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LA SPERIMENTAZIONE BIOMEDICAtra progresso scientifico e tutela della persona

Napoli, 2 - 3 - 4 Dicembre 2009

Atti del Congresso pp. 264; 24 cm

ISBN 978-88-96680-67-4 Grafica Elettronica srl

Coordinamento scientificoComitato Etico per le Attività Biomediche

Comunicazione visiva e graficaDEflA organizzazione eventi

StampaTipografia Rodolfo Bartolotta srl

dicembre 2010

© 2010 by Comitato Etico per le Attività BiomedicheSede:

Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza SocialeUniversità degli Studi di Napoli federico II

80131 Napoli, Via S. Pansini, 5tel./fax +39 081 7463468

Proprietà letteraria e artistica riservata

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Presidente Prof. Claudio Buccelli

AulA MAgnAfacoltà di Medicina e Chirurgia

Università degli Studidi Napoli federico II

Via S. Pansini, 5

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prefazione Claudio Buccelli 9

2 dicembre 2009 11

25 ANNI DI ATTIvITà DEL COMITATO ETICO PER LE ATTIvITà BIOMEDIChE DELL’UNIvERSITà FEDERICO II Claudio Buccelli 15

LA PARTECIPAZIONE DELLE PERSONE ALLA SPERIMENTAZIONE: DALLA DOvEROSITà ALLA DISPONIBILITà SOLIDARISTICA Antonio G. Spagnolo, Roberta Minacori 25

ThE APPLICATION OF ThE UNIvERSAL DECLARATION ON BIOEThICSAND hUMAN RIGhTS TO SOME CONCRETE PRACTICAL ISSUES Antonio Piga Rivero, Miroslava Vasinova 38

QUALE FUTURO PER I COMITATI ETICI? Pier Enrico Gallenga, luisa Borgia 42

3 dicembre 2009 PRIMA SESSIONE profili generali 53

COMMITTEES FOR RESEARCh EThICS AS SUPPORT FOR PATIENTS’ SECURITY IN CLINICAL EXPERIMENTS Povl Riis 55

IL CONTRIBUTO DELLA SPERIMENTAZIONE ALL’EvOLUZIONE DEL SAPERE MEDICO Renzo Pegoraro 59

LA SPERIMENTAZIONE TRA NORME GIURIDIChE E REGOLE DEONTOLOGIChE lorenzo Chieffi 69

LA FUNZIONE DEI COMITATI ETICI NEL PERCORSO SPERIMENTALE Adelaide Conti 73

LE PROSPETTIvE DELLA RICERCA CLINICA IN ITALIA Maurizio Agostini 77

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3 dicembre 2009 SECONDA SESSIONE profili operativi (i parte) 83

IL RAPPORTO COMUNICATIvO E COLLABORATIvO TRA SPERIMENTATOREE PAZIENTE Tonino Aceti 85

LA TUTELA DELLA PRIvACY NEL PROCEDIMENTO SPERIMENTALE.LE PECULIARITà DELLA SPERIMENTAZIONE GENETICA Pier luigi De Rosa 88

LA vALUTAZIONE CIRCA LA SCIENTIFICITà DEL PROTOCOLLO SPERIMENTALE E LA IDONEITà DELLE STRUTTURE E DEGLI SPERIMENTATORI Salvatore Caruso 92

LE CONDIZIONI PER L’IMPIEGO DEL PLACEBO NEL DISEGNO SPERIMENTALE luigi Saccà 100

L’ANALISI DEGLI EvENTI AvvERSI Gianfranco Di Renzo 106

DANNO DA SPERIMENTAZIONE E COPERTURA ASSICURATIvA Sergio Sgambetterra 109

3 dicembre 2009 SESSIONE PARALLELA comunicazioni sui temi del convegno AulA CArlo roMAno 119

RIFLESSIONI SULLA SPERIMENTAZIONE CLINICA IN OMEOPATIA Giovanna Ricci, Nunzia Cannovo 121

UN ANNO DI ATTIvITà DEL COMITATO ETICO-SCIENTIFICO DELL’A.O.R.N.“v. MONALDI”: PROBLEMATIChE EMERSE E POSSIBILI SOLUZIONI Antonello Crisci, Mariaroberta Gregorini, francesco De Micco, Antonella Masullo 126

ThE PRINCIPLE OF vULNERABILITY: BETWEEN BIOEThICS AND hUMAN RIGhTS luigi Huober 130

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ChI SONO I BIOETICISTI E QUAL È IL LORO RUOLO? Carmine Alvino, Maria Grazia De Roma, Rosa luciano, Angelantonio Alvino 135

LA METODOLOGIA GRADE PER LA vALUTAZIONE DEI NUOvI BENI SANITARI f. Rubba, N. Rocco, C. Rispoli, l. Quagliata, E. Giancotti, M. Triassi, S. Panico 137

LA PRESCRIZIONE OFF-LABEL IN DERMATOLOGIA Cataldo Patruno, Nicola Balato, Orlando Zagaria, fabio Ayala 144

PERCORSO FORMATIvO PER RESPONSABILI LOCALI DELLA RICERCA: FORMAZIONE IN BIOETICA NELLA RICERCA E NEL PERCORSO CLINICO ASSISTENZIALE - UN NUOvO MODELLO PER LA RICERCA V. fabiano, P. Quattrocchi, P. Pasqualetti, M.T. Iannone 145

IL CONSENSO ALLA CURA NEL MALATO DI ALZhEIMER Anna Carotenuto, Maria luisa Aiezza, Angiola Maria fasanaro, francesco Amenta 146

SPERIMENTAZIONE FARMACOLOGICA ED EvENTI AvvERSI: vALUTAZIONE DEL SISTEMA DI IDENTIFICAZIONE DEL SEGNALE D’ALLARME P. Carta, C. Chillotti, E. Stochino, f. ligas, A. Deidda, M. Del Zompo 147

3 dicembre 2009 SESSIONE PARALLELA discussione itinerante dei poster 149

STATISTICA NELLA RICERCA MEDICA NO-PROFITFALLACIE NEL RAGIONAMENTO NUMERICO Vincenzo Avagliano, filomena Barbato, francesco langella, Giuseppe Quaremba 151

INDAGINE CONOSCITIvA SULLA PRESENZA DEGLI INFERMIERI NEICOMITATI ETICI Maria Cannovo, fabrizio Nizi 155

ASSICURAZIONE E SPERIMENTAZIONE CLINICA Nunzia Cannovo, Danila faillace, loriana Paciello 171

IL FARMACISTA TERRITORIALE Rosaria Cannovo, Santilla Barr, Alessandro Iacono 172

LA SPERIMENTAZIONE NO PROFIT: ESPERIENZA DEL COMITATO ETICO PER LE ATTIvITà BIOMEDIChE DELL’UNIvERSITà FEDERICO II Serena de Chiara, Maria Cioce, Nunzia Cannovo 175

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UNA RIFLESSIONE FILOSOFICA SULLA SPERIMENTAZIONE CON ESSERI UMANI. LA DIChIARAZIONE DI hELSINKI A CONFRONTO CON L’ARTICOLO DI hANS JONAS“PhILOSOPhICAL REFLECTIONS ON EXPERIMENTING WITh hUMAN SUBJECTS” Isotta Burlin, Nunzia Cannovo 176

I DIRITTI UMANI E I PRINCIPI AI QUALI ESSI SI RIFERISCONO SONO DEFINITI UNIvERSALI luigi Huober 188

3 dicembre 2009 TERZA SESSIONE profili operativi (ii parte) 195

SPERIMENTAZIONE ED “USO COMPASSIONEvOLE” DI FARMACI Antonio Galluccio 197

LA SPERIMENTAZIONE SULLA NON INFERIORITà DEI FARMACI Ciro Gallo 202

LA vALUTAZIONE DEGLI STUDI OSSERvAZIONALI laura Guidoni 207

L’INTERPRETAZIONE E L’UTILIZZAZIONE DEI RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE Dell’Erba Alessandro, frati Paola, Gasbarro Annarita, Solarino Biagio 212

3 dicembre 2009 TAvOLA ROTONDA i comitati etici tra dilemmi morali e prescrizioni normative 219

MEDICO-PhARMACEUTICAL FORENSIC REPORTS FOR ALLEGED RESPONSIBILITYFOR MEDICINE’S INDUCED PSYChO-ORGANIC INJURIES Mª Teresa Alfonso Galán 221

IL RUOLO DEL MONITORAGGIO DEI COMITATI ETICI A TRE ANNI DALL’AvvIO DEL “PROGETTO AIFA PER LA QUALITà DELLE SPERIMENTAZIONI A FINI NON INDUSTRIALI” luisa Borgia, Massimo M.G. Di Muzio 229

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IL COMITATO DI ETICA DELLA EX ASL SALERNO 1. PRIMA ESPERIENZA ITALIANA DI CERTIFICAZIONE DI QUALITà DEL SISTEMA DI GESTIONE Piucci B., Ceruso C., Maiorino C., Parente l., Di Munzio W., De Martino D., Benevento f., De Masellis G., Iannotti M., Iannuzzi A., Pica M., Raiola V., Siani R. 231

SPERIMENTAZIONI CLINIChE NO-PROFIT: IMPATTO DEL D.M. 21 DICEMBRE 2007SUI TEMPI PER L’OTTENIMENTO DEI PARERI DAI COMITATI ETICI INDIPENDENTI E PER L’ATTIvAZIONE DEI CENTRI PARTECIPANTI G. De feo, f. falasconi, A. Del Giudice, f. Romano, G. Canzanella, f. Crudele, G. de Matteis, A. Savio, J. Bryce, M.C. Piccirillo, M. Di Maio, A. Morabito, f. Perrone 235

L’OSSC: DA REGISTRO SULLE SPERIMENTAZIONI CLINIChE... A SOFTWARE DI WORK-FLOW E STRUMENTO A SUPPORTO DELLE ATTIvITà DEL COMITATO ETICO Giulio Contino 237

4 dicembre 2009 SESSIONE SPECIALE TAvOLA ROTONDA vantaggi, limiti e prospettive della ricerca clinica indipendente sui farmaci 239

RICERCA CLINICA SPONSORIZZATA: BIAS NEL DISEGNO, CONDOTTA E PUBBLICAZIONE DEI RISULTATI Silvio Garattini 241

L’AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO (AIFA) QUALE PROMOTORE DELLA RICERCA CLINICA INDIPENDENTE lucia Masiero 248

QUALI PROSPETTIvE LEGISLATIvE PER LA RICERCA INDIPENDENTE IN ITALIA? Giuseppe Palumbo 255

COMITATO ETICO PER LE ATTIvITà BIOMEDIChE “CARLO ROMANO”(COMPOSIZIONE 2010-2013) 264

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Claudio BuccelliPREFAZIONE

la sperimentazione è la matrice vitale del progresso della medicina.

Quella sui farmaci - quota numericamente più consistente - si compie quasi da un

ventennio in una trama di garanzia per i pazienti sempre più fitta di norme giuridiche

che, tuttavia, a ben vedere, pur rigorosa non è né rigida né definitiva in quanto

per larga parte informata a principi etici di respiro internazionale incessantemente

oggetto di riflessioni rifinitorie destinate ad approdare a soluzioni cangianti nel tempo:

la Dichiarazione di Helsinki ha mitigato sostanzialmente alcuni aspetti del Codice

di Norimberga e le ultime sue revisioni ne hanno mutato talune iniziali posizioni,

al punto da non esserne univoco il riferimento dei maggiori organismi di controllo

istituzionale delle ricerche biomediche statunitensi.

Di qui spazi ancora straordinariamente ampi per un proficuo dibattito etico su

principi, metodi, finalità e garanzie della sperimentazione non solo clinica.

I Comitati etici (se ne contano ad oggi 271 in effettiva attività nel nostro paese)

vivono quotidianamente nel loro ruolo di interpreti applicativi per la ricerca il

disagio decisionale relativo a contesti legislativi non sempre appaganti, vuoti

normativi su argomenti meritevoli invece di urgenti quanto coraggiose discipline

regolatorie, principi valoriali in ambito etico-deontologico passibili - per l’esperienza

sin qui acquisita - di utili ulteriori puntualizzazioni. In tale ottica appare sicuramente

opportuno un confronto tra i protagonisti della ricerca sperimentale per definire

in misura aggiornata e responsabile il punto di equilibrio tra la doverosa, attenta

tutela di valori e diritti delle persone con le quali si fa ricerca e le ineludibili

esigenze del progresso sperimentale, per trarne spunti non solo attuativi per una

condivisibile, corretta impostazione dei protocolli di ricerca ed una auspicabile

uniformità di comportamenti decisionali dei Comitati etici, ma anche propulsivi

verso nuove impostazioni normative che tengano conto delle esperienze

problematiche ad oggi maturate in riferimento agli aspetti di eticità delle ricerche,

parte stessa della loro scientificità ed accettabilità per la persona.

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2 DICEMBRE

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25 ANNI DI ATTIvITà DEL COMITATO ETICO PER LE ATTIvITà BIOMEDIChE “CARLO ROMANO” DELL’UNIvERSITà DEGLI STUDIDI NAPOLI FEDERICO II

Claudio BuccelliDipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale - Sezione di Medicina Legale- Università degli Studi di Napoli Federico II

Il Comitato etico è “un organismo indipendente, composto da personale sanitario e non, che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti e del benessere

dei soggetti in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di tale tutela…”D.Lgs. 200/07

LA STORIAIl Comitato Etico (inizialmente denominato Commissione Etica) dell’Università degli Studi di Napoli federico II nasce con pochi altri CE italiani, a metà degli anni ’80 (Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano; Policlinico Gemelli - Università Cattolica di Roma; Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova; Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Ospedale San Raffaele di Milano).In particolare deriva dalla “Commissione etica unificata per i diritti del malato e per la sperimentazione sul malato”, che ha operato sin dall’ottobre del 1985 nell’ambito della sperimentazione farmacologica.la presiedeva il Prof. Carlo Romano e vi afferivano illustri docenti di facoltà quali Mario Condorelli, francesco Rinaldi, Adriano Marino, filippo Ciccimarra, Salvatore Torre.Con i primi sviluppi delle normative in materia di sperimentazione clinica la Commissione si risolse in Comitato Etico per la valutazione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali che, sin dall’inizio presieduto dal Prof. Claudio Buccelli, si organizzò progressivamente in riferimento ai complessi compiti che si andavano delineando prioritariamente nell’ambito della ricerca farmacologia, come evidenziato dalla tabella riassuntiva della normativa vigente (tab. 1).

Norme per la sperimentazione con farmaci (31)(http://oss-sper-clin.agenziafarmaco.it/normativa.htm)

D. lgs.: 2 D.P.R.: 1 D.M.: 22 Circolari ministeriali: 3 D. Dir.: 1 Det. AIfA: 2 D.P. dell’ISS: 1 Abrogati: 5

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Norme relative a dispositivi medici, radiofarmaci e materiale genetico (6)

D.lgs.: 4 D.M.: 1 Circolari ministeriali: 1

Norme diversamente attinenti alla conduzione di uno studio sperimentale (8) D.lgs: 2 Direttive europee: 6

Direttive EMEA: innumerevoli

Tab. 1

la sua istituzione fu ufficialmente sancita con D.R. n. 11724 del 29/11/94 e ve ne furono rinnovi nel 1997 e nel 1999.Dal 2002 afferisce al Polo delle Scienze e delle Tecnologie per la Vita, che in tal modo ne diventa organo istitutore e da allora, approva il relativo regolamento di funzionamento con successive modifiche e nomina i componenti del Comitato su proposta del Consiglio della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università federico II di Napoli. la composizione del Comitato è rinnovata ogni triennio. Il numero complessivo dei membri si è modificato nel tempo come indicato in tab. 2.

La composizione del Comitato etico Componenti triennio 1994-97: 22 Componenti triennio 1997-00: 22 Componenti triennio 2000-03: 19 Componenti triennio 2003-06: 19 Componenti triennio 2006-09: 20 Componenti triennio 2010-2013: 25

Tab. 2

Nello stesso anno, in sede di revisione del regolamento di funzionamento, la denominazione del Comitato Etico è cambiata in quella di “Comitato Etico per le attività biomediche” (C.E.), quale segnale della più ampia disponibilità al coinvolgimento negli aspetti etici della prassi assistenziale.Nel 2006, a seguito del necessario adeguamento del regolamento alla sopravvenuta normativa (D.M. 12 maggio 2006) circa i requisiti minimi per la costituzione di un comitato etico, si è proceduto alla ricostituzione del Comitato con aumento dei membri dello stesso (attualmente 23 componenti).

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Dal 2007 il Comitato, attraverso la stipula di convenzioni sottoscritte dal Presidente del Polo delle Scienze e delle Tecnologie per la Vita, svolge la propria attività di valutazione dei protocolli di ricerca anche per la Casa di Cura “Villa Julia” di Avellino, il CEINGE- Biotecnologie Avanzate di Napoli. Nello stesso anno ha stipulato definitiva convenzione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria federico II, per la quale, peraltro, erano comunque stati esaminati i protocolli di sperimentazione dei ricercatori di facoltà.Con Delibera del 18 marzo 2010 del Consiglio del Polo delle Scienze e delle Tecnologie per la Vita ha assunto il nome di Comitato Etico per le attività biomediche “Carlo Romano”, ia perenne ricordo ed in onore del suo fondatore.Nel giugno 2010 ha stipulato anche una convenzione con il Centro Interuniversitario per la Ricerca in Bioetica (CIRB), soprattutto per formazione e ricerca nell’ambito della bioetica clinica.Il Comitato Etico si è dato, sin dall’inizio della sua attività, uno specifico regolamento (già in più momenti aggiornato) nel quale vengono chiaramente esplicitati obiettivi e procedure operative. In riferimento ai primi, si ritiene rilevante evidenziare che il Comitato Etico formula pareri (anche vincolanti nei casi previsti dalla normativa vigente), suggerimenti, proposte e promuove ricerche ed incontri di studio sugli aspetti etici connessi alle attività biomediche, con particolare riguardo:

• alla ricerca biomedica e chirurgica, con specifico riferimento alla sperimentazione clinica, farmacologica e non, ed alla sperimentazione genetica;

• al trattamento del paziente in condizioni terminali, specie con riguardo all’impiego delle tecniche di sostegno vitale;

• all’assistenza del paziente affetto da malattie a prognosi infausta;• alla prestazione di cure palliative, con particolare riguardo al trattamento del dolore

severo;• al trattamento dell’infermo di mente e del paziente minore di età;• all’assistenza del paziente in età geriatrica, anche non autosufficiente;• al trattamento del tossicodipendente;• alla gestazione, al parto ed alla fase neonatale, alla procreazione assistita ed alle varie

forme di interruzione volontaria della gravidanza;• ai trapianti di organi da vivente e da cadavere, con specifica attinenza all’accertamento

della morte del donatore;• all’esercizio della medicina predittiva;• all’impiego della terapia genica;• all’utilizzazione di pratiche terapeutiche non convenzionali;• agli atti di autodeterminazione della persona nel campo sanitario, compreso il rifiuto delle

terapie;• al rapporto medico-paziente, anche alla luce della vigente normativa deontologica;• al rapporto paziente-struttura sanitaria, anche nella prospettiva delle risorse finanziarie

disponibili;• alla sicurezza ed all’igiene ambientali.

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L’ATTIvITà vALUTATIvA DEI PROTOCOLLI DI RICERCAIl Comitato Etico ha un’intensa (tab. 3) attività valutativa (istituzionale) distribuita per numerose aree terapeutiche (tab. 4).

Attivià valutativaPeriodo: 1994 al 2009 (1 dicembre):

Protocolli sperimentali esaminati n. 1899; Protocolli approvati dopo richieste modifiche: n. 942 Studi non approvati n. 22 Emendamenti esaminati: n. 538 Riunioni: n. 212 Comunicazioni di eventi/reazioni avverse n. 833;Comunicazioni (ricercatori/promotori):6415, ricevute, 5880 spediteComunicazioni on-line n. 7556 (gennaio 2005/dicembre 2009)

Tab. 3

Il Comitato Etico si riunisce, di norma, 2 volte al mese (con pausa limitata al solo mese di Agosto).Valuta gli aspetti etici e scientifico-metodologici dei protocolli sperimentali sottoposti al suo vaglio al fine prioritario di garantire benessere, dignità, sicurezza, autodeterminazione e riservatezza delle persone coinvolte nelle sperimentazioni cliniche.la valutazione dei protocolli sperimentali è compiuta nell’osservanza della normativa vigente e dei princìpi fissati nella Dichiarazione di Helsinki e successivi emendamenti, della Convenzione di Oviedo e dei suoi protocolli addizionali, delle norme della buona pratica clinica, delle Raccomandazioni e linee guida degli Organismi internazionali, comunitari e nazionali operanti nei settori biomedico e bioetico, delle linee guida aggiornate dell’Agenzia Europea per la valutazione dei medicinali in tema di valutazione dell’efficacia delle sperimentazioni cliniche, nonché del codice di deontologia professionale.Inoltre, il CE ha individuato dei requisiti minimi dei protocolli di ricerca su cui porre particolare attenzione ai fini della loro approvazione, quali: piena sintonia con le raccomandazioni previste da fondamentali documenti e dai codici etico-deontologici nazionali ed internazionali; finalità di conseguimento di importanti avanzamenti nella conoscenza scientifica; rapporto rischi/benefici adeguatamente proporzionati; informazione completa ed adeguata per le persone che partecipano alle sperimentazioni; rispetto dell’equità, della elezione, dei criteri di inclusione; accuratezza scientifica del progetto di ricerca; qualificazione adeguata dello staff degli sperimentatori; idonea copertura assicurativa.

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Ad integrazione di quanto sinteticamente prospettato in tab. 3 può precisarsi che dei 1899 protocolli esaminati il 71,5% prevedeva la presenza di uno Sponsor/Promotore; il numero di progetti di ricerca respinti è obiettivamente contenuto (22) in relazione alla intensa attività di suggerimenti di correttivi realizzata dal Comitato, che è intervenuto con richieste ed indicazioni di modifica in ben il 40% dei protocolli esaminati.Dal 1998 al 2004 sono stati emessi anche n. 64 giudizi di notorietà (soppressi dal 2003). l’analisi per tipologia dei protocolli di ricerca evidenzia una prevalenza di sperimentazioni multicentriche (circa 75%), delle quali in circa l’8% dei casi il Centro Coordinatore afferisce all’Università federico II. Nel 2006 si è verificato un apprezzabile incremento degli studi monocentrici (passati a circa il 40%) per un complessivo aumento dell’attività di ricerca degli sperimentatori di facoltà. la valutazione dei protocolli sperimentali, realizzatasi nelle 212 riunioni effettuate, ha richiesto il ricevimento della documentazione relativa a ciascuno studio, la nomina di 2 discussant (relatori e correlatori) per singolo protocollo, la predisposizione dei relativi ordini del giorno, la verbalizzazione delle riunioni e per ciascuno studio e con le osservazioni sviluppatesi, l’invio di varie comunicazioni interlocutorie a sperimentatori e promotori, la stesura dei pareri e la trasmissione degli stessi agli interessati, la comunicazione dei pareri alla Direzione Sanitaria, l’aggiornamento dei dati sull’Osservatorio Nazionale per la Sperimentazione clinica. Alle riunioni ordinarie vanno aggiunte alcune straordinarie, con convocazione talora ad horas, per la valutazione di somministrazione di farmaci ad uso compassionevole (ex DM 8 maggio 2003).

Tab. 4

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A ciò va aggiunto il lavoro di assistenza svolto, nei confronti degli sperimentatori e non infrequentemente anche dei promotori, sia dai componenti (relatori e correlatori) del Comitato Etico sia dall’Ufficio di Segreteria dello stesso, per favorire il corretto approntamento del materiale documentale relativo alla richiesta di valutazione dei protocolli.Va anche detto che per la ricerca indipendente il Comitato Etico stanzia annualmente una somma -superiore a quella prevista per norma calcolata in base al numero di pareri unici rilasciati dal Comitato Etico aggirantesi intorno all’8% - pari al 15% degli importi acquisiti per l’attività istruttoria espletata.

L’ATTIvITà CONSULTIvAÈ altresì previsto che, ove non già attribuita a specifici organismi, il Comitato Etico può svolgere anche una funzione consultiva in relazione a questioni etiche connesse con le attività scientifiche e assistenziali, allo scopo di proteggere e promuovere i valori della persona umana. A tal fine è istituita, nell’ambito del Comitato, una commissione permanente per l’effettuazione di consulenze etiche urgenti per l’Azienda Ospedaliera Universitaria e la facoltà di Medicina e Chirurgia.In tale contesto il Comitato Etico ha, negli anni, assunto un ruolo per pareri e collaborazioni in tema di difesa e promozione dei principi etico-deontologici nella prassi medica. Tale funzione concorre, opportunamente e consequenzialmente, alla realizzazione dell’attività formativa. Nel corso della sua attività, il Comitato Etico ha pertanto elaborato pareri, espressi e diffusi in forma di documenti - anche per sua uniformità per uniformità di comportamenti futuri- su argomenti di particolare complessità o delicatezza etica, in tema di:• impiego del placebo, del run-in e del wash-out in sperimentazione;• aspetti assicurativi dei protocolli di ricerca;• consenso informato per gli incapaci nella prassi sia sperimentale che clinica;• eventi avversi ed eventuale assunzione di nuovi consensi informati;• ricorso alla Terapia Elettroconvulsivante;• studi clinici con costituzione di banca dati sul DNA ;• uso compassionevole dei farmaci;• radioprotezione e studi sperimentali;• sperimentazione clinica con i minori;• trapianto di cellule staminali per terapia embrio-fetale;• responsabilità nella sperimentazione clinica;• inizio della rianimazione e prosieguo delle cure in neonati altamente prematuri.

L’ATTIvITà FORMATIvAIl Comitato Etico ha inteso realizzare la propria attività, parallelamente a quella istituzionale di valutazione dei protocolli sperimentali, secondo le seguenti direttive:• concorso alla crescita formativa degli sperimentatori (mediante riunioni e corsi di

aggiornamento);• attività di elaborazione di pubblicazioni scientifiche e di organizzazione di congressi del

Comitato;

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• partecipazione del Presidente e di altri Componenti a convegni, meeting e riunioni su argomenti di etica medica;

• promozione e sostegno economico per convegni organizzati da organismi no-profit su tematiche etico-deontologiche;

• collaborazione alla conduzione del corso di “bioetica clinica e progresso medico” agli studenti del primo anno del corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia;

• collaborazione ad iniziative di facoltà per la diffusione della sensibilità etica.

I convegni direttamente organizzati dal Comitato Etico sono ad oggi 2: il primo nel 2008, sul tema: “Comunicare in Medicina” ed il secondo nel 2009 (oggetto di presentazione) sul tema: “la sperimentazione biomedica tra progresso scientifico e tutela della persona”. Entrambi sono stati connotati da respiro internazionale (tra gli ospiti il Prof Piga ed il Prof Carmi dell’UNESCO), ed hanno avuto un obiettivo consistente riscontro in termini di partecipazione (si sono superate le mille unità). È in fase di organizzazione il terzo congresso, relativo a “la sperimentazione biomedica tra progresso scientifico e tutela della persona”, in programma dal 15 al 17 dicembre 2010.I Convegni hanno ottenuto il patrocinio morale dell’UNESCO, nonché della SIMlA, del CNB, del SISMlA, della Provincia di Napoli, del Comune di Napoli e della Regione Campania. Nell’attività di supporto alla realizzazione di altri eventi, si ricordano le “Giornate Scientifiche del Polo delle Scienze e delle Tecnologie per la Vita”; il Convegno “I Giovani e le malattie sessualmente trasmissibili” e quello su “la Vita che dà vita: il prelievo delle cellule da cordone ombelicale”.Ulteriori specificazioni meritano la partecipazione con contributi scientifici, di membri della Segreteria e del Comitato a diversi incontri di studio internazionali e nazionali in tema di aspetti etici delle sperimentazioni cliniche, tra cui: 1) Congresso Internazionale “REC, facing the future together”. Bruxelles, 26-27/1/05. Questo evento è stato caratterizzato dalla partecipazione di rappresentanti dei Comitati etici dei 25 paesi membri dell’Unione Europea e dei paesi aderenti all’ERA, con analisi dei diversi aspetti della gestione dei Comitati etici.2) “Copenhagen Summer School for Research Ethics”. Copenhagen, 27/6 - 1/7/05.A tale evento, promosso da finn Kamper-Jørgensen, direttore dell’Istituto Nazionale Danese di Salute Pubblica e Presidente del Comitato Nazionale Danese di Etica nella Ricerca Biomedica, si è partecipato in rappresentanza dell’Italia. 3) “EU Ethics Conference”. londra, 27-28/10/05.Vi hanno partecipato i rappresentanti di 14 Stati Membro dell’UE. Il Comitato Etico è stato invitato a farsi promotore per l’Italia dell’introduzione di una banca dati europea per le sperimentazioni cliniche.4) Congresso Internazionale: “Genomics & Public Health. 4th International DNA Sampling Conference”. Montreal, 4-7/7/06.Il Comitato Etico dell’Università federico II era in rappresentanza dei Comitati Etici italiani.5) XX Congresso dell’Accademia Internazionale di Medicina legale. Budapest, 22 - 26/8/06. 6) “Teacher Training Course”. Kenya, 9- 13/7/07.Il corso è stato organizzato dalla Division of Ethics of Science and Technology, Sector for Social

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and Human Sciences dell’UNESCO. Il Comitato Etico vi ha preso parte in rappresentanza europea ed è stato inserito nella Banca dati dell’UNESCO degli organismi che si occupano di bioetica.7) Convegno nazionale sugli studi No profit. firenze, 10 /3/06.8) “Dispositivi medici e sperimentazione clinica. Corso per i referenti dei comitati etici”. Roma, 12-13/10/06.Il Corso è stato organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità. 9) XXIInd European Conference on Philosophy of Medicine and Health Care. Tartu, Estonia, 22/8/08. 10) International Conference on Bioethics Committees in Hospitals. UNESCO Chair in Bioethics. Zefat, Israel, 19 maggio 2009.

la collaborazione al corso di “Bioetica clinica e progresso medico” corso, iniziato nel 2004 e coordinato dal Presidente del Comitato Etico, nella sua qualità di docente di medicina legale, si propone di fornire agli studenti del I anno di medicina un primo approccio agli elementi fondamentali della bioetica; con l’intervento anche di docenti non medici quali filosofi e giuristi) intende di stimolare in chi si forma all’esercizio della professione medica capacità di risposte comportamentali non solo tecniche ma anche improntate a conoscenze di valori e principi morali per la tutela e il rispetto del primato dell’uomo sulla logica anonima delle tecno-scienze. Il corso è parte integrante del core curriculum degli studi e si conclude con verifica finale di rendimento. Consiste in 40 ore didattiche con 20 docenti, che presentano casi reali e propongono loro esperienze diretteI docenti afferenti al Comitato Etico o ad altri organismi (Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica) in rapporti collaborativi con il Comitato Etico sono 7.la resa da parte degli studenti può dirsi soddisfacente perché il 70% di essi riceve una valutazione finale medio-alta (27-30).l’attività di partecipazione attivamente alle Giornate Scientifiche dell’Università federico II organizzate dal Polo delle Scienze e delle Tecnologie per la Vita si è realizzata dal 2004 al 2009, con contributi scientifici in tema di:1. Ruolo e funzione dei Comitati Etici in Italia per gli aspetti della sperimentazione clinica;2. Attività del Comitato Etico per le attività biomediche nel periodo 1994-2005;3. Reazioni-eventi avversi: scheda per le comunicazioni al Comitato Etico;4. Studi osservazionali o non interventistici;5. Studi no-profit: ruolo degli sperimentatori;6. Normativa in merito a dispositivi medici nell’ambito delle sperimentazioni cliniche;7. Impiego del placebo nell’ottica deontologica-legislativa nazionale ed internazionale;8. Esperienza del Comitato Etico per le attività biomediche della “federico II” nell’ambito

degli Studi No-Profit;9. Consenso informato alle sperimentazioni cliniche: ruolo del Comitato Etico;10. Riflessioni in tema di sperimentazione farmacogenetica;11. Sperimentazione clinica e tutela assicurativa;12. Potestà di prescrivere ed uso compassionevole dei farmaci;

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13. D.M. 17 dicembre 2004 sugli studi no profit. Una nuova occasione per la qualità della ricerca terapeutica e il miglioramento dell’assistenza clinica.14. Accanimento terapeutico e tecnocrazia. 15. Il caso Welby: uno spunto per alcune riflessioni etiche sul rifiuto delle terapie. 16. Direttive anticipate del paziente: alcune riflessioni di indole etica. 17. Il Garante per la privacy: linee guida per la privacy nell’ambito delle sperimentazioni

cliniche dei medicinali. 18. I Comitati Etici e la ricerca osservazionale: nuove linee guida. 19. Il pericolo da sovrastima e sottostima delle cure.20. la gestione dell’informazione nelle sperimentazioni/terapie embriofetali. 21. Volontari sani o human guinea pigs? 22. la sperimentazione con i minori.la collaborazione ad una iniziativa della facoltà per la diffusione della sensibilità etica si è espressa, attraverso un seminario sui problemi etici, deontologici e giuridici del consenso informato in ambito medico (21/5/96) ed un incontro di studio sugli aspetti normativi in tema di ricerca farmacologica sull’uomo (4/2/98).

LE AFFERENZE INTERNAZIONALI E NAZIONALIDal 2006 il Comitato è inscritto nella lista degli enti che si occupano di bioetica censiti dall’UNESCO.Il Ministero della Salute della Turchia, tramite il Dipartimento per le Sperimentazioni Cliniche, ha invitato a tenere un intervento sul sistema dei Comitati Etici in Italia nell’ambito della Conferenza “Enhancing Conference on Clinical Trial Processes in Turkey”, tenutasi il 17 novembre 2006 ad Istanbul, con specifico invito alla collaborazione con il Comitato Etico dell’Università federico II. Dal 2008, il Comitato è inscritto nella lista degli IRB (Investigal Review Board) dell’US Department of Health and Human Services, avendo ottenuto il riconoscimento della federalwide Assurance for the Protection of Human Subjects for International (Non-US) Institutions; in virtù di ciò gli sperimentatori dell’Università federico II possono avere accesso ai fondi di ricerca erogati dal Governo degli USA.

Una qualificante collaborazione con l’AIfA si è realizzata e continua mediante:• contributi alla identificazione dei requisiti minimi per una protezione assicurativa

normativamente prevista per le sperimentazioni cliniche;• partecipazione al tavolo tecnico per la realizzazione della e-submission;• partecipazione al tavolo tecnico per la realizzazione del Registro Studi Osservazionali;• collaborazione alla realizzazione del software di gestione delle segreterie tecnico-

scientifiche dei Comitati Etici.

Attraverso il suo Presidente, il Comitato Etico ha offerto anche contributi partecipativi a corsi di aggiornamento per sperimentatori e componenti di comitati etici di organizzazione ministeriale e ha cooperato alla stesura delle Direttive Regionali in Materia di Sperimentazione Clinica, Comitati Etici e Sperimentazione Controllata in Medicina Generale e in Pediatria di libera Scelta.

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Si è altresì adoperato per un’azione di raccordo tra tutti i Comitati Etici d’Italia nell’ambito della “federazione nazionale dei Comitati Etici” (fNaCE) per armonizzarne le modalità di funzionamento ed un continuativo confronto sulle incessanti difficoltà nella realizzazione del mondo istituzionale.

LA SEGRETERIA DEL COMITATO ETICOUn doveroso riferimento per l’intensa attività che svolge, deve essere fatto nei confronti della Segreteria tecnico-scientifica del Comitato stesso.Nel maggio del 2008, in una nuova sede afferente alla Sezione Dipartimentale di Medicina legale dell’Università federico II, è stata dotata di quelle “necessarie infrastrutture per assicurare il collegamento all’osservatorio, per l’inserimento nelle banche dati nazionale ed europea dei dati di cui all’art. 11 del D.lgsn. 211/2003 e l’attività di supporto tecnico per la valutazione delle reazioni avverse serie e inattese di cui all’art. 17, nonché degli eventi avversi di cui al comma 3 dell’art. 16 del D.lgs n. 211/2003” e previsti dal DM 12 maggio 2006. Con l’entrata in vigore del DM 21 dicembre 2007, la Segreteria ha anche l’onere di verificare che il Promotore abbia trasmesso all’Osservatorio le comunicazioni di avvio e conclusione della sperimentazione nel centro clinico di competenza.Il carico di lavoro è poi fortemente accentrato dall’attività di assistenza (e, quindi, di formazione) alla stesura dei protocolli no-profit che molto frequentemente vanno integrati e modificati per renderli conformi alle esigenze normative.Alla base di queste consulenze vi è necessità di approfondita ed aggiornata conoscenza della normativa sia italiana sia internazionale, che deve essere rapportata ai disegni sperimentali presentati, di clinica o di biomedicina per vero non sempre chiari ed aggiornati.È stato istituito un registro delle richieste rivolte alla Segreteria, in cui più frequentemente compaiono i seguenti argomenti:• sperimentazioni con cellule staminali;• sperimentazioni con integratori alimentari;• studi di chirurgia abbinati ai dispositivi medici;• istituzione di una biobanca di tessuto tumorale umano.le innumerevoli e-mail inoltrate anche da sperimentatori profit (case farmaceutiche etc) testimoniano per altro l’indiscussa credibilità di tale struttura in campo nazionale. Si segnala che un esponente della suddetta Segreteria (dott.ssa Cannovo) sta partecipando al tavolo di lavoro dell’AIfA per la realizzazione della e-submission degli studi sperimentali, guidando proprio il gruppo che si occuperà della riforma degli studi no-profit. Richieste di delucidazioni sulle migliori modalità di redaziond dei progetti di ricerca si ricevono, peraltro, anche da sperimentatori per ricerche profit. Dunque, una operosità composita, intensa, ricca di esperienza del Comitato Etico, che attraverso una costante disponibilità ed una elevata competenza dei suoi componenti ed un lavoro puntuale e faticoso della sua Segreteria - formata da dottori di ricerca e specializzandi in Medicina legale (cui va dato pubblico riconoscimento di dedizione ed abilità)- offre da tempo elevati contributi alla realizzazione della sperimentazione clinica e della partecipazione alla attività di formazione e consulenza etica nell’ambito della facoltà di Medicina legale e dell’AOU federico II.

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LA PARTECIPAZIONE DELLE PERSONE ALLA SPERIMENTAZIONE: DALLA DOvEROSITà ALLA DISPONIBILITà SOLIDARISTICA

Antonio G. Spagnolo*, Roberta Minacori*** Straordinario di Medicina legale e delle Assicurazioni, Direttore dell’Istituto di Bioetica, Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma. ([email protected])** Ricercatore universitario, Istituto di Bioetica, Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.

Abstractl’esistenza di un consensus sull’importanza fondamentale della ricerca biomedica e su molti aspetti pratici dell’etica della sperimentazione non deve trarre in inganno. le interpretazioni del significato della ricerca biomedica sono in effetti molteplici e spesso rimangono implicite, poiché tali posizioni convergono quasi sempre nelle indicazioni operative presenti nelle linee guida e nelle regolamentazioni. I dissensi emergenti sulle singole questioni - quali, ad esempio, l’uso del placebo, o il coinvolgimento di soggetti vulnerabili - riflettono invece le radicali divergenze fra gli orientamenti etici soggiacenti a questo apparente consenso. Un certo dibattito, seppur confinato, si è sviluppato intorno al tema della giustificazione etica della sperimentazione, ma soprattutto sulle liceità del coinvolgimento delle persone nella ricerca e sulle relative motivazioni. le teorie che giustificano il coinvolgimento delle persone nelle sperimentazioni si basano ora sulla doverosità a partecipare, per rispondere ad una chiamata, che è per tutti, a contribuire al fondamentale progresso scientifico, ora sul concetto di alleanza per la ricerca, all’interno di una tradizione etico-deontologica, rappresentata da una sorta di contratto-partnership tra soggetto e ricercatore, ora su un significato - ma questo è l’elemento più difficile da far emergere, come testimoniano i pochi studi sulla materia - di prossimità e di partecipazione solidale.

Introduzione la sperimentazione costituisce una fase del sapere biomedico essenziale per il

progresso della medicina e per il bene stesso dell’uomo. Vi è in effetti un ampio consensus sui contenuti fondamentali dell’etica della sperimentazione. Disaccordi significativi - anche nel dibattito più recente - permangono soprattutto su alcune questioni, in particolare l’equità negli studi clinici randomizzati, l’uso del placebo, la sperimentazione sui minori e in generale su soggetti non capaci, il rispetto dei gruppi vulnerabili, la sperimentazione nei paesi in via di sviluppo.

l’esistenza di un consensus su molti aspetti pratici dell’etica della sperimentazione non deve però trarre in inganno quanto all’accordo sulle questioni fondamentali: i dissensi emergenti sulle singole questioni riflettono spesso radicali divergenze fra i presupposti culturali soggiacenti a questo apparente consenso. le interpretazioni del significato della ricerca biomedica sono in effetti molteplici e spesso rimangono implicite, poiché tali posizioni convergono quasi sempre nelle indicazioni operative presenti nelle linee guida e nelle regolamentazioni. l’analisi dei significati dati alla sperimentazione, la chiarificazione

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dei valori propri della ricerca medica rappresentano un elemento importante per superare un difetto di riflessione intrinseco all’approccio prettamente regolatorio, che caratterizza generalmente l’etica della sperimentazione.

Un certo dibattito, seppur confinato, si è sviluppato intorno al tema della giustificazione etica della sperimentazione, ma soprattutto sulle liceità del coinvolgimento delle persone nelle ricerche cliniche e sulle relative motivazioni.

1. la giustificazione etica della sperimentazione e la “doverosità” a partecipare alle sperimentazioni

1.1 l’importanza fondamentale del progresso scientifico-tecnologicoUna prima interpretazione è quella relativa all’importanza del “progresso”. la tesi

principale, tipica dell’età moderna, è che le condizioni della società e dell’esistenza umana possono, e perciò devono, essere migliorate, grazie all’incremento del sapere scientifico e delle applicazioni tecnologiche. Per cui la scienza rappresenta un bene in sé, e dunque non si dovrebbero porre ostacoli verso essa ma anzi promuoverla. Allo stesso modo verso l’innovazione tecnologica, dati i vantaggi che produce, non dovrebbero essere sollevate obiezioni, meno che meno di natura etica. Questa posizione è dunque caratterizzata da tre elementi tipici della cultura occidentale: il primato della conoscenza, di derivazione prima della cultura greca poi di quella cristiana medievale, che si traduceva in un sapere speculativo piuttosto che empirico; la marginalizzazione progressiva delle scienze epistemologiche - a partire dall’età moderna - non indirizzate alla verifica empirica, secondo i canoni del metodo sperimentale galileiano; infine, il primato del sapere pragmatico e dell’applicazione tecnologica, dunque la concezione dell’essenzialità - per il progresso - di tecnica e prassi (tipico della medicina), come forma di applicazione del sapere scientifico e la necessità di giustificare l’impiego delle risorse non per semplice conoscenza ma in funzione degli esiti pratici della stessa. Questo atteggiamento, ricorrente nella cultura contemporanea, soprattutto nell’ambiente scientifico, confluisce nella posizione positivistica della scienza e della tecnologia. la giustificazione etica della sperimentazione, nell’ambito di questa prospettiva, è rappresentata dal contributo all’incremento del sapere scientifico, poiché esso costituirebbe il bene per l’umanità; un’ulteriore motivazione deriva dalla possibilità di aumentare la capacità di intervento sulle cause della malattia e della sofferenza e di migliorare la qualità della vita umana. l’importanza del progresso confluisce perciò prioritariamente alla medicina e a quelle scienze empiriche, in grado di rispondere alle esigenze concrete del vivere. È l’affermazione di ciò che è stato definito, anche se in senso critico, scientismo e tecnologismo (E. Agazzi)1 o scientismo tecnologico (ad es. l. lombardi Vallauri)2. All’importanza esclusiva della scienza - così come intesa da Cartesio, Bacone e Galileo - in grado di fornire conoscenze rigorose, oggettive e verificabili (scientismo) corrisponderebbe quella dello sviluppo tecnologico che rappresenterebbe la logica conseguenza oltre che la necessaria giustificazione, attraverso le applicazioni pratiche, dell’attività conoscitiva (tecnologismo).

Certamente questo obiettivo di utilità pratica si è ormai affermato nel sentire comune, ed anche in medicina esso è evidente e del tutto giustificato. Per il medico non può avere senso l’incremento della conoscenza, ad esempio, sulla fisiopatologia se ciò non costituisse

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un reale presupposto di un maggiore successo terapeutico per i pazienti. Nella prospettiva dello scientismo tecnologico, la sperimentazione può essere dunque giustificata sia come fattore fondamentale e non sostituibile dell’incremento delle conoscenze bio-mediche, sia per la sua utilità di realizzare pragmaticamente l’obiettivo di contrastare la malattia.

Rispetto a tale prospettiva, la partecipazione dei soggetti sperimentali sarebbe quindi un atto necessario e doveroso, che trova essenzialmente due motivazioni.

Tutti siamo interessati al progresso della scienza e della medicina per cui il dovere a) di contribuirvi giustifica il coinvolgimento in una sperimentazione anche senza la previsione di un beneficio. Addirittura il grado di doverosità di partecipazione potrebbe far derivare o meno la necessità di richiedere il consenso informato del soggetto. Questo atteggiamento, anche se non esplicitamente formulato e ormai superato, era parte di un approccio radicalmente “paternalistico” di alcuni ricercatori, almeno fino agli scandali relativi alle “sperimentazioni selvagge” denunciate negli anni ’60-’70. Si riteneva superfluo, o anche dannoso per la scienza e allarmante per la società, informare i soggetti, dato che questi non potevano comprendere le ragioni della ricerca scientifica, che invece ha le sue leggi ed è giustificata dalla necessità del progresso3.Inoltre, siccome tutti noi usufruiamo di terapie e mezzi diagnostici ottenuti dal b) “sacrificio” di altri in passato4, allora saremmo debitori di altruismo. Da cui conseguirebbe la conclusione che - analogamente a quanto fatto da altri in passato - ognuno dovrebbe dare lo stesso “obolo” sacrificale, anche accettando un certo rischio, per contribuire all’ottenimento di nuove, migliori terapie per le generazioni future. I presupposti, criticabili, di tale teoria sono però: 1) che le terapie oggi disponibili costituiscono effettivamente un miglioramento rispetto al passato, 2) che il nostro sacrificio produrrà per le generazioni future lo stesso miglioramento e 3) che il nostro debito possa estinguersi solo attraverso questo contributo verso il progresso futuro.

Un’altra argomentazione, di importanza collaterale, consisterebbe nelle caratteristiche di ineluttabilità e inarrestabilità dello sviluppo scientifico-tecnologico, una sorta di ‘effetto domino’ per cui una scoperta innescherebbe inevitabilmente una successiva in modo progressivo; ciò renderebbe inutile ed impraticabile bloccare la ricerca scientifica, dato che, qualora fosse impedito alla ricerca realizzare un certo progetto in un dato momento, questo verrebbe comunque compiuto in un altro momento o altrove5.

1.2 l’utilitarismo nella sperimentazione biomedical’assunto che il valore morale di un’azione derivi esclusivamente dalle conseguenze

prodotte - per cui dovrebbero essere scelte solo quelle azioni da cui conseguirebbe un bilancio netto favorevole in termini di benessere o di utile - per il maggior numero possibile di individui coinvolti (utilitarismo) costituisce una argomentazione particolarmente forte, ed attualmente molto in auge, proprio nel dibattito sull’etica della sperimentazione. Infatti, nell’ambito utilitarista il progresso medico - a differenza di altri sviluppi scientifico-tecnologici (ad es. la fisica nucleare) - viene sempre considerato favorevolmente, in quanto normalmente produttivo

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di un aumento complessivo di benessere in termini di riduzione o trattamento delle patologie. Già Claude Bernard, che pubblicò Introduzione allo studio della medicina sperimentale nel 1865, due anni dopo l’utilitarismo di J. S. Mill, esprime, anche se forse inconsapevolmente, una certa sintonia tra l’ambiente positivista e quello utilitarista. Egli affermava infatti che, fra tutti gli esperimenti possibili sull’uomo, bisogna vietare solo quelli che possono nuocere; mentre le sperimentazioni innocue dovrebbero essere permesse e quelle che possono produrre del bene dovrebbero essere obbligatorie. Il problema sorge dall’interpretazione ed estensione della nozione di “bene” - non precisata dall’autore - necessaria per definire l’obbligatorietà del coinvolgimento in alcuni esperimenti. Infatti, generalmente ogni ricerca biomedica, come presupposto generale, potrebbe o dovrebbe produrre del bene (per il singolo individuo o per la società) e perciò dovrebbe essere ritenuta sempre obbligatoria.

Questo orientamento interpretativo si è notevolmente sviluppato nella bioetica della sperimentazione, rappresentato da diversi autori che hanno fornito diverse sfumature interpretative e argomentazioni che confluiscono nell’utilitarismo.

Per leon Eisemberg la promozione della eccellenza nella ricerca clinica è una questione di interesse pubblico, e l’utilità per la società di esigere una validazione della prassi medica attraverso la verifica con trials controllati supererebbe di molto l’utilità di un approccio più limitante alla ricerca clinica6. Dunque, secondo Einsemberg il danno prodotto al bene comune dalle restrizioni alla ricerca - e imputabile alla verifica degli aspetti etici - sarebbe, globalmente considerato in termini sociali, maggiore degli eventuali danni arrecati ai soggetti sperimentali coinvolti.

le tesi utilitariste vertono essenzialmente sulla predominanza del bene sociale o collettivo, inteso come quello relativo al maggior numero di individui e che quindi può richiedere, in alcuni casi - come appunto quello della sperimentazione clinica - il sacrificio del bene del singolo individuo.

In realtà queste teorie non sono state esplicitate praticamente più di tanto dagli stessi autori, poiché esse si sarebbero scontrate innanzitutto con i principi contenuti nei documenti internazionali. Ad esempio, la Dichiarazione di Helsinki ha ripetutamente ribadito, nelle varie stesure, il primato dell’interesse del soggetto su ogni altro interesse (sociale, scientifico…). Nell’ultima revisione di Seoul nel 2008, difatti, il principio 6 ribadisce, analogamente a quanto già affermato nelle versioni precedenti, che “Nella ricerca medica che coinvolga soggetti umani, il benessere individuale dei soggetti di ricerca deve avere la priorità su ogni altro interesse.” (In medical research involving human subjects, the well-being of the individual research subject must take precedence over all other interests).

Comunque, l’orientamento utilitarista ha un peso rilevante nell’etica della ricerca biomedica, almeno sul piano concettuale, perché assolutizza uno dei criteri comuni, anche se in modo diverso, a tutte le forme di giustificazione etica della ricerca, cioè il concetto di beneficio sociale previsto da questa. Se la ricerca medica produce dei benefici, essa può essere sottoposta a dei vincoli solo per evitare che le conseguenze negative superino i benefici ottenibili per la società. In pratica, poiché andrebbe considerato che gli interessi di tutti gli individui coinvolti sono equiparabili a parità di condizioni, il soddisfacimento degli interessi di un maggior numero di soggetti può comportare e rendere accettabile il sacrificio di alcuni. la richiesta del consenso degli interessati sarebbe contemplata in quanto derivante anche dal

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rispetto delle preferenze degli stessi, ma se tale richiesta causasse ‘un minore saldo netto di benessere’ allora il consenso potrebbe essere ritenuto meno rilevante e quindi omissibile. Tra i rappresentanti più autorevoli di questo utilitarismo nella ricerca vi è John Harris, che a più riprese si è espresso sulla “doverosità morale” di partecipare alla ricerca clinica (ma anche di supportarla e finanziarla), opponendosi alla preminente interpretazione “supererogatoria” e volontaristica del coinvolgimento dei soggetti sperimentali, desumibile anche dalle norme sulla sperimentazione. Harris giustifica questa obbligazione morale verso la partecipazione alla ricerca attraverso due elementi che giudica complementari: 1) il “non procurare un danno” (Do no harm), da cui deriva il dovere della beneficialità e del “salvataggio” (the rule of rescue) nei confronti dei malati che attendono dei benefici dalla ricerca e 2) il principio di “lealtà” (fairness) - incorporato nella proibizione dell’indifferenza e del disimpegno (free riding) -, per cui tutti saremmo obbligati a condividere i sacrifici necessari a quelle pratiche sociali (come la ricerca clinica) da cui ognuno poi trae dei benefici. Tutti quindi devono fornire un contribuito alla produzione di quei benefici di cui ognuno usufruisce, impegnandosi per il bene della società e delle generazioni future, similmente a quanto fatto da coloro che in passato si sono adoperati per ottenere i benefici attuali. Anzi Harris arriva ad affermare che - seppure occorra prima rivolgere l’appello alla partecipazione doverosa alla sperimentazione ai soggetti moralmente competenti -, in linea di principio, neppure i minori (tranne i bambini molto piccoli) che sono agenti morali (cioè hanno diritti e doveri) dovrebbero essere esclusi da questa obbligo morale, poiché contribuire ad aiutare gli altri costituisce una doverosità maggiore rispetto ad altre. Ciò dovrebbe costituire anche per i genitori o il tutore il presupposto fondamentale per la decisione di far partecipare il figlio/tutelato7. Una critica semplice alle argomentazioni di Harris - che hanno comunque suscitato un ampio dibattito8 - è che tale doverosità verso il bene pubblico è discrezionale, per cui gli individui devono essere liberi di scegliere quando, dove e come contribuire al bene sociale, aiutare gli altri che si trovano nel bisogno e ricambiare per i sacrifici precedenti di altri9. Un altro elemento critico nei confronti della doverosità morale di partecipare alla sperimentazione è costituito dall’influenza dei numerosi “aspetti istituzionali” del contesto sociale della ricerca biomedica: rischi e costi della ricerca, l’equità nell’accesso ai benefici della ricerca, l’impatto dei regolamenti, la brevettazione e la commercializzazione (lucrosa) dei risultati, la diffusione degli esiti10. Esiste però anche una posizione utilitarista più moderata in altri autori1, che invece rappresentano un utilitarismo detto “della regola” (rule utilitarianism), in cui vi è un’estensione dell’interpretazione del principio di massimizzazione dei benefici, nel senso di dare un ordine di importanza alle pratiche sociali rispetto a quell’insieme di regole e principi che fanno produrre un bene maggiore rispetto a quello ottenibile da un altro insieme di regole.Dunque, in questa interpretazione non sono più importanti i benefici effettivamente ottenuti

1 Gli utilitaristi della regola hanno molti punti in comune con alcuni deontologi moderati, che considerano rilevanti non solo le conseguenze delle azioni (consequenzialismo) ma anche alcuni doveri o principi fondamentali, detti do-veri prima facie, cioè importanti non in modo assoluto ma in prima istanza e fino a quando non confliggano con altri doveri, allorché occorre ricercare un “equilibrio riflessivo”. Un esponente rilevante di questo approccio moderato dalla deontologia è W.D. Ross (The Right and the Good, Oxford 1930; trad. it. Il Giusto e il Bene, Bompiani, Milano 2004).

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da una certa prassi (utilitarismo “forte) ma assume rilevanza la conformità ad una regola (o ad un insieme di regole) che, in maggior misura, garantisce risultati migliori. Perciò, la regola che comanda di non trattare i soggetti come ‘cavie’, di non strumentalizzarli e di richiedere loro il consenso - anche se non massimizza i benefici tout court (i trials senza parere del comitato etico e senza consenso costerebbero di meno e finirebbero prima!) - non dovrebbe essere violata almeno per evitare ostacoli generali e di maggior entità per la ricerca, come suscitare un’opposizione sociale, o delle politiche ancora più restrittive per la ricerca. In questa forma di utilitarismo, quindi, l’importanza della beneficialità sociale viene attenuata dal rilievo accordato ai principi che offrono garanzia di successo e che comunque sono ampiamente condivisi. Un esempio di ciò sono il ‘principio di autonomia’ (rispettare la libertà delle persone - respect for persons) e quello di ‘giustizia’ (l’equità nella distribuzione di benefici e oneri). Non a caso questi due principi, insieme a quello di beneficence, hanno costituito, a partire dalla loro enunciazione nel Belmont Report, le basi dell’etica della sperimentazione in risposta alla tragica eredità del passato. Un ulteriore esempio di tale posizione moderata seppur sempre rivolta a sottolineare l’argomentazione del “bene pubblico”, per motivare la doverosità di partecipare alla sperimentazione clinica, è quella recentemente espressa da G.O. Schaefer, E.J. Emanuel e A.Wertheimer: questi autori ritengono che partecipare alla ricerca biomedica sia un dovere prima facie, in quanto la ricerca produce il bene pubblico della conoscenza biomedica, ed è un impegno molto meno gravoso di altre forme di contributo al bene pubblico (ad es. arruolarsi nell’esercito o pagare le tasse). Occorre piuttosto, secondo Schaefer, Emanuel e Wertheimer, uno shift culturale nella giustificazione etica della partecipazione alla ricerca: dalla prospettiva di ‘supererogarietà’ bisognerebbe passare a quella di giustificazione della negazione alla partecipazione, invitando i ricercatori ad usare delle motivazioni di ordine morale - più che l’enfasi sui benefici per l’individuo - del tipo “fai la tua parte” oppure “è il tuo turno di partecipare”. Per questi autori, poiché tutti abbiamo un dovere di partecipare ma l’attuale orientamento sociale è che i soggetti partecipino alle sperimentazioni solo se hanno buone ragioni per farlo, sarebbe necessario - per poter effettivamente realizzare quel bene pubblico derivante dalla ricerca biomedica - rendere doverosa la partecipazione degli individui, a meno che essi non abbiano altrettante buone ragioni per non accettare11.

2. l’adeguamento alla tradizione etico-deontologica: il coinvolgimento nella ricerca come espressione dell’alleanza (covenant) e del contratto (partnership)

la tradizione etico-deontologica della professione medica, di derivazione ippocratica, si basa sul vincolo di dedizione del medico al bene del singolo paziente, dunque ha molti motivi di contrasto con l’interpretazione utilitarista. la relazione diadica ed esclusiva tra medico e paziente esigerebbe l’impegno prioritario del medico nei confronti del paziente, rispetto ai benefici sociali, pur importanti, della prassi medica e della ricerca. Come nota Robert M. Veatch, il medico deve agire sempre per il bene del paziente, operando “in scienza e coscienza” e l’eventuale interesse - qualora avesse il ruolo di medico-ricercatore - verso il bene di pazienti futuri o il progresso della medicina, è assolutamente secondario rispetto all’impegno etico originario e primario che lega il medico al suo paziente12. Questo contrasto,

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tra bene sociale e bene individuale, caratterizza dunque non solo la giustificazione etica della sperimentazione ma anche il ruolo del medico-ricercatore (in realtà la struttura stessa della medicina moderna) ed è frutto proprio dell’ambiguità e della flessibilità del concetto di beneficence.

Se rigorosamente applicato, tale approccio impedirebbe una giustificazione etica della sperimentazione clinica ed il coinvolgimento di pazienti (ma anche di soggetti sani) negli studi, ma d’altra parte l’avvento del metodo sperimentale che ha trasformato la medicina da “arte” a scienza basata sulla verifica empirica ha provocato anche l’inevitabile trasformazione del medico in uomo di scienza, e la necessità che in alcune circostanze egli debba assumere il doppio ruolo di medico e ricercatore.

2.1 l’alleanza per la ricercala soluzione a tale conflitto, anche nella medicina sperimentale, viene allora

rappresentata dalla esplicitazione concreta del rapporto, da una sorta di “patto” che fa parte e regola la relazione. lo strumento che concretizza ciò è il consenso informato: il medico ricercatore espone onestamente la duplice finalità, di prassi e di ricerca, del suo operato e chiede al paziente un consenso che è sia un atto di fiducia verso tale operato sia l’accettazione ad essere coinvolto nella sperimentazione. Il teologo protestante Paul Ramsey ha ben rappresentato tale argomentazione: il rapporto tra il medico-ricercatore ed il soggetto nell’ambito di una sperimentazione è un momento della più radicale alleanza (covenant) che lega tra loro tutti gli uomini, ed il consenso informato, definito “canone di lealtà”, costituisce l’espressione concreta di tale alleanza e dell’impegno di ognuno a dare il proprio contributo alla ricerca. Tuttavia, la partecipazione alla sperimentazione - che non è parte costitutiva originaria e necessaria dell’alleanza tra medico e paziente - deve sempre essere preceduta da un consenso esplicito, libero e adeguatamente informato. Perciò Ramsey ha affermato l’inaccettabilità del coinvolgimento delle persone non capaci di fornire un consenso personale (ed in particolare i minori) nelle sperimentazioni13.

2.2. la collaborazione “contrattuale”Un’altra interpretazione del consenso informato come strumento risolutivo del

conflitto prassi-ricerca è di derivazione neo-contrattualistica e, in realtà, questa rappresenta probabilmente la motivazione più condivisa sia del consenso informato sia del coinvolgimento stesso dei soggetti nella ricerca. Il consenso informato alla sperimentazione è qui considerato come un ‘contratto’ in cui due persone (il medico ricercatore e il soggetto sperimentale) stabiliscono e sottoscrivono le modalità, le finalità, i limiti e le rispettive garanzie della loro collaborazione, chiarificando ed esplicitando così il reciproco impegno etico di questa impresa comune.

Il presupposto fondamentale di questa posizione è, però, che non esiste un’obbligazione morale, una doverosità nel contribuire alla ricerca clinica, e quindi al coinvolgimento diretto dei soggetti negli studi.

la partecipazione alla sperimentazione può quindi essere giustificata solo sulla base di un’adesione libera e consapevole (perciò volontaria) del soggetto all’impresa comune della ricerca (un tipo di joint venture), attraverso un patto di collaborazione esplicito, leale,

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chiaro e ben compreso tra le due parti. In base a tale fondamentale premessa si sviluppa una particolare relazione tra medico- ricercatore e soggetto sperimentale che Veatch ha rappresentato come partnership, determinata dalla necessità - non altrimenti risolvibile -, da parte del ricercatore, di rivolgersi a pazienti e soggetti sani e di chiedere loro di collaborare per perseguire i fini, legittimi e socialmente rilevanti, della ricerca. Secondo Veatch, entrambi, il ricercatore ed il soggetto sperimentale, devono essere parimenti considerati «agenti autonomi, responsabili e degni, che si associano per stabilire un’alleanza limitata al perseguimento dell’interesse reciproco»14. In questa prospettiva il coinvolgimento dei soggetti nella ricerca è giustificato da questa collaborazione fra partner razionali: è in base alla rispettiva autonomia e al rispetto del criterio dell’equità che i due agenti razionali trovano un accordo, mentre l’interesse per i benefici ed i costi assume un’importanza secondaria. Veatch considera, infatti, prioritari i principi deontologici di autonomia, giustizia, veridicità, fedeltà, rispetto a quelli, consequenzialisti, di beneficence/non maleficence15. Perciò, seguendo tale impostazione, una sperimentazione per cui siano prevedibili benefici rilevanti e rischi di lieve entità, ma senza un adeguato consenso informato e un’equa distribuzione degli oneri, non sarebbe lecita.

Una interpretazione estremizzata della centralità dell’autonomia nella giustificazione della partecipazione alla ricerca è quella fornita da Hugo Tristan Engelhardt, per il quale non solo è moralmente corretto offrirsi volontario per la ricerca, ma tale scelta non dovrebbe subire alcuna limitazione16: «Non c’è niente di sbagliato, in via di principio, nel permettere agli individui di offrirsi liberamente volontari per una ricerca rischiosa, specialmente se promette grandi benefici per gli altri [ ] non c’è niente di sbagliato neppure nell’offrire a degli individui tutto il denaro necessario per ottenere i loro servizi, purché l’offerta non li renda di per sé incapaci di intendere e di volere. Allo stesso modo non ci saranno motivi di principio per vietare ricerche che quasi tutti considererebbero inutili o dannose»17.

la libera scelta dei due agenti razionali risulterebbe condizionata, e vincolata, solo dai limiti imposti dalle rispettive autonomie. Tale estremizzazione solleva però obiezioni molto rilevanti - rendendo tale impostazione impraticabile oltre che inaccettabile - innanzitutto in relazione al significato stesso della ricerca clinica. Questa permeazione esclusiva dell’autonomia nella giustificazione etica della ricerca svuoterebbe completamente di significati la ricerca biomedica: non contererebbero più né il valore e la validità dal punto di vista scientifico (diverrebbero accettabili anche studi inutili o commerciali!) e né la finalità etica (il bene del paziente/della società). Se fossero fondamentali solo l’accordo tra i due soggetti e la validità del consenso informato allora diverrebbero giustificabili anche sperimentazioni infondate dal punto di vista medico-scientifico o addirittura discriminatorie e dannose!

3. la prossimità nella ricerca clinica e la partecipazione solidale

3.1 “l’identificazione come principio per il reclutamento“ in H. JonasUn’interpretazione radicalmente diversa, rispetto alle precedenti, sulla giustificazione

etica della ricerca clinica e sulla partecipazione dei soggetti è quella di Hans Jonas, descritta in un citatissimo articolo del filosofo tedesco pubblicato nel 1969. Secondo Jonas né

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l’imperativo del progresso medico-scientifico né la soluzione contrattualista del consenso sono soddisfacenti per compensare l’offesa morale per i soggetti di essere utilizzati come mezzi. Per giustificare l’affronto ad un principio inviolabile primario (strumentalizzare le persone) occorrerebbe quindi una motivazione, sul piano etico, (come valore e necessità) che abbia dignità pari a ciò che è stato “sacrificato”.

Il progresso per Jonas non fa parte del contratto originario sociale, anche se è divenuto un interesse sociale molto forte. Ma questo non può mai prevalere sul diritto individuale a non essere ridotto ad un mezzo; né può valere l’argomentazione del debito verso coloro che si sono sacrificati in passato poiché ciò esigerebbe al massimo la nostra gratitudine ma non potrebbe giustificare l’obbligo del sacrificio. Dal punto di vista etico, però, esisterebbe uno spazio per il tema del ‘sacrificio’, ma questo deriverebbe dalla distinzione tra l’obbligo morale e il valore morale della partecipazione, che renderebbe l’atto da doveroso a supererogatorio. Ciò è possibile, secondo Jonas, solo dall’identificazione del soggetto rispetto alle finalità proposte. la chiamata al reclutamento nella ricerca dovrebbe essere giustificato dalla coincidenza tra i fini ricercati dai soggetti stessi e gli scopi della ricerca, ciò dovrebbe facilitare la comprensione e la condivisione degli scopi e la spontaneità della partecipazione. Perciò Jonas parla anche di un grado discendente di eligibiltà nella ricerca (a partire dai ricercatori stessi che dovrebbero essere i principali candidati alle sperimentazioni) proporzionato alla formazione culturale e alla condizione sociale dei soggetti18.

Jonas, dunque, propone delle indicazioni rilevanti per l’elaborazione di un’alternativa forte al consequenzialismo e al contrattualismo. Il presupposto è però che sia esplicitato il significato morale della ricerca, cioè quali valori interni, propri della prassi sperimentale si chiede ai soggetti di condividere, quale sia il significato di tutti quegli atti che costituiscono la ricerca biomedica.

3.2 Il senso di prossimità per la cura e la partecipazione solidaleCertamente la ricerca biomedica è parte dell’orizzonte più generale della ‘cura’. la

medicina è infatti una forma qualificata della cura: essa è la figura pratica che assume la cura per l’altro sofferente, quando si fa appello alle migliori risorse conoscitive e tecniche disponibili. la cura, inoltre, presuppone una relazione ed un legame di prossimità con gli altri: la cura per gli aspetti fisico-psichici dell’altro - propria della medicina e delle scienze biomediche - ha origine da un incontro particolarmente intenso con l’altro. È il bisogno di una forma qualificata di cura - da parte del paziente - che interpella fortemente il medico ed esige la sua piena attenzione, lo distoglie dalla cura per altre cose per rivolgerla solo a lui, alla sua persona e al suo problema19. Ciò implica, di conseguenza, un mutuo riconoscimento tra i due: il paziente che riconosce il ruolo professionale del medico e questi che riconosce la condizione di necessità del paziente e si adopera per trovare le soluzioni. È l’incontro tra la fiducia del paziente e la coscienza e la doverosità professionale del medico. la sperimentazione clinica indubbiamente modifica le caratteristiche essenziali di questa relazione. Innanzitutto, in questo caso, si capovolgono le caratteristiche del rapporto tra medico e paziente: in realtà, qui è il medico ricercatore ad aver necessità di rivolgersi al soggetto/paziente e a richiedere il suo aiuto, che è imprescindibile, per perseguire il suo scopo.

Inoltre, anche nel caso della sperimentazione con finalità terapeutica - quando il

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paziente partecipante ha una possibilità di beneficio diretto per lui - il possibile beneficio riguarda sempre anche altri soggetti, ai quali si spera di fornire una migliore terapia in futuro. Il rapporto non è, quindi, più diadico ma triadico.

Ciò che è singolare ed accresce il carattere di collaborazione per altri della partecipazione alla sperimentazione è il fatto che il terzo soggetto del rapporto sia uno sconosciuto, o spesso una indefinita popolazione futura20.

la causa del coinvolgimento e del contributo personale dei soggetti alla ricerca sarebbe la compartecipazione, la solidarietà e la disponibilità verso qualcuno sofferente ma sconosciuto. Questo riconoscimento dell’altro - pur senza un incontro - è quel qualcosa per cui vale la pena’ affrontare qualche rischio, avere qualche fastidio, perdere un pò di tempo. È il riconoscimento dell’altro sconosciuto che si troverà ad affrontare la stessa patologia di cui soffre il paziente soggetto di sperimentazione. O dell’altro sconosciuto che farà ricordare al soggetto volontario sano il volto di qualche caro che ha sofferto per una malattia.

la partecipazione alla sperimentazione rappresenta dunque un impegno forte di prossimità verso l’altro, una solidarietà di altissimo valore etico. Questo valore etico della partecipazione alla sperimentazione clinica si traduce anche in un valore sociale, poiché riempie di significati anche le relazioni tra le persone coinvolte.

Un aspetto importante del coinvolgimento dei soggetti in senso solidale è anche quello del consenso informato - altrimenti ridotto a strumento meramente contrattuale o ad un atto di disposizione del proprio corpo -: ciò a cui il soggetto aderisce nel consenso non è il processo conoscitivo-applicativo della sperimentazione ma è la condivisione con il medico ricercatore dell’impegno a combattere la sofferenza (degli altri oltre che della propria). Perciò, per sottolineare questo significato di partecipazione collaborativa (ed evitare un linguaggio che tradisce una prospettiva utilitaristica) sarebbe preferibile utilizzare la preposizione con piuttosto che su per indicare il legame tra i soggetti e la sperimentazione.

la prospettiva della solidarietà dischiude al soggetto candidato a partecipare alla sperimentazione significati eticamente rilevanti per la sua decisione: la relazionalità, intesa sia come senso di collaborazione verso il mondo scientifico, sia come risposta alla chiamata di altri soggetti, sconosciuti ma sofferenti per i quali ricercare nuove possibilità di cura; l’apertura all’altro da soccorrere, attraverso il superamento della limitata prospettiva degli interessi dell’io, cioè la disponibilità, cioè la capacità di “de-porre” ed “es-porre” il proprio sé per il riconoscimento del valore dell’altro. Come ha rilevato Mordacci: «se la “disposizione” strumentalistica del corpo appare in contrasto con i caratteri propri della ricerca stessa, perché mira a realizzare una migliore forma di cura per alcuni riducendo altri a semplici mezzi, l’atteggiamento di “disponibilità” rispetta più da vicino le condizioni originarie dell’esistenza personale cui è rivolta, cioè quelle di una situazionalità capace di superare la prospettiva limitata del proprio orizzonte egoistico senza al contempo perdere la propria individualità»21.

Anche se il valore della partecipazione alla sperimentazione consiste nel riconoscervi un significato di prossimità e di solidarietà, devono essere però prima rispettate alcune condizioni: 1) la sperimentazione deve essere, dal punto di vista medico-scientifico, di valore e valida, cioè deve essere effettivamente rivolta a ersone partecipano agli studi - possono essere di grande rilevanza per il dibattito, ma soprattutto favorire le condizioni di una piena

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condivisione e di un reale coinvolgimento dei soggetti nell’ambito della sperimentazione.la partecipazione (o la negazione) può essere influenzata da una varietà di fattori,

come le preferenze personali, i disagi studi-specifici, gli incentivi, i benefici percepiti, i costi22. Nonostante la variabilità, vi sono delle motivazioni (indipendenti dalla tipologia della sperimentazione) ricorrenti sia in coloro che partecipano (l’accesso all’informazione, il guadagno economico, l’altruismo, il progresso scientifico, il beneficio terapeutico atteso, l’interesse per l’obiettivo, la soddisfazione personale, l’attivismo nelle questioni sanitarie) sia in coloro che rifiutano la partecipazione o abbandonano gli studi (la non convenienza, i rischi e i disagi delle procedure)23. l’altruismo sembra essere, sebbene gli studi in questo ambito siano molto limitati, una motivazione molto fragile.

In un studio, di limitate dimensioni, con pazienti candidati a partecipare a dei trials clinici su farmaci antiepilettici correntemente disponibili, dei 23 soggetti informati e intervistati, 19 avevano accettato di partecipare ai trials ma nessuno per ragioni puramente altruistiche e i 4 soggetti che avevano declinato l’invito avevano addotto ragioni specifiche di interesse personale. le informazioni rilevanti per la decisione a partecipare sono risultate quelle relative all’obiettivo del trial, ai farmaci oggetto della ricerca, al tipo di coinvolgimento del soggetto, ma soprattutto alla possibilità di avere un potenziale beneficio senza un rischio di danni. l’enfasi nell’informazione sulla sicurezza ed equivalenza dei trattamenti avrebbe indotto i soggetti ad essere praticamente indifferenti alla questione del coinvolgimento, mentre dalle risposte dei partecipanti emergeva l’evidenza dell’influenza, in alcuni, del fraintendimento terapeutico (therapeutic misconceptions) cioè di non comprendere il doppio ruolo del medico-ricercatore24. In un altro studio più ampio sono state valutate le esperienze dei pazienti coinvolti in due sperimentazioni con finalità terapeutiche e quattro studi con scopi non terapeutici: dei 265 pazienti arruolati solo 95 avevano accettato di partecipare a questa analisi, 32 prendendo parte a dei focus group, 34 a interviste telefoniche e 29 alla compilazione di un questionario. Anche in questo studio è emersa una fragilità o mancanza assoluta della motivazione altruistica nella partecipazione. le motivazioni dell’adesione risiedevano essenzialmente nell’aspettativa del beneficio personale: le cure extra, l’incremento dell’assistenza e del controllo medico, il ricevere informazioni da esperti. In minor misura è risultata rilevante la capacità di poter aiutare altri in futuro, attraverso la sperimentazione. Inoltre, i partecipanti avevano anche espresso critiche esplicite circa le informazioni sugli effetti avversi, l’attenzione insufficiente al loro comfort, gli aspetti non scientifici di alcuni studi (ad es. alcune tipologie di domande dei questionari) ma soprattutto circa la mancanza di informazione sui dati della ricerca e l’esclusione dalla possibilità di poter condividere con il ricercatore la soddisfazione sul successo della ricerca. I pazienti si attendevano una maggiore reciprocità dalla loro relazione con il ricercatore, per cui - suggeriscono gli autori - per incrementare e migliorare il supporto dei pazienti alla ricerca clinica occorre intervenire su alcuni aspetti che hanno un ruolo-chiave nella decisione dei soggetti a partecipare: il tempo che dovrebbe essere dedicato all’informazione, la maggiore attenzione al comfort fisico, il coinvolgimento nel disegno della ricerca, nella passione per la ricerca e nel feedback dei dati. Investire, dal punto di vista culturale, sull’idea che il progresso scientifico arriva attraverso la ricerca biomedica

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aiuterebbe - chiosano gli autori - a far comprendere alle persone che possono trasformare la propria sofferenza in una speranza per il futuro25.

