La sinistra introvabile€¦ · fine settembre, qualche giorno dopo l’accordo a livello nazionale...

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fine settembre, qualche giorno dopo l’accordo a livello nazionale con i ren- ziani sulla riforma costituzionale, gli esponenti della minoranza del Pd umbro hanno dato vita alla festa della sinistra a Casa del Dia- volo. E’ stata l’occasione per “sfogarsi”. Il Pd in Italia e in Umbria non va bene, è sempre più un partito che vira a destra, appiattito su Renzi. Lo hanno detto e confermato tutti i parteci- panti: dall’ex segretario regionale Bottini a Piero Mignini ad altri esponenti di spicco di una sta- gione politica ormai tramontata. Analisi con- divisibili, ma al netto delle domande: voi dove eravate? Non avete nessuna responsabilità di questa mutazione? Quello che lascia allibiti è l’esito finale: “Il Pd è la nostra casa, non lo la- sciamo a Renzi e i suoi”. Vero è che il Pd come forma organizzata è sempre più evanescente e che quindi parlare di scissioni di una cosa che non esiste è paradossale. Ma, a parte la fedeltà o meno alla “ditta”, si potrebbe costruire uno sforzo programmatico, definire un percorso or- ganizzativo sulla cui base definire forme di re- sistenza e di attività efficaci. Niente: non si va oltre le declaratorie. E’ il segno di un’impotenza reale e la presa d’atto che il Pd che non è nep- pure un luogo di battaglia politica. Non è andata meglio, qualche giorno dopo, a Giacomo Leonelli e alla sua Stazione Pd, una kermesse tenutasi nei locali della Rocca Paolina. Ha riunito solo un po’ di segretari di sezione e gli assessori regionali. Personale politico di me- stiere. Si è parlato di tutto e di niente, con poche persone (i partecipanti dichiarati erano 300). Notata l’assenza di tutti gli uomini di Bocci, vero king maker del partito umbro. Poca la convinzione e incerte le prospettive. Insomma dalla stazione non è partito nessun treno. In- tanto ad Orvieto non si sta facendo il tessera- mento, a Spoleto perdura la crisi del gruppo dirigente, a Terni il nuovo segretario cittadino Monti fa fuori i renziani doc, a Perugia grandi manovre per riconfermare il segretario cittadino Jacopetti, con un’inedita alleanza tra segretario regionale ed uomini della minoranza Pd contro i “bocciani”. La cosa comincia ad essere percepita anche fuori dei confini regionali. In una intervista a “il Fatto quotidiano” Massimo Cacciari prende di petto Renzi, le sue politiche e constata la fragilità dei gruppi dirigenti locali. Cita di striscio l’Umbria come esempio di assenza di una élite locale de- gna di tale nome. Apriti cielo! Sulla rete si sca- tenano contro il filosofo veneziano, reo di lesa maestà, i lodatori del tempo presente e rifà ca- polino lo stereotipo dell’isola felice dove non ci sono fenomeni di malgoverno e di corruzione. Puntualmente la Guardia di finanza indaga sulla Gesenu e i 5 stelle mettono sotto osservazione il viaggio americano, per il centenario di Burri, di Catiuscia Marini. Per dirla con Izzo “Casino totale”, una situa- zione di difficoltà diffusa, non lenita dalle pre- visioni ottimistiche della governatrice sulla ri- presa economica in Umbria che, come nel resto della penisola, appare incerta ed esitante. Con- temporaneamente in occasione del dibattito sulla riforma costituzionale un senatore del Pd presenta un ordine del giorno, approvato a mag- gioranza, in cui governo e parlamento assumono l’impegno di ridurre le attuali venti regioni a 12-14. E’ il terzo tempo della riforma delle isti- tuzioni (prima le province, poi lo stato, infine le regioni). Nessun rumore dall’Umbria, tranne la “vibrata” protesta di Stefano Vinti, ex assessore regionale e commentatore sportivo, che allo stato attuale delle cose conta meno del due di coppe quando briscola è bastoni. Per il tonitruante ex rifon- datore la proposta ridurrebbe alla marginalità l’Umbria. Il fatto è che la regione è ormai da anni marginale, conta sempre meno nel dibat- tito nazionale, appiattita come è sull’ammini- strazione dell’esistente. Non se n’è accorto solo Vinti. Né ce la si può cavare con la tradizione storica, rispolverando semmai la VI regio di età imperiale. L’Umbria, insomma, è stata inventata dalla po- litica e muore nel momento in cui la politica non c’è più, ridotta com’è alla gestione ordinaria all’interno delle cornici determinate dal governo nazionale e dall’Unione europea. Chi l’ha capito è Giampiero Bocci che da mesi porta avanti l’idea - tutta interna all’ipotesi prin- cipale di riduzione delle regioni - di un diverso riparto: non l’aggregazione alla Toscana, ma una regione che comprenda alto Lazio, le pro- vince di Siena e Arezzo, Umbria e Marche. Nei prossimi mesi le proposte fioccheranno. Alcune già presentate avanzano l’idea, in ragione del- l’abolizione