molto differenziata sul territorio: al Nord, la Lega non raccoglie,
infatti, maggiori consensi dove si trovano più immigrati, poiché il voto risponde a logiche di
appartenenza strutturate negli anni; invece, al Sud l’associazione tra voto leghista e presenza di
stranieri presenta una correlazione significativamente positiva. Ma quest’ultima potrebbe essere
una relazione spuria, in quanto sia gli immigrati che le migliori condizioni economiche,
anch’esse correlate al voto leghista, si concentrano negli stessi luoghi. Dunque, il consenso
della Lega – come nel caso del Front National – non migliora all’aumentare del numero di
stranieri, quanto piuttosto al crescere della distanza dai centri urbani dove ve ne sono molti,
poiché si diffonde la percezione del rischio potenziale che quanto succede nelle città possa
giungere nelle periferie, in altre parole: la xenofobia si manifesta più facilmente dove gli
immigrati sono pochi ma vengono percepiti come una presenza futura possibile279 .
276 Pritoni A. Valbruzzi M., Elezioni europee del 26 maggio 2019 – le due Italia e la nuova geografia elettorale,
Istituto Cattaneo, p. 1 277 Ivi, p. 4 278 Ivi, p. 4 279 Passarelli G. Tuorto D., La Lega di Salvini, Bologna, il Mulino (2018), pp. 132-133
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Conclusione
L’obiettivo che si prefissava questo lavoro era comprendere l’importanza, l’efficacia dello
storytelling attraverso un caso di studio rilevante per più aspetti: il fenomeno Salvini, infatti, ha
destato l’interesse degli studiosi innanzitutto per i risvolti più strettamente politici, a partire
dalla rapida crescita di consensi di un’offerta posizionata a destra; poi è innovativo dal punto
di vista dell’impiego delle storie come strumento di consenso, non tanto per l’aggressività e la
pervasività della comunicazione, sarebbe inopportuno dimenticare l’apporto culturale offerto
da Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e Beppe Grillo, quanto per la consapevolezza e l’abilità
investite nella costruzione di un racconto coerente e condivisibile, benché veicolo, talvolta di
semplificazioni, talaltra di sottotesti xenofobi, o ancora di letture falsate della realtà; per la
scelta di temi complessi, su tutti il fenomeno migratorio, affrontati con disarmante leggerezza
accettando le possibili derive di un simile approccio; per i valori conservatori e di destra
propugnati senza la sensibilità necessaria a evitare che sfocino in posizioni apologetiche di
regimi dittatoriali del passato; per l’estrema personalizzazione dell’offerta politica tale da
instaurare l’identificazione tra partito e leader. Inoltre, ha strappato il velo di Maya su quelle
che potrebbero essere definite le resistenze, cioè tutto il sistema dei contropoteri democratici,
l’informazione, l’opposizione, l’opinione pubblica, che, invece di assolvere al compito di
controllo e di critica, hanno favorito l’ascesa di Matteo Salvini, chi perché vittima di una
tradizione culturale servile e delle logiche dell’infotainment ha abdicato alla sua funzione di
informare; chi perché incapace di raccontare una storia propria da contrapporgli; chi perché
privato degli strumenti e della serenità indispensabili a distinguere le mistificazioni dalla realtà.
Ma, prima di offrire una risposta alla domanda dell’introduzione, occorre soffermarsi su alcune
riflessioni.
La prima riguarda le pratiche di storytelling in sé. In Italia, l’uso delle storie è spesso vittima di
due pregiudizi: viene, infatti, banalizzato oppure è ritenuto come contenitore privo di contenuto,
tutt’al più veicolo di falsità. Per quanto riguarda il primo aspetto, la capacità persuasiva del
racconto viene talora confusa con una buona capacità retorica, dunque con una costruzione
efficace dei discorsi o con l’acume dell’uomo politico, o ancora con l’utilizzo del linguaggio
pubblicitario commerciale esportato in campo politico, per cui gli slogan, il colore dei manifesti,
la cura dell’immagine diventano storytelling. Eppure, queste accezioni scambiano gli aspetti
più superficiali con la struttura profonda, che, com’è ormai noto, è molto di più. In merito al
100
secondo aspetto, lo storytelling gode dell’infelice fama di strumento di cinica manipolazione
perché viene collegato unicamente alla recente storia politica italiana che presenta un elenco di
esponenti politici, non ultimo il soggetto del presente lavoro di tesi, che hanno impiegato o
tentato di sfruttare con alterne fortune il racconto per alterare e travisare la realtà. Inoltre, viene
visto con sospetto per le resistenze culturali di un Paese come l’Italia che ha vissuto un
radicamento profondo nella società di partiti di massa fortemente connotati ideologicamente,
tra i due grandi poli del socialismo e del cristianesimo che non necessitavano, almeno nella
rappresentazione, nel ricordo, di strumenti accessori alla diffusione del proprio messaggio, se
non il tessuto sociale e le idee supportate da letteratura sconfinata. Dunque, le storie vengono
spesso sottovalutate, o non comprese, ma è sufficiente riflettere sul ruolo fondamentale che
hanno avuto nella creazione di comunità, di identità, nella lettura del mondo e di guida etica ed
educativa per coglierne il valore, infatti, sin dai poemi omerici con cui è stata trasmessa la
cultura greca all’intera comunità di koinè ellenistica, o ancora l’Eneide che legò la stirpe
imperiale al mito, così da giustificare il tramonto della repubblica, o, venendo ad esempi più
recenti, il Risorgimento italiano affabulato tra personaggi leggendari e imprese eroiche, oppure,
in ambito più famigliare, il fine didattico della favola raccontata ai bambini, le storie
trascendono l’analisi razionale, superano le barriere dello scetticismo di chi ascolta e riescono
a trasmettere un messaggio.
La seconda riflessione è di metodo. È, infatti, stato adottato un approccio semiotico per il
presente lavoro poiché consente di superare il confine di ciò che viene detto per giungere al
significato di cosa viene detto. Quello che sembra un confuso gioco di parole, può essere
spiegato – e raccontato – con il ritrovamento della mitica città di Troia: si parte con qualche
rudere che affiora dal suolo di una collina turca, l’espressione, e, via via, si scava sempre più in
profondità, scoprendo una serie di livelli sovrapposti, narrativo, enunciazionale, passionale,
fino a raggiungere la città di Priamo, cioè i processi di significazione da cui emerge il senso.
Ed è tramite questi che si può comprendere come un’offerta politica così estrema sia riuscita a
diffondersi quasi incontrastata, facendo apparire la maggioranza relativa dell’elettorato italiano
tendenzialmente xenofoba, quasi sollevata, in attesa, finalmente di sentir promettere per l’Italia
un futuro all’insegna di ordine e sicurezza, caratterizzato da omogeneità etnica e culturale, liberi
dai vincoli – letteralmente, le catene – imposti dell’Unione Europea. Ciò ha spiazzato i
commentatori che, senza strumenti e senza risposte, hanno imputato tale fenomeno
all’ignoranza, alla paura, alla credulità, quando, invece, la ricerca del significato spiega meglio
101
di altri approcci analitici il perché una proposta politica che ha raccontato un’Italia che non
esiste, in preda alle scorribande di orde barbariche, ha un tale avuto successo.
C’è un però. Nonostante l’ascesa, il fenomeno, il protagonismo di Matteo Salvini siano stati tra
gli argomenti principali del dibattito pubblico durante l’anno del Governo Conte I, nella gran
parte degli articoli di giornale, delle opinioni degli analisti televisivi, delle pubblicazioni e testi
scientifici sul tema, è mancata una visione che considerasse anche l’ambiente in cui i fatti sono
avvenuti, adottando un approccio che ricorda le antiche teorie della comunicazione, come quella
dell’ago ipodermico, che prevedono uno stimolo e una risposta senza particolare considerazione
dell’ecosistema in cui avvengono. Alla domanda sul come sia stato possibile, su come sia
riuscito a trasformare la Lega da secessionista a nazionalista, a portare un partito sull’orlo della
scomparsa ad essere il primo, a strutturare la propria offerta politica su posizioni estreme che
lambiscono la xenofobia, a rendere saliente per l’opinione pubblica il tema di cui è egemone,
la risposta che i testi sopra citati sovente si limitano ad offrire è raccontare di un uomo con un
solo occhio in un mondo di ciechi, che è riuscito ad approfittare delle storture e inefficienze del
sistema italiano presentandosi come un politico nuovo, convincendo l’opinione pubblica che il
problema principale del Paese fossero i migrati attraverso l’uso martellante della propaganda
sui social network e giocando con fare machiavellico la partita degli equilibri politici interni ed
esterni. Giunti alla conclusione del presente lavoro, risulta evidente come non sia così: sarebbe
un errore o significherebbe lasciare l’analisi incompleta non comprendere il ruolo che rivestono
le interazioni con gli altri attori dell’ambiente, tutt’altro: solo trattando quest’ultimo da
elemento inscindibile del fenomeno, emerge il contributo fondamentale reso dall’ecosistema.
