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ANDREA ZINATO La Spagna nella poesia dell'esilio e della diaspora sefardita d'oriente All'inizio del nostro secolo nel prezioso carteggio tra Ángel Pulido ' e i rappresentanti della cultura e della diaspora sefardita d'oriente si accende con toni vivaci e culturalmente stimolanti la polemica sul destino del judeo- español d'oriente. Tale jerga, come era allora definita dai corrispondenti di Pulido, aveva espressioni poetiche ben definite sia di origine peninsulare, sia proprie del- l'esilio e della diaspora, che possono essere così schematicamente riassunte: 1) la perpetuazione della tradizione orale dei romances, diffusa in ogni ceto sociale, parte costituente per l'origine comune e le tematiche del roman- cero hispánico e dunque meno soggetto alle peculiarità del mondo sefardita, ma in ogni caso diviso dalla tradizione peninsulare per influenze posteriori e extra-ispaniche; 2) la tradizione della poesia sacra e religiosa; 3) la produzione di liriche autoctone e di coplas (di argomento biblico, storico, folkloristico, moraleggiante...), epigone della splendida esperienza pe- ninsulare che inizia con le Coplas morales di Sem-Tob de Carrión, maggior- mente indicative della dimensione sefardita e dunque connotate dai nuovi ambienti di insediamento e aperte alle sollecitazioni delle lingue e delle cul- ture di contatto. Con l'intensa attività a favore dell'emancipazione perseguita nelle scuole dell'Alliance Israélite Universelle, fondata a Parigi nel 1860, e con l'acquisizione della cultura occidentale, che si affianca alla necessità di uscire dall'isolamento spirituale, obiettivo cui aspirava l'Haskald askenazita del XVIII secolo, e con 1 Ángel Pulido Fernández, Españoles sin patria y la raza sefardí, edición facsímil, Gra- nada, Archivo V Centenario, 1993.

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ANDREA ZINATO

La Spagna nella poesia dell'esilio e della diasporasefardita d'oriente

All'inizio del nostro secolo nel prezioso carteggio tra Ángel Pulido ' e irappresentanti della cultura e della diaspora sefardita d'oriente si accende contoni vivaci e culturalmente stimolanti la polemica sul destino del judeo-español d'oriente.

Tale jerga, come era allora definita dai corrispondenti di Pulido, avevaespressioni poetiche ben definite sia di origine peninsulare, sia proprie del-l'esilio e della diaspora, che possono essere così schematicamente riassunte:

1) la perpetuazione della tradizione orale dei romances, diffusa in ogniceto sociale, parte costituente per l'origine comune e le tematiche del roman-cero hispánico e dunque meno soggetto alle peculiarità del mondo sefardita,ma in ogni caso diviso dalla tradizione peninsulare per influenze posteriori eextra-ispaniche;

2) la tradizione della poesia sacra e religiosa;3) la produzione di liriche autoctone e di coplas (di argomento biblico,

storico, folkloristico, moraleggiante...), epigone della splendida esperienza pe-ninsulare che inizia con le Coplas morales di Sem-Tob de Carrión, maggior-mente indicative della dimensione sefardita e dunque connotate dai nuoviambienti di insediamento e aperte alle sollecitazioni delle lingue e delle cul-ture di contatto.

Con l'intensa attività a favore dell'emancipazione perseguita nelle scuoledell'Alliance Israélite Universelle, fondata a Parigi nel 1860, e con l'acquisizionedella cultura occidentale, che si affianca alla necessità di uscire dall'isolamentospirituale, obiettivo cui aspirava l'Haskald askenazita del XVIII secolo, e con

1 Ángel Pulido Fernández, Españoles sin patria y la raza sefardí, edición facsímil, Gra-nada, Archivo V Centenario, 1993.

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l'affermarsi di una attività giornalistica, letteraria e culturale, la questione dellalingua e della sua funzione letteraria diventa preminente. Tale prospettiva, in-fatti, induce i sefardim a riflettere sul rapporto con la loro terra d'origine, datala forte attrazione esercitata dalla cultura e dalla lingua francesi, che eranoquasi giunte a relegare il judeo-español al solo ambito della comunicazione.