delle province, di un aumento piut- tosto che una diminuzione delle unità regionali (da 20 a 31), recuperando un criterio di dipar- timentalizzazione diffusa dello stato. Ma indi- pendentemente da quale soluzione si sceglierà la questione che si pone è a che cosa dovrebbero servire le regioni, sia macro che micro, se deb- bano essere enti autarchici locali o soggetti di programmazione, unità autonome o sottode- terminate allo stato centrale e, in questo quadro, quale sia l’opzione migliore. Come si diceva una volta un ladro è un ladro, sia rubi una gal- lina o milioni. Una sinistra degna di questo nome dovrebbe assumere questo dibattito in prima persona, svilupparlo e motivarlo in un’ot- tica di aumento dell’autonomia e della parteci- pazione. Peccato che la sinistra non ci sia. mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto” commenti La vendetta di Giovannino Eterogenesi dei fini Svolta a destra Convention a Monteripido Pendolare Il dodicesimo consigliere Rifiuti e veleni Perugia-Tel Aviv 2 politica Diritti e rovesci 3 di Stefania Piacentini Lenta eutanasia di Massimo Panella Una piccola rivoluzione 4 di Luigino Ciotti Le istituzioni battano un colpo di Moreno Sdringola Compleanno amaro 5 di Miss Jane Marple Da soci a dipendenti 6 a cura di Stefano De Cenzo Scurdammoce o’ passato 7 di Matteo Aiani A tutto gas 8 di Paolo Lupattelli Un articolo al costo di una colazione al bar di Ulderico Sbarra Sabotaggio 9 di Jacopo Manna società Dismettere e delocalizzare di Anna Rita Guarducci Una chance per le aree interne 10 di Girolamo Ferrante Mense, cui prodest 11 di Patrizia Tabacchini Il medioevo prossimo venturo 12 di Elena Castellari cultura Per uno stato foolish e hungry 13 di Roberto Monicchia Un calice mezzo pieno 14 di Enrico Sciamanna Il senso della storia di Marco Venanzi Misericordia! Arriva il Giubileo 15 di Salvatore Lo Leggio Libri e idee 16 ottobre 2015 - Anno XX - numero 10 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 copia omaggio Diversamente onesto Ignazio Marino in una vignetta di Altan. Non riuscendo a farlo fuori per inefficacia dell’azione amministrativa o per impre- videnza politica, il Pd - il partito con il maggior numero di indagati in mafia capitale - ha scelto la strada della macchina del fango. Sulla base di una interrogazione di Fratelli d’Italia e del Movimento 5 stelle sulle spese di rappresentanza e sulle irrego- larità di rendicontazione - 19.670 euro in due anni - il Pd ha fatto fuori il sindaco di Roma. La que- stione, tuttavia, si sta rivelando un boomerang. Le spese di rappresentanza di Renzi, quando era al vertice della Provincia e del Comune di Firenze, sono molto più corpose. Lo statista di Pontassieve avrebbe speso in 5 anni di presidenza provinciale circa 20 milioni di euro. In realtà il torto di Marino è stata la presunzione di poter affrontare d’un sol colpo tutti i poteri di Roma: dai dirigenti dell’Ama, ai signori dei rifiuti, ai palazzinari, al Vaticano, ai loro padrini politici. Era scritto nel cielo che ci rimettesse le penne. La reazione è stata un piccolo moto di popolo. Come sempre la vittima suscita simpatia. Tale situazione suggerisce, tuttavia, qualche considerazione meno congiunturale. La prima è che il Pd che non ha classi dirigenti lo- cali e difficilmente potrà attingere al cosiddetto bacino della “società civile”. Nessun professionista di rango, docente universitario di grido, grand commis dello Stato sarà disponibile ad entrare, visti i fatti, nel tritacarne della politica locale. Quindi ci attendono sindaci e presidenti di regione scelti tra politici di quarta serie o tra vecchie glorie già tramontate (vedi Bassolino, De Luca, Fassino). La seconda è che per vincere le comunali della pri- mavera del 2016 il Pd deve trovare compagni di strada, alleati sociali e politici. Lo stellone di Renzi non basta. Del resto lo stesso Pd è un insieme di comitati di affari con frequentazioni non sempre raccomandabili. La terza è che per far fuori un sindaco o un ammi- nistratore locale basta montare una campagna sulle spese di rappresentanza, mobilitando i media amici, indipendentemente dalla consistenza e legittimità delle cifre. A questo punto sono tutti sotto indagine e sottoponibili a verifica della Corte dei conti. Nasce, infine, spontaneo un interrogativo. In Um- bria a quanto ammontano le spese di rappresen- tanza degli amministratori locali? E’, a questo punto, una domanda legittima per capire le dina- miche della politica, i criteri che guidano i media, l’entità del fenomeno. Non abbiamo nessuna in- tenzione di costruire campagne sul tema, non è nostra abitudine maneggiare materiali maleodo- ranti, ma, non avendo padroni e padrini, siamo disponibili a verificare informazioni attendibili e documentate. È A La sinistra introvabile

