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La sospensione cautelare nel pubblico impiego “privatizzato”: dal testo unico del 1957 ai più recenti contratti collettivi SOMMARIO: 1. Nozione e fonti normative 2. Natura giuridica 2.1. Rapporti con le sanzioni disciplinari 3.1. La disciplina di cui al testo unico del 1957 3.2. Ipotesi di sospensione previste dalla legge 55/1990 3.3. Ipotesi di sospensione previste dal decreto legislativo 267/2000 (c.d. testo unico degli enti locali) 3.4. Ipotesi prevista dall’art. 4, l. 27 marzo 2001, n. 97 3.5. Ipotesi prevista dall’art. 4, l. 27 marzo 2001, n. 97 3.6. Ipotesi prevista dall’articolo 289 c.p.p. 4. Ipotesi di sospensione cautelare di fonte contrattuale 5. Rapporto fra sospensione cautelare e procedimento penale. 6. Rimedi amministrativi e giurisdizionali 7. Cessazione della sospensione cautelare. La restitutio in integrum retributiva. 1. Nozione e fonti normative Nel dibattito politico attuale si afferma con insistenza sempre maggiore la necessità di riforme del pubblico impiego finalizzate a rendere la macchina della pubblica amministrazione meno pachidermica nell’organizzazione, sempre più efficiente sul piano operativo. Questi obiettivi sarebbero perseguibili anche mediante la responsabilizzazione maggiore dei pubblici dipendenti, valorizzando in particolar modo il potere disciplinare e semplificando le procedure volte a far valere le diverse forme di responsabilità. La responsabilizzazione del pubblico dipendente pare dunque rispondere ad una logica di competitività economica che postula un rapporto diretto fra responsabilità e competitività economica [1]. Tale responsabilizzazione va intesa non solo nel senso della previsione di responsabilità di vario titolo in capo al pubblico dipendente (civili, penali e disciplinari) [2] ma anche attraverso la predisposizione di strumenti amministrativi come la sospensione cautelare, che consente di sospendere il rapporto di servizio in conseguenza di determinati presupposti di fatto e di diritto che impediscono il regolare svolgimento delle funzioni e del servizio, in autonomia rispetto ai procedimenti disciplinari e penali in corso. Per un corretto inquadramento dell’istituto nell’ordinamento giuridico, e perché ne siano chiare le peculiarità, essenziale è la lettura alla luce alla luce dell’articolo 97 Cost., il quale richiede che la legge organizzi gli uffici in modo da garantire l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione. Tale norma stabilisce un interesse di natura pubblica alla continuità amministrativa, che ben può essere esposta a rischio da contestazioni nei confronti di pubblici dipendenti in sede disciplinare o addirittura penale. La funzione dell’istituto appare, nell'ottica del principio costituzionale del buon andamento, quella di salvaguardare il regolare svolgimento del servizio amministrativo [3] , anche sotto il profilo della prevenzione della lesione del prestigio della pubblica amministrazione, bene riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico [4] .

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La sospensione cautelare nel pubblico impiego “privatizzato”: dal testo unico del 1957 ai più recenti contratti collettivi

SOMMARIO: 1. Nozione e fonti normative 2. Natura giuridica 2.1. Rapporti con le sanzioni disciplinari 3.1. La disciplina di cui al testo unico del 1957 3.2. Ipotesi di sospensione previste dalla legge 55/1990 3.3. Ipotesi di sospensione previste dal decreto legislativo 267/2000 (c.d. testo unico degli enti locali) 3.4. Ipotesi prevista dall’art. 4, l. 27 marzo 2001, n. 97 3.5. Ipotesi prevista dall’art. 4, l. 27 marzo 2001, n. 97 3.6. Ipotesi prevista dall’articolo 289 c.p.p. 4. Ipotesi di sospensione cautelare di fonte contrattuale 5. Rapporto fra sospensione cautelare e procedimento penale. 6. Rimedi amministrativi e giurisdizionali 7. Cessazione della sospensione cautelare. La restitutio in integrum retributiva.

1. Nozione e fonti normative

Nel dibattito politico attuale si afferma con insistenza sempre maggiore la necessità di riforme del pubblico impiego finalizzate a rendere la macchina della pubblica amministrazione meno pachidermica nell’organizzazione, sempre più efficiente sul piano operativo. Questi obiettivi sarebbero perseguibili anche mediante la responsabilizzazione maggiore dei pubblici dipendenti, valorizzando in particolar modo il potere disciplinare e semplificando le procedure volte a far valere le diverse forme di responsabilità. La responsabilizzazione del pubblico dipendente pare dunque rispondere ad una logica di competitività economica che postula un rapporto diretto fra responsabilità e competitività economica [1]. Tale responsabilizzazione va intesa non solo nel senso della previsione di responsabilità di vario titolo in capo al pubblico dipendente (civili, penali e disciplinari) [2] ma anche attraverso la predisposizione di strumenti amministrativi come la sospensione cautelare, che consente di sospendere il rapporto di servizio in conseguenza di determinati presupposti di fatto e di diritto che impediscono il regolare svolgimento delle funzioni e del servizio, in autonomia rispetto ai procedimenti disciplinari e penali in corso.

Per un corretto inquadramento dell’istituto nell’ordinamento giuridico, e perché ne siano chiare le peculiarità, essenziale è la lettura alla luce alla luce dell’articolo 97 Cost., il quale richiede che la legge organizzi gli uffici in modo da garantire l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione.

Tale norma stabilisce un interesse di natura pubblica alla continuità amministrativa, che ben può essere esposta a rischio da contestazioni nei confronti di pubblici dipendenti in sede disciplinare o addirittura penale.

La funzione dell’istituto appare, nell'ottica del principio costituzionale del buon andamento, quella di salvaguardare il regolare svolgimento del servizio amministrativo [3], anche sotto il profilo della prevenzione della lesione del prestigio della pubblica amministrazione, bene riconosciuto e protetto dall’ordinamento giuridico [4].

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Ulteriori referenti costituzionali si rinvengono nelle disposizioni che prevedono che le funzioni pubbliche siano esercitate con disciplina ed onore (art. 54 Cost.) e che i pubblici dipendenti sono al servizio esclusivo della Nazione (art. 98) [5].

La disciplina originaria della sospensione cautelare dei pubblici dipendenti era contenuta nel d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (c.d. testo unico sugli impiegati civili dello Stato), il quale prevedeva, con una sorta di “doppio binario”, due forme distinte di sospensione cautelare, una a carattere obbligatorio (art. 91), e l’altra a carattere facoltativo (art. 92). Tale disciplina, pur confermata nel tempo, si è dovuta scontrare con la mutata concezione del rapporto di pubblico impiego.

Infatti, con il D.lgs 3 febbraio 1993, n. 29 (che come è noto ha dato avvio alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego) è stata fatta salva la disciplina del 1957 [6], per il personale pubblico “non privatizzato”, ma allo stesso tempo fu assegnata alla contrattazione collettiva la competenza a regolare la materia contenuta nei dei capi I e II del titolo VII del testo unico. [7] Il D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ha portato a termine il processo di “privatizzazione del pubblico impiego”, facendo salva l'impostazione del 1993.

Il recente D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, attuativo della c.d. Legge Brunetta [8], che ha provveduto a potenziare la responsabilità del pubblico dipendente e soprattutto dei dirigenti, non ha introdotto significative modifiche alla disciplina della sospensione cautelare.

Dal punto di vista sistematico, in definitiva, la disciplina della sospensione cautelare nel pubblico impiego risulta da fonti di rango legislativo generali (come il testo unico del 1957) e speciali (nel senso che e in minor misura dalle leggi speciali di settore (per quello che riguarda il pubblico impiego non privatizzato [9])e da contratti collettivi relativi ai vari comparti amministrativi.

2. Natura giuridica

La questione inerente la natura giuridica dell'atto che dispone la sospensione cautelare non è fine a sé stessa, ma ha un peso specifico non indifferente, condizionando l'intero regime dell'atto stesso, dalla sua disciplina sostanziale ai rimedi spettanti al pubblico dipendente. Una premessa è doverosa: l'atto che formalmente dispone la sospensione cautelare è un atto che promana da una pubblica amministrazione, cioè un atto “soggettivamente amministrativo”.

Il dato normativo peraltro non è di grande conforto in quanto né la legislazione né le fonti collettive disciplinano la materia in maniera esaustiva. Non si prevede infatti né l’organo che ha la competenza generale all’adozione del provvedimento [10], né se deve essere instaurato il contraddittorio con il destinatario della sospensione (come invece si prevede espressamente per quel che riguarda il procedimento disciplinare), né infine se gli atti debbano essere muniti di motivazione.

Sono prospettabili in astratto due ipotesi: l'atto può essere qualificato come atto amministrativo di carattere organizzativo, finalizzato a definire le linee fondamentali di organizzazione degli uffici [11], ovvero come determinazione gestionale-privatistica, finalizzata alla gestione dei rapporti di lavoro con i poteri del privato datore di lavoro [12].