Dal complesso dibattito emergono quattro posizioni: los antìcastellanistaso hispanófobos; los diaUctistas o autonomistas; los oportunistas o eclécticos e loscastellanistas o hispanófilos.2

Nella lettera, datata 6 giugno 1904, di Gav Francos, giornalista e scrit-tore di Smirne i termini della questione vengono posti in modo assai chiaro3:

Pienso que un pueblo que, como el Israelita, no ha tenido como nación unaexistencia política, debe dividir en dos partes distintas, las lenguas que debe eli-gir (..) en lengua sentimental y en lengua materiali...) El Español no puede, sinduda, ser clasificado entre las lenguas sentimentales (...) Los Israelitas (...) notienen, lo puedo asegurar, nin gran sentimiento de simpatía por su pais (di Pu-lido cui la lettera è indirizzata n.d.d), y conservan el español, no por un razo-namiento cualquiera, sino solamente porque se han hallado con que no sabianmas que esta lengua, y non habian aprendido ninguna otra.

Le motivazioni non solo politiche, ma anche profondamente culturali,addotte da Francos riflettono la titubanza di alcuni esponenti del compositomondo culturale sefardita, integrato nel tessuto sociale ed economico dell'Im-pero Ottomano e delle altre nazioni balcaniche, rispetto al recupero diun'ispanicità nuova e più completa.

Di toni parimenti perplessi è l'intervento apparso sulle colonne del ElAvenir, uno dei due periodici della comunità sefardita di Salonicco, in data22. VI. 1904, e firmato Damy4:

Nosotros le debemos (a Ángel Pulido n.d.a) una reconoscencia particularapor su firmeza en el condanar las barbarias de cuatro cientos años; y el(sempre Pulido n.d.d) dice "olvidemos los terribles desatres y catástrofas de

2 Á. Pulido, op. cit., pp. 108-58.3 In tutti i testi in giudeo-spagnolo, qui e altrove, si osserva scrupolosamente la grafia

originaria anche quando si tratta di traslitterazione dai caratteri rosei. A. Pulido, op. cit., pp.109-11.

4 Á. Pulido, op. cit., pp. 112-13.

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los tienpos pasados". Podemos asegurar que estos desastres y catástrofas ya losolvidimos desde longo tiempo; es desir ya entendemos que fueron el resulta-do de la salvajería atada al hombre, y ya lo perdonimos. La proba es queaínda continuamos á hablar este judeo-español que truximos de España (...)Nosotros no somos «un pueblo español diseminado por el mundo». Nosotrossomos judíos y como tales no debemos dexarnos aquistar por ninguna na-ción, cuanto que tenemos en igual estima todos los pueblos sin diferencia deraza y de religión (...). Purificar nuestro judeo-español hasta trasnformarlo encastellano, esto no es mucho mas fácil de ambezar (=aprender n.d.a), unalengua estranjera. El español y el judeo-español son hoy mucho diferentes eluno de otro.

Se nell'articolo viene ribadita l'avvenuta riconciliazione tra i Sefarditi ela Spagna, non meno perentorie sono le posizioni contro l'identificazione deiSefarditi levantini con la sola lingua e cultura d'origine, vale a dire con laSpagna: dopo cinque secoli, non potevano infatti essere sufficienti solo leemozioni e il patriottismo di Pulido, Manrique de Lara e quant'altri si prodi-gavano per una reale riconsiderazione del fenomemo antropologico e cultura-le sefardita.

Il judeo-español era, nonostante tutto, una lingua viva, che si evolveva,come ben sottolinea Ana Riaño nel suo La lengua sefardí y su evolución5, inmodi propri. Soprattutto era altro rispetto allo spagnolo, come la nazione se-fardita era altro rispetto alla madre Spagna, che sopravviveva, come sostienePaloma Díaz, «en una visión estereotipada: una mezcla de glorias culturalesdel judaismo medieval (con recuerdo de figuras como Maimónides, Ibn Ga-birol, Yehudà ha Levi) y hogueras inquisitoriales»6.