Anche nell’ambito pediatrico della ricerca clinica, laddove è determinante il consenso genitoriale, sono stati condotti degli studi sulle motivazioni dell’adesione o del rifiuto di partecipare alle sperimentazioni cliniche26, 27, che possiamo così schematizzare: il rischio percepito è il motivo più importante di rifiuto, anche se nel caso di malattie severe la previsione di un possibile beneficio può bilanciare il timore del rischio; l’attesa di un beneficio personale, nella speranza che ciò che sarà somministrato nel trial costituisca un trattamento migliore dello standard terapeutico, rappresenta la maggiore motivazione a partecipare; l’altruismo, con la convinzione che partecipare possa aiutare altri bambini e migliorare le conoscenze mediche, trova riscontro in diversi studi; infine l’atteggiamento favorevole verso la ricerca e la fiducia nell’operato del medico rappresentano delle motivazioni importanti per la decisione, da parte dei genitori, di far partecipare il proprio figlio al trial28, 29, 30.

la prevalenza dell’importanza del rischio nella percezione del genitore ai fini della decisone sulla partecipazione del proprio figlio ad un trial riguarda in modo specifico l’ambito degli studi non terapeutici. In uno studio recente che ha raccolto, attraverso dei questionari, le opinioni di duecento mamme di neonati sani (nati a termine o pre-termine), il grado di rischio percepito era inversamente correlato alla propensione ad aderire alla partecipazione, così come rilevato da altri studi. Ed il grado di rischio percepito sembra dipendere soprattutto dalla ‘invasività’ fisica delle procedure sperimentali. Perciò lo studio ‘fisiologico’ era considerato più rischioso rispetto allo studio ‘psicologico’, ed un test con prelievo ematico viene considerato più “a rischio” di uno studio sul sonno. Anche in questo caso, la componente altruistica della decisione risultava poco considerata, così anche gli autori di questo studio rilevano la necessità di porre maggiore attenzione a questo elemento, ma anche di sottolineare ai genitori che la sperimentazione non è fatta per auto-promozione, né per motivi finanziari o altre ragioni non altruistiche e che possono avere fiducia nei medici poiché non procureranno un danno al bambino31.

BIBlIOGRAfIA

1 Agazzi E. Il bene, il male e la scienza. Milano: Rusconi; 1992. p. 82-97.

2 Lombardi Vallauri L. Terre. Terra del nulla, Terra degli uomini, Terra dell’Oltre. Milano: Vita e Pensiero; 1989. p. 112-5.

3 Eisenberg L. The social imperatives of medical research. Science 1977, 198: 1105-10; ripubblicato in: Beauchamp TL, Walters L, editors. Contemporary Issues in Bioethics. Belmont: Wadsworth; 1982. p. 516-23.

4 Fried C. Human experimentation. Philosophical aspects. In: Reich WT, editor. Encyclopedia of Bioethics. I ed. New York: Free Press; 1978. p. 699-702.

5 Ellul J. La tecnica, rischio del secolo. Milano: Giuffrè; 1969.

6 Eisenberg L. The social imperatives of medical research. Op. cit.

7 Harris J. Scientific research is a moral duty. J Med Ethics. 2005; 31: 242-8; Chan S and Harris J, Free riders and pious sons - why science research remains obligatory. Bioethics. 2009; 23:161-71.

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8 Brassington I, John Harris’argument for a duty to research. Bioethics. 2007; 21:160-8; Rhodes R, In defense of the Duty to Participate in Biomedical Research. Am J Bioeth. 2008; 8:37-44.

9 Shapshay S, Pimple KD. Participation in biomedical research is an imperfect moral duty: a response to John Harris. J Med Ethics. 2007; 33:414-7.

10 de Melo-Martin I. A Duty to Participate in Research: Does Social Context Matter?. Am J Bioeth. 2008; 8:28-36.

11 Schaefer GO, Emanuel EJ, Wertheimer A. The Obligation to Participate in Biomedical Research. JAMA. 2009; 302:67-72.

12 Veatch RM. The Patient as Partner. A Theory of Human-Experimentation Ethics. Bloomington: Indiana University Press; 1987. p. 17.

13 Ramsey P. The Patient as Person. New Haven:Yale University Press; 1970. cap.4, § 5.4.1.

14 Veatch RM. The Patient as Partner. Op.cit. p.8.

15 Veatch RM. The Patient as Partner. Op.cit. p. 25.

16 Engelhardt HT. Manuale di bioetica. Milano: Il Saggiatore; 1991. p. 332-41.

17 Engelhardt HT. Manuale di bioetica. Milano: Il Saggiatore; 1991. p. 337-8.

18 Jonas H. Philosophical Reflection on Experimenting with Human Subjects. Daedalus. 1969; 98:219-47; ripubblicato in: Emanuel EJ, Crouch RA, Arras JD, Moreno JD, Grady C, editors. Ethical and regulatory aspects of clinical research. Baltimore: The John Hopkins University Press; 2003. p. 155-61.

19 Cattorini P, Mordacci R, Reichlin M (a cura di). Introduzione allo studio della bioetica, Milano: Europa Scienze Umane; 1996. p. 157-203.

20 Mordacci R. Bioetica della sperimentazione. Milano: Franco Angeli; 1997. p. 110-4.

21 Mordacci R. Bioetica della sperimentazione. Milano: Franco Angeli; 1997. p.117.

22 Mapstone J, Elbourne D and Roberts I. Strategies to improve recruitment to research studies. In: Cochrane Database of Systematic Reviews. 2007; 2: 10.1002/14651858.MR000013.pub3

23 Fry CL. Research participation and internal normativity: understanding why people participate. Am J Bioeth. 2008; 8:43-4.

24 Canvin K and Jacoby A. Duty, desire, or indifference? A qualitative study of patient decisions about recruitment to an epilepsy treatment trial. Trials. 2006; 7:32-45.

25 Kerrison S, Laws S, Cane M, Thompson A. The patient’s experience of being a human subject. J R Soc Med. 2008; 101:416-22.

26 McKechnie L, Gill AB. Consent for neonatal research. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 2006; 91: F374-F376.

27 Platt MW. Participation in multiple neonatal research studies. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 2005, 90: F191.

28 Hoehn K, Wernovsky G, Rychik J, Gaynor J, Spray T, Feudtner C, Nelson R.What factors are important to parents making decisions about neonatal research?. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 2005; 90:F267-F269.

29 Rothmier JD, Lasley MV, Shapiro GG. Factors influencing parental consent in pediatric clinical research. Pediatrics. 2003; 111: 1037-41.

30 Hayman RM, Taylor BJ, Peart NS, Galland BC, Sayers RM. Participation in research: informed consent, motivation and influence. J Paediatr Child Health. 2001; 37:51-4.

31 Maayan-Metzger A, Kedem-Friedrich P, Kuint J. Motivations of mothers to enroll their newborn infants in general clinical research on well-infant care and development. Pediatrics. 2008; 121:e590-e596.

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ThE APPLICATION OF ThE UNIvERSAL DECLARATION ON BIOEThICSAND hUMAN RIGhTS TO SOME CONCRETE PRACTICAL ISSUES

Antonio Piga Rivero*, Miroslava vasinova**European Centre for Bioethics and Quality of Life - UNESCO Chair in Bioethics Italian Unit(International Scientific Coordinator* and President**)

IntroductionIt is a difficult task to fully grasp the sense of the UNESCO Declaration, in order to ensure the objectivity of its understanding and make their principles effective, notwithstanding the existing great cultural and economic inequities, wars and man-made disasters, prejudices and human rights’vulnerability that affects a great part of the humanity.In this presentation it is intended to be realistic and practical having in mind the work carried Out by the European Centre of Bioethics and Quality of life and the willingness of the Ethics Biomedical Committee of the University frederick II of Naples to contribute to the international promotion of the UNESCO’s Universal Declaration on Bioethics and Human Rights.

The UNESCO’s urge impulse to establish universal bioethics principles.In October 2009 the States of the World Members of UNESCO are 193, plus 7 Associate Members, but it should be taken into account that the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland, and the United States of America, that were founding members in 1946, had decided to have their membership suspended, between the 31 of December 1985 and the 1 July of 1997, in the case of the UK, and between the 31 of December 1984 and the 1st October 2003 in the case of the USA.

The reasons for the withdrawal of the membership of those two leading world States, and main contributors to the budget of UNESCO, was the great numerical influence at that time by the URSS and its satellite Member States, in the main decision forums and organs of UNESCO.Since it is evident looking to the activity programs of the that ethics and bioethics were not priority matters for a UNESCO where the URSS with its satellites had a great numerical voting power, it cannot be surprising that only after the Perestroika and the Glasnost and the breaking of the Eastern European block, there will be proper conditions for the coming back of the UK and the USA, and this new political international situation will contribute to the instauration in 1993 of the UNESCO’s program of Bioethics, with the international and inter governmental Bioethics Committees, and in 1997 of the adoption of the “Universal Declaration on the Human Genome and Human Rights” and in 2005 to the “Universal Declaration on Bioethics and Human Rights”.

Meaning of the main concepts of the Declaration (which are not defined in its text).Since those terms are at the core of the Declaration, but are not defined in the text, and as normative terms their meaning cannot be discovered by the common understanding, it is important to have a clear concept of what they mean, and about the differences about them, in general, and in particular in the universal and very broad contextual framework of the

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Declaration. Therefore the following definitions are sketched knowing that they represent only a succinct approach.

- human rights are prerogatives of every human being, irrespective of their circumstances of freedom or oppression, of fullness or need. Human rights, are fundamental in any Just and democratic society, and in the paradigm of globalization, are the solidarity link between all the human beings beyond all their local and circumstantial differences.

- Ethics is the practical manifestation of the individual human values and consciousness.Phenomenological ethics is manifested as conduct and on the judgment of the behavior of other persons. Ethics has natural grounds, which can be studied in psychology, psychopathology, comparative ethology, cultural anthropology and philosophy. In ethics, human reason and affectivity should oppose the individual egoistic trends. Ethics in its classic definition and applications refers to the human responsibility towards other people in a frame of proximity interpersonal relations.

- Bioethics. In Bioethics new dimensions of the human responsibility are present, due to the tremendous and accelerated technological developments that, on one side, allow the improvement of the quality of life and to manipulate the natural mechanisms of fertilisation, of the individual genetic structure and identity, and the limits between life and death, but on the other side imposes to the humanity to live with an heuristic of fear and to develop rules to control the destructive capacity for the natural environment of our power.

The main practical usefulness for Universities of the UNESCO DeclarationThis is mentioned in article 2 (a) and (b) and in article 22.1 and. 2. Role of States, where it is explained. Article 22: “States should take all appropriate measures, whether of a legislative, administrative or other character, to give effect to the principles set out in this Declaration in accordance with international human rights law. Such measures should be supported by actions in the spheres of education, training and public information”.In article 2 (b) the second ranked aim is “to guide the actions of individuals, groups, communities, institutions and corporations, public and private.”

This means, although is not specifically expressed, that there is a general need to contribute to the promotion and effective implementation of the principles and measures of the Declaration through the international cooperation, having in mind the existing inequities in the enacting bioethics and human rights legislation and fostering the solidarity among the States of the world.

The example of the European Centre for Bioethics and Quality of Life (Saint-Vincent, Italy)This Centre, as UNESCO Chair in Bioethics Unit, perform activities as multi-professional and international courses, conferences, workshops, drafting of guidelines and research on international collaboration, on different aspects belonging to the contents and aims of the Universal Declaration on Bioethics and Human Rights and the promotion of its principles.

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The objectives of this presentationBy presenting in this wonderful and scientifically first class setting of the University frederick II of Naples, this paper on the Promotion of the UNESCO Declaration on Bioethics and Human Rights, the fundamental aim is to increase awareness on the fact that the Naples ethics and human rights traditions, good professional practices and resources could and should be transmitted beyond the national boundaries, having in mind the existence of the needs in many other nations, of the world’s inequities and the very difficult challenges we face in ourglobalisation era.

The Ethics Biomedical Committee of the University frederick II is an outstanding example of excellent direction and membership, first class organisation, good quality work, highest respect to human rights and moral and legal guarantees, and for UNESCO it is very important to make all of those qualities internationally available.

The University frederick II of Naples has, during the last years, shown willingness to contribute with its excellent human and scientific resources in the field of bioethics, to the efforts of UNESCO to promote the Universal Declaration on Bioethics and Human Rights at international level, and this presentation has the twofold objective of making public this intention and, at the same time, for the public the UNESCO bioethics principles and policy.

The Universal character of the UNESCO DeclarationIt is very important to make clear that as Plato, Aristotle, Kant, i.a, have shown, it is possible through the common sense, the self-knowledge, moral reflection and the calling of our conscience, to discover the main and permanent laws of ethics.Those fundamental “laws” of ethics, engraved in our human mind, have made possible to agree on the UN Universal Declaration of Human Rights of 10 December 1948, and other Universal principles on ethics, bioethics, and human rights, without denying that they are compatible with different transcendental perceptions and explanation of the mystery of life and other metaphysical intuitive or religious foundations.

Transnational activities for the application of the principles of the Universal DeclarationThe European Centre for Bioethics and Quality of life as Unit member of the UNESCO Chair of Bioethics, together with the University of Alcala and other institutions and experts has a long tradition in developing activities linked with the aims of the UNESCO Universal Declaration.

Among them it will continue developing the research on risk assessment and management in the fields of medicine and health and social sciences and technologies (Article 20).Different issues will be analysed related with “benefit and harm” and in particular thefollowing perspectives:1. Methodologies for the patient safety assurance2. Methodologies for the risk evaluation3. Studies on hazard and risk assessment in health and social services.

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4. The evaluation of risks in the EU (framework Directive 89/391/CEE and its development.5. The strategies of the UK National Safety Agency and the USA Agency for Health Care,Research and Quality.

Thanks to the collaboration under the framework of UNESCO between the European Centre for Bioethics and Quality of life and the Ethics Biomedical Committee of the frederick II University of Naples, the methodology to establish, run and manage multidisciplinary and pluralistic biomedical ethics committees (article 19) will be made available to the international community. At the same time the tools for the education in bioethics of independent and pluralistic members will be developed.

The process of interpretation beyond concrete circumstances and personal situations Bioethics education and analysis on a multicultural society can face conceptual and principles confusion and subsequent mistakes of analysis and evaluation.To avoid this, probably the best educational method is to study, describe and discuss current and genuine practical cases, with the alternative possible solutions, after having considered the case, trying to be kept free from prejudices. The key should be found through the analysis of the facts, using the logic of the responsibility towards our close peers but also towards thefar away and future humanity.

The UNESCO Chair in Bioethics in order to disseminate different sets of cases for bioethics education, has published several books and, among them two on cases on Psychiatric Ethics, and other on Reproductive Health, Informed Consent, Classroom communication and Moralgames for teaching bioethics.

CONCLUSIONSThe UNESCO’s Universal Declaration on Bioethics and Human Rights, should be effective beyond all the boundaries existing in the world, and in particular those created by of the inequities between poor and rich, developed and underdeveloped and tolerant and intolerant policies and practices.To be effective in the practice this UNESCO Declaration should be complemented with appropriate guidelines for its application and for the evaluation of the development, in every setting, of the implementation of its different principles. The European Centre of Bioethics and Quality of life of Aosta, directed by Dr. Miroslava Vasinova, Unit of the UNESCO Chair of Bioethics and the Ethics Committee of the University frederick II of Naples, Director Prof. Claudio Buccelli, are engaged in jointly developing instruments for making internationally available educational, research and support methods and instruments for the effectiveness of the Declaration at international level.

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QUALE FUTURO PER I COMITATI ETICI?

Pier Enrico Gallenga*, Luisa Borgia*** Direttore Clinica Oculistica Università Chiei-Pescara - Co-founder FnaCE - Presidente Cde Società Oftalmologica Italiana** Comitato Sammarinese di Bioetica - Referente scientifico-didattica Master in Bioetica per le Sperimentazioni Cliniche e i CdE - Università Politecnica delle Marche - Già componente Comitato Nazionale per la Bioetica.

Sommario

Da dove veniamo e la giustificazione morale della sperimentazione clinica e di laboratorio: la tekné.

Utilizzeremo oggi un suggerimento di francesco D’Agostino e andremo a “pescare” nel mito guardando lontano, per tratteggiare la storia della regolamentazione dei rapporti tra persone.

Cominciammo male: con una mela avvelenata che ci aprì però la conoscenza, nel giardino dell’Eden. E continuammo peggio: con Caino ed Abele, con l’inizio violento di una situazione che regolava i conti fra due persone o fra due entità; finché sei solo nel paradiso terrestre non hai il problema di porti delle regole, le regole sono le tue regole; ma quando si è in due ci sono anche le regole dell’altro.

Ed allora in una filogenesi dell’Etica, possiamo considerare l’Etica la correttezza nei comportamenti e la necessità di regolare i rapporti: siano essi di proprietà, di famiglia, di territori di caccia, di custodia dei beni.

la legalità è il comportamento etico in applicazione del Codice Morale, mentre la conflittualità porta a violare le regole di comportamento: partendo dalla clava si può

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tranquillamente arrivare alla bomba atomica! Emerge dunque la necessità di crearsi delle regole di comportamento che dal Rinascimento da noi, nelle Corporazioni delle Arti e Mestieri, e in Olanda e in Danimarca, si configurano in un Codice Deontologico e in norme di deontologia rivolte a tutela del soggetto-oggetto o a tutela degli appartenenti alla stessa corporazione o a tutela della società.Il medico ha un’antichissima tutela che è il Giuramento di Ippocrate che, al momento della consegna del diploma, il laureato accetta di sottoscrivere e si impegna a condividere; tale giuramento impone il debito della coscienza morale.la giustificazione morale per la sperimentazione clinica può venire, partendo dal mito, da un Prometeo, fratello intelligente ed avveduto di Epimeteo, che era il fratello stupido, il quale distribuì agli animali le armi di difesa e di offesa: artigli, veleno, corna, zoccoli in giro per il Creato e quando arrivò l’uomo non restava più nulla.Prometeo, colui che guarda avanti, cosa trovò? Andò dagli Dei e rubò la teknè, rubò il fuoco dando all’Uomo la possibilità di evolvere.Ma la teknè deve essere applicata nel modo corretto, ed allora ecco che Icaro, che usa male la teknè di Dedalo, si avvicina troppo al sole e la teknè forzata (la “malpractice”) lo condanna a cadere nell’Egeo. la sperimentazione con l’uomo costituisce un ambito scientifico con regolamentazione tecnica, etico-deontologica, giuridica; oltre ad aprirsi anche alla sperimentazione animale. Anche qui nel mito Ifigenia in Aulide (Euripide, 403 a.C.) viene salvata dall’aquila, che lascia cadere un coltello su una giovenca che viene quindi sacrificata al suo posto. Se questo è nel mito greco, nella tradizione giudaico-cristiana la sostituzione del sacrificio di Isacco con il capro è alla base di questo stesso concetto.Ed arriviamo a Kant, più volte citato nel Convegno odierno: “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, una formazione culturale che nel secolo del Rinascimento e della Riforma ha permesso di esportare nel Nuovo Mondo, insieme ai Pellegrini del Mayflower, anche la parte delle evoluzioni culturali legate alla morale, dopo lutero e Calvino, dai Puritani ai Quaccheri, per poi evolvere verso altre correnti di pensiero. Non parleremo di problematiche di etica applicata alla ricerca, ma delle evoluzioni che hanno condizionato un ritorno della nuova sensibilità morale e sociale al Vecchio Mondo.

Il ritorno del debito culturale: Norimberga 1946.Ritorno che è stato portato con una guerra che ha spezzato ‘’il secolo breve’’, che è stata una guerra non soltanto di scontri economici o di fuoco, ma è stata una guerra di idee e di ideologia, di totale cambio di cultura. Ciò che è avvenuto con lo sviluppo della cultura sociologica e l’evoluzione dall’individualismo al pragmatismo, da Marx a Max Weber e con l’avvento della cultura della responsabilità sociale della scienza, con tutti gli altri teorici sociali da Maltus a Durkheim, James, Pearce e Dewey, portando ad un recupero del pensiero platonico-aristotelico nell’umanismo americano, con il vero il giusto l’utile e il buono di Herbert I. Schiller, per arrivare quindi alla rivisitazione di Protagora: ‘’l’uomo misura di tutte le cose’’, come insegna Ezio Sciarra all’Università “G. D’Annunzio” di Chieti.C’è un ritorno, quindi di questo debito culturale ed è con il Codice di Norimberga del 1946, anticipazione fondamentale della Dichiarazione di Helsinki del 1964 e delle successive evoluzioni che mantengono invariato il Principio di base n. 5 «[ ] l’interesse del soggetto deve comunque prevalere sempre sull’interesse della scienza e della società».

I principi - il partenariato - il consenso informato - il codice etico - le linee guidaAi princìpi del rapporto Belmont, [Criteri utilitaristici universali o orientati al paziente,

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criterio di autonomia come rispetto della persona, criterio di giustizia come equità delle pratiche sociali, criterio di beneficenza/non maleficenza] possiamo aggiungere dei criteri più mediterranei quali i criteri di dignità di precauzione e di solidarietà (AG Spagnolo 2002, Petrini 2004, Rossi 2009) che rivedremo poi successivamente.Con il passo dall’utilitarismo al partenariato col paziente (R. Veach, 1987) arriviamo al consenso informato, e parliamo del futuro dei comitati etici in generale, non soltanto per la ricerca biomedica: il consenso informato non si applica soltanto alla sperimentazione biomedica ma alla prassi quotidiana del medico nella sua attività sanitaria ed è soltanto con il consenso che non si violano i diritti del soggetto che viene esaminato, studiato, operato oppure trattato.Oltre al consenso c’è la possibilità di evolvere verso un Codice Etico nell’attività di prassi e di inglobare o consentire di utilizzare i concetti che vengono espressi anche nei Comitati di Etica delle società scientifiche o delle associazioni o federazioni di categoria.Il Codice Etico in molte società scientifiche stabilisce principi e convenzioni, la cui credibilità è condizionata all’applicazione dei contenuti ed è generalmente elaborato dal Comitato di Etica della società stessa. Il Comitato di Etica non è un tribunale, non prevede sanzioni, ma esprime un giudizio morale messo a disposizione del Consiglio Direttivo della società scientifica stessa per eventuali decisioni, fungendo da ulteriore volano di crescita sociale, anche all’interno dell’associazione medesima. Codice Etico dell’Odontojatria (2002).Si fa qui riferimento al Codice Etico, edito alla fine del 2008, della Società Oftalmologica Italiana, di cui uno di noi (PEG) dal 2004 al 2008 è stato presidente del Comitato Etico che lo ha elaborato e sottoposto all’Assemblea dei Soci per la discussione ed approvazione, che raccoglie i principi che vengono recepiti e sottoscritti al momento stesso in cui un nuovo membro si associa. In quegli stessi anni la Società dei Cardiologi Ospedalieri ha portato un suo analogo contributo e così gli odontoiatri con il Codice Etico dell’Odontojatria (2002); il Codice Deontologico di farmindustria è diretto a tutelare nel generale interesse il prestigio e la credibilità dell’industria farmaceutica nei confronti dello Stato, dell’opinione pubblica, della classe medica e degli operatori sanitari in generale. Naturalmente anche questo codice nasce da una crisi: come spesso succede non ci si accorge di alcune necessità fino a quando non si arriva ad una situazione che fa emergere l’esigenza di rivisitare le regole,È quello che ci ha presentato nell’introduzione il Prof. Buccelli riferendosi alla situazione italiana nei primi anni ‘90, quando c’è stata la necessità di prendere una decisione: si è partiti con il Comitato Nazionale per la Bioetica e con la ‘’legge De lorenzo’’ del 1992 sulla sperimentazione clinica, estesa da Dina De Stefano: fortunatamente si è partiti col piede giusto.Molto è stato normato sulla costituzione ed attività dei Comitati di Etica, con recepimento delle Direttive Europee e oggi possiamo vedere ben arato e seminato il campo che vedevamo infestato dalla gramigna negli anni di Sanitopoli [dalla gramigna interna ma anche dalla prevaricatrice spada degli inquisitori: chi non ha letto ‘’Colpevole d’innocenza’’ di Dina Nerozzi (Rubettino,2005) non può intendere quali tragedie abbiano coinvolto l’umanità di vittime dichiarate innocenti dopo mesi di vessazioni e dopo anni di immagine di cronaca nera]. Arriviamo ad oggi per dire che un altro punto di intelligenza del Comitato di Etica dell’Università federico II di Napoli è di chiamarsi Comitato di Etica per le Attività Biomediche: questo non limita ma espande le possibilità di lavoro del Comitato stesso già nella sua stessa definizione ed è un’ importante immagine per tutta la situazione nazionale. Uno di noi (PEG) è qui perché insieme a Claudio Buccelli e con pochi altri volonterosi fondammo la federazione Nazionale dei Comitati di Etica (fNaCE) quando in Italia non avevamo né regole né sintassi

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né grammatica e il confronto continuo di quegli anni con le Autorità Regolatorie ha fatto sì che oggi si possa disporre di tutta quella serie di decreti legislativi e di leggi che sono state quasi tutte prodotte in collaborazione con queste strutture istituzionali, in particolare con l’intelligente azione dell’AIfA di Nello Martini.lakhan (Philosophy, Ethics and Humanities in Medicine 2009, 4:13) si augura che sia arrivato il momento di unificare l’approccio all’etica medica, soprattutto per le nuove generazioni che possano confrontarsi con un contributo culturale comune, una koine dialektos che consenta di parlare lo stesso linguaggio. E questo fu il principio informatore per costituire la federazione Nazionale dei Comitati di Etica (www.unich.it/fnace/attivfed.htm).Abbiamo visto che nella ricerca sul materiale umano, quando esiste la possibilità di risalire dal materiale al soggetto a cui è stato prelevato, ogni ricerca su tale materiale deve seguire le regole della sperimentazione.la Glaxo con la sua struttura di ricerca aveva proposto nel 2002 le linee guida per la valutazione della sperimentazione farmaco-genetica, con l’idea di giungere ad un diverso target nella ricerca biomedica, vale a dire di produrre e prescrivere ‘’non più farmaci per la malattia ma per il malato’’ (Gallenga, 2002), cioè centrare il target sul paziente. Ogni anno vengono sintetizzate 10.000 nuove molecole per la ricerca di queste, dopo 6-7 anni, solo 3 arriveranno sul banco del farmacista ed il costo intermedio in questi 6-7 anni sarà tra 100 e 300 milioni di €. Questo vuol dire che nella ricerca non si può sbagliare perché sarebbero enormi risorse economiche perse, ma nello stesso tempo vuol dire che le regole devono essere fortissime per ottimizzare l’investimento e naturalmente tutelare il paziente su cui viene condotta la sperimentazione. Dopodiché ci sono il tempo ed i costi dell’approvazione ministeriale del farmaco, poi la fase quarta e la commercializzazione. A questo punto c’è da porre l’attenzione sulla farmacovigilanza, ampiamente sviluppata in Italia da Achille Caputi (www.farmacovigilanza.org).Eventi rari o rarissimi si manifestano su una piccola percentuale di persone che utilizzano lo stesso farmaco, rendendo impossibile una evidenziazione del fenomeno nello studio sperimentale pre-commercializzazione, perché eventi avversi anche gravissimi possono presentarsi in un caso ogni 20, 50, 100.000 pazienti in terapia (per la fluorangiografia, ad esempio, si sa oggi che c’è la probabilità di un evento avverso mortale da shock ogni 50.000 esami): la farmacovigilanza consente di poter prendere in considerazione questa serie di eventi. Si è parlato oggi della ricerca nei Paesi in Via di Sviluppo, che appare motivata e giustificata eticamente soltanto se vi è una ragionevole probabilità che le stesse popolazioni in cui la ricerca viene eseguita potranno beneficiare del risultato.Riportiamo brevemente l’esperienza NEPAD; nell’acronimo NEPAD sono inseriti i dieci paesi più poveri dell’Africa e quando era ministro della Sanità Sirchia, insieme con il ministro Michelini di un precedente Governo Berlusconi, in una riunione a Parma si ottimizzò la donazione Sigma Tau di 200 milioni di vecchie lire per costruire un capannone e produrre in Africa farmaci contro l’AIDS al costo di 200 dollari per paziente all’anno, quando da noi il costo del trattamento/anno era di 22 milioni di vecchie lire per paziente. Ovviamente c’era il divieto di esportare e vendere outmarket il farmaco, che però poteva essere utilizzato in quell’ambito territoriale. Il capannone fu distrutto durante uno scontro locale dai carriarmati e il progetto, per quanto ne sappiamo, è fallito: ne concludiamo che se non c’è una volontà politica locale, nessuna cooperazione è possibile. la cooperazione è infatti possibile solo quando la politica locale è in grado di comprendere il vantaggio che la propria popolazione può trarre dalla

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sperimentazione. Un altro punto forte: i risultati della sperimentazione devono essere resi noti, l’esecuzione dell’analisi dei dati e la divulgazione fanno parte del ruolo che lo sperimentatore è chiamato a tenere e costituisce il momento di cruciale importanza e delicatezza; quei dati, convalidati da referees accreditati e pubblicati su importanti riviste scientifiche, orienteranno le decisioni terapeutiche con profonde ripercussioni sulla politica sanitaria e sul mondo finanziario. Di più: i dati negativi rappresentano l’informazione fondamentale che impedisce ai ricercatori di ripetere errori precedenti, garantendo una migliore allocazione delle scarse risorse ed evitando inutili esposizioni di soggetti. I Comitati di Etica non hanno il potere di obbligare lo sponsor a pubblicare i risultati, tuttavia, secondo quanto previsto dal DM 12 maggio 2006, art. 5, comma 3 c), i Comitati Etici hanno la facoltà di vincolare lo sponsor all’impegno formale di rendere i dati pubblicamente disponibili. l’Osservatorio Nazionale per la Sperimentazione Clinica costituisce uno strumento importante per reperire i dati sulle sperimentazioni valutate e per orientare la diffusione della conoscenza nella direzione della trasparenza e della correttezza scientifica.

Il conflitto di interessi e il ‘volto rugoso’ della medicina: i principi non negoziabili.Nell’ambito dell’attività della fNaCE, si dette una certa importanza al conflitto di interessi, questo prima che succedessero tante cose che poi sono successe: siamo nel 2002, francesco Caciagli ne parlò in assemblea della federazione a Busto Arsizio, c’è un articolo di Nello Martini sul Bollettino di Informazione sui farmaci dell’AIfA (VIII, 4, 2001) in cui si parla di ‘’un mondo accademico e dell’industria come amanti sempre più a disagio e succede che l’inesperienza coniugale qualche volta può dare dei seri problemi’’. Ne abbiamo tutti ricordo sgradevole. E non si finisce mai: è di questi giorni la conflittualità Industria del farmaco/Centro Studi sull’Invecchiamento (CESI) dell’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara e confidiamo tutti che il Rettore Cuccurullo e lo Sperimentatore in causa vedano presto finire le tribolazioni che li coinvolgono.Su questo argomento, nel 2006 il Comitato Nazionale per la Bioetica ha emanato un documento importante e coraggioso: “Conflitti d’interessi nella ricerca biomedica e nella pratica clinica”, il quale parte dall’importante precisazione che non esiste un chiaro ed univoco concetto di “conflitto d’interesse”, dal momento che la fenomenologia dei possibili conflitti è vasta e polimorfa, ma può configurarsi anche nella pubblicazione dei dati, nella responsabilità dei singoli autori nell’estensione del testo, nelle sovvenzioni ricevute, nella responsabilità di editori, redazioni e revisori, che devono essere semplicemente dichiarate. Dichiarare è un punto molto importante e molte società scientifiche hanno accettato la possibilità di classificare e definire il conflitto di interessi (perché nell’ambito del conflitto d’interesse il buon medico e la nuova etica di Magliani fanno vedere il gioco duro che si svolge fra l’industria che non può sbagliare e il medico che deve applicarne le indicazioni e i progetti; deve dare priorità ai progetti, ma qualche volta può perdere la sua innocenza). l’informazione deve essere corretta e il conflitto d’interesse può essere anche dovuto al fatto che qualcuno possa ricavare potere, visibilità, denaro o addirittura far pressione surrettizia per bisogni indotti: questo dimostra la possibilità di un volto rugoso, non amabile, spesso poco credibile per il medico e per le istituzioni che il medico rappresenta (Magliani, Corsera, 5 dicembre 2003). Marco Bobbio (Gli Struzzi, Einaudi) ne ha tratto delle deduzioni non sempre condivisibili. Nelle attività valutative dei Comitati di Etica, il 77% sono sperimentazioni sponsorizzate dall’industria; ma anche le ricerche organizzate dalle associazioni non possono essere approvate se non si dispone della proprietà dei dati e non si ha piena facoltà a pubblicarli. Carlo Petrini dell’Istituto Superiore di Sanità (Not. ISS, 2004) presenta un’etica

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della sanità pubblica in cui confronta appunto il sistema principialista americano con una prospettiva europea più mediterranea ove si configurano princìpi non negoziabili a tutela del paziente: non sono negoziabili i rapporti deontologici, non è negoziabile l’immagine pubblica dell’Istituzione e del medico. Non è negoziabile il fatto che questo divenga un volano di educazione sociale, non è negoziabile l’assenza di aderenza al giuramento di Ippocrate, non è negoziabile l’assenza di aderenza a GMP/GCP e al recepimento delle normative regolatorie della Unione Europea. Addirittura delle Associazioni di ben fare (Rotary, Soroptimist) si sono date carte dei doveri umani con un codice etico di responsabilità condivise da cui si può andare a prendere degli spunti importanti per quello che è il rapporto con l’ambiente di origine e attività sul territorio.

E vediamo ancora un aspetto un po’ collaterale. Adesso facciamo un po’ di gossip: (in quanto oculista, uno degli Autori presenta qualche dato di oculistica). Ci sono effetti oftalmici associati con medicamenti sistemici e ci sono effetti sistemici associati con medicamenti oftalmici. Tra questi, sempre si ricorda nella lezione agli Studenti di Medicina la riduzione della libido indotta dai colliri beta-bloccanti antiglaucomatosi, che, prescritti ad una popolazione maschile tra la V e la VII decade, non favoriscono certo entusiasmi giovanili. S. D. Iaanus, professore di farmacologia al Dipartimento di Basic and Visual Science del Southern California College di fullerton (marzo 2006), ha messo a punto lo studio su ‘’Ocular effects of systemic medications’’, ma questo è rimasto un draft chiuso e non è stata avallata la pubblicazione (il dubbio rimane: non informare forse per non indurre richieste di danni?).Ciò che porta a parlare di un argomento che è nel cuore della sanità di oggi, nel cuore dei formatori, nel cuore dell’Università: porta a parlare della medicina difensiva.

La medicina difensiva.Sempre meno laureati in medicina si iscrivono alle scuole di specializzazione in chirurgia.

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Sempre meno. Ci sono posti liberi nelle scuole di specializzazione in chirurgia, non solo in Italia ma in tutto il mondo occidentale. C’è un perché. Partendo da questo dato Catino ha presentato a un simposio sulle “Ragioni della chirurgia” organizzato a Chieti nel 2009 un’indagine su mille chirurghi italiani: l’82% dichiara di non aver inserito in cartella clinica annotazioni evitabili, altri di aver proposto il ricovero di un paziente in ospedale nonostante fosse gestibile ambulatoriamente, di aver prescritto un numero maggiore di esami diagnostici, di essere ricorsi alla consultazione non necessaria di altri specialisti, di aver condiviso quindi la responsabilità. Ancora: di aver escluso, e questa è la cosa più grave per il sé del medico, aver escluso dal proprio trattamento alcuni pazienti oltre le normali regole di prudenza. la medicina difensiva è di fronte ad una prassi giurisprudenziale che è particolarmente rigorosa e che sul terreno della responsabilità penale e civile induce spesso i medici a modificare le proprie condotte professionali. la tutela della salute del paziente può così diventare, per il sanitario, un obiettivo subordinato alla minimizzazione del rischio legale e come si evince in questa tabella tra gli accidenti, gli incidenti e l’errore umano che naturalmente è causa maggiore (parliamo delle sale operatoria, negli Stati Uniti) con tutti i fattori che sono intorno a questa situazione, noi dobbiamo tenere conto che in realtà ci sono dei numeri che sono problematici. Catino lo dice: 120.000 morti/anno causate da errori contro 43.000 morti per incidenti d’auto, 3.000 morti per annegamento e 329 morti per incidenti aerei.

Troppi errori; aumentano i processi ai medici, la fNOMCEO (Bianco, 2006) ribadisce i valori deontologici in linea con una società moderna, da cui non possono essere esclusi temi difficili e naturalmente quello della malpractice è un tema importante.Va considerato poi il calcolo che ad ogni 200 euro di premio per l’assicurazione del medico corrispondono 300 euro di costo per sinistri e questo a fronte di un numero di denunce di ‘’malasanità’’ aumentato a dismisura, ed a fronte, invece, di risultati, a termine procedimento legale, nella maggior parte dei casi assolutori. Tutto ciò al prezzo umano e professionale che un terzo della carriera dei medici denunciati trascorre sotto processo: il che è una cosa

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terribile e inaccettabile. Con un rovesciamento di ruolo che trascina il medico a divenire soggetto ‘debole’ come può intervenire il Comitato di Etica locale? facendosi parte attiva di riequilibrio di prassi, agendo per cambiare il modello culturale. Se questo è un circolo vizioso, il circolo vizioso è quello del modello accusatorio in cui il problema fondamentale è la ricerca del colpevole, l’errore nascosto: da qui la medicina difensiva e quindi più costi assicurativi, più cause e più contenzioso, minore miglioramento organizzativo, minore sicurezza del paziente. Quello che si vorrebbe proporre è il circolo virtuoso cioè il modello funzionale in cui la ricerca persegue la criticità organizzata, segnala gli errori, rimuove i fattori latenti e migliora la situazione organizzativa. Quindi questi sono i modi dell’agire corretto, la cultura della sicurezza, liberarsi dal mito dell’infallibilità. Comunque anche se prima o poi bisogna morire, bisogna fare di tutto per la tutela della persona. Abbiamo l’obbligo di mezzi, bisogna fare tutto il possibile, ma nessuno può essere considerato infallibile. Bisogna ridurre le trappole di errore, incrementare l’organizzazione, sviluppare il crew resource management.Allora se questi fattori (cioè non ‘’dire chi è il colpevole’’, ma ‘’quali fattori hanno favorito l’evento’’ e ‘’perché hanno fallito le difese’’, cioè ‘’che cosa possiamo fare per evitare che questo riaccada’’) sono presi in considerazione, si può vedere la luce in fondo al tunnel. Quindi supporto alle iniziative di depenalizzazione amministrativa nei confronti dello sperimentatore - e dell’attività di salute in SSN - che non significa deresponsabilizzazione del ricercatore. Qui è già dunque possibile identificare un ruolo futuro del Comitato di Etica, nell’indurre alla cultura del risk management, cioè ruolo del Comitato di Etica nella prassi sanitaria come interfaccia etico-medica portatrice di valori e di dialogo capace di proporre e valutare procedure per definire le regole interne delle Joint Commission aziendali, come supporto integrativo di linee guida multiple per una condivisione giustificativa di scelte terapeutiche singole o diffuse, per esempio i trattamenti con farmaci off-label e il supporto per lo studio di malattie rare e farmaci orfani, citati nel Convegno.

Coperture assicurative delle sperimentazioni

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Quando ancora non c’era il decreto legislativo sull’assicurazione delle sperimentazioni che è uscito nel 2009, ma che è stato elaborato in AIfA fin dal 2005, la fNaCE si era data queste regole (in Tabella) preparate dal Comitato di Etica di Napoli, che tutti i Comitati di Etica avevano presente e cui tendevano ad uniformarsi già da prima che ci fosse il decreto attuale. Oggi, oltre alla valutazione della copertura assicurativa degli studi sperimentali, è necessario contrattare con l’Amministrazione locale la copertura assicurativa per l’attività del CdE, che potrebbe essere coinvolto in richieste risarcitorie. Anche l’esecuzione dell’esperimento e la divulgazione dei risultati devono essere messi sotto la lente di ingrandimento e devono essere valutati; perché bisogna poi ben guardarli questi risultati. Infatti i dati devono essere credibili e devono essere appropriati. E allora facciamo un altro po’ di gossip.

Questo è uno studio di oculistica - portato apposta per chiarire un altro ruolo non irrilevante nell’attività di controllo dei CdE sulla fattibilità locale del protocollo (naturalmente sono cancellati lo sperimentatore ed il centro di eccellenza di sperimentazione) - che misura due diversi colliri per il controllo della pressione oculare, tecnica più che corretta: si fanno alcune misurazioni nell’arco della giornata e si vede se la curva circadiana è sopra o sotto il livello di sicurezza. È tutto perfetto, perché non approvarlo? Perché non pubblicarlo? Perché quel centro di ricerche di eccellenza non disponeva dello Schiotz electronic tonometer, che invece gli autori sostengono di avere utilizzato nel protocollo d’esame. Un altro aspetto ancora è la frode scientifica e la ‘superficialità’ editoriale delle riviste scientifiche.

Clinical and Experimental Ophthalmology pubblica una sperimentazione su un determinato materiale delle lentine intraoculari, presentando un confronto e dichiarando che quelle

A 12-month, randomized, double-masked study comparing latanoprost with timolol in pigmentary glaucoma.

MAIN OUTCOME MEASURES: Diurnal curves of intraocular pressure (IOP) were performed on the baseline day and after 0.5, 3, 6, and 12 months of treatment. The IOP measurements were performed at 8:00 AM, 12:00 noon, 4:00 PM, and 8:00 PM. Outflow facility (“C”) was measured on the baseline day and on the last day of the study with a Schiotz electronic tonometer.

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prodotte in India erano inferiori rispetto a quelle prodotte da un’altra parte. Bene, il collega Kasturi Ravilla scrive a tutta l’oculistica del mondo dicendo che mai la fred Hollows foundation aveva avuto in disponibilità le lentine prodotte in India, ma soltanto un dépliant che descriveva il prodotto. Era una pura situazione di confronto commerciale basata su una frode surretiziamente introdotta in un giornale scientifico! l’Editor ha dovuto dimettersi… È stato detto stamattina quanto sia rilevante il ruolo dei giornalisti nel trasmettere un’informazione corretta, non mirabolistica né illusoria; è importante che i giornalisti dicano, sappiano, siano formati. Si riporta qui Gianfranco Ravasi. ‘‘Un vero giornalista spiega benissimo quello che non sa; il giornalista è una persona il cui lavoro consiste nel separare il grano dalla pula e nel far stampare la pula’’, sono due citazioni: da longanesi la prima, da Elbert Hubbard la seconda. In realtà quello che è importante leggere in questo ‘mattutino’ di Gianfranco Ravasi è quello che è segnato in rosso.

‘’Cade cosi non solo la ricerca delle verità - nella pubblicazione malfatta - ma anche il rispetto della dignità propria e altrui. la temperie storica in cui viviamo purtroppo ha perso il sussulto morale, il rimorso, la serietà e la severità che non sono né pedanteria né ipocrisia’’.l’indipendenza - criterio prioritario, fondamentale, non negoziabile - del Comitato di Etica locale consente di potersi opporre alla decadenza morale e fungere da modello virtuoso di riferimento anche per la società civile nel cui ambito opera. Una possibilità di lavoro per i Comitati di Etica è la certificazione di qualità del CdE stesso. Quando l’applicammo al Comitato di Chieti aveva il significato di definire percorsi interni e verificarne l’applicazione; oggi, con le regole che sono date dall’AIfA e con i decreti legge non ha più lo stesso significato, ma gli ambiti di attività presuppongono comunque di lavorare sempre ‘in qualità’. In particolare nel rispetto della tempistica, che è atto di rispetto nei confronti delle esigenze giuste del committente, attuando iniziative di auditing per mantenere l’attenzione sul problema ed

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iniziative di Master - o almeno di supporto ai membri del CdE per partecipare a Master riconosciuti - per ottimizzare il dialogo etico e portare avanti il confronto e la didattica. Ciò potrebbe attivare un futuro Albo delle qualità dei Masters, cui le Aziende potrebbero attingere per la nomina di figure di particolare competenza nei CdE. È opportuno citare ancora alcuni campi di possibile attività per i CdE: i dispositivi (che vanno dalle lentine intraoculari ai cateteri e sono classificati come utilità che non richiedono sperimentazione locale con il paziente) la nutraceutica (aspetto importantissimo dal punto di vista economico per il costo cui è direttamente esposto il paziente) e le medicine alternative, per i quali c’è l’auspicio forse molto concreto che si possa avere in un futuro prossimo un punto di riferimento nel Ministero o nell’AIfA, con un’agenzia che possa fungere da parallelo rispetto a quello che cosi bene ha fatto l’AIfA in questi anni per il farmaco etico. E ancora la validazione del trattamento degli animali da laboratorio, con un approccio armonico tra uomo e natura. Peraltro le competenze dei CdE locali dovranno ampliarsi nel futuro, ancora, ovviamente, e sempre nella ricerca biomedica, nella bio-ingegneria genetica e farmaco-genetica, acquisendo costante dimestichezza con l’elaborazione delle linee guida, orientando possibilmente le scelte verso il ‘farmaco per il malato’, ma estendendo con fermezza la propria competenza alla prassi medica, ed al rapporto medico-paziente; creando altresì iniziative che facciano opinione sul territorio e divengano volano virtuoso di sviluppo di una nuova coscienza collettiva bioetica.

La ‘nuova’ FnaCE.Per cui: quale futuro? Quale futuro lo ipotizziamo qui, tutti insieme. l’indipendenza del CdE è stato detto e ribadito dev’essere un’indipendenza culturale, morale ma anche economica. Se non ci sono le infrastrutture, ha detto Piga, non si potrà mai arrivare a quei risultati che il Comitato di Napoli/federico II presieduto da Claudio Buccelli ci ha presentato questa mattina. Ampliare il dibattito, abbattere la conflittualità, trasmettere sapere all’Azienda ospedaliera stessa e al territorio, monitoraggio esterno delle sperimentazioni, auditing interni, verifica della qualità interna, un albo delle qualità e della formazione obbligatoria dei componenti con dei corsi di master interni. Quindi formazione ulteriore rispetto a quello che è stato fatto e rotazione nell’ambito dei componenti del Comitato. la nuova federazione Nazionale dei Comitati di Etica dovrà aprire questo dialogo, dovrà aprire linee di consenso, dovrà essere un’attrice nella formazione dell’interfaccia con farmindustria e, per chiudere, un richiamo alla locandina di questo bel convegno. l’abbiamo tutti tra le mani, possiamo rileggerla insieme: ‘’la sperimentazione è la matrice vitale del progresso della medicina; quella sui farmaci, quota numericamente più consistente, si compie quasi da un ventennio in una trama di garanzia per i pazienti sempre più fitta di norme giuridiche che tuttavia a ben vedere pur rigorosa non è né rigida né definitiva in quanto per larga parte informata a principi etici di respiro internazionale, incessantemente oggetto di riflessioni rifinitorie destinate ad approdare a soluzioni cangianti nel tempo. la dichiarazione di Helsinki ha mitigato sostanzialmente alcuni aspetti del codice di Norimberga e le ultime sue revisioni ne hanno mutato talune iniziali sue posizioni al punto da non essere univoco il riferimento dei maggiori organismi di controllo istituzionale delle ricerche biomediche statunitensi.Da qui spazi ancora straordinariamente ampi per un proficuo dibattito etico su principi, metodi, finalità e garanzie della sperimentazione non solo clinica.’’E allora l’augurio è che nasca da qui la nuova federazione Nazionale dei Comitati di Etica cui questo convegno possa dare il contributo fondamentale con un Vivat Crescat et floreat.

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3 DICEMBRE

PRIMA SESSIONEPROFILI GENERALI

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COMMITTEES FOR RESEARCh EThICS AS SUPPORT FOR PATIENTS’ SECURITY IN CLINICAL EXPERIMENTS

Povl RiisM.D.,D.Med.Sci., Hon.D. (Univ.Odense, Gothenb.) Hon.M.: RCP (Lond.), Med.A. (Sweden, Finland, Iceland). Prof. Medicine (Univ. Copenh.), Chairm. Dan.Nat.Res. Ethics Syst. 1979-98, M.Dan.Nat.Syst. for Sci Reliab. 1992-99

In the long history of medicine personal judgement’s, without scientific evidence as defined today, was the dominant source of medical doctors’knowledge. But inspired by historical attempts to systematize the validity of experiments in patient related medicine, later supplied with the foundation of statistics and the discipline and term methodology, made ethics as a necessary component visible.

In order to understand how fundamental ethics is placed in clinical experiments, trials and epidemiological studies the philosophical constituents of methodology and of ethics will be covered briefly.

Methodology as a conditionMethodology comprises the way planned observations in a sample of patients, scientists’ measurements and a project’s results can be made reasonably reliable for the translation to the large group of patients with a similar diagnosis.

One of the two conditions for creating reliable and translational clinical research has the form of an axiom (logic linguistics), and sounds “All judgements rest on comparisons”. It is the base of methodology’s demand for including control groups in clinical experiments. The other focus on unavoidable elements of the human body’s, patients’, diagnostic groups’, and health systems’ variations is on: “All biological and clinical measures vary independently of tested clinical interventions over time, and on time intra- and interpersonally”.

Because good methodology is in itself not enough to make a clinical intervention project acceptable in a democratic society, good ethics is today a necessary condition for acceptability. But, because fundamental terms also vary over historical time, etymology (i.e. the origin of linguistic terms) is not applicable as a definitory source. In other words the meaning of ethics from Greek language: “The good life”, is insufficient today. We have instead to apply semantics, in order to comprise today’s international and national differences for the sake of the scientific globalization.

Definition of ethics My own definition of ethics with this perspective is the following:“The collection of fundamental non-material values, attitudes and norms considered by most of a population and /or a culture as essential for personal life, life with one another, and life with society’s institutions. Ethics also comprise the value basis for democratic legalizations and other overall sets of rules.

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In a global perspective ethics also include a co-responsibility for the planet Earth’s air, water and soil, and its flora’s and fauna’s preserved diversity.Non-material values behind ethics are: - Justice- Good Samaritan’s duty- Truth- Responsibility of scientists- freedom for participants- Professional competence”

Quality and security measuresIn order for committees to secure projects’ quality and safety these aspects of individual projects might be placed in different public authorities, or partially to be committees’ responsibility to evaluate and control.

In accordance with Nordic administrative structures and experiences toxicologic responsibilities in drug trials are placed in a national body, National Drug Agency, who work together with the committee system, according to the basic principle, that both authorities independently must have accepted a drug trial project, as condition for its ethical acceptance.

Dealing with the ethical pre-condition that a project’s quality is scientificly acceptable, Nordic experiences - now reflected in the Nordic committee legislations - place such a control in the research ethical committees, which only now and then invite special independent advisers if their membership competence seems to be insufficient.

The widening scope of biomedical researchThe post-war appearance of ethical control with ethical demands to biomedical clinical research had clinical pharmacological research as the main topic, primarily involving clinical pharmacologists, pharmacists and drug industries, with “Good Clinical Practice” as an example.

Since then the scope of research and researches fortunately has widened considerably. The scientists now include nurses, midwives, psychologists, dentists, health economists, anthropologists and many others. And also the groups of citizens have widened: from healthy volunteers, via patient groups, to large non-patient groups in epidemiological projects.

The widening scopes have created new challenges to the committee systems, but also valuable inspirations for societal perspectives of biomedical research.

The scope of committee membership for countries starting, or are on their way, to create a national committee system for research ethics of biomedical research it is important to discuss the overall organization and structure of their system in a future perspective. In order to inspire such discussions and decisions, the

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overall aspects are briefly listed here. In the long run a national, regional system is preferred for the multiple institutional system. Otherwise control is missed with important research in firms, in groups of practising specialists, dentists, epidemiologists etc.

The long-term choice between a national system that is single-tiered or two-tiered is also important. With the fast increasing number of multidisciplinary and/or multicenter biomedical projects (sometimes even multinational) it is valuable, if the ethical acceptance standards are equal for all the patients participating. A way of obtaining this is to establish a two-tiered system of a number of regional committees, which are represented in a national committee. The national committee will also be able to deal with international contacts, and its probably must important function as a body for appeal.

Making a committee system legally based - is that an advantage? Yes, it makes it easier to favour equality and fairness. But for countries having experience with some individual and institutional committees it might be an advantage to have obtained experience, which eases the preparation of a nationwide, regional, legally based system. If such a national system becomes the end-point it will also be easier to fulfil an important extra obligation for a committee system: to participate in pre- and postgraduate courses in biomedical research ethics.

May-be the most important basic decision is to decide how membership will be structured. My own nineteen years’ experience as chairman for a central national committee with full parity between scientific and lay members in both regional committees and the central committee during the many starting years, and later with two lay members more than parity per committee, are very positive in favour of the lay majority. The committees do not use voting for the decisions, and lay members have the extra qualification that they have no, or very small, conflicts of interests (except those in favour of citizens’ interests in creation of increased evidence-based therapeutic opportunities).

Future perspectives In conclusion future positive and negative perspectives for national and international research ethical committees will be outlined.

In some countries attempts have been seen to involve research ethical committees in ethical dilemmas, which have had no relationship to research projects, or to establish separate institutional ethical committees for acute ethical dilemmas in hospitals. The first initiative can not be recommended, because committees do not serve as clinical courts, and the second solution has shown to be inactive and therefore superfluous, because such committees’ time windows are not narrow enough for very acute clinical decisions.

Even if scientific and personal honesty is a presupposition for obtaining fair informed consent for potential participating patients in research projects, personal scientific honesty, or lack of it, is not suitable for being processed in research ethical committees. Instead suspicions of

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scientific dishonesty are much better dealt with in an independent public organ dealing with these moral and forensic problems of medical research.

Overall ethical problems stemming from new therapeutic or diagnostic possibilities in common clinical practice (transplantations, genetic analyses for insurances or appointments ect.) ought instead than in research ethical committees to belong to a National Ethical Council, with a mixed membership of research representatives and politicians.

As a whole research ethical committees and the growth of public attention for ethics in general have shown to be a societal growth layer with very prominent and promising potentials.

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IL CONTRIBUTO DELLA SPERIMENTAZIONE ALL’EvOLUZIONE DEL SAPERE MEDICO

Renzo PegoraroDirettore della Fondazione Lanza di Padova; Presidente Comitato Etico per la Sperimentazione dell’Azienda Ospedaliera - Università di Padova

1. Introduzione

Quando parliamo di “medicina” intendiamo una disciplina che ha un fine ben preciso, ossia

quello di curare persone malate avvalendosi di varie conoscenze, di varie scienze; e questo

lo fa seguendo un proprio metodo, una metodologia specifica e adeguata per raggiungere

questo fine.

la “ricerca medica” è “l’attività tesa a verificare un’ipotesi per poterne trarre delle conseguenze

e di qui sviluppare o fornire contributi al sapere generalizzabile” (1); si tratta di far avanzare il

sapere medico che poi diventa utile proprio nella pratica medica, cioè il concreto intervento

rivolto a curare un singolo paziente, e questo è il livello clinico della medicina.

Allora la ricerca medica fa riferimento ad una propria etica, che è “la fedeltà verso la

destinazione originaria del sapere che si cerca, cioè il bene della cura” (2): è questa la

prospettiva di fondo della ricerca in ambito medico, e in base a questa prospettiva deve

svilupparsi e svolgersi.

la sperimentazione biomedica è “il momento operativo della ricerca, ossia i metodi e gli atti

concreti dell’osservazione sistematica, della modificazione sperimentale, della verifica delle

ipotesi e conseguentemente della validazione delle modalità di prevenzione, di diagnosi e

cura che sono oggetto di indagine” (3). È il momento concreto ed operativo per realizzare

le finalità proprie della ricerca. Parlando di sperimentazione biomedica, spesso è stata fatta

la distinzione tra ricerca e sperimentazione terapeutica (pensiamo in particolare a quella

dei farmaci dove si prevede un beneficio terapeutico per i soggetti coinvolti) e la ricerca-

sperimentazione non terapeutica (dove non si prevede un possibile beneficio diretto nei

confronti per i soggetti coinvolti, come avviene per la ricerca fisiopatologica o per quella

che cura il miglioramento di alcuni test diagnostici o di altre procedure che non hanno

direttamente un impatto terapeutico).

Questa distinzione ha un suo significato e una certa utilità, con tutta una serie di implicazioni;

ma è sempre più difficile mantenerla, in quanto si tratta di realtà che si incrociano, che si

sovrappongono, e che nel contesto clinico sono strettamente correlate.

1 Cfr. National Commission for the Protection of Human Subjects of Biomedical and Behavioral Research, “The Belmont Report”, Washington DC 19782 R. MORDACCI, Bioetica della Sperimentazione, F. Angeli, Milano 1997, p. 503 idem, p.52

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2. Necessità e importanza della ricerca biomedica

Cercando di presentare brevemente il ruolo e l’importanza della sperimentazione biomedica

per il progresso del sapere medico e quindi della pratica medica, faccio riferimento, tra i tanti

documenti esistenti alla Dichiarazione di Helsinki della Associazione Medica Mondiale, che

è un po’ il punto di riferimento di tante nostre riflessioni, e che nella sua ultima versione del

2008 (a Seoul) ricorda che “il progresso medico è basato sulla ricerca, che in ultima analisi

deve includere la realizzazione di studi che coinvolgono soggetti umani” (art. 5) (4). E si

precisa che “lo scopo primario della ricerca medica che coinvolga soggetti umani è quello

di comprendere le cause, lo sviluppo e gli effetti delle malattie e migliorare la prevenzione,

diagnosi e gli interventi terapeutici (metodi, procedure e trattamenti). Anche i migliori attuali

interventi devono essere valutati continuamente attraverso la ricerca (art. 7).

Quindi la sperimentazione risulta fondamentale per l’evoluzione del sapere medico; e questa

va fatta nel rispetto delle persone: “nella ricerca medica che coinvolge soggetti umani,

il benessere del singolo soggetto dovrebbe avere la precedenza su tutti gli altri interessi”

(art.6). l’avanzamento del sapere medico tramite la sperimentazione deve svolgersi nel

riconoscimento e tutela della dignità di ogni persona umana, coinvolta attivamente, ma mai

“strumentalizzata” o “usata” per la ricerca (art. 7). “la ricerca medica è sottoposta agli standard

etici che promuovono il rispetto per tutti i soggetti umani e la tutela della loro salute e dei loro

diritti” (art.9). Questa istanza etica caratterizza la ricerca medica, perché sia finalizzata a un

sapere pratico-clinico e perché sia svolta con tutte le garanzie necessarie.

3. varie tipologie di sperimentazione medica

Quando parliamo di ricerca e di sperimentazione medica, abbiamo di fronte varie modalità

di intervento a seconda degli ambiti, delle patologie, degli obiettivi.

C’è la sperimentazione nel campo della prevenzione al fine di migliorare conoscenze e

interventi, come test, di screening (compresi quelli genetici), vaccini, alimentazione, diete,

valutando il loro impatto sulla salute, cercando di evitare l’insorgere di certe malattie.

C’è la ricerca per il miglioramento diagnostico: nuovi test, più avanzate modalità di screening,

sviluppo di tecnologie e di nuove apparecchiature diagnostiche.

C’è la ricerca per nuove terapie, in particolare nell’ambito farmacologico, che è quello

principale; ma ci sono studi anche per nuove modalità chirurgiche e nell’ambito dei dispositivi

medici. Sperimentazione in campo riabilitativo, che riguarda trattamenti, apparecchiature e

dispositivi per le cure in tale settore. E poi ricordiamo l’importante distinzione tra ricerche

“sponsorizzate”, in genere per la registrazione di nuovi farmaci, e ricerche “no profit” che

sono finalizzate, secondo il D.M. del 17/12/2004, al il miglioramento della pratica clinica e

quindi sono parte integrante dell’assistenza sanitaria.

4 Associazione Medica Mondiale, La Dichiarazione di Helsinki (ultima versione Seoul 2008)

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4. Studio controllato e sua valutazione etica

Quando parliamo di sperimentazione, a seconda dei diversi ambiti e delle diverse tipologie di

essa, riconosciamo tra ciò che è comune a tutti i protocolli di ricerca e ciò che è specifico di un

determinato studio, in termini di modalità e finalità. Il modello di riferimento, di impostazione

base di una sperimentazione biomedica è quello dello studio clinico controllato, che è

essenzialmente lo stesso per ogni branca della medicina, cioè si applica sia per la valutazione

dei farmaci che per procedure chirurgiche innovative e per terapie fisiche.

Il modello è lo stesso, ma è evidente che ci sono delle differenze che vanno tenute in

considerazione perché, pur avendo sostanzialmente lo stesso approccio metodologico, è

evidente che studi in ambito diagnostico sono diversi da quelli terapeutici, l’area chirurgica

è diversa dall’area psichiatrica (5).

Uno studio clinico controllato deve prevedere: una chiara ipotesi di partenza che deve essere

testata; la stima di fattori di “confondimento”/bias che potrebbero riguardare diverse variabili

che incidono sui risultati; la valutazione dell’effetto placebo per la somministrazione di un

farmaco o di una sostanza; la randomizzazione, cioè la scelta “casuale” di soggetti per una

maggiore obiettività dello studio; il mascheramento dell’appartenenza a diversi gruppi, cioè

procedere in “cieco” o “doppio cieco”; durata e monitoraggio dello studio; corretto impiego

di metodologie statistiche.

Tutto ciò fa sì che lo studio possa essere chiamato “controllato” e che, quindi garantisca

l’attendibilità e verificabilità dei dati.

Un tale progetto di studio diventa oggetto di una valutazione etica complessiva, da parte

del Comitato Etico per la Sperimentazione, valutazione etica che segue ormai uno schema

generalmente condiviso e consolidato (6):

la ricerca deve avere un valore sociale e scientifico, cioè deve apportare nuove - conoscenze e migliorare il livello della salute;

dev’essere condotta con rigore metodologico ed essere bene organizzata;- i partecipanti devono essere selezionati secondo parametri stabiliti dal progetto di - ricerca;

ci sia un rapporto positivo tra i potenziali benefici e i rischi possibili, e questa - proporzione tra i rischi e i benefici va attentamente valutata perché in certe situazioni

- come quelle segnate da grave patologia - l’assenza di trattamenti efficaci o di

vere alternative terapeutiche pone il problema della accettabilità di certi rischi e di

quanto lasciare alla libertà del paziente di “scegliere” (anche accettando alti rischi)

tramite il consenso informato, in quanto per definizione, si sta ancora “cercando”,

“studiando”.

5 cfr. J.P. BOISSEL, A. LEIZOROVIC, Disegno e condizione di uno studio clinico, in B. PITT et al, La sperimentazione clinica, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2000, pp. 1-2 (ed. or. Inglese 1999)6 cfr. E. EMMANUEL et al, What makes clinical research ethical?, in JAMA, 2000, 283, pp 2701-2711

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I progetti di ricerca devono essere sottoposti ad una revisione indipendente e interdisciplinare,

(ruolo specifico del Comitato Etico); gli individui per essere inseriti nello studio devono essere

informati, e devono essere messi in condizioni di compiere una scelta libera: fondamentali,

quindi, sono l’informazione e l’adeguato consenso a partecipare allo studio, sapendo che

ci sono tutte le incognite e le incertezze della sperimentazione, e non siamo nel campo

dell’azione direttamente curativa di un malato. la persona che partecipa ad una ricerca deve

essere trattata con rispetto prima, durante e dopo la ricerca.

5. Alcuni problemi “aperti”, specie in area farmacologico-farmaceutica

Quanto appena illustrato rappresenta concetti ormai affermati e condivisi, di carattere

metodologico, etico e anche normativo; ma rimangono dei “problemi aperti”, delle questioni

che vanno opportunamente affrontate e che chiedono un ruolo sempre più attivo dei Comitati

Etici per la Sperimentazione (7).

la vera o falsa novità terapeutica, ossia il rischio che qualcosa di “nuovo” venga - inteso immediatamente come un avanzamento delle conoscenze e delle terapie.

Occorre verificare se si tratti veramente di un miglioramento, a parità di efficacia del

trattamento oppure a parità di efficacia di una riduzione degli effetti collaterali, dei

disagi nella via di somministrazione.

È da approfondire che cosa si intenda per un vero end point: occorre precisare come - avvenga la misurazione degli esiti di uno studio sapendo che c’è un risultato, un end

point “forte”, vero, che è il beneficio reale per i pazienti direttamente coinvolti nello

studio; ma ci sono talvolta anche degli end point “minori” quando si va a valutare

l’efficacia di un farmaco sull’abbassamento della pressione o sulla glicemia o sul

colesterolo, con la difficoltà a comprendere poi la reale efficacia del trattamento per

la popolazione coinvolta.

Ciò richiama il rapporto tra significatività statistica versus significatività clinica, - che non sono la stessa cosa. Usando un campione molto grande si può trovare

una significatività statistica che però non implica una vera efficacia e un reale

miglioramento da un punto di vista clinico per i pazienti interessati da quella

patologia e sottoposti allo studio. Quindi occorre essere molto attenti su come

vengono selezionati i campioni, le dimensioni di essi, la loro numerosità.

Altrettanta attenzione va posta nei criteri di inclusione e di esclusione, e su come - vengono definiti, in base alle finalità dello studio e in base al controllo di eventuali

rischi per i pazienti interessati.

Si è già accennato al problema del placebo cioè come e quando possa essere - utilizzato.

7 cfr. G. MARSICO, La sperimentazione umana, F. Angeli, Milano 2007, pp. 71-77

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Ci sono poi i recenti studi di farmaco-genetica e farmaco-genomica sicuramente - interessanti, promettenti, che chiedono una maggiore integrazione tra “pubblico” e

“privato”, e occorre valutare le forme di garanzia per i dati che vengono raccolti ed

elaborati e le modalità di applicazione delle conoscenze acquisite.

6. Alcune popolazioni “speciali”

Altra questione molto complessa che riguarda la ricerca biomedica è quella inerente

alcune popolazioni che possiamo chiamare “speciali”, e che possono essere coinvolte nella

sperimentazione o che soffrono ancora per la scarsa partecipazione alla sperimentazione

biomedica (8).

Anzitutto il “mondo femminile”, le donne che fino a poco tempo fa rischiavano di - essere escluse da tanti studi, specialmente le donne in età fertile, a causa dei rischi

dovuti alla possibile gravidanza. Gran parte del problema è stato superato, e quindi

le donne vengono incluse normalmente negli studi con tutta una serie di tutele e

garanzie a riguardo. Ma forse c’è la necessità di ulteriori e mirati studi che tengano

conto delle patologie specifiche femminili ma anche dei meccanismi fisiopatologici

tipici della donna. Occorre considerare con più attenzione al fine di promuovere più

studi utili a tale popolazione.

Così l’area dei minori, ossia tutto l’ambito pediatrico. Purtroppo tale area soffre - ancora di una certa carenza di studi a parte forse la emo-oncologia, e alcuni altri

settori. E anche qui è necessario riflettere su come sviluppare la sperimentazione

con le garanzie di tutela in questi pazienti, partendo dal neonato e arrivando al

minore matura, e ricordando che sono fasce di età ben diverse sia per condizioni

fisiopsicologiche ma soprattutto per la possibilità di un’ informazione e di un

coinvolgimento attivo dei pazienti. Normalmente si parla di un consenso dei

genitori e di un assenso anche da parte del minore, cioè anche il minore viene

coinvolto e informato per la sua adesione/partecipazione attiva, pur non trattandosi

di un consenso in senso strettamente giuridico. È importante tener conto della sua

opinione, perché non stiamo discutendo con lui per curarlo ma perché partecipi ad

un progetto di ricerca e di sperimentazione, di cui non si conoscono i risultati né

per il soggetto né per il gruppo; quindi si deve tener conto della sua disponibilità a

partecipare ad esso.

è- più complessa la questione della ricerca su embrioni e feti umani. Come è possibile

tale ricerca nel rispetto dell’integrità e della vita dell’embrione? Si tratta poi di

embrioni eventualmente ottenuti tramite la procreazione medicalmente assistita e

quindi va considerata la normativa esistente nel nostro Paese (cfr. legge 40/2004

8 Idem, pp. 157-185

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sulla Procreazione Medicalmente Assistita). Ci sono vari aspetti pratici, etici e relativi - a chi e come possa dare il consenso che vanno considerati e approfonditi.

Salvaguardando il rispetto e l’integrità dell’embrione, e così anche del feto, ci possono

essere ricerche concernenti la diagnosi prenatale o ricerche per la conoscenza e la

prevenzione di patologie già in epoca fetale, durante la gravidanza. Quindi, quale

tipo di consenso: consenso solo della madre o di entrambi i genitori? Quale forma

di tutela e garanzia nei confronti di studi che coinvolgono il feto sia per la diagnosi

sia per la terapia (terapia medica, terapia chirurgica o terapia di ingegneria genetica

qualora fosse possibile).

Abbiamo un altro gruppo di soggetti vulnerabili che sono quelle persone incapaci - di dare un consenso, come i pazienti con gravi disturbi psichici, soggetti in coma,

soggetti con demenza (ad es. morbo di Alzheimer avanzato). Si pone il problema di

come realizzare una sperimentazione in questi casi. Nel contesto italiano viviamo una

discrepanza ed una tensione tra quanto affermato nella Dichiarazione di Helsinki e

quanto espresso nella Convenzione di Oviedo (Consiglio d’Europa, 1997; ratificata in

Italia con la legge n. 145/2001 che non è stata, poi, “depositata” secondo le procedure

previste). Infatti nella Dichiarazione di Helsinki c’è la possibilità di sperimentazione

a certe condizioni anche per i suddetti pazienti di cui si fa garante il Comitato Etico:

“la ricerca che include soggetti che non sono in grado fisicamente e mentalmente

di dare un consenso, per esempio pazienti incoscienti, può essere condotta solo

se la condizione fisica o mentale che impedisce di dare il consenso costituisce

la caratteristica propria della popolazione oggetto di studio. In tali circostanze il

medico dovrebbe chiedere il consenso informato ad un legale rappresentante. In

assenza di tale rappresentante e se la ricerca non può essere rimandata, lo studio può

procedere senza il consenso informato a condizione che le ragioni specifiche per

includere soggetti non in grado di dare un consenso informato siano state dichiarate

nel protocollo di ricerca e lo studio sia stato approvato da un comitato etico per

la ricerca. Il consenso per continuare a partecipare alla ricerca dovrebbe essere

acquisito dal soggetto o dal legale rappresentante appena possibile” (cfr. art. 29). la

Dichiarazione di Oviedo, invece, prevede che ci sia sempre in questi casi un legale

rappresentante e in Italia non abbiamo immediatamente la possibilità di tale figura,

a meno che non si parli di tutore o amministratore di sostegno, attivati secondo le

procedure previste, che spesso richiedono tempi lunghi. Rimane perciò il problema

di capire se si possa, e a quali condizioni, fare ricerca su soggetti non in grado di dare

un consenso ma che avrebbero bisogno di ricerche proprio per sviluppare nuove

terapie o avere delle terapie efficaci quando ancora non ne esistano (vedi morbo di

Alzheimer). Tutto ciò più o meno vale anche per pazienti in terapia intensiva, in unità

coronarica, in contesti di grave urgenza dove non ci sono le condizioni o sono molto

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difficili, perché il paziente possa esprimere un consenso. Ci sono delle indicazioni

per cui come dice anche la Dichiarazione di Helsinki, per cui, se la ricerca ha delle

buone prospettive terapeutiche, possa essere svolta e ottenere successivamente il

consenso quando questi sarà in grado di esprimerlo (cfr. art. 29); ma ciò non sarà

praticabile per studi randomizzati, o con quelli che prevedono l’uso di placebo.

Queste situazioni riguardanti persone non in grado di dare il consenso, ricoverate

d’urgenza, andrebbero chiarite anche nel contesto italiano per capire con maggior

precisione se e come si possa arruolare dei pazienti in tali condizioni.

le persone con scarsa aspettativa di vita, in fase terminale, che possono essere pazienti - disposti a sottoporsi a qualsiasi sperimentazione, cioè ad affrontare qualsiasi tipo di

rischio, sperando in qualche soluzione terapeutica per la loro grave situazione; sono

quindi pazienti condizionati psicologicamente e ciò chiede un’attenta valutazione

della loro libertà e della adeguatezza del consenso informato. D’altra parte ci sarebbe

bisogno di più numerosi studi per l’avanzamento delle cure palliative e per sviluppare

più efficaci strategie di accompagnamento e di terapia del dolore.

C’è il problema delle malattie rare e dei farmaci orfani. le malattie rare, che per - definizione hanno pochi pazienti e quindi è difficile arruolare malati in queste

condizioni, chiedono studi svolti in collaborazione fra centri, ospedali, istituti; non è

facile realizzare questa cooperazione in maniera efficiente ed efficace. È opportuno

promuovere una maggiore collaborazione tra istituzioni pubbliche e soggetti private

(case farmaceutiche).

Nell’ambito della genetica (diagnostica e terapeutica) e delle ricerche con cellule - staminali, aree di grande attualità e interesse negli ultimi anni, ci sono importanti

elementi di carattere pratico, etico e giuridico da considerare molto attentamente.

Abbiamo già accennato brevemente ai problemi riguardanti le cellule staminali

embrionali e le necessarie tutele dell’embrione umano. Per quanto concerne le

cellule staminali del cordone ombelicale o adulte si deve considerare, tra i vari

aspetti interessati, come vada definito un protocollo di studio “pilota”, limitato a

pochi pazienti, ben monitorato per valutare sicurezza ed efficacia, con il Comitato

etico pienamente investito nella valutazione, validazione e accompagnamento dello

studio, in continuo dialogo con i ricercatori. Anche oggi, come spesso in passato, è

necessario talvolta esplorare vie completamente nuove, con le speranze, i limiti e la

prudenza necessari in questi casi. Non si può sempre “ripetere” ricerche già iniziate

e/o fatte da altri, ma occorre aprire delle nuove strade con i presupposti, le incertezze

e le tutele che comportano.

E concludo ricordando che stiamo assistendo al moltiplicarsi di banche biologiche, - le biobanks, che conservano materiale biologico di varia natura e sono una ricca

fonte di informazioni genetiche. È necessario, e ormai urgente, definire i criteri per

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gestire la raccolta, la conservazione, l’utilizzo, l’accesso, il trasferimento del materiale

biologico conservato in queste banche, che rappresenta uno strumento importante

per molte possibili ricerche, ormai estese a quasi tutte le aree della medicina, e non

solo all’area oncologica che è stata la prima. Sono tanti gli aspetti etici e giuridici

da considerare a tal proposito, come, ad esempio, le modalità di informazione e di

consenso dei pazienti alla raccolta e conservazione e utilizzo dei campioni e dei

dati elaborati, definendo se questi pur venendo codificati rimangano “collegati” al

paziente oppure se vengano resi anonimi in maniera irreversibile.

7. Una prospettiva mondiale.

Guardando tutto questo in una prospettiva globale, che vuol dire in una prospettiva

internazionale, perché gran parte della ricerca si muove su questo orizzonte, credo che sia

opportuno richiamare in maniera sintetica alcuni punti importanti (9).

a. Quale progresso, quale ricerca?