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fine settembre, qualche giorno dopol’accordo a livello nazionale con i ren-ziani sulla riforma costituzionale, gli

esponenti della minoranza del Pd umbro hannodato vita alla festa della sinistra a Casa del Dia-volo. E’ stata l’occasione per “sfogarsi”. Il Pd inItalia e in Umbria non va bene, è sempre piùun partito che vira a destra, appiattito su Renzi.Lo hanno detto e confermato tutti i parteci-panti: dall’ex segretario regionale Bottini a PieroMignini ad altri esponenti di spicco di una sta-gione politica ormai tramontata. Analisi con-divisibili, ma al netto delle domande: voi doveeravate? Non avete nessuna responsabilità diquesta mutazione? Quello che lascia allibiti èl’esito finale: “Il Pd è la nostra casa, non lo la-sciamo a Renzi e i suoi”. Vero è che il Pd comeforma organizzata è sempre più evanescente eche quindi parlare di scissioni di una cosa chenon esiste è paradossale. Ma, a parte la fedeltào meno alla “ditta”, si potrebbe costruire unosforzo programmatico, definire un percorso or-ganizzativo sulla cui base definire forme di re-sistenza e di attività efficaci. Niente: non si vaoltre le declaratorie. E’ il segno di un’impotenzareale e la presa d’atto che il Pd che non è nep-pure un luogo di battaglia politica. Non è andata meglio, qualche giorno dopo, aGiacomo Leonelli e alla sua Stazione Pd, unakermesse tenutasi nei locali della Rocca Paolina.Ha riunito solo un po’ di segretari di sezione egli assessori regionali. Personale politico di me-stiere. Si è parlato di tutto e di niente, conpoche persone (i partecipanti dichiarati erano300). Notata l’assenza di tutti gli uomini diBocci, vero king maker del partito umbro. Pocala convinzione e incerte le prospettive. Insommadalla stazione non è partito nessun treno. In-tanto ad Orvieto non si sta facendo il tessera-

mento, a Spoleto perdura la crisi del gruppodirigente, a Terni il nuovo segretario cittadinoMonti fa fuori i renziani doc, a Perugia grandimanovre per riconfermare il segretario cittadinoJacopetti, con un’inedita alleanza tra segretarioregionale ed uomini della minoranza Pd controi “bocciani”. La cosa comincia ad essere percepita anche fuoridei confini regionali. In una intervista a “il Fattoquotidiano” Massimo Cacciari prende di pettoRenzi, le sue politiche e constata la fragilità deigruppi dirigenti locali. Cita di striscio l’Umbriacome esempio di assenza di una élite locale de-gna di tale nome. Apriti cielo! Sulla rete si sca-tenano contro il filosofo veneziano, reo di lesamaestà, i lodatori del tempo presente e rifà ca-polino lo stereotipo dell’isola felice dove non cisono fenomeni di malgoverno e di corruzione.Puntualmente la Guardia di finanza indaga sullaGesenu e i 5 stelle mettono sotto osservazioneil viaggio americano, per il centenario di Burri,di Catiuscia Marini.Per dirla con Izzo “Casino totale”, una situa-zione di difficoltà diffusa, non lenita dalle pre-visioni ottimistiche della governatrice sulla ri-presa economica in Umbria che, come nel restodella penisola, appare incerta ed esitante. Con-temporaneamente in occasione del dibattitosulla riforma costituzionale un senatore del Pdpresenta un ordine del giorno, approvato a mag-gioranza, in cui governo e parlamento assumonol’impegno di ridurre le attuali venti regioni a12-14. E’ il terzo tempo della riforma delle isti-tuzioni (prima le province, poi lo stato, infinele regioni). Nessun rumore dall’Umbria, tranne la “vibrata”protesta di Stefano Vinti, ex assessore regionalee commentatore sportivo, che allo stato attualedelle cose conta meno del due di coppe quando