In primo luogo, l’ecosistema politico, inteso – è bene ribadirlo – tanto come relazioni tra partiti
quanto come fenomeni di lungo periodo, non ha posto alcun ostacolo all’ascesa di Salvini per
una pluralità di motivi: innanzitutto, la presenza di una certa tradizione antipolitica che ha
contraddistinto la storia della Repubblica declinata sia nei risvolti antiestablishment, dall’Uomo
Qualunque al Movimento Cinque Stelle, sia in quelli tecnici, in cui i partiti si fanno da parte
per lasciare gli oneri del governo a professionisti del mondo civile. Poi il vuoto a destra nel
mercato elettorale generato dalla condanna penale e dal relativo calo fisiologico dei consensi di
Berlusconi. Inoltre, va menzionata anche la fondamentale assenza di opposizione che, in crisi
d’identità e incapace di offrire una narrazione alternativa, ha cercato piuttosto un nemico contro
cui compattare il proprio fronte. E ancora, dopo il tramonto delle ideologie novecentesche e
dell’appartenenza politica, l’Italia sta conoscendo un periodo di altissima volatilità del voto in
cui masse di elettori convogliano le loro preferenze su partiti sempre diversi ad ogni
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appuntamento elettorale, basti pensare, infatti, che negli ultimi cinque anni tre formazioni molto
diverse hanno sfondato la soglia del trenta percento.
In secondo luogo, l’ecosistema mediatico, sia dei mezzi d’informazione tradizionali sia di quelli
di comunicazione online. I primi, carta stampata e televisione, hanno ribaltato la propria
funzione di mediazione: invece che criticare sotto la lente del reale e del realizzabile la legittima
visione e interpretazione di parte del mondo offerta dagli esponenti politici, creano nuove
distorsioni, spesso funzionali al potere che dovrebbero controllare con occhio spietato. In altre
parole, non costituiscono quella barriera protettiva, tra le promesse degli esponenti politici e il
cittadino, necessaria per la strutturazione di una coscienza critica essenziale nelle democrazie,
per ragioni che hanno profonde radici storiche e culturali, ma si limitano a diffondere i
commenti e le opinioni del politico sotto il cui naso è proteso il microfono. Il quadro è poi
completato dalla congiuntura economica sfavorevole, la costante diminuzione dei lettori e delle
vendite, che inducono soprattutto i quotidiani a puntare su notizie dai risvolti sensazionalistici
e di sicuro interesse per la maggior parte del pubblico. Il risultato di questi fattori, come
analizzato empiricamente, ha prodotto un ambiente mediatico occupato quasi per il cinquanta
percento da Matteo Salvini, in ossequio a irresponsabili politiche editoriali e aziendali.
Entrando nel concreto, ci si può chiedere quanto avrebbe attecchito nell’elettorato una proposta
basata sull’esigenza di sicurezza se i media tradizionali non avessero ossessivamente utilizzato
gli episodi di cronaca nera come leva per l’audience, oppure se ogniqualvolta un politico avesse
promosso un pacchetto di provvedimenti per intervenire sull’emergenza sicurezza, i media
avessero ricordato al lettore che non ve n’è alcuna, o ancora se non avessero contribuito, da una
parte, a spettacolarizzare il fenomeno migratorio, e, dall’altra, a diffondere proclami privi di
ogni realizzabilità, senza apporre alcun filtro per il lettore. Per quanto riguarda, invece, i new
media, questi rispondo a logiche meccaniche che, per infrastruttura, per progettazione,
favoriscono i profili che generano più interazioni e più traffico, in quanto rispondono, in breve,
all’esigenza di catturare sempre più utenti e fare in modo che rimangano il più possibile sul
dominio, così da generare profitti. Un incolpevole mondo meccanicistico, che può subire uno
sviamento del fine originale di luogo di associazione virtuale, verso un grande laboratorio in
cui analizzare gli interessi e le preferenze del proprio pubblico, sperimentare la popolarità delle
proposte, creare un legame fittizio tra leader e follower, non per nulla chiamati “amici”, oltre,
ovviamente ad essere usato come mezzo di comunicazione in tempo reale per mantenere la
propria presenza costante.
103
In terzo luogo, l’ecosistema sociale in cui le classi medie e ancor più quelle subalterne sono
abbandonate ad un confronto impari con un mondo globalizzato, tanto complesso da risultare
incomprensibile. Un mondo senza confini che lascia spaesati e senza punti di riferimento,
dunque, più sensibili, finanche ben disposti ad abbracciare nuove visioni che diano un senso
all’incedere degli eventi, anche qualora propongano come soluzione semplicemente di tornare
indietro: alla vita comunitaria, in cui le giornate trascorrevano all’interno di un rassicurante
recinto sociale, tra volti e simboli dai significati certi e condivisi. Ed è in questa percezione di
sfiducia e insicurezza nel futuro e nel prossimo che si innesta il razzismo concorrenziale,
volgarmente chiamato guerra tra poveri, o ancor meglio la xenofobia atavica, cioè il disagio
istintivo che si avverte quando ci si trova in un contesto riconosciuto come alieno. È la
globalizzazione, intesa sia come crescita dei flussi migratori sia come peggioramento delle
condizioni economiche degli esclusi sia come allontanamento del livello di governo dal
cittadino, se mal o non governata, a generare lo straniamento per cui il familiare diventa
irriconoscibile, ignoto, potenzialmente pericoloso, minaccioso.
Sono questi tre ecosistemi a comporre l’ambiente in cui si inserisce Matteo Salvini e solo alla
luce di questi si può comprendere la sua virtù nel cogliere l’occasione concessa dalla fortuna.
Ha prima asservito l’organizzazione, la struttura territoriale e la potenza economica, ancorché
oggetto di interesse per la magistratura, di un partito storico alla sua causa, nel momento di
maggiore fragilità e della debolezza degli altri partiti. Si è presentato con una proposta politica
condivisa, ben raccontata e già confezionata per il mercato mediatico. Ha proseguito – e non
generato – il racconto dell’invasione che nacque con i primi ventisettemila albanesi sbarcati
sulle coste pugliesi trent’anni or sono, l’ha smussato e rimodellato affinché non risultasse un
rigurgito di razzismo, l’ha semplificato e legato ad un oscuro disegno cosicché fosse possibile
individuare i colpevoli contro cui muovere guerra; in altre parole, ha scritto una storia credibile
e coerente che fosse in grado di dare fondamento ad ogni espressione di volontà politica. Una
favola in cui si presenta come Eroe senza macchia in grado di sconfiggere i nemici esterni,
l’Unione Europea, gli immigrati, le ONG, ed interni, il Partito Democratico, i buonisti, che
nuocciono all’interesse nazionale, grazie all’aiuto del popolo leghista, esteso all’intera
cittadinanza italiana. All’elettore non restava che scegliere uno schieramento: il Noi o il Loro.
In questo modo, ha spezzato la spirale del silenzio in cui giacevano i cittadini inquieti e ha
fornito loro un nemico immediatamente identificabile e una comunità in cui sentirsi protetti, tra
simili. Ha, inoltre, ammantato una proposta liminale al razzismo con la retorica del buonsenso,
che riesce a decolpevolizzare chi si trova d’accordo con tali posizioni, rendendo appetibili
104
soluzioni altrimenti indicibili. Il tutto supportato e veicolato da una capacità personale, affinata
in anni di militanza politica e di conduzione radiofonica, di ottimo comunicatore, in grado di
risultare un uomo comune, empatico, concreto, imperfetto e, dunque, di generare
immedesimazione e fidelizzazione, dimostrando oltretutto una notevole capacità camaleontica.
A cui, solo dopo, si è aggiunto il contributo dello spin doctor Morisi che ha iscritto queste abilità
in una strategia dettagliata e che rispondesse meglio alle esigenze dei media: da una parte,
infatti, sono state approntate le tecniche per ingannare gli algoritmi che reggono i social network
e per raccogliere e monitorare le preferenze dell’elettorato; dall’altra, invece, è stata
perfezionata la figura di Salvini per i media tradizionali, principalmente attraverso l’uso della
provocazione. Questa, infatti, assolve a due scopi: innanzitutto, consente di suscitare
l’indignazione dei commentatori che saranno indotti a rispondere, a diffondere il messaggio, ad
utilizzare i frame e il linguaggio di Salvini, occupando lo spazio mediatico, pertanto negato ai
politici concorrenti. Poi, crea un personaggio adeguato alle logiche della spettacolarizzazione
del dibattito politico, in particolare quello televisivo, in cui si predilige il format del talk show,
che prevede lo scontro dialettico tra gli esponenti dei vari partiti, il quale spesso degenera in
una gazzarra funzionale allo share, di cui Salvini può fungere da facilitatore.
Dunque, si può finalmente dare una risposta e sanare l’esigenza di ricerca che ha mosso il
presente lavoro. Lo storytelling, per tutte le ragioni fin qui analizzate, si rivela un’arma
formidabile nelle mani di chi ne conosce i meccanismi e ne sa sfruttare il potenziale: Salvini,
riassumendo quanto detto finora, è riuscito, infatti, a creare una strategia integrata sul piano
politico, mediatico e comunicativo, a dare un significato favorevole alla sua causa ad ogni
avvenimento che gli offrisse la sponda, a far risultare credibile e coerente la sua immagine. Ma
non si può non considerare il contesto, il quale non ha opposto alcuna resistenza, anzi, da un
lato, ha tentato di approfittare di una figura tanto ingombrante per i propri interessi e, dall’altro,
ha accolto benevolmente una narrazione che desse un senso al mondo. In altre parole, il
successo della strategia nasce proprio dall’incontro tra lo storytelling e la realtà, quando
quest’ultima forniva episodi che confermassero la veridicità della storia, infatti il consenso
registrato nei sondaggi, il numero di titoli di giornale e di minuti in televisione, di follower sui
social network sono aumentati vertiginosamente nei pochi casi in cui Salvini ha impedito, a
favore di telecamera, lo sbarco di immigrati sul suolo italiano.