Quando parliamo di progresso medico, di una sperimentazione per un avanzamento medico

di quale progresso stiamo parlando di fatto? C’è il pericolo, tante volte, di determinare un

ulteriore aumento della “medicalizzazione della vita”, che influisce negativamente sulle

condizioni delle persone. Può crescere l’offerta di prestazioni sanitarie che suscita altre

nuove - vere o indotte - domande di trattamenti sanitari, assorbendo sempre più risorse

economiche, per cui le disuguaglianze esistenti nello scenario internazionale tra chi riesce

ad avere conoscenze e possibilità d’interventi sempre più sofisticati e tanta parte dell’umanità

che ancora è carente di trattamenti sanitari si accentua.

b. “Neglected diseases”

Ci sono malattie che colpiscono molte persone, molte popolazioni, specialmente in un

contesto di povertà e sottosviluppo, ma che sono ancora orfane di attenzioni e di cure; poco

s’investe nella ricerca per strumenti diagnostici e terapeutici in questi contesti che presentano

gravi e urgenti bisogni sanitari, spesso abbastanza facilmente risolvibili.

c. Conflitti d’interesse

C’è una permanente presenza di possibili conflitti d’interessi, del pericolo di induzione

nell’uso di certi farmaci attraverso dei trias clinici che possono diventare, di fatto, dei modi per

far conoscere e poi far utilizzare nuovi farmaci, nella prospettiva quasi di un “pre-marketing”,

rendendo così più facilmente noto e prescritto quel farmaco. Emerge la difficoltà del medico,

che è anche sperimentatore, di trovare il giusto rapporto tra la libertà e l’indipendenza nel

suo approccio terapeutico e il coinvolgimento nella ricerca e nelle finalità che la ricerca ha

quando tale sperimentazione è realizzata dalle case farmaceutiche.

d. Nord e Sud del mondo

9 Cfr. G. Marsico, La sperimentazione umana, cit. pp. 186-208.

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Se si guarda poi al rapporto tra Nord e Sud del mondo, spesso si continua a dibattere sugli

standards per la sperimentazione nei Paesi in via di sviluppo, ossia se debbano essere gli

stessi dei Paesi ricchi o se ci possano essere delle deroghe, con una maggior flessibilità per

gli studi fatti nel Sud. D’altra parte vi è il problema di come garantire i benefici della ricerca

per le popolazioni nei Paesi in via di sviluppo che sono coinvolte negli studi e che spesso

non hanno accesso ad un efficiente servizio sanitario e non possono usufruire di farmaci già

esistenti ed efficaci. la Dichiarazione di Helsinki all’articolo 17 dice: “la ricerca medica

che coinvolge la popolazione o una comunità svantaggiata o vulnerabile è giustificata solo

se risponde ai bisogni di salute e alle priorità della popolazione o comunità incluse, e se è

ragionevolmente probabile che esse possano trarre vantaggio dai risultati della ricerca”. È

un articolo che è stato oggetto spesso di discussioni e controversie, sempre difficile nel suo

rispetto e reale applicazione da parte degli stati e delle agenzie socio-sanitarie. In effetti

spesso accade che sperimentazioni fatte in Paesi in via di sviluppo abbiano permesso di

migliorare le conoscenze mediche e i trattamenti sanitari che poi sono stati utilizzati nei Paesi

più ricchi: non erano ricerche realizzate seguendo le priorità sanitarie e le esigenze di quella

popolazione nel contesto di un Paese in via di sviluppo, e i risultati non sono poi stati messi a

disposizione di quel Paese. Anche la Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani

dell’Unesco del 2005 ricorda, all’articolo 15: “I benefici derivanti da qualunque ricerca

scientifica e dalle sue applicazioni devono essere condivisi con l’intera società e all’interno

della comunità internazionale, in particolare con i Paesi in via di sviluppo I benefici non

devono costituire incentivi impropri per partecipare alla ricerca”.

Si vede quindi come sia sempre più urgente e importante promuovere un impegno collettivo

a livello di comunità scientifiche e istituzioni sanitarie e politiche, per fare in modo che ci

sia un avanzamento del sapere medico e che tale avanzamento circoli all’interno di tutta la

comunità umana, specialmente a favore di chi è più svantaggiato anche in termini di salute

e di cure.

8. Conclusioni.

Concludendo, è importante riaffermare l’importanza della ricerca e della sperimentazione

per aumentare le conoscenze nell’ambito del sapere medico e quindi migliorare le forme di

prevenzione, cura e riabilitazione. Si tratta allora di elaborare sempre più una sperimentazione

che coinvolga esseri umani, fatta in maniera metodologicamente corretta, nel rispetto della

dignità e integrità delle persone coinvolte, economicamente e organizzativamente sostenibile.

Tutto questo implica una forte “coscienza etica” personale e collettiva che sostiene la

responsabilità per promuovere una ricerca medica capace di accrescere il sapere medico in

vista di una buona prassi medica.

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BIBlIOGRAfIA

Benciolini P., Viafora C., Etica e sperimentazione medica, Quaderni di Etica e Medicina, Fondazione Lanza, Padova 1992;

Emmanuel E.J. et al, What makes clinical research ethical?, in “JAMA”, 2000, 283 pp. 2701-11;

Jonas H., Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino 1997;

Marsico G., La sperimentazione umana, F. Angeli, Milano 2007;

Mordacci R., Bioetica della sperimentazione, F. Angeli, Milano 1997;

Pegoraro R., Sperimentazione terapeutica alla prova, in “Etica per le Professioni”, 5 (2003) 1, pp. 101-104;

Pitt B., La sperimentazione clinica, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000;

Pontificia Accademia Pro Vita, Etica della ricerca biomedica, Libreria Ed. Vaticana, Roma 2004;

Turoldo F., La globalizzazione della bioetica. Un commento alla Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani, Gregoriana Ed. - Fondazione Lanza, Padova 2007.

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LA SPERIMENTAZIONE TRA NORME GIURIDIChE E REGOLE DEONTOLOGIChE

Lorenzo ChieffiOrdinario di Diritto Pubblico Generale, Seconda Università degli Studi di Napoli.Preside della Facoltà di Giurisprudenza, SUN

1. Il mio intervento intende affrontare il tema della sperimentazione umana partendo da un approccio caro agli studiosi di diritto costituzionale, prestati all’analisi etica e giuridica della bio\medicina, che pone al centro dell’attenzione i beni, i principi elaborati dai Padri della Repubblica, tra il 1946 e il ‘47, che avrebbero dovuto informare, per l’avvenire, i rapporti sociali, ed in particolare quelli contenuti nell’art. 9, sulla promozione della ricerca scientifica, ma soprattutto nell’art. 33 (sulla libertà di scienza), letto alla luce dell’art. 32, sul diritto alla salute. Proprio durante la discussione di questa ultima disposizione, in Assemblea Costituente fu presa in considerazione, partendo dalla triste esperienza nazista, la questione della sperimentazione sull’essere umano che non avrebbe potuto più considerare quest’ultimo come cavia, come strumento finalizzato alla ricerca scientifica fine a se stessa ovvero ad un uso funzionale al bene di altri individui, soprattutto se appartenenti ad una determinata etnia (come la razza ariana, al cui esclusivo benessere miravano i medici nazisti, rigidi e acritici esecutori della dottrina hitleriana). Da qui l’esigenza di fissare, come limiti insuperabili (anche per un’eventuale successiva revisione della Costituzione), dei rigorosi paletti assiologici rappresentati dalla salvaguardia di questi beni.Per i Costituenti, l’assenza di una prescrizione impositiva introdotta da una legge ordinaria avrebbe, percio’, assicurato proprio la prevalenza del principio di autodeterminazione dell’individuo. Era opinione dell’on. Aldo Moro, cui si deve l’elaborazione di un emendamento al progetto dell’art. 32 Cost., che uno Stato non avrebbe potuto legittimamente considerarsi democratico se non avesse posto alla base delle sue fondamenta i valori della persona umana, se non avesse avuto tra gli obiettivi primari e i criteri ispiratori proprio la dignità, la libertà e l’autonomia dell’individuo. Motivo di particolare preoccupazione per i Costituenti era che l’essere umano potesse in avvenire formare oggetto, alla stregua di una cavia, di esperimenti scientifici o pseudo scientifici a prescindere dal consenso liberamente e preventivamente dato. Enorme raccapriccio e impressione avevano, infatti, destato le notizie, che progressivamente emergevano dalle tenebre del secondo conflitto mondiale, di pratiche sperimentali compiute a fini genetici e razziali. l’immissione nel Testo fondamentale dello Stato, cui si sarebbero dovuti informare in avvenire i comportamenti di tutti i consociati, compresi i ricercatori, del rispetto della persona umana e della sua dignità era pertanto rivolto soprattutto a prevenire - per l’autorevole esponente del partito popolare, poi barbaramente ucciso dalle brigate rosse nel 1978 -, trattamenti mostruosi come quelli che la genetica razzista prescriveva a soggetti considerati non buoni riproduttori della razza eletta. Nessun trattamento sanitario si sarebbe, dunque, potuto imporre al singolo contro la sua volontà ad eccezione di quelli prescritti come obbligatori dalla legge per salvaguardare l’interesse della collettività, come le vaccinazioni, alcune forme di profilassi ritenute necessarie, pur sempre nel rispetto della persona umana,

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attraverso una previa informazione sulle portata delle pratiche sanitarie, nonché sui loro esiti prevedibili.la libertà di scienza, tutelata dalla nostra Carta costituzionale dall’art. 33 in modo pieno e rafforzato nella fase speculativa della estrinsecazione logica sarà, allora, soggetta ad una opportuna regolamentazione volta a delimitare gli ambiti del suo esercizio dal momento in cui dovesse passare alla fase applicativa con l’effetto di interessare i beni primari della persona umana. Il nostro Costituente ha, dunque, respinto sia una interpretazione di tipo utilitarista che prende in considerazione il rapporto di proporzionalità tra costi e benefici con l’effetto di considerare lecita quell’attività idonea a massimizzare il benessere e a minimizzare il sacrificio della maggior parte degli individui coinvolti, ma pure una interpretazione di tipo scientista che subordina i valori umani al perseguimento di un fine della conoscenza fine a se stessa, non proiettata cioè al benessere dell’individuo. l’uomo e la sua integrità sono, pertanto, considerati dei beni assoluti da rispettare: non l’uomo in funzione della ricerca, ma quest’ultima in funzione del primo e dei suoi interessi primari, secondo l’imperativo categorico di kantiana memoria. Si esclude, pertanto, quella condizione di incertezza in cui verrebbe a trovarsi l’individuo il cui corpo fosse considerato avulso dalla persona per essere sottoposto ad un trattamento che, non essendo stato sufficientemente collaudato da una adeguata esperienza medica, non desse prova di particolare affidamento. Ci sarebbe degradazione giuridica, nell’interpretazione offerta dal giudice costituzionale, in presenza di una menomazione o mortificazione della dignità e del prestigio della persona tale da poter essere equiparata a quell’assoggettamento all’altrui potere in cui si concreta la violazione del principio dell’habeas corpus.

2. l’analisi qui condotta non potrà, dunque, prescindere dal necessario e continuo bilanciamento (il cd. balancing test), tra principi di indubbio rilievo costituzionale quali la libertà di scienza, da una parte, e i valori personalistici come la vita, l’integrità psicofisica (secondo l’interpretazione data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), la dignità umana, la riservatezza, dall’altra. Non tralasciando poi il confronto tra questi beni e gli stessi valori economici (come l’iniziativa economica privata) che muovono le grandi multinazionali a promuovere filoni di ricerca e conseguente sperimentazione su animali o anche sugli individui. la realizzazione di un fine lucrativo, collegato alla ricerca sperimentale, non potrebbe giammai provocare una ingiustificata compressione dei beni della persona o discriminazione tra quanti possono o meno beneficiare dei vantaggi della ricerca stessa.Coerentemente al catalogo assiologico contenuto in Costituzione si muove, perciò, il decreto legislativo n. 200 del 2007, attuativo di una direttiva comunitaria (la 2005/ 28/ CEE, recante principi e linee guida per la buona pratica clinica relativamente ai medicinali in fase di sperimentazione), che sostituisce e modifica un precedente d. lgs. n. 211 del 2003. Accanto al valore rappresentato dalla libertà di scienza (con particolare riguardo all’esigenza di rispettare le regole di buona pratica clinica), in più parti vengono in esso richiamati valori personalistici, a cominciare proprio dal rispetto della volontà del paziente, assicurato attraverso la manifestazione del previo consenso informato. Un presupposto e precondizione, il consenso informato, che rappresenta una conquista

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assiologica inderogabile, figlia dell’impostazione personalistica assicurata dalla Carta costituzionale del ‘48, favorevole alla realizzazione di una parità dei rapporti tra medico e paziente, secondo un modo di incedere narrativo, contrario ad una ormai superata impostazione di tipo paternalistico.Anche se si deve soprattutto alla normativa internazionale e sopranazionale (dalla Dichiarazione di Helsinky del 1964, alla Convenzione firmata ad Oviedo nel 1997, fino alla più recente Carta di Nizza del 2000) il merito di aver contribuito alla evoluzione esegetica del diritto all’autodeterminazione del paziente, di cui proprio il consenso informato rappresenta l’espressione più compiuta, in modo da realizzare un equilibrato bilanciamento tra valori di pari rilievo costituzionale. Il diritto di ciascun individuo di decidere autonomamente sul proprio corpo impedirà, quindi, a qualunque operatore medico di imporre, al di fuori dei casi espressamente prescritti dalla legge, un trattamento in assenza del previo consenso informato sulle metodologie impiegate, sui rischi, così da conseguire un’attenta autonomia di decisione. Ad eccezione dello stato di necessità, in cui il malato si trovi nelle condizioni di non poter esprimere un valido consenso, e che imporrebbe al sanitario di intervenire qualunque possa essere l’esito, per giurisprudenza consolidata si ritiene che il medico il quale intenda eseguire sul corpo del paziente un rischioso intervento tale da porne in serio pericolo la vita e l’incolumità fisica abbia il dovere professionale di renderlo di ciò edotto affinché questi possa validamente e consapevolmente prestare il suo assenso al trattamento sanitario prospettato, costituendone lo stesso presupposto di lecità. In una recente sentenza della Corte costituzionale (la n. 438 del 2008) è stato, infatti, affermato che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e come tale giustiziabile. Il diritto all’autodeterminazione, emergente dall’ordito costituzionale (dall’art. 2, sui diritti fondamentali, art. 3, sull’eguaglianza, art. 13, sulla libertà personale, e infine dall’art. 32, sul diritto alla salute), viene ulteriormente sviluppato proprio dal codice di deontologia medica, a garanzia di un’autonomia che potrebbe anche comportare la possibilità dell’individuo di decidere liberamente del proprio corpo e pure di rifiutare qualsiasi nutrimento. Alla luce dell’art. 51 di questo codice, il sanitario potrà solo informare il paziente sulle conseguenze di un rifiuto di nutrirsi, di ricevere forme di alimentazione e idratazione artificiale, non potendo fare null’altro. Analogamente l’individuo potrà decidere di sottoporsi liberamente ad attività sperimentale nel rispetto ovviamente delle norme di buona pratica clinica e della normativa deontologica sulla sperimentazione. Dallo stesso decreto legislativo sopra citato del 2007, si evidenzia infatti la necessità che ogni ricerca biomedica sull’uomo si ispiri all’inderogabile principio della salvaguardia dei valori personalistici e sempreché sia razionalmente e scientificamente suscettibile di utilità diagnostica. la tutela dei diritti alla sicurezza, al benessere di quanti siano assoggettati alla sperimentazione dovrà prevalere sugli interessi della scienza, di modo che prima di avviare qualsiasi sperimentazione si dovrà procedere ad una attenta analisi dei rischi e degli inconvenienti prevedibili rispetto al beneficio atteso sia per il singolo, sia per la stessa collettività. la sperimentazione dovrà essere iniziata e continuata solo se i benefici previsti giustificheranno i rischi. Il citato decreto legislativo del 2007 ha inteso, pure, correggere discutibili fughe in avanti

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di una pratica sperimentale condotta in deroga ai più diffusi criteri internazionali sulla sua appropriatezza.l’incredibile vicenda legata alla sperimentazione del cocktail a base di somatostatina, poi rivelatasi fallimentare, ideato negli anni ‘90 dal medico modenese luigi Di Bella, rappresenta infatti un chiaro esempio di un difettoso equilibrio tale valori costituzionali (libertà di scienza, attraverso la sperimentazione, e beni personalistici), irrispettoso delle regole vigenti a livello internazionale, cui imprevedibilmente pervennero il legislatore, il governo, giudici di merito (ordinari ed amministrativi) e la stessa Corte costituzionale. Da qui l’esigenza, da più parti avvertita a seguito di quella sciagurata vicenda, di una disciplina legislativa che, a prescindere da una irragionevole prevalenza di uno dei valori in campo, pervenisse ad un giusto punto di equilibrio, pure evitando ingiustificate pervasività impeditive dell’insopprimibile desiderio di conoscenza dell’umanità. Il tempo a mia disposizione - e mi avvio alle conclusioni dell’intervento - mi impedisce di analizzare l’ulteriore normativa che, corentemente alla spinta impressa dall’ordinamento sopranazionale, disciplina i controlli sui requisiti soggettivi e oggettivi della sperimentazione sul corpo umano, i compiti attribuiti ai Comitato etici (come individuati nel decreto ministeriale del 12 maggio 2006), la sperimentazione clinica dei medicinali, comprensiva della verifica delle fonti di finanziamento della stessa (in modo da evitare ingiustificati conflitti di interesse) e degli effetti prodotti sulla salute umana a seguito della loro commercializzazione (cd. sperimentazione post marketing). Si tratta, tuttavia, di una disciplina - di cui sicuramente faranno cenno altri relatori nel corso dei lavori di questo Convegno- che, in una prospettiva propensa alla tutela del paziente, appare certamente coerente a quei valori costituzionali, di impostazione personalista, da cui ha preso spunto il mio intervento.

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LA FUNZIONE DEI COMITATI ETICI NEL PERCORSO SPERIMENTALE

Adelaide ContiCattedra di Medicina Legale - Università degli Studi di Brescia

l’esigenza del parere del comitato etico in ambito sperimentale è stata graduale e l’evoluzione dell’etica della ricerca spiega solo in parte la moltiplicazione numerica che questi comitati hanno avuto negli ultimi anni.l’evoluzione della normativa ha avuto molti meriti nel campo specifico, primo tra i quali quello di portare chiarezza circa il ruolo dei comitati etici e la loro attività. Di fondamentale importanza, in tempi abbastanza recenti risulta il Decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 200 (Attuazione della direttiva 2005/28/CE recante principi e linee guida dettagliate per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano, nonché requisiti per l’autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali) che all’articolo 1 recita: “Comitato Etico: un organismo indipendente, composto da personale sanitario e non, che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti e del benessere dei soggetti in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di tale tutela, esprimendo, ad esempio, un parere sul protocollo di sperimentazione, sull’idoneità degli sperimentatori, sull’adeguatezza delle strutture e sui metodi e documenti che verranno impiegati per informare i soggetti e per ottenerne il consenso informato…”Peraltro il Decreto 12 maggio 2006 (Requisiti minimi per l’istituzione, l’organizzazione e il funzionamento dei Comitati etici per le sperimentazioni cliniche dei medicinali) aveva stabilito che: “…1.Il Comitato etico per le sperimentazioni cliniche dei medicinali…, è un organismo indipendente che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di tale tutela… …3. Ove non già attribuiti a specifici organismi, i comitati etici possono svolgere anche una funzione consultiva in relazione a questioni etiche connesse con le attività scientifiche ed assistenziali, allo scopo di proteggere e promuovere i valori della persona umana…”Per quanto attiene il concetto di “indipendenza” del comitato etico, essa viene garantita dal D.M. 12/05/2006 che all’art. 2 prevede una serie di figure necessarie e indispensabili.la osservanza della norma può determinare difficoltà a garantire una vera indipendenza: se i componenti “medici” sono davvero esterni alla struttura ciò potrebbe determinare conflitti di interesse, in quanto potrebbero essere dipendenti di altre strutture “in concorrenza” per quanto attiene la sperimentazione.Evidentemente la garanzia di indipendenza non può nascere dalla norma ma dalla onestà intellettuale dei componenti: i membri del comitato etico per poter effettuare una valutazione critica e nel contempo obiettiva pertanto devono trovarsi in una posizione di “distacco” sufficiente.Peraltro già il D.M. del 18 marzo 1998 aveva stabilito che la composizione del comitato etico fosse pluridisciplinare.

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Nella normativa che si è succeduta negli anni più volte si ribadisce la centralità del soggetto/paziente e l’importanza di garantirne i diritti fondamentali. Ad esempio, Il Decreto legislativo 6 novembre 2007 recita: ”Art. 3 Principi di buona pratica clinica1. la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti della sperimentazione

prevale sugli interessi della scienza e della società.2. Prima che una sperimentazione abbia inizio, devono essere valutati rischi e inconvenienti

prevedibili rispetto al beneficio atteso sia per il singolo soggetto della sperimentazione, sia per la collettività. Una sperimentazione può essere iniziata e continuata solamente se i benefici previsti giustificano i rischi.

…Il Decreto legislativo 6 novembre 2007 fa esplicito riferimento alla normativa del 2003, in particolare al decreto legislativo 24 giugno 2003, n.211 che all’articolo 6 (Comitato Etico) delinea:” …3. Il comitato etico formula il parere di cui al comma 1, tenendo in particolare considerazione:

a) la pertinenza e la rilevanza della sperimentazione clinica e del disegno dello studio; b) se la valutazione dei benefici e dei rischi… c) il protocollo; d) l’idoneità dello sperimentatore… e) Il dossier per lo sperimentatore; f) l’adeguatezza della struttura sanitaria; g) l’adeguatezza e la completezza delle informazioni scritte da comunicare al soggetto… h) le disposizioni previste in materia di risarcimento in caso di danni…; i) le disposizioni in materia di assicurazione…; l) gli importi e le eventuali modalità di retribuzione o di compenso… a corrispondersi a favore degli sperimentatori…; m) le modalità di arruolamento dei soggetti …

Per quanto attiene la garanzia della tutela dei soggetti in sperimentazione il comitato etico possiede strumenti e competenza per poter garantire tale tutela unicamente nella valutazione del protocollo di sperimentazione e delle modalità di informazione del paziente e della acquisizione del consenso, nonché nell’obbligo di seguire l’avanzamento della sperimentazione.Spesso potrebbe sembrare virtuale (specie in un grande ospedale convenzionato con l’Università) la possibilità di giudicare l’idoneità degli sperimentatori e l’adeguatezza delle strutture.Nell’intento di tutelare al meglio il paziente inserito in un protocollo sperimentale, appare utile richiedere al paziente stesso di comunicare al suo medico di fiducia, e a tutti i medici ai quali si rivolga per cure, il suo arruolamento in una sperimentazione nonché i farmaci che a tale scopo assume, e di autorizzare lo sperimentatore a contattare i medici curanti; in tal senso si mira a salvaguardare ancora di più il soggetto. Un aspetto del tutto particolare il problema assicurativo.Il D. lgs. 211/2003 all’art. 3 prevede che “con Decreto del Ministro della Salute di concerto con il Ministro per le attività produttive sono stabiliti i requisiti minimi per le polizze assicurative…”; è stato inserito tra i componenti “un esperto in materia giuridica e assicurativa o un medico legale” (D.M. 12/05/2006).In tempi molto recenti il Decreto 14 luglio 2009 “Requisiti minimi per le polizze assicurative a tutela dei soggetti partecipanti alle sperimentazioni cliniche dei medicinali” ha dettato

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all’art. 2 che: ”Sono oggetto della copertura assicurativa la morte, tutte le menomazioni permanenti e/o temporanee dello stato di salute, i danni patrimoniali correlati, che siano conseguenza diretta della sperimentazione e riconducibili alla responsabilità civile di tutti i soggetti che operano nella realizzazione della sperimentazione stessa.1. la copertura assicurativa garantisce un massimale di risarcimento di danni non inferiore ad un milione di euro per persona …D’altra parte il problema appare forse più formale che sostanziale poiché la sperimentazione, se autorizzata dal Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera, rappresenta una attività di cura a tutti gli effetti, ed in quanto tale rientra nell’ambito della tutela assicurativa nei confronti di tutti i pazienti assistiti. Il problema semmai è rappresentato dalla necessità che il Comitato Etico, nella formulazione del suo parere, evidenzi le eventuali carenze della tutela assicurativa affinché l’Amministrazione dell’Azienda ne sia a conoscenza prima della formale autorizzazione alla sperimentazione.

la valutazione del protocollo è un aspetto molto delicato e complesso, tuttavia non si pongono particolari problemi in caso di sperimentazione monocentrica, poiché il Comitato può possedere o acquisire le competenze necessarie (commi 6 e 7 dell’art. 2 del D.M. 12/05/2006).Differente è il problema in caso di sperimentazioni multicentriche, ove il Comitato del centro “periferico” può solo formulare osservazioni al Comitato Etico del centro coordinatore prima che venga emesso il “parere unico”, il quale a quel punto può essere solo accettato o rifiutato dai centri partecipanti. la norma prevede altresì che tutti i Comitati Etici ricevano contemporaneamente le domande per la sperimentazione, ma ciò nella realtà accade raramente, il che rende “virtuale” la possibilità di osservazioni da parte dei centri partecipanti.

Un aspetto spesso problematico, specie in caso di sperimentazione multicentrica internazionale, e fonte talora di incomprensione tra Comitato Etico e sperimentatori, riguarda la modalità di valutazione dell’utilizzo del placebo, spesso inserita anche quando esistono terapie efficaci già in uso terapeutico.Infatti non pare siano possibili deroghe a quanto previsto dal D.M. 12/05/2006 all’art. 3 comma 3 lettera a “… in linea di principio i pazienti del gruppo di controllo non possono essere trattati con placebo se sono disponibili trattamenti efficaci noti…”.Analogo problema si pone qualora il protocollo preveda un periodo di wash-out prima dell’inizio del trattamento sperimentale.Altro aspetto degno di attenzione, specie nelle sperimentazioni multicentriche, è rappresentato dalla talora pedissequa traduzione dall’inglese delle informative ai pazienti, nelle quali spesso si ritrovano riferimenti al sistema di assistenza sanitaria in vigore nei paesi anglosassoni, che nulla hanno a che vedere con quello italiano. Ad esempio si ritrovano riferimenti al sistema assicurativo di erogazione delle cure oppure alle modalità di garanzia di danni eventualmente derivanti dalla sperimentazione del tutto diverse dal nostro ordinamento.Altri aspetti particolari possono essere rappresentati dai rischi per la gravidanza legati

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alla sperimentazione, nonché dalle sempre più frequenti richieste di indagini genetiche connesse.In questi casi le opinioni dei diversi Comitati Etici circa le modalità di informazione e di acquisizione del consenso possono essere anche sensibilmente differenti, ma la normativa vigente consente una piena indipendenza e autonomia, riconoscendo per questi aspetti le possibilità di differenziazione di ciascun Comitato anche nelle sperimentazioni multicentriche. Appare utile in caso di studi di farmacogenetica o prelievi per eventuali indagini ulteriori rispetto a quelle previste nel protocollo, per la miglior tutela del paziente richiedere l’impegno dello sperimentatore a informare il paziente sui risultati di tali studi (in generale o utili per la sua patologia).I rischi per il feto prevedono l’impegno della paziente e del partner a evitare la gravidanza senza riferimenti espliciti a metodi anticoncezionali, tranne nel caso in cui sia auspicabile un metodo di doppia barriera. Per quanto attiene il problema degli eventi avversi tale aspetto appare particolarmente problematico, nonostante la norma sia puntuale anche per quanto riguarda la tempistica. Il Comitato Nazionale per la Bioetica (Orientamenti per i comitati Etici in Italia, 13 luglio 2001) aveva auspicato che i comitati etici si impegnassero ad un più attivo “monitoraggio” della conduzione della ricerca, che non si esaurisse nella presa d’atto di eventuali eventi avversi, oppure della relazione annuale o semestrale da parte dello sperimentatore. Solamente in tal senso il lavoro del comitato etico si indirizzerebbe verso una reale ed efficace protezione del benessere, della sicurezza e dei diritti dei pazienti.Peraltro il Comitato Nazionale per la Bioetica auspicava che il comitato etico avesse una pluralità di compiti, dalla valutazione etica dei protocolli di sperimentazione clinica sino al giudizio etico sulle decisioni da assumere nel singolo caso. In realtà quasi sempre le notizie che pervengono al Comitato Etico in relazione agli eventi avversi (anche gravi) sono incomplete e/o frammentarie, per cui il Comitato è costretto ad esprimersi confidando nella correttezza e obiettività dello sponsor e degli sperimentatori, anche se talora in tali figure prevale il desiderio di eludere responsabilità, per cui la maggior parte degli eventi avversi risulta, in tali giudizi, “possibile o probabile”.la molteplicità di aspetti analizzati dal comitato etico in merito alla sperimentazione concorrono nel perseguire uno scopo costante e nobile quale la centralità del paziente, garantendone la tutela della salute e della vita, per tutta la durata della sperimentazione, come in ogni altro aspetto della medicina pratica.

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LE PROSPETTIvE DELLA RICERCA CLINICA IN ITALIA

Maurizio AgostiniDirettore Direzione Tecnico Scientifica Farmindustria

Il convegno di oggi affronta una tematica fondamentale per l’industria farmaceutica poiché la sperimentazione clinica rappresenta il “cuore” della ricerca. Essa è certamente il momento decisivo sotto il profilo scientifico, sicuramente il più delicato sotto il profilo etico, il più impegnativo se si guarda alla parte economica, ma anche quello più rischioso rispetto all’investimento e all’aspettativa in termini di risultati. Infatti, nell’ambito dell’intero ciclo di sviluppo del farmaco, che per una nuova molecola dura circa dodici-quindici anni, la ricerca clinica occupa dai sei ai sette anni e assorbe più del 50% degli investimenti. Da cinque-diecimila composti che vengono sottoposti a screening, solo duecentocinquanta arrivano in fase pre-clinica, solamente cinque giungono in fase clinica, molti di questi si fermano in fase 1 e in fase 2 e solamente uno raggiunge il mercato. Di questi solo 3 su 10 riescono a garantire un recupero economico degli investimenti fatti (slide 1).

Da qualche anno l’AIfA mette a disposizione di tutti gli operatori sanitari uno strumento prezioso: l’Osservatorio delle Sperimentazioni Cliniche. I dati recentemente pubblicati, evidenziano come il numero di sperimentazioni sia aumentato progressivamente. Si è passati dalle 562 del 2000 alle 851 del 2008. Sono aumentate soprattutto le fasi precoci, (fase 1 e fase 2), passate rispettivamente, negli anni 2000, da 5 a 46, e nel 2008, da 156 a 313. Questa considerazione assume grande rilevanza perché da sempre queste fasi vengono considerate le più importanti in quanto sono quelle che portano maggiormente “cultura” nel Paese e che rappresentano l’avvio di un processo di ricerca. Questo aspetto è un segnale particolarmente importante.

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Ovviamente il risultato non è casuale, ma è stato raggiunto grazie all’impegno di tutti gli operatori: l’AIfA e l’Istituto Superiore di Sanità che hanno fatto sì che le procedure e la regolamentazione si snellissero progressivamente; dal ’98 in poi i Comitati Etici (c.e.), i ricercatori e le aziende farmaceutiche che hanno creduto in questo progetto. Nel periodo che va dal 2002 al 2008, gli investimenti in ‘ricerca e sviluppo’ sono passati dagli 883 milioni di euro del 2002 ai 1200 del 2008, con un incremento del 36%, mentre l’aumento del totale dell’industria manifatturiera è del 13.5%. Anche gli addetti alla R&D, sempre nello stesso periodo, sono passati da 5360 a 6230, con un incremento del 16% in confronto all’industria manifatturiera che si assesta sul 10.2%. Gli investimenti in ricerca e sviluppo provengono sostanzialmente dall’industria (il 96% autofinanziamento e solo il 4% finanziamento pubblico). Come già accennato, nel tempo gli investimenti per ottenere una nuova molecola sono aumentati considerevolmente e si è ampiamente superato il milione di euro. A fronte di un aumento dei costi per sviluppare un nuovo medicinale, si nota un’evidente diminuzione delle molecole che vengono scoperte, le quali sono passate da circa 50 nel ‘96 a poco più di 20 nel 2006 (slide 2).

Se si considera l’intensità dell’attività di ‘ricerca e sviluppo’ del settore farmaceutico e la si paragona con quella degli altri settori a media e ad alta tecnologia, si può notare la differenza sostanziale, soprattutto se si considera che nei settori a media e ad alta tecnologia sono comprese industrie come quelle che afferiscono all’elettronica, alle telecomunicazioni, all’aerospaziale. Un passaggio breve su alcuni numeri che riguardano l’occupazione del nostro settore. Questa mattina vedevo in aula moltissimi giovani, probabilmente studenti o specializzandi, e credo che questo dato possa essere loro di utilità. Nell’organico generale di tutte le imprese del farmaco, si trova una percentuale altissima di laureati e diplomati (90%) e se si

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considerano le assunzioni nel 2008 degli uomini e delle donne, si nota come queste siano di “pari forza” e che le donne nel nostro settore sono ben il 41.4% del totale, percentuale molto più alta rispetto alla media dell’industria. I nostri dipendenti provengono prevalentemente dalle facoltà scientifiche e biomediche dell’Università. Il settore farmaceutico è in grado di assorbire laureati in medicina, biologia, biotecnologie, farmacia, chimica e tecnologie farmaceutiche; tutte lauree che hanno avuto un grado di sofferenza notevole nell’ultimo decennio. Il nostro è un settore ‘high tech’, ad alta vocazione industriale e a forte presenza nel Paese, e che rappresenta una leva strategica per l’economia italiana e per il suo rilancio. Siamo il terzo Paese in Europa per numero di addetti, dopo Germania e francia e il quinto nel mondo dopo Stati Uniti e Giappone. Il nostro comparto conta circa 70 mila addetti (oltre 200 mila se si considera anche l’indotto). Queste altre cifre chiave: 6230 addetti alla ‘ricerca e sviluppo’, 23 miliardi di euro di produzione, (il 53% rivolto all’export), 12 miliardi di euro di export totale, 2.3 miliardi di euro in investimenti che sono ripartiti in 1.2 in Ricerca e in 1.1 in impianti di alta tecnologia nel settore produttivo, 1 miliardo di euro di investimenti in Ricerca e produzione in tre anni già pianificati e in corso di esecuzione dalle aziende nell’ambito degli Accordi di Programma e, per finire, 3,5 miliardi di euro di tasse e contributi direttamente versati allo Stato, che ammontano ad oltre il 20% della spesa farmaceutica pubblica totale (slide 3).

Un settore importantissimo del nostro comparto è quello delle biotecnologie.Nel mondo sono già oltre trecento milioni i pazienti curati con farmaci ‘biotech’, che rappresentano 1/5 dei farmaci in commercio e il 50% di quelli in sviluppo. In Italia (dati aggiornati a marzo 2009) sono presenti 136 progetti in fase clinica, (54 oncologici, 22 nel sistema nervoso centrale, 8 nel cardiovascolare, 7 afferenti al sangue e organi emopoietici e 7 per l’apparato muscolo scheletrico) mentre 73 sono in fase preclinica. le industrie ‘biotech’ sono cresciute molto; secondo la fonte ‘Rapporto Blossom’, si è passati dalle 25 unità del 1970 alle 190 del 2008.

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Un problema che è stato sollevato anche in precedenza e sul quale ci dobbiamo confrontare è proprio quello degli studi clinici in pediatria. I relatori che mi hanno preceduto, hanno sollevato i problemi sostanziali: la vulnerabilità della popolazione, i problemi di etica, d’informazione e di consenso, sicuramente anche quello del reclutamento dei pazienti. Un aspetto di cui ci dobbiamo preoccupare è anche quello della formazione in questo settore, perché il regolamento europeo ha introdotto da poco l’obbligatorietà per i nuovi farmaci di essere sperimentati anche in pediatria. Dovremo capire se l’Italia entra in gioco oppure no, perché i farmaci saranno comunque sperimentati anche nella fascia pediatrica e lo faranno i Paesi più pronti, quelli più preparati. I numeri dell’Osservatorio ci danno qualche informazione importante ma, probabilmente, se confrontiamo i numeri con quelli di altri Paesi sono numeri ancora troppo bassi. l’evidenza che ci siano sperimentazioni in pediatria, vuol dire che c’è un’esperienza nel nostro Paese, ed è questa che dovremo incentivare e incrementare. Un altro punto nevralgico è quello delle malattie ‘rare’. Oggi queste patologie sono un po’ meno orfane. Infatti, dall’aprile del 2000, sono state presentate all’EMA, l’Autorità regolatoria europea per le Autorizzazioni Centralizzate, ben 1023 domande. Di queste, 657 hanno ottenuto la designazione come farmaco orfano e 48 sono le autorizzazioni concesse per l’immissione in commercio (slide 4)

le malattie ‘rare’, come anche l’oncologia, sono due settori dove la sinergia tra ricerca ‘profit’ e ricerca ‘no- profit’ è fondamentale. la ricerca ‘no- profit’, istituita con un decreto ‘ad hoc’ il 17 dicembre 2004, si dedica particolarmente all’oncologica, alla neurologia, alle malattie ‘rare’, aree dove maggiormente si può avere la necessità di una collaborazione pubblico- privato e dove maggiormente è presente un’esperienza clinica e applicativa.Riguardo alla sopravvivenza relativa per le patologie tumorali a 1 anno e a 5 anni, i dati indicano che l’Italia è seconda solo alla francia, sia come sopravvivenza a 1 anno che come sopravvivenza a 5 anni. Questo dimostra che in un Paese dove si fa ricerca, in questo caso in oncologia, in presenza di una forte collaborazione e una sinergia tra pubblico e privato i

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risultati siano presenti e tangibili. l’Italia è addirittura avanti alla Spagna, alla Germania, e al Regno Unito. Questo ci deve servire da stimolo ed è la conferma che dove si fa una buona sperimentazione si migliora anche l’Assistenza Sanitaria. Che cosa dobbiamo fare però per incrementare la ricerca clinica? Quali sono i punti dove dobbiamo interagire? Chiaramente, la ricerca va dove trova terreno fertile. Dobbiamo fare in modo che il nostro Paese faccia delle scelte che garantiscano fertilità al sistema. Innanzitutto occorre ripristinare il credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo, con procedura automatica e per un lungo periodo di tempo. Questo è lo strumento che maggiormente facilita la possibilità d’investire in ricerca e dato che si applica anche alle collaborazioni pubblico (università e ospedali)-privato, questa opportunità andrebbe incrementata e incoraggiata. È necessario favorire adeguati finanziamenti al progetto ‘Industria 2015’, che si rivolge sostanzialmente alle malattie ‘rare’ e alle malattie ‘neglette’.Diventa d’obbligo concentrare e allocare efficacemente le risorse derivanti dai finanziamenti pubblici e perseguire i criteri di valutazione selettivi appropriati e trasparenti, cioè non più finanziamenti a pioggia ma parametri di valutazione molto rigidi che assegnino e premino solo quei progetti innovativi che effettivamente danno affidabilità.Altra questione fondamentale per garantire una politica di sviluppo della Ricerca è rendere strutturali gli Accordi di Programma. Istituiti per legge tre anni fa e firmati recentemente, danno la possibilità alle aziende di poter usufruire di un finanziamento pari al 10% di quello che avrebbero investito nel nostro Paese in ricerca e produzione. Un segnale, questo, che appena dato ha ricevuto una risposta importante dal settore industriale. Tanto è vero che su questi accordi di programma si sono concentrati ingenti investimenti (più di un milione di euro). Ciò ha costituito un segnale fortissimo, a dimostrazione del fatto che, laddove il sistema pubblico offre delle possibilità di collaborazione e d’incremento di investimenti sulla ricerca, le aziende sono in grado di coglierle e di portarle avanti. Importantissimo è poi il tema dell’innovazione. Come Paese dobbiamo essere in grado di riconoscere e valorizzare l’innovazione, non solo quella delle grandi categorie, ma anche quella incrementale che si traduce in beneficio clinico per i pazienti o anche in migliore ‘compliance’. È importante garantire un rapido accesso al mercato evitando disallineamenti regionali, a causa dei quali si verifica che medicinali, già autorizzati dall’AIfA, aspettino molto tempo per essere inseriti nei prontuari regionali. Un altro punto di fondamentale importanza è favorire lo snellimento delle procedure per l’autorizzazione alla sperimentazione clinica. Questo riguarda i c.e., ai quali indubbiamente va riconosciuto di aver fatto degli sforzi nella giusta direzione; tuttavia ancora permane un grosso problema nella definizione dei contratti, nella parte amministrativo-burocratica che riguarda spesso le ASl, dove addirittura i tempi per la definizione di un contratto possono arrivare a sei mesi. Si rende necessario agire insieme e collaborare affinché ciò non avvenga, chiedendo anche ai c.e. di fare la loro parte. A riprova del fatto che anche l’AIfA, pur riconoscendo i risultati fin qui ottenuti, intraveda margini di miglioramento, ho riportato di seguito uno stralcio dall’Osservatorio: “un ulteriore miglioramento nei tempi di valutazione dei c.e. è comunque necessario per consentire all’intero comparto di essere competitivo a livello internazionale, con il risultato di contribuire sostanzialmente a un nuovo scatto in avanti della ricerca clinica in Italia”. farmindustria organizza spesso riunioni con i direttori medici delle aziende dalle quali sempre più spesso emerge la rabbia di vedere l’Italia esclusa da progetti di ricerca, e questo non per mancanza di competenza scientifica, ma perché altri Paesi riescono a garantire tempi di arruolamento, di esecuzione e di conclusione dello studio più vantaggiosi rispetto ai nostri.

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Occorre poi incentivare la presenza di un delegato dell’Autorità competente locale alle riunioni dei c.e. per una tempestiva approvazione degli atti necessari all’autorizzazione e per la stipula dei relativi contratti economici. Oggi c’è un Decreto Ministeriale che ci dà questa possibilità. forse qui i c. e. possono fare qualcosa. Abbiamo infine il Decreto sulle Assicurazioni. Qualcuno ha detto che questo Decreto è stato proposto nel 2005 ma è stato emanato solo adesso; è vero, ma ci sarà pur un motivo. Io credo che questa sia una delle materie più delicate e credo che sia stato giusto che l’AIfA abbia consultato le varie parti (c.e., esperti, imprese).Ultimo aspetto, ma non meno importante, da affrontare è quello di favorire la sinergia e il confronto per incrementare la competitività del nostro Paese. Per questo credo che effettivamente la collaborazione sia la chiave con la quale si entra nei problemi e si risolvono i problemi. Stamattina il professor Gallenga accennava alla nuova ‘fNaCE’, sarei ben felice se la ‘fNaCE’ fosse un interlocutore con la quale affrontare queste tematiche. Qualcuno accennava prima alla necessità di arrivare ad un’informativa ai pazienti che sia migliore, un modulo di consenso più comprensibile. Possiamo tutti mettere sul tavolo qualcosa da migliorare e prenderci le nostre responsabilità. Io credo che questa collaborazione sia possibile e se è possibile dobbiamo realizzarla (slide 5).

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3 DICEMBRE

SECONDA SESSIONEPROFILI OPERATIvI (prima parte)

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IL RAPPORTO COMUNICATIvO E COLLABORATIvO TRA SPERIMENTATORE E PAZIENTE

Tonino AcetiResponsabile del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC)1 di Cittadinanzattiva

Vi ringrazio per aver invitato Cittadinanzattiva a portare il proprio punto di vista su questotema estremamente delicato e cioè quello delle sperimentazioni cliniche.Per chi non la conoscesse, Cittadinanzattiva è un’organizzazione civica di tutela dei diritti dei cittadini, tra i quali il Diritto alla Salute. Nasce nel ’78, tutela i diritti, promuove la partecipazione civica e afferma la cittadinanza attiva come una risorsa per il paese.In particolare tutela i diritti dei cittadini in ambito sanitario attraverso due sue reti: il Tribunale per i Diritti del Malato e il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC); quest’ultimo è un network di associazioni di pazienti affetti da patologia cronica e rara e in generale da disabilità, che porta avanti politiche trasversali su questi temi.Il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici, è una rete di Cittadinanzattiva che nasce nel ’96 e rappresenta un esempio unico di alleanza trasversale tra varie associazioni: vi aderiscono circa 85 Organizzazioni di pazienti affetti da patologia cronica e/o rara e con disabilità, tra federazioni e Associazioni.Attualmente io ne sono il Coordinatore nazionale.Perché Cittadinanzattiva si occupa di sperimentazioni cliniche?Sicuramente perché molte associazioni che aderiscono alla nostra organizzazione si pongono tra i loro principali obiettivi quello di promuovere la ricerca al fine di trovare nuove terapie per la cura e il trattamento delle diverse patologie. Tra le associazioni che sono sensibili al tema della sperimentazione, menzioniamo, solo a titolo di esempio, quelle che si occupano di patologie rare, oncologiche, neurodegenerative, ecc...In tal senso Cittadinanzattiva ha realizzato nel 2008 un Rapporto nazionale sulle patologie rare, al quale hanno preso parte molte associazioni che si occupano appunto di patologie rare; i dati che emergono, in particolare riguardo alla sperimentazione sono quelli di seguitoriportati: seppur il 54% dichiara l’esistenza della terapia farmacologica, per il 23% delle Associazioni ancora non esiste una terapia, l’altro 23% dichiara invece che ci sono sperimentazioni in atto.Cosa lamentano rispetto alle sperimentazioni i pazienti ed in particolare le associazioni?Sicuramente la scarsa ricerca con particolare riguardo alle patologie rare. Sussiste una difficoltà di accesso alle sperimentazioni riconducibile anche alla scarsa informazione rivolta ai cittadini. Altra importante criticità è rappresentata dalla mancata pubblicazione dei risultati delle sperimentazioni: problema estremamente sentito dalle associazioni poiché vorrebbero avere un accesso più semplice ai risultati delle sperimentazioni effettuate, con particolare riguardo a quelli negativi, al fine di garantire informazione e trasparenza nei confronti dei propri associati, i quali giustamente attendono con ansia i risultati delle sperimentazioni concluse. l’impegno di Cittadinanzattiva nell’ambito delle sperimentazioni nasce inoltre dal fatto che molti nostri rappresentanti sono membri di molteplici Comitati Etici, i quali rivestono un ruolo fondamentale nell’ambito della sperimentazione.

1 http://www.cittadinanzattiva.it/cnamc-malati-cronici.html

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Io personalmente sono membro del Comitato Etico del Policlinico “Umberto I” di Roma.la criticità dei protocolli maggiormente riscontrata dalla nostra Organizzazione è inerente al consenso informato: esiste un problema di traduzione del testo poiché molte volte i protocolli sono internazionali.la traduzione è poco precisa: ci sono parole che sono anche forvianti.Altra questione è quella del linguaggio estremamente tecnico, utile per i medici, inadeguato per i cittadini (es.: sigle di farmaci, esami diagnostici, ecc…)È quindi necessario trasformare il consenso informato in qualcosa di sostanziale, anziché un mero adempimento burocratico, con un linguaggio che sia fruibile e semplice per la cittadinanza.Sono ancora troppo poche le informative e i consensi specifici per i bambini e per gli adolescenti. I pochi che vengono realizzati sono scadenti e poco si discostano da quelli per gli adulti: viene soltanto cambiato il titolo del consenso, cioè a chi si riferisce, e molte volte non vengono riportate le immagini che rendono più fruibili i contenuti al bambino o all’adolescente. Ovviamente ci sono anche dei protocolli che vengono realizzati bene.Purtroppo, all’interno dell’informativa per il cittadino, alcune volte non viene inserita l’informazione inerente l’esistenza di una polizza assicurativa a tutela dei danni eventuali, direttamente correlati alla sperimentazione. Questa sicuramente rappresenta una criticità importante, perché il cittadino deve essere messo nella condizione di sapere che qualora subisca un danno può comunque rivalersi su un’assicurazione che esiste.Ciò in particolare dove si verifica?Si verifica sia negli studi profit che nei studi no profit. le informazioni, qualora vengano inserite, molte volte sono poco precise e possono produrre confusione nei cittadini: molte volte viene scritto che l’assicurazione copre tutte le spese relative alle cure mediche successive che si dovranno svolgere a fronte di un danno cagionato, al contrario non viene specificato che la polizza risarcisce il danno biologico cagionato. I concetti come potete immaginare sono differenti e producono effetti diversi. Un conto significa risarcire il costo delle cure mediche eventuali, altro è risarcire un danno biologico; sono sottigliezze che però sono sostanziali.Altro problema è quello rappresentato dall’interruzione anticipata dello studio, la quale molte volte è prevista per motivi amministrativi o perché lo sponsor ha deciso unilateralmente di bloccare, anziché esclusivamente per il sopraggiungere di informazioni che mettono a repentaglio la salute dei cittadini. Anche l’aspetto dell’informativa sulla privacy è deficitario: ci sono dei riferimenti normativi ormai datati, risalenti alla legge 675 del ’96, anziché al D.lgs 196 del 2003 e alle recenti linee guida del Garante per il trattamento dei dati personali.le polizze assicurative che vengono analizzate dal CE del quale faccio parte sono molto spesso inadeguate: tutelano poco il paziente e lo sperimentatore, mentre tutelano molto le società di assicurazione e lo sponsor. Ciò provoca un forte ritardo nell’approvazione dei protocolli. Come ho detto la privacy dei cittadini è ancora poco tutelata, in particolare i dati dello studio spesso vengono ancora archiviati attraverso un codice identificativo, il quale è abbinato anche alle iniziali dei soggetti che vi si sottopongono.le iniziali dovrebbero essere eliminate.Inoltre c’è l’altro problema inerente l’invio dei dati nei paesi stranieri. Molte informative dicono: i dati acquisiti verranno inviati in paesi stranieri dove non potrà essere garantito lo stesso grado di riservatezza. Ecco, questa è una cosa inaccettabile, poiché deve comunque essere garantito lo stesso grado di riservatezza, previsto nel paese in cui si effettua la sperimentazione. Un’altra importante questione è rappresentata dall’uso poco etico del placebo. Alcune volte il mio Comitato Etico si trova a dover bloccare degli studi perché

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viene testato un farmaco confrontandolo con placebo, intendendo però per placebo solo la sostanza inattiva, senza però garantire una terapia standard per le specifiche situazioni.Il placebo, in alcune situazioni, viene quindi usato in modo poco etico e tale criticità viene ammonita costantemente dal mio Comitato Etico all’unanimità. Non è ammissibile utilizzare il placebo in modo non etico nelle sperimentazioni. Vi è poi il problema dei cosiddetti studi osservazionali che in realtà molto spesso non lo sono effettivamente. Si dice che sono osservazionali cosi ci si solleva dalla responsabilità e dall’obbligo dell’assicurazione. Ciò rappresenta un problema rispetto al quale dobbiamo tutti prestare molta attenzione. In molti studi, definiti profit, i costi delle prestazioni e del farmaco anziché ricadere sul budget dello sponsor, ricadono sul budget della struttura sanitaria dove viene svolto lo studio. Alcuni protocolli continuano ad esser poco innovativi.Dall’analisi dei protocolli che giungono ai nostri Comitati Etici sicuramente c’è una sproporzione tra ricerca pubblica e ricerca privata, nonostante i passi avanti fatti dall’Agenzia Italiana del farmaco con la ricerca indipendente e i nuovi fondi che vengono messi a disposizione. Abbiamo pochi protocolli per l’età pediatrica e ciò comporta necessariamente l’utilizzo off label dei farmaci esistenti.Abbiamo una scarsa diffusione dei risultati degli studi.Il personale amministrativo che gestisce il Comitato Etico è purtroppo in alcune situazioni sproporzionato rispetto alla mole di lavoro che ha: il mio Comitato Etico si riunisce di media due volte al mese e abbiamo orientativamente 15-16 nuovi protocolli in ogni seduta.Abbiamo visto nel rapporto annuale dell’AIfA sulle sperimentazioni cliniche, come i moltissimi Comitati Etici presenti in Italia abbiano diverso carico di lavoro e diciamo di produttività: ci sono alcuni comitati che gestiscono un numero abbastanza ridotto di protocolli, ce ne sono altri che invece ne gestiscono molti di più. È necessario uniformare il carico di lavoro, cercare di uniformare le competenze per far si che tutto il sistema dei Comitati Etici migliori.Quindi quali sono le priorità?• Sicuramente promuovere la ricerca pubblica, con particolare riguardo ad alcune specifiche patologie come quelle rare, oncologiche, neurodegenerative ecc…, cioè tutte quelle patologie rispetto alle quali c’è una necessità specifica e reale di fare ricerca.• Aumentare le tutele nei confronti dei cittadini - pazienti rispetto alle polizze assicurative, all’uso etico del placebo, alle verifiche relative dei protocolli approvati, al riconoscere e promuovere la funzione di tutela delle stesse associazioni (per esempio anche attraverso specifici programmi di formazione sul tema delle sperimentazioni rivolti alle stesse associazioni; questa potrebbe essere un’attività specificamente finanziata dall’Agenzia Italiana del farmaco che si prende l’impegno di fare formazione specificatamente alle associazioni per poter svolgere ancora meglio all’interno del comitato etico il ruolo che compete loro).• fornire ai Comitati Etici però tutte le risorse necessarie per svolgere al meglio le funzioni loro assegnate.• Diffondere i risultati delle sperimentazioni effettuate, con particolare riguardo anche ai risultati negativi delle sperimentazioni.• Considerare il consenso informato un qualcosa di sostanziale e non un procedimento meramente burocratico. Il consenso se utilizzato bene e utilizzato per quello che effettivamente è, rappresenta una risorsa estremamente importante sia per il paziente che per il medico; è necessario quindi dargli il giusto valore.• Garantire le giuste risorse economiche anche per avviare sperimentazioni no profit promosse dalle stesse aziende ospedaliere.Grazie a tutti!

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LA TUTELA DELLA PRIvACY NEL PROCEDIMENTO SPERIMENTALE.LE PECULIARITà DELLA SPERIMENTAZIONE GENETICA

Pier Luigi De RosaComponente del CE per la ricerca biomedica dell’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio ed ASL di Chieti.

Come l’informativa ed il consenso al trattamento medico sono garantiti dal “diritto alla salute”, definito dall’art. 32 della Costituzione, così il “diritto alla privacy o riservatezza”, diritto di matrice giurisprudenziale, viene ricondotto alle libertà fondamentali ed inviolabili previste dall’art. 2 della Costituzione, quale diritto inviolabile della personalità. In Italia è in vigore dal 01 gennaio del 2004 il D.lgs. n. 196 del 2003 che ha abrogato la precedente legge in materia, ispirandosi ad una logica di semplificazione rispetto al D.lgs. n. 675 del 1996.Quando parliamo del trattamento dei dati personali dobbiamo effettuare una distinzione di fondo.Ci riferiamo ai dati identificativi della persona, distinguendoli in dati “comuni”: quelli riguardanti le generalità in senso ampio, ed in dati “sensibili”: quelli idonei a rivelare lo stato di salute e/o la vita sessuale.Ci sarebbe da illustrare - probabilmente molti di Voi sanno già di cosa si tratta - il glossario di questa legge, il significato di titolare piuttosto che di responsabile o incaricato del servizio, ed i vari concetti fondamentali. Tuttavia, quelli strettamente funzionali al tema specifico di questa relazione ho cercato di sintetizzarli in poche “slides” che passo ad analizzare.Per quanto concerne le regole generali in materia, parliamo innanzitutto del trattamento medico- terapeutico, riguardo ai dati ”sensibili”. Essi possono essere lecitamente trattati di principio soltanto con l’autorizzazione dell’Autorità Garante e con il consenso preventivamente espresso dall’interessato, dal paziente o da un soggetto che si sottopone allo studio clinico sperimentale.In ambito sanitario, il consenso può essere espresso anche oralmente in quanto l’attività terapeutica é considerata di rilevante interesse pubblico. l’importante è che ne venga documentato il rilascio, unitamente all’informativa fornita dal medico dell’istituzione sanitaria. In primo luogo, opererei un distinguo tra il trattamento indirizzato al perseguimento delle finalità di tutela della salute, intendendo con essa il diritto alla vita ed all’incolumità psicofisica e il trattamento che è invece rivolto a tutela dei terzi o della collettività. In questo caso, si potrebbe anche prescindere dal consenso scritto o verbale del paziente, ma occorrerebbe l’autorizzazione del Garante. Questa distinzione, che la legge non prevede espressamente, si basa sulla differenza tra la ricerca medico - scientifica, che ha una ricaduta indiretta e solo a medio e/o lungo termine sui pazienti, e quella invece medico - terapeutica che, al contrario, ha una ricaduta diretta od a breve termine sui pazienti. È una distinzione importante, in quanto gli studi clinici farmaco-sperimentali e, per analogia, quelli sui dispositivi medici e sui presidi medico-chirurgici in genere, possono presentare ambedue queste finalità e avere quindi una ricaduta immediata e diretta sul paziente, sperimentando sul paziente (es.: fasi 2 e 3), con l’obiettivo (atteso) di un beneficio diretto. Od una ricaduta mediata e indiretta trattandosi di protocolli sperimentali funzionali allo sviluppo di una molecola che potrebbe in futuro andare a beneficio dell’intera collettività. Il trattamento medico può essere di tipo terapeutico, che presupponendo una malattia è sempre rivolto al paziente, previo consenso espresso o presunto (es. stato di necessità),

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o di tipo sperimentale, rivolto al paziente ma anche al volontario sano, previo consenso necessariamente espresso. Tale distinguo non è stato però operato dall’Autorità del Garante della privacy nella formulazione delle linee-guida.Passiamo all’analisi dei vari tipi di sanzioni.Rispetto al trattamento medico, il trattamento dei dati costituisce una potenziale lesione di un diritto soggettivo quello alla privacy, che è ritenuto di rango inferiore rispetto al diritto alla salute. E tuttavia, se andiamo a vedere le sanzioni e le possibili ricadute in termini di responsabilità, ci accorgiamo che, almeno sotto il profilo delle sanzioni amministrative, esse sembrano quasi appaiarsi. Nella relazione del prof. Pizzetti, Presidente dell’Autorità Garante è stata data la possibilità, nei casi più gravi (n.b. normalmente le sanzioni arrivano fino ad un massimo di trentaseimila euro, aumentabili fino al triplo), di irrogare sanzioni fino ad un milione e duecentomila euro. Naturalmente, non mi riferisco all’omissione dell’informativa o all’incompletezza della stessa, ma a casi più gravi che comunque riguardano il trattamento dei dati “sensibili”. Vi sono poi le sanzioni civili, che rappresentano il risarcimento di danni, da valutarsi in via equitativa, con la caratteristica che opera in materia una presunzione di colpa in capo al soggetto danneggiante, cioè al titolare responsabile del trattamento dei dati e quindi, resta a suo carico l’onere della prova cosiddetta liberatoria.Vi sono, inoltre, possibili conseguenze penali derivanti dalla mancata osservanza delle sanzioni amministrative, od all’inosservanza delle autorizzazioni, quando vengono date a livello generale, come accade per l’art. 40 della legge sulla privacy; ovvero per determinate richieste, perciò in funzione di determinate tipologie di trattamento, che addirittura possono configurare un reato di natura delittuosa, che prevede la sanzione della reclusione fino a ventiquattro mesi.Infine, vi è anche una sanzione che potremmo definire “speciale”, in cui il trattamento illecito comporta l’inutilizzabilità dei dati della persona, concetto che in ambito sperimentale sta a significare che lo studio finisce lì, non potendosene utilizzare i dati. Giungiamo dunque alle linee-guida, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Queste, almeno per la mia esperienza di membro di due C.E., hanno segnato una svolta nell’approccio alla problematica, nel senso che, fino a quel momento si riteneva che il consenso al trattamento medico sperimentale venisse prima, e che in fondo la tutela della privacy fosse meno avvertita, trattandosi quella sperimentale, di un’attività di rilevante interesse pubblico che si effettua nelle strutture pubbliche od equiparate, ed anche nell’ambito della ricerca no-profit, sempre nel rispetto delle finalità che sono proprie del Servizio sanitario nazionale. Ma soprattutto, ci si sentiva tranquilli di fronte alle rassicurazioni delle aziende farmaceutiche circa la garanzia dell’anonimato dei dati personali.In realtà, come ha potuto verificare l’Autorità Garante della protezione dei dati nell’ambito dei suoi poteri di accertamento ispettivo, non sussiste una vera garanzia di anonimato. Ancorché criptati con un codice talora alfa numerico, talora numerico, è possibile accedere, decriptandoli, ai dati dei soggetti che partecipano alla sperimentazione, da parte di un numero pur limitato ma comunque notevole di persone; oltre agli sperimentatori ed oltre al promotore, che è colui che direttamente li acquisisce. leggasi: collaboratori esterni, come ad esempio le organizzazioni di ricerca a contratto, il centro di raccolta dati, i laboratori di analisi strumentali e statistiche; i centri di elaborazione dati ed infine, gli addetti al monitoraggio. Ciascuno con un differente livello ed un diverso grado di responsabilità, che non purtroppo forniscono a priori idonee garanzie di affidabilità e segretezza nel rispetto di un principio generale della normativa, che consiste nella pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei

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dati. In definitiva, si è capito che occorre esprimere una volontà consapevole in merito al trattamento dei dati, dal momento che l’anonimato è in effetti soltanto teorico.Trova luogo nella sperimentazione clinica, verificandosi in essa una comunicazione (n.b. non una diffusione) dei dati, l’applicazione del codice della privacy a tutti gli effetti relativamente al trattamento dei dati “sensibili”, indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di una sperimentazione che abbia rilevanza pubblica in quanto finalizzata a beneficio della collettività, in considerazione della ricaduta personalizzata di essa sul singolo partecipante.Naturalmente, il Garante prevede una deroga specifica per tutti quegli studi che, per comprovate circostanze, rendono impossibile l’ottenimento preventivo del consenso. In tal caso, viene richiesto un motivato parere del Comitato Etico. Il Comitato potrà esprimere un parere favorevole, che dovrebbe essere anticipato o bissato dall’autorizzazione del Garante, per gli studi clinici, in genere osservazionali di tipo epidemiologico e retrospettivo, come per esempio accade in campo oncologico, nei quali i pazienti sono deceduti.Si ricorda che il consenso al trattamento dei dati è sempre revocabile in qualunque momento, anche senza motivazione. Se però il paziente muore, il consenso prestato diviene irrevocabile, non essendo trasmissibile il diritto alla revoca. Se da un lato questa circostanza mette al riparo dal rischio di revoca del consenso, dall’altro rende impossibile la manifestazione dello stesso, che è personalissimo, da parte dei prossimi congiunti del deceduto che non possono esprimerlo in sua vece. Questo è uno dei motivi per cui si ricorre all’Autorità Garante, (è capitato nel ns. C.E. proprio in uno studio in materia oncologica nel corso del 2009), che darà un’autorizzazione specifica al trattamento dei dati del deceduto.Il Garante ha inoltre predisposto un modello differenziato di informativa per l’acquisizione del consenso, a seconda che si tratti di studi interventistici, osservazionali o di studi genetici, dal contenuto che dovrà essere comprensibile ancorché dettagliato, e che potrà utilizzato dalle case farmaceutiche per raggiungere una prassi uniforme.Quali sono i requisiti di una corretta informativa scritta? Sono almeno quelli riportati nell’accennato modello di informativa, in quanto da ritenersi necessari e sufficienti. E cioè: natura dei dati, finalità del trattamento, modalità di raccolta e tempi di conservazione dei campioni biologici, destinatari dei dati eventualmente ubicati anche in Paesi extra U.E. che potrebbero non offrire analoghe garanzie di protezione. I destinatari dei dati potrebbero non essere tutti noti all’inizio, bisogna allora offrire al soggetto partecipante allo studio clinico il modo di conoscerli, magari collegandosi via internet ad un sito, quando finalmente i loro nominativi siano individuati. Si dovranno anche adottare le necessarie misure di sicurezza e di protezione per rendere la comunicazione in forma anonima e riconoscere ai soggetti i diritti connessi all’informativa prevista dall’art.13, cioè quelli di cui all’art. 7; vale a dire il diritto di richiedere l’aggiornamento, l’integrazione e la rettifica.Quando si parla di sperimentazione, ci si rifà ad una normativa che è stata elaborata a livello europeo e successivamente recepita in Italia. Col tempo si tenderà ad uniformare in campo internazionale anche la normativa in materia di privacy di modo che sia valevole in tutti i Paesi allo stesso modo.Occorre però tener conto che la tutela dei dati personali viene dopo la tutela della salute della persona, alla cosiddetta autodeterminazione in materia di trattamento medico, per cui è facile immaginare che nei Paesi in via di sviluppo, sarà più complicato far recepire una normativa di questo tipo, laddove neanche il diritto all’autodeterminazione viene garantito o per meglio dire completamente garantito. Il diritto al trattamento dei dati personali può finire per costituire quasi una prerogativa che si riconosce all’individuo nei paesi di democrazia

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avanzata. Il modello relativo alle sperimentazioni genetiche è sicuramente un modello adottato “allo stato dell’arte”, poiché il progresso tecnologico, lo sviluppo della ricerca, anche e soprattutto in materia genetica è tale, per cui quello sarà sempre migliorabile ed emendabile. la peculiarità di fondo dello studio genetico è quella di presentare, sotto l’aspetto del trattamento dei dati, un maggior rischio di tipo informativo rispetto allo studio tradizionale perché può generare dei danni in conseguenza di quelle notizie inattese che potrebbero avere ricadute potenzialmente dannose, in caso di abusiva conoscenza, sull’intero nucleo familiare o parentale dell’interessato. Ne consegue che gli studi di farmaco-genetica e/o di farmaco-genomica, in linea di principio, sono tutti soggetti all’obbligo di notifica all’Authority, salva la possibilità di autorizzazione preventiva per determinati destinatari e per determinate tipologie di trattamento, come prevede l’art. 40 del Codice della privacy. In ogni caso si devono rispettare tutti i requisiti dell’informativa di cui sopra. C’è inoltre bisogno di un “quid pluris” legato alla natura genetica dei dati, soprattutto quando se ne prevedono utilizzi futuri in funzione del diritto concesso alla conservazione dei dati e dei campioni biologici, o quando si pensa di effettuare in futuro sottostudi. Tant’è che il Garante raccomanda l’adozione di modelli che prevedano il diritto per l’interessato di limitare a determinati prossimi congiunti l’informativa in ordine all’esito dello studio. S’innesca a questo punto però una problematica ulteriore, che richiama alla mente quella che si pone nell’ambito degli studi farmacologici per le donne che devono prestare attenzione a non incorrere in una gravidanza e quando si richiede il consenso del partner. È vero, si può riconoscere il diritto di limitare soltanto a determinati prossimi congiunti le informazioni, ma questo diritto può potenzialmente scontrarsi con il diritto di accesso previsto e garantito dalla stessa normativa sulla privacy. Accade infatti che accanto al diritto alla riservatezza sui dati genetici di un soggetto, c’è quello alla difesa degli interessi giuridicamente rilevanti di un altro soggetto. Potrebbe sussistere il diritto di accesso alla documentazione amministrativa, che la Giurisprudenza riconosce e garantisce secondo il principio del pari valore, del pari rango. Parafrasando la terminologia gergale degli studi clinici, purché si riscontri una “non inferiorità” del diritto da tutelare. Tale comparazione, che non va fatta in astratto ma in concreto, potrebbe finire per privilegiare il diritto di accesso rispetto a quello alla riservatezza espresso dall’interessato che abbia voluto limitare solo a determinate categorie di persone, la conoscenza degli esiti della sperimentazione.Come avvocato, nonché membro di Comitato di Etica, come una sorta di clausola di salvaguardia, suggerisco di richiedere agli sperimentatori l’adozione del modello di informativa minima predisposto dal Garante, dovendosi considerare le linee-guida del Garante, che ricordo sono consigliate ma non imposte, come linee guida di buona pratica clinica. l’osservanza delle stesse, ancorché non obbligatoria ed in assoluto non sufficiente, deve essere considerata condizione essenziale anche per evitare che si possano ravvisare eventuali cause di responsabilità. Diversamente si potrebbe configurare una responsabilità per colpa generica, sotto il profilo della negligenza, o specifica, per inosservanza di discipline.Questa è la raccomandazione finale che rivolgiamo a tutti gli sperimentatori ed ai promotori e che ovviamente facciamo anche nostra.

I dati sono... sensibili, non maltrattiamoli! Grazie.

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LA vALUTAZIONE CIRCA LA SCIENTIFICITà DEL PROTOCOLLO SPERIMENTALE E LA IDONEITà DELLE STRUTTURE E DEGLI SPERIMENTATORI

Salvatore CarusoDirigente Medico AIFA - Ispettore Senior GCP

la presentazione inizia con quella che, secondo il mio parere, è la migliore definizione della Good Clinical Practice (GCP), contenuta nell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo (dlgs) 211 del 2003 che recepisce la Direttiva europea 2001/20/CE. In considerazione del mio ruolo di ispettore-GCP, non potevo iniziare altrimenti. la GCP è, quindi, un insieme di requisiti, in materia di qualità in campo etico e scientifico, vincolanti ai fini della progettazione, conduzione, registrazione e comunicazione degli esiti della sperimentazione clinica; garantisce la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti/pazienti ed assicura la credibilità dei dati che scaturiscono dall’esecuzione della sperimentazione.È evidente che questa diapositiva (n. 2), o meglio ogni parola che in essa è sottolineata, richiede un approfondimento che non ho il tempo di fare e che spesso non si esaurisce neanche in un seminario o in un ciclo di lezioni accademiche.Questo perché, in quelle poche righe, sono compresi pilastri portanti della ricerca medica: bioetica, metodologia sperimentale, gestione della realizzazione di un trial clinico.Nella presentazione tratterò in modo “barbaro” alcuni degli argomenti presenti nella definizione di GCP, e li affronterò, soprattutto, alla luce della mia esperienza di ispettore.Un argomento che mi sta molto a cuore, e sul quale desidero spendere due parole, è il concetto di “qualità in campo etico e scientifico”. Cosa si intende per “qualità” quando si parla di sperimentazione clinica ? cosa è la “qualità”? come si misura ?farò un esempio che, forse, vi lascerà perplessi, ma vi prego di fare uno sforzo di fantasia e di traslare quello che dirò alla pratica della ricerca clinica.Un asciugacapelli da 10 euro è migliore di uno che ne costa 100? Mio nonno mi avrebbe risposto immediatamente che quello da 100 euro è sicuramente migliore, se hai i soldi compralo!Ma è vero ? Supponiamo che il progetto, “povero ed essenziale”, dell’asciugacapelli da 10 euro sia stato realizzato bene, che l’analisi dei rischi (chi si occupa di medical device la conosce bene) sia stata ben elaborata: l’apparecchio svolge la sua funzione perfettamente, malgrado sia costruito con materiali di plastica, poco resistenti; i contatti elettrici sono ben eseguiti e sicuri.Supponiamo che l’asciugacapelli da 100 euro nasca da un progetto importante, che tiene conto di tutte le procedure ed innovazioni richieste dalla tecnica moderna, supponiamo che sia fornito di accessori e funzioni complesse e, infine, supponiamo che sia realizzato con materiali pregiati e resistenti, addirittura con collegamenti elettrici in ceramica; tuttavia è assemblato male, i pezzi non combaciano perfettamente, i contatti elettrici non sono ben saldati, le sofisticate funzioni previste spesso si bloccano. Insomma, forse conviene spendere 10 euro per una “povera qualità” anziché buttarne 100 per una “presunta altissima qualità”.Quello che voglio dire è che se cerchiamo la qualità nella ricerca clinica dobbiamo cercarla

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nei valori essenziali che la ricerca propone, nei fatti ed azioni essenziali con la quale la ricerca viene condotta.Se perdiamo di vista questo banale assunto dobbiamo dar ragione a Roberto Marchioli e a Gianni Tognoni, che nel 1994, dopo l’introduzione della prima versione della GCP, criticarono aspramente il “formalismo delle regole”, “il rispetto rigido ed acritico delle regole”, “il tentativo di sostituire l’intelligenza della rigorosità scientifica con una burocrazia acritica rivolta alla documentazione del particolarismo e per questo incapace di valutare la sostanzialità dei problemi”. I due ricercatori criticarono, in definitiva, la GCP, “le cosiddette Good Clinical Practice” e quindi tutto quello che la GCP introdusse: un preciso sistema di responsabilità, procedure per le richieste di autorizzazioni, complesse procedure per la rilevazione, registrazione, archiviazione dei dati, specifiche procedure per il monitoraggio dello studio clinico, le problematiche relative al finanziamento, i complessi aspetti assicurativi e medico-legali.Tutte attività complesse e costose. Vedremo più avanti che, nel mondo della ricerca clinica, Marchioli e Tognoni non sono i soli ad aver espresso perplessità e giudizi negativi sulla GCP.Tutto questo discorso ci può portare lontano: pensiamo, ad esempio, ad un confronto tra la ricerca clinica industriale e quella non profit, quest’ultima quasi sempre priva di risorse e quindi in difficoltà quando si tratta di soddisfare e rispondere a regole formali.Il problema è, capite bene, complesso e di difficile soluzione: le “regole complesse” derivano da norme adottate da tutta l’Unione europea, sono, ormai, “leggi” del nostro paese (non consigli, linee guida, non semplici decreti ministeriali); le regole complesse, anche quelle più “formali”, trovano fondamento su argomenti validi ed indiscutibili, come, ad esempio, quello di determinare tutti gli strumenti operativi finalizzati alla riproducibilità dell’esperimento clinico.Nell’ottobre del 2009, a Roma, si è tenuto il convegno annuale degli ispettori-GCP; il convegno ha visto la partecipazione di membri degli ispettorati delle Autorità regolatorie di quasi tutto il mondo, si andava dalla fDA all’Ufficio per la Salute pubblica di sconosciute nazioni del Centro Africa.Sono rimasto impressionato da una discussione che si è tenuta ad uno dei tanti tavoli tematici: si dibatteva se convalidare o no una sperimentazione condotta in Centro Africa su un nuovo farmaco antimalarico; le questioni erano, fondamentalmente, due: il consenso informato per i minori era stato firmato da un solo genitore; comuni abitanti dei villaggi nei quali si svolgeva la sperimentazione, quindi non medici, né infermieri, somministravano ai soggetti arruolati il medicinale oggetto dello studio.la tendenza del tavolo era quella di sottolineare le gravi deviazioni alla GCP riscontrate; nessuno sottolineava che lo sperimentatore improvvisato, un indigeno qualsiasi, forse lo sciamano del villaggio, aveva seguito un corso, seppur breve, di formazione, che il genitore assente nel giorno della firma del consenso informato, forse, si trovava a 50, 100 chilometri di distanza per prendere l’acqua, che uno sparuto numero di medici coinvolti nello studio non poteva coprire un territorio vastissimo, senza strade praticabili e con villaggi distanti tra loro centinaia di chilometri.Nessuno poneva l’accento che, malgrado le deviazioni procedurali, la ricerca era stata ben condotta: i pazienti erano stati trattati, i dati registrati ed archiviati. Insomma si cercava per forza l’asciugacapelli da 100 euro senza vedere che quello da 10 euro funzionava benissimo.Sul concetto di “qualità etica” mi rifiuto francamente di parlarne: cosa vuol dire, che l’etica cattolica è di qualità rispetto a quella laica? o viceversa? Il consenso informato di ispirazione

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laica ha più qualità rispetto a quello di ispirazione cattolica? e viceversa?Un paio di anni fa, durante un corso di formazione sulla GCP, tenutosi a Roma, nella sede dell’AIfA, un componente di un prestigioso comitato etico, di evidente indirizzo filosofico, affermò che “l’etica è una e una sola”. Se fosse così ci troveremmo in un mondo molto povero. Quando si parla di etica, il vero stroma portante di qualunque società civile regolata da norme e leggi, bisognerebbe sempre riflettere bene su quello che si dice e soprattutto su quello che si vuole far intendere; il concetto di “qualità etica” presente nell’art. 1, comma 2, del dlgs 211/03, da questo punto di vista, può dar luogo a fraintendimenti, di certo non è un’espressione delle più felici.

la GCP è composta da 8 capitoli; riporto nella presentazione i principi generali.In quanto tali, cioè “generali”, sono soggetti, in quasi ogni riunione di esperti, per esempio, all’EMA (Agenzia europea dei medicinali), ad interminabili discussioni.“Diritti, sicurezza e benessere dei soggetti in studio devono prevalere sugli interessi della società”: sembra un concetto banale. Vi assicuro che la sua introduzione nella direttiva 2001/20/CE (il nostro dlgs 211/03, e cioè, lo voglio sottolineare, in una legge dello stato) comportò una dura lotta da parte della delegazione italiana al Consiglio della UE (Unione europea): i rappresentanti delle nazioni di cultura pragmatica ed utilitaristica, i paesi anglosassoni, del nord Europa, sembravano non capire di cosa si stesse parlando. È solo grazie alla tenacia del dott. filibeck, capo della delegazione italiana, che il principio venne accettato. la questione ritorna, ancora oggi, ad ogni riunione, in ogni discussione di nuove linee guida sui più disparati temi inerenti la sperimentazione clinica.E d’altra parte si può ritenere applicato questo principio quando si somministra il solo placebo (non in aggiunta ad una terapia consolidata) ai pazienti che partecipano ad uno studio clinico? È applicato questo principio quando si sottopone al paziente il consenso informato di uno studio di non inferiorità o di equivalenza? Non mi è mai capitato, ma vorrei tanto vedere la faccia di quel collega medico che dice al paziente <il farmaco che le somministrerò, con qualche probabilità, potrebbe non essere migliore di quello che le ho sempre prescritto, forse potrebbe darle dei disturbi, più o meno seri, che non conosco>, e vorrei vedere il tipo di paziente che dice <si, sono d’accordo>. Conosco bene quale sarebbe la risposta in alcuni quartieri popolari di Roma, e credo che qui, a Napoli, non sarebbe diversa. Un altro dei principi generali sul quale desidero dire due parole è quello relativo alla GMP (Good Manufacturing Practice): i medicinali sperimentali devono essere prodotti secondo rigorose procedure di qualità; la purezza, la composizione quali-quantitativa non possono essere motivo di incertezze: tutto il processo sperimentale, la sua riproducibilità, verrebbe compromesso.È questo un punto, purtroppo, spesso trascurato.Anche in questo caso, attenzione però ai “formalismi”: la struttura grafica di certe etichette, a volte, è, a dir poco, complessa e farraginosa. Pensiamo all’etichettatura di un medicinale in commercio utilizzato in uno studio, in doppio cieco, di tipo pragmatico. Se l’etichettatura del confezionamento primario e secondario non è fatta nel rispetto dell’Annesso XIII alla GMP invalidiamo lo studio? è una deviazione critica alla GCP? oppure possiamo accettare sistemi di confezionamento ed etichettatura più semplici, chiamiamoli artigianali.È sempre il solito problema: l’asciugacapelli da 100 o da 10 euro ?