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La dottrina dominante [13], seguita dalla giurisprudenza, qualifica il provvedimento sospensivo come atto avente natura privatistica, con funzione di autotutela da parte della pubblica amministrazione, ancorché il soggetto dal quale promana tale atto sia un soggetto pubblico [14]. L’autotutela in questione non va intesa in un’accezione amministrativistica, ma in un’accezione privatistica. Non si tratta cioè di un atto di ritiro (come la revoca disciplinata dall’articolo 21-quinquies l. 241/1990), non incidendo su un atto amministrativo, ma sull’esecuzione del contratto, come reazione all’inadempimento della controparte La funzione gestionale (privatistica) prevale cioè su quella provvedimentale (pubblicistica). La potestà, riconosciuta alla pubblica amministrazione, di disporre la sospensione cautelare del pubblico dipendente (facoltà che in alcuni casi si configura come potere-dovere [15]), è in base a tale dottrina, riconducibile al più generale potere direttivo riconosciuto al datore di lavoro, sia esso pubblico o privato [16]. In base ad una simile lettura, è da ritenersi che sia lo stesso organo competente alla predisposizione degli atti di gestione del personale ad essere munito di competenza in ordine alla adozione del provvedimento di sospensione [17].

Un problema particolarmente delicato è quello dell'applicabilità delle norme sul procedimento e sul provvedimento amministrativo.

Il riferimento è alla legge 241/1990, che contiene la disciplina generale del procedimento amministrativo, e, soprattutto dopo le riforme del 2005, anche la disciplina sostanziale del provvedimento amministrativo.

L’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo è previsto in linea generale per tutti gli atti amministrativi, particolarmente in funzione di tutela preventiva degli interessati e come parametro essenziale ai fini del sindacato giurisdizionale. Muovendo dalla concezione dell’atto sospensivo quale atto di natura privatistica di gestione del rapporto di lavoro, parte della dottrina ritiene che non sia necessaria la motivazione del provvedimento in quanto l’atto rientri nei poteri riconosciuti al datore di lavoro [18]. La giurisprudenza corrente non è dello stesso avviso, ma opera al contempo una distinzione fra sospensione facoltativa e obbligatoria. Nella prima ipotesi, dal momento che l’atto è discrezionale, la pubblica amministrazione è tenuta a motivare in modo adeguato esponendo l’entità e la gravità dei fatti contestati al pubblico dipendente [19]. Quando la sospensione scaturisce da contestazioni in sede penale, per le quali sia stato disposto il rinvio a giudizio, il provvedimento è sufficientemente motivato quando si basa su reati che siano per loro natura in grado da incidere sul prestigio della pubblica amministrazione e sul regolare svolgimento del servizio che ha occasionato i fatti medesimi [20]. Nella seconda ipotesi, essendo l’atto vincolato al mero accertamento dei presupposti di fatto (condanne penali, etc.) che hanno determinato la sospensione non si richiede un onere motivazionale particolarmente gravoso.

Se si da conto che la sospensione cautelare incide su diritti fondamentali del pubblico dipendente (come il diritto all'onore) e soprattutto che essa sopraggiunge in una fase in cui vale la presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27 Cost., allora non sembra potersi prescindere da una congrua motivazione, sia pure mediante il mero richiamo alla stessa fattispecie criminosa presa in considerazione [21].

Quanto alla comunicazione di avvio del procedimento, si ritiene inapplicabile la disciplina contenuta nella legge n. 241/1990, che prevede l'obbligo generale di

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comunicazione di avvio del procedimento [22]. L'articolo 7 della stessa legge n. 241, peraltro, esclude l'obbligo di comunicazione laddove vi siano fondamentali esigenze di celerità: dunque anche se si ritiene che la sospensione cautelare sia un provvedimento amministrativo disciplinato dalla legge 241/1990, tale disposizione può essere invocata (così ha fatto peraltro lo stesso Consiglio di Stato [23]) per affermare l’inesistenza di un obbligo di comunicazione di avvio del procedimento [24]. Inoltre, per i casi di sospensione obbligatoria, ove la pubblica amministrazione non dispone di discrezionalità circa il contenuto del provvedimento, può trovare applicazione l’articolo 21-octies della legge 241/1990, che prevede che il provvedimento amministrativo non può essere annullato per mancata comunicazione di avvio del procedimento, quando emerge che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato [25].

2.1 Rapporti con le sanzioni disciplinari

La sospensione cautelare non rientra nelle sanzioni disciplinari. Essa, piuttosto, si caratterizza per la sua “strumentalità” rispetto al procedimento penale e allo stesso procedimento disciplinare: suo scopo è quello di consentire la tutela di interessi pubblici messi a rischio dalle contestazioni avanzate nei confronti del pubblico dipendente. [26]

La stessa Corte costituzionale ha confermato che le finalità sono del tutto diverse, collocandosi la sospensione cautelare in una fase antecedente rispetto al definitivo accertamento della responsabilità disciplinare e penale. E questo anche nella ipotesi in cui il contenuto della sospensione cautelare coincide con la sanzione penale, come previsto per la sanzione (penale) di cui all'articolo 289 c.p. [27] Offrono conferma di tale orientamento dottrinale le norme, contenute nei contratti collettivi, che pongono in risalto la funzione preventiva, piuttosto che sanzionatoria, della sospensione, come quelle che subordinano la sospensione cautelare al preventivo avvio del procedimento disciplinare o penale. Il legislatore ha chiarito così che la funzione assolta dall’istituto cautelare è ben diversa da quella assolta dagli istituti disciplinari e penalistici, benché esistano evidenti affinità tematiche fra le categorie giuridiche della sospensione cautelare e quella (più composita) delle sanzioni disciplinari [28] [29]. Conseguenza dell'impossibilità di qualificare la sospensione cautelare quale sanzione disciplinare è l’inapplicabilità dei principi che governano le sanzioni disciplinari e il relativo procedimento, in particolare non è onere della pubblica amministrazione instaurare un contraddittorio con il pubblico dipendente [30] e non deve ritenersi applicabile l’obbligo dell’affissione del codice disciplinare.

Anche sul piano della doverosità esiste un importante differenza fra le sanzioni disciplinari e la sospensione: mentre quest’ultima viene espressamente (e in alcune ipotesi implicitamente) qualificata come obbligatoria o facoltativa dalle norme che la prevedono, il potere di iniziativa disciplinare è obbligatorio (è cioè un potere-dovere).

Nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, il carattere obbligatorio o facoltativo dell’azione disciplinare, in seguito a condanna penale del dipendente, costituisce uno degli aspetti più problematici del rapporto intercorrente tra procedimento penale e procedimento disciplinare [31].

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Tuttavia, nel caso in cui l’Amministrazione abbia adottato un provvedimento di sospensione cautelare, deve ritenersi in ogni caso doveroso, in seguito ad una sentenza di condanna, l’avvio del procedimento disciplinare.

Tale principio, espresso in due importanti pronunzie dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sulla base sui seguenti argomenti:

a) la sospensione cautelare produce effetti temporanei, che necessitano di essere rivalutati in sede disciplinare, al fine del definitivo assetto dei rapporti [32];

b) il ricorso alla sospensione cautelare è ammissibile quando, in base ad una valutazione fatta a priori (dalla legge o dal dirigente), i fatti paiono di una gravità tale da comportare, in caso di accertamento, la sanzione del licenziamento [33].

Nel momento in cui questo accertamento sopraggiunge (con la condanna), non può “disconoscersi… l’esigenza di dar corso, durante o dopo il procedimento penale…all’azione disciplinare. Cioè di ricondurre la vicenda alla naturale sede di valutazione” (Cons. Stato, Ad. Plen., 28 febbraio 2002, n. 2) [34].

3.1 La disciplina di cui al testo unico del 1957

Il legislatore si è occupato per la prima volta della sospensione cautelare del pubblico dipendente con il decreto del presidente della Repubblica n. 3/1957, c.d. testo unico sugli impiegati civili dello Stato. Il Capo II del Titolo VII era infatti dedicato alla sospensione cautelare e alla sospensione per effetto della condanna penale. Furono introdotte due ipotesi distinte di sospensione cautelare: a) la sospensione cautelare obbligatoria (art. 91) e b) la sospensione cautelare facoltativa (art. 92). Erano dettate norme sul computo della sospensione cautelare (art. 96) e sulla revoca della sospensione (art. 97). È bene analizzare le due forme originarie di sospensione cautelare del pubblico dipendente per comprendere l’evoluzione della materia e la configurazione attuale degli istituti in esame. Per quanto riguarda la sospensione di cui al primo comma dell’articolo 91, sono contemplate due ipotesi distinte. Nella prima, la sospensione può essere disposta in presenza di un procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave. Dal momento che non si prevedono le figure delittuose connotate dalla “particolare gravità. [35], spetta dunque alla pubblica amministrazione effettuare tale valutazione (discrezionale). Dunque, nonostante la terminologia impiegata dalla legge, tale prima ipotesi non è da considerarsi “obbligatoria”, semmai “vincolata agli esiti della valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione”. La seconda parte del primo comma disciplina la sospensione per il caso in cui il dipendente pubblico sia stato sottoposto a misura restrittiva della libertà personale. In questa ipotesi si è davvero in presenza di una sospensione obbligatoria, in quanto al ricorrere della misura restrittiva “l’impiegato deve essere immediatamente sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell’ufficio”. Caratteristica di tale forma di sospensione è che essa consegue automaticamente all’adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale. L’articolo 92 prevede che per gravi motivi il ministro possa ordinare la sospensione dell’impiegato con provvedimento discrezionale in base ad una valutazione, di carattere politico-amministrativo, circa la gravità della situazione complessivamente intesa. è da evidenziare che la contrattazione collettiva, pur nella concezione generale profondamente mutata del pubblico impiego, ha riproposto e continua a riproporre la

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dicotomia sospensione obbligatoria-sospensione facoltativa, di fatto confermando l'originaria impostazione concettuale.