Tutto questo per un anno e poco più. Per oltre quattordici mesi Matteo Salvini è apparso
l’infallibile protagonista di una storia scritta e raccontata da lui stesso, immagine avvalorata
dalle vittorie in ogni competizione elettorale, onnipresente nello spazio mediatico, ultimo
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difensore della Patria. Poi la sfiducia al Governo Conte I, la caduta, il passaggio ai banchi
dell’opposizione. I motivi di questa scelta, anche ascoltando le testimonianze dei diretti
interessati, restano confusi, contraddittori, non soddisfacenti. Però si proverà comunque a
formulare qualche congettura, anche se da qui si entrerà nel mondo dell’ipotetico, del plausibile,
si potrebbe perfino adottare un tono più colloquiale, magari usando la prima persona plurale,
come si suole nella letteratura quando si incede su un terreno scivoloso, per dare l’impressione
che il testo emerga da una comunità di pensiero, dando per scontato il consenso del lettore
nell’essere incluso nei concordi, e non scritto da un solo individuo.
Dopo la svolta di San Sepolcro, quella di Salerno, o ancora le più recenti della Bolognina, di
Fiuggi e del predellino, la mossa di Matteo Salvini passerà alla storia – che si ripete sotto forma
di farsa, notava Marx – come la svolta del Papeete, stabilimento balneare e discoteca di Milano
Marittima, dai cui locali, l’8 agosto, ha annunciato la volontà di presentare una mozione di
sfiducia verso il governo di cui era membro, con l’intenzione di portare il Paese alle elezioni in
autunno. La prima anomalia è sicuramente la scelta dei tempi: infatti, subito dopo il successo
alle elezioni europee, molti politici e commentatori avevano prospettato lo strappo e la
capitalizzazione del consenso da parte di Salvini, tanto che il Presidente della Repubblica aveva
indicato la metà luglio 2019 come termine ultimo per lo scioglimento delle camere: dopo non
ci sarebbero stati i tempi tecnici per la celebrazione delle elezioni, la formazione del nuovo
esecutivo e la stesura della legge di bilancio, dunque il rischio di esercizio provvisorio. Allora
non avvenne: la maggioranza proseguì il suo lavoro. La seconda anomalia è, ovviamente, lo
sfiduciare sé stessi, il proprio governo e la propria maggioranza che, nonostante l’andamento
zigzagante tra accelerazioni e frenate imposte alternativamente dai due partiti che la
sostenevano, si reggeva su numeri solidi, tali da consentire l’approvazione di tutti gli atti
normativi in calendario senza particolari esitazioni.
Le ipotesi, ad ogni modo, sono di tre ordini. La prima poggia su ragioni politiche, a cui però
bisogna attribuire un’accezione già menzionata, molte pagine or sono, quando si raccontava la
biografia di Salvini: eterno oppositore abile tanto nella comunicazione politica, quanto nella
politica come comunicazione. Meno, quando si gioca nel campo della politica come risultati e
concretezza. In altre parole, innanzi all’imminente scrittura della legge finanziaria, in cui
sarebbero state disattese, o rimandate di un altro anno, le mirabolanti promesse, è stato preferito
uscire dai luoghi di responsabilità, così da lasciare ad altri l’incombenza di deludere l’elettorato.
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La seconda ipotesi, forse la più debole, avanza ragioni psicologiche: Salvini, colto dall’ebbrezza
della popolarità, convinto dell’onnipotenza con cui veniva dipinto, che lui stesso si attribuiva e
che, forse, agognava, ha iniziato a credere alla storia che lui stesso raccontava e, mal consigliato
dai suoi consulenti, abbia percorso questa forzatura per ottenere un ruolo ritenuto più adeguato:
la presidenza del Consiglio dei ministri a capo di una maggioranza più omogenea.
La terza ipotesi, invece, propone ragioni di cultura istituzionale: assente, sia se declinata come
competenza sui meccanismi che reggono la Repubblica, sia se interpretata come rispetto delle
istituzioni. Nel primo caso, Salvini avrebbe ignorato che lo scioglimento delle Camere e la
conseguente indizione di nuove elezioni sono poteri attribuiti al Presidente della Repubblica,
che può, dunque, percorrere le strade che preferisce anche per evitarlo, invitando le forze
politiche a tentare nuove combinazioni che assicurino la maggioranza parlamentare. Nel
secondo caso, invece, Salvini avrebbe asservito la sua funzione pubblica agli interessi
particolari di partito, preferendo l’apertura di una fase di crisi e instabilità, con tutte le ricadute
del caso anche sul piano finanziario, nel Paese, piuttosto che assumersi le onerose responsabilità
di governo, con possibili ripercussioni sul consenso, ben consapevole che non si sarebbe andati
al voto, così da crearsi un nuovo posizionamento nel poter accusare, da una parte, di tradimento
e immobilismo il Movimento Cinque Stelle e, dall’altra, di potersi cucire l’immagine di vittima
di un sistema che impedisce alla Lega di stare nelle stanze del potere. Così da presentarsi alle
elezioni politiche prossime venture con un nuovo storytelling, rinverdito dagli anni – o mesi,
chissà quanto longeva sarà la legislatura – di opposizione e incolpevole di ogni fallimento, vero
o inventato, della maggioranza composta da Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico.
Una strategia a lungo termine che farà largo affidamento sulla debolezza della memoria
collettiva, sul fallimento dell’esperienza giallorossa e sulla capacità di costruire una nuova
storia.
Si è, dunque, giunti agli interrogativi finali che chiuderanno il presente lavoro. Il primo è,
appunto, sulla nuova storia, cioè ci si può chiedere come si muoverà Matteo Salvini per tentare
di risemantizzare il passaggio dal governo all’opposizione, dai gialloverdi ai giallorossi, e
costruire la nuova proposta politica, come giustificherà in modo credibile la scelta di aver fatto
cadere un governo in salute, quali strumenti gli consentiranno di non apparire come unico
artefice del cambio di colore della maggioranza e, fondamentalmente, della sua estromissione.
Probabilmente, nel breve termine, alternerà la rivendicazione orgogliosa dei risultati ottenuti
grazie alla linea della durezza al vittimismo per essere stato allontanato dal potere per mezzo di
un disegno superiore di cui non verranno mai delineati i contorni, pronto ad approfittare di ogni
107
inciampo del nuovo governo per ribadire le proprie posizioni con toni ancor più accesi,
strepitando ad ogni vittoria elettorale affinché il governo si dimetta in quanto conferma,
dimostrazione evidente della discrepanza tra il posizionamento politico dei cittadini e il colore
del governo. Ai vecchi nemici, la sinistra, l’Unione Europea, i trafficanti di esseri umani, si
aggiungeranno forse il racconto del tradimento del popolo da parte del Movimento Cinque
Stelle, passato ad allearsi con la casta, e, molto probabilmente, verrà rispolverata la retorica
della battaglia tra politica e giustizia, quando i magistrati andranno a bussare alla sua porta per
i processi nati durante il periodo di governo. Sarà interessante, oltretutto, seguire con attenzione,
ed è il secondo interrogativo, anche il cambio di approccio che terranno i media nei confronti
di un Salvini non più in grado di partecipare alle decisioni del governo, dunque, di tutelare
alcuni interessi e, di riflesso, le conseguenze sull’andamento dei consensi, qualora la salienza
dei temi immigrazione e sicurezza retroceda nelle pagine e nei servizi televisivi più marginali.
Sarà determinante in questo ambito l’azione dei media che dovranno decidere se continuare ad
utilizzare Salvini come fonte inesauribile di titoli indignati, infauste previsioni sul futuro, cupe
riflessioni sulla propagazione dell’odio nella società italiana, editoriali al vetriolo contro il
novello Mussolini, scandendo il tempo che passa con i sondaggi, allarmati da uno zero virgola
che cambia, oppure uscire dal gioco in cui il leader leghista li ha coinvolti, dando il giusto
spazio agli argomenti, alle notizie, ai commenti.
108
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Riassunto
Introduzione
L’ambizione del presente lavoro è cogliere l’efficacia dello storytelling, attraverso lo studio del
fenomeno Matteo Salvini, analizzando le caratteristiche della sua strategia comunicativa,
l’ambiente in cui è collocata e i risultati raggiunti.
La scelta di tale caso di studio è giustificata da una pluralità di ragioni. In primo luogo, per la
rilevanza intrinseca che dovrebbe avere per lo studioso sociale l’ultimo smottamento nel
consenso elettorale in cui milioni di elettori modificano la propria preferenza convergendo
verso partiti sempre diversi. In secondo luogo, per la straordinarietà nell’uso dello storytelling,
originalità che può essere declinata lungo tre direttive: innanzitutto, l’uso spregiudicato,
manipolatorio del racconto, attraverso il quale creare un clima d’opinione favorevole all’offerta
politica della Lega. Poi, il riposizionamento: la trasformazione radicale di un partito che nacque
autonomista, europeista e pagano che riesce ad apparire coerente nel presentarsi, oggi, come
nazionale e nazionalista, sovranista, difensore della fede cristiana; che dalla vecchia schiera dei
nemici, i cittadini meridionali, la partitocrazia romana e gli stranieri immigrati, ha espunto i
primi due. Infine, la capacità di penetrazione del messaggio che ha garantito tale strategia
comunicativa che, se da un lato evidenzia la validità della strategia stessa, dall’altro mette in
luce la vulnerabilità del sistema italiano, in particolare del mondo dell’informazione che non ha
saputo assolvere alle proprie funzioni di controllo sul potere e di coltivazione della memoria
collettiva e del mondo dei partiti politici che, anche a causa di una complessa rete di alleanze e
convergenze storiche, non ha saputo offrire una visione alternativa.