Come sappiamo il corpus della GCP nasce negli USA intorno agli anni ’70, un documento completo viene introdotto in Europa nel 1991, recepito in Italia con il decreto del 27 aprile

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1992; non è questa la sede per approfondire i motivi che sono all’origine della nascita della GCP. Quello che voglio dire è che si parla di essa da 40 anni e che sono almeno 20 anni che la GCP, in forme diverse, è operativa. Vi ricordo che la versione definitiva è stata recepita in Italia con il decreto del 15 luglio 1997 e, successivamente richiamata nei due dlgs, il 211/03 ed il 200/07, che rappresentano le leggi cardini della sperimentazione clinica.Ebbene, ancora oggi vengono pubblicati articoli che cercano di spiegare quali sono gli obiettivi della GCP. le parti che compongono il protocollo clinico sono descritte nel capitolo 6 della GCP in modo sufficientemente particolareggiato. Nella mia esperienza di ispettore mi è capitato di leggere protocolli clinici di tutti i tipi: da quelli ben fatti e particolareggiati, conformi alla GCP in ogni particolare, che nascono dalle direzioni mediche dell’industria farmaceutica, a quelli costruiti con il sistema del “copia ed incolla”, e quindi pasticciati ed incoerenti, pieni di errori di ogni tipo (anch’essi nascono dalla direzione medica di qualche industria farmaceutica, qualche volta sono elaborati da enti di ricerca pubblici o privati). Ci sono poi i protocolli della ricerca non profit, indipendente, chiamatela come volete, che non saprei definire: alcuni, è logico, sono accettabili dal punto di vista della GCP, mai completi ma accettabili, altri, purtroppo, sono composti da pochi striminziti foglietti, avari di informazioni, anche di quelle essenziali (posologia, durata dello studio, ecc.), ho spesso la sensazione che siano stati scritti in metropolitana, sull’autobus, insomma troppo frettolosamente. Quest’ultima osservazione è importante, è un sintomo della distanza che ancora è presente tra il mondo della ricerca clinica non industriale e la GCP, e cioè, come ho già detto, quell’insieme di garanzie per la riproducibilità e la corretta conduzione di uno studio clinico e per la tutela dei pazienti e degli stessi sperimentatori.Il protocollo clinico, scusatemi per questa digressione, dovrebbe essere costruito come una sceneggiatura di un film: da un soggetto, un idea abbozzata più volte, ad un plot e da questo ad una prima stesura della sceneggiatura; questa andrà discussa e cambiata più volte perché, mano a mano che si esamina, saranno individuati nuovi problemi, soprattutto inerenti la metodologia sperimentale e la prassi esecutiva dello studio.Un breve esempio: i pazienti sono visitati in ambulatori pubblici dove gli sperimentatori prescrivono sia il farmaco sperimentale (si tratta di uno studio di tipo pragmatico, con medicinale in commercio) sia alcuni esami di laboratorio richiesti dal protocollo come misure di esito. I pazienti sono liberi di eseguire gli esami in qualsiasi laboratorio pubblico o privato convenzionato; molti pazienti, soprattutto anziani, si rivolgeranno al laboratorio privato convenzionato che è vicino casa e scopriranno che alcune delle analisi sono solo a pagamento (il laboratorio è accreditato al SSN ma non tutte le analisi sono in convenzione con la Regione di riferimento): il risultato è che le analisi non verranno eseguite, mancheranno dati importanti per lo studio. le conclusioni sono ovvie.

le diapositive che seguono riguardano alcuni aspetti metodologici: li illustrerò rapidissimamente, solo dei flash; altri oratori, più competenti, li approfondiranno.Chi valuta ed approva le sperimentazioni dovrebbe sempre porre molta attenzione agli obiettivi dello studio clinico: sapere che l’ennesima copia di un ace-inibitore abbassa la pressione arteriosa sistemica, francamente, mi interessa poco; mi piacerebbe sapere di più se quell’ace-inibitore riduce l’incidenza di ictus, IMA e quant’altro; si tratta di studi che necessitano di anni di osservazioni, l’industria difficilmente li propone.

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Chi valuta ed approva le sperimentazioni dovrebbe analizzare bene gli obiettivi, soprattutto quelli compositi: se sono dello stesso peso (MACE o MACCE, eventi cardiovascolari maggiori/gravi), va tutto bene, ma attenzione alle associazioni o inclusioni di obiettivi di scarsa rilevanza clinica. Il rischio è che, sulla base della costruzione dello studio, venga approvato un medicinale per indicazioni gravi, mentre, in realtà, è efficace solo per patologie di minore importanza. Altro aspetto spesso trascurato è quello del setting di arruolamento: in uno studio sono arruolati pazienti ambulatoriali e pazienti ricoverati nei reparti specifici per la patologia in studio. Si tratta di pazienti con un diverso grado di progressione e gravità della malattia; se nel protocollo non sono previste specifiche tecniche di bilanciamento lo studio sarà viziato da un grave errore sistematico.Desidero ricordare che negli studi di equivalenza e non inferiorità le differenze attese tra i trattamenti devono essere chiaramente definite e giustificate nel protocollo clinico. l’analisi statistica deve essere prevista per protocol (e quindi grande importanza hanno i drop-out) e per intention to treat. Non ho tempo per approfondire, altri relatori affronteranno questa problematica certamente meglio di come potrei fare io.la ricerca non profit è un problema etico? lasciatemi passare la battuta: non è etico non farla e non favorirla.Un altro problema che mi sta molto a cuore è quello della sperimentazione in chirurgia. Chi approva gli studi clinici in chirurgia (ad esempio quelli con i dispositivi medici) dovrebbe avere una sensibilità ed un’attenzione particolari: c’è un controllo sulla curva di apprendimento dei chirurghi? sono stati fatti investigators’ meeting?, i chirurghi sono stati addestrati all’utilizzo del nuovo dispositivo medico?Non bisognerebbe mai dimenticare che l’atto chirurgico è cruento ed irreversibile.l’esempio che vi ricordo è quello della trasposizione delle grandi arterie.

Per non correre il rischio di vedervi stramazzare sulla poltrona, eviterò di leggere le diapositive che seguono, potete benissimo farlo voi, in seguito, soprattutto se avete problemi di insonnia.Al di là delle battute, nelle diapositive vengono elencate le numerose procedure, richieste dalla GCP, per la conduzione ed il controllo di una sperimentazione clinica. Il monitoraggio dello studio clinico è certamente importante, e per le risorse tecniche ed umane che mette in gioco è molto costoso.Molti autori, sottolineando questo aspetto, hanno chiesto che la GCP fosse limitata alle sperimentazioni finanziate dall’industria farmaceutica.la realtà è che molti aspetti procedurali della GCP richiedono fondi ingenti: il confezionamento del farmaco sperimentale, soprattutto se lo studio è in cieco, la spedizione ai Centri del medicinale sperimentale, l’analisi dei dati, l’adempimento degli obblighi assicurativi, solo per citare quelli che mi saltano immediatamente davanti agli occhi.

È naturale che la critica alla GCP da parte del mondo accademico, diciamo meglio da parte di tutti gli sperimentatori interessati alla ricerca non profit, non si facesse attendere.l’occasione è data dalle due Direttive europee, che ho già citato precedentemente: la 2001/20/CE (il nostro dlgs 211/03) e la 2005/28/CE (il nostro dlgs 200/07). Queste due Direttive estendono, in modo chiaro e definitivo, la GCP a tutti gli studi clinici finalizzati e non finalizzati alla registrazione dei medicinali.Alcuni articoli sono divertenti da leggere: si va dalla “morte della sperimentazione clinica accademica” alla eccessiva trasudazione (puzza!) della direttiva europea sugli studi clinici.

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Echeggiano in lontananza le parole di Marchioli e Tognoni. (scritte 10 anni prima).Sulla ricerca non profit non mi dilungo, altri oratori affronteranno questo tema che presenta punti estremamente spigolosi: basti pensare alla difficile interpretazione del decreto ministeriale che la regola, il decreto del 17 dicembre 2004.

In conclusione gli studi clinici, di qualunque tipo, devono essere condotti bene e devono essere conformi almeno ai principi fondamentali della GCP, lo dicono i dlgss 211/03 e 200/07.la formula “principi fondamentali”, credo sia intuitivo, lascia ampi margini ad incertezze, difficilmente porta a delle soluzioni concrete. Quindi, quando è possibile, è meglio non correre rischi ed applicare sempre la GCP completa, completa dei suoi formalismi; altrimenti sarà indispensabile eseguire una approfondita valutazione del rischio associato alla sperimentazione ed adottare sistemi di semplificazione proporzionati ai rischi individuati; si dovrà aver cura di rappresentare con estrema chiarezza le azioni che saranno intraprese alla Autorità locale e/o centrale.

Il Quality Team Clinical Trial (QTCT) è quell’organismo che l’ispettorato GCP dell’AIfA sta cercando di promuovere in tutte la strutture pubbliche: una specie di CRO (Contract Research Organization) pubblica, che ha il compito di seguire e gestire, in conformità alla GCP, tutti gli studi clinici che si svolgono all’interno della struttura sanitaria, o che vengono coordinati da essa; è questo un argomento che verrà approfondito da altri relatori.

Queste che vedete sono le deviazioni alla GCP riscontrate con maggiore frequenza durante le visite ispettive. Non voglio entrare nei particolari, posso dire che l’incidenza era molto alta nei primi anni, diciamo dal 1998 al 2002, poi ho assistito, almeno questa è la mia esperienza, ad un miglioramento incredibile: ricordo di aver fatto un verbale ispettivo nel 2003 ricopiando i rapporti del monitor dello studio, il quale aveva visto, controllato e segnalato tutte le anomalie presenti. Cosa ancora più entusiasmante, per chi fa il mio lavoro, fu vedere che le direzioni mediche, i CRA (Clinical Research Assistent), rispondevano immediatamente alle queries dei monitor e/o degli sperimentatori; ai rapporti di monitoraggio seguiva immediatamente una soluzione al problema segnalato. Oggi la situazione sembra essere regredita e, francamente, non ne conosco i motivi: forse il sistema autorizzativo e di controllo è cristallizzato e fermo, è interessato più al mercato ed all’apparenza che alla sorveglianza seria sul piano etico, scientifico e procedurale delle sperimentazioni cliniche.

Ma veniamo al punto più importante e conclusivo di questa presentazione.Alcuni di voi avranno certamente notato che non ho mai pronunciato, durante il mio intervento, il nome di uno dei protagonisti, forse il principale attore, quello che governa le vele ed indirizza la barca della sperimentazione clinica dei medicinali: il Comitato etico.Dovrebbe essere il sole, spesso, purtroppo, appare come un’ombra minacciosa.Abbiamo un numero incredibile di Comitati etici, poco meno di 300, alcuni dei quali di nessuna importanza, non hanno mai coordinato uno studio clinico; ci si domanda cosa ci stanno a fare: piccoli centri di potere?, quattro amici al bar?Abbiamo Comitati etici che non sono in grado di valutare un consenso informato (CI); mi riferisco, in particolare, alla parte tecnica del CI, cioè non verificano se sono riportate le reazioni avverse serie registrate nell’Investigator’s Brochure o nella scheda tecnica del

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medicinale. Abbiamo Comitati etici, coordinatori di studi clinici, ai quali non passa neanche per l’anticamera del cervello verificare se il medicinale sperimentale è prodotto ed autorizzato secondo le norme europee e le leggi del nostro paese (scusatemi se lo sottolineo e sono pedante: ho detto “leggi”, e le leggi, che sono valide su tutto il territorio nazionale, comportano sanzioni civili e, in qualche caso, penali).Abbiamo Comitati etici che sembrano essere poco interessati a questioni economiche reali, mi riferisco alla razionalizzazione delle spese a carico della struttura pubblica che partecipa alla sperimentazione.Abbiamo Comitati etici in grado di approvare centinaia di sperimentazioni in un anno: e il bello è che si può tranquillamente affermare che i parere negativi sono rarissimi.Eppure, malgrado le migliaia di sperimentazioni approvate ogni anno in Italia, nessuna struttura pubblica (in verità c’è qualche eccezione, ma si tratta di piccolissimi numeri) ha istituito il fondo per la ricerca non profit previsto dal decreto del 17 dicembre 2004.Sulla stessa sperimentazione registriamo pareri disparati da parte dei diversi Comitati etici interessati; per carità, la cosa è legittima, ma almeno sul piano metodologico e clinico sarebbe opportuno dimostrare un confronto, un approfondimento dei motivi di divergenza.la realtà è che tra i diversi Comitati etici non c’è alcun contatto, nessun tipo di scambio culturale sia sul piano etico sia su quello scientifico; quindi non solo non c’è quella circolazione delle idee che sarebbe stato lecito augurarsi, ma viene a mancare anche quel servo-meccanismo di controllo, autonomo ed indipendente, non calato ed imposto dall’alto, sulle sperimentazioni cliniche che la collaborazione tra i Comitati etici avrebbe potuto comportare.Ho conservato dei documenti relativi alle osservazioni comunicate da un prestigioso Comitato etico campano ad un altrettanto importante Comitato etico di una industrializzata regione del nord: il CE campano faceva osservare, motivandoli correttamente, una serie di errori nei quali era incorso quello del nord. la risposta fu cortese e chiarissima: “fatevi i fatti vostri!”.

Dire che il sistema dei Comitati etici sta vivendo un periodo di crisi non è un’affermazione forzata.Un ufficio del Governo degli Stati Uniti d’America, il G.A.O. (Government Accountability Office), recentemente, con un trucco, ha testato il sistema dei Comitati etici negli USA.Il GAO ha creato un falso CE ed un falso dispositivo medico prodotto da una industria inesistente; ha elaborato un protocollo clinico pieno di errori e, dichiarando che lo studio era già stato approvato dal falso CE, ha presentato la domanda di approvazione ad altri tre Comitati etici realmente esistenti.Risultato dello scherzo: un Comitato etico ha immediatamente approvato lo studio, gli altri due hanno chiesto dei chiarimenti tecnici sul nuovo dispositivo. Il G.A.O., non avendo a disposizione ingegneri competenti in grado di rispondere ai quesiti fatti, non ha risposto; di conseguenza la sperimentazione non è stata approvata. Il dubbio è: se ci fosse stata una risposta plausibile, lo studio sarebbe stato approvato anche dagli altri due Comitati etici?È chiaro che, per tanti motivi, questo esempio non si può applicare alla nostra realtà; ad esempio, negli U.S.A., i Comitati etici si accreditano autonomamente, via internet, in uno specifico sito della rete. lo scherzo del G.A.O. sembra dimostrare, tuttavia, che i controlli, anche se previsti, lasciano molto a desiderare.

Insomma, e questa volta concludo veramente, il sistema dei Comitati etici mi sembra in sofferenza; poiché i Comitati etici rappresentano la trave portante di tutto il sistema autorizzativo delle sperimentazioni cliniche dei medicinali in Italia, è necessario che qualcosa cambi, che

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si giunga ad una ottimizzazione del sistema sia in relazione alle problematiche regolarie-amministrative, sia relativamente a quelle etico-scientifiche.Nel panorama europeo l’Italia rappresenta un’anomalia: in tutti gli stati europei l’autorizzazione, il parere unico, viene rilasciato dall’Autorità centrale. Affinché l’anomalia italiana continui il sistema deve essere efficiente e coerente.

Ho cercato di vedere con occhio critico quello che si può migliorare, mi riferisco alla applicazione della GCP, ma non può essere solo l’Autorità centrale di un singolo Stato a proporre modifiche e miglioramenti, Autorità che è vincolata al recepimento ed all’applicazione di leggi europee.

È soprattutto da chi sta sul campo, dai Comitati etici e dai ricercatori che devono venire le proposte per il miglioramento e l’incentivazione della ricerca clinica in Italia.

Vi ringrazio per la vostra cortesia e pazienza, mi scuso per qualche tono acceso o qualche frase forse troppo colorita, tipica di chi vuol tenere alta l’attenzione su un argomento così complesso ed importante.

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LE CONDIZIONI PER L’IMPIEGO DEL PLACEBO NEL DISEGNO SPERIMENTALE

Luigi SaccàOrdinario di Medicina Interna, Università degli Studi di Napoli Federico II

Il prof. Claudio Buccelli mi ha affettuosamente invitato a parlare di questo argomento sull’uso del placebo nella sperimentazione clinica. È un argomento estremamente complesso, delicato, che ha suscitato un mare di polemiche nel mondo della bioetica e degli addetti ai trials e che non si sono tuttora placate. Credo che per entrare a fondo nell’argomento, occorra chiarire un aspetto fondamentale e cioè capire quali sono le ragioni da cui deriva la necessità, secondo alcuni imprescindibile, di ricorrere all’uso del placebo nella sperimentazione clinica. Immaginiamo che un medico offra a un suo paziente un rimedio per curare la sua malattia. In quel momento, si stabilisce tra medico e paziente una complessa relazione fatta di molte cose, di psicologia, di professionalità, di emozioni. Il paziente ha tutto il desiderio di non deludere le aspettative del medico, il medico che ha fiducia nel suo rimedio. Insomma, a causa di questa complessa relazione e indipendentemente dall’effetto vero del trattamento, è possibile che si abbia nel paziente una risposta. Questo si chiama effetto placebo. Ciò significa anche che, se vogliamo definire bene l’efficacia di un trattamento non è sufficiente dire che un trattamento deve esplicare un effetto, ma è necessario che questo trattamento produca un effetto che sia superiore a quello di un trattamento che appare identico al precedente, ma che non contiene all’interno il principio attivo. facciamo un esempio grafico di questa situazione. Poniamo di dover dare un trattamento per il dolore cronico a dei pazienti.

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l’intera area rappresenta i risultati nel gruppo che viene trattato, mentre l’area in basso indica i risultati nel gruppo placebo. Quale sarà l’efficacia del trattamento? Sarà la piccola area data dalla differenza tra il trattamento e il placebo. Se non avessimo fatto l’esperimento con placebo avremmo potuto attribuire al trattamento tutta quanta la risposta, sopravvalutando erroneamente l’effetto del trattamento. In un trial clinico, i pazienti vengono assegnati al gruppo trattamento o al gruppo placebo in maniera assolutamente casuale; né il paziente né il medico sanno dove sia il trattamento e dove sia il placebo. Queste sono le caratteristiche fondamentali del trial ‘randomizzato’, ‘doppio cieco’ e ‘controllato con placebo’, cioè di quello strumento formidabile che è stato introdotto alcune decine di anni fa e che ha consentito alla medicina clinica di generare evidenze, prove vere e proprie che consentono ad essa di avvicinarsi sempre di più ad una disciplina scientifica. Naturalmente, il trial ‘randomizzato’ e ‘controllato con placebo’ viene implementato su pazienti. Di conseguenza, occorre definire la cornice etica entro cui muoversi, occorre capire quali sono i doveri etici del medico quando svolge questo tipo di attività. I fondamenti etici del trial ‘randomizzato’ e ‘controllato sono due’: il principio della terapia-standard e il principio dell’equipoise. Il ragionamento che sottintende l’etica del trial è il seguente. Il medico che svolge un trial clinico e che quindi compie un’azione di ricerca clinica, diventa ricercatore ma non smette di essere medico, perciò trascina all’interno della sua attività di ricerca tutti i doveri e tutte le obbligazioni morali che derivano dall’essere medico. Questi doveri morali sono precisati nell’art. B11 della Dichiarazione di Helsinki: “è dovere dei medici ricercatori proteggere la vita, la salute, la dignità, l’integrità, il diritto all’autodeterminazione, la privacy e la confidenzialità dei soggetti che partecipano alla ricerca”.Questo dovere del medico ricercatore si attua, appunto, attraverso il rispetto di quei due principi citati prima: 1) il principio della terapia -standard, che stabilisce che, in un trial ‘controllato’, i pazienti del

gruppo di controllo debbano ricevere la cura standard attuale della propria malattia; 2) il principio dell’equipoise, (letteralmente, equidistanza), il quale stabilisce che nel

momento in cui un paziente viene assegnato, a caso, ad uno dei due rami del trial è necessario che nessuno dei due trattamenti sia inferiore all’altro, altrimenti verrebbe violato il principio della terapia- standard. Entrambi i gruppi devono essere esposti ad una terapia equivalente.

Come si concilia il rispetto di questi due principi con il trial ‘randomizzato’ e ‘controllato con placebo’?In pratica, esistono due possibili condizioni: la prima, molto semplice, è che non esiste alcun trattamento efficace per quella malattia in studio, e, ovviamente se non esiste alcun trattamento efficace, automaticamente verrà rispettato il principio della terapia- standard, in quanto non abbiamo alcuna terapia da offrire ai pazienti del gruppo del placebo. Inoltre, il trattamento nuovo è assimilabile ad un placebo, cioè fin tanto che la sperimentazione non sarà terminata non potremo concludere nulla sul trattamento nuovo e siccome appunto, ripeto, è assimilabile ad un placebo, essendo le due cose uguali, il principio dell’equipoise viene rispettato. Non si pone quindi alcun problema di tipo etico, il trial è permissibile. la seconda condizione è più complessa, esiste un trattamento efficace per quella patologia e se esiste un trattamento efficace e noi conduciamo un trial contro placebo andiamo a violare il principio della terapia-standard, in quanto abbiamo privato quei pazienti della terapia

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disponibile. Inoltre, è pur vero che il trattamento nuovo è uguale al placebo, però, entrambi sono diversi dal trattamento efficace disponibile e quindi il principio dell’equipoise è violato, vi è una chiara asimmetria nel disegno sperimentale. la conclusione dovrebbe essere che, in queste condizioni, il trial non è etico, quindi non si può fare. In realtà, questa non rappresenta la conclusione del discorso, al contrario, è l’inizio di una polemica violenta ed accesa che ha caratterizzato il mondo della bioetica e dei trialisti per circa quindici anni, che ancora non si è spenta e che si basa su due posizioni antitetiche perché originano da due domini etici differenti: quello dell’etica della pratica medica e quello dell’etica della ricerca clinica. Il primo ha come obiettivo la cura del paziente, il secondo ha come obiettivo produrre conoscenza generalizzabile. Nell’etica della pratica medica tutto ruota intorno al paziente ‘attuale’, cioè al paziente che in ogni momento abbiamo di fronte, mentre nell’etica della ricerca clinica l’obiettivo è dare un beneficio ai pazienti futuri attraverso la produzione di conoscenza generalizzabile. Nella prima, perciò, l’obiettivo è trovare la migliore terapia per il paziente, nella seconda l’obiettivo è trovare il miglior metodo, in quanto soltanto in questo modo si può produrre una conoscenza generalizzabile e, perciò stesso, si compie un’azione di grande contenuto etico. In poche parole, nella prima l’obiettivo è il bene dell’individuo; nella seconda l’obiettivo è il bene della collettività, della società. Questo è un esempio particolare del grande conflitto secolare che esiste fra l’individuo e la società. In pratica, siamo di fronte ad una visione improntata ad un’ etica di tipo kantiano, in cui l’uomo va visto sempre come ‘fine’ e mai come ‘mezzo’, in contrapposizione ad un’etica di ispirazione utilitarista, ‘conseguenzialista’ in cui il fuoco si è spostato dall’individuo e dalla sua azione al prodotto dell’azione e, se quest’ultimo è, come in questo caso, una conoscenza generalizzabile il metodo utilizzato può giustificare in alcuni casi e fino ad un certo punto il mezzo impiegato. Se vi è questa contrapposizione così forte fra due posizioni che apparentemente non sono conciliabili, i filosofi ‘morali’ direbbero che vi è tra di esse una tensione irriducibile, come si fa ad uscire da questo ‘impasse’? Esiste una possibile via d’uscita? Vi sono due possibilità. la prima è di natura scientifica. Se un trial ‘controllato con placebo’ non è etico si cerca di risolvere il problema ricorrendo ad un disegno sperimentale alternativo. Vi è una varietà di disegni sperimentali ed è possibile trovarne uno che si adatta al nostro quesito sperimentale. Ne ricordiamo qualcuno, come, ad esempio, il disegno “add on”. Se esiste una terapia di documentata efficacia, viene data questa terapia a tutti i pazienti. Dopo di che si aggiunge ad un gruppo di pazienti il trattamento nuovo e all’altro gruppo di pazienti viene dato il placebo. In questo modo il problema etico è completamente superato in quanto sono rispettati i principi etici che regolano il trial clinico. Naturalmente, questo tipo di disegno pone dei problemi in quanto il trattamento nuovo viene testato non da solo ma come interazione rispetto ad altri trattamenti. Vi sono patologie che prevedono due, tre, quattro trattamenti di documentata efficacia; in tal caso, è difficile trarre delle conclusioni ben precise sulla vera efficacia del trattamento. Un altro disegno a cui possiamo ricorrere e che viene usato spessissimo è il confronto con controllo ‘attivo’. Il ragionamento alla base è molto semplice. Se esiste già un trattamento di documentata efficacia, per quale motivo si deve ricorrere al trial con placebo? Si può, invece, ragionevolmente utilizzare un disegno di questo tipo: ad un gruppo di pazienti viene dato il farmaco disponibile e ad un altro gruppo di pazienti viene dato il trattamento nuovo. In tal modo, abbiamo la possibilità di capire come il trattamento nuovo si pone nei confronti di quello esistente. Il problema lo possiamo affrontare in due modi differenti: utilizzando un trial di superiorità o, viceversa, utilizzando un trial di non inferiorità. Nel primo caso, vogliamo

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sapere se il trattamento nuovo è superiore a quello esistente; nel secondo caso, vogliamo sapere se il trattamento nuovo è non inferiore al trattamento esistente, a meno di un piccolo margine detto margine di non inferiorità che va sempre precisato a priori poiché, in assenza di questo, non potremmo calcolare neanche il ‘sample size’.Il trial di non inferiorità è valido solo in determinate circostanze. Esso funziona, dà risposte univoche in funzione della sensibilità interna del dispositivo sperimentale. Tutto dipende dall’efficacia del comparatore, del controllo ‘attivo’. Se il controllo attivo è un farmaco non molto o non sempre efficace, allora si possono trarre delle conclusioni ambigue veramente fuorvianti. Questo è un punto cruciale su cui voglio fare un esempio pratico preso dalla letteratura. Mi riferisco a un lavoro pubblicato su JAMA qualche anno fa, condotto negli Stati Uniti su pazienti con depressione maggiore, in una decina di istituti universitari. l’obiettivo era quello di vedere se l’iperico, un prodotto di natura vegetale avesse efficacia nel trattamento della depressione. Gli Autori hanno confrontato l’iperico con la sertralina, un antidepressivo classico di riferimento. I risultati ottenuti furono che non vi è alcuna differenza tra i due. Se questo fosse stato un trial di non inferiorità, avremmo concluso che l’iperico è tanto efficace quanto la sertralina; tuttavia, gli Autori non fidandosi della sertralina, in quanto farmaco poco e non sempre efficace, hanno fatto un trial più complesso, aggiungendo anche un gruppo placebo. I risultati dicono che non vi è alcuna differenza fra i tre gruppi. Quindi, la vera conclusione del trial non sta nel fatto che l’iperico è tanto efficace quanto la sertralina, ma che né l’iperico, né la sertralina sono superiori al placebo, conclusione completamente diversa da quella a cui ci avrebbe portato il trial di non inferiorità.la seconda via d’uscita, a cui accennavo quando dicevo che il trial con placebo crea dei problemi, generando una tensione etica, è una via di uscita di tipo etico, cioè basata su un compromesso. Dinanzi a questa polemica molto accesa tra le due posizioni etiche cui abbiamo fatto riferimento, l’Istituzione non è rimasta con le mani in mano. Sto parlando della ‘World Medical Association’, che è per definizione l’istituzione di riferimento che cura le varie versioni della Dichiarazione di Helsinki. Essa si è interessata moltissimo alla questione, ha introdotto nel 2000 la prima grossa modifica dell’articolo che riguardava il placebo, nel 2001 ha introdotto la nota di chiarimento all’art. 29, nel 2004 l’ha modificata ulteriormente. finalmente nel 2008, nell’ultima versione vi è un articolo molto chiaro sul placebo, che recita: “l’uso del placebo è accettabile”, (da notare l’uso di questo aggettivo che già in sé traduce tutto il senso compromissorio della soluzione), “quando si verificano due condizioni”, (queste due condizioni sono legate da una ‘e’, che nella versione precedente era una ‘o’, e questo cambia completamente il rigore e il carattere ‘stringente’ della raccomandazione). le due condizioni sono “quando per stringenti ragioni scientifiche e metodologiche il placebo è necessario per determinare l’efficacia di un nuovo trattamento”. In altri termini, quando noi abbiamo tentato di risolvere il problema ricorrendo ad un disegno alternativo, ma non ci siamo riusciti perché nessuno dei disegni alternativi ci dava sufficienti garanzie di scientificità, garanzie di arrivare ad un risultato univoco. Se si verifica questa condizione e “i pazienti che ricevono il placebo non vanno incontro a rischio di danno grave o irreversibile, allora il placebo è accettabile”. È risolto completamente il problema etico? Certamente no, visto che, anche in questo caso, vi è una violazione dell’equipoise e della terapia- standard, cioè dei due principi fondamentali. Tuttavia, questa violazione è tollerata, poiché questa è una soluzione che negozia tra le due posizioni etiche in quanto non esclude l’uso del placebo, e quindi risponde alle esigenze dell’etica della ricerca clinica di produrre conoscenza generalizzabile; inoltre, risponde

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anche all’etica della pratica medica perché salvaguarda l’interesse del paziente in quanto non lo espone al rischio di danno grave o irreversibile. In fondo si chiede un piccolo sacrificio al paziente, nella speranza di produrre un grosso vantaggio per la comunità scientifica e per la società.Come è stata accolta dalla Comunità Scientifica, dalle Istituzioni, dalla Autorità politica questa nuova versione della Dichiarazione di Helsinki? Con entusiasmo. Voglio fare qualche esempio. È molto importante la posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che fa due riferimenti molto significativi: innanzi tutto, afferma che l’attività della Commissione Etica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è guidata dai principi della Dichiarazione di Helsinki, ultima versione Seul 2008. E continua poi dicendo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica i risultati di ricerche cliniche che sono state condotte in accordo con la Dichiarazione di Helsinki. Ricordo anche che il Vancouver Document, che è l’insieme delle case editrici importanti che pubblicano i risultati di ricerche scientifiche dice la stessa cosa: non si può pubblicare un lavoro scientifico che costituisce il risultato di un trial se non si dice esplicitamente che il trial è stato condotto secondo le indicazioni etiche della Dichiarazione di Helsinki. Un’altra posizione solidale con la Dichiarazione di Helsinki è quella dell’“armonizzazione”. la Direttiva E10 che è recepita dall’Emea dice una cosa molto simile: “se non vi è rischio di grave danno l’uso del placebo è considerato etico, anche se i pazienti possono andare incontro a qualche disconfort”. Assolutamente solidale con la Dichiarazione di Helsinki è la posizione del Consiglio delle Scienze Mediche, che già diversi anni fa, con la Direttiva 11 aveva detto più o meno le stesse cose che poi sono state incorporate nella Dichiarazione di Helsinki.In questo coro di voci solidali, non poteva mancare la voce dissenziente e purtroppo è una voce molto importante, molto potente perché è la voce degli Stati Uniti, la voce dell’fDA. Essa, nell’aprile dell’anno scorso ha emesso una Direttiva, che poi è andata in vigore nell’ottobre dl 2008, con la quale si dissocia dalla Dichiarazione di Helsinki, non la riconosce più come il documento etico di riferimento e dice che i trials che si svolgono al di fuori degli Stati Uniti si devono svolgere in accordo con le regole della GCP. Questa è una decisione a dir poco sconcertante, illogica ed incoerente per un motivo molto semplice: non si può far riferimento per gli aspetti etici alla GCP perché è un documento operativo fatto di norme procedurali, in cui in nessun punto vi è un riferimento all’etica del placebo. Inoltre, gli Stati Uniti fanno parte dell’“armonizzazione” perciò, come si può accettare il documento operativo dell’“armonizzazione” e non accettare quello che sta a monte, cioè la linea guida principale che la stessa “armonizzazione” aveva emesso pochi anni prima, anche se non si vuole accettare la Dichiarazione di Helsinki?Questa decisione dell’fDA ha suscitato delle grosse perplessità. Voglio soltanto farvi vedere qualche reazione di fonti molto autorevoli, come ad esempio “Nature” che, come sapete non è una rivista che si interessa tutti i giorni ai problemi clinici. lo fa davvero in circostanze eccezionali, e questa è stata considerata tale. Nel 2008, “Nature” pubblica un editoriale di 2 pagine il cui titolo è l’“fDA dovrebbe rimeditare il fatto di aver rigettato la Dichiarazione di Helsinki”. E nel 2009, molto recentemente, su un altro importante editoriale, il ‘British Medical Journal’compare un articolo il cui titolo è ancora più caustico e in cui ci si domanda se l’fDA ha veramente l’autorità di bocciare la Dichiarazione di Helsinki.Questa nuova regola sembra avere più a che fare con l’imperialismo che con l’“armonizzazione” e, difatti, si tratta di una dimostrazione di forza muscolare, di imperialismo etico in quanto in questo modo l’fDA può essere libera di condurre come ha fatto negli ultimi quindici anni

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i trials controllati con placebo in aree di Paesi in ‘via di sviluppo’ dove mancano le risorse sufficienti finanziarie per procurarsi il farmaco disponibile, commettendo un’operazione che risponde al principio del doppio standard etico, criticato in tutto il mondo. Praticamente, si determina la condizione in cui dei Paesi deboli vengono sottoposti ad uno sfruttamento, piuttosto che essere trattati come un soggetto vulnerabile che dovrebbe essere invece circondato da attenzione e maggiore protezione.

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L’ANALISI DEGLI EvENTI AvvERSI

Gianfranco Di RenzoOrdinario di Farmacologia, Università degli Studi di Napoli Federico II

Dopo la dotta, brillante e interessantissima relazione del professor Saccà, vorrei mostrare qualche diapositiva distensiva, e dare qualche cenno storico.la nozione che i farmaci, oltre che bene potessero anche far male, non è stata certamente scoperta da noi. Già Omero nell’Odissea cita l’Egizia, come la terra che “là produce moltissimi farmaci, molto buoni e misti con i quali molti mortali”. lo stesso Ippocrate insegnava ai suoi discepoli che la prima cosa è cercare di non nuocere ai propri pazienti. la Scuola Medica Salernitana aveva individuato il concetto non solo di farmaco nocivo, ma anche non utile e necessario. Chi somministrava farmaci nocivi e non utili veniva punito; anche il fondatore della nostra università puniva, addirittura con la morte, la somministrazione dei farmaci nocivi. Terminato questo breve excursus storico, rientriamo sull’argomento. Per quanto riguarda il protocollo, di cui già si è occupato il dottor Caruso, c’è una parte riservata alla sicurezza della sperimentazione, in cui c’è una frase che è un richiamo alla responsabilità dei ricercatori, in quanto i ricercatori sono responsabili della sicurezza dei soggetti che partecipano allo studio e i soggetti dovrebbero essere seguiti fino a quando l’‘evento avverso’ non sia risolto o spiegato. Sono certo che tutti voi sappiate cosa significa ‘evento avverso’, ma lo chiarisco per comodità. S’intende per ‘evento avverso’ un fenomeno clinico spiacevole o un peggioramento di una condizione clinica preesistente che si presenta durante un trattamento con un farmaco ma che non abbia necessariamente un rapporto di causalità o di relazione con il trattamento stesso. Ci sono diversi gradi di gravità; viene definito come ‘evento avverso’ grave qualunque evento medico spiacevole che, per qualunque dose, metta in pericolo la vita, richieda l’ospedalizzazione o la prolunghi, determini una persistente o significativa disabilità o incapacità, provochi la morte, provochi malformazioni fetali. Questo è quello che dice la normativa. Ovviamente, lo sperimentatore può decidere di assegnare l’attributo di grave a qualunque altro evento medico spiacevole che lui ritenga (ad esempio, il broncospasmo o le convulsioni). Cosa dobbiamo fare in presenza di un ‘evento avverso’? la normativa, (Decreto del 21 dicembre del 2007), dice: “il promotore deve assicurare che tutte le informazioni relative alle reazioni avverse gravi e inattese e tutte le altre problematiche che ci possono essere, vengano riportate al Comitato Etico”. Esso ha un ruolo centro nella raccolta delle informazione, dunque. È comparsa la dizione ‘reazione avversa’. Cos’è? Essa è una risposta ad un farmaco che sia nocivo e non intenzionale e che avvenga alle dosi normalmente usate nell’uomo, inaspettata quanto inattesa. Esiste una definizione di ADR simile, che si applica in corso di sperimentazione clinica. la fonte è la CMPC del 1995, in cui si dice che ‘si considerano reazioni avverse tutte le risposte nocive e non intenzionali ad un prodotto medicinale in corso di sperimentazione’. Questa frase, ‘risposta a un prodotto medicinale’, sta a significare che una relazione causale tra un prodotto medicinale e un evento avverso rappresenta una ragionevole possibilità. Come si fa per stabilire questo nesso di causalità tra l’insorgenza di un ‘evento avverso’ e la somministrazione di un farmaco in corso di sperimentazione? le tecniche sono numerose; il ‘Council for International Organization for Medicinal Sciences’, (CIOMS), del 2005, afferma che c’è bisogno che i metodi per la valutazione del nesso di causalità usati durante la fase post marketing, siano adattati alla fase pre marketing. Difatti, esistono numerose tecniche per

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quanto riguarda l’analisi delle segnalazioni nella fase post marketing, che sono oggetto della farmaco- vigilanza. Ne vedete qui elencate solo alcune. le più importanti sono quelle del World trade Organization (WTO) e l’algoritmo di Naranjo.Per ricordarci di cosa si stratta, l’O.M.S ha determinato una scala di probabilità secondo cui le ‘reazioni avverse’ vengono definite, sulla base della causalità. Ad esempio il nesso di causalità è considerato certo quando un evento clinico, incluse le anomalie dei test di laboratorio, si verifica in una correlazione temporale plausibile con la somministrazione del farmaco, nel nostro caso, del prodotto in corso di sperimentazione e non può essere spiegato da malattie concomitanti o da altri farmaci o sostanze chimiche. Già osservato deve migliorare con la sospensione e ricomparire in seguito alla ri-somministrazione. Dicevamo che l’OMS ha fatto una scala di probabilità, certa, probabile, possibile, improbabile, In alcuni casi le informazioni possono anche non essere valutabili. Il nesso di causalità si analizza attraverso gli algoritmi. l’algoritmo, etimologicamente, deriva dal nome di un matematico arabo del IX secolo che lo inventò. Il più utilizzato per analizzare il nesso di causalità è quello, come abbiamo già detto, di Naranjo, che consiste in una serie di domande a cui viene data risposta con relativo punteggio. Ad esempio, ci sono rapporti precedenti su questa reazione? Se la risposta è affermativa, (si), allora vale 1; se la risposta è negativa, (no,) vale 0; se la risposta è incerta, (“non so”), 0 e cosi via. le domande sono in tutto dieci. Dopo aver assegnato il punteggio, l’interpretazione può essere dubbia in quanto la reazione può essere connessa alla somministrazione del farmaco in maniera possibile, in maniera probabile o certa. Questo non è l’unico algoritmo, ve ne sono anche altri, come per esempio, quello di Hutchinson e quello di Jones ed altri ancora. Ma ritorniamo nell’ambito della sperimentazione clinica. Per lo studio del nesso di causalità il CIOMS nel 2005 consigliava di dare risposte molto semplici senza ricorrere alla scala di probabilità (certa, incerta e così via). Piuttosto,si deve dare un messaggio più chiaro. l’‘evento avverso’ è correlato o non è correlato alla somministrazione del farmaco?Esistono una serie di criteri che guidano lo sperimentatore nell’analisi del nesso di causalità, che sono poi quelle già visti nella definizione dell’OMS: deve esistere una relazione temporale plausibile, la reazione deve scomparire alla sospensione, non ci devono essere fattori di rischio concomitanti, la dose del farmaco in corso di sperimentazione e la durata del trattamento stesso devono essere plausibili con l’insorgenza dell’‘evento avverso’, non ci devono essere trattamenti concomitanti che possono spiegare l’‘evento avverso’, insomma non devono esistere spiegazioni alternative. Il CIOMS consiglia pure di inserire una lista delle possibili cause alternative nella ‘form di report’ dell’‘evento avverso’.Se invece le evidenze derivano da casi multipli, i criteri per stabilire il nesso di causalità sono differenti: la presenza di una maggiore incidenza rispetto al placebo o al farmaco di confronto, una stretta correlazione dose-effetto, una maggiore incidenza di abbandono o evento specifico rispetto al confronto, nel senso che inizia prima e ha una maggiore gravità rispetto al farmaco di confronto e la correlazione temporale è piuttosto stretta. Ovviamente, se esistono già dei dati che appartengono al prodotto di sperimentazione o alla classe di appartenenza, questo aiuta a stabilire il nesso di causalità. Una volta che si sono raccolte le informazioni sulla sicurezza, nel corso della sperimentazione clinica, si deve passare alla famosa analisi ‘rischio-beneficio’. Cito testualmente una frase che si trova in un ‘report’ del CIOMS del 1998 che dice: “è un aspetto frustrante nella valutazione del rischio che non ci sia nessun algoritmo definito e comprovato che combini i rischi e i benefici in maniera tale da consentire di arrivare ad una chiara conclusione”. Piuttosto pessimistica come asserzione; in realtà esistono diverse metodologie, le principali

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sono state elencate nella fonte dell’Emea. Quelle più utilizzate sono il rapporto NNT/NNH, il principio dei tre, il turbo model e il Multicriteria Decision analisys. Il primo è costituito dal numero di soggetti che è necessario trattare per ottenere un beneficio in un paziente, invece l’NNH è costituito dal numero di soggetti trattati per osservare la comparsa di un evento avverso correlato allo studio. Questo rapporto è di facile utilizzo, ma non comprende il giudizio clinico che invece è indispensabile e poi ha un altro svantaggio, che dipende dall’incidenza spontanea della variabile che si osserva in una determinata situazione per cui i risultati sono applicabili solo nelle stesse condizioni di quelli esistenti, dove siano stati raccolti i dati. Altro parametro è la likelihood of being helped or harmed, di facile applicazione. È una moltiplicazione tra l’inverso dell’NNT e l’NNH, in seguito alla quale si ottiene un numero che, se superiore a 1 significherà che il paziente ha più vantaggi che rischi; se inferiore a 1 vorrà invece significare che il bilancio è a favore del rischio. Il principio dei tre è un po’ più complesso: esso si basa sulla valutazione di tre caratteristiche, gravità, durata ed incidenza e si applica ad altre tre caratteristiche che sono la malattia, il miglioramento della malattia e l’‘evento avverso’. Ogni parametro può essere poi valutato come alto, medio, e basso e vi si dà un numero corrispondente. Questo è il grafico in cui si possono riportare i dati. Alla fine si ottiene un numero che corrisponde al rapporto rischio-beneficio.Il turbo model (transparent uniform risk of benefit overwiev), è un metodo ancora più complesso in cui vi è una quantificazione dei fattori di rischio e dei fattori di beneficio. Questi valori si trasferiscono su un diagramma turbo R che rappresenta la somma del rischio associato all’‘evento avverso’ più grave a cui si può dare un valore da 1 a 5, mentre al rischio associato al secondo ‘evento avverso’, si dà un valore da 1 a 2. lo stesso vale per il beneficio. (Vengono mostrati i grafici del rischio attribuibile al primo ‘evento avverso’, il grafico del beneficio attribuibile al primo endpoint). Alla fine i due fattori si combinano e ne risulterà questo fattore T in cui, a seconda del suo valore si otterrà un vantaggio maggiore per il beneficio o per il rischio. Il criterio più completo è costituito dal Multicriteria Decision Analisys, il quale anche se molto complesso mette al riparo da eventuali errori, perché considera una serie di fattori, sia per quanto riguarda il beneficio, per esempio l’efficacia verso il farmaco di confronto, o l’evidenza di efficacia in sottogruppi, o l’efficacia per endpoints importanti non primari e cosi via, sia per quanto riguarda la quantizzazione del rischio. Infatti, dal numero di voci che compaiono in questo diagramma ci possiamo rendere conto della complessità, al tempo stesso della completezza dei parametri che sono utilizzati per la valutazione del rischio secondo questo criterio. Una domanda importante che spesso ci si pone, riguardo la costituzione del file sulla sicurezza è quanto deve essere grande questo file. In ciò ci aiuta una dichiarazione dell’fDA del 2005 che ci dice che un database sulla sicurezza superiore a 1500 pazienti può essere appropriato almeno in cinque condizioni che qui riportiamo.: 1)Nel caso in cui vi sia la preoccupazione che il farmaco potrebbe causare ‘eventi avversi’ anche ad insorgenza tardiva, 2) nel caso in cui vi sia il bisogno di quantizzare la frequenza di comparsa di un ‘evento avverso’ specifico a bassa frequenza, (ovviamente, in questo caso, il campione dovrà essere più elevato); 3) nel caso in cui il beneficio derivante dal prodotto è modesto oppure compare solo in una frazione di pazienti; 4) nel caso in cui il trattamento proposto è per una popolazione in buone condizioni di salute e 5) nel caso in cui esiste un’alternativa efficace al farmaco in esame. Questo si applica, per esempio, alla profilassi con vaccino. Saltando le ultime diapositive per non stancarvi troppo, la mia conclusione è che solo l’uso ponderato di tutte queste tecnologie che abbiamo considerato, accoppiato all’insostituibile buon senso clinico ci può consentire di ottemperare alla regola di Ippocrate ‘primum non nocere’.

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DANNO DA SPERIMENTAZIONE E COPERTURA ASSICURATIvA

Sergio SgambetterraDirettore Generale Sistemi Sanitari Gruppo Fondiaria-SAI, Torino

Inizierò facendo un breve cenno a “Sistemi Sanitari”, una società al 100% del gruppo fondiaria Sai, nata da più di un anno, che, sostanzialmente ha l’incarico di governare -“termine tecnico” che in ambito aziendale si usa abbastanza spesso- qualsiasi evento o processo in ambito sanitario per tutte le compagnie del succitato gruppo.In realtà, governare in un’azienda -che è una società per azioni- significa rispettare un piano industriale che, peraltro, è stato recentemente emanato e, ovviamente, cercare di creare degli utili (in quanto società per azioni), che, in ambito sanitario, è un’operazione davvero difficile. Il mio ruolo perciò è molto impegnativo, poiché cercherò di tradurre l’“assicurese” in “medichese”, e viceversa.la mia relazione parte in salita, in quanto mi trovo costretto, o meglio stimolato, dal collega che ha parlato stamattina, non dico a farvi ricredere della sua affermazione secondo cui le compagnie assicurative non tutelano, ma quanto meno a farvi riflettere sulle difficoltà che una compagnia assicurativa spesso incontra in ambito sanitario. Questa è la piccola maratona che vorrei percorrere con voi, scusandomi anche per alcune slides molto descrittive.Dobbiamo partire da alcuni capisaldi, che sicuramente già conoscete e perciò li passeremo velocemente in rassegna, per arrivare alle problematiche più specificamente assicurative. Cominciamo dalle disposizioni del Codice Civile.In primis vi è la responsabilità ex art. 2050 c.c.Si tratta di una responsabilità presunta, da cui il produttore farmaceutico che fornisce il farmaco si libera solo se prova di aver fatto tutto quanto era possibile per evitare il danno, in base alla letteratura medica conosciuta al momento della consegna del farmaco.Si gioca tutto, dunque, sulla qualità delle informazioni date, sui possibili effetti indesiderati del farmaco e sulla possibilità di eventi inattesi ed imprevedibili in quanto non conosciuti dalla letteratura accreditata.la migliore chance del produttore farmaceutico sta nel dimostrare che si tratta di una “reazione avversa inattesa” e non prevedibile, in base alle conoscenze scientifiche accreditate.la prescrizione è di 5 anni dal momento del fatto (o il maggior periodo previsto per i sinistri più gravi).Se, poi, il produttore farmaceutico gestisce direttamente la sperimentazione valgono anche la RC contrattuale e l’art. 2236 c.c. di cui, generalmente, rispondono gli sperimentatori ossia l’istituzione e/o il medico sperimentatore, con qualche distinguo.l’istituzione risponde: per colpa grave, per ciò che attiene la sperimentazione vera e propria (siamo nel campo della ricerca e quindi nel campo del non conosciuto) per la parte che le compete; per colpa lieve, per tutti gli aspetti organizzativi; per colpa lieve, per la carenza di consenso informato;ex art 1228 c.c. per colpa lieve, diretta, per tutti i fatti dei suoi collaboratori.Il medico sperimentatore risponde: per colpa grave, per fatti attinenti la ricerca in quanto tale; per colpa lieve, per errori organizzativi; per colpa lieve, se ha presunto di essere all’altezza di un lavoro che andava al di là delle sue competenze (art. 3.1. e: un medico o un odontoiatra qualificato ai fini delle sperimentazioni); per dolo (almeno in teoria) per carenza di consenso informato.

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Ricadono nell’ipotesi dell’art. 2236 c.c. anche il promotore-finanziatore ed il monitor.Per promotore della sperimentazione, si intende, ai sensi di legge “una persona, società, istituzione oppure un organismo che si assume la responsabilità di avviare, gestire e/o finanziare una sperimentazione clinica”.Il contratto fra paziente e sperimentatore, di norma, viene concluso fra queste due figure.Prevalentemente, quindi, la RC dello sponsor ha natura extra-contrattuale, ex art. 2043 c.c., ma ciò non esclude casi di possibile responsabilità contrattuale, nel caso di sua gestione diretta di ogni aspetto.Il monitor, invece, nei confronti del paziente ha, in linea di principio, una responsabilità extra-contrattuale, mentre nei confronti del suo mandante, lo sponsor, ne ha una di carattere contrattuale normale, che lo espone anche in caso di colpa lieve. Si giunge, così, alla parte della relazione che riguarda più specificamente il Comitato Etico che come organo di vigilanza indipendente ha una responsabilità di carattere extracontrattuale nei confronti del paziente per: carenze nel consenso informato; omessa vigilanza nello svolgimento della sperimentazione; autorizzazione di un protocollo non rispondente alle linee guida; valutazione non corretta dell’adeguatezza delle strutture, delle coperture assicurative, delle modalità di arruolamento dei pazienti e dell’idoneità degli sperimentatori.Da rilevare che v’è una preoccupante tendenza dei magistrati a gestire i casi di sperimentazione clinica nell’ambito della “normale” ottica di responsabilità medica, senza valorizzare gli aspetti peculiari della sperimentazione.Infine non possiamo, nella nostra analisi, non partire da riferimenti legislativi internazionali, primo tra tutti, e faccio onore al dott. Riss che ieri ne aveva già parlato, la Dichiarazione di Helsinki. Essa è un caposaldo cui noi tutti facciamo riferimento in questo tipo di attività. Ne sottolineiamo alcuni punti: “la salute del mio paziente sarà la mia prima considerazione”, affermazione che potrebbe sembrare addirittura ovvia ma che noi medici dobbiamo sempre ricordare; e, ancora, “un medico dovrebbe agire nel migliore interesse del suo paziente quando provvede alla sua assistenza”. Direi che sono due affermazioni molto pesanti che non possono essere assolutamente trascurate nella nostra professione.Quando la Dichiarazione di Helsinki parla di ricerca medica, notiamo come il benessere del singolo soggetto dovrebbe avere la precedenza su tutti gli altri interessi.Questo mi sembra costituisca un richiamo molto forte, al ricordo che qualsiasi cosa facciamo comporta dei rischi (cosa abbastanza normale nella vita; chi non fa, al contrario, di questi rischi non ne corre).Infine “I medici devono prendere in considerazione i problemi di carattere etico, giuridico e regolamentare, le norme e gli standard per le attività di ricerca che coinvolgono soggetti umani nei propri paesi, come pure le norme internazionali applicabili”.Vi sono, infatti, altre direttive in ambito europeo che mi sono limitato ad enunciare in quanto oggetto specifico di altre relazioni.Da parte mia, devo tuttavia porre l’accento sugli artt. 3, 4, 5 e 6 della Direttiva 2001/20 dell’aprile ’01 che fanno riferimento alle disposizioni in materia assicurativa e all’indennità, al discorso della sperimentazione clinica sui minori piuttosto che sugli adulti e capaci ed infine al Comitato Etico che sicuramente ha l’obbligo di verificare le disposizioni previste dalla sperimentazione in materia di risarcimento ed indennizzo.Per quanto concerne, invece, i riferimenti legislativi a carattere nazionale, nel nostro Paese abbiamo una ricca serie di emanazioni e di Decreti da parte dei diversi governi che si sono succeduti nel tempo.

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A parte la prima emanazione del 1990, risaliamo, in quanto pilastro della nostra attività, al ’92 alle norme di “buona pratica clinica”, da cui, sempre per richiamarvi ad aspetti che in ambito assicurativo ci vedono coinvolti, non si può non far cenno alle condizioni del risarcimento-trattamento, alle relative procedure e anche all’adeguato risarcimento.Un importante D.M. cui deve farsi riferimento risale al 18 marzo del ’98.Esso sostanzialmente prospetta le linee-guida di riferimento all’istituzione e al funzionamento dei Comitati Etici, argomento che, in questa sede di addetti ai lavori, mi sembra conosciate benissimo. Tuttavia, non posso non sottolineare la garanzia di una nuova idonea copertura assicurativa dei soggetti in sperimentazione.In questo caso, il Comitato valuta la congruità di un eventuale rimborso. Questo è un passaggio che compare per la prima volta nei vari decreti che si sono succeduti, e che verrà poi ribadito nei decreti più recenti. Vi sono poi tutta una serie di successivi decreti e circolari fino ad arrivare al 2001 con gli accertamenti ispettivi ed infine al 2003, cioè al D.M. n. 2011 recante titolo “Applicazione delle norme della buona pratica clinica nell’esecuzione della sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano” su cui voglio richiamare subito la vostra attenzione.Qui, si riprende per l’ennesima volta il discorso della copertura assicurativa e dei requisiti minimi per le polizze assicurative. Di nuovo, il Comitato Etico deve tenere in particolare considerazione le disposizioni previste in materia di risarcimento e le disposizioni in materia di assicurazione concernenti il risarcimento dei danni nei vari casi cagionati ai soggetti nello svolgimento della sperimentazione. Ricordiamo, senza soffermarci, il decreto del 2004 per giungere al D.M. del 21 dicembre 2007 concernente le “modalità di inoltro della richiesta di autorizzazione all’Autorità competente, per la comunicazione di emendamenti sostanziali e la dichiarazione di conclusione della sperimentazione clinica e per la richiesta di parere al comitato etico”.Da notare che all’art. 6 viene stabilito che il Comitato deve ricevere copia della documentazione attestante la copertura assicurativa e il relativo risarcimento dei danni cagionati ai soggetti. Soprassedendo sulle altre disposizioni, credo che deve esser dato sicuramente rilievo al recentissimo D.M. risalente al 14 luglio scorso.Analizziamo alcuni passaggi che riguardano la materia assicurativa. Nell’art. 1 viene stabilito che “la polizza deve garantire il risarcimento dei danni cagionati ai soggetti dell’attività di sperimentazione, per l’intero periodo stesso della sperimentazione, dello sperimentatore e del promotore senza esclusione di danni involontariamente causati in conseguenza di un fatto accidentale imputabile a negligenza, imprudenza, imperizia, purché si siano manifestati entro il periodo (indicato poi nel comma successivo), che va dai ventiquattro ai trentasei mesi. Nell’art. 2, immediatamente successivo, viene specificato l’oggetto della copertura assicurativa.Questo articolo oltre a definirne i termini precisa anche i massimali. Non vengono previste franchigie e gli importi dei predetti massimali devono essere soggetti a revisione ogni tre anni. Questa affermazione che, per i non addetti ai lavori può essere irrilevante, per una compagnia assicurativa riveste particolare importanza. Sempre nello stesso D.M., nell’art. 3 si cita che “i promotori hanno l’obbligo di estendere la copertura assicurativa prevista per l’attività assistenziale o di munirsi di una specifica copertura assicurativa per la responsabilità civile”.

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Questi obblighi non si applicano, tuttavia, per specifica indicazione dell’art. 4, alle sperimentazioni non interventistiche, cioè a quegli studi osservazionali di cui si parlava stamattina, e su cui per vero varrebbe la pena un miglior monitoraggio. Nell’art. 5 si stabilisce, infine, che i risultati delle sperimentazioni non vengono presi in considerazione se questi requisiti non vengono rispettati, e sono nulli i pareri favorevoli dei C.E. espressi in difformità ai requisiti di cui al D.M. in questione.Orbene, il D.M. merita una serie di considerazioni concernenti il suo impatto assicurativo.A seguito dell’adeguamento dell’Italia ai criteri già operativi a livello internazionale vanno, infatti, sottolineati i seguenti aspetti:- si chiede un massimale dedicato per protocollo, documentato con un apposito certificato di polizza;- si sono fissati dei valori da assicurare per protocollo corrispondenti alla media internazionale, fissandoli come valori minimi;- si è data possibilità di disdetta alla copertura assicurativa della sperimentazione, che, però, può andare avanti solo se la copertura viene rinnovata, anche se presso un altro assicuratore;- si sono fissati dei valori di “postuma” sostanzialmente analoghi a quelli della migliore prassi internazionale, ma anche qui tali valori sono indicati come minimi.Per quanto riguarda i limiti temporali e di indennizzo, si è solo parzialmente tenuto conto di obbligazioni civilistiche soggette a termini prescrizionali, identici a quelli propri della RC da sperimentazione e di possibili risarcimenti per somme “illimitate”.Vi sono dei campi in cui il danno “eccedente” i limiti di polizza grava comunque sull’Assicurato.Il problema, affrontato fin dall’ottobre 2003, ha trovato la soluzione fissando i valori indicati come valori minimi, ma “liberando” il Comitato Etico da responsabilità una volta che tali valori minimi siano stati rispettati e sia stato informato adeguatamente il paziente sui limiti della copertura assicurativa e sul fatto che il danno “eccedente” fa carico a chi promuove e svolge la sperimentazione.Per gli assicuratori si registrano una serie di cambiamenti. In luogo della copertura offerta nell’ambito della polizza RC prodotti, spesso escludenti la RC dei medici sperimentatori e comunque senza postuma, dovranno: dare copertura specifica ad ogni protocollo con un massimale dedicato; dare una postuma nei termini previsti dal decreto, a seconda della tipologia della sperimentazione; dare copertura assicurativa alla Responsabilità civile di tutti i soggetti che sviluppano la sperimentazione, coprendone anche la colpa grave.Per gli assicuratori specializzati si assiste ad ulteriori cambiamenti: diversi maggiori termini minimi di postuma previsti per alcuni tipi di sperimentazione; le postume più lunghe pongono “solo” un problema di valutazione del premio, più che di possibilità di copertura: è certo, però, che i premi per le polizze con postume decennali, che, fra l’altro, interessano sperimentazioni particolarmente delicate, saranno più elevati. Infine vi sono una serie di cambiamenti per le Strutture Sanitarie: le sperimentazioni no profit da loro sviluppate debbono essere assicurate nei termini fissati dal decreto; tale copertura può essere sottoscritta anche all’interno della copertura di RC generale dell’Ospedale, soluzione che al momento sembra impraticabile, per cui anche gli Enti Sanitari dovranno ricorrere alle polizze per protocollo; resta aperto il problema della copertura della colpa grave, che, per legge, non può essere a carico dell’Ente pubblico, ma deve prevedere un contributo a carico del dipendente (medico o paramedico). Infine, e mi avvio a terminare la mia relazione, dobbiamo affrontare il tema della

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sperimentazione clinica in ambito assicurativo.Il rischio della sperimentazione è sempre escluso dalle coperture di RC, sia quando inerente l’attività di produzione dei farmaci, sia ove relative all’attività professionale in ambito sanitario, ed il disposto contrattuale prevede al riguardo un apposita “esclusione” che recita come segue:“sono esclusi i danni […] direttamente derivanti da attività di sperimentazione clinica, salvo quanto regolamentato con apposita clausola”.Si rinvia tutto, quindi, ad una clausola specifica contrattuale che essendo un contratto, appunto, va naturalmente condivisa tra le parti. la copertura dei rischi collegati o inerenti ad attività di sperimentazione, deve quindi essere oggetto di specifica e dedicata pattuizione contrattuale, che definisce e delimita l’ambito della copertura all’interno di un impianto normativo di volta in volta studiato e messo a punto in base alle caratteristiche evidenziate dalle sperimentazioni per le quali viene richiesta la copertura.Vi ho poi riportato una definizione di sperimentazione clinica in quasi “assicurese”, ma direi che può essere interpretata anche dal “medichese”, in quanto tutto sommato, penso che possiamo condividerla. la definizione di “Sperimentazione Clinica” messa a punto in ambito assicurativo è, infatti, la seguente “ogni studio sistematico sull’uomo, sia paziente sia volontario sano, finalizzato a scoprire o verificare gli effetti clinici, farmacologici e/o altri effetti farmacodinamici di uno o più medicinali sperimentali e/o identificare ogni reazione avversa al/i medicinale/i in esame, e/o a studiarne l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione al fine di accertarne l’efficacia e la sicurezza. Questa definizione vale per le sperimentazioni cliniche effettuate in un unico centro o in più centri, solo in Italia o anche in altri Stati membri dell’Unione Europea”. Per ciò che concerne la sperimentazione riferita al prodotto farmaceutico, ci sono responsabilità sicuramente collegate al produttore della sostanza.In questo caso rientriamo nell’ambito della responsabilità del produttore, e la soluzione assicurativa configura una integrazione della copertura RCP, tramite apposita estensione al contratto, nella quale viene disciplinato l’oggetto dell’assicurazione, la previsione del regime temporale nella formulazione “claims made”, senza retroattività né ultrattività, ed altri aspetti normativi ed economici.la copertura di tale attività è di norma sempre “mirata” alle singole sperimentazioni, delle quali è prevista l’elencazione, con evidenza delle singole tipologie e caratteristiche, la tempistica di inizio e termine, e l’evidenza del numero dei soggetti coinvolti, elementi tutti che vengono contrattualizzati nella polizza.In ogni caso è sempre previsto un sottolimite di massimale “in aggregate” per annualità, non reintegrabile, il cui livello è normalmente contenuto entro valori limitati (€ 500.000/1.000.000), un premio specifico per ogni sperimentazione, e la presenza di una franchigia dedicata alla garanzia. Nel caso di realizzazione della sperimentazione presso le strutture sanitarie, la copertura della attività di sperimentazione viene prestata all’interno della polizza di RC Generale e ne segue il regime temporale (claims made senza pregressa e senza postuma).la copertura di tale attività non è in questo caso “mirata” ad un particolare protocollo, ma ha valenza generale per ogni tipo di sperimentazione purché realizzata all’interno della struttura. Di norma viene previsto un sottomassimale più elevato rispetto al precedente (€ 1.500.000), ulteriormente limitato per singolo paziente sottoposto alla sperimentazione, e l’operatività è vincolata al rispetto dei criteri previsti dalla normativa in essere.

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Infine, a conclusione della mia relazione corre l’obbligo di riportarvi alcune delle più significative evidenze facenti parte del contratto RCT, con estensione al rischio della sperimentazione.In relazione all’oggetto dell’assicurazione la Società si obbliga a tenere indenne lo Sperimentatore, in seguito definito Assicurato, di quanto questi sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento (capitali, interessi e spese) per danni involontariamente cagionati ai soggetti sottoposti alla sperimentazione per morte e per lesioni personali verificatisi in relazione alla direzione e/o allo svolgimento pratico dell’attività di sperimentazione clinica per conto dello Sponsor.la garanzia si intende estesa a tutti i soggetti che, per conto dello Sperimentatore e alle sue dirette dipendenze, partecipano allo svolgimento pratico dell’attività di sperimentazione purché dipendenti dello stesso.Vi sono, tuttavia, una serie di danni esclusi dalla garanzia. la polizza, ad es., può non comprende i danni:a) che derivino dalla violazione volontaria da parte dell’Assicurato di norme, leggi, regolamenti o disposizioni tecniche;b) subiti dai soggetti della sperimentazione, qualora questa non sia condotta secondo le regole previste dal Decreto del Ministro della Sanità del 15 luglio 1997 sul recepimento delle linee guida dell’UE di buona pratica clinica per l’esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali (assenza delle necessarie notifiche, del parere favorevole dei comitati etici, del necessario consenso informato per i soggetti, mancato rispetto del protocollo da parte degli sperimentatori.) e successive modifiche, o da normative interne o comunitarie regolanti la specifica materiac) a soggetti affetti da malattie e sottoposti a sperimentazione di un medicinale contro tale malattia quando tali danni - siano la conseguenza di effetti portati a conoscenza dei suddetti soggetti;- non oltrepassino la misura di tollerabilità secondo le conoscenze tecniche della medicina e comunicata agli stessi soggetti;d) all’integrità fisica dei soggetti sottoposti a sperimentazione e i peggioramenti del loro stato di salute già compromesso, che sarebbero comparsi anche se detti soggetti non avessero preso parte alla sperimentazione;e) al patrimonio genetico;f) all’integrità fisica dei soggetti sottoposti a sperimentazione quando tali danni si siano manifestati qualora detti soggetti non abbiano seguito intenzionalmente le istruzioni delle persone incaricate della sperimentazione;g) occasionati da deposito, preparazione, conservazione, importazione o cessione di sangue umano o di prodotti ematici e i danni derivanti da qualsiasi sperimentazione che comporti prodotti o derivati ematici;h) che siano la conseguenza dell’inefficienza o dell’inefficacia della sperimentazione o del mancato conseguimento degli obiettivi della stessa;i) derivanti dalla presenza o generazione di campi elettromagnetici, da amianto, dall’uso, produzione o diffusione di organismi geneticamente modificati.Inoltre, l’Assicurazione non comprende le sperimentazioni che comportino tecniche chirurgiche innovative.Da notare che generalmente l’assicurazione viene prestata fino a concorrenza di un massimo risarcimento di € 1.500.000 per l’intera durata della sperimentazione, con il limite di € (da determinare) per ogni paziente sottoposto alla sperimentazione.

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la Società assicurativa non risponderà, comunque, oltre il limite massimo di € (da determinare), per l’intero periodo annuo di copertura, indipendentemente dal numero di sperimentazioni assicurate e di Assicurati.Il massimale indicato resta per ogni effetto unico, anche nel caso di corresponsabilità di più Assicurati fra di loro. Quali possono essere le riflessioni che nascono dalla lettura di una polizza tipo?Una compagnia assicurativa emana una serie di condizioni normative. In primo luogo, circoscrive il perimetro oggetto dell’assicurazione, in quanto in ambito civilistico la prima cosa che si valuta è proprio questo, su cosa ci si è messi d’accordo per sottoscrivere la polizza. In secondo luogo esplicita ciò che non viene ricompreso nella polizza. I termini in cui la compagnia si esprime mi sembrano molto chiari, naturalmente parlo per la mia compagnia ma, in genere, tutte operano con schemi simili. Vi è chiaro che questa è la situazione in cui ad oggi si muove la gran parte delle compagnie assicurative.Ho specificato “ad oggi” in quanto tutti i contratti assicurativi possono essere sicuramente migliorati, integrati, rivisti anche alla luce delle esperienze e delle informazioni che ci vengono comunicate di continuo.A questo punto non posso far altro che ringraziarvi per la paziente attenzione.

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SESSIONE PARAllElAComunicazioni sui temi del Convegno

Discussione itinerante dei Poster

Aula Carlo Romano

3 DICEMBRE

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COMUNICAZIONI SUI TEMI DEl CONVEGNO

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RIFLESSIONI SULLA SPERIMENTAZIONE CLINICA IN OMEOPATIA

Giovanna Ricci*, Nunzia Cannovo*** Dipartimento di Discipline Giuridiche Sostanziali e Procedurali - Sezione di Medicina Legale - Facoltà di Giurisprudenza -Università degli Studi di Camerino. Italy.** Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale - Sezione di Medicina Legale - Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università degli Studi Federico II di Napoli. Italy.

Definizione di Omeopatial’Omeopatia (dal greco: omoios, simile e pathos, sofferenza, malattia) è tra le più dibattute terapie non convenzionali, basata sulla somministrazione di sostanze di origine minerale, vegetale o animale in microdosi, definite “rimedi”, che vengono preparati con procedimenti di diluizione e dinamizzazione, detti omeopatici.I concetti base1 sono l’asserzione ippocratica “similia similibus curant”, che parte dalla constatazione che ogni sostanza, capace di provocare a dosi ponderali dei sintomi in un soggetto sano può curare gli stessi effetti in un malato, ma in somministrazioni deboli e la “dinamicizzazione”, ovvero il verificarsi di effetti che aumentano con il crescere della potenza attraverso l’utilizzo di dosi infinitesimali di principio attivo.l’Omeopatia è, quindi, una “scuola di Medicina e non una modalità terapeutica ad hoc o una tecnica”2. I sostenitori dei rimedi omeopatici elogiano gli innumerevoli vantaggi, sintetizzabili nella bassa tossicità delle dosi, nella stimolazione delle risposte specifiche dell’organismo per il riequilibrio della salute; nella considerazione della totalità ed individualità del paziente trattato.In effetti, l’Omeopatia è una metodica di terapia personalizzata, basata sulla valutazione non solo delle caratteristiche della malattia ma anche, e soprattutto sulla reattività dell’individuo malato. Ne consegue che i rimedi proposti non sono uguali per ogni soggetto, nonostante costoro possano presentare sintomi uguali.Inoltre, la ricerca del rimedio si basa sull’interazione tra medico e paziente, sul dialogo che deve necessariamente nascere per potere definire lo schema posologico degli stessi.

Normativa italianal’art. 1, comma 1, lettera d) del D.lgs. 219/063 definisce omeopatico “ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza, per preparazioni omeopatiche o ceppi omeopatici, secondo un processo di produzione omeopatico descritto dalla farmacopea Europea o, in assenza di tale descrizione, dalle farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità europea; un medicinale omeopatico può contenere più sostanze”.In Italia, allineadosi alle direttive europee4, questi medicinali sono sottoposti alle procedure di registrazione al fine di garantirne una qualità farmaceutica ottimale ed una sicurezza nell’utilizzo, venendo di fatto equiparati ai farmaci convenzionali. Pertanto, un rimedio omeopatico deve seguire necessariamente le fasi sperimentative e quindi quelle autorizzative.

1 Brockow T, Franke A, Resch KL. Is homeopathy more than a placebo? Praxis (Bern 1994). 1998 Dec 3;87(49):1687-94. 2 Dean M. E., The trials of Homeopathy: origins, structure and development. The Journal of alternative and comple-mentary medicine, volume 11, 5, 2005, 871-874.3 Decreto legislativo 24 aprile 2006 n.219 Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE G. U. n.142 del 21 giugno 2006, S.O.n. 153.4 European Directives 2001/83/EC (ex 92/74/EC), 2004/27/EC & 2001/82/EC (ex 92/74/EC), 2004/81/EC.

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Quindi, con l’emanazione del Decreto ministeriale 21 dicembre 20075, anche per i prodotti omeopatici deve essere compilata la Clinical Trial Application form, la quale prevede, espressamente, l’utilizzo di tali Investigational Medical Product al punto D.3.11.10.Secondo il succitato D.lgs. 219/06 “un medicinale omeopatico è soggetto, ai fini dell’immissione in commercio, ad una procedura semplificata di registrazione”, soltanto se esso sia “destinato ad essere somministrato per via orale od esterna; che non rechi specifiche indicazioni terapeutiche sull’etichetta o tra le informazioni di qualunque tipo che si riferiscono al prodotto; che abbia un grado di diluizione tale da garantirne la sicurezza; che in ogni caso il medicinale non contenga più di una parte per diecimila di tintura madre, né più di 1/100 della più piccola dose eventualmente utilizzata nell’allopatia per le sostanze attive la cui presenza in un medicinale allopatico comporta l’obbligo di presentare una ricetta medica” (art. 16). Ai fini della registrazione tali prodotti devono essere sottoposti alle medesime regole6 semplificate, in vigore per tutti gli altri farmaci ad eccezione delle prove di efficacia terapeutica. Specificatamente (art. 17), si prescrive che i dati presentati nel dossier del farmaco siano supportati da un’adeguata bibliografia, nonché siano descritti i metodi di produzione e di controllo.

Omeopatia e sperimentazione clinica la ricerca in Omeopatia segue due grandi filoni:1. lo studio dei rimedi omeopatici attraverso la sperimentazione omeopatica (proving);2. la sperimentazione clinica per dimostrare l’efficacia terapeutica di un rimedio omeopatico (attraverso trials clinici randomizati ed osservazionali).Nel 1789 Hahnemann osservò, sperimentando su sé stesso, che l’estratto della bacca peruviana, chiamato “china”, contenente chinino, era in grado di provocare una febbre intermittente come la malaria. Partendo da questa osservazione, dopo aver analizzato l’effetto su se stesso e su volontari sani, di più di cento sostanze medicinali, che descrisse nei sei volumi della “Materia Medica Pura” del 1830, giunse alla definizione della legge dei simili, considerata, appunto, il fondamento della Medicina omeopatica. le modalità di sperimentazione su volontari sani sono le stesse da 200 anni7. Il medico omeopata effettua una “prova” consistente nel testare il medicinale su un soggetto sano per almeno due giorni consecutivi, e così i sintomi che lo stesso sviluppa sono osservati, accuratamente descritti e catalogati, partendo dalla considerazione che la qualità di ogni manifestazione osservata è più importante della quantità. Il risultato di ciascuna prova o “esperimento puro” deve essere confermato prima da altre prove e successivamente dall’esperienza, poiché i livelli di evidenza clinica sono diversi. Quanto più un medicinale dà sintomi uguali alla patologia, tanto più esso è in grado di curarla.Tradizionalmente erano degli esperti in Omeopatia che effettuavano tali verifiche cliniche, mentre oggi, con l’avvento dei computer, si seguono approcci clinici attraverso un nuovo tipo di analisi statistica.

5 Decreto Ministero della salute “Modalità di inoltro della richiesta di autorizzazione all’autorità competente, per la comunicazione di emendamenti sostanziali e la dichiarazione di conclusione della sperimentazione clinica e per la richiesta di parere al Comitato Etico” G. U. 3 marzo 2008, n.51.6 Le disposizione degli articoli 8, comma 3, 29, comma 1, da 33 a 40, 52, comma 8, lettere a), b) e c), e 141 del D.Lgs. 219/06 si applicano anche ai farmaci omeopatici.7 European Committee for Homeopathy - Liga Medicorum Homeopathica Internationalis. SCIENTIFIC FRAMEWORK OF HOMEOPATHY. Evidence Based Homeopathy, After 63rd LMHI congress - 2008.