3.2 Ipotesi previste dalla legge 55/1990

La legge 19 marzo 1990, n. 55 previde e disciplinò per la prima volta, nel quadro della lotta alla infiltrazione mafiosa negli enti locali, la sospensione cautelare del dipendente nelle amministrazioni locali, aziende sanitarie locali, imprese pubbliche, etc.

L'articolo 15 della predetta legge sanzionava con la sospensione “di diritto” il dipendente sottoposto a procedimento penale per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. (associazione di tipo mafioso), ovvero alla misura di prevenzione prevista dal comma 2 del medesimo articolo.

La originaria impostazione della legge del 1990 è stata tuttavia modificata e finanche stravolta a seguito delle riforme operate dapprima con la L. 18 gennaio 1992, n. 16, con la L. 475 del 1999, e successivamente con il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (il testo unico degli enti locali), che (con particolare riferimento alla legge del 1999 e al testo unico del 2000) ne hanno ridimensionato la portata “repressiva”.

La legge del 1992, dal canto suo, ampliava la tutela predisposta dalla legge del 1990, prevedendo la “incandidabilità” per incarichi pubblici locali in presenza di condanne non definitive per un numero più esteso di delitti, e aggiungendo che ove tali cause di incandidabilità fossero sopravvenute durante l'espletamento del mandato l'amministratore dovesse essere sospeso dalla sua funzione.

La legge del 1999 ha invece “sconfessato”, in un'ottica maggiormente garantista, l'impostazione precedente, ancorando la incandidabilità (e dunque la sospensione) alle sole ipotesi di condanne definitive. Il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 ha perfino disposto l’abrogazione dell’articolo 15, salvo per quanto riguarda gli amministratori e i componenti degli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali e ospedaliere, i consiglieri regionali, dell’articolo 15-bis e 16 della legge 55/1990.

In definitiva, se il legislatore del 1990 aveva inteso apprestare una tutela particolarmente anticipata del buon andamento e del prestigio della pubblica amministrazione [36], facendo “scattare” la sospensione cautelare sulla base del mero rinvio a giudizio per determinati delitti di criminalità organizzata, con l’intervento del 1999 questa finalità di tutela è stata in parte contraddetta, ridimensionando la portata applicativa della sospensione, sia dal punto di vista soggettivo (interessando ormai solo i dipendenti delle aziende sanitarie locali e i consiglieri regionali) sia da quello oggettivo (applicandosi la sospensione in un momento in cui è già stata accertata in via definitiva la responsabilità penale del pubblico dipendente).

3.3. Ipotesi previste dal decreto legislativo 267/2000 (c.d. testo unico degli enti locali).

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Nel disporre l’abrogazione di talune norme della l. 55/1990 il D.Lgs. n. 276/2000 ha contestualmente dettato una disciplina della sospensione cautelare per i dipendenti degli enti locali legata ad ipotesi di incandidabilità.

Essa si applica a: presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende special, presidente e componenti degli organi delle comunità montane (art. 58, comma 1).

L’articolo 59 prevede una ipotesi di sospensione “di diritto” (obbligatoria si direbbe) che riguarda: coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per determinati gravi delitti (art. 59 comma 1, lett. a); coloro che hanno riportato una condanna in primo grado, confermata in appello, a pena detentiva non inferiore a due anni per delitti non colposi; coloro nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione con provvedimento non definitivo in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni mafiose, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso; coloro nei cui confronti sia stata disposta l'applicazione di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale.

In presenza di questi presupposti si da luogo alla immediata sospensione dell'interessato dalla funzione o dall'ufficio ricoperti. La Corte di cassazione ha specificato che tale ipotesi di sospensione non si applica anche alle ipotesi di condanna per delitto tentato, ma solo a quelle di delitto tentato e consumato [37].

Sebbene operi di diritto, la sospensione va comunque dichiarata dal soggetto titolare dei poteri di controllo sostitutivo, ossia il prefetto [38].

La durata della sospensione è disposta in diciotto mesi, decorsi i quali essa cessa di diritto.

3.4. Ipotesi prevista dall’art. 4, l. 27 marzo 2001, n. 97

La legge 27 marzo 2001, n. 97 [39], all’articolo 4 prevede una ipotesi di sospensione cautelare di carattere obbligatorio. Nel caso in cui il dipendente pubblico sia stato condannato per determinati delitti, previsti dall’articolo 3 della stessa legge [40], a titolo non definitivo, il rapporto di servizio viene sospeso.

La legge prende in considerazione l’ipotesi in cui dopo la condanna precedentemente comminata, sia successivamente pronunciata sentenza di assoluzione o di proscioglimento per lo stesso reato, anche a carattere non definitivo: in tal caso la sospensione cessa di produrre gli effetti suoi propri. Il provvedimento perde efficacia anche una volta decorso il termine di prescrizione del reato.

Vi è stato chi ha dubitato, se non della costituzionalità della normativa, quantomeno della sua razionalità estrinseca, in quanto se da un lato si prevedono come ambito di

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applicazione della sospensione ipotesi delittuose di indubbio allarme sociale, dall’altro si trascurano figure delittuose ben più gravi (come ad esempio il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso).

In base ad una interpretazione saldamente ancorata alla lettera della legge si dovrebbe ritenere che la ipotesi sospensiva in esame trovi applicazione solamente per condanne non definitive [41]. In base ad una lettura maggiormente elastica della disposizione è invece possibile affermare che anche in caso di condanne definitive possa darsi luogo a sospensione cautelare. È da rilevare che la legge n. 97/2001 importava una dilatazione della durata massima della sospensione, legata ai termini di prescrizione dei reati per i quali il dipendente pubblico avesse subito condanna. A tal proposito la Corte costituzionale si è pronunciata nel senso della illegittimità dell'art. 4 nella parte in cui prevedeva che la durata massima della sospensione cautelare potesse superare la durata di 5 anni [42]. Si è ritenuto infatti in contrasto col principio di ragionevolezza immanente all’articolo 3 della Costituzione la previsione di un termine ultraquinquennale laddove sembra ormai acquisito il principio che la sospensione cautelare ha durata inferiore a cinque anni [43]. Si segnala peraltro che la contrattazione collettiva recente ha previsto la facoltà dell'amministrazione di prolungare il termine oltre la durata di cinque anni in base a valutazioni di opportunità, credibilità nei confronti dei cittadini, operatività dell'amministrazione stessa; tali ragioni verranno rivalutate a cadenza biennale dall'amministrazione medesima [44]. Non si può non rilevare come tali previsioni rappresentino un passo indietro rispetto alla giurisprudenza costituzionale ma soprattutto uno stravolgimento delle finalità proprie della sospensione cautelare, il cui carattere peculiare sta proprio nello scaturire da valutazioni in ordine alla eventuale responsabilità penale o disciplinare ma solamente di opportunità nell'interesse della funzione amministrativa.

3.6. Ipotesi prevista dall’articolo 289 c.p.p.

Il codice di procedura penale prevede una ipotesi di sospensione all’articolo 289. Quanto all’ambito di applicazione soggettivo si applica ai soggetti che svolgono una pubblica funzione o prestano un servizio pubblico, qualora si proceda nei loro confronti per un delitto contro la pubblica amministrazione. Non è necessario che sia stato disposto il rinvio a giudizio, in quanto il secondo comma parla espressamente di “indagato”. Le espressioni generiche “pubblico ufficio o servizio” devono essere intese nel senso di richiamare la accezione penalistica di “pubblico ufficiale” e di “esercente un pubblico servizio” di cui agli articoli 357 e 358 del codice penale.

Il provvedimento di sospensione è disposto dal giudice penale, il quale “può” (e non “deve”) disporre il provvedimento, quindi trattasi di sospensione facoltativa e non obbligatoria.

Nonostante sia tutelato il bene del prestigio e del buon andamento della pubblica amministrazione, sono evidenti le finalità processualpenalistiche della sospensione in esame, in quanto la sospensione è disposta qui a garanzia delle esigenze di investigazione e processuali e di prevenzione della reiterazione di condotte criminose da parte del pubblico dipendente.

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Per la dottrina, tenuto conto di tali finalità di tutela, la discrezionalità del giudice è orientata dall’accertamento della ricorrenza delle finalità cautelari o probatorie. In altre parole il giudice dovrebbe valutare la ricorrenza delle esigenze cautelari (art. 273, art. 274, del codice di procedura penale) per fondare il provvedimento di sospensione cautelare [45].

4. Ipotesi di sospensione cautelare derivanti da contratto collettivo

a) Sospensione obbligatoria per misura restrittiva della libertà personale

Le norme collettive prevedono che “Il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della libertà personale è sospeso d'ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o comunque dello stato restrittivo della libertà” [46]. Questa tipologia sospensiva si caratterizza per l’obiettiva impossibilità del dipendente pubblico a svolgere le sue funzioni in quanto sottoposto a restrizioni di libertà. In questo senso la sospensione cautelare appare più strumento di regolamentazione dell’impossibilità di prestare servizio a seguito della carcerazione [47] che una reazione della amministrazione a tutela del proprio prestigio.