Gli strumenti impiegati per condurre l’analisi ed essere in grado di rispondere alla domanda di
ricerca sono innanzitutto di natura semiotica, disciplina che si occupa dello studio
dell’attribuzione di un significato ad un segno, di come questo venga trasmesso e comunicato,
delle sue possibili interpretazioni. Si tratta, di immergersi dalla superficie dei testi fin nelle
profondità dei significati, coglierne le sfumature e le rappresentazioni, comprendere ciò che
possono evocare tanto nella sfera passionale, quanto nella memoria, nella cultura di chi ascolta,
metterli in relazione tra loro e con il mondo sociale che li ha generati, ed emergere con la
conoscenza necessaria a ricostruire la storia che dà sostanza, coerenza, potere persuasivo al
messaggio. La metodologia semiotica, tuttavia, non è costruita in modo astratto e formale, ma
viene sviluppata in funzione dei dati che si desidera spiegare e comprendere: il livello empirico
non va considerato come una di manifestazione figlia di una sorta di determinismo, ma come
117
un’entità creata al fine di un progetto e iscritta in un contesto sociale, culturale e valoriale ben
preciso e individuato. Ed è per questo motivo che l’analisi empirica condotta tanto sulla vasta
produzione testuale di Matteo Salvini, quanto sul mondo dei mezzi di comunicazione e di
informazione segue un approfondimento sull’ambiente che ospita e genera i dati. Questo
ecosistema è stato analizzato con l’approccio olistico, che impone uno studio dell’evoluzione
storica delle strutture e abbraccia sia una prospettiva sincronica, che quindi tiene conto della
moltitudine di elementi che compongono un sistema con approccio multidisciplinare, sia una
diacronica, che ne segue lo sviluppo e l’evoluzione nel tempo. Apparirebbe, infatti,
inspiegabile, il successo elettorale raggiunto da Matteo Salvini alle elezioni per il rinnovo del
Parlamento europeo del 2019, senza un’analisi che ricerchi nel passato i prodromi e i fattori
facilitatori che hanno reso possibile la straordinaria efficacia del suo storytelling.
Per questo motivo, la tesi ha una struttura tripartita che principia l’analisi proprio dal livello più
generale, quello del contesto storico e culturale, il campo di battaglia in cui si concretizza la
strategia, evidenziando nel modo più esaustivo possibile tutti gli aspetti ritenuti pertinenti per
la comprensione del fenomeno che prescindano dal contributo salviniano; l’immersione
prosegue poi nello studio della strategia per come si manifesta nelle sue forme, nelle sue
tattiche, nelle sue battaglie, nella scelta delle armi e di come vengono impiegate. Infine, il
fondo: l’esame dello storytelling, della costruzione della storia come veicolo di un messaggio
per ottenere consenso elettorale, il significato profondo che viene trasmesso con strumenti
narrativi raffinati.
Capitolo 1 Ecosistema
Il primo ecosistema analizzato, cioè l’insieme degli elementi che compongono un equilibrio
dinamico, è quello politico. Tra gli schieramenti dell’arco parlamentare, il centrodestra viveva
una condizione inedita di un’alleanza elettorale che si presenta come tale ad ogni votazione,
amministra numerosissimi comuni e undici Regioni, ma al Governo era divisa: infatti, mentre
la Lega è nella maggioranza insieme al Movimento Cinque Stelle, FI e Fd’I sono
all’opposizione. Nel centrosinistra, il risultato sfavorevole del 4 marzo 2018 ha scoperchiato le
tensioni interne e ha costretto il partito ad una lunghissima analisi della sconfitta che ha portato
alle dimissioni dei quadri dirigenti, al differimento delle elezioni primarie di un anno. Questa
fase di transizione ha egemonizzato l’attenzione degli esponenti del partito verso questioni
prevalentemente interne. Fuori dall’asse destra-sinistra, si colloca il Movimento Cinque Stelle
(M5S). Il risultato estremamente positivo alle elezioni politiche del 2018 gli ha attribuito la
118
responsabilità di formare una maggioranza, obiettivo raggiunto grazie alla sponda offerta dalla
Lega. Il Cinque Stelle, così, si trovava nella condizione opposta rispetto a FI e Fd’I: alleato a
livello nazionale, avversario nei livelli inferiori.
La Lega Nord, fin dalla fondazione nel 1991, ha attuato una strategia di radicamento territoriale
sul modello dei partiti di massa con proposte politiche basate su xenofobia e ordine, liberismo
e autonomia, accompagnate dalla polemica antipartitica e dall’invito alla rivolta fiscale. Alle
elezioni del 2013, la LN, travolta dagli scandali e con la nuova reggenza Salvini, riesce a
superare la soglia di sbarramento per una manciata di voti. Questo passaggio di consegne
significherà la ricalibratura di alcune proposte: l’immigrazione sarà il tópos dell’offerta
leghista, accompagnata dalla scomparsa della questione settentrionale. L’importanza sempre
crescente della questione migratoria ha instaurato un rapporto reciproco tra opinione pubblica,
sempre più spaventata dallo straniero, e Lega, che ha saputo alimentare questo clima e proporsi
come attore privilegiato nel risolverlo, soprattutto agli occhi del proprio elettorato, composto
perlopiù da cittadini residenti nei centri urbani minori, con scarsa scolarizzazione e un consumo
mediale prevalentemente televisivo.
Vengono poi analizzate alcune delle tendenze di lungo e breve periodo che caratterizzano il
sistema politico italiano. Innanzitutto, un’ampia base di riferimento per i partiti
antiestablishment basata su tre dinamiche: indebolimento della capacità di mediazione dei
partiti di massa, il peso crescente della leadership personale, l’influenza dei media sulla politica.
Poi la disintermediazione che può essere definita come la capacità degli attori politici di mettere
in atto un’autorappresentazione pubblica senza ricorrere all’intervento di soggetti esterni, cioè
i media. Per affrontare poi il populismo viene preferita una prospettiva semiotica. Il primo tratto
caratterizzante è la vaghezza semantica di fondo, l’affidarsi ad una nebulosa di significato che
costituisce il campo d’azione del soggetto politico. Il secondo tratto è l’implosione. Nel
momento di emersione del populismo avviene una perdita di senso delle differenze stabilite,
del senso comune. Il terzo sono i corpi, intesi come molteplicità di individui riuniti attorno a un
sentimento comune nato dall’interazione con altri corpi, in altre parole l’assemblearismo.
L’ultimo tratto è la negatività, con cui si intendono due pratiche semiotiche distinte: da un lato,
è l’identificazione di sé in base a ciò che non si è; dall’altro, è la negazione di un soggetto in
quanto alternativo e avversario.
Il secondo ecosistema analizzato è quello dei media. Per motivi storici e culturali, in Italia si è
instaurato il cosiddetto modello “pluralista-polarizzato” o “mediterraneo”, contraddistinto da
una stampa elitaria, dall’intervento statale nell’editoria e da un impiego dei media con finalità
politiche.
119
Tale contesto, invece che evolvere nel pluralismo, con il passare degli anni, si è radicato ed
esteso, configurando un oligopolio di editori impuri, cioè con altri interessi diversi dall'editoria.
Il risultato di ciò non è indolore: per coglierlo, però, serve soffermarsi sulla notizia in sé. Questa
può essere definita come il racconto di un avvenimento. A questi due elementi, però, può essere
attribuita una diversa importanza dal giornalista, che produrrà una notizia come informazione
se privilegia l’avvenimento, oppure una notizia come racconto mitico se è il racconto ad essere
essenziale. È, inoltre, doveroso annotare che l’informazione si va trasformando in infotainment,
fusione di information ed entertainment, che meglio risponde alle dinamiche della tivù
commerciale. Mentre, l’informazione prevede un lettore cittadino critico e attivo, il mito
prevede invece uno spettatore passivo, tutt’al più alla ricerca di svago. Ciò spiega come l’uso
politico attraverso lo strumento ludico marginalizzi la notizia come informazione, perché ad
essa non si contrappone il semplice mito, ma l’intero sistema della manipolazione del consenso.
Il consumatore televisivo, solitamente appartenente alle fasce meno istruite della società, si
trova in balia di una formazione politica che prescinde da dati reali, ma è fondata su valori
simbolici. Inoltre, è stata dimostrata una correlazione statistica significativa tra la
teledipendenza e uno spostamento degli orientamenti di voto verso destra. L’oggettività,
dunque, è solo un effetto di senso, che si basa sulla spersonalizzazione del discorso, con la
cancellazione delle marche dell’enunciatore, sull’astrazione, attraverso la cancellazione dei
deittici riferiti a un tempo ed a uno spazio precisi, all’oggettivazione e all’autenticazione del
sapere, attraverso il ricorso a riferimenti che fungono da fonti di autorità.