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Volendo trovare un paragone con la metodologia sperimentale della Medicina convenzionale, un esperimento puro può essere equiparato alla fase I. le sperimentazioni cliniche sull’efficacia dei rimedi omeopatici sono state introdotte di recente, anche sulla spinta delle normative comunitarie.Questi esperimenti sono standardizzati e realizzati con protocolli disegnati con l’utilizzo di placebo8, destando non poche perplessità nel mondo della Medicina ortodossa.In effetti, un gran numero di ricerche e comunità scientifiche attribuiscono i benefici dell’Omeopatia all’effetto placebo, sebbene molte osservazioni dimostrino il contrario9,10,11,12,13,14, anzi l’”Omeopatia differisce dal placebo in un modo inesplicabile15”, ma riproducibile. Del resto in letteratura è stato dimostrato che i bias16, nella conduzione e nella pubblicazione sono presenti nei trials controllati con placebo sia in Omeopatia che nella Medicina convenzionale, determinando una debole evidenza per gli effetti specifici del farmaco testato. Ciò ha un peso maggiore in Omeopatia, la quale proprio per il suo impianto “filosofico” risente maggiormente del peso di tali bias sulla credibilità e sull’efficacia in ambito scientifico dei suoi rimedi. I trials clinici, controllati, randomizzati (RTC), sono particolarmente importanti per l’Omeopatia17 dal momento che essi possono dimostrare l’efficacia rispetto al placebo. Tuttavia, in generale, considerando la letteratura in merito18, la sperimentazione in Omeopatia presenta diverse problematiche:1.mancano ricerche di preclinica su modello animale;2. mancano studi sul meccanismo d’azione;3. gli effetti che emergono dagli RTC sono difficili da replicare;4. gli RTC sono costosi e poco sovvenzionati;5. i risultati sono operatore-dipendente19;6. mancano strutture idonee a tale tipo di sperimentazioni;7. necessita un campione più ampio e rappresentativo per poter dimostrare l’efficacia di rimedi che presentano una diluizione oltre il limite di Avogado20;In generale, nella gerarchia dell’evidenza, gli RCT, le meta-analisi e le revisioni sistematiche di RCT hanno un elevato valore per poter validare un approccio terapeutico, ciò diversamente

8 Dominici G, Bellavite P, di Stanislao C, Gulia P, Pitari G. Double-blind, placebo-controlled homeopathic pathoge-netic trials: Symptom collection and analysis. Homeopathy. 2006;95:123-130.9 Kleijnen J, Knipschild P, ter Riet G. Clinical trials of homeopathy British Medical Journal1991;302:316-323.10 Boissel JP, Cucherat M, Haugh M, Gauthier E. Critical literature review on the effectiveness of homoeopathy: over-view of data from homoeopathic medicine trials. Homoeopathic Medicine Research Group. Report to the European Commission. Brussels 1996, 195-210.11 Linde Melchart Randomized controlled trials of individualized homeopathy: a state-of-the art review. J. Alter Complement Med 1998;4: 371-88.12 Linde K, Melchart D., Journal of Alternative and Complementary Medicine, 1998 (16).13 Cucherat, M. et. al. Evidence of clinical efficacy of homeopathy. A meta-analysis of clinical trials. Eur J Clin Phar-macol 2000;56: 27-33.14 BalzariniA.,Felisi E.,Martini A.,and De Conno F.,Efficacy of homeopathic treatment of skin reactions during radio-therapy for breast cancer: a randomised, double-blind clinical trial. British Homeopathic Journal (2000)89,8-12.15 Reilly DT, Taylor MA, Beatle N, Campbell JH, McSahrry C, Stevenson RD. Is evidence for homeopathy reproduc-ible? Lancet 1994; 344: 1601-06.16 Egger M., Smith GB, Bias in lacation and selection of studies. BMJ. 1998:316:61-6.17 Lancaster T, Vickers A. Commentary: Larger trials are needed, BMJ vol. 321 19 26 august 2000.18 Van Wassenhoven M.,Priorities and methods for developing the evidence profile of homeopathy, Recommenda-tions of the ECH General Assembly and XVIII Symposium of GIRI. Homeopathy (2005) 94, 107-124.19 Deroukakis M. Selection of potencies by medical and non-medical homeopaths: a survey, Homeopathy (2002) 91, 150-155.20 Op.cit. sub 15 Lancaster

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avviene in Omeopatia, poiché ci troviamo di fronte ad RCT con un basso numero di soggetti arruolati ed a studi di meta-analisi21 su un basso numero di ricerche e con prove estremamente eterogenee22, sicché i risultati non sono generalizzabili.Prendendo in considerazione i livelli crescenti di evidenza per le terapie convenzionali proposti dall’OMS23, secondo Jonas, Kaptchuk e linde24 (2003), solo i rimedi per diarrea infantile, rinite allergica e stagionale rientrano nel primo; il livello II a di evidenza è stato dimostrato per asma, fibrosi, influenza, dolore muscolare, otite media ed infezioni di naso e gola; il livello IIb è stato ottenuto nel trattamento della sindrome ansiosa, dei disordini di iperattività, della sindrome del colon-irritabile, della sindrome premestruale e nella prevenzione della nausea e del vomito durante chemioterapia. Secondo Raschetti25, “il paradigma dei randomized clinical trials è ancora relativamente limitato e strutturato per rispondere, essenzialmente, a quesiti semplici”, mentre “una delle esigenze è quella di investire nella ricerca metodologica per poter identificare modelli di studio adatti ad esplorare le potenzialità di interventi più articolati e complessi” che richiede l’applicazione dei criteri dell’EBM nell’ambito dell’Omeopatia e delle MNC, in generale.In effetti, limitatamente all’Omeopatia, la rispondenza alle domande di efficacia è ottenuta solo tramite trials metodologicamente adeguati.In letteratura, è evidenziato che gli studi osservazionali26, prospettici, controllati, presentano le seguenti caratteristiche:a) permettono risposte sull’efficacia dell’Omeopatia nella pratica;b) permettono il confronto operativo con la Medicina convenzionale od altre medicine;c) possono essere eseguiti da medici operanti sul territorio;d) hanno costi piuttosto limitati (se comparati con gli RCT).

ConclusioniIl fenomeno del ricorso all’Omeopatia è in costante aumento con un picco di utilizzatori negli anni 1999-2000; nel 2005 il 7% della popolazione italiana si curava con tali rimedi, con una fascia di utilizzatori tra i 35-44 anni (13%), di elevata scolarizzazione, con il 71,3% di pazienti che hanno ricevuto sensibili benefici da questi trattamenti.Allo stato attuale, i dati dimostrano una lieve diminuzione, ma l’uso dell’Omeopatia interessa comunque una fascia ampia della popolazione, compresa quella infantile. la consapevolezza che le MNC e l’Omeopatia in particolare sono strumenti di cura di molte persone che ottengono benefici, fa sì che queste esperienze meritino comunque attenzione e rispetto.

21 Sterne JAC, Gavaghan DJ, Egger M. Publication and related bias in meta-analysis: power of statistical tests and prevalence in the literature. J Clin Epidemiol 2000; 53: 1119-29.22 Op. cit. sub. 5.23 Sono stati stabiliti 4 livelli di evidenza: I a) Evidenza ottenuta da studi di meta-analisi effettuata su trials controllati randomizzati; I b) Evidenza ottenuta da almento un trial controllato randomizzato; II a) Evidenza ottenuta da almeno uno studio ben definito controllato senza randomizzazione; II b) Evidenza ottenuta da almeno un altro tipo di studio opportunamente definito, quasi-sperimentale; III) Evidenza ottenuta da studi ben definiti descrittivi non sperimen-tali, come per esempio studi comparativi, studi di correlazione e studi basati su singoli casi IV) Evidenza ottenuta da rapporti o opinioni di comitati esperti e/o dall’esperienza clinica di autorità competenti. “General guidelines for methodologies on research and avaluation of traditional medicine” WHO, Hong Kong SAR 2000.24 Jonas WB, Kaptchuk TJ, Linde K. A critical overview of homeopathy. Ann Intern Med.2003;138:393-9.25 Raschetti R.,La medicina delle evidenze scientifiche e le diverse culture della guarigione, Ann. Ist. Super. Sanità,vol 35, n.4,(1999)p.483-488.26 Linde K, Clausius N, Ramirez G, Melchart D, Eitel F, Hedges LV, Jonas WB. Are the clinical effects of homeopathy placebo effects? A meta-analysis of placebo-controlled trials Lancet 1997. Sep 20;350(9081):834-43.

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Ne consegue che non può essere ignorato il problema dell’evidenza scientifica dei trattamenti omeopatici, non solo perché le normative impongono il ricorso a dimostrazioni sperimentali, ma perché l’evidenza stessa investe problematiche di natura etica, deontologica e giuridica.Sono gli aspetti etici come la libertà di cura e l’autonomia decisionale del paziente che sollevano i maggiori interrogativi.I diritti della persona assistita non possono mai sostanziarsi in pretese incompatibili con la dignità e la professionalità del medico il quale è, eticamente e giuridicamente, garante della salute e non può essere vincolato alla mera esecuzione della volontà del paziente, sebbene si debba rispettare il principio di autonomia e libertà di cura dello stesso.Non sempre il rimedio alternativo avrà effetto benefico, infatti può avvenire che un paziente venga concretamente leso dal ricorso a tali pratiche, per il fatto che l’uso di diagnostiche e di terapie alternative può ritardare inutilmente e a volte, purtroppo, irrimediabilmente il ricorso a più rigorose ed efficaci diagnosi e terapie di carattere scientifico. I membri del CNB nel loro parere “le medicine alternative e il problema del consenso informato”27 insistono nel sottolineare questa evenienza, con la quale ravvisano uno dei più gravi problemi di eticità con cui devono confrontarsi i fautori e i cultori di tali pratiche.Questi sono i casi più numerosi di malpractice per le terapie alternative, dal momento che il ricorso a responsabilità professionale per le stesse è estremamente bassa, e circoscritta all’uso della terapia alternativa rispetto a quella tradizionale.In tali casi, il riconoscimento della responsabilità del medico non sarà di difficile accertamento in sede civile, considerata la dottrina dell’aumento del rischio e della perdita di chance, mentre in sede penale non sarà facile addivenire a un giudizio di colpevolezza quando si tratti di malattie guaribili con trattamenti alternativi solo in una limitata percentuale di casi. Inoltre, sempre per quel che riguarda la responsabilità professionale, si può riscontrare che la consolidata informazione al paziente come presupposto mirante al consenso di ogni atto medico, deve essere presente anche nell’Omeopatia. Poiché queste terapie si caratterizzano per una elevata risposta soggettiva in cui sovente è difficile a priori valutare i rischi ed i benefici e dove gli eventi avversi vengono ritenuti pressoché inesistenti o non valutabili anticipatamente, sarà difficile addivenire ad un modello di consenso, non solo standardizzato, ma anche personalizzato. Il consenso informato potrebbe quindi risultare carente di completezza, consapevolezza ed attualità.Problematiche giuridiche sorgono anche in merito all’esercizio abusivo della professione medica sanzionato dall’art. 348 c.p.; in questi casi si può ritenere che gli atti tipici riservati al medico sono rappresentati dalla diagnosi di una condizione patologica e dalla prescrizione di una terapia. Nessuna attività diagnostica e prescrittiva può essere effettuata da chi non sia abilitato alla professione medica, essendo del tutto irrilevante se il soggetto in questione stia curando con le MNC o con la Medicina allopatica.Appare quindi evidente che nel recupero della centralità della persona come metodo di operare vi è la gran parte del successo delle medicine alternative anche quando le evidenze di efficacia sono nulle o quanto meno scarse.Non abbiamo bisogno di complicati modelli sperimentali per dimostrare che lo sviluppo di una “cultura della cortesia” in campo medico, che miri a prendersi cura della persona anziché considerare esaurito il suo compito fuori dall’obbligo specifico della patologia, possa contribuire non poco ad uno sviluppo positivo dei percorsi terapeutici.28

27 Comitato Nazionale per la Bioetica, seduta plenaria del 18 marzo 2005. Documento approvato all’unanimità.28 Op. cit. sub.23. Raschetti

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UN ANNO DI ATTIvITà DEL COMITATO ETICO-SCIENTIFICO DELL’A.O.R.N. “v. MONALDI”: PROBLEMATIChE EMERSE E POSSIBILI SOLUZIONI

Antonello Crisci*, Mariaroberta Gregorini**, Francesco De Micco*Antonella Masullo**Dipartimento di Medicina Pubblica, Clinica e Preventiva - Sezione di Medicina Legale - Seconda Università degli Studi di Napoli ** Dipartimento di Studio delle Istituzioni e dei Sistemi Territoriali - Università degli Studi di Napoli “Parthenope”

Il Comitato Etico, se da un lato è “un organismo indipendente che ha la responsabilità di garantire la tutela dei diritti della sicurezza e del benessere dei soggetti in sperimentazione e di fornire pubblica garanzia di tale tutela”, dall’altro deve svolgere “funzione consultiva a questioni etiche connesse con le attività scientifiche ed assistenziali” (D.M. 12.05.2006).In tale contesto normativo si inserisce il modus operandi del “Comitato Etico-Scientifico” (C.E.) dell’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “Vincenzo Monaldi”, del quale gli Autori presentano l’analisi dell’attività svolta nel periodo temporale dal dicembre 2008 al dicembre 2009. Scopo del presente studio è mettere in evidenza le problematiche emerse nel corso di un anno di attività che hanno reso necessaria la rivalutazione dei protocolli o che hanno condotto a rifiuto del parere unico espresso dal Comitato.Il Comitato è stato volutamente denominato “Etico-Scientifico” proprio per sottolineare la volontà di orientarlo verso il dibattito etico, oltre a quello clinico - scientifico.l’organismo è costituito da quattordici componenti: tre clinici, un rappresentante del collegio IPASVI, un esperto di biostatistica, un esperto di medicina legale e delle assicurazioni, un rappresentante dell’associazione volontari ospedalieri, un clinico esperto di farmacoterapia, un rappresentante del Tribunale dei diritti del malato, il direttore sanitario ex officio, il direttore del servizio di farmacia ex officio, due esperti di bioetica, un medico pediatra di libera scelta. Riunitosi per la prima volta il 14 aprile 1999, il C.E. dell’A.O.R.N. “V. Monaldi” ha assistito, anno per anno, ad una progressiva e costante intensificazione del numero dei protocolli clinici da esaminare. Se, infatti, durante il primo anno del suo esordio il C.E. valutò appena 8 studi, di cui uno soltanto spontaneo, nel periodo temporale preso come riferimento in questo lavoro, esso ha esaminato ben 38 progetti di ricerca, dei quali 20 osservazionali e 18 sperimentali.la valutazione degli studi presentati si basa su un metodo ormai efficace e ben collaudato, mediante il quale il C.E. nell’assolvere la sua funzione operativa assume la responsabilità di fornire pubblica garanzia della tutela delle persone sottoposte alla sperimentazione. Un’accurata pre-istruttoria degli studi appena giunti rende il lavoro più scrupoloso. Tale pre-istruttoria, che è affidata al segretario del Comitato e ad un’esperta in bioetica e nel funzionamento dei Comitati Etici, consiste in una prima analisi del progetto di ricerca. Dopo aver protocollato lo studio, infatti, si procede con una verifica dei documenti principali previsti dalla normativa vigente: la presenza della lettera di intenti, del protocollo in originale e della

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sinossi in lingua italiana, del CTA form, del foglio informativo per il paziente e del modulo di consenso informato, della polizza assicurativa, del parere favorevole rilasciato dal Comitato Etico del centro coordinatore e dell’eventuale contratto. Si procede, successivamente, con la valutazione accurata di ogni singolo documento sopra citato, ad eccezione del protocollo e della relativa sinossi: la valutazione dell’aspetto clinico-scientifico, infatti, è lasciata ad un relatore opportunamente individuato dal Comitato, ma soltanto nel caso in cui il progetto di ricerca abbia superato positivamente la precedente fase della pre-istruttoria. Durante l’arco temporale compreso tra il dicembre 2008 ed il dicembre 2009, dei 38 studi esaminati in pre-istruttoria su circa la metà sono state riscontrate criticità, che hanno reso necessarie modifiche ed integrazioni, talvolta anche consistenti, da parte delle Case farmaceutiche (nel caso di studi sponsorizzati) e degli sperimentatori responsabili (nel caso di studi spontanei) tempestivamente contattati. le maggiori problematiche in fase di pre-istruttoria hanno riguardato nell’ordine: poca chiarezza e completezza nella formulazione del foglio informativo e del consenso informato per il paziente (50% dei casi); mancanza di una copertura assicurativa idonea (30% dei casi e specialmente per gli studi spontanei); assenza del parere favorevole espresso dal Comitato Etico del Centro Coordinatore (10% dei casi); mancanza del numero di identificazione EudraCT assegnato dall’AIfA (10% dei casi e specialmente per gli studi sperimentali spontanei).

Inoltre, gli studi spontanei hanno richiesto una maggiore attenzione durante la valutazione pre-istruttoria ed hanno, di conseguenza, fatto registrare la più elevata percentuale di rilevazione delle défaillance. la motivazione, probabilmente, risiede nel fatto che a disegnare gli studi non sponsorizzati siano stati sperimentatori non adeguatamente informati relativamente alla documentazione necessaria a corredare i loro progetti di ricerca. Nonostante ciò, durante il periodo a cui si riferisce il presente lavoro, i 38 studi esaminati in pre-istruttoria - e opportunamente modificati laddove richiesto - sono stati tutti presentati in Comitato. Una volta superato l’esame pre-istruttorio, la discussione del protocollo viene inserita nell’ordine del giorno della seduta di Comitato cronologicamente più vicina. Al termine della

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riunione, il Presidente - o in sua assenza il Vice Presidente - assegna il lavoro ad un relatore individuato tra i componenti presenti, che avrà il tempo di esaminarlo (circa trenta giorni) fino al giorno prescelto per la seduta successiva. Nel periodo dicembre 2008-dicembre 2009, sui 38 protocolli esaminati dai relatori soltanto 2 (uno sperimentale sponsorizzato e l’altro osservazionale spontaneo) hanno ricevuto parere sfavorevole e, dunque, non sono mai stati approvati. le motivazioni che hanno condotto a tale decisione sono state: per lo studio sperimentale, un’evidente perplessità riferita alla discutibile validità scientifica dello studio; per il protocollo osservazionale, la convinzione che si trattasse in realtà di uno studio sperimentale, con tutte le problematiche che ciò comportava: foglio informativo per il paziente e consenso informato non adatti ad uno studio sperimentale; mancanza del codice di identificazione EudraCT e, di conseguenza, della richiesta di approvazione in Osservatorio AIfA; assenza di una copertura assicurativa; protocollo di studio e sinossi non adeguati. Nonostante le numerose richieste avanzate dal Comitato ai promotori degli studi, affinché apportassero le modifiche necessarie per consentirne una valutazione positiva, le variazioni in questione non sono state prodotte, comportando un inevitabile parere non favorevole rilasciato dal Comitato medesimo. Gli altri 36 studi, di cui 19 osservazionali (13 spontanei e 6 sponsorizzati) e 17 sperimentali (16 sponsorizzati da Case farmaceutiche e 1 spontaneo) sono stati tutti approvati. Non tutti, però, in tempi brevi. Infatti, il 40% di essi ha richiesto ulteriori modifiche richieste dai componenti del Comitato e apportate dai relativi promotori. Tra le più spinose problematiche sollevate dal Comitato si possono annoverare: assenza di copertura assicurativa ritenuta idonea e rispondente alla normativa in materia; ambiguità in merito alla provenienza e alla fornitura del farmaco in sperimentazione; perplessità sulla presenza di sotto-studi di farmacogenetica e sulla relativa richiesta di conservare i campioni ematici prelevati ai pazienti anche in seguito alla conclusione dello studio. In conclusione, dalle criticità evidenziate e dai risultati ottenuti nel presente studio, gli Autori auspicano che il C.E., in linea con quanto previsto dalla vigente normativa, oltre alla funzione consultiva ed operativa, assolva, concretamente, anche una funzione formativa ed educativa finalizzata all’accrescimento della coscienza etica. Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto promuovendo dibatti e corsi di formazione rivolti agli operatori sanitari, al fine di superare, nella pianificazione e nella successiva presentazione dei protocolli sperimentali, le carenze evidenziate, soprattutto in tema di “informazione al consenso” ed in materia assicurativa.Appare ovvio, infatti, come tale approccio permetterebbe, tra le altre cose, una notevole riduzione dei tempi di approvazione dei protocolli con indubbio potenziamento dell’attività di ricerca biomedica e del progresso scientifico nel rispetto della tutela della persona.

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ThE PRINCIPLE OF vULNERABILITY: BETWEEN BIOEThICS AND hUMAN RIGhTS

Luigi huoberPhD - Universitá degli Studi di Napoli Federico II

historical and Philosophical OriginsThe concept of vulnerability is a notion common to our everyday language. However, only recently did it acquire a moral meaning. The concept of vulnerability took its first steps in the field of Bioethics, especially within the context of the ethical and legal regulation of scientific research involving Human Beings. Vulnerability first appeared in the field of biomedical research of the human subject in 1978, in the “Belmont Report: ethical principles and guidelines for the protection of human subjects of research”.1 The concept was drawn in 1996, during the revision process of the “Helsinki Declaration: ethical principle for medical research involving human subjects”; and then in 1997, in the first “UNESCO Universal Declaration on the Human Genome and Human Rights” and in the CIOMS Guidelines: “International Ethical Guidelines for Biomedical Research involving Human Subject”, 20022.

In 1998, the “Barcelona Declaration: Basic Ethical Principles in Bioethics and Bio-law”3 presented Vulnerability with a new meaning. Vulnerability became a universal condition to all Human beings, arising from the reflections of philosophers like levinas and Jonas4. It has been presented as a “noun”, with a reality intrinsic to the living being; universal and absolute, necessary and permanent, which therefore refers to the principle of human dignity, and of the broad application to the entire domain of human activity5. Especially the french philosopher Emmanuel lévinas has defined the concept of vulnerability as the foundation for understanding human condition. He analyses vulnerability as the foundation for morality.

1 National Institute of Health - Office of Human Subjects Research Regulations and ethical Guidelines - Belmont Report: ethical principles and guidelines for the protection of human subjects of research. US-Government Printing Office, Washington, DC 1978 (April 18, 1979).2 Universal Declaration on the Human Genome and Human Rights, UNESCO Gen. Conf. Res. 29 C/Res.16, re-printed in Records of the General Conference, UNESCO, 29th Sess., 29 C/Resolution 19, at 41 (1997) (adopted by the UN General Assembly, G.A. res. 152, U.N. GAOR, 53rd Sess., U.N. Doc. A/RES/53/152 (1999)).WMA-Helsinki Declaration: ethical principle for medical research involving human subjects: Adopted by the 18th WMA General Assembly, Helsinki, Finland, June 1964, and amended by the: 29th WMA General Assembly, Tokyo, Japan, October 1975 35th WMA General Assembly, Venice, Italy, October 1983 41st WMA General Assembly, Hong Kong, September 1989 48th WMA General Assembly, Somerset West, Republic of South Africa, October 1996 52nd WMA General Assembly, Edinburgh, Scotland, October 2000 53rd WMA General Assembly, Washington 2002 (Note of Clarification on paragraph 29 added)55th WMA General Assembly, Tokyo 2004 (Note of Clarification on Paragraph 30 added) 59th WMA General Assembly, Seoul, October 2008.Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS) International Ethical Guidelines for Biomedi-cal Research involving Human Subject“, 20023 Final Report to the Commission on the Project Basic Ethical Principle in Bioethics and Biolaw. 1995-1998.4 Jonas H. Das Prinzip Verantwortung - Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation. Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1979.See also: P. Nortvedt. Levinas. Justice and Health Care: Medicine, Health Care and Philosophy 6: 25–34, 20035 IBC-UNESCO: Working document on the Principle of Respect for Human Vulnerability and Personal Integrity, April 21, 2009 SHS/EST/CIB-16/09/CONF.503/3.

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Morality is a compensation for man’s vulnerability. The moral imperative is an imperative to take care of the other and an ethical responsibility for the other. In this way vulnerability can be said to imply an immanent normativity in which the vulnerability is expressed in the corporeal incarnation of the other, e.g. in the face of the other. The existence of the other person expresses vulnerability and demands the ethical engagement of the person. lévinas formulates that with the imperative “Thou shall not kill” as the very basic concept of the vulnerable existence.

The Vulnerability Principle

The Principle of Vulnerability presents three main problems.

The first problem that characterises the ‘Principle of Vulnerability’ is the common idea that every Human Being is vulnerable unto themselves. If we are to accept this concept it would be impossible to include in the category of “vulnerable subjects” those persons incapable and whom could not, even temporary, express their free informed consent.

The second problem is that recognising the ‘Principle of Vulnerability’ could cause some complications in the field of its practical applications6.

Thirdly, the ‘Principle of Vulnerability’ cannot be considered absolutely, or to be more precise, as a “Monad”. The respect of human integrity, and the same principle of vulnerability, can only exist if related to the other principles of Bioethics applied to Human Rights, like the Principle of Autonomy, of Solidarity, of Justice and of Equity.We have experienced that Vulnerability is not an independent concept from its context. Whereas on one side certain subjects could be considered as “always vulnerable” (for example, children), on the other side there are those whom should be “vulnerable” simply in relation to a special situation; people can be vulnerable in certain situations and not in others. A person whom could be considered always vulnerable (like a person with disability) could be not vulnerable as a research subject and vice versa7. Several studies recognize that according to the vulnerable principle, a person is vulnerable when is exposed leaving them wounded” by others, and is subject to different and subtle abuse and exploitation which forms without any regard to their autonomy8. In this regard, in order to guarantee the respect on the Principle of Vulnerability, it has been proposed to combine a right based approach, and a duty based in a complementary way. The concept of Vulnerability9 has been employed in such an extensive and unsubstantial way that we could fall into the temptation of deducing that it could not give us any significant ethic orientation.

6 Coleman HC. Vulnerability as a Regulatory Category in Human Subject Research. Journal of Law, Meidcine and Ethics Spring 2009.7 DeBruin, D. 2001. Reflections on Vulnerability. Bioethics Examiner 5(2): 1, 4. See also: Levine R. J. Ethics and Regulations of Clinical Research. Baltimore: Urban and Schwarzenberg. and Hawana J. S. 2003Vulnerable Subjects may exceed definition in clinical research. Washington DC: Washington Fax. www.washingtonfax.com.8 Levine C. 2004. The limitations of “Vulnerability” as a Protection for Human research Participants. The American Journal of Bioethics, 4(3): 44-49, 2004. 9 Reich W. T. The power of a single idea. Published in M. Patrão Neves e Manuela Lima (coord.), Bioética ou bioéti-cas naevolução das sociedades, Coimbra, Gráfica de Coimbra, 2005: 380-382.

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The first step in order to develop a coherent approach to the Principle of Vulnerability is to acknowledge that this principle is not an autonomous concept. C. levine10 says that “The roots of the concept of vulnerability lie in the possibility of a physical harm”. leavitt11, extending the concept of vulnerability over the physical harm, proposes that if we say that a research is vulnerable, we mean that they are “open” to an aggression against their “respect, health and rights”. Samia Hurst12 writes that vulnerable research subjects are those who are at a heightened risk of any type of research related impropriety, ranging from physical harm to breach of confidentiality to not “getting fair consideration in resources allocation”.

The IBC of UNESCO13 tries to apply the concept of Vulnerability to differentiate categories of people (or groups) in different contexts. furthermore the IBC distinguish between the different fields of medical treatment, of research and of public health.

Vulnerability and Biomedical ResearchIn the field of scientific research, for example, the concept of vulnerability can be used as a way to displace responsibility to those that have more power in the trial, researcher, research subject, basing on the application of individualized parameters. Applying the Principle of Vulnerability to research could be significant for people who do not belong to other vulnerable social groups (like immigrants, and the homeless) and therefore not be called to participate in a research trial. In the context of research involving human subjects, “Vulnerability” should be associated with a partial or total incapacity to protect their own interests.14

Vulnerability could also issue from different factors, which do not attain to an intellectual capacity: education, economic resources, access to healthcare, and to a precarious health condition. Moreover, it is possible that vulnerability comes from the legal status of the single person. Scientific research, is the field of a light (weak) or of a soft law (of a weak rationality) which without avoiding its regulative duty, dictates ductile rules which are able to acknowledge the continuous changes of scientific topics and problems, and to register the changes of social sensibility15.

Adopting the view of “Interessen Jurisprudenz”, more legal positions and interests are involved in a research trial; physiologists interest in finding a treatment, the researcher´s interest for discovery, the Pharmaceutical Industries, and finally, patients interest for respecting their rights16.

10 Levine C. The Limitations of “Vulnerability” as a Protection for Human Research Participants The American Journal of Bioethics, 4(3): 44-49, 2004. 11 F. J. Leavitt. “Is Any Research Population Not Vulnerable?” Cam-bridge Quarterly of Healthcare Ethics 15, no. 7 (2006): 81-8812 S. A.Hurst, “Vulnerability in Research and Health Care: Describ-ing the Elephant in the Room?” Bioethics 22, no. 4 (2008):191-202;13 IBC-UNESCO: Working document on the Principle of Respect for Human Vulnerability and Personal Integrity, April 21, 2009 SHS/EST/CIB-16/09/CONF.503/3.14 Eckenwiller L. A. Hopes for Helsinki: reconsidering “Vulnerability”. J Med Ethics 2008;34:765-766 doi:10.1136/jme.2007.02348115 Montedoro G. La sperimentazione clinica sui soggetti vulnerabili ed il ruolo dei comitati etici. http://www.giustizia-amministrativa.it/webcds/studiecontributi.asp16 Giunta F. Lo statuto giuridico della sperimentazione clinica ed il ruolo dei comitati etici in Dir. pubbl. n. 2, 2002, 623 e ss. See also: Lissa G. La Bioetica tra autonomia e vulnerabilitá.

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Vulnerability in Health Care and Public Health

The applicability of the concept of vulnerability in the field of Health Care and of Health Policy for research, imposes that institutions and states should constantly work for development within the field of biomedical progress, in the enforcement of so called vulnerable people and in the reduction and disposal activity of vulnerability causes.In this context, vulnerability can also be interpreted as an important legal concept and even as the foundation for the legal system. The English philosopher of law and jurisprudence, Hart, says that the vulnerability of human beings is the background for the regulation of its activities in rules and social institutions.

The Concept of Vulnerability in the work of UNESCO and of International Community

The Concept of vulnerability in the work of UNESCO appeared first in 1995 in the Declaration of Principles on Tolerance, where the definition “Vulnerable Groups” appears three times. The Declaration invited the Member States to pay “particular attention” to these groups.In 1997, in the first “UNESCO Universal Declaration on the Human Genome and Human Rights”, UNESCO introduces the concept of “Human Vulnerability”, particularly in article 17 and 24. In 2005, in article 8 of the Universal Declaration on Bioethics and Human Rights, the concept of Vulnerability was proposed again.Article 8 of “Universal Declaration on Bioethics and Human Rights (2005)” established:

“Article 8 - Respect for human vulnerability and personal integrity: In applying and advancing scientific knowledge, medical practice and associated technologies, human vulnerability should be taken into account. Individuals and groups of special vulnerability should be protected and the personal integrity of such individuals respected.”

The sentence expresses clearly the duties of member states to respect the “Human Vulnerability”. This sentence took place as a starting line for the discussion many topics around the concept of vulnerability.

Vulnerability and Human Rights

Since 1948, the Universal Declarations of United Nations have always given a relevant impulse to the study and the definition of “Human Rights”. Human Rights have always been directed towards the protection of every human being and have the aim to make a general principle to a universally accepted rule.17

Their history began in 1948, the year of the UN “Universal Declaration of Human Rights”18, and continues until today extending little by little their sphere of action, with the aim to especially include groups of people and citizens commonly called “Vulnerable”: women, children, younger people, immigrants, disabled people, sexual minorities, and cultural minorities.

17 Andorno R. The Invaluable Role of Soft Law in the Development of Universal Norms in Bioethics.Ein Beitrag zum Workshop “Die Umsetzung bioethischer Prinzipien im internationalen Vergleich” (Auswärtiges Amt, 15.02.2007). 18 217 A (III). Universal Declaration of Human Rights. General Assembly Resolution A/RES/3/217 A December 1948 Paris, France.

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In the field of Human Rights the definition of “Vulnerable People” includes people needing a particular protection of their rights or of a special support in exerting them. Especially VP need a special treatment aimed at an attainment of the conscious enjoyment of their basic rights. Concepts like “Non discrimination” and “Equality” are principles which imply that member states may recognize, providing for the elimination of differences and to individualize and satisfy the “special needs” of people or groups of people which, by reason of high vulnerability, need special protection of their rights.

The “Vulnerable People”

The Declarations and documents which had come from the work of UN defined Groups, by reason of their characteristics, could be defined as totally or partly (or always or temporarily) vulnerable.

These people are:ChildrenWomenDisabled PeopleElderly PeopleMentally ill PersonsTemporarily Incapable PeopleMigrantsAsylum SeekersNomadsCultural and Ethnic MinoritiesUnemployed peopleHomelessPrisonersIlliterates

for other contexts, the UN recognized special vulnerability cases relate to:

Subordinated PeopleStudentsEmployedArmy membersMembers of Police force

The International Conference on Harmonisation (ICH) Guidelines for Good Clinical Practice contains a list of Vulnerable Populations, starting from “employees of the pharmaceutical industry”, from “unemployed or impoverished persons” to “Nomads”. The Guidelines ICH19 of CIOMS compare Vulnerability to an Individual form of “willingness to volunteer in a clinical trial may be unduly influenced by the expectation, whether justified or not, of benefits associated with participation, or of a retaliatory response from senior members of a hierarchy in the case of refusal to participate”.

19 Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS) International Ethical Guidelines for Bio-medical Research involving Human Subject“, 2002.

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ChI SONO I BIOETICISTI E QUAL È IL LORO RUOLO?

Carmine Alvino, Maria Grazia De Roma, Rosa LucianoAngelantonio AlvinoSoci fondatori dell’Associazione Culturale Bioetica e Diritto

Si parla di bioetica per la prima volta nel 1970, in un articolo di Van Rensselaer Potter, oncologo americano, “The science of survival”. Potter considera la bioetica una nuova disciplina in grado di armonizzare conoscenze scientifiche e umanistiche utili per rispondere a questioni etiche dell’uomo.la parola bioetica è costituita dall’unione di bios (vita) ed ethos (etica), e Potter arriva alla seguente conclusione: è necessaria elaborare una scienza della sopravvivenza di tutto l’ecosistema che non può che denominarsi appunto Bioetica.l’emergere di nuovi problemi, l’esigenza di maggiore autonomia, la situazione pluralistica delle società ed il coinvolgimento di diverse discipline ha motivato il passaggio dall’etica medica alla bioetica.la bioetica è chiamata a dare risposte a problemi drammaticamente concreti.Si avvertite l’esigenza così di costituire dei Comitati Etici.In Italia il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) è stato istituito nel 1990, ed è un organo consultivo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Al Comitato è affidata la funzione di orientare gli strumenti legislativi cd amministrativi, volti a definire i criteri da utilizzare nella pratica medica e biologica per tutelare i diritti umani ed evitare gli abusi. Il Comitato ha inoltre il compito di garantire una corretta informazione dell’opinione pubblica sugli aspetti problematici e sulle implicazioni dei trattamenti terapeutici, delle tecniche diagnostiche e dei progressi delle scienze biomediche.In tutte le strutture sanitarie sono presenti i Comitati Etici, il cui compito è la garanzia di tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti coinvolti in uno studio clinico, di ricerca biomedica, tenendo conto delle procedure scientifiche e delle preoccupazioni della comunità locale.la composizione del Comitato Etico è dettata da raccomandazioni europee e ministeriali.È stata dunque creata di fatto, una nuova figura, quella del bioeticista, cioè dell’esperto in norme, casistica e cavilli relativi all’applicazione delle norme attraverso un approccio interdisciplinare alle materie di competenza, statutariamente prevista nei comitati etici, benché sia tutt’ora scarna e quasi inesistente la sua regolamentazione giuridica.Per tali ragioni, quella del bioeticista risulta oggi essere una figura ambigua e implausibile, in quanto, in assenza di regolamentazione primaria ancorché secondaria, ed in mancanza di chiare e precise regole normative rimangono ancora oscure le sue funzioni pratiche, nonché gli obiettivi che l’ordinamento ha inteso perseguire attraverso la creazione di un esperto in tali campi. Il bioeticista, dunque è uno, che ha acquisito delle competenze specifiche, che si aggira da conoscitore nel dibattito bioetico, ormai amplissimo e collocato nelle aree di confine in cui competenze di vario genere, filosofiche giuridiche mediche e scientifiche, si mettono a confronto per indagare, porre domande e elaborare risposte ragionate e riflesse.Deve aver incamerato la ricchezza di questa discussione, deve averci riflettuto e deve avere a sua volta articolato posizioni proprie, meditate e ragionate. Ma è anche qualcosa di più.È uno che porta nell’arena della discussione una competenza più generale: quella di un rigoroso controllo dell’argomentazione, di un’analisi critica delle ragioni, di una riflessioneattenta sulle più comuni fallacie del ragionamento specialmente in campo morale.

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Operatore antiriduzionistico, nel senso di un’attiva sorveglianza contro la banalizzazione del problemi o contro l’inerzia di ragionamenti che scivolano sulla china dei già detto e non si accorgono delle possibili insidie, o non rilevano aspetti importanti e non immediatamente visibili del problema di cui si tratta. Ha una funzione di controllore della correttezza logica e argomentativa, è uno che richiama alla chiarezza, all’esplicitazione di tutto ciò che è implicito ma non detto, all’attenzione per tutte le implicazioni e le conseguenze derivanti dalla presa di una posizione piuttosto che dell’altra. È lì per evitare soluzioni riduttive, per porre domande là dove altri hanno già delle risposte, per dare profondità etica c problematica a questioni che un sapere specifico potrebbe rischiare di appiattire, e giungere a conclusioni, certo fallibili, ma attentamente ragionate.Ma da quanto detto, ci domandiamo se un molo così importante possa essere relegato in un ambito ancora fumoso, senza che sia dia difatti il giusto risalto a tale professionalità.A tal proposito riportiamo una nostra esperienza. Siamo un gruppo di professionisti di Avellino che dopo aver frequentato con profitto il master di II livello in ‘’bioetica e deontologia professionale” presso l’Università degli Studi di Salerno cd aver cosi acquisto le nozioni indispensabili per poter affrontare queste rilevanti problematiche, oggi al vaglio della cronica nazionale, abbiamo potuto riscontrare in realtà come la nostra dimensione territoriale sia a livello locale che regionale sia del tutto impreparata ad ospitare un nuovo profilo professionale in questo campo. Infatti, nonostante da tempo gli Istituti sanitari locali ed altri enti territoriali si siano dotati di un proprio comitato di bioetica interno ed abbiano creato corsi di perfezionamento in queste materie, la figura del bioeticista stranamente non è stata ancora del tutto riconosciuta e disciplinarla giuridicamente.Difatti, ogni nostro tentativo ed impegno volto ad ottenere il riconoscimento della figura è risultato vano. Nel concreto noi membri dell’associazione abbiamo posto in essere in questi mesi un’incisa attività volta al detto riconoscimento, non solo interessando gli organi dell’Università degli Studi di Salerno, ma anche proponendo un’istanza diretta alla creazione, all’interno della sub-categoria di esperti dell’elenco tenuto presso la Camera di Commercio di Avellino, della nuova categoria di esperti in bioetica. Tuttavia, tali iniziative non hanno sortito per nulla alcun effetto se non quello di sensibilizzare sui temi di cui innanzi.Pertanto, al fine di promuovere la detta figura nonché la discussione sui temi di carattere etico si è dato vita, nonostante l’assoluta scarsità di risorse, ad un’associazione culturale, senza fine di lucro denominata “bioetica e diritto” (provvedendo anche alla creazione di un sito internet www.bioeticaediritto.it) che ha generato un crescente interesse nel panorama territoriale avellinese.Difatti l’associazione, in mancanza di appoggi esterni, si è attivata autonomamente attraverso l’organizzazione, in una prima fase, di dibattiti e convegni sui temi etici, tra cui quello tenuto presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Avellino, sul rema del testamento biologico che ha visto anche la partecipazione dell’Ordine dei Medici e di insigni professionisti.Alla luce della nostra esperienza è emerso che senza una sensibilizzazione progressiva delle Istituzioni non sarà possibile emancipare la figura del bioeticista, relegata fin’ora ai margini dell’area socio-culturale, e di elevarla a vera e propria categoria professionale, come tale meritevole di tutela.

Avellino, lì 09 novembre 2009Associazione Bioetica e Diritto

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LA METODOLOGIA GRADE PER LA vALUTAZIONE DEI NUOvI BENI SANITARI

F. Rubba*, N. Rocco**, C. Rispoli**, L. Quagliata*, E. Giancotti*, M. Triassi* S. Panico*** Dipartimento Scienze Mediche Preventive, AOU Federico II, Napoli** Officina Cochrane, AOU Federico II Napoli

ABSTRACT

Obbiettivola valutazione EBM introdotta in ambito ospedaliero nella AOU federico II nel 2005 al livello della valutazione dei nuovi farmaci e dei nuovi dispositivi si è avvalsa e di analisi della letteratura scientifica attuata attraverso l’open access a cui seguiva la elaborazione di tabelle dettagliate secondo la metodologia PICO). In seguito è emersa tuttavia la necessità di standardizzare la procedura riportandola all’uso di software codificati per questo e per altro disponibili gratuitamente: il Revman e il GRADE PRO.

MetodologiaIl panel di esperti chiamati a decidere prevede delle figure stabili ( Direttore Sanitario, farmacista, farmacologo, Esperto EBM ) Inseme ad un gruppo di esperti variabili, convocati a seconda del problema. le outcome secondo il GRADE sono votate con i punteggi seguenti: 1-2-3 non importanti4-5-6 importanti7-8-9 criticheal Panel viene ichiesto di assegnare per ogni outcome un punteggio così codificato e in un secondo momento il panel ha il compito di valutare le tabelle fornite dai revisori sugli outcome votati e di esprimere la raccomandazione finale. secondo il metodo GRADE Risultati attesi: Il Percorso Decisionale proposto prevede le tappe seguenti:A) formalizzazione della richiesta con outcome e comparatorB) Convocazione del Panel ( per e-mail) Votazione outcome ( per e mail)C) Selezione outcome Elaborazione tabelle valutativeD) Distribuzione al Panel delle Tabelle di valutazione.(via mail)E) Definizione della Raccomandazione da parte del Panel valutazione del consenso e dell’eventuale disagreement Eventuale riunione

IntroduzioneUno degli obiettivi dell’assistenza sanitaria è fornire farmaci e interventi efficaci e sicuri tramite una attenta selezione delle molecole e delle tecnologie e un costante monitoraggio del loro utilizzo.Il numero elevato di farmaci e presidi disponibili e le numerose problematiche connesse ad un loro utilizzo efficace, sicuro, appropriato ed economico, rendono indispensabile definire un programma di razionalizzazione.

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Un gruppo di lavoro finalizzato alla valutazione dei farmaci e dei presidi innovativi può configurarsi come strumento essenziale alla realizzazione di tale necessità, assumendo valenza strategica essenziale per la politica del farmaco e dell’uso delle tecnologie sanitarie anche come sussidio alle attività di valutazione del Nucleo di Appropriatezza Prescrittiva, che è ormai un organismo aziendale con compiti codificati. la peculiarità della valutazione nella AOUAlcune considerazioni metodologiche guidano la valutazione dei farmaci nel contesto della AOU.la valutazione e l’inserimento dei farmaci nel prontuario ospedaliero di una struttura come il Policlinico Universitario tiene in considerazione la presenza di centri di riferimento e di strutture orientate alla sperimentazione e alla standardizzazione di terapie innovative, nondimeno nella stessa coerenza alla propria mission che è anche fornire un paradigma di assistenza in ambito regionale e in quanto azienda ospedaliera integrata sul territorio, l’inserimento dei farmaci nuovi deve rispondere a requisiti di validità e appropriatezza e in second’ordine a considerazioni di tipo economico. l’inserimento di un farmaco o di un dispositivo nel prontuario ospedaliero e nei percorsi assistenziali correnti è una tappa che va distinta sul piano culturale e su quello operativo dalla sperimentazione, la cui valutazione è di competenza del Comitato Etico, per cui un primo elemento discriminante è la verifica delle prove di efficacia e sicurezza relative al farmaco in oggetto e la valutazione se il trattamento può essere inserito nei percorsi assistenziali aziendali o va intrapresa una procedura di sperimentazione.la presenza di registrazione per l’indicazione non elude la necessità di verificare e condividere l’appropriatezza degli studi, anche in riferimento al contesto operativo particolare.Un elemento di distinzione è se il farmaco e ancor più il dispositivo innovativo va a sostituire un altro considerato obsoleto o se introduce un nuovo percorso terapeutico. Nel primo caso va esaminata l’opportunità effettiva della sostituzione sia in termini di efficacia che di sicurezza. la sostituzione prevede che i beni sanitari ridondanti siano eliminati dal prontuario contestualmente all’introduzione dei nuovi ad evitare che lo stesso venga meno quale strumento di agile ,attuale e pronto utilizzo.l’introduzione di una nuova terapia, di converso, implica la valutazione del percorso assistenziale in cui si inserisce e di quanto l’innovazione della terapia lo modifica in termini organizzativi e tecnico-professionali. la coerenza, la plausibilità biologica e la validazione scientifica delle indicazioni per le quali viene inserito un farmaco o un dispositivo è un elemento chiave della valutazione. Resta infatti inteso che le indicazioni off-label o quelle indicazioni per le quali non si esprime un parere favorevole a causa dell’assenza di sufficienti prove di efficacia devono configurarsi come terapie sperimentali o compassionevoli che possono essere autorizzate in via eccezionale, eventualmente sentito il parere del Comitato etico, secondo la procedura per i farmaci fuori prontuario. I trattamenti sistematicamente off-label rientrano infatti in sperimentazioni per le quali si può o meno prevedere uno Sponsor e per le quali si richiede valutazione al Comitato Etico.Il gruppo di lavoro che si occupa di valutazione, in qualità di organo tecnico, può svolgere una funzione di filtro di valutazione per individuare i casi in cui le prove di efficacia sono tali da autorizzare anche un regime terapeutico Off lABEl; la presenza e il confronto con altri farmaci di pari classe presenti sul mercato può impone in una struttura pubblica una valutazione di tipo costo- efficacia. Un aspetto delle competenze della valutazione riguarda le “prove” o “visioni” di presidi o

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apparecchiature a tecnologia matura con definiti studi di fattibilità e comprovate prove di efficacia; in tale caso occorrerà valutare i percorsi della visone, ivi compreso la stima del risultato. Nel caso di una nuova tecnologia gli elementi della valutazione sono molteplici:a) definire gli ambiti di applicazione e dei percorsi valutandone, rispetto alla struttura proponente, gli ambiti di diffusione ed estensione;b) considerare la ridistribuzione dei carichi di lavoro del personale implicato;c) quantificare la nuova distribuzione dei costi e dei ricavi;Inserire la valutazione dei beni sanitari innovativi quale procedura corrente dei percorsi gestionali implica l’incentivazione alla formazione indipendente e alla diffusione della cultura della segnalazione e il coordinamento di iniziative di monitoraggio relative ai nuovi dispositivi introdotti.I modelli di richiesta devono comprendere tutti gli elementi precedentemente richiamati in modo da consentire alla commissione la massima possibilità di giudizio e il ricorso ad una serie di strade possibili condivise: l’Inserimento in PTO/magazzino (richiesta accettata); il non inserimento (richiesta rigettata); l’inserimento con restrizione; la Sospensione del parere (necessità di altra bibliografia, necessità di parere del Comitato Etico); il Consenso all’approvvigionamento temporaneo in attesa di ulteriori elementi; la necessità di condurre una sperimentazione clinica e/o una valutazione farmacoeconomica in azienda.

L’esperienza della AOUNell’A.O.U. federico II, alla fine del 2005, l’intento di contenere la spesa e ottimizzare i consumi ha portato alla costituzione di un Gruppo di lavoro dedicato.la valutazione EBM introdotta in ambito ospedaliero nella AOU federico II nel 2005 al livello della valutazione dei nuovi farmaci e dei nuovi dispositivi si è avvalsa e di analisi della letteratura scientifica attuata attraverso l’open access e le librerie digitali della università federico II a cui seguiva la elaborazione di tabelle dettagliate secondo la metodologia PICO (Prevalence Indicator Outcome Comparator). In seguito alla consolidata attività di valutazione è emersa tuttavia la necessità di standardizzare la procedura di analisi delle prove riportandola all’uso di software codificati per questo e per altro disponibili gratuitamente: il Revman e il GRADE PRO. la disamina dell’ampio ventaglio di possibilità metodologiche fornite dai due strumenti informatici, può adattarsi in una serie di azioni affini alla mission di un gruppo di valutazione dei beni sanitari al fine di consentire una valutazione indipendente e mirata.

MetodologiaNell’istituzione di un panel di valutazione occorre prevedere delle figure stabili (Direttore Sanitario, Direttore Medico di Presidio, farmacista, farmacologo, Responsabile della farmacovigilanza, Esperto EBM) e nel contempo un gruppo variabile, convocati a seconda del problema che comunque comprenda il richiedente e l’esperto della materia.la pregressa esperienza di valutazione in merito ai beni sanitari ha evidenziato la necessità di focalizzare gli interrogativi clinici in un percorso stringente ad evitare la possibilità di decisioni avvalorate da una scarsità di prove.Per questo è stato creato un modello che corrispondeva alla metodologia GRADE, con una legenda che riportave un grading delle OUTCOME.

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TAB 1- Modello di valutazione propostola rendicontazione telematica della valutazione inoltre garantisce la creazione di un archivio informatico delle revisioni.la tappa di valutazione e sintesi delle evidenze è un momento essenziale nel processo decisionale, che risulta standardizzato grazie all’uso delle Tabelle di REVMAN.Il software è utile a creare un archivio standard delle richieste commissionate e del materiale di valutazione elaborato da un pool di revisori.In particolare consente• Valutazione degli studi ( inclusi ed esclusi) nelle revisioni TAB 2

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• Valutazione di stime cumulative ( RR OR Peto OR RR difference) fig 1-2-3• Grafico di Metanalisi fig 1-2-3

fIG 1 Metanalisi con stima cumulativa di Odds Ratio

fIG 2 Metanalisi con stima cumulativa di intervallo di confidenza

Il gruppo dei Revisori affianca e supporta la valutazione del panel elaborando secondo gli standard.

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Risultati I vantaggi di questo approccio sono la standardizzazione della procedura e l’accuratezza dell’analisi, la riduzione del tempo speso nella convocazione di riunioni periodiche, in quanto il dibattito si può limitare alla gestione del disagreement di maggiore impatto in una serie più limitate di riunioni.Il modello di valutazione mutuato dal GRADE è stato utilizzato nella revisione del PTOA aziendale e a questo scopo anche pubblicato sulla intranet aziendale.

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la nuova metodologia ha prodotto uno scambio di dati focalizzati.I limiti evidenziati ovviamente conseguono al maggiore dispendio di energia e alla necessità di un pool di revisori formati con esperienza . Molte di queste risorse sono presenti in azienda e possono concorrere alla formazione di una unità trasversale, che affianchi il Nucleo di appropriatezza prescrittiva in modo flessibile e aperto alle maturate necessità gestionali, in cui la valutazione e la conseguente informazione indipendente sono diventati aspetti pregnanti.

BIBlIOGRAfIA

1. EPOC CRITERIA;2. www.gradeworkinggroup.org3. www.cochrane.it 4. www.cochrane.org5. Fabiana Rubba, Salvatore Panico, Patrizia Cuccaro, Antonio Della Vecchia, Maria Triassi. A Meta analysis assessment of bevacizumab in colorectal cancer in-patient to decide therapy with limited data. Cancer Therapy Vol 6, 617-622, 2008

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LA PRESCRIZIONE OFF-LABEL IN DERMATOLOGIA

Cataldo Patruno, Nicola Balato, Orlando Zagaria, Fabio AyalaSezione di Dermatologia clinica, allergologica e professionaleDipartimento di Patologia sistematicaUniversità di Napoli Federico II

ABSTRACT

Per uso off-label si intende l’impiego di farmaci in maniera non conforme a quanto riportato nella scheda tecnica autorizzata dal Ministero della Salute. Si tratta, quindi, di una prescrizione che, per indicazioni, modalità di somministrazione o dosaggi, differisce da quella riportata nel foglio illustrativo. Generalmente si tratta di molecole le cui caratteristiche farmacologiche sono ben conosciute e per le quali esistono evidenze scientifiche che hanno dimostrato, nel tempo, la loro efficacia anche in condizioni non previste inizialmente. I dubbi sulla liceità della prescrizione off-label derivano essenzialmente dalla preoccupazione riguardo alla sicurezza per i pazienti, in quanto l’efficacia e la sicurezza vengono testate in modo non uniforme ed in diversi Paesi, ed ai costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Per tali motivi, negli ultimi anni, diversi provvedimenti legislativi hanno di fatto sempre più limitato la possibilità della prescrizione off-label da parte dei medici. In particolare, la legge n. 244 del 24/12/2007 prevede che in nessun caso il curante può prescrivere un farmaco per una patologia per la quale non siano disponibili dati favorevoli relativi a sperimentazioni cliniche in fase seconda e, quindi, non è sufficiente la sola sussistenza di dati appropriati, condivisi e tangibili della letteratura accreditata internazionale. Alcune branche della medicina, come la dermatologia, che più di frequente fanno ricorso alla prescrizione off-label sono indubbiamente penalizzate da tale stato di cose, fino al punto che anche trattamenti ormai universalmente accettati e riportati anche dalle più accreditate linee-guida internazionali non possono essere di fatto applicati nella nostra realtà con susseguente limitazione delle possibilità di terapia da parte del paziente.

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PERCORSO FORMATIvO PER RESPONSABILI LOCALI DELLA RICERCA: FORMAZIONE IN BIOETICA NELLA RICERCA E NEL PERCORSO CLINICO ASSISTENZIALE - UN NUOvO MODELLO PER LA RICERCA

v. Fabiano, P. Quattrocchi, P. Pasqualetti, M.T. IannoneOspedale Fatebenefratelli Isola Tiberina, Roma

ABSTRACT

Il “progetto formativo per i responsabili locali della ricerca” nasce su iniziativa del Comitato di Bioetica con il supporto organizzativo del Servizio di Bioetica.l’obiettivo generale è creare una piattaforma comune in grado di stimolare e incrementare la ricerca clinica nel nostro Ospedale, anche alla luce dell’esigenza di favorire lo sviluppo della ricerca no-profit volta al miglioramento delle pratiche terapeutiche e assistenziali. Si è voluto sensibilizzare gli operatori sanitari su tematiche etiche, metodologiche e normative della ricerca clinica integrandola allo stile assistenziale di cura. A tal fine sono stati individuati, nei diversi dipartimenti e unità operative, i ricercatori responsabili e organizzate delle giornate informative-orientative volte ad individuare le tematiche oggetto di specifico approfondimento. Tenendo conto quindi, dell’analisi delle valutazioni dei singoli partecipanti è stato elaborato un percorso formativo multidisciplinare per tutto l’anno 2008, strutturato in lezioni frontali per un totale di 100 ore, suddivise in due incontri settimanali ogni mese. I docenti coinvolti sono stati 21 ed i ricercatori partecipanti circa 30.la prima parte di questo percorso è stata dedicata alla Bioetica nella sua parte generale, a partire dai principi, per poi affrontare la parte clinica e in modo particolare la metodologia per l’analisi etica dei casi clinici. la seconda, in collaborazione con l’AfaR ha riguardato la Metodologia della ricerca per l’attivazione delle procedure più idonee alla elaborazione di un protocollo sperimentale e osservazionale.Infine la terza parte del percorso ha avuto ad oggetto incontri centrati sulla Comunicazione vista innanzitutto nella sua accezione antropologica e poi operativamente mirante alla corretta gestione delle dinamiche di gruppo. A conclusione del corso i partecipanti, divisi per gruppi, sono stati invitati a partecipare come uditori ad una seduta del Comitato di Bioetica.Dall’analisi dei dati del registro delle sperimentazioni cliniche del Comitato di Bioetica è emerso un incremento del 20% delle sperimentazioni no profit anche in settori fino ad oggi meno coinvolti nella ricerca ed un aumento del 10% di quelli interdipartimentali.

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IL CONSENSO ALLA CURA NEL MALATO DI ALZhEIMER

Anna Carotenuto, Maria Luisa Aiezza, Angiola Maria Fasanaro,Francesco AmentaUnità Alzheimer e Comitato Etico A.O.R.N. A. Cardarelli, Napoli. Dipartimento di Medicina Sperimentale e Sanità Pubblica, Università degli studi di Camerino.

ABSTRACT

Caposaldo dell’etica della ricerca è il consenso informato. Nei soggetti con malattia di Alzheimer, tuttavia, viene chiesto a persone affette da una patologia che, per definizione, ne limita le capacità cognitive. Scopo di numerosi studi è stato quindi definire la capacità del paziente ad esprimere il consenso valutandone la capacità di a) manifestare una scelta b) comprendere le informazioni relative c) attribuire il corretto peso alla situazione e alle possibili conseguenze. Sono stati pubblicati, negli ultimi anni, numerosi studi che hanno analizzato la coerenza di diversi metodi di valutazione. In sintesi: mentre gli studi condotti negli USA, si basano essenzialmente sui criteri del MacArthur Competence Assessment Tool, quelli in ambito europeo, e, in particolare, italiano, propongono l’applicazione di tests neuropsicologici mirati a valutare la capacità decisionale del singolo paziente, partendo da una valutazione preliminare effettuata attraverso il test MMSE. Saranno analizzati i vantaggi e i limiti di queste proposte, insieme al ruolo del consenso del caregiver, che, pur rientrando nella normale prassi clinica, ed essendo, di fatto, essenziale per la corretta aderenza alla ricerca, non ha, in effetti, valore giuridico.

Bibliografia

1. Moreno JD, et al. Informed consent. In: Charwick RF. (Ed.). Encyclopedia of applied ethics. San Diego, CA: Academic Press; 1998. Volume 2. p. 687-97.2. Roth LH, et al. Tests of competency to consent to treatment. Am J Psychiatry 1977;134:279-84.3. Gurrera RJ, et al. Cognitive performance predicts treatment decisional abilities in mild to moderate dementia. Neurology 2006;66:1367-72.

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SPERIMENTAZIONE FARMACOLOGICA ED EvENTI AvvERSI: vALUTAZIONE DEL SISTEMA DI IDENTIFICAZIONE DEL SEGNALE D’ALLARME

P. Carta, C. Chillotti, E. Stochino, F. Ligas, A. Deidda, M. Del ZompoSezione di Farmacologia Clinica, Dipartimento di Neuroscienze “B.B.Brodie”, Università di Cagliari, Azienda Ospedaliero Universitaria Cagliari

ABSTRACT

la sperimentazione clinica rappresenta un momento importante della ricerca volta alla valutazione di efficacia e sicurezza di un trattamento farmacologico.Il Decreto legislativo 211 del 2003 descrive le modalità di notifica degli eventi avversi in sperimentazione: gli eventi avversi gravi e inaspettati (SUSAR) devono essere notificati al Comitato Etico (CE) entro 7 giorni se fatali o potenzialmente fatali ed entro 15 giorni negli altri casi.l’obiettivo del lavoro è verificare se la segnalazione degli eventi avversi al CE è sufficientemente tempestiva e completa per il riconoscimento di eventuali segnali d’allarme.Abbiamo considerato le segnalazioni inserite nel database SUSAR.CE del CE di Cagliari tra il 2004 e il 2006 relative a: rofecoxib e rituximab.I dati mostrano che nel 15% delle schede non viene fornita la stima della gravità della reazione, nel 63% (rofecoxib) e nel 41% (rituximab) delle schede non è fornito l’esito dell’evento.Inoltre, il 54% dei SUSAR è stato segnalato al CE tra il giorno 30 e il giorno 100 dalla notifica allo sponsor, nessun SUSAR fatale o potenzialmente fatale è stato segnalato entro 7 giorni.Nonostante la presenza di un’appropriata legislazione nazionale, l’identificazione di segnali d’allarme non è efficiente a causa del mancato rispetto della regolamentazione. Vengono suggerite alcune soluzioni per ridurre la gravità del problema.

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DISCUSSIONEITINERANTE DEI POSTER

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Vincenzo Avagliano, Filomena Barbato, Francesco Langella, Giuseppe Quaremba

vincitore del Primo premio per il poster più interessante

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INDAGINE CONOSCITIvA SULLA PRESENZA DEGLI INFERMIERI NEI COMITATI ETICI

Maria Cannovo*, Fabrizio Nizi***Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma** Scuola di Giurisprudenza - Università di Camerino

vincitore del secondo premio per il poster più interessante

Introduzionel’infermiere è sempre stato un operatore presente, ma all’ombra della classe medica, mentre oggi, gli infermieri sono un gruppo ampio e rappresentativo nell’ambito dell’assistenza sanitaria. Hanno un ruolo fondamentale nella tutela della salute delle persone e nella qualità dell’assistenza, alla luce di una visione della società che riconosce la centralità della persona ed il rispetto della sua dignità, insieme a principi di solidarietà, equità e attenzione verso soggetti fragili. Nell’ambito della ricerca, il ruolo rilevante degli infermieri si sta manifestando nella figura di un professionista clinico, di ampia esperienza ed adeguata preparazione sul piano metodologico, nonché di specializzazione nella conduzione di studi clinici controllati. Il percorso di evoluzione degli infermieri si fonda sul dominio delle basi scientifiche e delle relative conoscenze che ne costituiscono l’indispensabile presupposto per un’idonea legittimazione1.Oggi l’infermieristica si presenta come una scienza in piena evoluzione in cui il confronto internazionale dimostra una volontà ed un’energia che gli infermieri italiani hanno nel porsi come protagonisti nell’identificazione e nell’applicazione del progetto-salute per i cittadini e con i cittadini.Nonostante le differenze nazionali, tutti i Sistemi Sanitari si trovano di fronte ad una sfida comune: migliorare l’assistenza sanitaria, limitandone i costi. In questo contesto l’assistenza infermieristica è di conseguenza, sempre più interessata a dimostrare e giustificare la sua indispensabilità. la ricerca fa parte degli obblighi professionali che l’assistenza infermieristica ha nei confronti della società, il suo contributo alle cure sanitarie deve essere costantemente valorizzato e supportato. Il loro coinvolgimento spazia dalla progettazione alla conduzione di uno studio, fino alla valutazione critica della ricerca pubblicata.Tutti gli infermieri sono costantemente chiamati a rivedere ed a migliorare la loro pratica, sia coloro che hanno una formazione specifica di ricercatore, che coloro che sono consumatori della ricerca2.A prescindere dal grado di coinvolgimento, l’infermiere deve tener presente che migliorare le conoscenze nell’ambito della ricerca significa migliorare la qualità delle cure da prestare all’assistito.Gli infermieri possono essere coinvolti in studi clinici sperimentali con livelli di partecipazione diversi3:

1 FABBRI C., MONTALTI M. L’infermiere. Maggioli Editore Rimini 2005:8.2 ICN Migliorare la salute delle persone attraverso la ricerca infermieristica Giornata internazionale delle infermiere 1996.3 Infermieri e sperimentazione clinica (Dossier) Assistenza infermieristica e Ricerca2004,23, 2:75-78

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come collaboratori nell’ambito di progetti sperimentali inter-professionali •(classicamente ad appannaggio della classe medica);come infermieri dedicati al monitoraggio dello studio;•come referenti locali di una sperimentazione clinica.•come componenti del Comitato Etico del proprio Ente di appartenenza;•

Di converso, la presenza ancora formale degli infermieri nei Comitati Etici non è che il punto di partenza per poter giocare un ruolo più attivo nella società4. Un bilancio bioetico non può che iniziare con una riflessione sull’evoluzione della presenza dell’infermiere nei Comitati Etici.I Comitati di etica sono una conquista fondamentale nel mondo della Medicina, la cui composizione deve garantire le qualifiche e l’esperienza necessarie a valutare gli aspetti etici, scientifici e metodologici degli studi proposti. I componenti dei Comitati Etici debbono avere una documentata conoscenza e/o esperienza nella Sperimentazione Clinica dei medicinali e nelle altre materie di competenza del Comitato Etico5.la presenza dell’infermiere, come statuito dal DM 12 maggio 2006, nel Comitato Etico contribuisce al miglioramento della ricerca, dell’assistenza; favorire la comunicazione medico/paziente/parenti; fornire, nel rispetto delle singole competenze, un ulteriore aiuto nello svolgimento degli studi. Infatti, la competenza relazionale e di cura dell’infermiere diventa l’anello, altrimenti mancante, attraverso il quale le Commissioni di bioetica si avvicinano ai bisogni del paziente, traducendoli in termini verbali oggettivi che nel caso contrario, rimarrebbero inascoltati6.Il nostro lavoro si è prefisso di valutare come sia variata la presenza degli infermieri nei Comitati Etici italiani prima e dopo la pubblicazione dei nuovi requisiti minimi di composizione di tale organismo di diritto pubblico.

Materiali e metodi:

Si è provveduto a verificare in quali Comitati era presente la figura del rappresentante infermieristico del Comitato Etico, negli anni 2004 e 2005. Quindi si è inoltrato un questionario agli stessi, inerente la loro attività nel Comitato di riferimento. Successivamente all’emanazione del succitato decreto del 2006, si è provveduto a ricontare i rappresentanti infermieristici all’interno dei comitati, utilizzando sempre come riferimento ufficiale il Sito dell’Osservatorio AIfA.Il questionario ha assunto, oggi, il ruolo-simbolo nelle inchieste e raccolta dati della ricerca conoscitiva e sociale. la tecnica, vista l’enorme distanza degli interlocutori, è stato rigettata, preferendo la distribuzione dei questionari, quasi tutti per via telematica. Va anche precisato che il questionario fornisce più tempo per concentrarsi ed elaborare le risposte. Per quanto riguarda la forma tecnica questo questionario è composto da 14 items; alcuni

4 CULOTTA P. Gli infermieri nei comitati etici: presenza formale o sostanziale? Assistenza infermieristica e ricerca 2004,23,2.5 Decreto 12 maggio 2006 Requisiti minimi per l’istituzione, l’organizzazione e il funzionamento dei Comitati etici per le sperimentazioni cliniche dei medicinali. Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana 22 08 2006 Serie genera-le n. 194.6 KOALA B., BURHART L., Dilemma etico ed affezione morale: Nuove Diagnosi della NANDA. Il giornale interna-zionale delle terminologie e delle classificazioni di professione infermieristiche gen. 2005

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quesiti sono di tipo strutturale, ovvero domande prefissate a cui corrisponde un set di possibili risposte allegate; altre sono a risposta libera.

I punti affrontati sono stati i seguenti:identificare la figura del rappresentante infermieristico dei Comitati Etici;•analizzare i dati raccolti per individuare il tipo di ricerca che servirebbe per la •crescita professionale;registrare il loro concetto sulla formazione attuale del professionista infermiere •riguardo la gestione della ricerca infermieristica, e del loro inserimento nei Comitati di Etica;evidenziare il contributo del loro operato o gli eventuali ostacoli che possono •incontrare all’interno del Comitato Etico.documentare esperienze specifiche e diffonderle per attivare un confronto.•

le domande chiuse, costituendo massimo di strutturazione, hanno il pregio di avere rapidità di classificazione e di standardizzazione al questionario. Esse possono essere ben utilizzate per il trattamento statistico. Alcune domande sono a risposta alternativa (dicotomiche), contengono dati categorici binomiali, variabili per nome o categoria, che possiedono quindi due sole possibilità mutuamente esclusive, Si/No. Vi sono, poi, quesiti con una lista di preferenza, cioè seguite da un ventaglio di risposte. Alcune contengono dati categorici nominali, variabili per nome o categoria che non hanno nessuna scala di misura, es. la domanda sull’occupazione; altre contengono dati categorici ordinari, variabili per nome o categoria, caratterizzate da più di due valori, che possiedono una direzione chiaramente implicita, domande a scala (leadder question) per esempio: infermiere dirigente/infermiere coordinatore/ infermiere clinico. Nel questionario vi sono alcune domande aperte le quali sono meno standardizzabili, risultando difficili da codificare, ma che danno più spazio alla soggettività dell’interlocutore. Il questionario è preceduto da una presentazione sullo scopo della ricerca che ha l’intento di conquistare la motivazione dell’interlocutore, e allo stesso momento di darne un chiarimento.è inoltre garantito che i dati saranno resi pubblici in forma anonima secondo il D.lgt. 196/03, e che nessun riferimento esplicito o implicito verrà fatto nei confronti di coloro che hanno risposto al questionario.Tramite il database dell’Osservatorio Nazionale sulla Sperimentazione Clinica dei Medicinali, sono stati individuate le informazioni necessarie a contattare 110 Comitati, dislocati in tutte le regioni italiane.

I questionari raccolti sono n° 85, un campione abbastanza rappresentativo in quanto sono arrivate risposte in modo omogeneo dal Nord, dal Sud e dal Centro Italia.

Dobbiamo segnalare che le risposte sono state celeri, testimonianza di un’ottima collaborazione degli infermieri contattati, e che ciò ha favorito la possibilità di completare l’indagine.

Terminata la raccolta si è proceduto alla classificazione dei dati e della loro rappresentazione ad opera dell’utilizzo di Excel, foglio di calcolo per la realizzazione di tabelle e grafici.

Risultati e considerazionile tabelle ed i grafici che seguono costituiscono l’elaborazione dei risultati della “Indagine conoscitiva sui Comitati Etici e professione infermieristica”.

Nella tab. 1 sono riportati i dati della distribuzione dei Comitati Etici sul territorio italiano,

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ed in particolare della regione lazio, nonché la presenza dei rappresentanti della professione infermieristica nelle singole province.

Tabella 1 - Comitati Etici in Italia distribuzione per Regione.

Tabella 2 - Infermieri presenti nei Comitati Etici della Regione lazio, distribuiti per Provincia. (Settembre 2006)

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Tabella 3 - Comitati Etici presenti nella regione lazio.

1. Da quanto tempo svolge la professione di infermiere?Con le prime tre domande si è cercato di inquadrare in che ambito si svolge l’esercizio

professionale la figura del rappresentante infermieristico dei Comitati Etici.

Grafico 1 - quesito1° -

la ricerca evidenzia che la maggior parte dei Rappresentanti svolge la professione di infermiere da più di 10 anni. Alcuni intervistati hanno tenuto a precisare che sono infermieri da più di venti anni.

2. Che ruolo svolge nell’azienda in cui lavora?

Grafico 2 - 2° quesito -

Il ruolo svolto nell’azienda in cui lavorano è per la maggior parte di infermiere dirigente, ma non mancano gli infermieri coordinatori, mentre pochi sono gli infermieri clinici. Per quanto riguarda la locuzione “altro” è compreso un professore associato.

Da precisare che sono presenti, tra i rappresentanti infermieristici dei Comitati Etici, alcune

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persone che svolgono la professione ostetrica, più precisamente una ostetrica dirigente, due ostetriche coordinatori ed un’ostetrica clinica.

Tra gli infermieri coordinatori vi sono due pensionati, e per loro è stato considerato il luogo dove svolgevano il lavoro prima del collocamento a riposo.

luogo dove svolge il suo lavoro?3. Grafico3 - quesito 3° -

Gli infermieri che fanno parte del Comitato Etico provengono per la maggior parte dal Servizio Infermieristico, dalle Unità Operative, mentre altri dal Corso di laurea, e pochi dalla formazione aziendale (tra l’altro alcuni dalla Direzione Sanitaria, uno da quella Generale, uno dall’Ufficio Qualità ed un altro dall’URP).

Ha fatto parte di un team di ricerca?4.

Questa domande sulla ricerca hanno l’intento di capire la posizione che gli interlocutori hanno sulla stessa ed individuarne il tipo di studi infermieristici che a loro avviso servirebbe per la crescita professionale.

Grafico 4 - quesito 4°-

Va precisato che alcuni intervistati, che hanno dato risposta negativa, hanno espresso la loro perplessità in merito alla ricerca clinica negli ospedali di provenienza, per i seguenti motivi così schematizzabili:

Mancanza di attività sperimentale nell’ospedale; •

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Tipologie di sperimentazioni approvate che non prevedono il coinvolgimento •della figura infermieristica;Recente assunzione;•Opportunità non ricercata;•Mansioni diverse da quelle dell’assistenza infermieristica, pertanto, a maggior •ragione, anche da quella sperimentale;

In merito al primo punto è stata sottolineata la carente preparazione non solo degli operatori ma anche degli ospedali in cui si lavora, per ciò che concerne la Sperimentazione clinica. è interessante riportare a parte il commento di un’intervistata, la quale ha evidenziato la concreta difficoltà di pensare e proporre una ricerca clinica infermieristica, poiché l’attività assistenziale comporta un assorbimento totale di forze.

4a) Se si, ritiene di aver avuto tutte le spiegazioni necessarie per gestire i pazienti sottoposti a sperimentazione?

Grafico 5 - quesito 4a -

4 b) Se no, potrebbe motivare la sua indicazione? Grafico 6 - quesito 4 b-

Gli intervistati hanno posto l’accento sulla carenza di preparazione del personale che afferisce ad una sperimentazione clinica, in un caso addebitata alla compagine medica.4 c) Se non ha mai avuto un’esperienza personale in un team di ricerca, ne ha mai avuto notizia da colleghi?

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Grafico 7 - quesito 4 c -

la partecipazione diretta degli infermieri alle ricerche sperimentali è ancora abbastanza limitata, e ciò lo attesta la limitata differenza tra i partecipanti o meno a tale attività.

5. Ritiene che le competenze professionali degli infermieri garantiscano una funzione di trait d’union tra lo Sperimentatore e i pazienti?

Grafico 8 - quesito 5° -

la missione dell’infermiere quale anello di congiunzione tra medico e paziente è fortemente avvertita dagli intervistati anche nel campo della ricerca.

Avverte la necessità di sperimentazioni cliniche in ambito infermieristico?5.

Grafico 9 - quesito 6° -

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6 a) Se si, potrebbe motivare la sua asserzione?

Con questa domanda a risposta aperta abbiamo dato la possibilità agli intervistati di esprimere liberamente la loro opinione, considerando che il tema della sperimentazione clinica infermieristica è relativamente nuovo nel nostro paese.

le risposte sono state schematizzate per rigore di esposizione, cercando di rendere il più fedelmente possibile il senso espresso dagli intervistati.

Alcuni interlocutori hanno dato più di una motivazione, per questo motivo non vi è riportato il totale nella tabella a doppia entrata che segue.

Grafico 10 - quesito 6 a -

Gli intervistati hanno posto l’accento sulla necessità di migliorare le conoscenze scientifiche della Scienza Infermieristica. È stato evidenziato che la poca ricerca clinica fatta in ambito nazionale ed internazionale, riguarda spesso aspetti marginali (problemi collaborativi, problemi di identità professionale), piuttosto che problemi centrali (diagnosi infermieristiche) per la professione infermieristica.

Avvertono anche la necessità di fare ricerca per migliorare la pratica assistenziale, soprattutto in quegli ambiti che sono carenti di evidenze scientifiche infermieristiche. Aumentare le conoscenze in ambito infermieristico - come sottolineato dagli intervistati- potrebbe innalzare il livello di riconoscimento sociale.

Un intervistato ha sottolineato che l’importanza delle ricerche cliniche porterebbe ad un miglioramento anche dei rapporti multiprofessionali. l’area infermieristica, come è stato sottolineato, ha zone di incontro con l’area medica, quindi nel percorso clinico assistenziale diviene inscindibile.

Tuttavia, la ricerca infermieristica è ritenuta carente in Italia, con una dicotomia di fondo negli stessi infermieri che, da un lato non si sentono preparati e dall’altro per il nuovo ordinamento delle professioni sanitarie, visto l’ambito di responsabilità e competenza dell’infermiere, ritengo sia arrivato il momento per l’infermiere di non fare solo studi sperimentali.

Gli infermieri sono convinti che la sperimentazione clinica in ambito infermieristico è diventata necessaria per produrre evidenze e per implementare la cultura della specificità professionale.

Interessante è la proposta di un intervistato il quale prospetta nelle Medicine Alternative un campo di sviluppo della professione infermieristica, prima che venga fagocitato da

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altre professioni sanitarie emergenti meno qualificate. 6 b) Se no, potrebbe motivare la sua asserzione?

Grafico 11 - quesito 6 b -

Chi ha risposto no, vede nella carenza della formazione professionale un limite per affrontare una sperimentazione clinica autonoma in ambito infermieristico, ancor più perché le tipologie di studi proposti vengono avvertite come futili.

Un intervistato ha sollevato la necessità di occuparsi di ricerca infermieristica, poi di ricerca clinica infermieristica in modo autonomo.

l’attuale formazione infermieristica fornisce le competenze necessarie per affrontare 7. una sperimentazione clinica in ambito infermieristico?

Con questo quesito si è cercato di segnalare il concetto che hanno gli interlocutori sulla formazione attuale del professionista infermiere riguardo la gestione della ricerca infermieristica.

Grafico 12 - quesito 7° -

Gli intervistati hanno autonomamente aggiunto la risposta “non so” perché si sentivano sganciati dal mondo accademico e pertanto poco informati sui programmi formativi.