Tale previsione richiama con evidenza la normativa del testo unico del 1957, ma sembra annoverare una serie di ipotesi più ampia rispetto a quella cui faceva riferimento il testo unico, il quale richiedeva come presupposto l'emissione di un “mandato od ordine di cattura”. Attualmente i contratti collettivi richiedono invece che “il dipendente sia colpito da misura restrittiva della libertà personale”: in questo modo in presenza di provvedimenti giudiziali che non implicano un vero e proprio mandato od ordine di cattura, ma che comunque limitano la libertà personale del dipendente è egualmente esperibile la sospensione cautelare [48]. In altre parole anche un mero fermo di polizia (art. 384 c.p.p.) legittima la sospensione cautelare.

Per quanto riguarda la durata di tale sospensione cautelare, i contratti collettivi implicitamente la correlano allo stato di restrizione della libertà personale, prevedendo tuttavia la facoltà delle pubbliche amministrazioni di “prolungare anche successivamente il periodo di sospensione del dipendente, fino alla sentenza definitiva” [49].

Questa sospensione cautelare è ontologicamente correlata alla misura restrittiva della libertà personale, per cui si potrebbe ritenere che i presupposti che hanno legittimato il provvedimento vengano meno con la revoca della misura restrittiva della libertà personale oppure all’esito del procedimento penale [50].

Tuttavia, secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza, la sospensione non cessa automaticamente quando cessa la misura cautelare penale, occorrendo, al contrario, un provvedimento di revoca espresso da parte della pubblica amministrazione [51].

L'amministrazione, infatti, non è in grado di conoscere la data della cessazione della misura cautelare penale e pertanto costituisce onere del dipendente che aspiri ad essere riammesso in servizio cooperare con l'amministrazione, dando notizia del venir meno dell'impedimento alla riattivazione del rapporto di lavoro e presentando contestualmente istanza di riammissione in servizio [52].

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Ricevuta l’istanza di riammissione, l’amministrazione valuta se revocare il provvedimento cautelare, oppure se ricorrere ad una della altre tipologie sospensive (in particolare, il “prolungamento facoltativo”).

b) Sospensione obbligatoria in caso di condanna definitiva per delitti particolarmente gravi

La disciplina collettiva dei vari comparti prevede una specifica ipotesi sospensiva obbligatoria, in seguito alla condanna del pubblico dipendente per alcuni delitti particolarmente gravi [53].

Tali delitti sono quelli richiamati dai diversi contratti collettivi, facendo riferimento, a seconda dei comparti, ai reati previsti: dall’art. 15, comma 1 lett. a), b) limitatamente all’art. 316 del codice penale, lett. c) ed e) e comma 4 septies, della legge n. 55 del 1990 e successive modificazioni ed integrazioni” (Cfr. CCNL per l’area dirigenza medica e veterinaria 3 novembre 2005, art. 19, co. 4), ovvero quelle operate dalla L. 18 gennaio 1992, n. 16 e dalla L. legge 13 dicembre 1999, n. 475; dall’art. 1, commi 1 e 4 septies, lett. a), b) limitatamente all’art. 316 del codice penale, lett. c) ed e) della legge n. 16 del 1992; dall’art. 58 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 [54], oppure dall’art. 58, comma 1, lett. a), b), limitatamente all’art. 316 del codice penale, lett. c), d) ed e), e 59, comma 1, lett. a), limitatamente ai delitti già indicati nell’art. 58 comma 1, lett. a) e all’art. 316 del codice penale, lett. b) e c) del D.Lgs.n. 267 del 2000 [55]. Qui il legislatore ha operato una vera e propria presunzione, in base alla quale determinati reati in sé non possono consentire la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego.

c) Sospensione facoltativa per procedimento disciplinare

Questa ipotesi di sospensione facoltativa riprende in parte quella già prevista all’art. 92 del testo unico del 1957. Tuttavia se questo richiedeva dei “gravi motivi” per legittimare il provvedimento di sospensione in corso di procedimento disciplinare, attualmente la contrattazione collettiva richiede che vi sia la “necessità di espletare accertamenti su fatti addebitati al dipendente a titolo di infrazione disciplinare” [56]. I contratti collettivi aggiungono che laddove il procedimento disciplinare termini con l'irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, il periodo di sospensione cautelare viene computato al fine della determinazione della durata della sanzione disciplinare. Questa ipotesi di sospensione cautelare evidentemente è posta a tutela delle finalità probatorie connesse al procedimento disciplinare.

d) sospensione facoltativa per rinvio a giudizio del pubblico dipendente

I contratti collettivi prevedono che “Il dipendente può essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale quando sia stato rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento con e senza preavviso” [57].

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Questa tipologia di sospensione a carattere facoltativo tutela la pubblica amministrazione anche in ipotesi in cui non sia possibile dare luogo alla sospensione obbligatoria ma ciononostante la situazione complessivamente considerata sia tale da giustificare la temporanea sospensione del rapporto di servizio. Il presupposto principale è il rinvio a giudizio (quindi l'acquisto da parte del pubblico dipendente dello status di imputato), che in base all’articolo 408 c.p.p. viene disposto dal giudice ove non sussistano i presupposti di infondatezza del reato. Questo presupposto è ben diverso da quello che fonda la sospensione obbligatoria, ovvero la restrizione della libertà personale, che è disposta in presenza di gravi indizi di colpevolezza del soggetto. Esso deve essere disposto per fatti che abbiano una diretta attinenza al rapporto di lavoro (tipico esempio è quello dell'amministratore rinviato a giudizio per fatti di corruzione accaduti nel corso di procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico), ovvero tali da giustificare il licenziamento del dipendente pubblico. Mentre la sospensione obbligatoria è un atto dovuto dalla pubblica amministrazione, la sospensione facoltativa comporta un potere discrezionale in ordine alla valutazione della gravità dei fatti contestati al pubblico dipendente, e ciò ha ricadute immediate sul piano della motivazione del provvedimento. A tal proposito la giurisprudenza ha chiarito che non è sufficiente un mero richiamo alla delicatezza delle funzioni assegnate al pubblico dipendente, ma è necessario che in motivazione del provvedimento sospensivo siano esplicitate le ragioni che in rapporto alla concreta gravità dei reati contestati comportano l'incompatibilità con la prosecuzione del rapporto di servizio [58].

e) prolungamento della sospensione cautelare obbligatoria dovuta a misura restrittiva della libertà personale

La contrattazione collettiva “chiude il cerchio” disciplinando il caso in cui il pubblico dipendente, in precedenza sottoposto a misura restrittiva della libertà personale, riacquisti la libertà ma non sia stato ancora rinviato a giudizio. La pubblica amministrazione può prolungare la sospensione facoltativa, ove ricorrano i presupposti della sospensione per il caso di rinvio a giudizio, vale a dire che i fatti contestati siano “direttamente attinenti al rapporto di lavoro” o comunque tali da giustificare l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento. A tal proposito il Consiglio di Stato ha spiegato che l'amministrazione deve essere edotta della cessazione della misura restrittiva della libertà personale, per poter valutare se revocare la sospensione cautelare ovvero disporre quella facoltativa [59].

5. Rapporti tra sospensione cautelare e procedimento penale

La sospensione cautelare costituisce solo uno strumento di tutela per la pubblica amministrazione, e nulla altro. Può produrre utilità nei confronti dell'azione penale, ma non persegue direttamente una funzione penale. Lo ha ben evidenziato il Consiglio di Stato, che, con riferimento all'ipotesi di sospensione per procedimento penale di cui all'articolo 91 del Testo unico sugli impiegati civili dello Stato: con riferimento alla sospensione facoltativa all'Amministrazione “spetta verificare, non certo la probabile addebitabilità del fatto al dipendente, bensì soltanto la particolare gravità dello stesso e, pertanto, la potenzialità lesiva che la permanenza nell’ufficio dell’impiegato presenta in termini di credibilità dello stesso apparato amministrativo presso il pubblico”.

E’ appena il caso di sottolineare, a tale ultimo riguardo, che la disposizione in esame nell’indicare il parametro alla stregua del quale l’Amministrazione

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deve determinarsi in merito alla sospensione cautelare del dipendente sottoposto in stato di libertà a procedimento penale fa riferimento alla particolare gravità della “natura del reato”, non già degli indizi da cui lo stesso è raggiunto: l’Amministrazione è chiamata, quindi, a verificare la sussistenza o meno del periculum in mora derivante dalla permanenza nell’ufficio dell’impiegato sottoposto a procedimento penale per fattispecie particolarmente grave, non anche ad effettuare una penetrante prognosi di probabile colpevolezza dello stesso, cui è invece subordinata l’applicazione delle misure cautelari demandate al giudice penale (art. 273 c.p.p.) (Cons. St., Sez. VI, n. 7993/1999).

Le differenti finalità perseguite dalla tutela cautelare e dalla tutela penale giustificano forme di coordinamento che impediscano che tali finalità siano compromesse e in particolare che la sospensione cautelare venga adoperata non tenendo conto degli esiti del procedimento penale. Il rapporto è scandito da norme che tengono in considerazione il contenuto della sentenza penale.