Il terzo ecosistema riguarda l’immigrazione, la sicurezza e la loro relazione. Al 31 dicembre
2018, i residenti stranieri sul territorio sono 5.255.503. Il numero è cresciuto di oltre un milione
dai 4.027.627 dell’1 gennaio 2011. L’anno con i maggiori ingressi è stato proprio il 2013:
534.364 in più. Gli stranieri regolari rappresentano l’8,7% della popolazione residente; questa
percentuale non è uniforme su tutto il territorio italiano, ma si configura come una distribuzione
a macchia di leopardo, con zone completamente popolate di autoctoni e zone dove questi ultimi
sono la minoranza. Gli unici numeri certi sugli irregolari sono quelli sugli sbarchi sulle coste
italiane di imbarcazioni: nel 2017 sono giunte 85.211 persone, 16.935 nel 2018 e 3.126 fino
alla metà del 2019. Su tutti gli altri il dato è inconoscibile. Per quanto riguarda il legame con la
criminalità, il peso della componente straniera, tra gli autori dei reati è andato aumentando a
partire dagli anni Novanta, mentre prima di allora il fenomeno era trascurabile. La relazione tra
le diverse incidenze è costante negli anni ed appare dovuta a molteplici fattori, legati alla minore
capacità di difesa durante l’iter processuale, al tipo di reati commessi e alla minore capacità-
possibilità di accedere alle misure alternative al carcere sia prima che a seguito della condanna,
120
non possedendo i requisiti per poterle chiedere. Gli stranieri sono imputati principalmente per
furto, violazione delle norme sugli stupefacenti e lesioni, cioè per reati che impattano
maggiormente sulla percezione della criminalità, oltre che per i reati legati alla loro condizione
di irregolari. La sicurezza, infatti, può essere indagata da due prospettive: quella percepita e
quella oggettiva. In Italia, i mezzi di informazione hanno posto al centro il tema sicurezza a
partire dalla seconda metà degli anni Novanta, in modo particolarmente accentuato nel triennio
2007-2009 e nell’ultimo periodo. L’aumento delle persone che legano l’immigrazione alla
minaccia per la sicurezza conferma il fatto che l’immigrazione per una fetta consistente della
popolazione voglia dire soprattutto insicurezza; in questa direzione, infatti, si sono mossi gli
esponenti politici che hanno favorito questo cambiamento dei frame cognitivi. L’immigrazione,
in definitiva, acquista evidenza per lai stampa solo quando si fa emergenza; sensazionalismo,
spettacolarizzazione e drammatizzazione, sebbene sviliscano la funzione informativa, hanno
maggior presa sul pubblico, che, soprattutto nelle fasce meno istruite, si fa catturare da notizie
superficiali ma di grande effetto.
Capitolo 2 Fenomenologia di Salvini
L’analisi dei fenomeni inizia con il ripercorrere la biografia di Salvini, con cui possono essere
messi in luce episodi paradigmatici del suo atteggiamento. Il primo aspetto è la figura da eterno
oppositore che ha incarnato sin dai primi anni di attività politica. Ma il passo fondamentale fu
l’esperienza a Radio Padania Libera: in trasmissione veniva data dignità ai più bassi istinti
sdoganando non solo il politicamente scorretto, ma soprattutto il verbalmente violento, inoltre
veniva usata come mezzo di mobilitazione dei militanti, alternando momenti ad altissima
intensità seguiti a contromosse sornione. Quando poi Salvini riuscì a conquistarne la guida della
Lega, il controllo del partito, a differenza della gestione di Bossi, non si basava sul carisma
personale e su una struttura rigida, ma sulla popolarità del leader legittimato dai continui
successi elettorali, grazie anche alla trasformazione di un partito gerarchico e localista in un
party in central office, in altre parole un comitato elettorale al servizio del leader
Matteo Salvini è indubbiamente il politico italiano che maggiormente ha saputo usare i social
come strumento di costruzione del consenso, attraverso il racconto di una miscela di attività
politiche e spaccati di vita privata, volti alla strategia di digital engagement, cioè la creazione
di un luogo mediatico in cui gli elettori possono essere coinvolti, informati e strutturare un
rapporto con il leader. Salvini adotta una combinazione di toni che stimolano passioni, invito
alla partecipazione degli utenti (call to action) e di una presenza costante e tempestiva su tutti
121
i temi rilevanti dell’agenda mediatica con un numero elevatissimo e vario di contenuti
pubblicati, strategia comunque comune ai challenger parties. Un altro aspetto caratteristico è
l’alto tasso di pubblicazione che non risponde solo all’esigenza dell’onnipresenza, ma intende
anche volgere a proprio favore il funzionamento dell’algoritmo di Facebook, l’EdgeRank, che
favorisce i contenuti caratterizzati da brevità, velocità di fruizione e numero di interazioni. I
picchi di engagement e di nuovi follower si sono registrati il 5 marzo 2018, tra il 10 e il 17
giugno 2018, tra il 3 e il 9 gennaio 2019. Se la prima data banalmente rispecchia il successo
elettorale, gli altri periodi sono caratterizzati dal monopolio sull’informazione dei casi Aquarius
e Sea Watch. Nella strategia sui social network, è fondamentale il ruolo della community: gli
utenti contribuiscono alla diffusione dei contenuti oltre le cerchie raggiungibili dalla pagina
fonte. A ciò si aggiungono i canali fiancheggiatori, cioè altre fanpage, gruppi Facebook non
ufficiali e chat che vengono gestiti in modo coordinato dallo staff che si occupa della
comunicazione, che, assieme ai software di sentiment analysis, costituiscono la cosiddetta
“Bestia”. Passando ora ai contenuti, la triade Italia-immigrazione-sicurezza, che occupa circa il
47% dei post, è mitigata dagli altri, un quinto del totale, dai toni colloquiali e leggeri. Altri tre
aspetti vanno evidenziati. Il primo è la scarsa attitudine a parlare di più argomenti in un singolo
post. Il secondo riguarda l’edulcorazione dei post di stampo razzista, che difficilmente si
rivolgono agli stranieri in quanto tali, ma si basano sulla denuncia dei problemi sociali ed
economici causati dagli immigrati, sulla difesa dell’identità culturale italiana e sull’attacco ai
presunti poteri che traggono vantaggio dall’immigrazione. Il terzo è il silenzio sui temi
economici. La matrice divisiva dei messaggi di Salvini crea un ambiente polarizzato, in cui far
scontrare fan e haters in una battaglia di commenti e interazioni che ha un solo vincitore:
Salvini, il cui engagement rate si nutre del dibattito generato dai post. Vanno, inoltre,
considerati altri due aspetti caratterizzanti della comunicazione social di Salvini: il cibo e gli
insulti. I post a contenuto alimentare attivano un’immediata identificazione tra il leader e la
propria base; le caratteristiche dei cibi ritratti vengono estese alle isotopie della politica
salviniana per i significati (genuinità, italianità) che veicolano. Infine, il secondo aspetto: gli
insulti. Salvini usa provocare con allusioni, sfide velate, non detti, adottando uno stile ragionato
oppure beffandosi dell’avversario, magari mandando saluti e “bacioni”. Per Salvini e la sua
community, dunque, la volgarità e la violenza verbale sono condotte incluse nella libertà di
espressione. Le minoranze e gli oppositori vengono scherniti dal leader, con la finalità
consapevole di dare avvio ad una shitstorm di commenti che insultano e mortificano il bersaglio
fino a declassarne la dignità.
122
Per indagare poi la capacità di penetrazione di Salvini sui media tradizionali o il bisogno dei
media di un argomento prêt-à-porter è stata avviata una fase empirica. Per quanto riguarda la
carta stampata, nel periodo di analisi, dal primo maggio 2018 al 26 maggio 2019, sono state
contate le ricorrenze della presenza della parola “Salvini”, sue citazioni o dichiarazioni
riportate, presenza di notizie riguardanti il frame sicurezza e immigrazione sulle prime pagine
de il Corriere della Sera, la Repubblica, il Sole 24 Ore, il Giornale, La Verità e de il Fatto
Quotidiano.
Dai risultati emerge che, nei 14 mesi, Salvini è comparso su 1074 prime pagine, è stato citato
355 volte e 760 aperture sono state di argomento immigrazione e sicurezza. Immediatamente
saltano all’occhio due aspetti: il primo è l’alto numero, assoluto o percentuale, di prime pagine
su Salvini, oltre il 46% del totale. Il secondo aspetto sono i due picchi di interesse in
corrispondenza di giugno 2018 e gennaio 2019, mesi di aspra diatriba politica contro le ONG.
Altro piccolo balzo in alto, oltre al mese di campagna elettorale, è agosto 2018, in cui è
scoppiato il caso Diciotti. I giornali che hanno parlato di più di Salvini sono il Corriere della
Sera, con picchi del 77% delle prime pagine, e la Repubblica, che raggiunge l’83% e sono gli
stessi che lo citano in media più spesso: per 9,77 volte al mese sul Corriere e 7,38 volte sulla
Repubblica. La Verità e il Giornale sono le testate che aprono le loro edizioni su questioni di
migranti o di fatti di cronaca nera: rispettivamente 15,00 volte al mese e 12,92. Il Fatto
Quotidiano si piazza in una posizione mediana, scrivendo su Salvini in media per metà del
mese, ma lasciando a lui la parola solo 2 giorni.
Per quanto riguarda l’altro media tradizionale, la televisione, l’analisi è stata condotta grazie ai
dati raccolti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che, mensilmente,
produce dei report calcolando il tempo di antenna e il tempo di parola dedicato sui telegiornali
dalle reti nazionali ai partiti politici. L’andamento della presenza della Lega in televisione
rispecchia grossomodo quello sulla stampa. Quando, invece, si analizza il tempo di parola dei
singoli politici, emerge come Matteo Salvini venga mandato in onda più di ogni altro politico,
anche dello stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte.