Un intervistato ha polemizzato sull’attuale formazione di base, ritenendola “chiaramente insufficiente”, vicariata dalla formazione continua, la quale però, a suo dire, non può sempre essere volta a protocolli assistenziali ed altro, ma deve implementare il sapere professionale.

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Considera la presenza di un infermiere nei Comitati Etici:8. Grafico 13 - quesito 8° -

la presenza dell’infermiere nei Comitati Etici è percepita in generale, in modo positivo, pur tuttavia si sottolinea la necessità di sviluppare il ruolo dell’infermiere, prevedendone una definizione ed un riconoscimento in termini di collaborazione per il miglior conseguimento dei risultati prefissatisi.

Interessante è stata la risposta di un intervistato, che ritengo istruttivo riportare: “Dipende dal ruolo che svolge se è in grado di entrare nel merito e negli inganni delle sperimentazioni e ha il coraggio di smascherarli, può svolgere un serio ruolo di controllo. Se si limita ad asserire i principi e a verificare la bontà delle informazioni al Consenso, a vivere il ruolo come carica onorifica, allora no”.

9. la presenza attiva di Comitati Etici può costituire un sistema di regolamentazione efficace, riguardo all’applicazione di principi morali nella ricerca scientifica e nella sperimentazione clinica?

I Comitati Etici sono sorti da esigenza di tutela dei diritti del malato o dal bisogno di counseling sulle questioni più varie, ma le domanda è stata posta a conferma delle opinioni sull’effettiva positività dei Comitati Etici.

Grafico 14 - quesito 9°-

Il lavoro dei Comitati Etici è ritenuto aleatoriamente efficace, poiché per lo più è percepito come un ente formale, costituito da componenti poco preparati in materia.

Tali percentuali di risultato delineano, in qualche modo, la reale fisionomia dei Comitati

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Etici, che, certamente, costituiscono un sistema di auto-regolazione efficace in ambito bioetico ed in particolare della ricerca; ma la cui logica di funzionamento non dovrebbe essere tanto rivolta a stabilire ciò che è lecito o illecito quanto ad assicurare che le decisioni di colui che è effettivamente coinvolto possano avvenire dopo un’adeguata riflessione.

10. All’interno del Comitato Etico quali sono i temi più affrontati?Questo item intende rilevare gli argomenti che maggiormente si discutono nei Comitati

Etici. Anche in questa tabella non vi è riportato il totale, perché si poteva dare più di una risposta.

Grafico 15 - quesito 10° -

la maggioranza delle risposte propende per la sperimentazione clinica a testimonianza che in Italia i Comitati Etici stanno assumendo sempre di più una connotazione stereotipata di commissioni per la valutazione dei protocollo di ricerca.

Benché limitati non mancano i grandi temi della Bioetica, quali i trapianti, il Consenso Informato, la cura degli incapaci, con particolare attenzione alle problematiche etiche degli ultimi tempi, come le cellule staminali, la laicità del SSN nei confronti delle minoranze etniche del nostro paese. Un intervistato ha sottolineato che in tre anni di operato nel Comitato Etico non gli è mai stato sottoposto un protocollo infermieristico.

Ritiene che l’infermiere all’interno dei Comitati possa contribuire a migliorare la 11. metodologia di analisi dei protocolli?

Grafico 16 - quesito 11° -

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Con questa domanda si è cercato di evidenziare cosa pensano gli interlocutori sul ruolo che rivestono nel Comitato, evidenziando il contributo del loro operato o gli eventuali ostacoli che possono incontrare all’interno del Comitato Etico.

11 a) se si, come a suo avviso il personale infermieristico può contribuire?

Un’altra domanda a risposta aperta per dare la possibilità agli interlocutori di pronunciarsi sinceramente. I responsi sono stati schematizzati cercando di rendere il più fedelmente possibile il senso espresso dagli interrogati. Alcuni intervistati hanno dato più di una motivazione e per questo motivo non vi è riportato il totale nella tabella a doppia entrata che segue.

Grafico 16 - quesito 11 a -

Gli infermieri rivendicano la loro posizione di tramite tra classe medica e mondo degli assistiti e pertanto si candidano come elemento privilegiato di dialogo tra i due elementi, forti del carico di esperienze umane che giorno dopo giorno acquisiscono in corsia.

Inoltre, l’infermiere per innata propensione dell’attività svolta, può verificare sul campo l’applicazione dei principi della Bioetica che sono la base della sperimentazione clinica.

Non manca l’evidenza che la presenza di un infermiere nel Comitato Etico possa agevolare le considerazioni di fattibilità locale per ciò che concerne le risorse umane.

11 b) se no, potrebbe motivare la sua asserzione?

Grafico 17 - quesito 11b-

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la sottomissione della maggior parte dei protocolli di ricerca preconfezionati dalle industrie farmaceutiche, e quindi disegnati secondo i crismi legislativi, fa sentire sminuita l’attività dei componenti del Comitato.

Vi è stata la testimonianza di un infermiere clinico che addirittura ha definito il ruolo dell’infermiere marginale.

Ritiene che l’infermiere all’interno dei Comitati possa farsi portavoce dei problemi legati 12. ai carichi di lavoro del personale infermieristico coinvolto nella sperimentazione?

Questa risulta essere una domanda un po’ provocatoria, visto che la maggior parte degli interlocutori proviene dal mondo della Dirigenza Infermieristica, ed affrontano spesso il gravoso problema dei carichi di lavoro.

Grafico 18 - quesito 12° -

le risposte degli intervistati vedono nel Comitato Etico un interlocutore privilegiato per poter parlare dei loro carichi di lavoro.

Alquanto emblematico è il fatto che le risposte negative provengano soprattutto dal lazio, i cui interlocutori sottolineano la necessità di differenziare ciò che è il contributo degli infermieri nei Comitati Etici da quello che è invece il fabbisogno del personale.

Il Comitato Etico può essere il luogo in cui si parla di carico di lavoro, ma comunque come elemento cornice della ricerca stessa.

Chi ha risposto negativamente ha sottolineato l’importanza di portare le proprie dimostranze in occasione della contrattazione di Budget.

È importante sottolineare come hanno ricordato alcuni interlocutori che hanno risposto positivamente, che nei paesi anglosassoni all’aumento del carico di lavoro per pazienti sottoposti a studi, deve essere sopperito l’aumento del personale, per garantire la qualità dell’assistenza agli altri pazienti.

l’attuale formazione infermieristica fornisce le competenze necessarie per 13. l’inserimento degli infermieri nei Comitati Etici?

Un’altra domanda sull’istruzione attuale degli infermieri, rivolta sulla loro formazione all’inserimento nei Comitati Etici.

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Grafico 19 - quesito 13° -

Anche qui gli intervistati hanno autonomamente aggiunto la risposta “non so” sentendosi poco informati sui programmi formativi. Ma a questa domanda le risposte negative sono state quasi il doppio di quelle positive, ma è stata evidenziata una piccola percentuale che crede sulla preparazione post-base.

Come ha avuto modo di sviluppare le sue competenze bioetiche per partecipare al 14. Comitato Etico?

Quest’ultimo item ha l’obiettivo di documentare l’esperienza che ha portato gli interlocutori ad essere membri di un Comitato Etico.

Grafico 20 - quesito 14° -

la formazione etica nasce dai corsi universitari o equipollenti, molto dagli aggiornamenti continui e, soprattutto, dalla necessità delle sensibilità individuali.

la stessa partecipazione ad un Comitato è vista come occasione per addottorarsi sul tema. Alcuni interlocutori si sono ritenuti preparati in quanto insegnanti di etica o deontologia professionale, in considerazione che tale condizione è anch’essa come una fonte ulteriore di ammaestramento. Peculiare è l’affermazione che dalla pratica quotidiana nasca la conoscenza bioetica. Del resto sganciarsi dalla pratica clinica porterebbe gli operatori a sterili speculazioni scientifiche dimenticando che il fine è il miglioramento dell’assistenza clinica.

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CONCLUSIONIGli Infermieri nel Comitato Etico7 giocano un ruolo un po’ confuso, tenendo presente che una buona parte non ha le competenze sufficienti per entrare nel merito della discussione tecnica di protocolli sperimentali (l’appropriatezza delle dimensioni del campione della raccolta dati), e quindi non può dare un contributo alla discussione tecnica sul merito del protocollo. Va specificato che la formazione infermieristica è di buon livello, ma l’attività nei Comitati Etici necessità di un training pertinente.Essendo professionisti sanitari, gli infermieri non possono neanche giocare il ruolo degli utenti quindi, non sono considerati esperti, ma rappresentanti, e non dei pazienti, delle associazioni infermieristiche (rappresentante del settore infermieristico)8. In numerosi casi il contribuito si limita a valutare se le richieste di Consenso Informato sono adeguate, lasciando ai clinici la valutazione tecnica del protocollo.

Perché un infermiere possa esercitare con competenza la sua funzione nel Comitato Etico deve, dunque, sviluppare gli elementi della moralità, in particolare la coscienza etica.

Per ottenere questo risultato è fondamentale il percorso formativo professionale e personale dell’infermiere. Non deve limitarsi ad apprendere nozioni etiche, ma deve divenire “una persona etica”, attraverso l’approfondimento delle conoscenze, il dialogo con le altre figure a cui si relaziona, ossia medico e paziente.

Gli infermieri sono consapevoli che l’autonomia raggiunta deve tradursi in qualità delle prestazioni auto ed etero valutate e in qualità percepita dall’utente da qui l’esigenza che gli stessi producano modelli e processi utili alla crescita della cultura professionale e della scienza infermieristica.

la piena valorizzazione dell’assistenza infermieristica è, infatti, collegata alla presentazione di risultati infermieristici ‘propri’, basati su evidenze scientifiche e dimostrati mediante la sperimentazione e l’applicazione di metodi e strumenti adeguati.

Gli infermieri hanno a disposizione tutti gli elementi (legislativi, formativi, deontologici), per assumere il ruolo di un operatore sanitario autonomo e consapevole.

la strada intrapresa è quella giusta. Sia come fruitori che come produttori della ricerca si deve intraprendere uno sforzo

comune, che consenta un’ulteriore crescita sostenendosi l’un con l’altro, ricordandosi che il futuro degli infermieri dipende dal contributo di tutti, dall’unità, dalla coscienza comune.

7 Gli infermieri nei Comitati etici per le sperimentazioni (Dossier) Assistenza infermieristica e Ricerca 2001,2: 74-788 Decreto 12 maggio 2006

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Nunzia Cannovo, Danila Faillace, Loriana Paciello

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Rosaria Cannovo, Santilla Barr, Alessandro Iacono

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IL FARMACISTA TERRITORIALE

Rosaria Cannovo, Santilla Barr, Alessandro IaconoServizio farmaceutico dell’ASL NA 2-DS 67

IntroduzioneUna Malattia è considerata “rara” quando colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti. la bassa prevalenza nella popolazione non significa, però, che le persone con malattia rara siano poche, si parla infatti di un fenomeno che colpisce milioni di persone in Italia e addirittura decine di milioni in tutta Europa. Del resto, il numero di Malattie Rare (MR) conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7000 e le 8000. l’attenzione alle malattie rare è relativamente recente e, sicuramente, è molta la strada ancora da percorrere per poter garantire ai pazienti una qualità di vita accettabile (tab. 1)

Tabella 1- Principali determinazioni statali.

Nel nostro lavoro presenteremo un caso clinico relativo ad un’unica famiglia di cui si è occupato il Servizio farmaceutico dell’ASl NA 2-DS 67.

Case reportTre bambine affette da atassia-teleangectasia o sindrome di louis-Bar, rara malattia degenerativa che interessa vari organi, caratterizzata da atassia (un disturbo della coordinazione motoria, provocato da un danno a livello del cervelletto, che consiste nell’incapacità a controllare adeguatamente la misura e la precisione dei movimenti volontari), da teleangectasia (una lesione vascolare formata dalla dilatazione di piccoli vasi sanguigni) che interessa gli occhi e la cute, da immunodeficienza (un deficit della capacità dell’organismo di rispondere alle infezioni) e da un’alta incidenza di leucemie e di tumori. la natura del difetto immunologico è sconosciuta e la sindrome è ereditaria attraverso una trasmissione autosomica recessiva (cioè viene trasmessa da due genitori portatori sani della malattia), colpendo un bambino ogni 35.000-40.000 nati.Il percorso diagnostico-terapeutico è stato complicato dall’esiguo numero di strutture sanitarie e operatori in grado di fornire risposte soddisfacenti ai bisogni dei pazienti affetti da MR.la madre ha scoperto che le due figlie sono affette da tale patologia quando era all’VIII mese di gestazione della terzogenita.

Il ruolo del farmacista territorialeIl farmacista territoriale opera nelle Aziende Sanitarie locali e nelle altre istituzioni pubbliche, svolgendo attività di farmacovigilanza (raccolta delle segnalazioni di reazioni avverse ai farmaci), monitoraggio della spesa farmaceutica, vigilanza sulla corretta gestione

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amministrativa delle farmacie, programmazione della attività di distribuzione diretta (i casi in cui i alcuni farmaci vengo ceduti al cittadino direttamente dalle strutture pubbliche).Per ciò che concerne il suo ruolo nei confronti dei pazienti affetti da malattia rara, il farmacista territoriale funge da:1. anello di congiunzione tra il SSN ed il paziente;2. portavoce delle necessità assistenziali dei pazienti affetti da MR;3. oggetto di frustrazioni delle famiglie con parenti affetti da MR.Nel caso in valutazione, il Servizio farmaceutico Distretto 36 di Ischia si è dovuto attenere alla normativa vigente (tab. 2), potendo garantire una minima assistenza.Infatti, esso può solo fornire alla famiglia un olio da bagno per il trattamento di piaghe a braccia, gomiti, collo, nonché prodotti topici che attenuino le manifestazioni cutanee.fortunatamente, i farmaci (florinef compresse e Hydrocortisone compresse) sono forniti direttamente dalle ditte produttrici.

Normativa comunitariaDecisione n. 1295/1999/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo: adozione del Programma d’Azione Comunitaria sulle Malattie Rare nel quadro dell’Azione della Sanità Pubblica per il quadriennio 1999-2003. Regolamento n. 141/2000 del 2000: indicazioni sui medicinali orfani con l’istituzione della procedura comunitaria per l’assegnazione della qualifica di medicinale orfano. Per svolgere questa attività è stato istituito nell’ambito dell’European Medicines Agency (EMEA) il Committee for Orphan Medicinal Products (COMP).

Normativa italianaPiano Sanitario Nazionale (PSN) 1998-2000: indicava fra le priorità la “tutela dei soggetti affetti da Malattie Rare” e tra gli interventi prioritari la realizzazione di una rete nazionale delle malattie rare.

Decreto Ministeriale 279/2001 “Regolamento di istituzione della rete nazionale delle Malattie Rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12-7-2001 - Suppl. Ordinario n.180/l: introduce le reti di assistenza.

Tab. 2 - Normativa internazionale e nazionale di riferimento

Alcune riflessioniAppare evidente che il farmacista territoriale incide poco sull’iter terapeutico delle MR, ma sicuramente è un punto di riferimento per le famiglie, poiché funge da punto di ascolto per tutte le necessità dei malati. la nostra esperienza ci ha indotto alle seguenti considerazioni in relazione al quesito: “perché studiare le malattie rare?”:

• numero dei pazienti è in costante aumento;• necessità di diagnosi differenziale;• decorso di una malattia rara spesso rappresenta una forma esagerata di uno schema comune

di malattia;• nuove idee sulla patogenesi di malattie comuni.

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Serena de Chiara, Maria Cioce, Nunzia Cannovo

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UNA RIFLESSIONE FILOSOFICA SULLA SPERIMENTAZIONE CON ESSERI UMANI. LA DIChIARAZIONE DI hELSINKI A CONFRONTO CON L’ARTICOLO DI hANS JONAS “PhILOSOPhICAL REFLECTIONS ON EXPERIMENTING WITh hUMAN SUBJECTS”

Isotta Burlin*, Nunzia Cannovo*** / ** Dottoranda di Ricerca in Bioetica, Università degli Studi di Napoli Federico II

In questo lavoro si vogliono discutere alcuni dei punti più importanti della Dichiarazione di Helsinki e delle sue Raccomandazioni per i medici impegnati in ricerche scientifiche utilizzanti esseri umani, confrontandoli con le riflessioni che Hans Jonas, autore de “Il principio Responsabilità1” (1979) e fine pensatore di temi di bioetica2, ha espresso nell’articolo del 1969 “Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects3”, redatto in occasione di una conferenza organizzata dall’American Accademy of Arts and Science per affrontare il tema dell’etica della sperimentazione utilizzante esseri umani,, poiché si ritengono essere molto vicine allo spirito della Dichiarazione. la quasi totalità degli articoli che compongono le tre parti in cui è divisa la Dichiarazione di Helsinki - Introduzione, Principi per Ogni Ricerca Medica, Principi Aggiuntivi per le Ricerche Mediche Associate all’Assistenza Sanitaria - può essere infatti indagata a fondo nella propria valenza etica e filosofica avvalendosi del pensiero del filosofo tedesco, il quale propone nuovi e talvolta provocatori criteri per la selezione di potenziali soggetti da impiegare in una sperimentazione, come ad esempio la “scala discendente di ammissibilità”, per garantire un consenso realmente libero ed informato di coloro che accettano di parteciparvi, attraverso una piena comprensione e condivisione degli obiettivi della ricerca cui si apprestano a partecipare. la Dichiarazione di Helsinki vide la luce nel Giugno 1964 grazie all’opera della World Medical Association (WMA), un’organizzazione internazionale indipendente che riunisce associazioni mediche di diversi paesi del mondo e promuove i più alti standard possibili di etica medica attraverso la formulazione di Dichiarazioni e Risoluzioni, e da allora ha subito sei revisioni e due chiarificazioni (1975, 1983, 1989, 1996, 2000, 2002, 2004, 2008) prima di raggiungere l’attuale conformazione4. Essa disciplina i settori più importanti della ricerca medica come, ad esempio, il consenso informato del soggetto che si sottopone alla sperimentazione, oppure il principio di proporzionalità tra rischi e benefici,la sperimentazione terapeutica e non, o infine l’utilizzo dei placebo durante le

1 Hans Jonas, Il principio responsabilità. Un ‘etica per la civiltà tecnologica, a cura di P. P. Portinaro, Einaudi, Torino 19932 La traduzione italiana di questo articolo di Hans Jonas si trova all’interno del volume a cura di P. Becchi Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, Einaudi, Torino 1997. Nella introduzione al volume, Becchi così definisce il pensatore tedesco di origine ebraica: “Jonas non è stato soltanto lo studioso di storia delle religioni che si è occupato soprattutto del pensiero gnostico, o il filosofo della natura che si è soffermato sui fenomeni della vita organica, e neppure soltanto l’autore che ha cercato di fondare una macroetica per la civiltà tecnologica, bensì l’attento indagatore di tutta una serie di scottanti questioni bioetiche.” Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit., introduzione, pag. IX.3 Hans Jonas, Philosophical reflections on experimenting with human subjects, Daedalus, vol. 98, n.2, Primavera 1969, pp. 219 - 247.4 L’ultima versione della Dichiarazione di Helsinki (World Medical Association Declaration of Helsinki, 2008) e la sto-ria dello sviluppo delle diverse edizioni sono consultabili integralmente in lingua inglese sul sito ufficiale della World Medical Association http://www.wma.net/en/ 10home/ index.html (aggiornato al 12-11-2009)

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sperimentazioni. Come affermato nella Dichiarazione stessa5, per garantire l’avanzamento della conoscenza medica è inevitabile che, ad un certo momento della ricerca, si giunga al punto in cui si deve necessariamente ricorrere ad esperimenti su esseri umani, i cui diritti fondamentali devono sempre e comunque essere tutelati per evitare di ricadere in irripetibili errori del passato - vedi gli esperimenti compiuti su esseri umani indifesi ad opera di crudeli ricercatori nazisti scoperti all’indomani della Seconda Guerra Mondiale che portarono alla compilazione del Codice di Norimberga nel 1947 - comportando gli esperimenti un certo livello di rischio e responsabilità6. Nella Dichiarazione viene sottolineato come sia doveroso non solo rispettare standard etici per la promozione del rispetto della salute e della dignità degli esseri umani coinvolti nella sperimentazione, ma anche come sia necessario garantire alle popolazioni più deboli una speciale protezione per evitare di ledere i diritti di coloro che o non possono dare o rifiutare il consenso per se stessi, o si sentono obbligati da forze esterne alla propria coscienza ad entrare in un programma di ricerca7. Per questo motivo la WMA ha proposto la stesura di una Dichiarazione che avesse come obiettivo principale la salvaguardia e la protezione di tutti i soggetti umani impiegati nelle sperimentazioni, affinché non solo i medici specialisti, ma tutto il personale coinvolto nella ricerca medica che si avvale di esperimenti sugli esseri umani, potessero continuare il proprio lavoro alla luce di alcuni fondamentali ed irrinunciabili principi etici8 ed i soggetti coinvolti nella sperimentazione potessero avere la garanzia che il proprio bene individuale avrà la precedenza su qualsiasi altro interesse relativo alla sperimentazione cui si sta sottoponendo9.la missione del medico specialista infatti, come afferma con forza la WMA, è quella di salvaguardare la salute delle persone e di dedicare le proprie conoscenze al perseguimento di questa missione10. Parte della missione consiste nel delicato momento della ricerca scientifica, la quale è necessaria al miglioramento della medicina stessa, poiché essa solo può fornire, ad esempio, nuove ed utili conoscenze in campo diagnostico e terapeutico o nel campo della prevenzione, permettendo di comprendere le cause, lo sviluppo e gli effetti delle malattie, o di monitorare continuamente le attuali conoscenze ed eventualmente adeguarle alle nuove scoperte11. la seconda parte della Dichiarazione statuisce alcuni principi etici che dovrebbe seguire il personale medico partecipante alle diverse fasi di una ricerca medica, primo fra tutti la preservazione della vita, della salute, della dignità, dell’integrità

5 Cfr. World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, Introduzione, punto 5.6 Cfr. World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, Introduzione, punto 8.7 Cfr. Ivi, punto 9.8 Cfr. Ivi, punti 1 e 2.9 Cfr. Ivi, punto 6.10 Cfr. Ivi, punto 3. Anche il seguente articolo 4 ribadisce l’importanza della comprensione da parte del medico ricer-catore della propria missione di salvaguardia della salute del paziente e della responsabilità estrema che ne consegue “ The Declaration of Geneva of the WMA binds the physician with the word, ‘The health of my patient will be my first consideration’, and the International Code of Medical Ethics declares that, ‘A physician shall act in the patient’s best interest when providing medical care’ ”.11 Cfr. Ivi, punto 7.

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e del diritto all’autodeterminazione, alla privacy12 ed alla confidenzialità delle informazioni personali riguardanti il soggetto della sperimentazione13. la ricerca che si avvale di esseri umani deve seguire strettamente i principi scientifici generalmente accettati dalla comunità scientifica, deve essere svolta in laboratori adeguati e da personale qualificato14. Inoltre, coloro che portano avanti una sperimentazione conservano, per tutta la durata della ricerca, la responsabilità della protezione della salute del soggetto in essa coinvolto, anche e soprattutto in presenza del consenso del soggetto15. Per questo motivo ogni volta che si disegna un nuovo protocollo di ricerca è necessario porre estrema attenzione anche alle considerazioni etiche, indicando esplicitamente in che modo il protocollo intende rispettare la Dichiarazione di Helsinki16, prima di sottoporlo al giudizio del Comitato Etico, essenziale garante dell’eticità di una sperimentazione. Discorso a parte meritano le delicate funzioni del Comitato Etico, al quale è affidato il giudizio sull’eticità di ogni protocollo di ricerca propostogli, e deve essere indipendente dal ricercatore, dallo sponsor o da qualsiasi altro elemento che possa influenzare il giudizio, avendo l’essenziale compito di stabilire se il protocollo è in accordo o meno con le leggi e le disposizioni del Paese o dei Paesi in cui la ricerca dovrà essere svolta, se rispetta gli standard e le norme internazionali, se in qualche modo può ridurre le garanzie spettanti agli esseri umani coinvolti nella ricerca stabiliti dalla Dichiarazione17. Per eseguire questi compiti, il Comitato Etico deve avere la possibilità di monitorare gli studi in ogni momento e deve essere aggiornato dal ricercatore di ogni evento avverso serio verificatosi durante la sperimentazione. Inoltre, prima di effettuare qualsiasi cambiamento all’interno del protocollo di ricerca, i ricercatori saranno obbligati a richiedere l’approvazione del Comitato18. I ricercatori dovrebbero iniziare una ricerca solo nell’interesse del soggetto che si sottopone ad essa19 e solo se in possesso della certezza che i possibili rischi sono stati adeguatamente calcolati e siano gestibili in modo soddisfacente. Inoltre, devono essere pronti a fermare immediatamente una ricerca nell’eventualità che i rischi siano diventati maggiori dei potenziali benefici20 perché devono agire sempre nell’interesse del soggetto. Questo concetto viene ribadito anche nella terza ed ultima parte della Dichiarazione, che statuisce i Principi Aggiuntivi per le Ricerche Mediche Associate all’Assistenza Sanitaria. Gli specialisti infatti, secondo la Dichiarazione, sono autorizzati ad unire all’assistenza sanitaria la ricerca medica solo se quest’ultima ha un potenziale valore preventivo, diagnostico o terapeutico e solo se si ritiene che la partecipazione del paziente al programma di ricerca non ne compromette la salute o la guarigione21. Proprio per questi motivi la Dichiarazione è molto rigida riguardo l’utilizzo dei placebo durante le sperimentazioni: esso può essere

12 Questo concetto viene ribadito anche più avanti dalla World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, nella sezione Principi per ogni ricerca medica, punto 23: “Every precaution must be taken to protect the privacy of research subjects and the confidentiality of their personal information and to minimize the impact of the study on their physical, mental and social integrity” e punto 25: “ For medical research using identifiable human material or data, physicians must normally seek consent for the collection, analysis, storage and/or reuse. There may be situations where consent would be impossible or impratical to obtain for such research or would pose a threat to the validity of the research. In such situations the research may be done only after consideration and approval of a research ethics committee”.13 Cfr. World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, Principi per Ogni Ricerca Medica, punto 1114 Cfr. Ivi, punti 12 e 1615 Cfr. Ivi, punto 1616 Cfr. Ivi, punto 1417 Cfr. Ivi, punto 1518 Cfr. Ivi, punto 1519 Cfr. Ivi, punto 2120 Cfr. Ivi, punti 18 e 2021 Cfr. World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, Principi Aggiuntivi per le Ricerche Mediche Associate all’Assistenza Sanitaria, punto 31

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usato solo quando non esistono attualmente cure comprovate, o quando è richiesto dal protocollo per motivi metodologici inoppugnabili e scientificamente solidi e non mette in pericolo la salute del paziente cui viene somministrato. In ogni caso bisogna vigilare attentamente affinché il ricorso al placebo non sia eccessivo22. Si noterà come ancora non si siano affrontate tematiche fondamentali trattate dalla Dichiarazione, ovvero le modalità per ottenere il consenso informato ed i criteri di arruolamento di coloro che si sottoporranno alla sperimentazione: questo perché ci si vuole dedicare all’analisi di questi due punti estremamente delicati solo dopo aver discusso in via preliminare alcune questioni filosofiche legate agli articoli della Dichiarazione di Helsinki appena esposti. È infatti interessante notare come Hans Jonas, in occasione della stesura del suo articolo “Philosophical Reflections on Experimenting with Human Subjects - scritto nel 1969, quindi cinque anni dopo la firma della Dichiarazione - si soffermi quasi esattamente sugli stessi problemi individuati dalla WMA, affrontandoli però da un punto di vista squisitamente - ed anche umilmente - filosofico, come egli stesso avverte nella presentazione dell’articolo23 omessa nella traduzione italiana pubblicata nel 199724. Secondo il filosofo tedesco, dal momento in cui gli esperimenti hanno cessato di riguardare solo oggetti inanimati, essi hanno perso la propria “innocenza”, trasformandosi in problemi di coscienza che toccano quindi la sfera morale e religiosa. l’esperimento sull’essere umano è sostanzialmente diverso da quello su oggetti inanimati poiché non è una mera ricerca, ma costituisce anche un rapporto di responsabilità tra due individui, lo sperimentatore e il soggetto, il secondo dei quali affida completamente la propria salute al primo, che dunque ne diventa corresponsabile, e, nel portare avanti il proprio lavoro, oltre a tenere sempre a mente l’obiettivo da perseguire, deve anche e sempre preoccuparsi di non ledere in nessun modo la dignità e i diritti di colui che si presta alla sperimentazione. Nondimeno è possibile evitare tali sperimentazioni, poiché, soprattutto nell’ambito della sfera umana, l’esperimento non può sostituire l’oggetto reale con un modello e, infine, anche dopo aver utilizzato modelli animali “man himself must furnish knowledge about himself, and the comfortable separation of noncommittal experiment and definitive action vanishes25”. È possibile notare a questo punto come tali concetti preliminari espressi da Jonas siano perfettamente sovrapponibili agli articoli 1,2,7 e 8 della Dichiarazione di Helsinki prima esaminati. Andando avanti nell’analisi dell’articolo di Jonas, ci si imbatte nella pregnante ed interessante domanda posta dal filosofo nel tentativo di comprendere i motivi per i quali la possibilità di utilizzare esseri umani come cavie suscita nella maggioranza delle persone un senso di opposizione, una sorta di “resistenza emotiva26” che spinge a cercare giustificazioni. lo studioso si domanda cosa sia ciò che più impressiona dell’eventualità che un uomo si trasformi, seppure per un periodo di tempo limitato, in oggetto di una sperimentazione scientifica. Non è tanto la possibilità di servirsi di un essere umano come mezzo per un fine ricercato - problema che già Immanuel Kant nel XVIII aveva affrontato - poiché questo

22 Cfr. Ivi, punto 3223 Cfr. Hans Jonas, Philosophical reflections on experimenting with human subjects, op. cit., pag. 219, dove si legge “When I was first asked to comment “philosophically” on the subject of human experimentation, I had all the hesita-tion natural to a layman in the face of matters on which experts of the highest competence have had their say and still carry on their dialogue […]”.24 Cfr. Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit., pp. 81 - 108.25 Hans Jonas, Philosophical reflections on experimenting with human subjects, op. cit., pag. 220. Nella traduzione italiana si legge: “Dopo tutti gli esperimenti sugli animali, è l’uomo stesso a dover fornire informazioni su di sé, e la comoda differenza tra esperimento non vincolante e azione vincolante sparisce”, Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit., pag. 81.26 Cfr. Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit., pag. 81 - 83

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avviene anche nei più basilari rapporti sociali, ad esempio nello sfruttamento del lavoro, bensì è la possibilità di rendere l’uomo una “cosa”, e per di più passiva, utilizzata per sperimentare “l’effetto di atti che non sono neppure vere azioni, ma prove di un’azione reale che si compirà altrove e in futuro27”, e dunque impossibilitato ad “entrare in azione come antagonista dell’altro o delle circostanze28”. Nei rapporti sociali, al contrario, le azioni sono vere, reali, e l’essere umano è un agente attivo,consapevole, in grado di scegliere e comprendere i motivi che lo portano a compiere determinate azioni, e dunque, dopo tutto, libero. Ridurre una persona a mera “cavia”, anche se dopo avere ottenuto il suo consenso, non rende eticamente accettabile e giustificata la reificazione che si compie durante l’esperimento, per questo motivo, conclude Jonas, ci deve essere qualcosa che rimedi “allo stato di ‘cosalità‘ cui il soggetto si sottomette29”. Tale è il senso della necessità di preservare, in ogni momento della ricerca, un’autentica - perché pienamente cosciente e liberamente motivata - volontà.

Sperimentazione: il bene della società a confronto con il bene individualela sperimentazione è un’azione che coinvolge inevitabilmente la società, sia perché coloro che verranno reclutati appartengono ad essa, sia perché i benefici e le conseguenze che porteranno le sperimentazioni - il cosiddetto progresso scientifico - saranno condivise all’interno della società: la sperimentazione è dunque un processo strettamente collegato alla nozione di bene comune30. È comunemente accettato come fatto ovvio che in alcune situazioni “da determinarsi pragmaticamente” sia possibile riconoscere al bene comune una certa priorità rispetto al bene individuale. Ma fin dove arriva il diritto della società di richiedere agli uomini che la compongono il sacrificio del proprio bene individuale31? Jonas nota che anche solo fatto che venga comunque sentito il bisogno di richiedere il consenso della persona che si sottoporrà all’esperimento, significa in un certo senso avvertire che la società e il bene comune non possono sempre e in qualsiasi caso prevalere sulla volontà del singolo e sul suo bene individuale. Esiste dunque “una differenza tra la pretesa morale di un bene comune e il diritto della società a tale bene e ai mezzi per realizzarlo32”. la pretesa morale ha bisogno del consenso da parte del soggetto cui si rivolge la richiesta, e se non lo ottiene non è legittimata ad agire contro la volontà del soggetto in questione. Il diritto della società a richiedere qualcosa a colui che ne fa parte può, tramite la legge, tradursi anche in costrizione del soggetto, senza che ciò venga avvertito come qualcosa di ingiusto. Persino l’appello all’interesse della maggioranza - oltre che ad essere pericoloso - non può legittimare una lesione del bene individuale da parte della società: anche se il numero dei colpiti da una determinata malattia fosse altissimo, ciò non sarebbe abbastanza per giustificare la lesione degli interessi di non è stato colpito33. Colui che si presta a diventare oggetto della sperimentazione compie un vero e proprio sacrificio della propria persona, della propria salute e del proprio bene individuale, ed un sacrifico è impossibile pretenderlo o imporlo per legge, perché è escluso dalla “cornice concettuale del contratto sociale34” posta alla base delle nostre società che presuppongono il primato dell’individuo, vero e proprio

27 Ivi, pag. 8228 Ivi, pag. 8329 Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit., pag. 8330 Cfr. Ivi, pag. 8431 Cfr. Ivi, pp. 83 - 8432 Ibidem33 Cfr. Ivi, pag. 8534 Cfr. Ivi, pp. 86 - 90

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assioma del pensiero occidentale.Secondo questo modello di società, l’unico caso in cui è giustificabile il diritto dello Stato di anteporre il bene pubblico all’inviolabilità dei diritti individuali è uno stato di evidente calamità, ad esempio una guerra, un’ epidemia o simili situazioni di emergenza35, che determinano il ricorso a mezzi estremi.Gli esperimenti che utilizzano esseri umani si pongono, secondo Jonas, a metà tra la normalità e gli stati di emergenza appena descritti, infatti, anche se non si è davanti ad un caso estremo per la sopravvivenza collettiva, comunque, durante esperimento, “quello che si richiede va decisamente al di là di ciò che della propria persona secondo giustizia si permette di solito all’individuo di mettere a disposizione del ‘bene comune’ 36”, e ciò lo si fa per uno scopo ritenuto essere di assoluta importanza, ovvero la specializzazione della cura e delle capacità di preservare la salute dei cittadini.Jonas - forse in modo non pienamente condivisibile e non considerando appieno i decisivi ed enormi vantaggi che le scoperte mediche hanno avuto, hanno, e potrebbero avere per l’umanità - è invece molto critico verso un obiettivo che secondo lui è perseguito dalla società, anche attraverso il ricorso alla sperimentazione su esseri umani, con una sollecitudine ingiustificata che ha quasi del maniacale, cioè “il continuo e costante miglioramento in tutti gli ambiti della vita37”, o, in altre parole, la promozione del progresso, che è certamente un nobile obiettivo, ma non tale da esigere il sacrificio della sfera individuale che è l’ambito più privato ed intimo di un essere umano.38 Il continuo progresso medico, secondo il filosofo tedesco, non ha lo status di necessità pubblica e, per questo motivo, la società non ha il diritto di esigere dai propri componenti il sacrificio in nome dell’avanzamento scientifico, a meno che, ovviamente, lo stato attuale delle conoscenze relative ad una malattia disponibili non sia sufficiente. Nondimeno, continua Jonas, “in nessun ambito l’obiettivo miglioristico è più inerente all’essenza dell’oggetto che nella medicina39”, perché migliorare le capacità di guarire fa parte del compito del medico.Ma come può l’esigenza di una categoria ristretta, la comunità medica, vincolare altre persone esterne ad essa, se il continuo miglioramento ed il continuo progresso medico non può essere considerato una necessità pubblica? Evidentemente tale esigenza può essere colmata soltanto attraverso lo spontaneo e libero sacrificio di persone che credono nella nobiltà dell’obiettivo della ricerca scientifica40. E sull’importanza della libertà, Jonas non smetterà mai di insistere non solo in questo articolo, ma anche in tutta la propria opera. Non è possibile pensare che il mio sacrifico sia imponibile dalla società perché io sono in debito per i benefici che ho ricevuto dalle precedenti sperimentazioni. Quest’ultime sono state possibili solo grazie a coloro che - liberamente - hanno deciso di sacrificarsi per la società e dunque è la società che è in debito con loro e non ha alcun diritto di reclamare il mio debito personale. Bisogna dunque cercare al di fuori della sfera del contratto sociale le motivazioni che spingono gli esseri umani a partecipare alle sperimentazioni sul proprio corpo, nella sfera che Jonas definisce trans - sociale, della quale fa parte il valore morale41, che non obbedisce, al contrario della pubblica legge del contratto sociale, alla regola del do ut des, non basandosi sulla reciprocità né su alcuna ricompensa, ma è racchiuso nella

35 Cfr. Ivi, pp. 90- 9236 Ivi, pag. 8937 Ivi, pag. 93 38 Cfr. Ivi, pp. 92 - 9639 Ivi, pag. 9540 Cfr. Ibidem41 Cfr. Ivi, pp. 96 - 97

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coscienza personale di ogni persona, dove ognuno è solo di fronte a se stesso o di fronte a Dio42. Nessuna forza esterna può intromettersi in questa sfera intima e sacra dalla quale sola può scaturire l’offerta del sacrificio di se stessi, ed è questa sfera che ha più bisogno di essere preservata, in primis con il dovere per la comunità scientifica impegnata nel reclutamento dei soggetti della sperimentazione di accertarsi dell’effettiva spontaneità e autenticità del consenso43.

L’acquisizione del consenso del soggetto: un problema filosoficoAll’acquisizione del consenso ed alle modalità con cui avviene questo delicatissimo quanto fondamentale momento sono dedicati ben undici dei trentacinque articoli di cui è composta la Dichiarazione di Helsinki, e l’articolo 24 costituisce il cuore del problema dell’acquisizione del consenso. la necessità di acquisire il consenso del soggetto che si sottopone ad una sperimentazione venne riconosciuta come diritto fondamentale dal Codice di Norimberga (1946) e la Dichiarazione di Helsinki pone notevole attenzione alla salvaguardia dei diritti di chi, si può dire seguendo le riflessioni di Jonas, decide di compiere un vero e proprio sacrificio della propria persona per il bene comune e per amore della ricerca. Nell’Introduzione della Dichiarazione si chiarisce prima di tutto che la ricerca medica è soggetta a standard etici che promuovono il rispetto dei diritti dei soggetti umani e della loro salute: tali soggetti possono essere sia persone nel pieno delle proprie facoltà e completamente capaci di comprendere e dare o rifiutare il consenso alla sperimentazione, o persone incapaci di farlo perché particolarmente vulnerabili, malate o incoscienti, le quali hanno bisogno di una protezione speciale44. In quest’ultimo caso la Dichiarazione afferma che l’arruolamento in una sperimentazione è giustificato solo se la ricerca rispetta i bisogni e le priorità della salute di tali persone e solo se esistono ragionevoli possibilità che queste possano trarre beneficio dai risultati della ricerca45. Inoltre, nel caso in cui il potenziale soggetto della sperimentazione sia incapace di dare o rifiutare il proprio consenso, il ricercatore si deve rivolgere ad un tutore legalmente autorizzato per ottenerne il consenso. Se poi la persona ritenuta incapace è in grado di acconsentire o rifiutare l’arruolamento in una sperimentazione - ad esempio nel caso sia un bambino - il ricercatore deve rispettarne il potenziale dissenso46. In ogni caso, quando la ricerca non è fatta per apportare direttamente dei benefici al soggetto incapace coinvolto, è ammissibile solo se a) la salute della popolazione rappresentata da quel soggetto potrebbe avere dei benefici dalla ricerca che si propone di fare; b) la stessa ricerca non può essere eseguita con un soggetto capace di dare il proprio consenso; c) la ricerca comporta rischi e oneri minimi per il soggetto coinvolto47. Nella terza sezione della Dichiarazione dedicata alla ricerca medica associata all’assistenza sanitaria, si pone molta attenzione ad una categoria di pazienti che potrebbero essere

42 Cfr. Ivi, pag. 9743 Cfr. Ibidem44 Cfr. World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, Introduzione, punto 945 Cfr. World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, Principi per Ogni Ricerca Medica, punto 1746 Cfr. Ivi, punto 2847 Cfr. Ivi, punti 27 e 29. Nel punto 29 la Dichiarazione afferma che la ricerca condotta su persone fisicamente o mentalmente incapaci di dare il proprio consenso - come ad esempio un paziente incosciente - può essere consentita solo se la particolare condizione fisica o mentale del paziente che gli impedisce di dare il consenso è necessaria per effettuare la ricerca. In questo caso il ricercatore deve richiedere il consenso al tutore legalmente autorizzato. Se quest’ultimo non è reperibile e la sperimentazione non può essere rimandata, lo studio può procedere senza l’acqui-sizione del consenso a condizione che la scelta di un soggetto in quelle particolari condizioni fisiche o mentali che gli impediscono di dare o rifiutare il proprio consenso sia prevista dal protocollo di ricerca precedentemente approvato da un Comitato Etico. Nel frattempo il ricercatore dovrà provvedere ad ottenere il prima possibile il consenso a con-tinuare la sperimentazione o dal soggetto o dal tutore legalmente autorizzato.

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particolarmente vulnerabili a pressioni da parte dei ricercatori, ovvero i pazienti non più curabili con le normali terapie, ai quali è possibile richiedere il consenso per acconsentire interventi sperimentali solo se il medico-ricercatore ritiene che vi siano reali speranze di salvezza, di ristabilimento della salute, o di alleviamento del dolore48. Queste sono le modalità da rispettare qualora di debbano arruolare per la ricerca soggetti incapaci di dare autonomamente il proprio consenso. Perché invece sia possibile arruolare in una sperimentazione un soggetto capace e consapevole, è necessario ottenere il suo personale consenso: anche se il ricercatore avesse già in mano il consenso della famiglia o del leader della comunità di tale soggetto, comunque la ricerca non sarebbe possibile prima di aver ottenuto il consenso libero ed informato della persona interessata49. Ulteriore garanzia risiede nella necessità di stabilire che tra ricercatore e potenziale soggetto non vi sia alcuna relazione di dipendenza o di subordinazione tale che possa essere inficiata l’assoluta volontarietà del consenso. In caso contrario, il consenso dovrebbe essere ottenuto da un individuo appropriatamente qualificato e completamente indipendente da questa relazione50. A questo punto è opportuno soffermarsi sull’articolo 24 che rappresenta il cardine delle modalità di acquisizione del consenso, costituendo un sintetica quanto esaustiva mappa grazie alla quale orientarsi all’interno dell’intricato sentiero che conduce infine all’arruolamento di un essere umano in una sperimentazione. Primo passo verso l’acquisizione del consenso è la chiarezza e l’onestà del ricercatore che deve informare il potenziale soggetto sugli obiettivi, sui metodi, sulle forme di finanziamento, su ogni possibile conflitto di interesse, sulle affiliazioni istituzionali del ricercatore, sui benefici attesi e sui potenziali rischi dello studio, nonché sui possibili disagi derivanti dallo studio e su qualsiasi altro elemento rilevante dello studio. Particolare attenzione deve essere prestata alle modalità con cui vengono distribuite tutte queste informazioni al soggetto, le cui capacità, grado di istruzione e provenienza devono essere rispettati. Secondo passo da compiere è l’instaurazione di un sereno rapporto di fiducia: il potenziale soggetto deve sapere che, anche dopo aver dato il proprio consenso, conserva sempre la possibilità di ritirarlo in qualsiasi fase della ricerca e questo senza alcuna conseguenza. Solo dopo essersi assicurati che il potenziale soggetto abbia compreso tutte le informazioni fornite dal ricercatore, quest’ultimo o un individuo appropriatamente qualificato, possono ottenere da lui il consenso libero e informato51 per contribuire insieme all’avanzamento della conoscenza. Dopo aver analizzato gli articoli della Dichiarazione di Helsinki che si occupano dell’acquisizione del consenso dei soggetti - o dei loro tutori in caso di incapaci - che si prestano a partecipare ad una sperimentazione, è interessante continuare ad interrogarsi sulle implicazioni etico-filosofiche di questo procedimento, avvalendosi delle considerazioni - e talvolta delle provocazioni - racchiuse nell’articolo Philosophical reflections on experimenting with human subjects di Hans Jonas. Secondo il filosofo tedesco, il solo fatto di lanciare un appello alla ricerca di volontari per una sperimentazione, comporta una pressione morale e sociale nonché una certa dose di persuasione. Ma, si domanda Jonas, chi è autorizzato a lanciare tale appello, e a chi viene rivolto52? Sicuramente i primi sono i ricercatori che possiedono la competenza tecnica per scegliere

48 Cfr. World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, Principi Aggiuntivi per le Ricerche Mediche Associa-te all’Assistenza Sanitaria, punto 3549 Cfr. Cfr. World Medical Association Declaration of Helsinki 2008, Principi per Ogni Ricerca Medica, punto 2250 Cfr. Ivi, punto 2651 Cfr. Ivi, punto 2452 Cfr. Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit., pp. 97 - 98

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chi, in che modalità e per quali motivi arruolare. Essi però, durante le proprie ricerche, dovranno sempre essere tenuti sotto controllo da parte della comunità scientifica e delle pubbliche autorità, costituendo in ogni ricerca una parte estremamente interessata e dunque non al di sopra di ogni sospetto53. Per quanto riguarda la domanda circa i destinatari dell’appello, Jonas non ha dubbi: “il naturale emittente della richiesta è anche il suo primo naturale destinatario: lo stesso ricercatore in campo medico e l’intera comunità scientifica54”. Se potesse verificarsi sempre una simile sovrapposizione scomparirebbero molti problemi legati alla sperimentazione su esseri umani, e questo perché ci sarebbe una completa identificazione di intenti, attese, speranze e conoscenze tra ricercatore e soggetto, ci sarebbe una piena comprensione delle modalità di svolgimento dell’esperimento e dunque massima libertà, massima comprensione, massima motivazione. Purtroppo però, il considerevole numero di malattie rende necessario il ricorso ad un numero di soggetti per le sperimentazioni che supera di gran lunga il totale dei componenti dell’intera comunità scientifica.Come fare allora per stabilire dei criteri, i più eticamente corretti possibili, per selezionare i migliori candidati ad una sperimentazione? È giusto anticipare che la soluzione cui giungerà Jonas, come lui stesso ammette, non sarà facilmente gradita all’industria della ricerca55. Si è già visto come massima spontaneità, massima motivazione e massima comprensione - o, in una parola, massima identificazione - siano i criteri fondamentali da seguire nella ricerca di potenziali soggetti, i quali dovrebbero poter essere reclutati prima di tutto nei settori della popolazione più colti, perché in grado di comprendere realmente le informazioni fornite dai ricercatori al momento dell’acquisizione del consenso; poi nei settori più ricchi e indipendenti, perché si ritiene che siano meno manipolabili grazie alla loro situazione economica e sociale (un uomo ricco ad esempio non parteciperà mai ad una sperimentazione solo perché ha bisogno di un compenso per la sua disponibilità e non ci sarà il pericolo che, ad esempio, uno studente o un subordinato si offrano come oggetti di una sperimentazione solo perché temono ripercussioni da parte dei propri superiori56); poi nei settori della popolazione più sani, poiché il consenso di persone sane si ritiene essere più libero di quello dato da un paziente che magari teme di non ricevere più le cure di cui ha bisogno se non partecipa alla sperimentazione propostagli57. A partire da questa riserva che purtroppo è obiettivamente ristretta, Jonas propone di seguire “una scala discendente di ideale ammissibilità che conduce ad una crescente abbondanza reale dell’offerta58”. Il principio su cui si basa questa scala proposta dal filosofo tedesco è che per trasformare il torto della reificazione subito da un individuo che diventa “oggetto” di un esperimento, bisogna fare in modo che egli si possa identificare il più (liberamente) possibile con lo scopo della ricerca, tanto da appropriarsene. Questa è la chiave per rendere il consenso non un semplice permesso ad essere trattato come un oggetto, ma una volontà. Ovviamente più si è in grado di comprendere lo scopo ed i metodi di una sperimentazione, più è facile identificarsi negli obiettivi di tale ricerca, e più informato e libero sarà il consenso dato.59 Ciò

53 Cfr. Ibidem. Tutte le considerazioni di Jonas analizzate sin qui in questo paragrafo possono essere confrontate con le raccomandazioni della Dichiarazione di Helsinki costituite dagli articoli 2, 10, 12, 14, 15, 16,19 precedentemen-te esaminati.54 Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit., pag. 9855 Cfr. Ivi, pag. 10056 Altro esempio che Jonas propone è quello del carcerato che acconsente alla sperimentazione nella speranza di ottenere un condono di pena o delle agevolazioni. Cfr. Ivi, pag. 10157 Cfr. Ivi, pp. 98 - 9958 Ivi, pag. 9959 Cfr. Ivi, pp. 100 - 102

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significa che il gruppo dei soggetti più poveri di sapere, di risorse economiche, di libertà di decidere, ovvero il gruppo di soggetti più vasto e disponibile, può essere utilizzato nelle sperimentazioni con molta, quasi estrema, riluttanza. Jonas è consapevole che questa sua proposta - che egli etichetta come “lo standard del noblesse oblige” - significa ribaltare completamente la regola che protegge prima di tutto gli elementi della società più insostituibili, rari e preziosi, ma afferma che per quanto contraria all’utilità, essa abbia una giustezza e persino “un’utilità” più alta ed intuitiva60”. Anche in questo caso è possibile confrontare queste riflessioni di Jonas con gli articoli 9, 17, 18, 22, 24, 26 e 34 della Dichiarazione di Helsinki per notare quanto siano concordi nell’affermare la necessità di un consenso realmente libero e consapevole e accorgersi di quanto condividano le stesse preoccupazioni per il procedimento attraverso il quale ottenerlo.

Nel suo articolo Jonas non tralascia di considerare anche quegli esperimenti che associano le ricerche mediche all’assistenza sanitaria - considerati anche nella terza ed ultima sezione della Dichiarazione di Helsinki - ovvero gli esperimenti eseguiti su quelle persone che, basandosi sulla scala discendente precedentemente illustrata, dovrebbero essere arruolate negli esperimenti esclusivamente come ultima ratio, perché più vulnerabili e dipendenti dal medico-sperimentatore, e meno indicati ad essere sottoposti ad oneri e rischi ulteriori61. Tuttavia, argomenta Jonas, la necessità di sconfiggere malattie, che è l’obiettivo della ricerca medica, esige ad un certo punto il ricorso inevitabile ad esperimenti su persone affetti da specifiche malattie. E qui ci si addentra nel nucleo di quel particolare rapporto basato su doveri, fiducia, onestà che è il rapporto medico-paziente.Afferma Jonas che il medico, nel momento in cui prende in cura un paziente, istituisce con questo un rapporto che il filosofo tedesco non stenta a definire di “sacrale” fiducia: se, dunque, si dovesse trovare nell’esigenza di proporre al proprio paziente la partecipazione ad un esperimento, dovrebbe tener conto del fatto che il paziente è un individuo vulnerabile, in uno stato di sofferenza fisica e psichica, reso debole dalla malattia, e dunque che “la spontaneità di un’auto-offerta è pressoché da escludere e il consenso è pregiudicato da una libertà ridotta62”. Tenendo conto di tale problema, anche in questo caso dovrà adottare la “scala discendente di ammissibilità” per il reclutamento dei pazienti, privilegiando dapprima i pazienti che più di tutti sono in grado di comprendere ed identificarsi con gli scopi della ricerca, ovvero i rappresentanti della classe medica, poi della comunità scientifica, poi, tra i profani, coloro che sono altamente motivati e capaci di comprendere in base alla propria istruzione gli scopi della ricerca, poi coloro che sono meno dipendenti da persone o denaro grazie alla propria situazione sociale ed economica, e, così via63.Ancora più delicato è il caso in cui l’esperimento prevede l’ignoranza o l’inganno del soggetto che si presta alla sperimentazione - ad esempio quando si ricorre all’utilizzo placebo nei gruppi di controllo. Jonas propone di ammetterne l’utilizzo solo in casi estremamente rari e inevitabili, mentre non ammette la possibilità di mentire ad un paziente che crede di essere curato quando invece non sta ricevendo alcuna cura per la sua malattia, perché ciò minerebbe alla base quel sacro rapporto di fiducia che deve intercorrere tra medico e paziente. Per quanto riguarda gli esperimenti su persone incapaci di dare il proprio consenso perché incoscienti, come per esempio i pazienti in stato comatoso, Jonas propone di vietare

60 Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit pag. 102. 61 Cfr. Ivi, pp. 102 - 10362 Ivi, pag. 10463 Cfr. Ivi, pp. 104 - 105

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categoricamente esperimenti non terapeutici in base al principio per il quale “l’essere estremamente inermi esige estrema protezione64”.la delicata decisione di iniziare un esperimento sul proprio paziente spetta comunque, alla fine dei conti, sempre al medico-ricercatore il quale è l’unico che può valutare caso per caso quando è il momento di fermarsi: Jonas è consapevole di questo ruolo sicuramente difficile e talvolta persino drammatico e afferma che, attraverso la definizione della “scala discendente di ammissibilità”, ha voluto fornire al ricercatore solo uno strumento, “una massima o un comportamento generale che gli consentano l’uso del proprio giudizio e della propria coscienza nei casi concreti della sua attività65”. Comunque sia, gli esperimenti eticamente ammissibili dovrebbero essere solo quelli strettamente attinenti alla malattia del paziente che dunque verrebbe arruolato nella ricerca solamente a causa della propria malattia, e ciò per garantire quel minimo di “condivisione degli scopi” che si è visto essere uno dei cardini della ricerca di potenziali soggetti per le sperimentazioni. Solo così il medico-ricercatore potrà essere sicuro di agire per il paziente e non su di esso, mentre il paziente saprà che con la propria malattia avrà contribuito al progresso della medicina66. Dal punto di vista della dignità del soggetto, afferma Jonas, vi è una grande differenza tra partecipare ad una sperimentazione dopo averne compreso e condiviso gli scopi e sapere che con il proprio sacrificio si potranno aiutare altre persone, e invece essere ridotti in oggetto di esperimenti perseguiti per favorire uno scopo estraneo, che avverrebbe qualora la sperimentazione non fosse collegata alla malattia del paziente67. la Dichiarazione di Helsinki dedica allo spinoso problema dell’impiego di pazienti nelle sperimentazioni cliniche un intero paragrafo, quello sui Principi Aggiuntivi per le Ricerche Mediche Associate all’Assistenza Sanitaria, e le riflessioni di Jonas appena esposte possono essere ritenute in accordo con lo spirito degli articoli 31, 32, 34, 35 in esso contenuti.In conclusione, Jonas nota come le sue proposte - soprattutto quella della “scala discendente di ammissibilità” - se tradotte in pratica potrebbero portare ad un rallentamento del progresso medico, ma, secondo il suo punto di vista, questo non sarebbe un grave danno, non essendo, il progresso ed il suo ritmo continuamente proteso verso un nuovo traguardo, nulla di obbligatorio o di sacro68. Potrebbe essere molte più pericoloso di molte malattie permettere di erodere dei valori morali la cui perdita renderebbe anche i più meravigliosi risultati della scienza non degni di essere posseduti, e dimenticare che, alla fine, l’essere umano è un essere mortale che deve accettare la durezza e la inevitabilità della conclusione della vita, nella quale però risiede anche la sua forza, come spinta a dare il meglio di sé entro i limitati confini di un’esistenza in bilico tra potenza e fragilità.

64 Ivi, pag. 10565 Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, op. cit., pag. 10666 Cfr. Ivi, pag. 10767 Cfr. Ibidem68 Cfr. Ivi, pag. 108

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BIBlIOGRAfIA

Hans Jonas, Philosophical reflections on experimenting with human subjects, Daedalus, vol. 98, n.2, Primavera 1969, pp. 219 - 247

Hans Jonas, Il principio responsabilità. Un ‘etica per la civiltà tecnologica, a cura di P. P. Portinaro, Einaudi, Torino 1993

Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, a cura di P. Becchi, Einaudi, Torino 1997

World Medical Association Declaration of Helsinki, 2008, consultabile integralmente in lingua inglese sul sito ufficiale della World Medical Association http://www.wma.net/en/ 10home/ index.html

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I DIRITTI UMANI E I PRINCIPI AI QUALI ESSI SI RIFERISCONO SONO DEFINITI UNIvERSALI

Luigi huoberPhD - Universitá degli Studi di Napoli Federico II

I diritti umani e i principi ai quali essi si riferiscono sono definiti universali. In virtù del semplice fatto di essere uomini abbiamo e godiamo di diritti. Tutti gli esseri umani dovrebbero essere messi in condizione di godere ed usufruire di diritti che attengono alla sfera culturale, economica, sociale e politica allo stesso modo. Uno dei diritti fondamentali è il diritto alla salute. Il Diritto alla salute ha un ruolo fondamentale nel campo dei diritti umani e nel riconoscimento del valore della dignità di ogni essere umano. l’Associazione Medica Mondiale lo definì come “0il diritto al godimento dello standard di salute mentale e fisica più elevato possibile“ mentre è ben nota la definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “la salute è uno stato fisico, mentale e sociale di completo benessere e non soltanto l’assenza di malattie o infermità”.Nel 1966 il diritto alla salute venne riconosciuto come diritto umano fondamentale nell’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights.Negli ultimi decenni il Diritto alla Salute, grazie all’attenzione rivolta dalla comunità internazionale ai diritti umani, è diventato il “diritto di ognuno al raggiungimento del livello più elevato possibile di salute mentale e fisica.“Quelli della “Non Discriminazione“ e di “Equalità“ (intesa come uguaglianza sostanziale) sono principi che implicano che gli stati debbano riconoscere e provvedere per l’eliminazione delle differenze e per individuare e soddisfare i “bisogni specifici“ di gruppi di persone che, a causa di una elevata vulnerabilità dovuta a particolari patologie, quotidianamente devono affrontare mille difficoltà.

Il Diritto alla Salute, caposaldo della Carta dei Diritti Umani, uno dei principi sempre ricordato ed inserito nelle cosiddette “Dichiarazioni Universali“.

Sin dal 1948, le Dichiarazioni universali delle Nazioni Unite hanno dato una spinta rilevante allo studio e alla definizione dei “Diritti Umani”:I “Diritti Umani” sono universalmente diretti alla tutela di ogni essere umano ed hanno l’obiettivo di trasformare un principio generale in una regola accettata universalmente.

la loro storia ha avuto inizio nel 1948, l’anno della Dichiarazione delle Nazioni Unite dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, ed è continuata fino ad oggi, ampliando a poco a poco la loro sfera di intervento con lo scopo di includere soprattutto i gruppi di persone e di cittadini, comunemente definiti “Vulnerabili”: donne, bambini, immigrati, persone anziane, persone con disabilitá minoranze sessuali e minoranze in genere.

Queste categorie di persone necessitano di una tutela particolare dei loro diritti e di una educazione particolarizzata finalizzata al cosciente raggiungimento del pieno godimento dei propri diritti fondamentali.

Perché le “Dichiarazioni Universali” sono importanti, se non necessarie nell’ambito della regolamentazione dei Diritti Umani?

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le Dichiarazioni Universali sono strumenti non vincolanti del Diritto Internazionale e, per questo motivo, non sono in grado di influenzare direttamente la vita dei singoli paesi e, in particolare, i rispettivi ordinamenti giuridici. Ma, allo stesso tempo, le “Dichiarazioni Universali” sono in grado di avere un effetto a lungo termine di influenza culturale nei confronti delle istituzioni e del mondo scientifico dei vari paese. Questo vuol dire che i principi presenti nelle Dichiarazioni Universali non sono immediatamente vincolanti, ma “potenzialmente vincolanti” ed in grado di esperire i propri effetti in una prospettiva a lungo termine e su un piano che differisce da quello prettamente istituzionale, quello dell’orientamento culturale. Per questo motivo, l’efficacia di testi “Universali” come ad esempio la Dichiarazione del ‘48, in quanto portatori di principi fondamentali definiti a priori, si propongono di avere un’efficacia più duratura di un provvedimento di legge perché possono influenzare in maniera duratura l’opinione pubblica.

le “Dichiarazioni” come afferma il Dr. R. Andorno dell’Universitá di Zurigo, coautore della nuova Dichiarazione dell’UNESCO sulla Bioetica, hanno l’effetto di “Catalizzare la creazione di consuetudini (intese come customary laws) esprimendo in termini normativi determinati principi il cui consenso è nell’aria... e rendere di conseguenza più semplice l’adeguamento della propria condotta al riguardo da parte dei singoli paesi”

In particolare, le Dichiarazioni hanno l’obiettivo di coinvolgere le società sul piano culturale e, in tal modo, influenzarne il modo di porsi nei confronti degli argomenti da esse trattati. I principi contenuti nelle Dichiarazioni sono quindi scritti per produrre effetti a lungo termine sui sistemi culturali e di conseguenza sugli ordinamenti di molti paesi.

Questo significa, infatti, che i Principi presenti nelle Dichiarazioni Universali e, in modo particolare negli strumenti di diritto internazionale che provengono dal lavoro delle Nazioni Unite, sono di regola “potenzialmente vincolanti”.

Questo potenziale si esprime in modo specifico nell’ambito della cultura e della ricerca scientifica, divenendo, nella maggior parte dei casi, una regola di buona pratica o una direttiva da seguire.

Come già ricordato soggetto principale delle Dichiarazioni Universali sono i cosiddetti Diritti Umani. Qual è la posizione dei singoli paesi nei loro confronti? E, soprattutto, come agiscono nel momento di applicare o di ratificare i principi universali dai quali discendono i Diritti Umani?

I singoli paesi hanno normalmente la tendenza ad interpretare “a modo loro” le Dichiarazioni universali. In realtà, ed è giusto ribadirlo, il fine delle Dichiarazioni e degli strumenti internazionali dello stesso genere frutto del lavoro delle Nazioni Unite è quello di proteggere ogni essere umano, senza eccezione alcuna, e indipendentemente dalla giurisdizione di ogni singolo stato.

le Convenzioni, i Covenants, i Trattati e le Convenzioni internazionali sono gli strumenti che le Nazioni Unite e il diritto internazionale utilizzano come strumenti giuridici che, dal canto

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loro, sono immediatamente vincolanti, anche se provenienti dalla stessa ratio universale che caratterizza gli strumenti di diritto internazionale che provengono dalle Nazioni Unite.

la Convenzione ONU per i diritti delle Persone con Disabilitá, l’ultimo, in ordine di tempo, rilevante atto proveniente dalle Nazioni Unite, si propone l’obiettivo di tutelare i diritti di un gruppo di persone che ha bisogni particolari e che necessita di una salvaguardia speciale dei propri diritti. (Mettere in riferimento della Convenzione. Titolo originale e data)

la Convenzione è entrata in vigore nel Marzo del 2008 ed è stata sottoscritta da più di 120 paesi. Negli ultimi mesi è stata ratificata da molti di essi ed in altri paesi il processo di ratifica è attualmente in corso. la Convenzione ha l’obiettivo di promuovere, tutelare ed assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità e di promuovere il rispetto per la loro dignità.

la Convenzione promuove standard di Diritti Umani e la loro applicazione da una “Disability perspective”, una prospettiva dal punto di vista del disabile, incoraggiando il riconoscimento di una eguale dignità di cittadino alle persone con disabilitá dopo una lunga storia caratterizzata da varie discriminazioni.

Principi fondamentali della Convenzione ONU sono:

Uguaglianza sostanzialeAutonomiaInclusione

la Convenzione porta avanti anche una “new view of disability”, una nuova visione della disabilitá. Questo nuovo punto di vista, deve e dovrà essere preso in considerazione come il leit motiv, l’argomento chiave del testo delle Nazioni Unite.

la partecipazione è importante per identificare correttamente i bisogni specifici per le persone con disabilitá e per rafforzare l’individuo nella vita di tutti i giorni.

Una partecipazione piena ed una effettiva e definitiva inclusione nella societá è riconosciuta nel testo della Convenzione nell’art. 3 come un “Principio generale”, e nell’art. 4 come un’obbligazione generale per i paesi firmatari. Infine essa viene riconosciuta in quanto “Diritto” negli artt. 29 e 30.

la Convenzione ONU descrive due tipi di discriminazione:

• la Discriminazione Diretta - le norme dei Diritti Umani proteggono i soggetti da forme di discriminazione previste da un ordinamento (per esempio da una legge) o forme di discriminazione di fatto (per esempio il rifiuto di ammettere un bambino con disabilitá in una scuola).• Discriminazione Indiretta- le norme dei Diritti Umani proteggono i soggetti penalizzati da misure che apparentemente non prevedono alcuna distinzione ma che, in realtà, trattandosi di una misura non penalizzante per persone sane, applicata in circostanze differenti, provoca una forma di discriminazione.

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Obiettivo della Convenzione è quindi eliminare ogni forma di discriminazione sociale, fisica, morale, religiosa o culturale.

la Convenzione ONU, inoltre, richiede ai paesi firmatari di garantire una “reasonable accomodation” dei diritti delle persone con disabilitá e di assicurare che le persone con disabilitá possano godere dei propri diritti sullo stesso piano degli altri.l’Accessibilitá è essenziale per abilitare le persone con disabilitá a vivere in maniera indipendente e a partecipare in maniera piena ed effettiva alla vita sociale.Pensare fin dalla fase di progettazione di Edifici, Siti Internet, Biblioteche, Edifici pubblici, Case al principio dell’Accessibilitá non dovrebbe apportare costi aggiuntivi tali da eliminarli. l’adattamento di “infrastrutture e progetti non accessibili”, è invece molto piú dispendioso.Obiettivo della Convenzione è anche quello di identificare i diritti civili, culturali, economici, politici e sociali e di renderli effettivi nell’ambito di quel processo di implementazione e di riduzione del gap di opportunitá che esiste per le persone con disabilitá nella partecipazione a tutti gli aspetti della societá.

la Convenzione parla del Diritto alla Salute nell’art. 25.Altri articoli della Convenzione che trattano della protezione della salute di persone con disabilitá sono:• l’art. 15, che oltre a riconfermare il principio della eliminazione di tutte le forme di tortura regola anche il consenso alla ricerca delle PCD• l’art. 17 che esamina il problema dell’integritá fisica e psichica delle PCD.

l’Art 15 comma 2 si riferisce al consenso alla ricerca da parte di persone con disabilitá.

l’articolo dichiara: “... nessuno può essere sottoposto, senza il proprio libero consenso, a sperimentazioni mediche o scientifiche“.

Il dettato dell’art. 15, 2 riprende in toto quanto contenuto nel Codice di Norimberga, primo codice di principi etici regolanti la ricerca scientifica ed il consenso a parteciparvi.

Dopo Il Secondo Conflitto Mondiale, il Codice di Norimberga vietò in maniera esplicita il coinvolgimento di soggetti che non fossero stati in grado di esprimere un consenso libero, volontario ed informato.Negli anni successivi al Codice di Norimberga si consolidò la tendenza a non proibire totalmente il ricorso a forme di sperimentazione che coinvolgessero soggetti incapaci di esprimere il proprio consenso. le Dichiarazioni, i Codici e le linee Guida internazionali fanno spesso rientrare le persone con disabilitá nella categoria delle persone incapaci di esprimere il proprio consenso.

Gli artt. 27 - 29 della Dichiarazione di Helsinki, l’art. 1 comma 4 e l’art. 5 delle linee Guida Europee per la ricerca 2001/20 e l’art. 7 della nuovissima dichiarazione dell’UNESCO, regolamentano la ricerca che coinvolge persone incapaci di esprimere il proprio consenso.le persone con disabilitá che non hanno la capacità di esprimere il proprio consenso alla ricerca, sono direttamente incluse in questa categoria.Inoltre, molti studi hanno evidenziato le carenze della Direttiva Europea nella regolamentazione delle problematiche etiche relative alla ricerca che coinvolge i soggetti incapaci.

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Chiaramente il problema si ripercuote anche sulle legislazioni nazionali in materia di ricerca medica.In Italia, il Decreto legislativo 211/2003, che ha ratificato le linee Guida Europee del 2001, regola la ricerca che coinvolge i soggetti incapaci all’art.5.la legge italiana basa la validità del consenso su una presunzione di consenso e sulla capacità del legale rappresentante ad esprimere il reale volere del soggetto coinvolto.In Germania la legge AMG (arzneimittelgesetz) sui prodotti farmaceutici include anche le Regulations europee. Il consenso alla ricerca dei soggetti incapaci viene regolamentato nella sezione 41. Tale sezione include la ricerca sui minori e, rispettando il trend europeo, autorizza implicitamente la sola ricerca effettuata a scopi terapeutici.Alla luce delle ultime Regulations, i criteri necessari a stabilire la capacità ad esprimere il consenso e quindi a poter partecipare ad un trial di ricerca sono:

• la capacità di manifestare una scelta• la capacità di comprendere informazioni relative al consenso• la capacità di analizzare i pro e i contro della ricerca• la capacità di utilizzare in maniera razionale le informazioni ricevute.

Quale tipo di ricerca che coinvolge soggetti incapaci è comunemente accettata?le Regulations europee autorizzano ed ammettono le ricerche a scopo terapeutico: se vi siano benefici diretti per il paziente; se i rischi siano minimi; dopo che sia stato acquisito il parere positivo di un Comitato Etico; se vi sia il consenso del rappresentante legale o, nel caso questo sia possibile, il consenso differito del soggetto coinvolto.Esistono delle possibili soluzioni per ovviare al divieto assoluto per le persone incapaci di partecipare a trial di ricerca a scopi non terapeutici?Molti studi americani ed europei hanno discusso di eventuali soluzioni di questo problema. Molti sono gli studi che fanno riferimento al Consenso Differito, ma il problema della responsabilità in caso di diniego a posteriori del consenso sarebbe molto complicato da poter risolvere.Altri studi hanno trovato l’unica soluzione nel consenso del legale rappresentante, il cosiddetto “surrogate decision maker”.Studi americani hanno invece puntato sul c.d. “waived consent”, ovvero sulla non necessità di esprimere il consenso, estendendo l’ambito di applicazione in quello dei casi definiti di emergenza. Studi tedeschi, invece, hanno discusso i pro e i contro della Gruppennützlichkeit (l’utilità derivante dalla partecipazione al trial per il gruppo di persone affette dalla stessa patologia del soggetto coinvolto nella ricerca).

la Convenzione ONU e il suo Potenziale Innovativo.

la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilitá porta con sé un potenziale innovativo importante. la Convenzione richiama i paesi firmatari alla “Progressiva realizzazione” della maggior parte dei suoi obiettivi.la CPD apporterà le seguenti innovazioni:

1. Una “nuova visione della disabilitá”: una Persona con Disabilitá deve essere vista come un soggetto in grado di rivendicare i propri diritti e prendere decisioni riguardanti la propria

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vita che siano basate sul proprio consenso libero ed informato esattamente come un membro della società che sia pienamente attivo.2. Un allargamento del campo di applicazione dei diritti umani: l’Internormatività è una tipica caratteristica dei documenti delle Nazioni Unite e soprattutto delle Dichiarazioni vicine alla Bioetica. Rispettare i principi della Convenzione ONU vuol dire automaticamente, rispettare i testi sui diritti umani in tutte le loro espressioni e forme.3. Design Universale: Costruire edifici e progettare prodotti per la società seguendo il principio di un Design Universale non apporta costi maggiori. Costruire Edifici accessibili, costerebbe solamente meno dell’1% in più rispetto ai costi di costruzione di un edificio non accessibile, e in prospettiva, spese di adeguamento minori o addirittura nulle.4. Un nuovo ruolo nella società per le PCD: Se i propositi della Convenzione nell’ambito dell’equiparazione delle opportunità venissero realizzati, e non vi si interponessero ostacoli, la persone con disabilità potrebbero essere lavoratori, consumatori e contribuenti come chiunque altro. Ciò produrrebbe effetti positivi a tutta la società, non solo a quest’ultimi. le Persone con Disabilità potrebbero così contribuire allo sviluppo della società con il loro bagaglio di esperienza, capacità e talento, ed essere utili anche nel mondo della ricerca medico-scientifica.

Che cosa cambia definitivamente dopo la Convenzione ONU?

le Persone con Disabilitá potranno:• Godere di una più ampia sfera di diritti • Partecipare attivamente alla vita sociale• Partecipare attivamente alla vita politica e culturale• Avere un maggior accesso al godimento dei propri diritti, incluso il diritto alla salute

Come potranno le Persone con Disabilitá partecipare attivamente alla ricerca?

Potrebbe una forma “uguale per tutti” del Consenso Informato essere sufficiente per espandere la sfera di indipendenza per le PCD nell’ambito del coinvolgimento alla ricerca medica e scientifica?A mio avviso si: l’eguale godimento di tutti i diritti umani, in relazione ad un nuovo potenziale ruolo nella società per le PCD, potrebbe rendere tutto ciò possibile.

Al riguardo sorgono alcune nuove domande:

Alla luce dei cambiamenti culturali e legali che la Convenzione ONU sta apportando, è possibile che i criteri di definizione della capacità a partecipare ad un trial di ricerca dipendano da nuovi e differenti fattori, che abbandonino la tendenza paternalistico/caritatevole che si è formata nell’ambito dell’approccio etico e morale alle problematiche riguardanti la Disabilitá?

Potrebbe una “nuova visione di Disabilitá” essere il primo passo verso un aumento delle possibilità di partecipare alla ricerca da parte delle Persone con Disabilitá?

favorire il pieno e cosciente godimento dei diritti individuali per le Persone con Disabilitá contiene di per sé un differente approccio al concetto di partecipazione alla ricerca.

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Individualizzare la partecipazione è una delle soluzioni da me proposte: seguendo un modello del Case/care management service, potrebbe essere creata una figura professionale ad hoc, in grado di determinare, naturalmente insieme al soggetto candidato a partecipare al trial di ricerca, in tempi e modi ragionevoli, i bisogni reali e le reali capacità di quest’ultimo.

l’obiettivo di questa relazione è quello di identificare i futuri sviluppi di nuovi criteri relativi alla capacità di esprimere il Consenso Informato alla ricerca da parte delle Persone con Disabilitá, di incrementare le loro possibilità di accesso alla ricerca nei paesi europei e di introdurre un nuovo dibattito intorno al soggetto “disabilitá e capacità dopo la ratifica e l’esecuzione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilitá.

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3 DICEMBRE

TERZA SESSIONEPROFILI OPERATIvI (seconda parte)

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SPERIMENTAZIONE ED “USO COMPASSIONEvOLE” DI FARMACI

Antonio GalluccioResponsabile scientifico dell’OsSC Nazionale sulla Sperimentazione Clinica dei Medicinali, AIFA

Introduzione l’Agenzia Italiana del farmaco - l’AIfA - è responsabile per la gestione degli usi cosiddetti ‘speciali’ di quei farmaci che non hanno un’autorizzazione all’immissione in commercio o non hanno l’autorizzazione all’immissione in commercio per una specifica modalità di uso (ad esempio una indicazione terapeutica). In altre parole l’uso speciale di un farmaco copre l’area grigia tra la fase sperimentale e l’effettiva registrazione e immissione in commercio.

In alcune circostanze, dopo la sperimentazione non sempre si effettua una registrazione, per motivazioni varie, per decisioni dell’azienda farmaceutica, ad esempio di una nuova indicazione di un medicinale, per cui un potenziale farmaco utile per una data indicazione potrebbe non essere messo a disposizione dei pazienti che ne avrebbero bisogno. Per questo motivo il legislatore ha emanato una serie di norme, a cui sono seguite delle determinazioni dell’AIfA, per cercare di regolamentare la transizione tra la fase di sperimentazione, l’uso del farmaco senza autorizzazione e l’immissione in commercio.