In caso di sentenza irrevocabile di condanna trova applicazione l’art. 654 del c.p.p.. (che disciplina il giudicato della sentenza nel procedimento disciplinare). La sentenza penale di condanna (o di assoluzione) ha efficacia di giudicato nei confronti del giudizio amministrativo in cui viene il G.A. è chiamato a sindacare la legittimità del provvedimento di sospensione.

In caso di revisione della sentenza di condanna, il dipendente licenziato a causa di una condanna penale e successivamente assolto a seguito di revisione del processo, “ha diritto, dalla data della sentenza di assoluzione, alla riammissione in servizio nella medesima sede o in altra su sua richiesta, anche in soprannumero, nella posizione economica acquisita nella categoria di appartenenza all’atto del licenziamento ovvero in quella corrispondente alla qualifica funzionale posseduta alla medesima data secondo il pregresso ordinamento professionale” [60].

Dalla data di riammissione, egli “ha diritto a tutti gli assegni che sarebbero stati corrisposti nel periodo di licenziamento, tenendo conto anche dell’eventuale periodo di sospensione antecedente, escluse le indennità comunque legate alla presenza in servizio, agli incarichi ovvero alla prestazione di lavoro straordinario. In caso di premorienza, gli stessi compensi spettano al coniuge o il convivente superstite e ai figli [61].

6. Rimedi amministrativi e giurisdizionali

Il problema della tutela a carattere amministrativo contro i provvedimenti di sospensione cautelare riguarda principalmente la possibilità di esperire i ricorsi amministrativi avverso gli atti che dispongono la sospensione cautelare del pubblico dipendente. È chiaro che la questione sta a valle dell'altra (più generale) della natura dell'atto di sospensione. Per quel che riguarda il ricorso gerarchico il problema non si pone nemmeno, in quanto la competenza a disporre la sospensione appartiene ai dirigenti generali (e come è noto i loro atti non sono suscettibili di ricorso gerarchico di fronte al ministro [62]). Per quel che riguarda il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha risolto il problema in senso positivo, dal momento che l'atto della pubblica amministrazione che dispone la sospensione cautelare è, quantomeno dal punto di vista giuridico-formale, un atto soggettivamente amministrativo

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[63]. Per quel che riguarda i rimedi di carattere strettamente giurisdizionale, avverso il provvedimento che ha disposto la sospensione cautelare è riconosciuta la tutela dinanzi al giudice amministrativo, che è fornito senz'altro di giurisdizione, trattandosi di provvedimento soggettivamente amministrativo [64].

L'interessato potrà dunque far valere i consueti vizi del provvedimento, in particolare rileverà il difetto (assoluto o relativo, a seconda della discrezionalità del provvedimento) di motivazione, e l'eccesso di potere.

Insieme alla tutela demolitoria, l'interessato potrà contestualmente richiedere al giudice amministrativo l'erogazione della tutela risarcitoria, venendo in discussione l'interesse (legittimo) del pubblico dipendente al rispetto da parte dell'autorità amministrativa delle norme che le conferiscono il potere (o il potere-dovere) di disporre la sospensione.

Si potrebbe perfino prospettare il risarcimento del danno patito dal pubblico dipendente, che, scagionato dalle contestazioni in sede penale, abbia richiesto la revoca del provvedimento di sospensione e la pubblica amministrazione abbia omesso di soddisfare l'interesse al tempestivo ritiro di un atto i cui presupposti siano venuti meno. Tale possibilità è suffragata non solo da quella parte della giurisprudenza che considera il tempo come un bene della vita meritevole di tutela ex art. 2043 nelle ipotesi di mero ritardo nell'adozione di un qualsiasi provvedimento richiesto dall'interessato [65], ma anche, indirettamente, dalla disposizione contenuta all'art. 2-bis della legge 241/1990, introdotto dalla legge n. 69/2009, che riconosce la risarcibilità del danno da mero ritardo nella conclusione del procedimento, indipendentemente dalla spettanza del bene della vita.

7. Cessazione della sospensione cautelare. La restitutio in integrum retributiva

Come risulta da quanto sopra evidenziato, la sospensione cautelare può cessare per varie ragioni, che non sempre sono interamente liberatorie per il pubblico dipendente (un esempio valga per tutti, lo spirare del termine massimo di durata previsto dalla legge e dai contratti collettivi).

Un problema cruciale si pone quando è necessario ricostruire la posizione economica del dipendente sospeso cautelarmente, che durante la sospensione ha percepito solamente l'indennità pari al 50% della retribuzione fissa mensile e gli assegni del nucleo familiare, con esclusione di ogni compenso accessorio, comunque denominato, anche se pensionabile. Soccorre in tal caso l'istituto della restitutio in integrum, che consiste nella reintegrazione parziale o totale nella situazione economica precedente alla sospensione. Il dato positivo è tuttavia lacunoso: l'articolo 97 del Testo unico del 1957 si limita a prevedere due ipotesi. La prima si realizza quando la sospensione cautelare sia stata disposta per procedimento penale e questo si sia concluso con sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento, pronunciate con la formula “il fatto non sussiste”, “non costituisce illecito penale” o “l’imputato non lo ha commesso”(comma 1). [66]

In tali casi quanto corrisposto durante il periodo di sospensione cautelare a titolo di indennità alimentare verrà conguagliato con quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio, fatta eccezione per i compensi per lavoro straordinario e per quelli collegati all’effettivo svolgimento della prestazione [67]

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La seconda ipotesi si realizza quando il dipendente sospeso per procedimento penale sia stato prosciolto con formule diverse da quelle suindicate. In tali ipotesi è chiaro che possa residuare una responsabilità disciplinare, per cui la pubblica amministrazione ha 180 giorni per iniziare il procedimento disciplinare. In caso di inutile decorso di tale termine si ha la medesima restitutio in integrum prevista per l'ipotesi di assoluzione o proscioglimento con formula pienamente liberatoria.

Passando alle ipotesi di sentenza di condanna, occorre ove il procedimento disciplinare si concluda con una sanzione conservativa [68]: al dipendente precedentemente sospeso verrà conguagliato quanto dovuto se fosse stato in servizio, fatta eccezione per i compensi per lavoro straordinario e per quelli collegati all’effettivo svolgimento della prestazione; Sono esclusi dal conguaglio i periodi di sospensione obbligatoria a causa di misura restrittiva della libertà personale e quelli eventualmente inflitti a seguito del giudizio disciplinare e a seguito della condanna penale [69].

Passando alle sentenze di condanna il discorso si complica per via del dato normativo lacunoso.

Il caso più semplice si verifica quando, in seguito alla sentenza di condanna si perviene alla sanzione disciplinare del licenziamento: in tal caso “La decorrenza della destituzione dall'impiego deve essere fissata alla data dell'inizio della sospensione medesima [70]”, con perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni [71].

Il discorso si complica quando ad una sentenza di condanna non consegue l'attivazione della fase disciplinare: non esistendo alcun riferimento normativo espresso la giurisprudenza si è trovata di fronte a più strade percorribili. Un primo orientamento emerso in giurisprudenza è nel senso che non rileverebbe l'esito del procedimento penale, perchè la sospensione cautelare sarebbe legata agli esiti disciplinari. Mancando il procedimento disciplinare la sospensione sarebbe caducata e occorrerebbe procedere a restitutio. È questa la tesi accolta dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2/2002, la quale ha preso le mosse da una (obbligata) concezione non afflittiva della sospensione cautelare. Essendo questa una misura messa a disposizione della pubblica amministrazione nel suo interesse, non si può far ricadere sul pubblico dipendente l'inerzia della amministrazione che non riconduca la vicenda alla sua naturale sede di valutazione, ovvero quella disciplinare.

Un secondo orientamento, fatto proprio dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/1999, tiene conto sia degli esiti del procedimento penale sia di quelli del procedimento disciplinare, arrivando alla conclusione che i periodi non coperti da sanzioni disciplinari o penali devono essere ricostruiti. Cade la sospensione e si da luogo a restitutio.

L'ultimo orientamento emerso in giurisprudenza ritiene che la mancata instaurazione del procedimento disciplinare tiene ferma la sospensione cautelare ed impedisce la ricostituzione della posizione economica del dipendente. Tale conclusione è derivata da argomenti di carattere sistematico. L'articolo 97 del Testo unico si limita a disciplinare la sola ipotesi di sentenza penale liberatoria al fine di impedire l'applicazione del generale principio della corrispettività della prestazione lavorativa e della remunerazione, laddove il dipendente sia stato riconosciuto non responsabile in sede penale. Nelle altre ipotesi non sussisterebbe tale necessità e dunque sarebbe impossibile procedere alla revoca della

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sospensione. Questa tesi è stata fatta propria sia dalla giurisprudenza amministrativa regionale [72] che dal Consiglio di Stato [73].

[1] Nella logica della competitività economica il fatto che le pubbliche amministrazioni esercitino funzioni loro assegnate dalla legge è indubbio che sin dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 il legislatore ha conferito rilevanza alla produttività nel pubblico impiego, in proposito si veda A. Levi, Il trattamento economico dei dipendenti pubblici, in Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, a cura di L. Galantino, Padova, 1994, 273.