Una nota redazionale di Elias Arditti apparsa ne // Corriere Israelitico diTrieste, il 31 agosto 1904 appare più laconica, ma alquanto ferma, e risultapervasa soprattutto da un accentuato sionismo. Va qui ricordato che TheodorHerzl (1860-1904), teorizzatore del sionismo, studiò a Vienna come la mag-gior parte dei sefarditi bosniaci, quest'ultimi dal 1878 de facto e dal 1908 de

5 Actes del Simposi Internacional sobre cultura Sefardita, editor Josep Ribera, Barcelo-na, Facultat de Filologia Secció d'Hebreu i Arameu, 1993, pp. 83-105. Abbrevio in seguitoin Actes.

6 P. Díaz-Mas, El Romancero y el Cancionero, in Actes, pp. 141-59 (151).

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ture sudditi dell'Impero Asburgico. In essa, seppur in maniera schematicavengono poste le basi del dibattito culturale all'interno del mondo sefarditaed il rifiuto di una riconcilazione culturale con la Spagna7:

Preferiríamos que aquellos correligionarios nuestros se volviese á otra literatura(es decir á otra que no sea la española), á otra lengua y á otra patria; al he-breo, á la Biblia y á la Palestina debemos rehacer nuestra alma judía hoy, y re-montar a la edad y á las fuentes de nuestra vida nacional libre. La lengua deldestierro la hemos estudiada y amado bastante; ya basta; aprendamos la lenguade la Indipendencia, al menos como buen augurio, cuando no como una pre-paración (...)

Anche per gli Ebrei sefarditi della diaspora non è solo la Spagna, mapiuttosto Érez Israel, la terra d'Israele, il luogo della memoria: già l'ispanoJehudá Ha Levi nel XII secolo, nella sua preziosa Siónidas esprimeva questaansia, questa aspirazione al ritorno nella terra promessa, nella terra dei padri.

Non manca mai un riferimento esplicito, benché dai toni più conci-lianti, all'espulsione nemmeno nelle parole dei corrispondenti, che Pulidodefinisce autonomistas o eclécticos, e soprattutto, tra essi, di coloro che comeSamuel S. Levy, direttore dell'importantissimo quotidiano in giudeopsagno-lo La Epoca di Salonicco, sostenevano la necessità di una sua autonomia lin-guistica.

Scrive Levy in una corrispondenza dell'8 giugno 19048:

Hacen catorce años algunos pretendidos periodistas judíos, se metieron enmientes de hacernos abandonar nuestro-idioma por adoptar otro: el turco, elfrancés o el italiano (...) Ellos nos acusavan de persistir a hablar una lenguaque debíamos aborrecer visto las soferensas que nuestros abuelos soportaronen España. Fuera de este punto que agitava en nosostros la fibra nacional,los otros argumentos me parecían muy poco serios...

Toni analoghi, indicativi del dibattito che investiva allora la comunitàsefardita, unitaria per l'origine iberica, ma frazionata in contesti geo-politiciassai diversi, si riscontrano nella Memoria inviata nel 1904 a Pulido da Mo-ritz Levy, pur favorevole ad una difesa del giudeo-spagnolo.

7 A. Pulido, op. eh., p. 114.8 A. Pulido, op. cit., pp. 115-18.

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Questi era il presidente della società Esperanza, fondata come riportaPulido, esclusivamente «para mantener la lengua española y hacer posible á susmienbros la instrucción científica y literaria»9, ma all'interno di un mondo incui l'antica lingua castigliana doveva essere tutelata in modi e forme e conopportuni distinguo che qui per motivi di concisione non è dato analizzare.

Scrive Moritz nel suo dettagliato resoconto10.

En mi memoria suben recuerdos de la historia de nuestros abuelos en Espa-ña. Gloria, riqueza, siencias y adelantamiento, decadencia, miseria, desterra-miento; delantre mis ojos suben los horribles images de los tribunales de laInquisición, que mi fantasia, en mi tierna edad, se pintaba en las mas horri-bles manera, mi espirito atravesa en un brinco la historia de los judios enEspaña, el espacio de 7 siglos se abre como un vasto campo à mi vista, y lafin, la triste fin de 1492 se empatrona de mi fantasia. De nuevo se me pre-senta la cuestión, cuala en mi niñez me preguntaba y jamas hallaba quienme diese respuesta: "ma que hicieron nuestros abuelos para que fuesen persi-guidos en tal manera?" "Es posible que no se hallo un corazón humano queinterveniese por ellos?