briscola è bastoni. Per il tonitruante ex rifon-datore la proposta ridurrebbe alla marginalitàl’Umbria. Il fatto è che la regione è ormai daanni marginale, conta sempre meno nel dibat-tito nazionale, appiattita come è sull’ammini-strazione dell’esistente. Non se n’è accorto soloVinti. Né ce la si può cavare con la tradizionestorica, rispolverando semmai la VI regio di etàimperiale. L’Umbria, insomma, è stata inventata dalla po-litica e muore nel momento in cui la politicanon c’è più, ridotta com’è alla gestione ordinariaall’interno delle cornici determinate dal governonazionale e dall’Unione europea. Chi l’ha capito è Giampiero Bocci che da mesiporta avanti l’idea - tutta interna all’ipotesi prin-cipale di riduzione delle regioni - di un diversoriparto: non l’aggregazione alla Toscana, mauna regione che comprenda alto Lazio, le pro-vince di Siena e Arezzo, Umbria e Marche. Neiprossimi mesi le proposte fioccheranno. Alcunegià presentate avanzano l’idea, in ragione del-l’abolizione delle province, di un aumento piut-tosto che una diminuzione delle unità regionali(da 20 a 31), recuperando un criterio di dipar-timentalizzazione diffusa dello stato. Ma indi-pendentemente da quale soluzione si sceglieràla questione che si pone è a che cosa dovrebberoservire le regioni, sia macro che micro, se deb-bano essere enti autarchici locali o soggetti diprogrammazione, unità autonome o sottode-terminate allo stato centrale e, in questo quadro,quale sia l’opzione migliore. Come si dicevauna volta un ladro è un ladro, sia rubi una gal-lina o milioni. Una sinistra degna di questonome dovrebbe assumere questo dibattito inprima persona, svilupparlo e motivarlo in un’ot-tica di aumento dell’autonomia e della parteci-pazione. Peccato che la sinistra non ci sia.

mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto”

commentiLa vendetta di GiovanninoEterogenesi dei finiSvolta a destraConvention a MonteripidoPendolare

Il dodicesimo consigliere

Rifiuti e veleni

Perugia-Tel Aviv 2

politicaDiritti e rovesci 3di Stefania Piacentini

Lenta eutanasia di Massimo Panella

Una piccola rivoluzione 4di Luigino Ciotti

Le istituzionibattano un colpodi Moreno Sdringola

Compleanno amaro 5di Miss Jane Marple

Da soci a dipendenti 6a cura di Stefano De Cenzo

Scurdammoce o’ passato 7di Matteo Aiani

A tutto gas 8di Paolo Lupattelli

Un articolo al costodi una colazione al bar di Ulderico Sbarra

Sabotaggio 9di Jacopo Manna

societàDismettere e delocalizzare di Anna Rita Guarducci

Una chanceper le aree interne 10di Girolamo Ferrante

Mense, cui prodest 11di Patrizia Tabacchini

Il medioevoprossimo venturo 12di Elena Castellari

culturaPer uno stato foolishe hungry 13di Roberto Monicchia

Un calice mezzo pieno 14di Enrico Sciamanna

Il senso della storia di Marco Venanzi

Misericordia!Arriva il Giubileo 15di Salvatore Lo Leggio

Libri e idee 16

ottobre 2015 - Anno XX - numero 10 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10copia omaggio