Incrociando i dati raccolti con l’andamento nei sondaggi, gli unici due periodi di calo nei
consensi corrispondono alla minor presenza sui media: le trattative di fine anno sulla legge di
bilancio e le settimane precedenti alla campagna elettorale. Mentre in vertici alti a giugno 2018
e gennaio 2019 hanno preceduto fasi di crescita. Ciò significa che, almeno cronologicamente,
la propensione al voto verso la Lega ha seguito un aumento della quantità di spazio mediatico
su Salvini. Si potrebbe affermare, giunti a questo punto, che il leader del Carroccio abbia
conquistato anche i media tradizionali, come per i social network, usando come cassa di
123
risonanza delle sue esternazioni e proposte politiche le redazioni dei quotidiani e dei
telegiornali. Ma l’ambiente dei social network è retto da algoritmi, non di intelligenze artificiali
o umane, che agiscono meccanicamente. E, dunque, la domanda: perché testate, più o meno
indipendenti, concedono a Salvini tanto spazio? I media italiani hanno reso Salvini una fonte
inesauribile di notizie, opinioni, interviste, editoriali ed articoli sulla conduzione non ordinaria
del Ministero e sull’azione politica in generale, evocando ipotesi sull’imminente ritorno di un
regime autoritario, sull’uscita dall’Europa e dall’euro oppure sulla possibilità di una soluzione
finale per risolvere il fenomeno migratorio. Tutte evenienze che ad una parte dell’elettorato,
priva di memoria storica e di una certa sensibilità, potrebbero risultare congeniali. Il successo
elettorale di Trump, secondo Grusin, è stato ottenuto non tanto perché la gente concordava con
la sostanza di ciò che stava dicendo, o condivideva la sua rappresentazione della politica o dei
suoi piani per risolvere i problemi degli Stati Uniti, ma come risultato del suo travolgente
dominio del panorama mediatico. I dati raccolti, in particolare quelli su la Repubblica e il
Corriere della Sera, possono far ipotizzare che sia avvenuto qualcosa di simile: la
brandizzazione di un Ministro dell’Interno che ha fornito, per oltre un anno, argomenti su cui
scrivere, per cui indignarsi, contro cui muovere l’opinione dei lettori. Per 223 volte in un anno,
infatti, Repubblica e Corriere hanno riportato una citazione testuale, dunque senza smentita, di
Salvini, sia che si occupasse di materie di sua competenza, sia nelle attribuzioni di altri
ministeri, sia che straripasse in esternazioni non idonee alla carica istituzionale ricoperta, fatte
proprio con l’intento di causare straniamento e, quindi, di essere ripreso sui media. Dunque, se
da un lato, i giornali accusavano Salvini di lucrare sulla paura dello straniero, dall’altro, si
potrebbe ipotizzare che queste testate abbiano lucrato sulla paura di Salvini. Questa strategia e,
di riflesso, la reazione della stampa hanno reso Salvini il brand di maggior valore sulla carta
stampata italiana.
Un altro aspetto fondamentale della comunicazione di Salvini è la quantità senza pari di eventi
di piazza nelle città italiane: sono state contate almeno 286 volte in cui Salvini si è affacciato
da un palco, dal giugno 2018 al maggio 2019. È, ovviamente, impossibile riuscire a condurre
un’analisi quantitativa sui discorsi pronunciati in cotanti eventi, poiché, da un lato, non molti
sono rintracciabili; dall’altro, rispondono, di volta in volta, a finalità diverse: elezioni
amministrative regionali e comunali, elezioni europee, adunate di partito e così via.
Ciononostante, per riportare almeno un carotaggio della retorica salviniana dal vivo, si è scelto
di analizzare in dettaglio la chiusura della campagna per le elezioni europee, il 18 maggio a
Milano. Il discorso di Matteo Salvini risponde piuttosto bene ai canoni del populismo
individuati nel Capitolo 1: innanzitutto, una vaghezza semantica di fondo, in cui non vengono
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mai definiti i confini delle idee espresse (i poteri forti, la finanza, le multinazionali); la
risemantizzazione di concetti (nella fattispecie, soprattutto l’estremismo; solitamente, il
buonsenso) e l’appropriazione strategia di figure storico-politiche (da Oriana Fallaci a papa
Francesco, da Galileo Galilei ad Alcide De Gasperi); il definirsi in negativo o direttamente
contro: il popolo leghista non è élite finanziaria, non ha rapporti con multinazionali, non ha
profitto dall’immigrazione. Un secondo tratto è la carica rivoluzionaria del discorso populista:
il momento elettorale, ciclico e istituzionale per definizione, diventa un referendum per lo
scardinamento dell’ordine costituito, tanto da richiedere un surplus di coraggio da parte del
cittadino-elettore. Poi, interviene la corporeità di una massa di persone accomunate dallo stesso
fine, che occupano uno spazio fisico, più volte ringraziate ed elogiate. A queste caratteristiche
se ne aggiunge un’altra: l’opposizione binaria e la divisione del mondo nella dicotomia noi-
loro. Chiaramente, in questo caso il noi ed il loro assumono significati cari al populismo di
destra: il noi popolo lavoratore e di buonsenso, il loro élite mondiale dei poteri forti; il noi
difensore delle tradizioni e delle radici culturali, il loro per la globalizzazione culturale e per il
meticciato.
Occorre menzionare, infine, l’uso strategico dell’abbigliamento, che sia una divisa di qualche
Corpo dello Stato o le celebri felpe con il nome della località in cui si trova. Mentre queste
ultime servono alla costruzione di un’immagine informale e da sottopancia didascalico, l’uso
della divisa delle forze dell’ordine risponde al gioco polarizzante tra i due significati possibili
da attribuirgli: viene, infatti, indossata per evocare nell’osservatore sicurezza e autorità,
generando una reazione mediatica tra chi si indigna, per il richiamo autoritario o per l’uso
improprio, e chi si esalta, perché desideroso di uno Stato basato su ordine e fermezza. E questo
genera dibattito, sui social network e sui media tradizionali, intanto le foto di Salvini si
diffondono, creando una notizia, ottenendo copertura dei media anche in casi in cui l’evento in
sé non avrebbe avuto rilevanza alcuna.
Capitolo 3 Storytelling
La retorica salviniana può essere analizzata come una storia individuando, in termini semiotici,
tre livelli: la struttura narrativa, cioè chi sono i protagonisti e quali obiettivi li muovono; il modo
in cui emerge dal discorso la relazione tra Salvini e l’elettore; come sono rappresentate le
passioni e le emozioni. Dunque, la comunicazione di Matteo Salvini può essere riletta alla luce
delle tecniche di storytelling. Innanzitutto, i primi due passi: l’introduzione di una formula
binaria, strumento di semplificazione che divide e contrappone il mondo fra un noi omo
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geneo e un loro avversario, e della personalizzazione della politica. Questi due primi strumenti
consentono di riassumere la complessità di una proposta politica nella voce di un solo uomo
che individua gli amici e i nemici della propria causa, invitando i primi, depositari della virtù,
ad accogliere una visione del mondo che viene continuamente confermata dall’evidenza della
vita quotidiana e che deve essere abbracciata in quanto il successo (elettorale) dell’Eroe Salvini
dimostra la bontà della visione stessa.
Questa opposizione binaria può essere riempita di molteplici significati a seconda della
situazione: la più ampia è la divisione tra chi prova sentimenti positivi verso l’Italia e chi,
invece, depreca il Paese. La seconda è sociale, tra immobili e mobilitati. La terza riguarda
l’economia nella vaga suddivisione tra i portatori di prosperità e i portatori di povertà. La
formula binaria però non è altro che il primo passo della concretizzazione dei ruoli attanziali
negli attori: la divisione tra buoni e cattivi, tra Soggetto, Destinante e Aiutanti contro
Antisoggetto, Antidestinante e Opponenti. Il Soggetto non può essere altri se non Matteo
Salvini, colui che detiene tutti gli elementi per rispondere ai bisogni dei propri adepti, in grado
di garantire il ristabilimento dell’ordine dopo la crisi, permette di far ritornare la sicurezza degli
individui come delle masse popolari e, complessivamente la salvezza di una vecchia identità
messa in pericolo dai nuovi avvenimenti. Destinante e Aiutanti si compenetrano e
sovrappongono a più riprese, in quanto è il popolo, la gente di buonsenso, gli elettori leghisti
che affidano il mandato all’Eroe e lo assistono quando si trova in pericolo; una borghesia
imprenditoriale che ha visto diminuito il proprio potere d’acquisto, spaventata da un futuro
possibilmente peggiore, nostalgica di un passato vissuto in uno status di privilegio sociale ed
economico e per la quale la questione migratoria viene declinata come sintomo di una crisi
senza fine oppure come espressione dei conflitti tra mondi diversi. Per quanto riguarda l’altro
lato della barricata, si trovano i poteri forti, le élite burocratiche che curano la regia dei mali
dell’Italia, a partire dall’invasione di immigrati. Questa oscura aristocrazia mondiale è
l’Antidestinante di una pluralità di Antisoggetti: in particolare, l’Unione Europea, il Partito
Democratico e le ONG. Anche la schiera degli Opponenti è piuttosto nutrita: vi trovano spazio
gli intellettuali, giornalisti, artisti e la Magistratura.
In merito all’analisi enunciazionale, Salvini si presenta come il Capitano, appellativo che
implica non una delega del potere previo consenso democratico, ma per imposizione, tutt’al più
per acclamazione verso una figura carismatica. Però, a questa rappresentazione autoritaria fa da
contraltare quella biografica, informale, quotidiana, empatica, imperfetta, che non nasconde le
emozioni e i vizi, ma li rivendica in quanto umani, mirata per connettersi con la quotidianità
dei pubblici. È, dunque, un approccio più umano e meno politico che restituisce un primus inter
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pares sicuro di sé, delle sue capacità e forte dell’appoggio dei suoi pari. Questi ultimi, infatti,
vengono spesso appellati come “amici”, che desiderano una vita fatta di piacevole e rassicurante
routine e che, soprattutto, possono liberarsi dal senso di colpa che li colpisce quando vorrebbero
meno stranieri e che quei pochi presenti vengano irreggimentati, perché non si tratta di
sentimenti xenofobi, ma di semplice buonsenso. E, dunque, si arriva all’ultimo livello: l’uso
delle passioni, sia quelle rappresentate che quelle suscitate. L’uso alternato di
indignazione/rabbia e di leggerezza/calma serve a gestire una comunicazione che propone
soluzioni estreme senza volerle mostrare come tali e tende a stimolare quelle passioni in grado
di innescare una reazione nel destinatario, di indurre le persone a voler risolvere in qualche
modo quella emozione, ad interessarsi e quindi a condividere, commentare, esprimere un like,
un anger o un love.