Nonostante l'atteggiamento positivo del mondo spirituale ebraico e laprecipua cultura della vita che si riflettono anche nelle scelte culturali, Moritznon manca di ricordare che:

en verdad España es clerical sin par, pero la fama de su intolerancia data deatras de mas de 4 siglos (...) Pero de 1492 hasta el día de oy pasaron mu-chos años, cualos trocaron las opiniones y gobiernos de entera la Europa. EnEspaña no es mas posible persecuciones contra los judios — cualos vernan enella á morar — como en Rusia.

Nella Memoria di Moritz vengono citati quelli che nel 1904 erano stati dueepisodi tragicamente rilevanti, tra molti altri, per l'ebraismo europeo: l'espulsio-ne del 1492 e l'allora recentissimo pogrom di Kishinev del 1903: la Shoah eraancora lontana e la nazione sefardita, numericamente rilevante, con una funzio-ne politica ed economica di tutto rispetto poteva interrogarsi non sulla propriasopravvivenza fisica, ma su scelte culturali determinanti, basate, come ben sotto-

Á. Pulido, op. cit., p. 119.Á. Pulido, op. cit., p. 121-130.

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linea, Elena Romero, «en la dualidad de ese mundo judeo-español que se expre-sa en español y alienta e desarrolla en un ámbito de vivencias religiosas y con-ceptuales judías o de experiencias cotidianas de la Comunidad» ".

«Ma que hicieron nuestros abuelos para que fuesen persiguidos en talmanera?» si domandava Moritz Levy.

E leggendo l'editto di espulsione del 31 marzo 1492, in realtà poi pro-mulgato tra il 29 aprile ed il 1 ° maggio, così come riportato da Andrés Ber-naldez 12 non si vede attribuita agli ebrei altra colpa se non quella "del muygrand dapño procedido de la endurescida opinión e perpetua ceguedad de losjudíos, e cómo de allí avía su nudrimiento la herética pravidad musaica" edunque i Re Cattolici "mandaron e ordenaron que a todos los judíos de suEspaña e de todos sus reinos les fuesse predicado el evangelio (...) e los quenon se quisiesen convertir, que dentro de seis meses se fuesen e partisen desus reinos, e so pena de muerte non volviesen más a ellos (...)"

L'editto sancisce l'espulsione perpetua so pena de muerte, riportandone lacausa a sole motivazioni religiose: ma prima nelle peregrinazioni degli esiliatie in seguito nelle nuove comunità disperse per l'Europa balcanica, la tradizio-ne culturale giudeo-spagnola, laica e religiosa è destinata a rafforzarsi.

Yehudá Abrabanel, figlio di Ishac Abrabanel, così narra la tragica espe-rienza della conversione forzata:

Cuando expulsados fueronlos hijos de la diaspora de España,el rey manda tenderme una emboscadaa fin de que no salga ni cruce entre las víctimas,y ordena que me quitenal hijo que mamando está mi lechepara en su fe integralo corno suyo.13

11 E.Romero, La creación literaria en lengua sefardí, Madrid, Colecciones Mapfre, 1992,p. 142.

12 Uso l'edizione di Manuel Gómez Moreno e Juan de M.Carriazo, Memoria del reina-do de los Reyes Católicos, que escribía el bachiller, Andrés Bernaldez, Cura de Los Palacios,Madrid, 1962, B.A.E., pp. 251-64 (251-2). Per una analisi dettagliata delle conseseguenzedella diaspora si veda anche il recente Los Judíos de España, Historia de una diaspora (1492-1992), ed. dir. por Henry Méchoulan, pról. Edgar Morin, Madrid, Editorial Trotta, QuintoCentenario, Fundación Amigos de Sefarad, 1992.