Legge 648 la prima normativa che vado ad illustrare è la legge 648, che risale al 23 dicembre 1996. Questa legge ha istituito un elenco di medicinali a carico del Servizio Sanitario Nazionale, nella condizione in cui, però, non esista una valida alternativa terapeutica.

Tramite l’applicazione della legge 648 si può pensare di includere nella lista un medicinale qualora non ci sia una valida alternativa terapeutica: qualora il farmaco sia commercializzato in altri Paesi, ma non in Italia; qualora il farmaco sia sottoposto a sperimentazione clinica ma non sia stato ancora autorizzato all’immissione in commercio.

Ad esempio, per ridurre il periodo di tempo che intercorre dal momento in cui è approvata l’autorizzazione dell’EMEA fino a quando sono espletati gli adempimenti nazionali necessari perché il farmaco arrivi in commercio.

Un altro esempio dell’applicazione della legge 648 è dato dai medicinali da impiegare per un’indicazione diversa da quella autorizzata. Naturalmente, stiamo parlando sempre di casi in cui ci siano dati clinici favorevoli a sostegno di tale richiesta. In tutte le normative che citerò si parlerà sempre di dati clinici favorevoli di sperimentazione almeno di ‘fase II’.

Per richiedere l’inclusione di un medicinale nella lista 648, che è pubblica e viene messa a disposizione tramite il sito web dell’AIfA, sono necessari dati di sperimentazione di ‘fase II’ e necessaria una formale richiesta che non può partire da un singolo soggetto ma, al

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contrario, da un’istituzione, o direttamente dall’AIfA, o da un’associazione dei pazienti, o da un’associazione scientifica. A volte le richieste arrivano direttamente dalle ASl, da un’Azienda Ospedaliera o dall’IRCCS; altre volte dalla farmacia o direttamente dai clinici. le richieste secondo la legge 648 seguono un iter procedurale. Non si può quindi richiedere genericamente l’inclusione in questo elenco. È necessaria una relazione clinica. l’assenza di valida alternativa terapeutica è un punto obbligatorio e viene valutata anche la gravità della patologia. Deve essere fornito un piano terapeutico, i costi per ogni paziente, mensili o per ciclo terapeutico, e tutta una serie di dati che riguardano lo stato autorizzativo, per esempio, se il farmaco è in commercio e dove, infine, la documentazione, perché, successivamente alla ricezione di questa domanda, l’AIfA dovrà valutare tramite la sua Sottocommissione Sperimentazione Clinica e la Commissione Tecnico - Scientifica l’idoneità della richiesta. In caso di esito favorevole della procedura il farmaco è incluso nella lista e messo carico del Servizio Sanitario Nazionale in modo tale che le farmacie di tutta Italia possano erogarlo.Nel momento in cui viene emessa la determinazione per l’inclusione del farmaco a carico del Servizio Sanitario Nazionale, l’AIfA può dare nella determinazione i suoi riferimenti riguardo al piano terapeutico, ai criteri di inclusione ed esclusione, alle condizioni relative alla fornitura, all’uso che dovrà essere fatto del medicinale. Inoltre, potrà fornire riferimenti riguardo al monitoraggio clinico dal momento che stiamo parlando di medicinali che non hanno l’autorizzazione all’immissione in commercio.

I pazienti che assumano un farmaco incluso nella legge 648 devono essere informati e firmare un modulo di ‘consenso informato’. Inoltre è richiesto un piano terapeutico e una prescrizione da parte di strutture specializzate, ospedaliere, universitarie o IRCCS. la dispensazione delle strutture prescrittrici avviene tramite il servizio farmaceutico o tramite il servizio della ASl.

l’altro elemento previsto dalla legge 648 è un monitoraggio dei dati di spesa. Dalle Regioni, infatti, provengono costantemente dei flussi relativi alla spesa farmaceutica indotta dalla legge 648. Legge 648, la lista storica e i nuovi allegatiA seguito della legge finanziaria in vigore dal 2007, che restringeva l’uso diffuso ‘off-label’, è stato necessario far ricadere nella legge 648 tutti quei farmaci in commercio anche da molti anni e di uso consolidato che erano parte della pratica clinica corrente ma che non avevano in scheda tecnica i riferimenti alle indicazioni di uso consolidato.

la lista storica della legge 648 è stata integrata, con una decisione dell’AIfA che risale al 2007, con cinque distinti allegati riferiti a farmaci di uso consolidato, per indicazioni anche differenti da quelle autorizzate. Qual è stato il percorso seguito per integrare questo prontuario di usi consolidati? Il primo input è stato di tipo politico, del Ministro della Salute. Nel momento in cui si è manifestato il problema, c’era una finanziaria che restringeva l’uso ‘off-label’, lo limitava tantissimo. Dopo una valutazione tecnica delle Regioni, c’è stato un parere dell’AIfA. l’AIfA, nel momento in cui ha deciso di utilizzare questo strumento, cioè gli allegati alla legge 648, ha cominciato a lavorare anche con le associazioni, e sostanzialmente sono stati costituiti dei

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tavoli tecnici permanenti presso di essa. I criteri valutati si sono basati sui dati della letteratura scientifica e sulla documentazione scientifica disponibile. le prime liste sono state quelle oncologiche, onco-ematologiche per cui si è fatto riferimento ai manuali di oncologia, alle linee-guida e a documenti di altre agenzie regolatorie. Naturalmente, questo è un processo che è costantemente soggetto a revisione, ciò significa che le liste non sono statiche.

Per sintetizzare, lo strumento della legge 648 prevede una lista storica in cui rientrano tutte le tipologie dei farmaci e i cinque allegati che, come vedete, sono stati anche recentemente aggiornati per quanto riguarda l’oncologia degli adulti, l’oncologia pediatrica e l’ematologia. Vi sono liste recenti che sono state pubblicate, tramite determinazioni dell’AIfA, dal dicembre 2008 al maggio 2009. I cinque allegati prevedono usi per indicazioni non autorizzate e perciò l’obbligo del ‘consenso informato’ sussiste comunque. Non sono tuttavia previsti quei formalismi di trasmissione dei dati clinici di monitoraggio, di spesa, né l’istituzione dei registri presso le strutture prescrittrici. Eventuali quesiti di carattere clinico relativi ai principi attivi inseriti nei cinque allegati possono essere inviati al nostro Ufficio a valutati tramite la Sottocommissione. Ogni richiesta viene valutata e a tutte viene data una risposta scritta e motivata.Esiste il sito web dell’AIfA relativo alla legge 648, in cui trovate tutti i riferimenti e tutti i prodotti che possono essere erogati a carico dell’SSN; esiste anche un’analoga pagina web per l’uso ‘off-label’, cioè la consultazione dei cinque allegati e delle relative determine.

Legge Di Bella (94/98)Torniamo indietro di qualche anno. Abbiamo cominciato a parlare, a legiferare sull’uso ‘off-label’per la prima volta con la legge Di Bella, legata al caso del dottor Di Bella. Per la prima volta una legge ha messo sotto la responsabilità del medico, previa l’acquisizione del ‘consenso informato’, la possibilità di utilizzare un medicinale al di fuori dell’indicazione terapeutica o anche per una via di somministrazione diversa, e comunque con una modalità diversa da quella autorizzata in base a dati documentabili e conformi a pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale. Questa possibilità veniva estesa anche alle ‘preparazioni magistrali’. Su richiesta del medico la farmacia può preparare una ‘preparazione magistrale’ per un uso off-label, purché ci siano tutta una serie di limitazioni: che la ‘sostanza attiva’ sia descritta in una farmacopea o che sia presente in un medicinale industriale; che si tratti di un prodotto non farmaceutico per uso orale (ad esempio gli integratori); che si tratti di un prodotto cosmetico per uso esterno. Si davano perciò una serie di possibilità anche all’uso ‘magistrale’, quindi non industriale di medicinali utilizzati ‘off-label’.

Poi c’è stata la legge finanziaria, in vigore dal 2007, che è andata a limitare fortemente la legge Di Bella. Essa proibiva l’applicazione per uso sistematico. In questo caso, l’uso sistematico è possibile solo nell’ambito della sperimentazione clinica. Da questa finanziaria nascono le cinque liste di cui vi parlavo prima. Ci troviamo di fronte ad una minore libertà del medico di prescrivere in modo seppure in presenza di dati favorevoli. Quindi, su impulso del Ministro della Salute è attuata la soluzione di ricomprendere tutto l’uso consolidato nelle cinque liste aggiuntive della legge 648.

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la legge Di Bella è sostanzialmente limitata e viene ulteriormente limitata con la successiva finanziaria in vigore dal 2008 che dichiara espressamente che non bastano le pubblicazioni su riviste accreditate internazionali: occorrono i dati favorevoli di sperimentazione clinica almeno di ‘fase II’. la legge Di Bella rimane comunque la soluzione di ultima istanza per la prescrizione off-label, a livello del singolo centro clinico.

Decreto Ministeriale 8 maggio 2003Una ulteriore normativa specifica garantisce l’accesso di un paziente ad un protocollo terapeutico di un medicinale che presenta dati di sperimentazione favorevoli ma che tuttavia è ancora in fase di sviluppo clinico.

Ci riferiamo al Decreto Ministeriale 8 maggio 2003. Il Decreto prevede che i medicinali debbano avere una qualità farmaceutica, debbano essere prodotti secondo le normative della sperimentazione clinica (autorizzazione GMP), visto che qui si parla di prodotti medicinali che possono non essere ancora in commercio. Una volta che è stata assicurata la qualità del medicinale, può accadere che questo prodotto possa essere richiesto dal medico curante per uso nominale al di fuori della sperimentazione clinica, qualora non esista una valida alternativa terapeutica, per patologie gravi, malattie rare o condizioni che mettono il paziente in pericolo di vita.Quali sono i dati clinici necessari per applicare il Decreto? Risultati favorevoli di fase III o, in condizioni particolarmente gravi, soggetti in pericolo di vita, studi conclusi di fase II. Ovviamente i criteri di inclusione per applicare questo Decreto devono essere assimilabili, cioè entrano in questi protocolli terapeutici soggetti che abbiano gli stessi criteri di inclusione delle sperimentazioni. Viene imposta quindi un’ulteriore restrizione; ci troviamo nel classico caso di “uso compassionevole”, la fase sperimentale è conclusa o comunque non è prevista in Italia ma dei pazienti potrebbero trarre beneficio dall’uso del farmaco. Se la ditta è disposta a fornire il farmaco gratuitamente si parla di uso nominale di farmaco in sperimentazione su richiesta del medico. In realtà, la norma parla anche di richieste che possono venire da più medici che operano in diversi centri o da gruppi collaborativi multicentrici. l’ultimo caso, il più classico, è quello di una richiesta proveniente da parte di medici o di gruppi collaborativi per pazienti che hanno partecipato a una sperimentazione clinica: non sarebbe etico limitare la possibilità di continuare con un trattamento di cui hanno beneficiato, al di fuori della sperimentazione, che magari si è conclusa perché ha raggiunto il suo endpoint. Questa procedura prevede che venga redatto un protocollo terapeutico, contenente una serie di elementi: motivazione clinica della richiesta, dati relativi all’efficacia e alla tollerabilità, grado di comparabilità dei pazienti inclusi, modalità di informazione al paziente, che anche qui richiede un ‘consenso informato’, e modalità di raccolta dati secondo la logica di uno studio ‘osservazionale’. l’elemento chiave di questo Decreto è il Comitato Etico che deve valutare e approvare il protocollo terapeutico; è prevista inoltre una procedura di urgenza che alcuni Comitati Etici utilizzano quando vi è la necessità di coinvolgere da subito un soggetto e vi è disponibilità da parte della ditta a fornire il farmaco. la fornitura del medicinale è gratuita ed il medicinale sperimentale è importato dalla dogana solo se accompagnato da una copia del parere del

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Comitato Etico. l’AIfA deve essere informata tramite una notifica di queste procedure e perciò è a conoscenza degli “usi compassionevoli ex DM 8 maggio 2003” che avvengono in Italia.

Il fondo per le malattie rareEsiste un fondo AIfA per l’acquisto di farmaci da utilizzare per il trattamento delle malattie rare. la richiesta per l’accesso al fondo è indirizzata all’AIfA, tramite i centri di riferimento Regionali che hanno in cura i malati che soffrono di una malattia rara. Anche in questo caso, l’iter prevede un parere della Sottocommissione Sperimentazione Clinica e poi una deliberazione della CTS dell’AIfA qualora nulla osti all’accesso al fondo.

Conclusioni Questa tabella riassuntiva che è anche l’ultima della presentazione vuole riassumere le varie possibilità di accesso ai farmaci non registrati, i riferimenti normativi, i criteri. Si può notare che la mancanza di alternativa terapeutica si applica sempre (legge 648, legge Di Bella, Decreto 8 maggio 2003 per l’uso terapeutico di un medicinale in sperimentazione). lo stesso vale per il ‘consenso informato’.

Per quanto riguarda la documentazione a supporto, il limite rimane la disponibilità di risultati favorevoli almeno di fase II. l’AIfA entra in gioco nella legge 648, che è sostanzialmente un prontuario in cui vengono pubblicate le molecole che hanno diritto alla rimborsabilità, entra in gioco anche nell’attribuzione dei fondi per l’impiego di farmaci per le malattie rare e dei medicinali che rappresentano una speranza di cura in attesa della commercializzazione per gravi patologie.

Per quanto riguarda il parere del Comitato Etico, questo è vincolante nel caso dell’uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica; per quanto riguarda l’onere economico, esso è a carico dell’SSN per la 648; per l’applicazione della legge Di Bella il costo del trattamento è a carico del cittadino o a carico del Sistema Sanitario Nazionale se i soggetti sono ricoverati in una struttura pubblica o privata accreditata. In questo caso i pazienti ospedalizzati possono essere trattati dalla singola struttura che far ricadere il costo del farmaco sulla tariffa erogata alla struttura dal SSN. Infine, per quanto riguarda il DM 8 maggio 2003 (uso terapeutico di un farmaco in sperimentazione clinica) ci deve essere una fornitura gratuita da parte delle aziende farmaceutiche.

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LA SPERIMENTAZIONE SULLA NON INFERIORITà DEI FARMACI

Ciro GalloOrdinario di Statistica Medica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Seconda Università degli Studi di Napoli. Presidente dell’AORN Santobono Pausillipon

Tema di questo intervento sono gli studi di non- inferiorità, che ormai vengono sempre più frequentemente proposti ai Comitati Etici, soprattutto - e, vedremo, non a caso - da parte delle aziende farmaceutiche. Il mio intervento sarà sostanzialmente diviso in tre parti: 1. che significa studio di non-inferiorità? 2. quali problemi metodologici pone uno studio di non-inferiorità? 3. quali problemi etici pone uno studio di non-inferiorità?

Cominciamo dal primo punto.1. Che significa studio di non-inferiorità?Chiariamo un po’ di ambiguità terminologiche. Uno studio clinico di non-inferiorità (talvolta impropriamente indicato come di equivalenza) si pone la domanda: si può ragionevolmente concludere che il nuovo trattamento abbia un’efficacia sostanzialmente simile al trattamento standard? (A differenza, quindi, dei più classici studi di superiorità in cui ci si propone di dimostrare che il nuovo trattamento sia migliore del trattamento standard). In realtà è impossibile dimostrare che due trattamenti siano esattamente equivalenti; perciò negli studi di non-inferiorità, si può solo dimostrare se il nuovo trattamento, cioè il trattamento sperimentale, non sia sostanzialmente peggiore del trattamento di controllo. Ove sostanzialmente significa non più di una certa quantità, piccola e predefinita, indicata come margine di non-inferiorità, indicata come ‘delta’. la fIGURA 2 chiarisce questo punto: sull’asse delle ascisse abbiamo la differenza vera fra trattamenti (che ,ovviamente, non conosciamo), zero indica che i trattamenti sono equivalenti, i risultati a sinistra dello 0 indicano che il trattamento sperimentale è migliore, quelli a destra, viceversa, che il trattamento sperimentale è peggiore; Δ rappresenta il massimo svantaggio che siamo disposti a tollerare col nuovo trattamento rispetto al trattamento di controllo. Questo se conoscessimo la differenza ‘vera’ di efficacia. In realtà, come sempre in una sperimentazione, la differenza osservata non è quello ‘vera’, ma piuttosto una stima di quello che potrebbe essere l’effetto vero del trattamento; ad essa è associato inevitabilmente un grado di incertezza che viene quantificato nell’analisi con l’uso delle probabilità. Diversi valori ‘veri’ sono plausibili con il risultato osservato e sono indicati dall’intervallo di confidenza, per un dato valore di probabilità (comunemente al 95%). Per dimostrare la non inferiorità è necessario che il limite superiore di questo intervallo sia comunque inferiore a ‘delta’. Si aprono allora diversi possibili scenari di interpretazione dei risultati di uno studio di non- inferiorità (fIGURA 3). l’area in azzurro corrisponde alla non inferiorità: se i risultati (gli intervalli di confidenza) sono tutti compresi in quest’area il risultato viene correttamente come interpretato come dimostrazione di non-inferiorità (risultati B e C). Non è difficile nemmeno interpretare il risultato H: tutti i valori plausibili del nuovo trattamento sono superiori a Δ, e

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quindi è dimostrato che il nuovo trattamento è inferiore al trattamento di confronto. Ancora, può non essere complicato interpretare anche il risultato A: l’intervallo di confidenza non è solo inferiore a Δ, ma anche tutto a sinistra di zero, cioè il trattamento sperimentale risulta superiore, migliore di quello di controllo. è una conclusione che, benché non motivata dal disegno dello studio, qualche volta si può trovare, e, se sono soddisfatti gli opportuni criteri previsti dalle autorità regolatorie, si può ragionevolmente accettare la superiorità del trattamento in studio. Di più difficile interpretazione, invece, sono i risultati da D a G. Il risultato D ci dice che il trattamento sperimentale non è inferiore (dal momento che l’intervallo di confidenza è tutto inferiore a Δ), ma ci dice anche che è peggiore del trattamento di confronto (dal momento che l’intervallo di confidenza è tutto superiore a zero). Quindi noi sappiamo con sicurezza che il nuovo trattamento è peggiore, ma concludiamo che è non-inferiore in base alla domanda dello studio. I risultati E,f e G hanno in comune che gli intervalli di confidenza si estendono da entrambi i lati di Δ. A mio parere questi risultati sono negativi, cioè la richiesta di non-inferiorità, in questi tre casi, non è stata soddisfatta nel corso dello studio. Il gruppo di studiosi dell’iniziativa CONSORT, che mette insieme i più grossi esperti mondiali in questo campo, ritiene, invece, che in queste situazioni non sia possibile trarre conclusioni relative alla non-inferiorità o inferiorità del farmaco sperimentale (JAMA 2006). Permettetemi una citazione personale; in un lavoro recentissimo sottoposto per la pubblicazione, il revisore ci ha chiesto di sostituire la conclusione di mancata dimostrazione della non-inferiorità con una conclusione di risultato non definitivo (al contrario, ad esempio, di quanto si fa con gli studi di superiorità, dove, se il risultato non è statisticamente significativo, si dice che non è stato dimostrato un vantaggio da parte del trattamento sperimentale). A proposito di non significatività, proviamo a far luce su un altro errore frequente. Non riuscire a dimostrare l’esistenza di una differenza (cioè un risultato statisticamente non significativo in uno studio che voleva riconoscere una maggiore efficacia di uno dei trattamenti confrontati) è tutt’altra cosa dal dimostrare che non esiste differenza in uno studio di non inferiorità. Dire che due trattamenti non sono stati trovati diversi, non significa concludere che sono uguali! la logica che è dietro i test statistici non lo consente. Eppure, il termine equivalenza è spesso usato impropriamente quando si riportano i risultati negativi di uno studio di superiorità. Nel 67% di 88 studi, si affermava l’equivalenza dei trattamenti sulla base di test non significativi di superiorità. Solo 3 su 188 studi randomizzati sul cancro con risultati negativi usavano un’appropriata analisi di non-inferiorità o di equivalenza. Bisogna stare molto attenti nell’interpretare correttamente le parole.Gli studi di equivalenza sono sostanzialmente simili, solo che piuttosto che dimostrare se il nuovo trattamento non sia ‘troppo’ peggiore, cercano di dimostrare che non sia né troppo peggiore, né troppo migliore, per cui risulterà più o meno intorno al valore 0. Noi vogliamo allora che il risultato che osserviamo sia all’interno di quest’area, e in ogni caso, inferiore a ‘delta’. Quali problemi metodologici pone uno studio di non-inferiorità? Alcuni dovreste averli già individuati nella presentazione che ho finora fatto. Ne accennerò solo quattro: è giustificata la domanda di non- inferiorità?; lo studio è capace di riconoscere l’eventuale differenza tra

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i trattamenti?; come è scelto il margine di non-inferiorità ‘delta’?; com’è scelto il trattamento di controllo? Queste sono le domande che i C. E. dovrebbero porsi nella valutazione di uno studio di non-inferiorità. Analizziamo la prima questione: è giustificata la domanda di non-inferiorità? Perché si dovrebbe fare uno studio per dimostrare che un farmaco non è peggiore di un altro? Perché dovremmo essere disposti a tollerare che il nuovo trattamento possa anche essere peggiore, anche se di poco, di altri trattamenti disponibili? Che interesse c’è a porsi una domanda di questo tipo? Non è facile. Per un’azienda farmaceutica in genere ci sono giustificazioni che riguardano la possibilità che il trattamento sperimentale presenti dei benefici in termini di accettabilità, per esempio somministrazione orale invece che parenterale, domiciliare invece che ospedaliera, una dose invece che tre dosi, e così via; minore tossicità, tutti i farmaci antinfiammatori non steroidei, prima degli inibitori delle Cox- 2 sono nati come studi di non-inferiorità perché si riteneva fossero meno gastrolesivi, poi si è capito che lo sono ugualmente; costi minori o comunque tali da bilanciare l’eventuale minore efficacia. Ritengo che non solo il C.E., in tal caso debba verificare la presenza di queste caratteristiche, capire se sono giustificate, ma debba anche richiedere che ci sia nel protocollo una formale verifica di questi ipotetici benefici almeno come obiettivo secondario dello studio. lo studio è capace di riconoscere una eventuale differenza? Evidentemente, questa è una domanda cruciale, in quanto se il mio obiettivo è dimostrare che gli studi sono simili, se faccio uno studio che non è capace di riconoscere una differenza ho raggiunto il mio scopo sin dall’inizio. Questo è ciò che viene chiamato ’accey sensitivity’, o ‘power’ in termini statistici, e parte da un assunto, che il nuovo trattamento sarebbe migliore del placebo se un tale studio si potesse fare, dal momento che la domanda di non-inferiorità la possiamo fare solo in riferimento ad un trattamento efficace non certo rispetto al placebo, (infatti, sarebbe un’idiozia fare uno studio di non-inferiorità rispetto al nulla). Il problema è che mentre in uno studio di superiorità se noi dimostriamo che un trattamento è migliore di un altro abbiamo automaticamente dimostrato anche che è migliore di niente, al contrario, in uno studio di non-inferiorità trovare che due trattamenti sono sostanzialmente simili potrebbe dire che hanno più o meno la stessa efficacia, ma potrebbe anche significare che sono entrambi non efficaci. Questo è un esempio antico, ma sempre interessante che mette insieme sei studi che valutavano il farmaco sperimentale nomifensina nel trattamento della depressione primaria utilizzando come misura la scala della depressione di Hamilton e andava a valutare la non-inferiorità o l’equivalenza della nomifensina con l’imipramina che è il trattamento standard. Sostanzialmente, i trattamenti sono equivalenti; il vero problema nasce quando si è notato che erano equivalenti anche ai risultati del placebo. Ed allora, come interpretare queste conclusioni? In realtà, gli studi di non-inferiorità si basano sulla dimostrazione che la grandezza dell’effetto del trattamento di controllo sul placebo sia ben noto e riproducibile. Perciò, il farmaco di controllo è certamente efficace, quindi noi facciamo uno studio di non-inferiorità col trattamento di controllo, in quanto il malato ha diritto alla migliore terapia disponibile. Questo approccio va bene in malattie che mettono in pericolo di vita il soggetto, dove la grandezza dell’effetto del trattamento standard sul placebo è generalmente ben noto, diremo grande (anche se i C.E. devono dimostrarlo), basato soprattutto su ‘endpoints’ forti,

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come la riduzione della mortalità. Invece, in altre patologie anche infettive che si risolvono anche da sole di fatto, spesso nonostante i nostri interventi, come l’otite medio-acuta, la riacutizzazione della bronchite cronica, o la sinusite batterica la grandezza del beneficio degli antimicrobici, cioè dei trattamenti di controllo sul placebo è sconosciuta, o limitata o comunque in ogni caso relativa ad ‘endpoints’ scarsi, secondari, di poca rilevanza, come ad esempio uno due giorni in meno di durata della patologia. Non ha senso uno studio di non-inferiorità in queste condizioni.

Come viene scelto il margine di non-inferiorità? Credo che se non sia stato colto che questo è il cardine e la cerniera di tutta la situazione, potrei dichiarare di aver fallito la mia presentazione. È chiaro che sarà sempre più evidente che la definizione di ‘delta’, di dove mettere questo limite rappresenta il criterio fondamentale che ci permette di arrivare ad un certo tipo di conclusione, piuttosto che ad un’altra. Il ‘delta’ è un elemento fondamentale. È stata data un’adeguata giustificazione a priori del limite di non-inferiorità? Questo è generalmente il motivo per cui si bocciano gli studi di non-inferiorità in C.E., sia in fase statistica, quando per esempio ci si domanda quanto dell’effetto del trattamento standard sul placebo è richiesto di venir conservato da parte del trattamento sperimentale; sia in fase clinica, sulla base della severità della malattia, dell’entità dell’effetto, della valutazione benefici-rischi. Dovrebbe essere fatto. Tuttavia, vediamo che mentre nella quasi totalità degli studi viene detto qual è il margine di non-inferiorità, la giustificazione viene riportata solo nel 20% dei casi e in realtà solo nel 6% questa giustificazione riconosce sia elementi statistici che clinici. Osserviamo che cosa succede, (mostra il grafico). Due studi praticamente simili, lo stesso trattamento di controllo, le stesse modalità di trattamento sperimentale, diversi ‘delta’ utilizzati con criteri diversi, (uno molto più largo, più spostato verso destra, l’altro molto più stretto). Il risultato è che il primo trova che la non-inferiorità non è dimostrata, il secondo che la non-inferiorità è dimostrata, (spostando il mio limite ed è chiaro in tal senso che le mie conclusioni sono predefinite). Se si analizzano con i criteri riconosciuti in maniera uniforme entrambi gli studi dimostrano che la non-inferiorità non è dimostrata e che anzi la frazione di effetto del trattamento di controllo rispetto al trattamento standard non esclude la possibilità che essi non servano a nulla e che siano uguali al placebo. In ultimo, come viene scelto il trattamento di controllo? Esso è un altro elemento fondamentale dell’analisi in C.E. È chiaro che, se si fa uno studio di non-inferiorità, il trattamento di controllo deve essere il miglior trattamento disponibile per il quale ci sia stata una dimostrata efficacia. Ma troviamo anche situazioni come per esempio la revisione fatta dal Barbui sul trattamento della depressione. la fluoxetina, fin tanto che era data come trattamento sperimentale veniva utilizzata in oltre il 40% dei casi con un dosaggio superiore ai 30 mg ‘pro die’. Quando è entrata nel commercio ed è diventata trattamento di controllo di altri trattamenti sperimentali, solo nel 12% è stata data ad un dosaggio superiore ai 30 mg ‘pro die’. Poca cosa si dirà, se il dosaggio non è legato al trattamento. Il punto è che la revisione dei sintomi, con un dosaggio inferiore si riduceva. Questo è un altro degli aspetti che va fortemente analizzato.

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Infine, quali problemi etici pone uno studio di non-inferiorità? Ovviamente, l’etica ha attraversato trasversalmente tutto quello che abbiamo detto fin qui. Secondo Garattini e Bertelè, tuttavia, gli studi di non-inferiorità sono non etici perché non tengono conto degli interessi del paziente in quanto non offrono alcun particolare vantaggio rispetto ad altri trattamenti non tenendo conto degli interessi del paziente, a favore degli interessi delle aziende farmaceutiche. Essi non provano l’efficacia confrontata con i prodotti più vecchi; in definitiva, la comunità scientifica dovrebbe bandire gli studi di non-inferiorità e di equivalenza perché sono studi non etici. È una forte provocazione. Il problema qual è? D’accordo se questo lo facesse la comunità scientifica, ma d’accordo se lo facesse la Autorità regolatoria, se cioè l’Emea non consentisse che dei farmaci possano essere registrati sulla base della non-inferiorità. Viceversa, se questo è consentito che cosa possono fare i C.E. periferici, anche di fronte ad una sperimentazione che non è giustificata da questo punto di vista?l’unica cosa che possono fare è verificare gli aspetti metodologici di cui abbiamo discusso fin qui, tenendo conto che in molti casi ciò non accade, come vedete osservando questi segni in grigio riguardante la giustificazione del margine; o, che non sono appropriati, come ci dimostrano le conclusioni visto che in questi 18 studi tutti concludevano, tranne due studi che c’era efficacia simile del gruppo sperimentale rispetto al controllo, dove però 9 di questi 18 presentavano in realtà dei risultati non conclusivi.

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LA vALUTAZIONE DEGLI STUDI OSSERvAZIONALI

Laura GuidoniIstituto Superiore di Sanità - Roma

In questa comunicazione si vogliono mettere in evidenza problematiche associate a sperimentazioni che apparentemente non sembrano presentare problemi sotto il profilo etico, quali gli studi osservazionali. Negli studi osservazionali, infatti, la condizione in studio viene osservata nel corso del tempo e non sono previste modificazioni del trattamento dei soggetti partecipanti allo studio, né per quanto riguarda i percorsi terapeutici né per quanto riguarda i percorsi diagnostici. Non c’è stretta equivalenza fra sperimentazione clinica non interventistica e studio osservazionale, che costituisce una categoria più vasta. Sono classificabili come studi osservazionali anche gli studi sul comportamento o sulla qualità della vita. Una buona classificazione del tipo di studio e una accurata verifica del protocollo sperimentale sono, come sempre, un prerequisito per una valutazione positiva da parte di un Comitato etico. Nelle esperienze legata alle attività di valutazione del Comitato etico dell’Istituto Superiore di Sanità vi sono sperimentazioni molto eterogenee che includono anche sperimentazioni in clinica senza finalità di cura, ricerche biomediche non cliniche ma che implicano la raccolta di materiale biologico. Vengono svolte inoltre ricerche che prevedono la raccolta di informazioni su aspetti sensibili o molto personali, ricerche di tipo osservazionale nel senso più ampio del termine, spesso con l’utilizzazione di questionari per studi sugli stili di vita, sui comportamenti, sulla loro influenza sulla qualità della vita e lo stato di salute. Questi tipi di studio sono frequenti presso l’Istituto Superiore di Sanità e sono spesso stati sottoposti a valutazione presso il Comitato etico, in considerazione della loro possibile criticità a causa della possibile interferenza con la vita privata dei partecipanti, con domande sul comportamento, sulla qualità della vita, sugli atteggiamenti nella vita o sulla capacità di comprensione in persone anziane o con deficit cognitivi. Va tenuto presente che anche un semplice questionario può presentare criticità sotto il profilo etico, in quanto può contenere domande molto personali, che permettono anche di ottenere informazioni sullo stato di salute o sulle abitudini sessuali, informazioni protette con particolare attenzione dalla normativa sulla riservatezza dei dati personali. Come ogni altro tipo di ricerca anche la ricerca effettuata con questionari può essere poco solida sotto il profilo scientifico: i questionari possono contenere domande che non sono adatte ad ottenere il risultato, risultando quindi non etici. D’altra parte possono turbare le persone alle quali viene somministrato, e in qualche caso può diventare difficile ritirarsi. Inoltre un questionario può essere somministrato da persone non preparate adeguatamente. In generale, se paragonati alle altre tipologie di studi clinici, che prevedono una valutazione accurata dei rischi dovuti alla nuova terapia, gli studi osservazionali sembrano più facili da valutare. Non è sempre così. In primo luogo va occorre prestare attenzione al fatto che si tratti di studi osservazionali puri, e che la tipologia dello studio venga modificata nel tempo. l’eventuale aggiornamento dei codici etici e della normativa deve essere recepito nella conduzione dello studio, trattandosi a volte di uno studio che dura molti anni, più di quanto generalmente

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richiesto da uno studio clinico di tipo interventistico. È infine necessario tenere presente che uno studio osservazionale può diventare non etico quando si mantengono fissi i protocolli iniziali mentre si rendono disponibili nuovi strumenti terapeutici, non utilizzati per non modificare i risultati dello studio. Un esempio di violazione dei diritti delle persone in uno studio iniziato come osservazionale è rappresentato da una ricerca mirata a studiare l’evoluzione “naturale” della sifilide in una popolazione di braccianti nell’Alabama. lo studio era iniziato nel 1932, su una popolazione di colore, e inizialmente era uno studio osservazionale puro, per semplice motivo che non esistevano terapie efficaci. Veniva offerta però qualche terapia palliativa, dunque non erano rispettati i requisiti fondamentali di uno studio osservazionale. Con le conoscenze del tempo si riteneva che questi pazienti, che avevano ricevuto l’offerta di assistenza sanitaria, venissero seguiti in modo appropriato. In realtà venivano seguiti ma non curati. fra gli aspetti più dolorosi il fatto che pazienti reclutati, non sono stati mai stati informati della loro malattia, di come evitare il contagio alle persone e ai familiari vicini, che infatti sono stati contagiati, e del fatto che non sarebbero stati effettivamente curati, anche quando si sono rese disponibili nuove terapie efficaci contro l’infezione. Tutti però hanno ricevuto un certificato che li ringraziava e hanno avuto accesso a funerali gratuiti, come promesso all’inizio dell’arruolamento.l’aspetto più critico dello studio è rappresentato dal fatto che non sono mai stati informati che erano ammalati e che, sistematicamente, hanno contagiato mogli e figli. lo studio è continuato fino al 1972, senza introdurre terapie effettivamente efficaci, anche quando si è scoperto che la penicillina poteva curare la sifilide. Sicuramente esso è stato il più lungo studio osservazionale che sia mai stato fatto. Nel corso degli anni alcuni medici si erano posti dei problemi etici; e avevano abbandonato lo studio. In particolare nel 1933 fu chiesto ai pazienti di sottoporsi ad un’indagine dolorosa che ,ì nelle procedure di consenso, veniva prospettata come un trattamento gratuito. In realtà non si trattava di un trattamento terapeutico né di un avanzamento diagnostico, risultando quindi inutile nel trattamento dei pazienti inclusi nella sperimentazione. Questa sperimentazione, rappresenta uno degli esempi di ‘malpractice’ della ricerca in medicina si è svolto negli Stati Uniti. la consapevolezza che questo studio aveva violato i codici deontologici e i diritti umani ha portato, nel 1979, alla stesura del ‘Belmont Report’, che rappresenta un riferimento importante nel panorama dei codici etici in quanto identifica con chiarezza alcuni principi etici fondamentali. I tre principi sono il rispetto per le persone coinvolte, la giustizia e l’obbligo di non nuocere (beneficere, non maleficere). Gli Stati Uniti hanno in seguito creato un Dipartimento per la protezione delle persone coinvolte nella ricerca biomedica, l’Office for Human Research Protections (OHRP) Questo Ufficio fa parte del Dipartimento federale HHS (Health and Human Services) che accredita gli Institutional Review Board (IRB), in qualche misura equivalenti ai nostri Comitati etici. Gli IRB sono Comitati indipendenti cui è affidata la verifica che la sperimentazione rispetti i diritti fondamentali delle persone e i codici etici condivisi. Nelle istruzioni per i ricercatori si definisce “intervento” anche un prelievo venoso: infatti va considerato intervento in quanto rappresenta un rischio e un’intrusione nella vita e sicurezza della persona. Nello stesso modo si può considerare invasiva anche la manipolazione dell’ambiente in cui una persona vive. In Italia molti di questi compiti sono affidati ai Comitati etici locali. Questi sono sorti in un

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quadro normativo molto dettagliato, che riguarda le sperimentazioni cliniche dei medicinali (http://www.agenziafarmaco.it/it/content/normativa-di-riferimento-sperimentazione-clinica), che deriva dalla normativa europea. In Italia la normativa prende in considerazione, come vedremo in seguito, anche gli studi osservazionali sui medicinali. Tuttavia va tenuto presente che i Comitati etici possono essere consultati anche in altre tipologie di studi osservazionali in senso più allargato, dove non è possibile fare riferimento a norme precise. In questi casi i Comitati etici e gli sperimentatori trovano indicazioni nei Codici Etici Internazionali. fra questi naturalmente ha un posto di rilievo la dichiarazione di Helsinki nella sua forma più recente. Vanno tenute presenti anche le linee guida del Council for International Organizations of Medical Sciences CIOMS (http://www.cioms.ch/), fra cui la linea guida per la ricerca epidemiologica, e i più recenti documenti dell’UNESCO, la Dichiarazione Universale di Bioetica dell’Unesco e requisiti per il Consenso informato (http://unesdoc.unesco.org/images/0017/001781/178124e.pdf.), che prende in considerazione in modo specifico anche la ricerca epidemiologica. Tali documenti, che individuano in modo molto chiaro i limiti della sperimentazione e della ricerca sull’uomo, non sono però prescrittivi. Un Comitato etico deve quindi in primo luogo identificare la tipologia di studio, in modo da classificarla correttamente, se del caso come studio osservazionale, e inserire la propria valutazione nel quadro della normativa nazionale, quando appropriato, e dei Codici Europei e dei Codici etici riconosciuti a livello internazionale. È molto importante verificare che lo sperimentatore si sia assunto correttamente gli obblighi di giustificazione dei rischi connessi alla ricerca e le responsabilità relative. In parallelo deve verificare che siano rispettati i diritti fondamentali del paziente, la sua sicurezza e la sua autonomia.Oltre a questi passi obbligati è opportuno ricordare che l’Unione Europea, molto sensibile alle problematiche etiche, ha inserito alcuni articoli specifici nella Carta dei Diritti del Cittadino, (Carta di Nizza 2007) ora inserita nel Trattato di lisbona. Si riportano gli articoli per intero:

ART. 1Dignità umanaLa dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.

ART. 3Diritto all’integrità della persona...................2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:a) il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla

legge, b) il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione

delle persone, c) il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, d) il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani.

la Carta di Nizza si esprime quindi in relazione al diritto all’integrità della persona e puntualizza che, anche nell’ambito della medicina e della biologia, devono essere rispettati

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il consenso e il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro. Anche in questo caso il dissenso dovrà essere garantito.

Nel Consiglio d’Europa, da non confondersi con l’Unione Europea, da diversi anni è stata concordata la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, nota come Convenzione di Oviedo. la Convenzione è molto mirata alla protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano proprio in relazione alle applicazioni della biologia e della medicina. Anche in questo caso è utile riportarne uno stralcio per quanto riguarda gli aspetti fondamentali

Nessuna ricerca può essere intrapresa su una persona a meno che le condizioni seguenti non siano riunite:

i) non esiste metodo alternativo alla ricerca sugli esseri umani, di efficacia paragonabile, ii) i rischi che può correre la persona non sono sproporzionati in rapporto con i benefici potenziali della ricerca,iii) il progetto di ricerca è stato approvato da un’istanza competente, dopo averne fatto oggetto di un esame indipendente sul piano della sua pertinenza scientifica, ivi compresa una valutazione dell’importanza dell’obiettivo della ricerca, nonché un esame pluridisciplinare della sua accettabilità sul piano etico, iv) la persona che si presta ad una ricerca è informata dei suoi diritti e delle garanzie previste dalla legge per la sua tutela, v) il consenso di cui all’articolo 5 è stato donato espressamente, specificamente ed è stato messo per iscritto. Questo consenso può, in ogni momento, essere liberamente ritirato.

È fatto divieto di trarre profitto dall’utilizzazione di parti del corpo umano e sono stabilite regole per contrastare violazioni dei diritti individuali sul proprio corpo e sue parti:

Art. 21 Divieto di profittoIl corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto.

Art. 22 Utilizzo di una parte del corpo umano prelevatoAllorquando una parte del corpo umano è stata prelevata nel corso di un intervento, questa non può essere conservata e utilizzata per scopo diverso da quello per cui è stata prelevata in conformità alle procedure di informazione e di consenso appropriate.

Questa Convenzione è stata recepita dall’Italia, ma non è ancora completamente operativa. Rappresenta una guida importante per la ricerca medica e biomedica. Anche in questo caso è necessario che la ricerca sia valutata e approvata da un organismo indipendente e competente, quale un Comitato etico. Tornando a prendere in considerazione le caratteristiche degli studi osservazionali relativi ai medicinali, va tenuto presente che, in generale, gli studi sperimentali

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devono fornire evidenze che hanno a che fare con il rapporto di causalità: si deve ad esempio stabilire un rapporto tra un trattamento farmacologico e l’esito clinico. Se il trattamento con il farmaco non ha dato luogo ad una guarigione o comunque a un effetto positivo sulla salute, come migliorare la qualità della vita o il controllo del dolore, il rapporto causale non sussiste e lo studio non ha potuto dimostrare l’efficacia del trattamento. Negli studi osservazionali descrittivi lo studio si limita a descrivere il verificarsi di eventi legati all’utilizzazione di farmaci in una data popolazione, mentre in quelli analitici si cerca di spiegare il verificarsi di eventi con l’intenzione di fare inferenze sull’associazione di due o più variabili in relazione all’associazione causa-effetto. Quando l’esposizione e l’esito sono determinati nello stesso momento si parla di studi descrittivi trasversali. Si parla di studi di coorte quando in uno studio analitico i soggetti esposti e non esposti sono seguiti nel tempo per la determinazione dell’esito, mentre si parla di studi retrospettivi caso-controllo quando ad esempio si osservano i dati di pazienti che hanno manifestato l’esito verso quelli che non l’hanno manifestato.Ovviamente il rapporto di causalità ottenuto mediante questo tipo di studi può essere più debole rispetto agli studi sperimentali. Sotto il profilo etico occorre considerare in primo luogo la probabilità che lo studio riesca ad ottenere le informazioni che si prefigge, ovvero gli obbiettivi, e questo va confrontato con rischi sofferenze e disagi provocati nei soggetti partecipanti, anche in relazione a possibile benefici che possono direttamente derivare a loro dalla partecipazione allo studio. Èovvio che in uno studio retrospettivo non sarà possibile incidere sulla sicurezza dei pazienti, ma solo sul loro diritto alla riservatezza, mentre in uno studio prospettico è possibile che lo studio si trasformi da osservazionale in interventistico. A testimonianza della difficoltà nell’identificazione di uno studio osservazionale puro, la Direzione generale Impresa e Industria della Commissione europea ha esemplificato in una tabella alcune domande adatte ad identificare uno studio osservazionale puro. I dettagli possono essere reperiti sul sito http://ec.europa.eu/enterprise/pharmaceuticals/eudralex/vol-10/clinical_trial_qa_april_2006.pdfNello schema si chiede se si tratti di uno studio su prodotti medicinali già autorizzati, se questi sono prescritti nel modo usuale, se l’assegnazione di ogni paziente a una modalità terapeutica è coerente con la pratica corrente, se la decisione di includere il paziente nello studio è separata dalla decisione di prescrivere un medicinale, se si applicano le stesse procedure diagnostiche o di monitoraggio considerate standard per quella patologia. l’ultimo caso è particolarmente importante, in quanto a volte si aggiungono procedure diagnostiche, e la tipologia dello studio può cambiare anche senza l’introduzione di un nuovo trattamento medicinale.Se la risposta a tutte queste domande è affermativa lo studio è “non interventistico” e quindi rientra nella tipologia studi osservazionali sui medicinali. Gli studi osservazionali sui medicinali sono generalmente studi post-marketing e permettono anche di aumentare la capacità di segnalare reazioni indesiderate e impreviste e effettuare farmaco-vigilanza. Nel nostro Paese gli studi sui medicinali sono sottoposti a una supervisione da parte dell’Agenzia Italiana del farmaco (AIfA). l’Agenzia ha predisposto delle linee guida per questo tipo di studi, con un documento del 20 marzo 2008 che fa seguito alla Circolare del 2 settembre 2002. I testi relativi si possono trovare sul sito dell’Osservatorio per la

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Sperimentazione clinica. (http://oss-sper-clin.agenziafarmaco.it/).

l’Agenzia ha preso in seria considerazione le problematiche etiche e di sicurezza relative alla sperimentazione non-interventistica sui medicinali, considerandoli di estrema importanza “per valutazioni epidemiologiche, farmaco-epidemiologiche e di farmaco-sorveglianza” dato che “possono essere utilizzati anche per stime economiche, di qualità, prescrittive e di carichi assistenziali, nonché per la valutazione del profilo di sicurezza di farmaci, nelle normali condizioni di uso, su grandi numeri di pazienti”. Viene fornita la definizione puntuale dello studio osservazionale dei farmaci:

“sperimentazione non interventistica” lo studio centrato su problemi e patologie nel cui ambito i medicinali sono prescritti nel modo consueto conformemente alle condizioni fissate nell’autorizzazione all’immissione in commercio.L’inclusione del paziente in una determinata strategia terapeutica non è decisa in anticipo dal protocollo di sperimentazione, ma rientra nella normale pratica clinica e la decisione di prescrivere il medicinale è del tutto indipendente da quella di includere il paziente nello studio “

Nelle linee-guida sono da sottolineare due indicazioni fondamentali: la necessità di una valutazione omogenea dei protocolli relativi a questi studi da parte dei Comitati etici e l’opportunità della creazione di un Registro nazionale sugli studi osservazionali. Il Registro consente un maggiore controllo e anche una maggiore diffusione delle informazioni sui risultati degli studi. In base all’ultima determinazione dell’Agenzia, nel caso di studi di corte prospettici i Comitati etici devono essere obbligatoriamente consultati e il loro parere è vincolante e obbligatorio, mentre è sufficiente una notifica nel caso di studi retrospettivi. È previsto che sia allegata alla documentazione una dichiarazione dello sperimentatore che si assume anche la responsabilità di verificare e mantenere la caratteristica osservazionale della sperimentazione. le informazioni da fornire e le procedure generali sono analoghe a quelle di uno studio di tipo interventistico. Deve essere sempre presente il consenso informato. Nel Protocollo si deve prestare attenzione che siano definiti in modo univoco e coerente le motivazioni e le ipotesi di ricerca, i risultati attesi, i criteri di analisi e di interpretazione dei risultati, la proposta di analisi statistiche appropriate. Anche in relazione a questo ultimo aspetto il Comitato etico deve valutare se lo studio è giustificato.A livello internazionale è stato sottolineato recentemente che, anche se l’approccio ottimale per lo sviluppo dei nuovi medicinali è sempre rappresentato dalle sperimentazioni cliniche randomizzate controllate, l’ampliamento delle informazioni sull’efficacia dei farmaci e sulle eventuali reazioni avverse prende in esame un numero molto più elevato di pazienti, come in studi di fase IV osservazionali, permette di avere informazioni preziose su popolazioni diversificate e affette anche da altre patologie. Inoltre si possono identificare differenze importanti fra diverse possibilità terapeutiche e acquisire dati in termini di sicurezza ed efficacia sugli usi protratti. (from randomized controlled trials to observational studies. Am J Med. 2009 122:114-20. Silverman S.l.)

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Quasi sorprendentemente, nell’era della medicina basata sull’evidenza, si scopre che molta della ricerca in campo biomedico è di natura osservazionale. la pubblicazione di queste ricerche riporta spesso i dati in modo disomogeneo e inadeguato, il che rende difficile la valutazione dei punti di forza e di debolezza di uno studio e la generalizzazione dei suoi risultati. Spesso si tende a considerarli come studi di rango inferiore o complementari rispetto agli studi controllati randomizzati. l’iniziativa STROBE (Strengthening the Reporting of Observational Studies in Epidemiology, Migliorare la descrizione degli studi clinici osservazionali in epidemiologia) è nata con lo scopo di sviluppare raccomandazioni su ciò che dovrebbe essere incluso in una descrizione accurata e completa di uno studio osservazionale.” Si tratta in pratica non solo di indicazioni su come effettuare uno studio ma anche su come riportare i risultati dello studio in modo che siano utilizzabili nel modo più completo e generalizzabile. la documentazione relativa all’iniziativa e il testo delle linee guida nella sua traduzione italiana è reperibile sul sito http://www.medidata.it/documenti/pdfnews/strobe_short_italian.pdf

Vorrei concludere con le parole di John Concato che rivendicano l’importanza anche degli studi osservazionali a fianco di quelli sperimentali interventistici: “A more balanced and scientifically justified approach is to evaluate the strengths and limitations of well done experimental and observational studies, recognizing the attributes of each type of design.”

(Observational Versus Experimental Studies: What’s the Evidence for a Hierarchy? John Concato J. American Soc Experim NeuroTherapeutics 1: 341-347, 2004).

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L’INTERPRETAZIONE E L’UTILIZZAZIONE DEI RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE

Dell’Erba Alessandro*, Frati Paola**, Gasbarro Annarita***, Solarino Biagio°* Ordinario di Medicina Legale, Università degli Studi di Bari** Ordinario di Medicina Legale, Università degli Studi di Roma Sapienza** Farmacista Ospedaliera, Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari° Dottore di Ricerca - Sezione di Medicina Legale, Università di Bari

Il tema assegnatoci è di indubbio fascino, ma di altrettanta complessità ed ha richiesto – di necessità – un approccio sistemico e pluridisciplinare.Schematicamente, così come rinviene dal titolo della relazione, si è proceduto a d una suddivisione formale dei temi, più a fini di chiarezza espositiva che sostanziali, posto che, come risulterà evidente, l’uno aspetto ha ineludibili sconfinamenti e riflessi sull’altro. Comunque sia ci sia è ripromessi di esaminare. 1) Significatività statistica; 2) Significatività clinica; 3) Attendibilità e 4) Trasferibilità.

SIGNIfICATIVITà STATISTICA la significatività statistica è palesemente un concetto di tipo probabilistico ed indica, semplificando, la probabilità di ottenere un falso positivo quando si afferma che esiste un certo effetto. Essa – croce e delizia di tutti i ricercatori – è espressa come “p”, laddove tanto a sua volta indica la probabilità che le differenze osservate tra due distinte sequenze di fatti (nella fattispecie, per esempio, due trattamenti farmacologici), sia dovuta al caso. È noto che tale probabilità, per essere definita statisticamente significativa, deve essere inferiore al 5% (p < 0,05): il che vuol dire che – laddove soddisfatto il criterio – la differenze rilevata non è dovuta al caso. Sin da ora può quindi evidenziarsi come si sia in un ambito di codificata incertezza scientifica, posto che, come si è detto, il criterio proposto è meramente probabilistico.

SIGNIfICATIVITà ClINICASe quindi il presupposto di validità di qualsivoglia sperimentazione è la significatività statistica, essa non è automatico sinonimo di maggiore efficacia clinica. In quest’ambito infatti assume rilievo e diviene snodo centrale la differenza minima clinicamente significativa (MCID - Minimal clinically important difference) ovvero il rapporto sussistente tra la terapia (sperimentale) proposta e quella di controllo (auspicabilmente -ma purtroppo non sempre- il gold standard per la condizione di interesse). In quest’ambito peraltro al valutazione comparativa deve tener conto anche di parametri non direttamente correlati o correlabili al bene salute quali ad esempio il rischio di eventi avversi, la compliance del paziente ed i costi. la valutazione sistemica di tali indicatori può quindi portare ad una eventuale corretta definizione della MCID e, come tale, giustifica u cambiamento delle decisioni terapeutiche.Se quindi quello prospettato è il valore cruciale al quale attenersi, è indubbio che esso è funzione di due elementi: il disegno dello studio clinico e l’interpretazione dei risultati. È infatti ovvio che nella progettazione dello studio la numerosità del campione dovrebbe essere dimensionata o proporzionata al valore della MCID tra il trattamento in sperimentazione e

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quello di controllo (gold standard). Ed è altrettanto consequenziale che tale valore (MCID) dovrebbe essere il criterio principale nella prospettiva di applicare i risultati alle decisioni terapeutiche. Nondimeno è proprio in questi ambiti che ricorrono variabili che possono fortemente influenzare la rilevanza clinica dei risultati di una sperimentazione. In primo luogo la definizione dell’end point; si è già detto che non è necessaria in questa prospettiva una significatività statistica, anche forte. Si deve cioè valutare, nella fase di progettazione/implementazione il numero di pazienti da trattare per ottenere un beneficio (NNT) ed il numero di pazienti da trattare per osservare un evento avverso (NNH). Il rapporto tra essi (NNT/NNH) dovrà quindi essere espresso nei limiti di confidenza.È quest’ultimo un ulteriore elemento che sempre più si integra con il valore di p, atteso che la sua applicazione permetta di ottenere informazioni sia sull’effetto terapeutico della sperimentazione proposta che sulla attendibilità del risultato.In via di preliminare definizione può cioè affermarsi, come si è appalesato da quanto fin qui detto, che significatività statistica e rilevanza clinica non sempre (e soprattutto non necessariamente) coincidono: risultati statisticamente significativi possono essere clinicamente non importanti e – per converso- effetti terapeutici anche non significativi statisticamente possono comportare il viraggio clinico ad un differente approccio. Il tema tornerà di rilievo in sede di conclusioni.

ATTENDIBIlITàIl tema della attendibilità di uno studio non può prescindere da considerazioni di ordine generale, pur se vincolati ad elementi di fatto. Il presupposto è infatti che studi sponsorizzati producono con maggior probabilità risultati favorevoli rispetto a studi finanziati diversamente.Questo presupposto ha inevitabili addentellati etici e politici in relazione alla realtà della ricerca in Italia e nel Mondo, rispetto ai quali tuttavia non può esprimersi che plauso alle Aziende per i cospicui investimenti prodotti.In questa sede tuttavia esso è accettato come postulato ed il quesito da porsi è quello relativo a come tanto si rende possibile. Si torna cioè ed ancora inevitabilmente al disegno dello studio ed alla sua interpretazione. Infatti al fine di ottenere un risultato favorevole o, se ci è concesso, “più favorevole” si può agire a monte nella selezione dei pazienti, sui criteri di inclusione ed esclusione; sulla scelta e sul dosaggio del prodotto di confronto; sulla identificazione del margine di non inferiorità /equivalenza significativo clinicamente ed ancora sul margine di superiorità eventualmente non significativo dal punto di vista clinico; sulla durata del follow up. Su queste basi può poi agirsi anche a valle, ad esempio, attraverso una analisi statistica condotta non su tutti i pazienti arruolati (con eliminazione di una quota anche superiore al 20%) e/o non indicando le caratteristiche al basale dei gruppi oggetto dell’analisi. Ma ancora si può procedere alla interruzione dei trials laddove si intravvedono risultati negativi ed infine agendo sulle modalità di reporting dei risultati.Si badi bene che tutti questi sistemi, seppure teoricamente censurabili, sono normativamente leciti e come tali consentiti ovvero possono agevolmente essere prospettati come tali senza

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tema di smentita. Il tutto, peraltro, introdurrebbe anche al tema sull’etica nel “writings”, al ritardo nella pubblicazione in caso di risultati negativi, o alla mancata pubblicazione degli stessi ma anche duplicando la pubblicazione dei trials positivi per allargare la platea dei riceventi e per validarne la forza in termini di Medicina Basata sulle Evidenze. È evidente infatti c infatti che linee Guida di trattamento sono elaborate sulla base della revisione della letteratura, sulle meta analisi e sugli studi clinici, con performance ovvie e scontate per gli strumenti “più robusti” in relazione a numerosità quali per l’appunto le meta-analisi. Esse tuttavia sono basate sugli studi pubblicati ed è ovvio che l’assenza documentale di un dato inficia nel presupposto il lavoro di meta-analisi stesso. In assenza cioè di accessibilità a tutte le evidenze (positive e pubblicate, negative e non pubblicate) la opzione clinico-terapeutica sarà carente metodologicamente. È questo il motivo per il quale, recentemente, si è prevista la registrazione pubblica di qualsivoglia studio prima del suo avvio.

TRASfERIBIlITà È evidentemente l’aspetto pregnante per l’impatto clinico, in termini di “Salute” prodotta o producibile, e per il profilo socio-economico che riveste.I trials, come si è già detto nei paragrafi precedenti, possono essere caratterizzati da una elevata validità interna, in funzione del rigore metodologico di pianificazione, conduzione ed analisi dei risultati. Essi tuttavia possono anche avere una limitata validità esterna nella misura in cui ridotta è la applicazione in contesti assistenziali diversi da quelli di studio. Tanto avviene sia per le caratteristiche demografiche della coorte studiata (criteri di inclusione/esclusione) ma anche per il setting logistico-assistenziale del trial ed ancora in relazione alle procedure utilizzate. Tali bias, propri in particolare degli studi sui farmaci, sono apprezzabili perché costituiscono garanzia – anche per il Comitato Etico- di sicurezza per il paziente ammalato e perché producono una elevata validità interna. Essi cioè garantiscono la efficienza teorica. Allo stesso tempo però sono il limite (o più correttamente il possibile limite) in termini di efficacia reale nel contesto clinico generale, al di fuori dell’ambito di sperimentazione.Ecco allora che le caratteristiche ricercate in ambito statistico ed operativo pre registrazione, quali il calcolo della numerosità del campione basato sull’end point di efficacia, rigidi criteri di inclusione/esclusione, ovvero di condizioni morbose coesistenti e concorrenti, brevità del trattamento e del follow up, non consentono (ovvero riducono la possibilità di verifica) di reazioni avverse rare, da interazione con altri principi attivi, su popolazione anziana o in caso di cronicità. Ne consegue che un trial può al più configurare la teorica utilità di una sostanza, ma non ha la sua reale applicabilità clinica. In funzione di quanto sopra la soluzione può identificarsi nei così detti “pragmatic trials” nell’ambito dei quali, data per acquisita la efficienza, la teorica utilità, deve verificarsi la efficacia reale attraverso criteri di soluzione confrontabili con la popolazione reale, eventualmente sulla base di sintomi e non di diagnosi, con regimi terapeutici flessibili ed in condizioni logistico assistenziali simili se non uguali a quelle reali. Si tratterebbe cioè di un ulteriore step da introdurre tra la fase III preregistrativa e la fase IV di farmacovigilanza. È peraltro ovvio che tale ipotesi determinerebbe la lievitazione dei costi e soprattutto dei tempi e tanto –palesemente- trova scarsa compliance negli investitori non istituzionali.

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CONClUSIONIIn definitiva non può che auspicarsi una sempre maggiore diffusione – con adeguati stanziamenti - della ricerca indipendente; senza demonizzare – come è ovvio – quella sponsorizzata. Dai tempi di Ippocrate l’attività medica e quella sperimentale ancor più, deve avere focus sui bisogni dei pazienti, nella prospettiva 8almeno in Italia) della salute e della Sanità pubblica. l’epicrisi di tanto, nell’attuale assetto normativo-regolamentario, non può che riportare ad una sorta di dato esperienziale clinico nella interpretazione di applicazione dei trials fondato su indicatori “di base” quali sintomatologia, segni e qualità di vita, piuttosto che su indicatori laboratoristici che – pur importanti – non sempre hanno diretto impatto assistenziale.

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TAVOlA ROTONDAI Comitati Etici

tra dilemmi moralie prescrizioni normative

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MEDICO-PhARMACEUTICAL FORENSIC REPORTS FOR ALLEGED RESPONSIBILITY FOR MEDICINE’S INDUCED PSYChO-ORGANIC INJURIES

Mª Teresa Alfonso GalánEuropean Centre for Bioethics and Quality of Life - UNESCO Chair in Bioethics Italian Unit Expert. Dr. in Pharmacy. Prof of Pharmaceutical Law, Deontology and Bioethics. Faculty of Pharmacy and Faculty of Medicine. Area of Legal and Forensic Medicine, UNESCO Chair in Bioethics Unit. Universidad de Alcalá. 28871 Alcalá de Henares - Madrid - (Spain).

PreambleIt constitutes a great privilege and honour to me to address to you at the University of Naples, the first in Europe to be founded with a definite Civil Charter (1224) of subjection to the royal authority, by the powerful and highly cultivated Emperor frederick II, with the help of his chancellor Piero della Vigna.

In particular the pharmacists also owe to the Emperor frederick II the edict of individualisation of the pharmaceutical profession, in 1240.

Besides, Italy has been the cradle of legal Medicine thanks to the work of Giovanni filippo Ingrasia (1510-1580), fortunato fedele and Paolo Zacchia, i.a, and continues to be the most advanced in the world. for example the University of Naples will be one of the first in the world to have an specific chair of forensic Medicine in 1787.As two not very old classic examples of last century I will mention, only, Rinaldo Pellegrini with his monumental twelve volume Treaty of legal Medicine, and his volume of Sexology; and in Naples, Vittorio Maria Palmieri, who will produce a text of legal Medicine in 1938, with several editions, and then a “Medicina legale Assicurativa”, a “forensic Ginecology”, a “Medicina legale Canonística” and an important Treaty of “Medicina forense”.

IntroductionI have chosen to speak about the civil responsibility which the Pharmaceutical Industry has for medicines induced damages, because on this topic in Europe there is only a limited amount of case law literature available, with first hand experience on studies of cases on this subject.

Prof. Antonio Piga and myself, in 2005, received a proposal from a group of plaintiffs to study their complains about having been the victims of the severe and irreversible side effects, after being treated with a medicine.Then we were professionally involved in other civil actions against pharmaceutical industries (see the bibliography), but since some of them are always “sub judice” due to the continuous appeals, I will present only, as requested by our advocate, facts not specifically related with the cases we are involved in, with a maximum of objectivity.

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Scope and purpose of this presentationThe scope of this presentation is to show the practical and almost insurmountable difficulties, in particular for isolated plaintiffs, to prove that a pharmaceutical industry has incurred in a breach of the duty of observing the appropriate standards of safety, efficacy and information of a medicine, weighted against the risks of side effects, in the normal indications and circumstances in which the medicine is intended to be used.

Its purpose is, on the basis of the experience attained in several judicial processes on possible responsibility by pharmaceutical manufacturers, to present the tasks of the experts called to assess and give evidence when the drug induced damages have been confirmed in the opinion of the experts.

In those cases it will be necessary to prove the pharmacological aetiology of the damage, the causality links, the permanency of the sequels and the violation of the pharmaceutical and patient’s rights legislation.

It is necessary to act not only properly from a scientific point of view, but also with a so sound methodology that allow that the great difference of economic power, between the plaintiffs and the dependent, could be overcame with the weight of evidence.

The fundamental duties and responsibility of the medicines’ industry and secondary manufacturers.Under this heading it will not be analysed here the possible case of injuries, harm or lack of efficacy due to a failure in keeping proper standards of quality in manufacturing, packaging, storage and supply. If a injury is apparently attributable to a material defect (qualitative or quantitative), the most important evidence will be that derived from analysis of the remaining product in the package, which was used by the injured patient, or/and other packages from the same manufacturing batch. It will be mentioned only the unusual but severe case of the criminal contamination of “Tylenol” of Johnson & Johnson in 1982.

What concerns the scope and purpose of this presentation is solely the safety of medicines, which can produce disproportionate harm to the user when they are consumed, through prescription of the physician, following the erroneous posology recommended or/and other defective warnings of the manufacturers.

Efficacy, safety and side effects are relative concepts based always in the balance between benefit and risk. It is considered that a drug should be sufficiently safe for use, in the particular circumstances or medical indications in which it is intended that it must be used.

Information to the users: This information should correspond to the “spirit” and the wording of the European member states pharmaceuticals legislation, accordingly with the concrete in force European Union Directives and Regulations.

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The information should include the adverse reactions, interactions, other known risks of the drug, contraindications precautions and warnings.

The duty of the manufacturer in this respect in United States of America goes far beyond that of the physician, because the physicians duty is determined by principles of adverse effects or incompatibilities prevention and by risk/benefit considerations, whereas that of the manufacturer extends to embrace “notions of truthful disclosure that lie at the heart of the marketplace honest policy”.

Information to the physicians.The manufacturer’s duty to communicate essential information has been recognised as extending to all relevant physicians, those who are generalists as well as those who are specialists. In fact this serves to reduce drug related injuries while acknowledging the patient reliance on physicians, and the fact that, on every marketed medicine, there are inherent possible adverse reactions for the generality of the population, but also specific contraindications, interactions and warnings that the physician must be previously informed about, to evaluate and explain to single patients, without error.

It is a duty of the pharmaceutical industry to put in the market drugs having shown, during the different phases of the experimental and clinical research process, their therapeutic properties, the treatment schedules, the conditions for a safe use, or at least for an use in which the expected benefits overcome clearly the risks that should acceptable having in mind their nature, severity and/or reversibility.

Currently it is not justifiable for a pharmaceutical industry to state that a given adverse reaction was not shown during the clinical trials, in particular if those trials were not properly designed and/or they were conducted during very few weeks and with very few patients.

Claims against the manufacturer for injuries produced by medicines.By putting in the market a medicine with undetected severe and irreversible side effects or without proper information or advice on the possible risks incurred, or on how to prevent or avoid them or at least on the early detection of those adverse effects, the manufacturer may create an unreasonable risk of harm. If this risk of harm produces an actual injury or pharmacological illness the industry may become responsible for the damage caused.

In a civil action the burden of proof is on the plaintiff, so he must prove, with the greater weight of the evidence, those elements entitling him to annulate the defendant strategy, which it will be to raise doubts, for example regarding to other alternative causes in confrontation with the medicine responsible for the harm sustained.

As in every tort action there are essential elements:- The plaintiff must prove that a legally recognised right has been infringed. for example to

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be unduly put at risk, or/and to suffer injuries, by medicines not correctly investigated and/or without appropriate information, violates the patient’s right to be treated only after having being properly informed and having given his informed consent.

- The plaintiff must show that the defendant had a duty to conform to a particular standard of conduct, in this case the European Union Pharmaceutical legislation and the Member States specific regulation and rules coming from case law sentences. In this case it is necessary that the plaintiff circumstances and case, feel within that particular class of persons to whom that duty was owing.

- The defendant will try to show that he hasn’t failed to maintain the standard of care required by the pharmaceutical drugs legislation regarding the safety and risks of the incriminated pharmaceutical product, and to comply with the norms regarding the information to the physicians, pharmacists and, last but not least, to the users.

- The plaintiff must show that the defendant’s breach of duty was the cause of the plaintiff’s reaction with the development of psychophysical injuries and irreversible damages.

- Since the alleged drug-induced injuries are in general not solely and specifically produced by medicines, and in principle could be also produced by other causes, it is mandatory and very important that the Experts Report shows and explains the existence of the different direct causality links, and that there are not other alternative explanations to justify the injuries presumed be due to the treatment. In those cases it may happen that a medicine has aggravated a pre-existent pathological condition.

- finally the plaintiff must evaluate the psychophysical damage, and its present and future effects on his working capacity and on the ability to perform the normal individual, familiar and social activities of the injured, in monetary terms, which may be measured and compensated.

In a civil action for alleged faults on the part of a pharmaceutical manufacturer, it will be only on the basis of the physicians and pharmacist’s expert’s reports, their testimonies and documentary evidence (often of clinical nature), that the tribunals can sentence.

The experts of both parties may be generally considered as having their opinions biased by their engagement, even if they answer to the Tribunal under oath, perhaps because some of their manifestations are opinions, resulting of reasoning, and also because many aspects of the science of medicine do not met the requisites of the exact sciences.

for all those reasons it becomes essential that the medico-pharmaceutical experts research, and subsequent reports, reflect not only great knowledge, but also methodological exactitude, sincerity, lack of bias shown in presenting cross-examining alternative perspectives and use of

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documentary, normative and judiciary evidence.

A medical or pharmaceutical expert must never allow his testimony be influenced by his emotions and personal convictions. He should be able not to be influenced by some advocates “traps”, as for example the request to answer with a simple “yes” or “no” questions, which cannot be answered in this way, or questions referring to books or texts that the expert is not able to see.

Regarding questions about quotations from texts or books, their authorship should be specified and the passage quoted. If the expert is asked whether he agrees with the author, he should always ask to see the book in order to ascertain if the passage is correctly or fully quoted.

In any case an expert, obviously, has not always to agree with everything another authority has published. There is often the possibility of a polite, but reasoned firm, difference of opinion.

An expert should be prepared to meet with patience and tolerance the attempts of an opposing lawyer to involve him in contradiction. To avoid this he should be well prepared, both on the case and on all parts of the subject on which he is about to give evidence.

Sometimes he should recognise that he has not an answer for the question addressed to him, or that some extreme is not, or cannot, be clarified. In any case the sincere attitude of an expert should show, by his answers, that his sole desire is to assist the Court to ascertain the truth.

CONCLUSIvE COMMENTS AND REMARKS

- When a patient feel that a manufacturer of a medicine should be held responsible for drug induced injuries and intends to seek compensation, this patient will need a good legal and medico-legal advice and should be aware that, in civil actions, the burden of proof is on the plaintiff.

- When a litigation is brought against a pharmaceutical manufacturer by a group of allegedly affected persons, in our opinion, the Expert Report should be divided in two parts: 1) The first with general data on the sued for medicine, induced damages, its risks of adverse effects and reactions, the information provided by the manufacturer, the respective law, etc.; 2) The second composed by as many separable brochures as claimants. The reason is that in this way, every claimant may have access and obtain a copy of the first general part, and the brochure including only his or her personal data and information, on injuries, sequellae and other confidential data that should be effectively protected against access by non authorised persons.

- for the same reasons of secrecy protection, the “Title” of the Expert Report should not include the name of the claimants. In particular in group actions it is important to agree with the lawyer of the claimants, the use to be made of the report afterwards, to

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mention it when appropriate in the contract. Currently it may happen that the Expert Report might appear in INTERNET and this eventuality must be taken into account.

- In this trend it seems obvious that INTERNET, and the globalisation process, is starting to play an important role in the civil claims for responsibility of the medicine’s manufacturers. This is due to the fact that the pharmaceutical industry is international and that the Courts’ sentences, regarding civil responsibility for internationally produced medicines in a country, have very soon a world wide public opinion impact.

- In some claims with many affected patients, above all in the USA, it has been possible to reach extra judicial compensations agreements (for example, Vioxx and Zyprexa). We are confident that in similar circumstances this will be also the case in Spain in the next future. Nevertheless it is obvious that to be entitled to receive a compensation some conditions and evidences will have to met.

- In Spain the situation regarding the civil responsibility claims for drug-induced injuries, is evolving now in a way which reminds what happened with the medical responsibility cases during the 1980s, following what had been happening in the USA some decades before.

- Until now it is very difficult in Spain to win a judicial case for responsibility against a pharmaceutical manufacturer, due in part to the current case law and also because it is an opposition between very unequal forces.

- Nevertheless we have noticed that good Experts’ Reports have, by themselves, beneficial effects on the claimants, because often before nobody had carefully listened and explained to them the cause, mechanism and reasons of their iatrogenic sickness.

- The Experts Reports, in cases of alleged responsibility for medicines induced injuries, should be draw-up at least by two experts, one of them medico-legal and the other with knowledge and experience in pharmaceutical legislation and forensic pharmacy.

- While in the past the medico-legal experts have been the only called to study and evaluate cases of presumed medicines caused injuries, in our time pharmacists are engaged by the two parts to give their expert contribution, too. In Spain the Order of Pharmacists produces lists of pharmacists willing to act as experts in judicial cases. Pharmacists can act in cases of responsibility for harms caused by medicines, together with the medico-legal experts, on the Courts of Justice.

- Despite the fact that in Spain, in general, Pharmacy students have not the opportunity of receiving a graduate and post-graduate training, and practical experience, in judiciary case for medicines’ side effects responsibility, we are trying, in our University in Alcalá de Henares (Madrid), to contribute to redress this failure.

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Epiloguefrederick II, in 1240 in Naples, forbade any possible association between physicians and apothecaries, and that the physicians could have drugstores.

Analogically it can be said that today, at the end of 2009, the “spirit” of the Edict of frederick II is always valid, because “drugstores” in the past centuries are the equivalent to the pharmaceutical industries today, and they do not belong neither of pharmacists nor of physicians. The great pharmaceutical industries are owed through shares traded in the stock exchange, and they must show their economic fortitude to be competitive.

Medicines have brought great benefits to the human beings, but sometimes have also produced damages and deaths. The iatrogenic aetiology of many of those damages and deaths, in general, is only suspected but not always properly ascertained, notificated and registered. Therefore, the manufacturers, in former times in small drugstores, and from the beginning of the XX Century in pharmaceutical industries, sometimes have eluded their responsibility with the patients.

Accordingly to the law, neither the physicians nor the pharmacists can have economic interests through their relationship with the pharmaceutical manufacturing. Therefore the functions of the pharmaceutical industries (production, manufacturing, marketing, true and correct information through prospectus and technical leaflets), physicians (prescription) and pharmacists (dispensation) are separated.

In cases of presumed adverse effects and damages due to the medicines, the collaboration of both, physician and pharmacist, in the notification of side effects and, when appropriate, in the Tribunals of Justice as experts witness or professionals, is also a professional duty.

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IL RUOLO DEL MONITORAGGIO DEI COMITATI ETICI A TRE ANNI DALL’AvvIO DEL “PROGETTO AIFA PER LA QUALITà DELLE SPERIMENTAZIONI A FINI NON INDUSTRIALI”

Luisa Borgia*, Massimo M.G. Di Muzio*** Presidente Comitato di Bioetica, INRCA-IRCCS, Ancona ** Dirigente Farmacista, specialista in Tossicologia, INRCA-IRCCS, Ancona

Il monitoraggio delle sperimentazioni cliniche a fini non industriali (non-profit) è un’attività cruciale e delicata per garantire una corretta conduzione della sperimentazione clinica che garantisca la qualità dei dati prodotti. Quest’attività si fonda sui principi sanciti dalle linee guida dell’UE di Buona Pratica Clinica (CPMP/ICH/135/95, cap. 5.18). Il monitoraggio nelle sperimentazioni profit è affidato a figure professionali adeguatamente formate, i “Clinical Monitor”, dipendenti dallo Sponsor o dalle CRO. Il DM 17/12/2004 (G.U. n.43, 22/2/05) stabilisce che (all.1, parte B, punto 2) il monitoraggio sia un onere a carico dello sponsor. Spesso lo sponsor non-profit non dispone di personale formato al monitoraggio o di fondi sufficienti per tale attività. la mancanza di standard qualitativi nella fase di monitoraggio rischia di contribuire a realizzare studi clinici di scarsa qualità e dai risultati discutibili. fino al 2008 pochissimi sono stati i Comitati Etici che hanno scelto di inserire nel proprio regolamento l’attività di monitoraggio per le sperimentazioni non-profit. Il Comitato di Bioetica (CdB) dell’INRCA ha approntato un documento “rapporto di monitoraggio”, composto da più sezioni: una lista di 25 domande che guidano i monitoratori in tutte le fasi della visita secondo gli standard qualitativi imposti dalle GCP, una check-list completa di tutti i documenti obbligatori di cui il centro deve essere provvisto e una sezione dedicata alla discussione di tutti i punti critici individuati, le non-conformità, le azioni correttive intraprese, la valutazione finale sulla qualità del lavoro condotto dal Centro. Consapevole dell’importanza della promozione della qualità nelle sperimentazioni non-profit, nel 2006 l’AIfA ha avviato il “Progetto AIfA per la qualità nelle sperimentazioni non-profit”, organizzando corsi di formazione al fine di preparare personale qualificato che possa far parte di un “team” che garantisca la qualità delle sperimentazioni non-profit (CTQT, Clinical Trial Quality Team); corsi a cui l’allora Segretario Scientifico del CdB ha partecipato in qualità di docente, proprio in virtù dell’iniziativa-pilota intrapresa attraverso il nostro “rapporto di monitoraggio”. l’obiettivo dell’AIfA è quello di creare, attraverso le istituzioni che avevano partecipato ai corsi di formazione, una “Rete delle strutture partecipanti al Progetto AIfA per la qualità nelle sperimentazioni non-profit”, al fine di migliorare nei centri clinici di maggior prestigio la qualità nella conduzione delle sperimentazioni non profit e di indicare agli Organi preposti alla valutazione/selezione dei centri clinici, l’elenco delle istituzioni connotate come strutture che forniscono appunto una garanzia di qualità nelle sperimentazioni. In una nota del 23 aprile 2008, la Direzione Generale dell’AIfA invitava le Istituzioni potenzialmente interessate al progetto ad aderire alla Rete istituendo un proprio CTQT in base ai requisiti professionali prefissati nell’allegato 2 della stessa nota. le strutture particolarmente interessate all’istituzione del CTQT sono quelle nelle quali si effettua il maggior numero di sperimentazioni non-profit, come, ad es. gli IRCSS, molti dei quali hanno già aderito all’iniziativa. Al 24/06/2009, data dell’ultimo aggiornamento dello stato del progetto sul sito AIfA, hanno dato la propria adesione le seguenti strutture (mentre altre stanno completando l’iter previsto a tal fine):

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1- IRCCS S. Matteo, Pavia2- AOU Policlinico S. Orsola / Malpighi, Bologna3- IRCCS Burlo Garofolo, Trieste4- IRCCS Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, S. Giovanni Rotondo5- Università Campus Biomedico, Roma6- USl 6, livorno7- AOU S. Giovanni Battista, Torino8- fondazione Giovanni Pascale, Napoli

Il CdB dell’INRCA aveva immediatamente accolto l’invito dell’AIfA, inviando nel settembre 2008 formale richiesta alla Direzione Generale perché provvedesse alla costituzione del CTQT, richiesta a tutt’oggi inevasa. Ciò è un esempio sintomatico di come sia indispensabile continuare a sensibilizzare le Istituzioni coinvolte nel progetto AIfA sull’importanza di questo progetto, affinché abbiano la corretta percezione della garanzia di qualità che un simile organismo può dare alla ricerca clinica, a tutela della salute del paziente, in primis, ma anche a tutela del ricercatore stesso e dell’Intera Azienda, per i quali può ridursi notevolmente il rischio di errore e i conseguenti profili di responsabilità medico-legali e giuridiche.