[2] Una linea di tendenza dell’attuale legislatore è nel senso di aggravare le sanzioni disciplinari e snellire i relativi procedimenti: si pensi al recente D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, attuativa della cosiddetta “Legge Brunetta” (L. 4 marzo 2009, n. 15) il quale contiene un intero capo (il quinto) dedicato alle sanzioni disciplinari e alla responsabilità dei pubblici dipendenti.

[3] In questo senso si veda Cons. St., Sez. IV, 12 maggio 2006 n. 2680, in www.giustizia-amministrativa.it.

[4] Si veda già Cons. St., Sez. VI, 23 novembre 1993, n. 923, in www.giustizia-amministrativa.it, per la quale “La sospensione cautelare dal servizio costituisce provvedimento autonomo rispetto al procedimento disciplinare, quanto preordinato all'allontanamento dell'impiegato dal servizio a tutela delle regolarità del servizio o del prestigio dell'amministrazione”. La Corte costituzionale, nella sentenza 206/1999 in www.giurcost.org, ha spiegato che: “il pregiudizio possibile concerne in particolare la “credibilità” dell'amministrazione presso il pubblico, cioè il rapporto di fiducia dei cittadini verso l'istituzione, che può rischiare di essere incrinato dall' “ombra” gravante su di essa a causa dell'accusa da cui è colpita una persona attraverso la quale l'istituzione stessa opera”. Più esplicitamente di “prestigio” della pubblica amministrazione ha parlato la VI Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 617/1995, in www.giustizia-amministrativa.it. In tale occasione il supremo collegio amministrativo ha precisato che a mettere in pericolo il prestigio della pubblica amministrazione non è tanto la formale imputazione quanto l'attribuzione sostanziale di un fatto preveduto dalla legge come reato. Un ulteriore riconoscimento implicito del valore costituzionale del prestigio della pubblica amministrazione è da ricercarsi nella ideazione giurisprudenziale del danno all'immagine della pubblica amministrazione.

[5] Per il richiamo all'articolo 54 e all'articolo 98 della Costituzione si veda N. Monfreda, La sospensione cautelare dal servizio per gli appartenenti alla guardia di finanza, in diritto.it, 2005.

[6] In proposito, si veda l’originaria formulazione dell’articolo 72, co. 2 D.Lgs. 29/1993, ora abrogato, il quale manteneva la vigenza delle norme contenute nel testo unico fino alla sottoscrizione contrattuale collettiva: “Fino all'adozione di una diversa disciplina contrattuale secondo quanto previsto dal comma 1 in materia di infrazioni e sanzioni disciplinari, per quanto non espressamente modificato dall'articolo 59, continuano ad applicarsi le disposizioni dei capi I e II del titolo VII del decreto del Presidente della

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Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, nonché le norme che regolano le corrispondenti materie nelle amministrazioni pubbliche in cui tale decreto non si applica”.

[7] Come è stato efficacemente sottolineato, la materia disciplinare nel pubblico impiego, prima consacrata al dominio della legge, è divenuta così oggetto privilegiato della contrattazione collettiva In proposito, Zoppoli, Potere disciplinare e unificazione normativa del lavoro, Quaderni di diritto del lavoro, 1991, n. 9, 50-51

[8] Legge 4 marzo 2009, n. 15.

[9] Un esempio di legislazione speciale che prevede la sospensione cautelare è il d.P.R. n. 737/1981, per quel che riguarda il personale di pubblica sicurezza, che all’art. 9 detta disposizioni per la “sospensione cautelare in pendenza di procedimento penale”, sospensione che è una misura cautelativa che non corrisponde alla sanzione che prende lo stesso nome.

[10] Però si veda l’art. 15, comma 4-septies, L. 19 marzo 1990, n. 55, la quale attribuisce espressamente la competenza ad adottare i provvedimenti di sospensione nei confronti di dipendenti di enti locali al “capo dell’amministrazione” (ovvero al soggetto competente in base all’ordinamento locale). La stessa disposizione assegna la competenza, per quel che riguarda le amministrazioni regionali e le unità sanitarie locali al Presidente della Giunta regionale.

[11] Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 2, comma 1: “Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarita' dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive..”

[12] Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 5, comma 2: “... le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacita' e i poteri del privato datore di lavoro.”

[13] Per la qualificazione come atto gestionale privatistico e per la conseguente inapplicabilità della legge n. 241/1990, si veda L. Viola, la sospensione cautelare dal servizio dopo la privatizzazione del pubblico impiego, in Trib. Amm. Reg., 1996, II, 155.

[14] Cfr. Trib. Roma, 2 luglio 1999, in Giust. Civ., 1999, I, 3166, secondo cui “la sospensione cautelare dal lavoro di un dipendente pubblico non è un provvedimento amministrativo (cioè un atto adottato dalla p.a. nell'esercizio di potestà pubblicistiche), bensì un atto di diritto privato, sia pure posto in essere da un soggetto pubblico”; nello stesso senso, Trib. Caltanissetta, 6 maggio 2000, in Giust. Civ., 2001, I, 260, secondo cui “la sospensione cautelare dal servizio adottata dal datore di lavoro pubblico costituisce espressione del potere discrezionale di autotutela, di natura privatistica, avente la funzione di allontanare il dipendente dal posto di lavoro in caso di ragionevole "sospetto" di una inadempienza che renda impossibile per sua natura la prosecuzione del rapporto”.

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[15] Si tratta di quelle ipotesi in cui non è rimessa alla pubblica amministrazione alcuna discrezionalità in ordine all’an della sospensione. Si veda in proposito l’art. 1, 4° c. septies della legge 18 gennaio 1992, n. 16, il quale prevede che qualora il pubblico dipendente riporti condanne, anche non definitive, per determinati delitti, “si fa luogo alla immediata sospensione dell'interessato dalla funzione o dall'ufficio ricoperti”. La norma è volta a tutelare il prestigio della pubblica amministrazione, “compromesso” dalla natura dei delitti per i quali è intervenuta la sentenza penale di condanna.

[16] La dottrina sostiene che, sebbene sia normalmente previsto nei contratti collettivi, il potere di sospensione cautelare del rapporto di lavoro sussiste indipendentemente da eventuali fonti convenzionali, trovando fondamento normativo primario direttamente nell’articolo 2104, il quale fonda la superiorità gerarchica del datore di lavoro e gli conferisce il potere conformativo in relazione alle esigenze organizzative che insorgono di volta in volta. Così G. Branca, La sospensione nelle vicende del rapporto di lavoro, Padova, 1971, 114; G. Amoroso, Sanzioni disciplinari, in diritto del lavoro e della previdenza sociale. Il lavoro privato e pubblico, a cura di G. Santoro Passarelli, 1998, 484.

[17] In base al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, tali organi sono i dirigenti generali, e i dirigenti da loro delegati. Si veda in proposito l’articolo 16, rubricato “funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali”, il quale prevede che essi “svolgono le attivita' di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro” (comma 1, lettera h).

[18] Miscione, Sanzioni disciplinari e responsabilità, in Il Lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, Commentario diretto da F. Carinci, II, 1698.

[19] Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. giur., 1 febbraio 1993, n. 57, Giur. Amm. Siciliana, 1993, 41. Così Cons. St. IV 5019/2004, in www.giustizia-amministrativa.it.

[20] Si veda, da ultimo, Cons. St., Sez. IV, 18 marzo 2009, n. 1602; Sez. IV, 3337/2008, in www.giustizia-amministrativa.it.

[21] Per il riferimento al principio della presunzione di non colpevolezza, si veda Corte cost., 28 gennaio 1996, n. 239, in www.giurcost.org.

[22] Cons. St., Sez. IV, 2 giugno 2000, n. 3157; T.A.R. Emilia Romagna, 27 maggio 2002, n. 1061; Cons. St., Sez. VI, 3 febbraio 2009, 2123, in www.giustizia-amministrativa.it

[23] Si veda Cons. St., Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1632, in www.giustizia-amministrativa.it , secondo cui “Non sussiste, infatti, nel caso di specie, la dedotta violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, atteso che l’obbligo di preavviso procedimentale imposto dalla norma viene meno, per espressa volontà del legislatore (v. il comma 1 dell’art. 7 medesimo), allorché sussistano comprovate esigenze di celerità, che, se di régola devono essere esplicitate (mentre è pacifico che il provvedimento oggetto del giudizio non reca alcuna motivazione sulle “ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”, che giustificano l’omissione di detto adempimento), sono da ritenersi implicite (e cioè ontologicamente proprie) nella finalità cautelare, di tutela immediata dell’ordinato svolgimento dell’attività dell’Amministrazione attraverso l’allontanamento del dipendente “pericoloso”, propria del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio. Si

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tratta, invero, di scelte cautelative ( non, peraltro, nel senso di misure interinali prodromiche alla adozione di un provvedimento definitivo, cui è riferibile il disposto del secondo comma del menzionato art. 7, inapplicabile perciò alla fattispecie ), che, malgrado la presunzione di innocenza dell'imputato-dipendente fino alla condanna con sentenza irrevocabile, danno prevalenza e consentono la preminente tutela degli interessi di rilievo pubblico coinvolti, stanti, da un lato, la peculiarità e delicatezza delle funzioni esercitate in virtù dello status di pubblico dipendente e, dall’altro, la corrispondente necessità di tutela del prestigio, della imparzialità e della immagine interna ed esterna dell’Amministrazione; profili, questi, che entrambi richiedono un intervento quanto più è possibile sottratto ad indugi.