Diversamenteonesto

Ignazio Marino in una vignetta di Altan.Non riuscendo a farlo fuori per inefficaciadell’azione amministrativa o per impre-

videnza politica, il Pd - il partito con il maggiornumero di indagati in mafia capitale - ha scelto lastrada della macchina del fango. Sulla base di unainterrogazione di Fratelli d’Italia e del Movimento5 stelle sulle spese di rappresentanza e sulle irrego-larità di rendicontazione - 19.670 euro in due anni- il Pd ha fatto fuori il sindaco di Roma. La que-stione, tuttavia, si sta rivelando un boomerang. Lespese di rappresentanza di Renzi, quando era alvertice della Provincia e del Comune di Firenze,sono molto più corpose. Lo statista di Pontassieveavrebbe speso in 5 anni di presidenza provincialecirca 20 milioni di euro. In realtà il torto di Marino è stata la presunzionedi poter affrontare d’un sol colpo tutti i poteri diRoma: dai dirigenti dell’Ama, ai signori dei rifiuti,ai palazzinari, al Vaticano, ai loro padrini politici.Era scritto nel cielo che ci rimettesse le penne. Lareazione è stata un piccolo moto di popolo. Comesempre la vittima suscita simpatia. Tale situazionesuggerisce, tuttavia, qualche considerazione menocongiunturale.La prima è che il Pd che non ha classi dirigenti lo-cali e difficilmente potrà attingere al cosiddettobacino della “società civile”. Nessun professionistadi rango, docente universitario di grido, grandcommis dello Stato sarà disponibile ad entrare,visti i fatti, nel tritacarne della politica locale.Quindi ci attendono sindaci e presidenti di regionescelti tra politici di quarta serie o tra vecchie gloriegià tramontate (vedi Bassolino, De Luca, Fassino).La seconda è che per vincere le comunali della pri-mavera del 2016 il Pd deve trovare compagni distrada, alleati sociali e politici. Lo stellone di Renzinon basta. Del resto lo stesso Pd è un insieme dicomitati di affari con frequentazioni non sempreraccomandabili.La terza è che per far fuori un sindaco o un ammi-nistratore locale basta montare una campagna sullespese di rappresentanza, mobilitando i media amici,indipendentemente dalla consistenza e legittimitàdelle cifre. A questo punto sono tutti sotto indaginee sottoponibili a verifica della Corte dei conti. Nasce, infine, spontaneo un interrogativo. In Um-bria a quanto ammontano le spese di rappresen-tanza degli amministratori locali? E’, a questopunto, una domanda legittima per capire le dina-miche della politica, i criteri che guidano i media,l’entità del fenomeno. Non abbiamo nessuna in-tenzione di costruire campagne sul tema, non ènostra abitudine maneggiare materiali maleodo-ranti, ma, non avendo padroni e padrini, siamodisponibili a verificare informazioni attendibili edocumentate.

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Il dodicesimoconsigliere

on si finisce mai di stupirsi. Dunque. L’ex asses-sore Casciari ricorre al Tar dell’Umbria: lei, primadei non eletti, in realtà sarebbe il dodicesimo

consigliere. Il quorum, infatti, andrebbe calcolato nonsui voti di lista, ma sull’insieme dei voti espressi, ovveroquelli della presidente, maggiori dei voti conseguiti dalleliste di partito. La lista “Umbria più uguale” non avrebbecosì raggiunto il quorum del 2,5% necessario per l’elezionedi un proprio candidato - superato lo ricordiamo di soli256 voti - e quindi Biancarelli dovrebbe lasciarle loscranno. Il Tar le da ragione: Carla Casciari in consiglio eGiuseppe Biancarelli a casa. Le convocazioni vengono cosìindirizzate all’ex consigliera dipietrista, ma il Consigliodi stato, a cui il consigliere eugubino si è appellato, ha so-speso la sentenza umbra e deciderà il 5 novembre. IntantoBiancarelli resta in carica. Contrordine compagni: la con-vocazione va indirizzata non alla Casciari ma al suo anta-gonista. La presidente del consiglio esprime solidarietà aentrambi i contendenti e commenta “le sentenze non sicommentano si applicano”; già se si sapesse quali sonoquelle giuste. Insomma una cosa a metà tra la commediadegli equivoci e la pochade. Certo è che la legge elettoraleumbra oltre ad avere tutti i difetti delle leggi elettoralidell’ultimo periodo (scarsa rappresentatività, strapoteredi maggioranze ed esecutivi, impianto ultramaggioritario,assenza di contrappesi, ecc.) è pure scritta con i piedi - dapersone pronte a tutto e preparate a niente - ed è destinataa produrre ulteriori contenziosi. Il 4 novembre, un giornoprima delle decisioni del Consiglio di stato sulla querelleBiancarelli-Casciari, il Tar umbro dovrebbe pronunciarsisul ricorso presentato da partiti e associazioni contro lalegge elettorale. La speranza è che ci sia una sentenza chemetta in evidenza come i percorsi della legge siano incontraddizione con quelli che sono stati i pronunciamentidella Corte costituzionale e che la normativa elettoralevenga rifatta o, quantomeno, chiarita e riscritta. Cosìcome è non va, non regge neppure le prime prove, contutto quello che ciò comporta.