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IL COMITATO DI ETICA DELLA EX ASL SALERNO 1. PRIMA ESPERIENZA ITALIANA DI CERTIFICAZIONE DI QUALITà DEL SISTEMA DI GESTIONE

Piucci B., Ceruso C., Maiorino C., Parente L., Di Munzio W., De Martino D., Benevento F., De Masellis G., Iannotti M., Iannuzzi A., Pica M., Raiola v., Siani R.Comitato di Etica della ex ASL Salerno 1 - Nocera Inferiore, Via F. Ricco, 50

Autore corrispondente: Brunella Piucci, Responsabile Qualità, Coordinatore della Segreteria Tecnico-Scientifica, farmacista componente ex-officio del Comitato di Etica

Gli approcci alla qualità nei sistemi organizzativi: la chiave di lettura condivisa dal Comitato di EticaQualità significa capacità di soddisfare esigenze di tipo morale, materiale, sociale ed economico.la realizzazione della qualità si ottiene traducendola in requisiti specifici che presuppongono l’identificazione dei bisogni connessi (inclusi, innanzi tutto, quelli esplicitati nei riferimenti normativi cogenti o volontari applicabili) nonché l’impegno, consapevole e sostanziale, a porre in atto processi e a destinare risorse necessarie per il loro soddisfacimento. I requisiti della qualità saranno tanto più efficaci e completi quanto più ampio ed elevato è il grado di soddisfazione da essi ottenuto, e tanto maggiore sarà il numero di stakeholders - presenti e futuri - le cui aspettative saranno prese in considerazione e soddisfatte. le esigenze, che la qualità è chiamata a soddisfare, possono essere di carattere “primario”, connesse cioè con la tutela di bisogni fondamentali, quali la salute e la sicurezza delle persone, e come tali sono caratterizzate da diversi gradi di priorità e livelli di tutela, o di natura “accessoria”, relative cioè allo sviluppo del sistema economico e al benessere della società. le esigenze definite accessorie si sostanziano principalmente nell’adeguata gestione delle risorse e dei processi produttivi, al fine di assumere la configurazione di qualità di sistema, ed in qualità di prodotto (prestazioni, affidabilità, durata e caratteristiche qualitative in genere dei prodotti, sia strumentali che di consumo).l’etica d’impresa si persegue strutturando e sostenendo una configurazione sistemica in cui il rispetto dei principi e dei valori etici dominanti rappresenta il necessario ponte tra condotta organizzativa e performance sociali. In tale modo si garantiscono maggiori gradi di consonanza e risonanza tra sistema organizzativo e sovra-sistemi rilevanti. In sintesi: perseguire la qualità non può che incrementare le probabilità di sopravvivenza dell’organizzazione e pertanto l’organo di governo della stessa non può non attribuire una valenza strategica alla variabile “qualità”.Da un punto di vista più concreto, le prioritarie responsabilità dell’organo di governo possono essere sintetizzate nei seguenti punti: a) progettare e realizzare un complesso di relazioni con le entità presenti nell’ambiente, tale da consentire al sistema organizzativo di rispondere pro-attivamente al cambiamento ambientale. Significativa appare, in proposito, la capacità dell’organo di governo ad individuare e soddisfare le aspettative degli stakeholders percepite come rilevanti, tra le quali vanno certamente collocate le attese di qualità; b) in fase di svolgimento dei processi operativi preservare ed incrementare il valore creato, assumendo comportamenti aderenti al profilo di qualità prescelto;

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c) assicurare la necessaria integrazione dei sottosistemi operativi secondo una direzione unitaria e coerente, in modo da regolare la loro azione in funzione degli obiettivi di qualità che l’Organizzazione persegue.

Il sistema di gestione per la qualità secondo lo standard UNI EN ISO 9001.le organizzazioni sono chiamate a stabilire, attuare, mantenere e migliorare continuamente il cosiddetto “sistema di gestione per la qualità”, intendendo con questo l’insieme degli elementi (processi e risorse) che sono posti in atto per predisporre ed attuare la politica e gli obiettivi correlati.Quanto innanzi, è ritenuto il mezzo più adeguato per realizzare ed assicurare la qualità nell’ambito dell’approccio sistemico alla stessa.In tale contesto la realizzazione della qualità è un obiettivo strategico da perseguire tramite due strumenti essenziali, complementari e sinergici:- l’ottimizzazione dei processi e dei prodotti;- l’adeguata gestione e il controllo di tutte le attività connesse all’erogazione del servizio.l’assicurazione qualità, intesa come verifica ed attestazione della conformità ai requisiti applicabili, è un obiettivo tattico correlato a motivazioni sia di origine esterna (obblighi giuridici, esigenze contrattuali, promozione dell’immagine, conquista della fiducia) sia di natura interna (verifica oggettiva del modo di operare, identificazione e rimozione delle anomalie e scostamenti, stimolo al miglioramento).

Il risultato atteso: una cultura diffusal’identità di un’organizzazione si costruisce sulla base di valori guida che servono ad influenzare i comportamenti individuali e collettivi. I valori guida sono scelti sulla base dei fini strategici, orientando i processi e dando origine alle competenze distintive dell’organizzazione: per questo motivo determinano il “saper fare”. I valori proposti, una volta dichiarati ed implementati, saranno un elemento di orientamento degli atteggiamenti individuali e dei comportamenti dei soggetti che compongono la struttura operativa, ed, inoltre, esprimono la cultura diffusa, definibile come ingrediente indispensabile per lo sviluppo di competenze distintive organizzative.

Le problematiche aperteI valori guida non sono mai totalmente trasferibili nelle organizzazioni, per cui possono provocare un mancato allineamento tra cultura strategica e cultura diffusa. Tale evento, in caso di svilimento dell’immagine dell’organo di governo, può portare all’entropia organizzativa. Per evitare che la condivisione di valori possa favorire l’appiattimento dei valori specifici di ciascuno dei membri del gruppo, l’organizzazione deve incardinare una connessione che ammetta un certo grado di autonomia tra le parti che la compongono e contribuisca all’emersione di sottoculture.

Alcune considerazioni conclusiveÈ opportuno che l’organo di governo svolga un’attività di indirizzo e stimolo all’implementazione di valori da parte dei membri dell’organizzazione, al fine di creare, supportare e consolidare la routine e determinare la creazione di competenze distintive (miglioramento continuo, orientamento al cliente, leadership, coinvolgimento delle risorse umane, gestione delle attività per processi, orientamento ai sistemi di gestione, decisioni basate su dati di fatto, rapporto di reciproco beneficio con i fornitori …)

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Il perfezionamento dell’iter porta a riconoscere nelle organizzazioni la necessità di instaurare interazioni con i contesti di riferimento, alla quale costituisce premessa imprescindibile la connotazione sistemica.la cultura espressa (il mix di valori, routine, consapevolezza delle risorse umane dei tratti distintivi dell’organizzazione) ha l’obiettivo di far percepire i reali tratti valoriali dell’organizzazione. le parti interessate percepiranno gli elementi espressi nella reale valenza, originando input esperienziali (soddisfazione, insoddisfazione) necessari per la sopravvivenza dell’organizzazione stessa.

L’applicazione possibilePremessaIl Comitato di Etica della ex ASl Salerno 1 di Nocera Inferiore ha conseguito il 26/5/2009, unico in Italia, la certificazione di qualità del proprio sistema di gestione UNI EN ISO 9001:2008 con l’Istituto di certificazione della qualità Certiquality (certificato n. 14484). Tale certificato è valido in 37 Paesi, tra cui anche Australia, Colombia, Russia, finlandia, Giappone ed Israele. l’oggetto della certificazione è la formulazione di parere e monitoraggio della sostenibilità etico-scientifica di protocolli di sperimentazione clinica ed organizzativa. formulazione di parere etico su problematiche sanitarie non oggetto di sperimentazione clinica.l’elemento distintivo assoluto di questa scelta strategica risulta essere legato alla certificazione complessiva dell’attività e della funzione di formulazione del parere, non legata esclusivamente all’attività di Segreteria Tecnico-Scientifica. Quest’ultima scelta risulta essere già stata adottata in altre realtà aziendali.

I valori guida del Comitato di Etica sono:• centralità della persona, rispetto della sua integrità fisica; • appropriatezza della sperimentazione, intesa come pertinente al rispetto della persona, delle circostanze e dei luoghi e valida da un punto di vista scientifico, integrabile nel tessuto socio sanitario;• soddisfazione di bisogni ed aspettative legittimi delegate degli interlocutori interni ed esterni (sperimentatore, istituzioni, società civile);• affidabilità dei sistemi e delle procedure gestionali;• correttezza e trasparenza dei sistemi in conformità alle normative vigenti, e nei riguardi delle componenti interne ed esterne all’organizzazione;• valorizzazione delle competenze specialistiche delle risorse umane.

Perché la scelta di «fare qualità»Il progetto di certificazione del proprio sistema di gestione ha consentito al Comitato di Etica di:• redigere e approvare procedure organizzative basate sull’analisi dei processi gestionali che sono stati messi sotto controllo e standardizzati, costituendo ad oggi buone prassi;• individuare opportunità di miglioramento in termini di prestazione dei processi, condivisione delle finalità istituzionali del Comitato di Etica con gli operatori del settore e quindi anche con il territorio;• individuare come punto di forza del sistema il ciclo del plan do check act quindi non solo pianificazione ed azione sempre presenti nelle dinamiche gestionali ma anche monitoraggio e controllo dei processi e dei servizi erogati.Il ciclo si chiude con la riprogrammazione delle attività alla luce di decisioni basate su dati

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acquisibili dal sistema di misurazione, attivato in una logica di approccio gestionale sistemico e di miglioramento continuo dei risultati prestazionali erogati.Il sistema di misurazione scelto si basa su indicatori strategici estrapolati dal registro delle sperimentazioni, trasformato in un data-base dinamico, flessibile, adattabile alle esigenze più varie. Così trasformato, il registro delle sperimentazioni, che è un documento obbligatorio, diventa uno strumento di lavoro per il segretario, fornisce elementi di valutazione per il segretario scientifico, costituisce uno strumento di verifica per il responsabile qualità e fornisce, in ultima analisi, garanzia di controllo sui processi per il Comitato di Etica.

I vantaggi della scelta di «fare qualità»1. livello di risposta istituzionale rispondente alla normativa per tempi e modalità di comunicazione;2. tenuta sotto controllo di tutte le fasi con l’utilizzo di uno strumento semplice e flessibile (registro delle sperimentazioni utilizzato come data base dinamico);3. spersonalizzazione delle procedure;4. crescita culturale di tutti i componenti del CdE, con particolare riferimento ai componenti non tecnici;5. assoluta condivisione dei principi ed accresciuto senso di appartenenza; 6. autorevolezza accresciuta nel percepito del cliente.

Le difficoltà della scelta di «fare qualità»1. difficoltà nell’apprendere un nuovo linguaggio, quello imposto dalla norma, e di fare proprio un nuovo habitus mentale;2. necessità di rimodulare tutto il lavoro in funzione delle evoluzioni normative. Dopo l’emissione del primo Manuale della Qualità, con relative procedure e modulistica, è entrato in vigore il DM 21/12/2007 Modalità di inoltro della richiesta di autorizzazione all’Autorità competente, per la comunicazione di emendamenti sostanziali e la dichiarazione di conclusione della sperimentazione clinica e per la richiesta di parere al Comitato Etico, che ha inserito modulistica obbligatoria per le comunicazioni istituzionali. Inoltre, è stata pubblicata la norma UNI EN ISO 9001:2008.3. lavoro preparatorio alla certificazione decisamente imponente, quasi totalmente a carico della segreteria;4. coinvolgimento necessario di persone non sempre motivate e a volte disinteressate;5. necessità di mantenere il livello di miglioramento raggiunto, nella consapevolezza che la certificazione è appena l’inizio

La situazione attualeÈ stata costituita la nuova Azienda Sanitaria locale Salerno e definito il relativo ambito territoriale, che, a seguito dell’accorpamento degli ambiti territoriali delle preesistenti Aziende Sanitarie locali Salerno 1, Salerno 2 e Salerno 3, coincide con l’intero territorio provinciale (circa 900.000 abitanti);è esecutiva la delibera per la costituzione del Comitato di Etica della Azienda Sanitaria locale Salerno ai sensi del DM 12/5/2006, che mutuerà il Sistema Gestione Qualità del CdE dell’ex ASl Salerno 1, con conseguente scioglimento dei Comitati di Etica delle preesistenti AA. SS. ll. Salerno 1, Salerno 2 e Salerno 3.

Questo articolo è dedicato alla memoria di Nunzio Di Filippo

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SPERIMENTAZIONI CLINIChE NO-PROFIT: IMPATTO DEL D.M. 21 DICEMBRE 2007 SUI TEMPI PER L’OTTENIMENTO DEI PARERI DAI COMITATI ETICI INDIPENDENTI E PER L’ATTIvAZIONE DEI CENTRI PARTECIPANTI

G. De Feo, F. Falasconi, A. Del Giudice, F. Romano, G. Canzanella, F. Crudele, G. de Matteis, A. Savio, J. Bryce, M.C. Piccirillo, M. Di Maio, A. Morabito,F. PerroneUOC Sperimentazioni Cliniche – Istituto Tumori di Napoli “Fondazione G. Pascale”

ABSTRACT

Background le sperimentazioni cliniche in Italia sono regolate dal D.l. 211/2003 che prevede che, per l’avvio di una sperimentazione clinica, il Promotore debba ottenere il parere positivo dei Comitati Etici e la successiva autorizzazione amministrativa dei Centri partecipanti. Questa procedura era in passato caratterizzata da una sostanziale disomogeneità, che riguardava soprattutto gli aspetti burocratici ed amministrativi dell’attività dei CEI, con conseguente aggravio di lavoro per il Promotore ed allungamento dei tempi necessari per l’approvazione di una sperimentazione e per l’attivazione dei Centri partecipanti. la carenza normativa è stata colmata dal D.M. 21 Dicembre 2007, che per la prima volta ha definito ed uniformato la modalità di inoltro della richiesta di parere ai Comitati Etici (“Clinical Trial Application” o CTA). Obiettivo del presente studio è descrivere l’impatto del D.M. 21 Dicembre 2007, definito anche DM-CTA, sui tempi necessari per l’ottenimento dei parere dai Comitati Etici e per l’attivazione dei Centri partecipanti a studi clinici no-profit multicentrici coordinati dall’Unità Sperimentazioni Cliniche (USC) dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli. Metodi: l’attività dell’USC si esplica nel progettare, coordinare e condurre sperimentazioni cliniche no-profit in Oncologia, sia monocentriche che multicentriche. Al fine di determinare la tempistica necessaria per l’attivazione dei singoli centri, sono stati identificati 2 indicatori: il tempo per ottenere il parere dei Comitati Etici (intervallo fra la data di sottomissione della richiesta di parere sul protocollo e la data dell’emissione del parere) e il tempo per ottenere l’autorizzazione amministrativa (intervallo fra la data dell’emissione del parere dei Comitati Etici e la data di sottoscrizione dei contratti amministrativi). l’impatto del DM-CTA sul tempo richiesto per ottenere il parere finale dei Comitati Etici e per l’attivazione definitiva dei centri partecipanti è stato valutato considerando i suddetti indicatori riferiti a tutti gli studi clinici multicentrici promossi dall’USC dell’Istituto Nazionale Tumori di Napoli tra l’1 marzo 2007 ed il 31 ottobre 2009. In particolare, sono stati valutati i tempi per l’emissione del parere dei Comitati Etici e per la sottoscrizione dei contratti amministrativi per gli studi promossi prima dell’entrata in vigore del DM-CTA, e cioè dal 1 marzo 2007 al 3 luglio 2008, e per quelli promossi dopo l’entrata in vigore del DM-CTA, e cioè dal 4 luglio 2008 al 31 ottobre 2009. Il tempo è riportato in giorni, con valori mediani e range.

RisultatiDal 1 marzo 2007 al 3 luglio 2008 (pre DM-CTA) sono state effettuate 74 sottomissioni di protocolli clinici a 56 Comitati Etici; dal 4 luglio 2008 al 31 ottobre 2009, sono state effettuate 129 sottomissioni di protocolli clinici a 73 Comitati Etici. Il parere dei CEI è stato

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ottenuto dal 73% dei centri prima e dal 73.6% dei centri dopo l’entrata in vigore del DM-CTA, con un tempo mediano di 81 giorni (10-485) e 58 giorni (6-260), rispettivamente. l’autorizzazione amministrativa è stata ottenuta dall’86.3% e dal 78.9% dei centri che hanno ottenuto il parere finale dal Comitato Etico sui protocolli clinici sottomessi prima e dopo il DM-CTA, con un tempo mediano di 106 giorni (range 20-468) e 98 giorni (range 29-299), rispettivamente. Complessivamente, il tempo mediano dalla sottomissione di un protocollo clinico alla sottoscrizione del contratto amministrativo e quindi all’attivazione del centro è stato di 199 giorni (range, 62 - 737) prima il DM-CTA e 166 giorni (range, 51-453) dopo il DM-CTA, rispettivamente

ConclusioniIn conclusione, il DM-CTA ha considerevolmente ridotto i tempi necessari per ottenere il parere dai Comitati Etici su sperimentazioni cliniche multicentriche, ma considerevoli ritardi rimangono ancora nei tempi per ottenere l’autorizzazione amministrativa dei centri partecipanti, per la quale è auspicabile una regolamentazione normativa che possa armonizzarne e semplificarne le procedure.

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L’OSSC: DA REGISTRO SULLE SPERIMENTAZIONI CLINIChE... A SOFTWARE DI WORK-FLOW E STRUMENTO A SUPPORTO DELLE ATTIvITà DEL COMITATO ETICO

Giulio ContinoSistemi Informativi e Servizi per la Sanità - CINECA - Consorzio Interuniversitario

Il Cineca propone una infrastruttura tecnologica interamente web based costituita da diversi moduli integrati:

• work flow informativo e documentale per la valutazione delle sperimentazioni cliniche

• registro centralizzato delle sperimentazioni cliniche sui farmaci a livello nazionale• introduzione del sistema di “firma digitale” per l’invio di richieste e pareri (paperless

system)• sistema di reportistica e analisi dei dati completamente rinnovato• strumenti a supporto delle attività del Comitato Etico (organizzazione riunioni,

gestione presenze, OdG, verbali,…)

l’obiettivo è raggiungere la dematerializzazione, cioè “la perdita di consistenza fisica degli archivi cartacei all’atto della loro sostituzione con documenti informatici”.I principali vantaggi sono:• realizzare archivi centralizzati• accorciare i tempi di ricerca dei documenti• velocizzare i passaggi di informazione• eliminare errori e possibilità di “smarrimento”• risparmiare carta e spazi

- Strumenti per la “validazione formale” della documentazione da parte della segreteria tecnico-scientifica del Comitato Etico entro i 7 giorni previsti dal decreto.la segreteria avrà quindi la possibilità di verificare la complettezza e la consistenza dei dati e della documentazione (IB, CI, Protocollo, ecc.) allegata alla CTA form ed inviati dal richiedente, al fine di poterli presentare in seduta del Comitato Etico.

- Una novità rilevante è rappresentata dalla disponibilità, all’interno dell’OsSC, di strumenti a supporto delle attività di gestione della segreteria dei Comitati Etici, quali “Calendario Elettronico” e possibilità di convocare riunioni e componenti.la segreteria potrà quindi convocare una nuova riunione del Comitato Etico inserendo data, ora, luogo, oggetto ecc. Sarà possibile selezionare gli studi iniziali, emendamenti o studi sospesi che verranno discussi in seduta. Per ogni studio è possibile ‘scaricare’ e visualizzare la CTA form e tutta la documentazione allegata dal richiedente.Il sistema consentirà di convocare i componenti del Comitato ed eventuali consulenti esterni che parteciperanno alla seduta. Ogni componente verrà allertato da una mail automatica generata dal sistema.- A valle della riunione la segreteria potrà aggiornare il registro delle presenze, confermando quali componenti e quali esperti hanno effettivamente preso parte alla riunione.

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- introduzione della ‘firma digitale’ anche sul rilascio dei pareri da parte del Comitato Etico.

In questo modo i documenti saranno conservati in un archivio elettronico centralizzato presso il Data Center del CINECA.È prevista la conservazione di tutte le informazioni e di tutti i documenti inviati, in linea con le normative vigenti.I documenti nel formato originale firmato dal mittente saranno disponibili in qualsiasi momento per la consultazione, in funzione dei diversi profili di accesso alle informazioni.- Un ulteriore strumento a disposizione della segreteria riguarda la possibilità di rettificare/revisionare i verbali rilasciati dal CE in seguito ad errori (ad esempio la data della seduta o i componenti partecipanti, votanti, ecc)

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4 DICEMBRE

SESSIONE SPECIAlE

TAVOlA ROTONDAVantaggi, limiti e

Prospettive della Ricerca Clinica Indipendente

sui farmaci

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RICERCA CLINICA SPONSORIZZATA: BIAS NEL DISEGNO, CONDOTTA E PUBBLICAZIONE DEI RISULTATI

Silvio GarattiniDirettore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano. Presidente della Commissione di R&S dell’AIFA

Buongiorno a tutti, grazie per questo gentile invito, grazie particolarmente al prof. Annunziato. Oggi vorrei parlare di ricerca clinica controllata negli studi di fase III, cioè quelli che arrivano dopo gli studi di fase I, che sono gli studi della tollerabilità, e gli studi di fase due, che sono quelli dell’efficacia. Gli studi di fase III permettono di stabilire qual è il rapporto benefici-rischi di un certo farmaco e quindi di poterlo collocare in una certa posizione nell’ambito dell’armamentario terapeutico che abbiamo a disposizione. Questi studi sono fondamentali perché rappresentano l’essenza di quella che chiamiamo la medicina basata sull’evidenza. Ed è dagli studi di fase III che derivano appunto queste evidenze. Prenderò in considerazione una serie di problemi che abbiamo nell’ambito di questo tipo di ricerca. Sono problemi che dovrebbero essere presi in considerazione anche dai comitati etici, perché la vera etica di una sperimentazione sta non soltanto nei problemi di carattere generale ma è insita nelle pieghe del protocollo, dove si possono cogliere problemi che sono di tipo scientifico ma che hanno ripercussioni anche di carattere etico. Il primo problema di cui vorrei discutere è l’eccessivo uso del placebo. la dichiarazione di Helsinki, che è la base dell’etica che deve sempre accompagnare gli studi clinici controllati, dice sostanzialmente che non si deve utilizzare mai il placebo a meno che non ci si trovi di fronte ad una situazione in cui non c’è nessun prodotto documentatamente efficace per una determinata indicazione. Quindi il placebo dovrebbe essere limitato soltanto a quei casi in cui non ci sono farmaci di riferimento. Invece, se voi guardate la letteratura scientifica, trovate spesso l’uso del placebo anche quando in realtà ci sono farmaci disponibili per quella data indicazione. E lo trovate in forme che appunto in apparenza possono essere giustificate, ma in realtà sono difficili da accettare. Vi do un esempio: si tratta di uno studio controllato, randomizzato in cui tutti i pazienti, qui si tratta di pazienti diabetici, ricevono un trattamento di base, che è costituito da metformina e da un glitazone. A questo background, che è comune a tutti e due i gruppi di trattamento, si aggiunge in un gruppo l’exenatide, che è un nuovo farmaco antidiabetico, e nell’altro gruppo il placebo. lo studio include pazienti che non sono sufficientemente controllati e che quindi hanno ancora un margine di miglioramento. I risultati indicano che il gruppo che riceve l’exenatide ha un miglior esito clinico rispetto al gruppo che riceve il placebo. E questo in base a una serie di parametri che sono quelli che si utilizzano per verificare l’efficacia di un trattamento antidiabetico. Questo risultato era sostanzialmente atteso, perché l’exenatide è certamente un farmaco in grado di diminuire l’emoglobina glicosilata e la glicemia. Ma questo approccio è giustificato? No, non lo è dal punto di vista etico, perché ha mantenuto dei pazienti, quelli che ricevono placebo, a un trattamento subottimale. Un vero confronto avrebbe richiesto nel braccio di controllo la

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somministrazione non di placebo ma di uno dei tanti farmaci che abbiamo a disposizione per la terapia del diabete, uno dei tanti della serie degli antidiabetici che si impiegano per via orale. Quindi questo è un esempio in cui il placebo è stato utilizzato impropriamente, perché appunto non si è utilizzato il miglior trattamento che era di fatto già disponibile e già documentato dalla letteratura scientifica come efficace. Questo è un altro esempio recente: si tratta di un farmaco che agisce sull’osteoporosi e che è stato confrontato con il placebo. Se vogliamo generalizzare, gli studi di questo tipo hanno un disegno di Add-On, cioè tutti i pazienti ricevono un trattamento che rappresenta lo standard corrente, un braccio poi riceve placebo e l’altro braccio invece il nuovo farmaco di cui si vuole documentare l’efficacia. Ora questo schema è valido tutte le volte in cui non abbiamo già un trattamento combinato ma se c’è un trattamento combinato non è etico utilizzare il placebo. Una serie di studi molto diffusi riguarda il trattamento dell’artrite reumatoide: in questi studi l’uso del metotrexate è il backgroud comune di trattamento; a questo si aggiunge in un braccio uno dei nuovi trattamenti, ad esempio uno dei tanti anti-TNf alfa, nell’altro braccio il placebo. Questo uso dell’anti-TNf alfa rispetto al placebo è giustificato la prima volta, cioè per il primo anti-TNf alfa; ma non è più giustificato per il secondo, per il terzo, per il quarto, per il quinto che via via arrivano allo sviluppo clinico. Eppure tutti questi studi sono stati approvati dai comitati etici e sono arrivati alla pubblicazione senza che nessuno eccepisse sul fatto che non era lecito utilizzare il placebo, perché già esisteva un trattamento che si doveva considerare ottimale, già era stato dimostrato che metotrexate più un altro farmaco era meglio del metotrexate da solo. Il problema dell’uso improprio del placebo esiste anche nell’ambito degli studi che impiegano il disegno di non inferiorità. Il disegno di non inferiorità implica che già in partenza si ammette che il nuovo farmaco possa essere un po’ meno attivo di quello che già esiste, ma si accetta che, se questa minore attività rimane entro certi limiti, va bene lo stesso. Evidentemente l’etica di questa impostazione è molto discutibile: il Comitato nazionale di bioetica ha recentemente pubblicato un documento su questo problema. Tutte le volte in cui si usa un disegno di non inferiorità (o perlomeno in molti casi) è necessario utilizzare il placebo perché bisogna essere sicuri che la presunta non inferiorità non finisca per non potersi differenziare dallo stesso placebo. Gli studi di superiorità invece non richiedono mai il placebo a meno che manchi un farmaco di riferimento; ma se c’è un farmaco di riferimento la superiorità va documentata rispetto a questo farmaco che va assunto come controllo. Quindi bisogna stare molto attenti di fronte agli studi di non inferiorità: bisogna valutare se non sarebbe stato meglio disegnare studi di superiorità, proprio perché la non inferiorità implica un disegno sperimentale a tre braccia: il trattamento nuovo, il trattamento classico e il placebo, e questo genera problemi di carattere etico. Come tutti sapete lo schema di non inferiorità richiede che si stabiliscano limiti entro i quali si considera non inferiore il farmaco sperimentale; e lo si fa definendo il delta, cioè la riduzione di efficacia del farmaco sperimentale rispetto al trattamento standard che può essere considerata clinicamente trascurabile e quindi accettabile. È chiaro che quanto più noi allarghiamo questi limiti tanto più differenze importanti cadono entro l’area di non inferiorità, quanto più le restringiamo tanto più risulta difficile valutare la non inferiorità, perché in questo caso in realtà si valuta la

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superiorità oppure l’inferiorità del nuovo trattamento rispetto a quello corrente. l’analisi della letteratura da questo punto di vista è molto significativa: su 400 studi controllati nel 64% dei casi si poteva stabilire una differenza solo se questa differenza era più del 50%, il che la dice lunga: vuol dire che noi accettavamo praticamente una differenza, poniamo, del 40% in termini di mortalità come se fosse tra i due trattamenti a confronto non ce ne fosse alcuna. E nell’84% dei casi si poteva vedere una differenza solo se era superiore del 25%. È chiaro che gli studi di non inferiorità sono fatti non per documentare l’efficacia del farmaco ma per non evidenziare un’eventuale differenza rispetto ai trattamenti di riferimento. Che questi studi di non inferiorità siano molti diffusi ve lo dimostrano questi dati. In questi ultimi anni sono stati studiati 18 farmaci antitumorali che sono stati registrati e posti in commercio con 21 indicazioni. Solo 9 indicazioni avevano il supporto di studi di fase III; in 12 casi non c’era neanche uno studio di fase III quando l’indicazione è stata approvata. Ma dei 9 studi di fase III realizzati, ben 6 erano di equivalenza o di non inferiorità e solo 3 di superiorità. Quindi in realtà dei 18 farmaci che abbiamo in commercio e delle 21 loro indicazioni solo in tre casi abbiamo una prova di efficacia e la definizione del posto che il nuova farmaco può occupare in terapia. Dal punto di vista etico naturalmente questi studi sono inaccettabili tanto più perché il paziente non è informato: non si è mai visto un consenso informato presentato al paziente in cui si dica come stanno le cose. Il consenso informato dovrebbe dire: ti sottopongo ad uno studio in cui non so in realtà quale sarà il vantaggio né per te né per gli altri pazienti che verranno dopo di te, perché al massimo (cioè se l’ipotesi sarà provata) il nuovo trattamento sarà non inferiore cioè solo un po’ peggio di quello che già esiste e che avresti comunque avuto; se va male potrebbe essere anche nettamente peggiore; può anche darsi che il nuovo farmaco sia migliore del trattamento corrente, ma comunque io non potrò garantirti nulla del genere sulla base di questi studi. Il che è molto diverso dalla situazione in cui si fa uno studio di superiorità, che mira a migliorare la situazione del paziente; la cosa può riuscire o no, ma comunque lo studio è organizzato per migliorare la terapia. Bisogna stare molto attenti anche alla corrispondenza fra il protocollo e quello che alla fine si pubblica nel rapporto finale del lavoro. Anche i referee dei migliori giornali scientifici raramente vanno a verificare la corrispondenza fra il protocollo e il rapporto, dello studio, anche se adesso tutto ciò sarebbe più facile perché tutti i protocolli devono essere registrati. Questa diapositiva, fa riferimento a uno studio recente che indica che c’è una grande differenza fra gli endpoint primari inizialmente previsti nel protocollo che servono per misurare l’efficacia e quello che alla fine si riporta nella pubblicazione dei risultati dello studio: in molti casi l’endpoint primario diventa secondario e il secondario diventa primario. Questo altera i risultati, eludendo l’obiettivo primario. Tutto ciò avviene su riviste di grande rilievo, non sul bollettino dell’ultima società scientifica. Un altro bias è rappresentato dal fatto che non sempre vengono inclusi nello studio i pazienti che poi devono beneficiare del farmaco sperimentale. Un chiaro esempio è rappresentato dal fatto che ci sono categorie cosiddette fragili, i bambini, le donne, gli anziani, che raramente vengono incluse negli studi clinici controllati. Per esempio, questa diapositiva riporta una serie di studi che riguarda osteoartrite e artrite reumatoide: su circa 10.000 pazienti solo

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il 2,1% aveva più di 65 anni. Il che vuol dire che non vengono studiati i pazienti che poi riceveranno questi farmaci. Si tratta in genere di farmaci analgesici antinfiammatori non steroidei, impiegati largamente in pazienti che non sono rappresentati negli studi controllati e che quindi poi ricevono il farmaco ma senza sapere qual è il loro effetto. Questo problema riguarda anche i bambini: il 50% dei farmaci che si utilizzano oggi nei bambini non ha mai avuto una sperimentazione clinica controllata nell’area pediatrica. Nei bambini i farmaci vengono impiegati mutuando il dosaggio utilizzato nell’adulto aggiustato sulla base del peso corporeo; cioè si calcola il milligrammo per kilogrammo, dimenticando che il bambino non è un piccolo adulto, ma un organismo in crescita e quindi può avere assorbimento, metabolismo e reazioni che sono completamente differenti da quelli degli adulti.Abbiamo parlato della necessità di avere il confronto con un trattamento standard; ma possiamo vedere come spesso il farmaco di confronto non è scelto sulla base del miglior trattamento possibile, ma è scelto per favorire il nuovo farmaco rispetto a quello che già esiste. Ed è chiaro che c’è un interesse anche inconscio a porre le condizioni per favorire il nuovo farmaco rispetto a quello che già esiste; e questo lo si fa anche attraverso una scelta impropria dei comparatori. È questo il caso di uno studio di confronto fra tracolimus e ciclosporina nella prevenzione del rigetto dei trapianti renali. Nelle condizioni sperimentali di questo studio il tracolimus sembra molto migliore della ciclosporina: infatti si osserva un minor numero di rigetti acuti con il tracolimus rispetto alla ciclosporina. Tuttavia la dose di ciclosporina utilizzata nel gruppo di controllo raggiunge livelli ematici intorno ai 300 nanogrammi per millilitro. Ma la letteratura ci dice che i livelli ottimali sono tra i 300 e i 400 nanogrammi per millilitro. Quindi non sorprende che il tracolimus sia più efficace della ciclosporina utilizzata a dosi non appropriate. Un altro esempio di come si può migliorare o peggiorare il comportamento di un farmaco rispetto a un altro a seconda della dose che si sceglie è quello che riguarda gli antipsicotici cosiddetti atipici quali olanzapina, risperidone, quetiapina, etc. Questi farmaci si sono dimostrati migliori dal punto di vista degli effetti extrapiramidali quando la dose del comparatore di prima generazione, l’aloperidolo, era relativamente alta. Alla dose che normalmente viene utilizzata in realtà non c’è nessuna differenza tra aloperidolo e antipsicotici di nuova generazione. Un altro esempio riguarda la tossicità cardiovascolare dei coxib. Sappiamo quello che è successo con questi farmaci: se noi li confrontiamo con il diclofenac non vediamo nessuna differenza dal punto di vista della tossicità cardiovascolare; ma se li confrontiamo con un altro antiinfiammatorio non steroideo, il naprossene, vediamo che questi farmaci sono più tossici dal punto di vista cardiovascolare. Spesso gli studi misurano l’obiettivo che si pongono adottando endpoint surrogati. Che cosa vuol dire? Vuol dire che non si va a guardare quello che interessa al paziente - cioè una minore morbilità, una minore mortalità o una migliore qualità di vita - ma si va a guardare un endpoint, un parametro che in qualche modo può essere collegato al parametro clinico e che si ritiene ne sia il riflesso. Ma in molti casi si possono avere dei problemi. Per esempio l’encainide, la flecainide, che sono farmaci antiaritmici, in effetti riducono le aritmie, ma aumentano al mortalità perché loro stessi, in certe condizioni, possono indurre delle aritmie. Gli estrogeni, che erano stati molto propagandati nella terapia ormonale post menopausa per via del fatto che aumentando il colesterolo buono, in realtà non hanno nessuna efficacia sugli

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eventi cardiovascolari. E cosi questo nuovo farmaco che aveva suscitato grandi speranze. In realtà, pur aumentando il livello del colesterolo HDl, aumentava anche la mortalità e per questo non è mai entrato in commercio. Non possiamo fare delle estrapolazioni, per ogni farmaco. Dato che c’è una struttura chimica differente abbiamo effetti che non sono sempre sovrapponibili: può darsi benissimo che l’effetto sull’endpoint vada sempre nella direzione attesa (l’antiaritmico, riduce le aritmie, l’ipocolesterolemizzante il colesterolo, l’antidiabetico l’emoglobina glicosilata, etc.) ma la molecola può determinare effetti clinic-terapeutici diversi su quanto più interessa per il paziente (sopravvivenza, assenza di malattia, migliore qualità di vita). Quindi non possiamo basarci sul fatto che ci sia un effetto surrogato; dobbiamo sempre stabilire qual è l’effetto terapeutico. Altri esempi: sulfaniluree e rosiglitazone certo diminuiscono l’emoglobina glicosilata, ma le sulfaniluree aumentano l’infarto miocardico, il probabilmente aumenta l’insufficienza cardiaca. Voi vedrete sempre, lo dico soprattutto ai giovani, che gli effetti surrogati sono molto propagandati, ma quelli terapeutici raramente vengono portati all’attenzione del medico. Non è neppure etico - e anche qui diciamo ci sono molti progetti approvati da parte di comitati etici che non meritavano l’approvazione - usare endpoint surrogati in situazioni clincihe in cui già esiste un farmaco che ha un effetto terapeutico. faccio l’esempio delle statine. le statine, le prime due statine, avevano dimostrato di diminuire la mortalità e il numero di infarti in rapporto con la diminuzione del colesterolo ematico. Non è etico sperimentare altri farmaci solo sulla base del livello di colesterolo. le altre statine avrebbero dovuto essere valutate dal punto di vista del loro effetto terapeutico. Altrimenti sottoponiamo i pazienti a un rischio, perché non sappiamo se le nuove statine sono clinicamente efficaci, mentre abbiamo farmaci che già hanno dimostrato la loro efficacia terapeutica.A volte è necessario non usare un singolo endpoint, un singolo parametro di valutazione, perché questo richiederebbe un numero troppo elevato di pazienti. Si ricorre allora a una combinazione di più endpoint. Questo naturalmente può essere molto utile, ma bisogna poi sempre guardare criticamente ai risultati reali. Per esempio, se in questo studio del clopidogrel mettiamo insieme i tre endpoint la morte, l’ischemia ricorrente e l’occlusione delle arterie coronariche, abbiamo certo un vantaggio nell’uso di questo prodotto rispetto al placebo; si dirà: questo farmaco è stato studiato sulla morte, sull’ischemia ricorrente e sulla occlusione delle arterie coronariche e ha mostrato un effetto positivo. Ma questa informazione non è un’informazione corretta. l’interpretazione adeguata è che non c’è un effetto sulla morte, c’è un piccolo effetto non statisticamente significativo sull’ischemia ricorrente, e tutto il vantaggio si regge sul fatto che c’è un minor numero di occlusioni delle arterie coronariche. Quindi l’endpoint composito va sempre analizzato nelle sue componenti. Se andiamo a guardare qual è il peso all’interno di ciascuna componente spesso possiamo notare che la mortalità ha un peso molto piccolo, gli effetti critici in termini di morbilità sono al limite della significatività statistica e clinica, mentre gli effetti minori sono gli unici che determinano l’efficacia, che poi però viene valutata in termini globali. Vorrei anche farvi vedere come spesso lo studio si focalizza solo su certi effetti collaterali e non esamina l’insieme degli effetti collaterali. Per esempio, abbiamo parlato prima degli antipsicotici atipici: il messaggio che passa è quello di una diminuzione degli effetti collaterali

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di tipo extrapiramidale, che certo è un effetto importante; ma non passa il messaggio (perché il fenomeno non è stato studiato inizialmente ma solo dopo la commercializzazione) che questi farmaci aumentano il peso corporeo, la probabilità di diabete e quindi di eventi avversi gravi. Se uno sa che ci sono minori effetti extrapiramidali, usa soltanto gli antipsicotici atipici; ma se sa che ci sono altri effetti a carico di questi farmaci, evidentemente fa una valutazione prima di decidere che cosa vuole utilizzare. lo stesso problema si è posto per i coxib: i coxib sono stati molto propagandati per la riduzione degli effetti gastrotossici rispetto ai farmaci antinfiammatori non steroidei; ma non si è mai valutato in modo adeguato la loro tossicità cardiovascolare. Sommando i risultati di piccoli studi per sé non significativi, già intorno al 2001 si poteva dire che c’era un aumento di cardiotossicità. Il rofecoxib è stato tolto dal commercio soltanto nel 2004, quando c’erano due milioni di persone in trattamento e le vendite solo negli Stai Uniti assommavano a 2,5 mld di dollari. È chiaro che qui l’interesse del paziente non è stato certamente il punto di riferimento. Ultimo punto che voglio sviluppare è quello delle pubblicazioni selettive. Noi possiamo giudicare solo quello che leggiamo; non possiamo giudicare quello che non arriva all’attenzione perché non viene pubblicato. In realtà ci sono molte cose che non vengono mai pubblicate. In questa review svedese sono stati raccolti tutti gli studi che erano stati fatti sui farmaci antidepressivi che agiscono sulla serotonina (SSRI): si trattava di 42 studi. 21 studi dimostravano che il farmaco era meglio del placebo; questi 21 studi hanno originato 19 pubblicazioni primarie e una serie di altre pubblicazioni aggiuntive. C’erano anche 21 studi che non dimostravano una differenza degli SSRI rispetto al placebo; ma di questi studi ne sono stati pubblicati soltanto 6. Del 50% di evidenze a favore e del 50% di evidenze a sfavore di questi antidepressivi, noi vediamo soltanto quanto le pubblicazioni riportano e cioè una predominanza di pubblicazioni favorevoli e quindi concludiamo che gli SSRI sono veramente molto efficaci. Il dato è stato recentemente confermato quando la food and Drug Administration ha messo a disposizione i dati tutti gli studi in suo possesso (in America chiunque faccia uno studio utilizzando farmaci è obbligato a depositare tutti i dati, indipendentemente dal fatto che lo studio abbia scopi registrativi). Ora se mettiamo insieme tutti gli studi che sono stati fatti vediamo che proprio per il peso che viene portato dagli studi negativi non pubblicati non c’è in realtà grande differenza fra i trattati con il placebo e i trattati con SSRI, fatto salvo il caso in cui la malattia depressiva sia relativamente grave. In quest’ultimo caso abbiamo un effetto significativo; ma, si badi, non tanto perché aumenta l’effetto di questi antidepressivi ma soprattutto perché diminuisce l’effetto del placebo, il che consente di documentare una differenza a favore degli SSRI. Rispetto all’indicazione approvata, la porzione della popolazione che trae vantaggio rappresenta non più del 10% dei pazienti che vengono trattati con questi farmaci. Quindi nel 90% dei casi utilizziamo un farmaco che non è un farmaco validato dall’insieme degli studi clinici, pubblicati e non pubblicati. Questo modo selettivo di pubblicare i risultati è molto diffuso e rende inaffidabili gli eventuali studi di metanalisi, le review sistematiche, etc che fanno affidamento principalmente su dati pubblicati, perché è molto difficile cercare e soprattutto trovare quelli non pubblicati.Non discuto il problema del conflitto d’interessi che è un problema che dovrebbe essere discusso a parte. Volevo soltanto dire una cosa per sottolineare che purtroppo molti dei

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bias sono in realtà autorizzati dalla legislazione europea. Questa diapositiva oggi per fortuna non è più valida: fino a pochi giorni fa l’EMEA, che è l’agenzia regolatoria europea, rispondeva gerarchicamente alla Direzione generale dell’Industria e delle imprese, una situazione assolutamente anomala, perché in qualche modo l’industria c condizionava la regolamentazione dei farmaci. Da quattro giorni, l’EMEA è passata sotto la Direzione della Sanità e dei consumatori; è un fatto molto importante che ci auguriamo possa cambiare le regole del gioco. le regole attuali sostanzialmente prevedono che per approvare un farmaco in Europa bastano tre caratteristiche: la qualità, l’efficacia e la sicurezza che sono tre prerogative importanti; ma la legislazione non richiede qualcosa che cambierebbe tutto il sistema, e cioè che i nuovi farmaci debbano avere un valore aggiunto. la documentazione di un valore aggiunto implica la necessità di fare confronti, che dimostrino che i nuovi farmaci hanno qualcosa di nuovo e di migliore rispetto ai precedenti. Qualcosa di nuovo e di migliore non vuol dire soltanto un aumento di efficacia; può voler dire, per esempio, efficacia in pazienti che non rispondono ad altri farmaci, può voler dire minore tossicità, può voler dire migliore facilità d’uso e migliore adesione al trattamento da parte dei pazienti; può voler dire molte cose, ma dovrebbe essere necessario dimostrare un valore aggiunto.C’è da augurarsi che in futuro la legislazione sia più attenta agli interessi dei pazienti e che i farmaci diventino veri strumenti di salute anziché soltanto beni di consumo. Grazie.

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L’AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO (AIFA) QUALE PROMOTORE DELLA RICERCA CLINICA INDIPENDENTE

Lucia MasieroUfficio Ricerca e Sviluppo AIFA

Grazie dell’invito. Vi porto i saluti del Direttore Generale dell’AIfA il prof. Guido Rasi.Parlerò del programma della ricerca indipendente che è stato attuato dall’AIfA. In particolare gli argomenti riguarderanno: il contesto normativo favorevole che ha permesso la realizzazione di questo programma, i finanziamenti che sono stati utilizzati, le modalità con le quali si è potuto finanziare il programma, che cosa è stato fatto e in che modo e qual è il rapporto del programma di ricerca indipendente con attività regolatorie dell’AIfA. E infine alcuni problemi aperti che sono sempre presenti.Innanzi tutto il contesto normativo.Il noto Decreto Ministeriale del 17 dicembre 2004 relativo alla ricerca non profit promossa da istituzioni pubbliche e non profit, in assenza di interessi commerciali. Da rilevare come caratteristiche fondamentali della ricerca no profit, ad esempio la non partecipazione di istituzioni con proprietà di brevetti (è noto che i ricercatori e le istituzioni che propongono progetti no profit non devono essere proprietari di brevetti relativi al tema sul quale viene svolta la ricerca). Inoltre, la proprietà dei dati rimane ai ricercatori. I farmaci che vengono utilizzati sono farmaci in commercio spesso a carico del servizio sanitario nazionale. Il problema dell’assicurazione è stato recentemente affrontato: assicurazione che deve essere compresa nell’ambito della clinica generale e dell’attività di ricerca della struttura. Il coinvolgimento dei comitati etici che devono formulare un parere senza corrispondenza di un compenso.Sempre con riferimento alla normativa abbiamo l’insieme delle regole che hanno permesso il finanziamento di questo programma. Innanzi tutto fra i compiti dell’Agenzia (Italiana del farmaco) vi è la promozione della ricerca scientifica di carattere pubblico nei settori strategici del farmaco. È stato costituito un fondo che viene alimentato con il 5% delle spese di attività di promozione da parte delle aziende farmaceutiche. Questo 5% del fondo non è destinato esclusivamente alla ricerca indipendente, ma viene utilizzato anche per finanziare farmaci per malattie orfane o per patologie molto gravi senza speranza di cura, per un centro di informazione indipendente sui farmaci, per un programma di farmacovigilanza attiva. Il finanziamento per la ricerca sull’uso dei farmaci, secondo quanto è previsto dalla normativa, riguarda gli studi clinici comparativi fra medicinali che abbiano lo scopo di dimostrare un valore terapeutico aggiuntivo, studi su farmaci orfani e studi su appropriatezza e su formazione e informazione. Che cosa è stato fatto. Questa è in sintesi l’attività, svolta in quattro anni, del programma della ricerca indipendente dell’AIfA. le aree di riferimento che abbiamo appena citato sono le aree dei farmaci orfani e malattie rare, l’area del confronto fra farmaci e strategie terapeutiche e l’area della farmacoepidemiologia. Nei quattro anni abbiamo avuto un totale di 189 progetti ammessi al finanziamento per

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complessivi 90 milioni di euro: una cifra considerevole. Per quanto riguarda l’area dei farmaci orfani il programma si riferisce agli anni dal 2005 al 2007 ed è stata esclusa nel bando del 2008. le tappe che hanno permesso la realizzazione di questo programma.Innanzitutto un’attività istruttoria che permette alla Commissione Ricerca e Sviluppo (CRS) di formulare le tematiche da mettere a bando, l’approvazione del bando da parte del Consiglio di Amministrazione (CdA) dell’AIfA, quindi la pubblicazione che prevede anche le indicazioni dei requisiti e la procedura di presentazione, delle modalità di valutazione dei progetti. Da parte dei ricercatori la presentazione di una lettera di intenti in italiano e la valutazione di queste stesse lettere di intenti da parte della CRS che effettua un primo step di valutazione per l’ammissione alla seconda fase di valutazione.A questo punto i ricercatori ammessi alla seconda fase presentano un protocollo completo in lingua inglese che viene a sua volta valutato da un’altra commissione Study Session composta da referee italiani e per la maggior parte stranieri indipendenti dalla prima commissione. Si tratta quindi di due valutazioni compiute da due commissioni indipendenti. Segui poi la comunicazione dei risultati ai ricercatori e l’avvio degli studi ammessi al finanziamento per i quali il primo atto consiste in un corso presso l’AIfA sulle good clinical practice utile alla conduzione degli studi. Quindi la firma dei contratti e l’avvio del finanziamento.la CRS che abbiamo citato è ovviamente il fulcro del programma. Ha un mandato di identificazione dei temi di ricerca, di conduzione della prima fase del processo di selezione delle proposte e di supervisione dell’andamento dei progetti. I componenti della CRS sono noti a tutti e sono presenti in parte anche oggi, compreso il Presidente. Il primo step: l’individuazione dei temi. Anche per individuazione dei temi la procedura è abbastanza articolata, si parte dall’invio di suggerimenti da parte di ricercatori i quali, attraverso un modello presente sul portale dell’AIfA, comunicano secondo la loro esperienza e conoscenza scientifica quali sono le priorità che andrebbero indagate. Vengono poi condotte audizioni con le istituzioni scientifiche, le associazioni scientifiche e dei pazienti. Vengono quindi formulati dei documenti discussi dalla CRS che formula un bando con le varie tematiche così selezionate. Come anticipato il bando viene sottoposto all’approvazione del CdA dell’AIfA per la ratifica. Quali sono le caratteristiche delle tematiche che vengono messe a bando.Innanzitutto i farmaci, che sono quasi esclusivamente di classe A e di classe H. I confronti, che sono fra singoli farmaci e fra strategia terapeutica o fra strategia terapeutica e farmacologia e strategia non farmacologia. la tipologia degli studi, sono studi sperimentali per lo più di fase 3 e 4; vi sono anche studi osservazionali; e dal 2007 sono stati inseriti anche le revisioni sistematiche. I temi ovviamente devono avere un interesse commerciale molto limitato e soprattutto temi che possano portare a nuove conoscenze con ricaduta nella pratica clinica e/o di tipo regolatorio. Queste sono le grandi aree tematiche presenti nei bandi: l’area delle malattie rare e dei farmaci orfani e dei pazienti non responder, che è stata presente nei bandi dal 2005 al 2007, il confronto fra farmaci e strategie terapeutiche come abbiamo detto e gli studi di

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farmacoepidemiologia e strategie per la promozione dell’appropriatezza. Questo è un esempio di una tematica che è stata proposta nel bando 2006, si tratta in questo caso di studi di pazienti con demenza, come vedete l’articolazione della tematica è abbastanza completa nel senso che c’è sia la tematica, una nota esplicativa e una motivazione che ha portato la CRS all’inserimento di questa tematica appunto nel bando. A questo punto vengono presentate le proposte. Abbiamo detto che si tratta di due fasi di presentazione: una lettera di intenti in italiano e un protocollo in inglese e due fasi di valutazione. Questa è una prima parte di una lettera di intenti. Anche questa prevede una modalità di compilazione attraverso il portale dell’AIfA quindi tutto via web (non arriva nulla di cartaceo). la prima fase di valutazione prevede la selezione da parte della CRS. la valutazione avviene innanzi tutto da casa, cioè almeno tre, ma in realtà sono stati almeno 4 o 5, tra i componenti della CRS hanno presentato un voto scritto e gli altri componenti hanno preso visione della lettera d’intenti pervenuta. la valutazione ha riguardato innanzitutto un aspetto di pertinenza della lettera d’intenti rispetto alla tematica nella quale è stata presentata. Quindi, una volta considerata pertinente, la lettera di intenti è stata valutata rispetto alla rilevanza per il Servizio Sanitario Nazionale, alla qualità scientifica dello studio, l’esperienza del proponente, la congruità economica. A questo punto, dopo che i componenti della CRS hanno singolarmente valutato le lettere d’intenti, c’è una discussione plenaria e una votazione collegiale alla quale viene affiancata anche una motivazione relativa al voto espresso. Naturalmente ci sono delle regole interne condivise per quanto riguarda i conflitti d’interesse. Una piccolissima parentesi visto che l’argomento come abbiamo detto oggi è molto complicato. In questo programma però sono presenti e applicate le regole importanti come per esempio la non partecipazione non soltanto al voto ma anche alla discussione del componente della CRS che dichiara un conflitto d’interesse con la lettera d’intenti in esame o il proponente. Il primo step di valutazione nei 4 anni del programma.Sono arrivate alla CRS oltre 1500 lettere d’intenti e di queste 356 sono state ammesse alla seconda fase di valutazione. Qui non ho presentato per motivi di spazio, questo 23% è una percentuale che all’incirca si presenta pressoché costante in tutti gli anni. Da dove provengono le lettere di intenti.Molto velocemente, provengono come numero assoluto dalle istituzioni con sede nelle regioni del nord quindi del centro e sud delle isole. Tuttavia se rapportiamo il numero delle lettere di intenti presentate al numero di residenti il centro ha una maggiore presenza di lettere di intenti.Quali sono le istituzioni che più frequentemente presentano le lettere di intenti: si distribuiscono fra il Servizio Sanitario Nazionale e le Università e poi le Associazioni e le fondazioni in numero molto più basso. Per quanto riguarda poi la probabilità di successo di avere un progetto finanziato, è sostanzialmente la stessa in tutte le categorie di istituzioni, un po’ più bassa per le Università private che comunque concorrono in numero minore. A questo punto la seconda fase di selezione.Una volta che la lettera di intenti è ammessa viene presentato il protocollo in lingua inglese

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che viene sottoposto alla commissione di esperti italiani e stranieri, la Study Session. Nel 2008 sono state due commissioni complessivamente di ventiquattro esperti la metà stranieri e l’altra metà esperti italiani diversi dalla CRS. Su ciascun protocollo tre revisori esprimono da casa un giudizio scritto e un voto (analogamente a quanto è stato fatto dalla CRS). Anche in questo caso i criteri di valutazione riguardavano il metodo scientifico a partire dalla valutazione del razionale che porta alla presentazione dello studio, la metodologia proposta, l’organizzazione alle spalle del ricercatore proponente, la capacità di portare a compimento lo studio e la congruità economica. Una volta che i revisori hanno completato il loro lavoro, tutti i componenti si riuniscono a Roma per una discussione plenaria nella quale i tre revisori presentano il protocollo e le loro valutazioni che vengono però discussi anche con gli altri componenti della commissione, poiché tutti i componenti sono tenuti a conoscere tutti i protocolli in valutazione. Dopo la discussione avviene una votazione e la formulazione di un final statement con eventuali indicazioni ai ricercatori.I punteggi che vengono forniti variano da 1 a 3, punteggio insufficiente; da 3 a 3.9, sufficiente ma con bassa priorità; da 4 a 5 sono considerati i progetti eccellenti. In base a questi punteggi viene formulato un ranking dal progetto con punteggio migliore a quello più insufficiente. Questo ranking viene poi trasmesso alla CRS che fa solo da tramite per inviarlo al CdA dell’AIfA che ne dà ratifica. Abbiamo detto un processo di votazione che avviene attraverso due commissioni che sono fra di loro indipendenti e quindi un meccanismo di finanziamento che è basato solo sul merito scientifico. I conflitti d’interesse: abbiamo parlato di come sono gestiti quelli della CRS, secondo la regolamentazione condivisa dalla Commissione; per quanto riguarda la study session, viene qui presentato un estratto della sottoscrizione della Disclosure of Interest che i componenti della study session devono sottoscrivere prima di valutare un protocollo. Alcune domande: un meccanismo trasparente è anche una garanzia di merito? Esiste in questo caso sensibilità e specificità nella valutazione dopo un processo di questo tipo? Alcuni dei temi di discussione potrebbero riguardare l’impossibilità o comunque la difficoltà da parte dei ricercatori che ricevono un final statement di controbattere ai revisori, di replicare alle indicazioni su proposte di modifiche al protocollo.Dall’altro lato la composizione degli esperti delle commissioni di valutazione. Un argomento che viene spesso dibattuto riguarda lo spettro delle competenze interne di ciascuna study session; se si debbano cioè privilegiare gli esperti nella materia specifica, nella materia che è oggetto del protocollo valutato o se debbano essere presenti (anche) competenze esterne, per esempio di tipo metodologico ecc. O addirittura come succede nel nostro caso, una combinazione delle competenze cioè sia specifiche relative alla tematica che viene valutata sia non specifici come esperti metodologi.Il finanziamento abbiamo detto che è in base al ranking formulato della study session viene poi trasmesso al CdA e generalmente, in almeno un 30% dei casi, il progetto viene finanziato per l’importo richiesto dal ricercatore. Ci si attende che i progetti si concludano nell’arco dei tre anni. In realtà, come è emerso anche oggi, ci sono da un lato delle difficoltà di tipo organizzativo dall’altro il fatto che la ricerca non profit ha come obiettivo privilegiare tematiche che hanno bisogno di un tempo

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maggiore per portare a un risultato.Il co-finanziamento da parte delle aziende farmaceutiche.In particolare fino a quando era presente anche la tematica delle malattie rare, dei farmaci orfani, le aziende farmaceutiche hanno potuto co-finanziare i progetti che utilizzano farmaci orfani o provati designati dall’EMEA con la fornitura del farmaco off label o per la preparazione del doppio cieco. la CRS ha richiesto alle aziende farmaceutiche di contribuire, per un massimo di 500 €, ad una intera tematica indipendentemente dal progetto o progetti che si aggiudicheranno il finanziamento all’interno della tematica stessa: non un finanziamento al singolo progetto ma alla tematica.Qualche esempio di studio approvati: il primo gruppo che presentiamo è relativo al campo oncologico, riguarda la riduzione della dose della terapia oppure la riduzione della durata della terapia o una diversa combinazione di terapie sequenziali.Questi sono altri casi importanti di studi che sono stati finanziati sempre nel campo oncologico nel 2005. Questo, invece, nel caso della tematica di farmacovigilanza e appropriatezza: il primo riguardo sul dosaggio dell’acido folico, uno studio molto ampio che ha previsto anche il coinvolgimento di centri europei e americani, oppure l’ultimo che già ha portato a compimento. In che modo è previsto il coinvolgimento dell’AIfA soprattutto nella fase successiva al finanziamento in quanto l’obiettivo dell’ufficio dell’AIfA di supporto alla CRS è quello di dare un sostegno nella conduzione degli studi che vengono ammessi al finanziamento. Vengono fornite indicazioni ai ricercatori, viene organizzato un incontro che avviene subito dopo la decisione del finanziamento quindi nel momento del contratto dell’AIfA (e del quale si è parlato in precedenza). Vengono poi richieste ai ricercatori relazioni intermedie puntuali e periodiche che riguardano aspetti scientifici e amministrativi, ci sono degli incontri annuali, quest’anno si è tenuto il 27 ottobre, durante il quale si richiede ai ricercatori di presentare lo stato di avanzamento dei progetti. Infine altre richieste che semestralmente vengono fatte ai ricercatori per verificare l’andamento dei progetti. Si richiedono che tutte le pubblicazioni vengano messe sul portale dell’AIfA. E infine c’è un report finale che conclude tutto il progetto e che viene valutato dalla CRS soprattutto per la verifica del rispetto degli obiettivi previsti con il finanziamento dell’AIfA.Un punto dolente sono i tempi. Anche questi sono stati citati oggi. Questo che presentiamo riguarda il tempo impiegato in alcuni studi soprattutto del 2005 e del 2006. Si tratta del tempo impiegato dal momento il cui il CdA delibera l’elenco degli ammessi al finanziamento e il momento in cui avviene l’arruolamento del primo paziente. Come si vede la mediana per i centri di coordinamento e responsabili del progetto si avvicina ad un anno e per quanto riguarda i centri coinvolti (riguarda soltanto il 2005) i centri satelliti arriviamo al doppio del livello mediano e soprattutto con un range molto ampio. Questo è invece un piccolo flash sui tempi impiegati dall’invio della documentazione ai comitati etici fino al momento dell’arruolamento del primo paziente. Anche in questo caso i tempi sono molto dilatati, a parte i valori mediani che sono sovrapponibili fra il centro di coordinamento e gli altri centri coinvolti si nota che il 75% arriva già ad oltre un anno. Questo significa che c’è un quarto dei progetti che supera questo intervallo ed è quindi è una problematiche da affrontare. In questo

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intervallo è presente sia il tempo impiegato dall’invio della documentazione al comitato etico e l’espressione del comitato etico sul protocollo quindi un problema della decisione, diciamo cosi, e sappiamo che sono anni come quelli del 2005, 2006 di rivoluzione dei comitati etici quindi di cambiamento della loro normativa. All’interno dell’intervallo è presente però anche il tempo impiegato dai ricercatori dal momento in cui hanno a disposizione il verbale del comitato etico al momento all’arruolamento del primo paziente. Anche questo è un tempo molto ampio. Alcuni problemi aperti. Innanzitutto l’individuazione delle aree grigie nella scelta delle tematiche, questo è un problema che va affrontato con attenzione in un programma di ricerca indipendente. I protocolli: spesso le proposte presentano idee molto buone ma a volte non sono espresse nel modo corretto. Abbiamo analizzato i progetti presentati e abbiamo visto quanto siano importanti le presenze di alcune unità di ricerca clinica o comunque delle competenze di ricerca clinica all’interno del gruppo delle unità operative che propone il progetto. Il programma dei co-finanziamenti. Da ricordare comunque che nella ricerca indipendente un co-finanziamento pubblico esiste sempre perché le istituzioni da parte loro, mettono a disposizione il personale, le strutture e quindi in qualche modo esistono dei co-finanziamenti.la gestione del conflitto d’interesse che è presente sia per quanto riguarda i valutatori ma anche per i proponenti.Difficoltà organizzative, per quanto riguarda non solo la valutazione ma anche per la conduzione degli studi: il rapporto con i comitati etici, il rapporto del centro coordinatore con gli altri centri satelliti e che poi portano ad un aumento dei tempi dell’avvio degli studi e alla diffusione dei risultati. Questi sono connessi anche alle potenziali ricadute anche commerciali, la ripercussione sul servizio sanitario nazionale.Infine l’assicurazione, è sempre stato un problema ad avere a disposizione un’assicurazione non soltanto per la pratica clinica ma anche per la ricerca. finalmente è uscito un decreto, esistono in questo momento dei problemi di adeguamento da parte dei centri ma speriamo che porti a un miglioramento in questo senso.Per quanto riguarda le ricadute della ricerca dell’AIfA naturalmente la cosa principale riguarda le tematiche rispetto alle quali vengono scelti i temi da mettere a bando ma comunque il programma è uno stimolo, uno sviluppo di competenze della ricerca. Si prevede la creazione e il consolidamento di reti di ricerca, quindi centri che si mettono insieme e che fanno direttamente ricerca. E una diffusione delle competenze che vanno dalla stesura di un protocollo all’applicazione delle good clinical practis o comunque le modalità con le quali condurre al meglio uno studio. Altri aspetti riguardano il coinvolgimento di paesi in via di sviluppo. È stata fatta un’esperienza in uno degli anni del programma, nel 2007 la tematica ha riguardato una malattia in qualche modo orfana soprattutto nei paesi in via di sviluppo con ripercussioni però in Italia, si trattava del problema della tubercolosi. Un altro aspetto importante riguarda la gestione delle ricadute commerciali per quanto riguarda l’Agenzia del farmaco.

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In conclusione diciamo che questa è stata una esperienza che ha dimostrato che si può fare una valutazione di tipo trasparente. E infine un’attenzione sulla qualità degli studi indipendenti. Io lascio un paio di argomenti fra i tanti che sono emersi che riguardano appunto la ricaduta nella pratica clinica soprattutto dal punto di vista regolatorio delle conoscenze che si acquisiscono con la conduzione degli studi all’interno del programma della ricerca non profit, dall’altro una domanda che già è emersa oggi, riguarda l’uso esasperato delle applicazioni delle good clinical pratics che alla fine potrebbe rischiare di danneggiare studi non commerciali piuttosto che favorirli come sarebbe nell’intento. Grazie.

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QUALI PROSPETTIvE LEGISLATIvE PER LA RICERCA INDIPENDENTE IN ITALIA?

Giuseppe PalumboOrdinario di Ginecologia e Ostetricia, Università degli Studi di Catania. Presidente della Commissione Parlamentare per gli Affari Sociali

la ricerca rappresenta l’elemento fondamentale per garantire una sanità in linea con il progresso scientifico e tecnologico. In questo ambito essa rappresenta un vero e proprio investimento per determinare il progressivo aumento delle risorse a disposizione, e attuare il passaggio dalla sanità alla salute. In parlamento non si parla mai di questi argomenti o quando se ne parla, se ne parla in una maniera politica. Questa mattina ho ascoltato parecchie cose molto interessanti e permettetemi di dire ho toccato dei momenti di grande entusiasmo e dei momenti non di pessimismo ma di grande riflessione su alcuni aspetti riguardanti la ricerca nel nostro Paese. Abbiamo sentito grandi speranze da parte del prof. Vella sull’HIV; il prof. Garattini ci ha illustrato molti problemi importanti nella sperimentazione: il placebo, il consenso informato ed i farmaci cosiddetti innovativi. Occorre sottolineare che la ricerca sanitaria comprende una ricerca corrente ed una finalizzata, a cui possono accedere vari soggetti istituzionali, come le Regioni, che assumeranno sempre più un ruolo fondamentale nella realizzazione degli obiettivi primari del PSN e nella erogazione di servizi di qualità. In parallelo è rilanciata la ricerca biomedica, realizzando nuove sinergie tra gli Istituti a carattere scientifico del Ministero della salute e le altre realtà del Paese, quali le Università, il CNR, e le altre istituzioni pubbliche e private.A fronte di un problema di carenze di risorse, nel corso degli ultimi anni è stato implementato l’istituto del cofinanziamento, che consente di aumentare la massa critica dei finanziamenti a disposizione degli Enti di ricerca, coinvolgendo anche il mondo del settore privato, troppo spesso lontano dalla realtà sociosanitaria del Paese.l’obiettivo ultimo è quello di far salire la spesa per la ricerca ll’1% del PIl come livello medio dei 27 Paesi della UE.Il Ministero della Salute ha una funzione centrale nel campo della ricerca sanitaria e bio medica, coordinando i finanziamenti. le leggi che hanno portato ad una regolarizzazione dei finanziamenti per la ricerca vanno dalla 617 dell’80 alla 269 del ’93 e alla 266 del ’93 fino alla 502; ed alla istituzione della Commissione nazionale per la ricerca sanitaria, di cui fa parte il prof. lucignani che così brillantemente ha chiarito il meccanismo e il funzionamento della stessa. I destinatari istituzionali dei finanziamenti sono le Regioni, gli IRCSS, l’Istituto Superiore della Sanità, l’Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, gli Istituti profilattici e sperimentali, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Il programma di ricerca sanitaria è elaborato di concerto con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; sentita la Conferenza Stato/Regioni.In particolare una quota delle risorse destinate al finanziamento di progetti di ricerca sanitaria è vincolata, per gli anni 2007, 2008, 2009, al finanziamento delle seguenti iniziative:

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• 10 milioni di euro per progetti proposti dagli Istituti zooprofilattici sperimentali in materia di sicurezza degli alimenti;

• 9 milioni di euro complessivi (3 milioni per ciascuna iniziativa) a favore del finanziamento di progetti concernenti:

• il miglioramento degli interventi di diagnosi e cura delle malattie rare, anche in riferimento alla facilitazione della erogazione ai pazienti dei farmaci orfani;

• l’utilizzo di cellule staminali;• la qualificazione ed il potenziamento delle attività di tutela della salute nei luoghi di

lavoro.

Per il 2009 nella tabella di Bilancio del Ministero del lavoro, delle politiche sociali e della salute sono stati destinati alla ricerca sanitaria corrente e finalizzata 294 milioni di euro; mentre per il 2010, in riferimento alla medesima voce, nel disegno di legge di bilancio (A.C. 2937) sono stati destinati 306 milioni di euro.

le Regioni - a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione che ha definito la ricerca come materia “concorrente”- stanno prendendo coscienza delle proprie responsabilità nello sviluppo e nel sostegno della ricerca, ed alcune di esse hanno già avviato iniziative di sostegno “interno” con propri fondi e risorse e hanno anche reso ufficiale attraverso leggi o disposizioni regionali il fatto che essa deve essere vista come parte integrante della mission del sistema nazionale.Nel corso degli anni è anche mutata l’attenzione dei ricercatori afferenti alle Regioni che hanno spostato progressivamente il loro obiettivo verso tematiche sempre più aderenti alla ricerca biomedica, senza peraltro tralasciare le aree di interesse organizzativo gestionale.

Vorrei ricordare infine, la necessità di portare avanti la informatizzazione in sanità che permetterebbe sicuramente una raccolta di dati efficace e l’attuazione di quei controlli che consentirebbero notevoli risparmi. Attualmente la ricerca sanitaria, anche per questa carenza, non riesca a fare sistema. Rimane spesso il caso del singolo ricercatore o gruppo che, pur ottenendo risultati considerevoli, non riesce ad ottenere un risultato positivo. Concludendo, ritengo che con l’impegno di tutti, anche del Governo, a cercare di aumentare i finanziamenti ed utilizzare meglio le risorse a disposizione, impediremmo non tanto la fuga dei cervelli ma anche un eventuale ritorno dei nostri ricercatori presenti all’estero.

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INDICE DEI NOMI

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Indice dei nomi

A

Aceti, Tonino 85

Agostini, Maurizio 77

Aiezza, Maria luisa 146

Alfonso Galán, Mª Teresa 221

Alvino, Angelantonio 135

Alvino, Carmine 135

Amenta, francesco 146

Avagliano, Vincenzo 151

Ayala, fabio 144

B

Balato, Nicola 144

Barbato, filomena 151

Barr, Santilla 172, 173

Benevento f. 231

Borgia, luisa 42, 229

Bryce, J. 235

Buccelli, Claudio 11, 15

Burlin, Isotta 176

C

Cannovo, Maria 155

Cannovo, Nunzia 121, 171, 175, 176

Cannovo, Rosaria 172, 173

Canzanella, G. 235

Carotenuto, Anna 146

Carta, P. 147

Caruso, Salvatore 92

Ceruso, C. 231

Chieffi, lorenzo 69

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260

Chillotti, C. 147

Cioce, Maria 175

Conti, Adelaide 73

Contino, Giulio 237

Crisci, Antonello 126

Crudele, f. 235

D

de Chiara, Serena 175

De feo, G. 235

Deidda, A. 147

Del Giudice, A. 235

Dell’Erba, Alessandro 214

Del Zompo, M. 147

De Martino, D. 231

De Masellis, G. 231

de Matteis, G. 235

De Micco, francesco 126

De Roma, Maria Grazia 135

De Rosa, Pier luigi 88

Di Maio, M. 235

Di Munzio, W. 231

Di Muzio, Massimo M.G. 229

Di Renzo, Gianfranco 106

f

fabiano, V. 145

faillace, Danila 171

falasconi, f. 235

fasanaro, Angiola Maria 146

frati, Paola 214

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261

G

Gallenga, Pier Enrico 42

Gallo, Ciro 202

Galluccio, Antonio 197

Garattini, Silvio 241

Gasbarro, Annarita 214

Giancotti, E. 137

Gregorini, Mariaroberta 126

Guidoni, laura 207

H

Huober, luigi 130, 188

I

Iacono, Alessandro 172, 173

Iannone, M.T. 145

Iannotti, M. 231

Iannuzzi, A. 231

l

langella, francesco 151

ligas, f. 147

luciano, Rosa 135

M

Maiorino, C. 231

Masiero, lucia 248

Masullo, Antonella 126

Minacori, Roberta 25

Morabito, A. 235

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262

N

Nizi, fabrizio 155

P

Paciello, loriana 171

Palumbo, Giuseppe 255

Panico, S. 137

Parente, l. 231

Pasqualetti, P. 145

Patruno, Cataldo 144

Pegoraro, Renzo 59

Perrone, f. 235

Pica, M. 231

Piccirillo, M.C. 235

Piga Rivero, Antonio 38

Piucci, B. 231

Q

Quagliata, l. 137

Quaremba, Giuseppe 151

Quattrocchi, P. 145

R

Raiola, V. 231

Ricci, Giovanna 121

Riis, Povl 55

Rispoli, C. 137

Rocco, N. 137

Romano, f. 235

Rubba, f. 137

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263

S

Saccà, luigi 100

Savio, A. 235

Sgambetterra, Sergio 109

Siani, R. 231

Solarino, Biagio 214

Spagnolo, Antonio G. 25

Stochino, E. 147

T

Triassi, M. 137

V

Vasinova, Miroslava 38

Z

Zagaria, Orlando 144

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PRESIDENTEProf. Claudio Buccelli Ordinario di Medicina Legale, Università di Napoli Federico II

vICE PRESIDENTEProf. Sabino De PlacidoOrdinario di Oncologia, Università di Napoli Federico II

SEGRETARIOProf. Pasquale MastronardiOrdinario di Anestesia e Rianimazione, Università di Napoli Federico II

COMPONENTIDott. Igino AmiranteEsperto in materia assicurativa

Prof. lucio AnnunziatoOrdinario di Farmacologia, Università di Napoli Federico II

Dott.ssa Jane BryceInfermiera di ricerca, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione G. Pascale, Napoli

Dott. Gaetano BuonocoreVice Direttore Sanitario A.O.U. Federico II

Dott. ssa Nunzia CannovoEsperta di Bioetica

Dott. ssa Antonietta VozzaDirettore di Farmacia, A.O.U. Federico II

Prof. Eduardo ConsiglioOrdinario di Fisiopatologia, Università di Napoli Federico II

Avv. Silvana CorteseRappresentante di Cittadinanzattiva

Prof. Oreste De DivitiisOrdinario di Metodologia Clinica, Università di Napoli Federico II

Prof. Domenico Del forno Aggregato di Medicina Legale, Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Cardiovascolari e Immunologiche, Università di Napoli Federico II

Prof. Giuseppe De MicheleOrdinario di Neurologia, Università di Napoli Federico II

Prof. Gianfranco Maria luigi Di RenzoOrdinario di Farmacologia, Università di Napoli Federico II

Prof. Carmine DonisiOrdinario di Diritto Civile, Università di Napoli Federico II

Dott.ssa Nicoletta GaspariniPediatra di famiglia, ASL Napoli 1

Prof. Roberto lobelloOrdinario di Chirurgia, Università di Napoli Federico II

Prof. Gaetano lombardiOrdinario di Endocrinologia, Università di Napoli Federico II

Prof. Guido RossiOrdinario di Immunopatologia, Università di Napoli Federico II

Dott. Ugo RuggieroDirettore Sanitario Regionale C.R.I. Campania

Prof. luigi SaccàOrdinario di Medicina Interna, Università di Napoli Federico II

Prof. Beniamino TesauroEmerito di Chirurgia, Università di Napoli Federico II

COMITATO ETICO PER LE ATTIvITà BIOMEDIChE “CARLO ROMANO”(COMPOSIZIONE 2010-2013)