Lo spin doctor di Matteo Salvini, Luca Morisi, ha definito la propria strategia comunicativa
come la “formula TRT”, acronimo sciolto in Televisione-Rete-Territorio fisico. Questo trittico
è il campo di battaglia scelto per raggiungere la duplice identificazione tra leader e partito e tra
leader ed elettorato grazie ad una presenza mediatica e fisica costante. La strategia è retta da
alcuni principi: definire oculatamente i temi in agenda, spostandoli sulle proposte leghiste;
controllare l’agenda mediatica attraverso l’intervento forte, chiaro, immediato e su tutti i media;
distrarre i media nei momenti di vulnerabilità con esternazioni particolarmente radicali che
causano un vespaio di polemiche con opinionisti, giornalisti e politici di opposizione, spostando
l’attenzione su argomenti di nessun interesse per l’elettorato; l’onnipresenza mediatica e fisica
di Salvini; l’identificazione dei nemici, sempre nuovi, uno per ogni argomento, imponendo
all’opinione pubblica una scelta di campo polarizzata. Il veicolo con cui il messaggio fa breccia
nell’elettorato sono i frame, questi assolvono a tre funzioni: organizzare gerarchicamente i temi
per salienza nel dibattito pubblico; individuare le cause dei problemi e fornire possibili
soluzioni; attivare l’impegno individuale nel posizionarsi sulla linea polarizzata dei temi
politici.
Infine, vengono analizzati i pilastri che sostengono la strategia comunicativa. Il primo è la
capacità di lettura e di anticipazione dello Zeitgeist, cioè il clima ideale, culturale, spirituale che
si considera caratteristico di un’epoca: dopo la crisi economica del 2008, il sentimento avverso
all’ordine mondiale si è manifestato in gran parte dell’Occidente con l’ascesa dei partiti
cosiddetti populisti. Matteo Salvini si inserisce in questa schiera presentandosi come un politico
antisistema, antiestablishment, sovranista e statalista, che mobilita il suo popolo attraverso il
richiamo alle paure e alle ansie di perdere l’identità culturale e la preminenza sociale; a cui
aggiunge le caratteristiche personali di uomo comune ossessivamente mostrate sui social
127
network e in televisione, dove riesce a utilizzare un linguaggio comprensibile, a parlare per
esempi, ad unire performance attoriali convincenti a temi sentiti dagli spettatori. Il secondo è la
comunità e il continuo appellarsi ad essa. Salvini può, infatti, contare su una base di elettori,
seguaci, simpatizzanti e follower motivata e compatta che si fida ciecamente delle sue scelte e
approva la sua conduzione politica. Può, infatti, affidarsi al cosiddetto party on the ground, cioè
la struttura organizzativa del partito sul territorio, che, strutturata in anni di attivismo politico e
governo locale garantisce delle fondamenta solide all’azione del leader e risposte positive alle
call to action. Un ulteriore stimolo alla risposta è fornito dall’uso di un registro linguistico e di
scelte lessicali politicamente scorretti, che garantiscono l’effetto moltiplicatore del dibattito
polarizzato. Il terzo è proprio la polarizzazione: dividere il mondo in formule binarie, indurre a
identificarsi con uno dei due poli ed a contrapporsi all’altro. Il quarto è il vittimismo, cioè
l’inclinazione a presentare la propria azione politica come continuamente osteggiata da una
pluralità di figure. Il quinto è la provocazione, la sfida, l’invito alla lotta: le provocazioni
salviniane si muovono su un piano allusivo ed elusivo, senza mai chiamare in causa
direttamente gli avversari ma solo rendendoli presenti nel dileggio e nell’indifferenza. Questo
tipo di provocazione è perfettamente funzionale alla legittimazione della figura del Capitano.
Questo genere di azioni comunicative crea il terreno su cui si fondano: nella sfida il soggetto
sfidato è costretto a rispondere, e dunque pur perdendo la libertà di scelta ha la possibilità di
rifarsi vincendo il duello, nella provocazione allusiva il problema dello sfidato è che il suo
simulacro non è mai parte della comunicazione del provocatore, se non come allusione alla
figura del perdente. Colui che sente la provocazione ma che non viene sfidato non sa cosa
rispondere, non sa se deve rispondere. Non a caso molto spesso il suo reagire si risolve nel
balbettio inconcludente o nell’imitazione del provocatore, del suo linguaggio, dei suoi modi. Il
che dimostra che il provocatore ha già fondato un nuovo terreno. Il sesto ed ultimo è la retorica
del buonsenso con cui Salvini, non solo ammanta le proposte politiche più estreme per
smorzarne la carica xenofoba, ma si presenta agli elettori, in particolare in televisione, come
restauratore di una normalità ormai perduta e semplifica i problemi attraverso l’evidenza delle
soluzioni. Il riferimento agli immigrati, infatti, non comprende mai la generalità degli stranieri
in quanto tali, ma sempre una selezione dei peggiori presi a modello negativo per invocare una
sorta di rieducazione o di segregazione da estendere implicitamente agli altri. Così facendo, la
proposta di stampo razzista viene edulcorata, diventa argomentabile e giustificabile, perciò non
più stigmatizzata, ma annoverata come un’idea politica fra tante. Inoltre, il messaggio trasmette
una nostalgia in senso nativista verso un passato in cui le migrazioni erano un fenomeno
estremamente marginale e dominava l’omogeneità culturale ed etnica, un messaggio indirizzato
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all’elettorato razzista per ingraziarselo senza però ammettere esplicitamente il proprio
posizionamento e, quindi, infastidire gli ascoltatori che non colgono questa sfumatura di
significato. La retorica del buonsenso nasconde, sotto la forza dell’evidente, dell’ovvio e del
banale, proposte politiche o affermazioni tutt’altro che comuni, palesi e condivise, talvolta
propriamente irrealizzabili, che si reggono fragilmente su luoghi comuni e vulgate nazionaliste
raramente smentite dal sistema dell’informazione, che anzi ha sfruttato il tema immigrazione,
anche in relazione a Salvini, in modo sconsiderato.
Il processo di riposizionamento della Lega prende avvio quando Matteo Salvini viene eletto
segretario del partito e, colta l’incapacità di penetrazione nell’elettorato di proposte politiche
stantie, decide di attuare una svolta lungo due direttive: il riposizionamento del partito, da
autonomista a nazionalista, e la personalizzazione del messaggio. I temi che la vecchia Lega
Nord proponeva agli elettori padani vengono rielaborati per essere appetibili anche sotto al Po.
Intanto, il Nord scompare dai messaggi e dalle priorità della nuova Lega, mentre nasce nel Sud
il movimento gemello, Noi con Salvini, per rendere più digeribile il voto ad elettori
storicamente disprezzati dalla vecchia Lega Nord. La scala dell’avversario principale viene
ampliata: da Roma ladrona, il nemico diventa l’Unione Europea, fredda macchina burocratica
al servizio della finanza; dalla xenofobia indirizzata contro i non-padani vengono espunti i
cittadini meridionali; la battaglia per il federalismo o per l’indipendenza viene presto
dimenticata e con essa le vecchie amicizie con gli altri autonomisti europei; il modello di policy
diventano gli USA di Trump e la Russia di Putin, entrambi impegnati contro il disegno
istituzionale dell’Unione Europea. La frattura territoriale non viene abbandonata, ma allargata:
non Padania contro Italia, ma Italia contro Europa, o, in astratto, Stato contro organismi
sovranazionali. Salvini ha attuato una strategia di rebranding del partito, che comprende non
solo una offerta politica ricalibrata sul nuovo pubblico, ma anche la modifica del nome, del
logo e dei colori. L’operazione ha seguito varie tappe: innanzitutto, la scomparsa della parola
“Nord” dal nome; poi il colore. La Lega Nord era il partito con la più forte identità cromatica
tra i soggetti politici italiani: il verde era, ormai, tanto simbolico da diventare sinonimo di
leghista. Con Salvini, invece, cederà il passo al blu, colore utilizzato canonicamente dalla destra
europea, che diventerà egemone in particolare dopo la vittoria di Trump, che farà nascere anche
un nuovo logo. Per cogliere empiricamente se vi sia stato un riposizionamento verso Sud, si
può analizzare la nazionalizzazione del voto, cioè il processo di omogeneizzazione territoriale
del risultato elettorale. La Lega, dal 1992 al 2013, ha raggiunto livelli di nazionalizzazione più
bassi rispetto agli altri partiti politici, ma con le elezioni del 2018 ha subito un’inversione di
tendenza, raggiungendo livelli simili agli avversari, confermata alle elezioni europee del 2019.
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In definitiva, la Lega più che nazionale, è nazionalista. Infatti, da una parte, non si può ancora
parlare di un vero e proprio partito nazionale, in quanto, benché i voti raccolti dal Carroccio
siano quasi raddoppiati rispetto al 2018, non è mutata la distribuzione geografica; dall’altra,
però, un’espansione verso Sud è avvenuta, dove oltre il 20% dei votanti ha espresso una
preferenza verso la Lega.