[24] Il comma 1 dell'articolo 7 citato è del seguente tenore: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso é comunicato, con le modalità previste dall'articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale é destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione é tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell'inizio del procedimento”.

[25] Si veda, da ultimo, T.A.R. Lazio, Sez. I-bis, 24 aprile 2009, n. 13409, in www.giustizia-amministrativa.it. La giurisprudenza ha spiegato che la norma contenuta all'articolo 21-octies non distingue a seconda della natura vincolata o discrezionale dell'atto (ex plurimis: Cons. St., Sez. VI, 14 aprile 2008, n. 1588; 17 ottobre 2006, n. 6192, in www.giustizia-amministrativa.it).

[26] Così L. Viola, la sospensione cautelare dal servizio dopo la privatizzazione del pubblico impiego, in Trib. Amm. Reg., 1996, II, 161. La giurisprudenza sin da Cons. St., Sez. VI, novembre 1993 ha affermato la autonomia della sospensione cautelare, finalizzata alla tutela del prestigio e del regolare svolgimento del servizio. Per una pronuncia recente, si veda Cons. St., Sez. VI, 8 maggio 2009, n. 2844, secondo la quale “Per la necessità di intervenire tempestivamente, nei casi in cui sia messo in pericolo il prestigio dell’istituzione, è stato appunto previsto l’istituto della sospensione cautelare che ha una connotazione ben precisa, rappresentando non una sanzione ma una misura cautelativa in vista di ulteriori accertamenti”.

[27] Corte cost. n. 206/1999, in www.giurcost.org.

[28] In giurisprudenza si è ritenuto spesso dover dare applicazione alle norme della l. 241/1990. si vedano in tal senso Ad. Pl. Cons. St., 12 dicembre 1992, n. 20. L’affinità fra i due istituti cautelare e disciplinare è in qualche modo confermata dalle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 29/1993 il quale richiama unitariamente (ai fini della loro salvezza) le disposizioni sulla sospensione cautelare e sui provvedimenti disciplinari. D’altro canto la stessa legge, nel prevedere la figura della sospensione cautelare per il caso di procedimento disciplinare in corso sembra distinguere dal punto di vista ontologico le due figure giuridiche.

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[29] Altra conferma ci deriva dalla giurisprudenza della Corte costituzionale 16 maggio 1994, n. 184, in www.giurcost.org, Ad. Pl. Cons. St.., 30 settembre 1993, n. 11, in www.giustizia-amministrativa.it.

[30] Anzi nelle ipotesi di sospensione cautelare automatica non è prospettabile nemmeno l'instaurazione del contraddittorio dovendo semplicemente attualizzare le conseguenze che scaturiscono dalla condanna penale.

[31] Sul punto, la Corte dei Conti si è sempre espressa nel senso della obbligatorietà della azione disciplinare in seguito a condanne penali dei dipendenti pubblici ed ha promosso azioni risarcitorie per danno erariale nei confronti dei dirigenti “colpevoli” di non aver avviato o concluso nei termini i procedimenti disciplinari. Si riporta, di seguito, un estratto (dal paragrafo n. 1.3) della delibera n. 25/2001/G, che sintetizza la posizione della Corte dei Conti: “Per ciò che concerne la funzione disciplinare originata da condanne penali gli obiettivi della legislazione possono pertanto essere individuati nel modo seguente: finalità di tutela del buon andamento della pubblica amministrazione e della pubblica sicurezza, ricavabile dalla legislazione cosiddetta antimafia, dalla legge delega 421/92, dalla giurisprudenza costituzionale e dalla legge 97/01. Esso comporta la indefettibile necessità di allontanare, anche con strumenti di carattere cautelare, come la sospensione, i dipendenti la cui condotta illecita, accertata o in corso di accertamento da parte del giudice penale, sia ritenuta dalla amministrazione incompatibile con il corretto svolgimento dei compiti ad essa demandati. Il principio in questione assume indiscusso valore prioritario. Questo aspetto della legislazione merita una postilla alla luce della intervenuta privatizzazione del rapporto di lavoro. Se è vero che la innovazione ha comportato la disponibilità per il datore di lavoro del rapporto contrattuale con il dipendente, ciò non comporta una sorta di libertà incondizionata nella gestione della materia disciplinare. Quanto sopra per ragioni che possono essere così sintetizzate: a1) nel procedimento disciplinare il potere di supremazia conferito al datore è dato nell’esclusiva tutela dell’interesse aziendale. Detto profilo comporta anche nell’ambito privatistico una motivazione che renda obbligatoriamente conto della comparazione tra gli interessi dell’azienda e quelli del lavoratore coinvolto. La tutela aziendale nella pubblica amministrazione non può che corrispondere alla garanzia che non rimangano nell’organico della stessa soggetti macchiatisi di condotte incompatibili con le funzioni attribuite. Pertanto lo strumento di questa comparazione, sia nel caso in cui si estrinsechi in atti amministrativi, come nel vecchio regime, sia nel caso si manifesti in regime privatistico, rimane neutro rispetto alla fisiologica articolazione delle pertinenti valutazioni; a2) anche nel nuovo assetto del rapporto di lavoro assume indefettibilità la tutela degli interessi di ordine pubblico, contenuti nella disciplina contro la criminalità organizzata e a tutela della trasparenza dell’azione amministrativa. Questo aspetto appare ancor più rafforzato dalla recentissima legge 27 marzo 2001, n. 97 in materia di rapporto tra procedimento penale e disciplinare; a3) nella Scuola…; finalità di assicurare al dipendente un regolare e tempestivo procedimento disciplinare anche nei casi in cui sia stato già condannato in modo irrevocabile in sede penale (desumibile - tra l’altro – dall’art. 9 legge 19/90 e ora dall’art. 5 legge 97/2001 e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale); indefettibilità dell’obbligo per l’amministrazione di sottoporre il dipendente, condannato con sentenza passata in giudicato, a procedimento disciplinare (desumibile anch’esso ex art. 9 legge 19/90 e ora dall’art.5 legge 97/2001). Anche per questo profilo valgono le considerazioni sub a) a proposito della intervenuta

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privatizzazione del rapporto di lavoro. Infatti il principio dell’interesse “aziendale” della amministrazione pubblica implica l’obbligo di esaminare la compatibilità di condotte criminose con la permanenza nei ruoli della amministrazione. Quindi l’assenza di poteri pubblicistici d’imperio nell’esercizio dell’azione disciplinare non comporta certamente la facoltatività di quest’ultima in presenza di condanne penali o di gravi illeciti disciplinari. Una tale interpretazione comporterebbe, tra l’altro, una condotta arbitraria e discriminatoria dell’amministrazione datrice di lavoro e potrebbe addirittura inficiare come discriminatoria l’azione disciplinare facoltativamente esercitata; obiettivo di assicurare graduate e proporzionate sanzioni in relazione alla condotta del dipendente (affermato dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 971/88 e 197/93 e ispiratore della stessa legislazione privatistica)”.

[32] Il principio è stato espresso in Cons. Stato, Ad. Plen., 6 marzo 1997, n. 8, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui “attesa la durata interinale degli effetti del provvedimento di sospensione, l’ordinamento richiede che all'esito del procedimento penale, nell'interesse al definitivo assetto dei rapporti giuridici, il provvedimento di sospensione cautelare sia sostituito da un diverso titolo giuridico che disponga degli effetti prodotti dalla sospensione…Tale procedimento non può che essere quello disciplinare, al cui esito - come si è detto - è strettamente correlata la sorte del periodo di sospensione cautelare”.

[33] Fa eccezione a tale principio unicamente l’ipotesi di sospensione obbligatoria a causa di misura restrittiva della libertà personale.

[34] Cons. Stato, Ad. Plen., 28 febbraio 2002, n. 2, in www.giustizia-amministrativa.it: “se la misura cautelare trova la sua causa nell’operato del dipendente, prima imputato, poi condannato, non devono, tuttavia, disconoscersi non soltanto l’intervenuta condanna, ma anche l’elemento causale consistente nella valutazione, fatta a priori, dall’amministrazione sull’opportunità di far luogo alla sospensione dal servizio, né ancora quello, che sopraggiunge, ma che integra la serie causale, consistente nell’esigenza di dar corso, durante o dopo il procedimento penale, a pena di decadenza, all’azione disciplinare. Cioè di ricondurre la vicenda alla naturale sede di valutazione”.

[35] La particolare gravità costituisce un concetto giuridico indeterminato che deve essere “attualizzato” per trovare applicazione nei casi concreti. Il sindacato in ordine a tale attualizzazione spetta, in ultima analisi, al giudice, il quale non può comunque spingersi al punto da sostituire la propria autonoma valutazione a quella, connotata da discrezionalità, operata dall’organo competente a disporre la misura.

[36] Bene ritenuto di rilevanza costituzionale dalla stessa Consulta, nella sentenza 206/1999.

[37] La travagliata storia di questa legge è ripercorsa nella sentenza della Corte di cassazione Civ., Sez. I, 11 febbraio 2003, n. 1990 in Arch. Civ., 2004, 97 ss.

[38] Sul punto, G. Rizzo, Elettorato passivo. Incandidabilità, ineleggibilità, incompatibilità. Esimente, contestazione e rimozione delle cause di ineleggibilità e incompatibilità, in L’ordinamento degli enti locali: commentario al testo unico, a cura di Francesco Caringella, Antonio Giuncato, Filippo Romano, Milano, 2007, 411.