13 Yitzhak Baer, Historia de los Judíos en la España cristiana, Madrid, Altalena Editores,1981, 2 vols., I, p. 649.

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Ed in anni recentissimi il poeta Shlomo Avayou, sul quale torneremo inseguito, in una sua poesia intitolata Girona definisce la Spagna: tigresa quedevora a sus hijos/ ¡Sefarad, madre cruel! ¡Sefarad madre traidora!H

Si è soliti affermare che la tradizione orale dei romances e quella più ge-neralmente poetica dei cancioneros coincide con l'identità originaria della na-zione sefardita, arricchendosi nel caso delle "coplas", di apporti dovuti allanuove culture e lingue di contatto.

Il fenomemo è tuttavia più complesso ed è erroneo ridurlo e ricondurloalla sola tradizione orale dei romances e delle coplas, poiché investe tutti icampi della scrittura, connotando una vera creación literaria en lengua sefardí,felice definizione che Elena Romero ha coniato per classificare tale complessae articolata esperienza culturale.

La Spagna è presente soprattutto nella tradizione poetica orale e dunquepiù arcaica: mentre alcuni intellettuali, come abbiamo visto, si esprimonocontro il tardivo pentimento del mondo culturale spagnolo, le kantaderascontinuano a intonare i romances del destierro del Cid o de la Jura de SantaGadea o il misteriso Roldan al pie de la torre, esempi di quel vasto repertorioraccolto sia da Samuel G. Armistead nel prezioso El romancero judeo-españolen el Archivo Menéndez Pidal15, sia nelle catalogazioni realizzate successiva-mente da altri studiosi, ove peraltro si percepisce che:

los romances judeo-españoles (...) reflejan todavía la estructura y los valores dela sociedad hispano-medieval en que se originaron, en la que casi todos losaspectos de la realidad (...) fueron acondicionados por consideraciones de ín-dole religiosa. Al final de la Edad Media, la vida española todavía consistía enuna asosiación dinámica de españoles que pertenecían a tres grandes religio-nes. Este enfrentamiento y colaboración multi-religiosos, inherente en el tejidode la vida hispánica, resuena aún en el romancero de los judíos sefardíes l6.

In tali romances la Spagna, la cultura e la tradizione spagnole vengonotuttavia assunte in una rarefatta stilizzazione: il rapporto è acritico, il lungo

14 Acta, p. 256.15 El romancero judeo-español en el Archivo Menéndez PidaU catálogo-índice de romances

y canciones por Samuel G. Armistead y J.H. Silvermann, Madrid 1978, III volumi.16 S. G. Armistead, J.H.Silverman, En tomo al Romancero sefardí, (Hispanismo e balca-

nismo de la tradición judeo-española), Madrid, Seminario Menéndez Pidal, 1982, p. 143.

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isolamento geografico aveva cristalizzato le forme espressive poetiche più an-tiche in un atteggiamento di mnemonica ripetizione o di variazioni su temi eforme poetiche consolidate.

In questo va riportata la dicotomia tra il persistere di una tradizioneorale quale il romance, ove la Spagna è assunta como topos astorico della am-bientazione poetica, e il dibattito culturale che investiva altri campi letterari.

Ancora Elena Romero ci aiuta a compredere tale atteggiamento culturale:

las comunidades orientales que se abrieron a occidente de la mano sobre to-do de la cultura francesa, ignoraron la literatura española a pesar de que apriori debemos pensar que le era más asequible que ninguna otra. Este vacío(...) había de manifestarse en el certeramente llamado an-hispanismo de lasúltimas generaciones de sefardíes levantinos (...)17

Nella preziosa, e a tutt'oggi poco conosciuta, antologia poetica raccoltadal sefardita saratino Samuel Elazar18 (Gracanica di Bosnia 1902-?), di pro-fessione farmacista, questo percorso si può cogliere concretamente nelle di-verse sezioni di cui è composta la collezione: rispettivamente viejos romancesespañoles, poesia sefarditas en judeo-español, poesías de poetas judeo-españoles deBosnia, a la honor del sabat; poesías festivas, poesías que se cantan al partir a latierra santa, poesías religiosas y con los motivos bíblicos, poesías patrióticas, brin-dis, endechas, sorteglios, folklore medicinal cui si aggiunge il nutrito repertoriodi varianti, peculiare di queste tradizioni.