Conclusione
L’obiettivo che si prefissava questo lavoro era comprendere l’importanza, l’efficacia dello
storytelling attraverso un caso di studio rilevante per più aspetti: il fenomeno Salvini, infatti, ha
destato l’interesse degli studiosi innanzitutto per gli aspetti politici: la crescita, rapida e da
posizioni di governo, di un partito populista di destra; poi è innovativo dal punto di vista
dell’impiego delle storie come strumento di consenso, non tanto per l’aggressività e la
pervasività della comunicazione, quanto per la consapevolezza e l’abilità investite nella
costruzione di un racconto coerente e apparentemente condivisibile, benché veicolo, di
semplificazioni, di sottotesti xenofobi e di letture falsate della realtà; inoltre, ha strappato il velo
di Maya su tutto il sistema dei contropoteri democratici, l’informazione, l’opposizione,
l’opinione pubblica, che, invece di assolvere al compito di controllo e di critica, hanno favorito
l’ascesa di Matteo Salvini. Ma ora occorre soffermarsi su alcune riflessioni. La prima riguarda
le pratiche di storytelling in sé. In Italia, l’uso delle storie è spesso vittima di due pregiudizi:
viene, infatti, banalizzato, ritenuto un contenitore privo di contenuto o veicolo di falsità. La
seconda riflessione è di metodo. È stato adottato un approccio semiotico poiché consente di
superare il piano dell’enunciazione, scavando nei livelli narrativo, enunciazionale, passionale,
fino a raggiungere i processi di significazione da cui emerge il senso. Ed è tramite questi che si
può comprendere come un’offerta politica così estrema sia riuscita a diffondersi quasi
incontrastata.
Ma, nonostante l’onnipresenza di Salvini nel dibattito pubblico, nella gran parte delle analisi è
mancata una visione che considerasse anche l’ambiente in cui i fatti sono avvenuti; sarebbe,
però, un errore o significherebbe lasciare l’analisi incompleta non comprendere il ruolo che
rivestono le interazioni con gli altri attori dell’ambiente, tutt’altro: solo trattando quest’ultimo
da elemento inscindibile del fenomeno, emerge il contributo fondamentale reso
dall’ecosistema.
In primo luogo, l’ecosistema politico non ha posto alcun ostacolo all’ascesa di Salvini per una
pluralità di motivi: innanzitutto, la presenza di una certa tradizione antipolitica che ha
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contraddistinto la storia della Repubblica. Poi il vuoto a destra nel mercato elettorale generato
dell’esclusione di Berlusconi dalla competizione elettorale. Inoltre, va menzionata anche la
fondamentale assenza di opposizione che, in crisi d’identità e incapace di offrire una narrazione
alternativa, ha cercato piuttosto un nemico contro cui compattare il proprio fronte. E ancora il
periodo di altissima volatilità del voto che l’Italia sta vivendo negli ultimi anni. In secondo
luogo, l’ecosistema mediatico. Carta stampata e televisione hanno ribaltato la propria funzione
di mediazione: invece che criticare sotto la lente del reale e del realizzabile la legittima visione
e interpretazione di parte del mondo offerta dagli esponenti politici, creano nuove distorsioni,
spesso funzionali al potere che dovrebbero controllare con occhio spietato. Aspetto culturale a
cui si aggiunge la congiuntura economica sfavorevole, la costante diminuzione dei lettori e delle
vendite, che inducono soprattutto i quotidiani a puntare su notizie dai risvolti sensazionalistici
e di sicuro interesse per la maggior parte del pubblico. Per quanto riguarda, invece, i new media,
questi sono un incolpevole mondo meccanicistico, che può subire uno sviamento del fine
originale di luogo di associazione virtuale, verso un grande laboratorio in cui analizzare gli
interessi e le preferenze del proprio pubblico, sperimentare la popolarità delle proposte, creare
un legame fittizio tra leader e follower, oltre ad essere usato come mezzo di comunicazione in
tempo reale per mantenere la propria presenza costante. In terzo luogo, l’ecosistema sociale in
cui le classi medie e ancor più quelle subalterne sono abbandonate ad un confronto impari con
un mondo globalizzato, tanto complesso da risultare incomprensibile. Un mondo senza confini
che lascia spaesati e senza punti di riferimento, dunque, più sensibili, finanche ben disposti ad
abbracciare nuove visioni che diano un senso all’incedere degli eventi, anche qualora
propongano come soluzione semplicemente di tornare indietro: alla vita comunitaria, in cui le
giornate trascorrevano all’interno di un rassicurante recinto sociale, tra volti e simboli dai
significati certi e condivisi.
Solo alla luce di questi tre ecosistemi si può comprendere il successo della strategia di Salvini.
Ha prima asservito un partito storico in declino alla sua causa. Ha proseguito il racconto
dell’invasione, l’ha smussato e rimodellato affinché non risultasse un rigurgito di razzismo, l’ha
semplificato e legato ad un oscuro disegno cosicché fosse possibile individuare i colpevoli
contro cui muovere guerra; in altre parole, ha scritto una storia credibile e coerente che fosse in
grado di dare fondamento ad ogni espressione di volontà politica. In questo modo, ha spezzato
la spirale del silenzio in cui giacevano i cittadini inquieti e ha fornito loro un nemico
immediatamente identificabile e una comunità di simili in cui sentirsi protetti. Ha ammantato
una proposta liminale al razzismo con la retorica del buonsenso, che riesce a decolpevolizzare
chi si trova d’accordo con tali posizioni, rendendo appetibili soluzioni altrimenti indicibili. Il
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tutto supportato e veicolato da una capacità personale di ottimo comunicatore, in grado di
risultare un uomo comune, empatico, concreto, imperfetto e, dunque, di generare
immedesimazione e fidelizzazione, dimostrando oltretutto una notevole capacità camaleontica.
A cui, solo dopo, si è aggiunto il contributo dello spin doctor Morisi che ha iscritto queste abilità
in una strategia dettagliata e che rispondesse meglio alle esigenze dei media: da una parte, sono
state approntate le tecniche per ingannare gli algoritmi che reggono i social network e per
raccogliere e monitorare le preferenze dell’elettorato; dall’altra, è stata perfezionata la figura di
Salvini per i media tradizionali, principalmente attraverso l’uso della provocazione.
Lo storytelling si rivela un’arma formidabile nelle mani di chi ne conosce i meccanismi e ne sa
sfruttare il potenziale: Salvini è riuscito, infatti, a creare una strategia integrata sul piano
politico, mediatico e comunicativo, a dare un significato favorevole alla sua causa ad ogni
avvenimento che gli offrisse la sponda, a far risultare credibile e coerente la sua immagine, ma
non si può prescindere dal contesto, che si è dimostrato acquiescente. In altre parole, il successo
della strategia nasce proprio dall’incontro tra lo storytelling e la realtà, quando quest’ultima
forniva episodi che confermassero la veridicità della storia, come nei casi in cui Salvini ha
impedito, a favore di telecamera, lo sbarco di immigrati sul suolo italiano.
L’esperienza governativa di Salvini si è però conclusa in modo inaspettato e rocambolesco. I
motivi di questa svolta restano confusi, contraddittori, non soddisfacenti. Però si proverà
comunque a formulare qualche congettura. La prima poggia su ragioni politiche: innanzi
all’imminente scrittura della legge finanziaria, in cui sarebbero state disattese, o rimandate di
un altro anno, le mirabolanti promesse, è stato preferito uscire dai luoghi di responsabilità, così
da lasciare ad altri l’incombenza di deludere l’elettorato. La seconda ipotesi avanza ragioni
psicologiche: Salvini, colto dall’ebbrezza della popolarità, convinto dell’onnipotenza con cui
veniva dipinto, che lui stesso si attribuiva e che, forse, agognava, ha iniziato a credere alla storia
che lui stesso raccontava e, mal consigliato dai suoi consulenti, abbia percorso questa forzatura
per ottenere un ruolo ritenuto più adeguato: la presidenza del Consiglio dei ministri a capo di
una maggioranza più omogenea. La terza ipotesi, invece, propone ragioni di cultura
istituzionale: assente, sia se declinata come competenza sui meccanismi che reggono la
Repubblica, sia se interpretata come rispetto delle istituzioni. Nel primo caso, Salvini avrebbe
ignorato che lo scioglimento delle Camere e la conseguente indizione di nuove elezioni sono
poteri attribuiti al Presidente della Repubblica. Nel secondo caso, invece, Salvini avrebbe
asservito la sua funzione pubblica agli interessi particolari di partito, preferendo l’apertura di
una fase di crisi e instabilità, con tutte le ricadute del caso anche sul piano finanziario, nel Paese,
piuttosto che assumersi le onerose responsabilità di governo, con possibili ripercussioni sul
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consenso, ben consapevole che non si sarebbe andati al voto, così da crearsi un nuovo
posizionamento nel poter accusare, da una parte, di tradimento e immobilismo il Movimento
Cinque Stelle e, dall’altra, di potersi cucire l’immagine di vittima di un sistema che impedisce
alla Lega di stare nelle stanze del potere. Così da presentarsi alle elezioni politiche prossime
venture con un nuovo storytelling, rinverdito dagli anni – o mesi, chissà quanto longeva sarà la
legislatura – di opposizione e incolpevole di ogni fallimento, vero o inventato, della
maggioranza composta da Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico. Una strategia a
lungo termine che farà largo affidamento sulla debolezza della memoria collettiva, sul
fallimento dell’esperienza giallorossa e sulla capacità di costruire una nuova storia.