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[39] Tale legge detta una disciplina organica sui rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare.

[40] Si tratta delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 3-18, 319, 319-ter e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383.

[41] “Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall'articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio. La sospensione perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato”.

[42] Corte cost., 3 maggio 2002, n. 145, in www.giurcost.it, La Consulta ha ritenuto essere contraria al generale principio di ragionevolezza la previsione di un durata della sospensione diverso in mancanza di ragioni che giustificassero tale, evidente, disparità di trattamento.

[43] G. Noviello, V.Tenore, La responsabilità, op. cit., 430.

[44] Si veda si veda il CCNL per il comparto università del 16 ottobre 2008, art. 48; CCNL per il personale non dirigente del comparto regioni e autonomie locali, art. 5; Cfr. CCNL Ministeri 12 giugno 2003, art. 14.

[45] E. Noviello, V. Tenore, La Responsabilità, op. cit., 408.

[46] Si veda ad esempio il CCNL per l’area dirigenza medico-veterinaria del servizio sanitario nazionale del 3 novembre 2005, art. 19 comma 1; CCNL per le autonomie locali dell’11 aprile 2008, art. 5; CCNL per il personale non dirigente del consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) del 18 novembre 2008, art. 11; CNNL per il comparto università del 16 ottobre 2008, art. 48; CCNL per la dirigenza pubblica nei ministeri del 21 aprile 2006, art. 45; CCNL per il personale del comparto università del 6 agosto 2008, art. 48.

[47] S. Mainardi e M. Miscione, Potere e responsabilità disciplinare, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, commentario diretto da F. Carinci, Milano, 1995, II, 1040.

[48] La dottrina ha messo in luce come già la giurisprudenza coeva alla vigenza delle norme del testo unico aveva superato il limite ricavato dalla interpretazione strettamente letterale di tali norme.

[49] Si veda ad esempio il CCNL per la dirigenza medico-veterinaria del servizio sanitario nazionale del 3 novembre 2005, art. 19 comma 3.

[50] La disciplina collettiva non chiarisce, peraltro, cosa accada quando, all’esito del procedimento penale, il dipendente sia condannato a pena detentiva (non sospesa), ma l’amministrazione decida di non procedere al licenziamento. Tale circostanza è espressamente contemplata dall’art. 98 del T.U. Imp. Civ. Stat., ai sensi del quale “l’impiegato condannato a pena detentiva con sentenza passata in giudicato, qualora non

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venga destituito, è sospeso dalla qualifica fino a che non abbia scontato la pena”. Tale norma, tuttavia, disapplicata per i comparti privatizzati, non è stata sostituita da una analoga previsione convenzionale. La lacuna non pare poter essere colmata mediante il ricorso alla “sospensione obbligatoria in caso di misura restrittiva della libertà personale”. Per sua natura, infatti, il provvedimento cautelare produce effetti provvisori e limitati alla durata procedimento penale, al termine del quale l’Amministrazione, al fine di regolare in via definitiva i rapporti, deve avviare il procedimento disciplinare. Pertanto, nell’ipotesi in cui il dipendente sia stato condannato a pena detentiva con sentenza passata in giudicato e non venga licenziato, si ritiene che il provvedimento di sospensione cautelare debba essere sostituito da un differente provvedimento sospensivo, che potrebbe avere natura disciplinare, oppure essere motivato dall’oggettiva impossibilità a rendere la prestazione.

[51] Cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 3 luglio 2006, n. 4244, secondo cui la pubblica amministrazione ha comunque il dovere di procedere alla revoca con decorrenza dal giorno in cui ha avuto notizia della cessazione della misura cautelare. Cons. Stato, 30 aprile 2002, n. 2327; Cons. Stato, 24 maggio 1996, n. 732; Cons. Stato, 15 aprile 1996, n. 551; Cons. Stato, 18 gennaio 1996, n. 53; Cons. Stato, 15 maggio 1995, n. 335. Secondo un differente orientamento, tuttavia, il dipendente avrebbe diritto all’immediata e automatica riammissione in servizio dal momento stesso della revoca della misura restrittiva (Cfr. Cons. Stato, 10 marzo 1999, n. 249, in Cons. Stato, 1999, I, 391).

[52] Cons. St., 30 aprile 2002, n. 2327.

[53] A prescindere dall’infelice formulazione contenuta nei contratti collettivi (“resta fermo l’obbligo di sospensione per i reati previsti”), in seguito all’abrogazione della L. 55/1990, avvenuta ad opera del D.L.gs. 267/2000, il richiamo alle suddette leggi ha carattere di mero rinvio materiale, che opera ai soli fini della individuazione della particolari fattispecie che giustificano la sospensione obbligatoria del dipendente (cfr., in tali senso, la relazione illustrativa dell’Aran al CCNL del 28 marzo 2006 per l’Area della dirigenza del comparto delle regioni e delle autonomie locali, disponibile al sito www.aran.it).

[54] CNNL per il comparto università del 16 ottobre 2008, art. 48. comma 4.

[55] CCNL per le Regioni e le autonomie locali dell'11 aprile 2008, art. 5, c. 4.

[56] CNNL per il comparto università del 16 ottobre 2008, art. 49, comma 1.

[57] CCNL Ministeri 12 giugno 2003, art. 15, co. 3; CCNL Regioni e Autonomi Locali 21 aprile 2008, art. 5, co. 3.

[58] Cons. St., Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2326.

[59] Cons. St., Sez. VI, 3 luglio 2006, n. 4244.

[60] Cfr. CCNL Ministeri 12 giugno 2003, art. 14, co. 9; CCNL Regioni e Enti Locali 11 aprile 2008, art. 4, comma 10.

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[61] Cfr. CCNL Ministeri 12 giugno 2003, art. 14, co. 10; CCNL Regioni e Enti Locali 11 aprile 2008, art. 4, comma 11.

[62] Si veda l'articolo 16, co. 4, D.Lgs. 30 marzo 2001, N. 165 “Gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui al presente articolo non sono suscettibili di ricorso gerarchico”.

[63] Per tali affermazioni si veda il parere del Consiglio di Stato del 10 giugno 1999, n.9, con cui si è qualificato come atto soggettivamente amministrativo il provvedimento sospensivo.

[64] Si veda la sentenza 204/2004 della Corte costituzionale in materia di riparto di giurisdizione in base al quale sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ove l'amministrazione si presenti come autorità.

[65] Si veda, ex plurimis, Cons. St., Sez. VI, 12 gennaio 2009, n. 65.

[66] Cfr. CCNL Regioni e Autonomie Locali 21 aprile 2008, art. 5, co. 8; CCNL Ministeri 12 giugno 2003, art. 15, co. 8 (“Nel caso di sentenza definitiva di assoluzione o di proscioglimento, pronunciata con la formula “il fatto non sussiste”, “non costituisce illecito penale” o “l’imputato non lo ha commesso”, quanto corrisposto, durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di assegno alimentare verrà conguagliato con quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio, escluse le indennità o compensi comunque collegati alla presenza in servizio, agli incarichi ovvero a prestazioni di carattere straordinario. Ove il procedimento disciplinare riprenda per altre infrazioni, ai sensi dell’art. 4, comma 8, secondo periodo, il conguaglio dovrà tener conto delle sanzioni eventualmente applicate”).

[67] Non può essere corrisposto il compenso sostitutivo delle ferie non godute al dipendente pubblico il quale non abbia usufruito del congedo ordinario in quanto sospeso cautelarmene dal servizio, atteso che l'indennità sostitutiva spetta in caso di mancata fruizione per compensare il maggior disagio causato dallo svolgimento di un'attività lavorativa senza interruzioni e periodi di riposo (Cons. Stato, 10 dicembre 2003, n. 8118).

[68] Cfr. CCNL Regioni e Autonomie Locali 21 aprile 2008, art. 5, co. 9; CCNL Ministeri 12 giugno 2003, art. 15, co. 9 (“In tutti gli altri casi di riattivazione del procedimento disciplinare a seguito di condanna penale, ove questo si concluda con una sanzione diversa dal licenziamento, al dipendente precedentemente sospeso viene conguagliato quanto dovuto se fosse stato in servizio, escluse le indennità o compensi comunque collegati alla presenza in servizio, agli incarichi ovvero a prestazioni di carattere straordinario; dal conguaglio sono esclusi i periodi di sospensione del comma 1 e quelli eventualmente inflitti a seguito del giudizio disciplinare riattivato e a seguito della condanna penale”).

[69] Sono esclusi anche i periodi di detenzione a cui il dipendente è stato condannato, pur se non sono stati effettivamente scontati (ad esempio, per sospensione della pena) (Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 15 del 1999; Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4 del 2002, in www.giustizia-amministrativa.it).

[70] C. Conti reg. Lombardia, 28 novembre 2003, n. 1394.

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[71] Cass. 22 marzo 1996, n. 2517.

[72] Vedi da ultimo, TAR Lazio, Sez. I bis, 4 marzo 2009, n. 16659 in www.giustizia-amministrativa.it.

[73] Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2003 n. 1165; sez. VI, 16 settembre 2002 n. 4649; 4 settembre 2002 n. 4431; 12 agosto 2002 n. 4161, in www.giustizia-amministrativa.it