Quando ormai la campagna di Ángel Pulido per la riconciliazione avevadato i suoi frutti, l'atteggiamento an-ispanico comincia a trasformarsi in un ri-pensamento nostalgico, entusiasta o privo di rancore, almeno tra i Sefarditi diBosnia. E così Abraham Kapon-Abac (1852-1930), sefardita originario diRuscuk, in Bulgaria, la città di Elias Canetti, ma residente a Sarajevo, esprimenella sua poesia A España, e secondo Elazar "de forma especialmente bella ysensible", l'amore per la terra d'origine professato dai Sefarditi i quali, "aunquecon una gran amargura por la brutal conducta de la jerarquía eclesiástica y del

17 E. Romero, op. cit., p. 291.18 S. M. Elazar, El Romancero judeo-español (Romances y otras poesías), Sarajevo, Svje-

tlost, 1987. Ho analizzato questa interessante e poco conosciuta antologia nell'articolo Colle-zioni poetiche sefardite di Sarajevo, apparso ne «II Confronto Letterario», Quaderni del Dipar-timento di Lingue e Letterature straniere moderne dell'Università di Pavia, Fasano, Anno XI,n.22/ novembre 1994, pp. 389-400.

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gobierno religioso, hasta ese momento y no guardaron rencor hacia el puebloespañol y su cultura, a la que dieron un colosal aporte." " Seppur con enfasi econ un giudizio tanto esagerato quanto appassionato, Elazar coglie l'intentodei versi di Kapon: nell'esiliato oramai assimilato, ma che nella sua lingua vivequotidianamente una alterità connotante, la forza della memoria e l'origineprevalgono sul rencor.

A España

A tí, España bienquerida,Nosotros "madre" te llamamosY, mientras toda nuestra vida,Tu dulce lengua no dejamos.

Aungue tú nos deterrasteComo madrastra de tu seno,No estancamos de amarteComo santísimo terreno,En que dejaron nuestro padresA sus parientes enterradosY las cenizas de millaresDe tormentados y quemados.Por tí nosotros conservamosAmor filial, pais glorioso,por consiguiente te mandamosNuestro saludo glorioso

En nombre de los sefarditas amantes y conservadores de la lengua de Cer-vantes10.

Si avvicinano gli anni dello sterminio che i regimi dittatoriali europei si ap-prestano a perpetrare tra l'indifferenza: eppure gli Ebrei, tra cui molti volontarisefarditi, ancora una volta avevano dato il loro contributo di sangue - vero con-tributo umano alla riconciliazione - nella guerra civile spagnola per la causa re-pubblicana e per la difesa della libertà contro l'oscurantismo politico e religioso.Molti ricorderanno la famosa Brigada Lincoln, composta per il 40% di Ebrei.

" S. Elazar, op. cit., p. 13.20 S. Elazar, op. cit., p. 13-4.

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Ben pochi Sefarditi sopravvissero allo sterminio nazista attuato da moltiregimi collaborazionisti insediatisi nei paesi balcanici, dai fascisti e soprattut-to dagli ustascia, quando nel 1941 la Bosnia Erzegovina, ove la concentrazio-ne di sefarditi era assai elevata, venne annessa allo Stato Croato del fascistaAnte Pavelic, morto impunito a Madrid nel 1953.

Tuttavia all'epoca la diplomazia spagnola, operando in maniera inaspet-tata, si prodigò molto per sottrarre gli ebrei sefarditi al furore nazifascista eustascia: tra i diplomatici ricordiamo almeno i nomi di Sebastián Romero,Romero Radigales, Julio Palencia, Bernardo Rolland e Ángel Sanz Briz.

Nonostante gli sforzi compiuti, molti sefarditi vennero deportati in Ger-mania o sterminati nel lager ustascia di Jasenovac in Croazia.

Nella sezione dedicata alle poesie definite patriottiche da Elazar, figuraun componimento di Isak Altarac, fucilato nei pressi di Sarajevo il 28 giugno1941, intitolata Asta kuandòt pubblicata nella rivista saratina Jevrejski Glas nel193321, in cui l'autore ricorda amaramente il triste momento dell'espulsione.

Riportiamo alcune strofe:

Asta kuando Zudio deskonsolado Iiras kon la kaveza abokadaPenzieroso, triste i amuladoen tiniendo la alma arankadaI el korason despedasado...

(...)Asta kuando... IIKoreras sovre arenas i nieveSuportando Hitleris, bojkotis, KisinjevisSin reflo, desmajado i tresudandoDis, o puevlo de Israel, asta kuando?!(...)Asta kuando vierteras kon amargura IIIDeluvios de tristes i dolorizos jorosI desaras korer de tu pegaduraSangre,...sangre, de inosentes a corosOj de Alemania, ajer en Espania i Rusia

21 Oltre al citato studio di Elena Romero, per l'attività pubblicistica delle Comunitàsefardite bosniache e serbe si veda K.Vidakovic, Kultura spanskih jevreja na jugoslovenskom tlu,Sarajevo, Svjetlost, 1986, pp. 50-74 e pp. 251-81.

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Ah sangre de povre nasion zudiaKe tiranos aman estar vaziandoNo te va dueler ainda? asta kuando

Asta kuando... VILos esfuerzos del cionizmoPor renasimiento de la triste naciónKe espera una barka de salvasionPara los ke vente siglos están nadando

L'anafora sottolinea disperatamente lo sgomento dell'impotenza, dell'ab-bandono e della disperazione: allora come oggi il rifugio, la terra promessa èovunque e da nessuna parte: la Spagna, nel furore della violenza che travolgeper l'ennesima volta migliaia di esistenze, è accostata, in un atto d'accusa sen-za pari, alla Germania hitleriana e alla Russia dei pogrom.

Si preparava per gli Ebrei, e soprattutto per gli Ebrei d'oriente, la formaestrema di esilio, la deportazione, lo sradicamento, l'annullamento della per-sona e con essa della cultura, l'assoggettamento e la spersonalizzazione di unadiscriminazione dovuta a pregiudizi razziali, religiosi, politici ed economici.

Ancora nel 1973 una sefardita di Makarska in Dalmazia, Gina Finci-Musafija, cognome peraltro ben conosciuto agli ispanisti, recitava una copiaque se canta al partir a la Tierra Santa, in cui la centralità del cammino di ri-congiungimento affettivo prevale sui legami temporali e spaziali, nella sceltaindividuale estrema, ma irreversibile, dell'allontanamento e dell'esilio volon-tario, contro il furore:

Ir mi kerija jo22

por esti kaminikuondi están los mis keridosKedaj, vos en buena orake ja, ke ja me vo

E vorrei concludere citando i versi del già ricordato Shlomo Avayou, ori-ginario di Smirne, che si definisce a tutt'oggi, «poeta y escritor israelí de ex-presión hebrea, de origen judeo-español», e per il quale, «desheredado de su

S. Elazar, op. cit., p. 219.

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pasado judeo-españolj uno de los muchos pasados aniquilados por la moder-nidad devoradora», il rifugio è «la cultura hebrea y su riquísima y dramáticaliteratura, con la que me identifico, que me expresa, y me da identidad23»:

Córdoba 198024

Al pie del Castillo de la CalaharaQue guarda el Puente RomanoArcos sobre el GuadalquivirLo confieso: me he emocionado

Agustín, el padre de Antonio(voluntario conocido en el Kibbutz)Granadino hasta el tuétano,Se disculpó ante mí por la expulsiónDe mis antepasados de Sefarad, su patria.

Conmovido hablo del daño, de la ingratitud haciaEllos, que tanto a su España amaron.

Sorprendido de este gesto tan inesperadoDe este hombre tan genial, tan candido.Qla mitad de un milenio es una nada entre nosostros, no?)Palmeé su hombre con cariño de hermano.

23 Aaes,p. 255.24 Shlomo Avayou, El último niño de la judería, in Actes, pp. 253-263 [pp. 258-59]. La

traduzione in spagnolo della poesia è a cura dello stesso Avayou.