Rifiuti e velenia gestione dei rifiuti in Umbria non funziona. Cisono volute sette denunce per avviare l’indaginedel Corpo forestale per ordine della Direzione

antimafia di Perugia. Dopo anni passati ad abbaiare allaluna qualcosa si è mosso. Ora bisogna aspettare la con-clusione delle indagini ma è inutile negare la soddisfazionedei comitati e di chi, come questo giornale, ha sostenutola loro battaglia da decenni. “Sette paia di scarpe ho consumato/ di tutto ferro perispezionare/ sette penne di ferro ho logorate/ per raccon-tare tanto inquinare/ sette esposti denuncia ho inoltrato/nel vedere il mondo inquinare/ ma la casta è sorda allegrida disperate/ e il gallo canta ma non la può svegliare/mò tocca a l’antimafia scoprì il malaffare”. La parafrasidei versi di Carducci è di un simpatico animatore di unodei tanti comitati. Hanno fatto di tutto per sbloccare lasituazione, sopportato esalazioni maleodoranti e osservatole acque del torrente Mussino, una volta limpide e potabili,diventare nere e piene di veleni. Il tutto nel silenzio ipocrita di amministratori locali e re-gionali che hanno fatto come le tre scimmiette simbolodell’omertà e dell’indifferenza. L’indagine riguarda Pietramelina, gestita da Gesenu e Tsaspa, la Trasimeno servizi ambienti, partecipata da Gesenu.Sedici dirigenti indagati di cui otto per associazione a de-linquere. Grottesco il commento dei sindaci lacustri: “Fulmine aciel sereno”; imbarazzante il silenzio dell’assessore all’am-biente della Regione Umbria, quella Regione che da ventianni senza vergogna alcuna, vara Piani dei rifiuti ridicolibocciati dalla realtà e dai cittadini. La situazione è grave e richiede decisioni drastiche senzaaspettare i risultati delle indagini. La prima scelta da fareè quella di ripubblicizzare tutte le 36 società operanti inUmbria. Liberarsi dei soci ingombranti come Manlio Cer-roni, socio di maggioranza di Gesenu, protagonista dellecronache giudiziarie, o degli altri colossi presenti nel ter-nano. Creare un consorzio di comuni umbri che gestiscadirettamente il servizio scegliendo l’opzione Rifiuti Zero.Ci guadagnerebbero la salute del territorio e il portafogliodegli umbri.

La vendetta di GiovanninoNel febbraio scorso il Consiglio di stato ha scagionato dalle accuseGiovannino Antonini, presidente della Crediti&Servizi con la qualecontrollava la Banca Popolare di Spoleto: nessuna irregolarità nellagestione della banca. Da dieci giorni, invece, la Procura di Spoletoha iscritto nel registro degli indagati il Governatore di BankitaliaIgnazio Visco e i tre commissari nominati a suo tempo per sostituireil board guidato da Antonini. Le accuse: abuso di ufficio, corruzionee truffa. La vendetta di Giovannino Montezuma.

Eterogenesi dei finiL’ineffabile Giacomo Leonelli ha spiegato che l’Umbria non parte-cipa al ricorso di 10 regioni contro le trivellazioni per il petrolio per-ché non ha accessi al mare. Una volta era una sfortuna, oggi si ri-vela una manna. Fosse mai che toccasse mettersi contro il governoe il leader maximo Renzi? Insomma un limite diviene un vantaggio.Si chiama eterogenesi dei fini.

Svolta a destraE’ deciso: il cippo commemorativo della marcia su Roma, che nel-l’ottobre 1922 partì da Perugia, posto ai margini della strada deiLoggi a Ponte san Giovanni sarà “posizionato al centro della rota-toria in fase di costruzione, con la freccia rivolta verso Roma, illu-minandolo anche come si conviene a monumenti storici”. La giuntae i suoi sodali negano, però, il significato politico della scelta, ac-campando motivazioni di spesa, sicurezza stradale, valore storico-artistico. Che Perugia fosse in mano a una destra non priva di no-stalgie fasciste, lo sapevamo. Ignoravamo però che costoroavessero un talento comico.

Convention a MonteripidoIl sindaco Romizi, per sedare le tensioni nella maggioranza, ha riu-nito assessori e consiglieri a Monteripido, luogo particolare nel-l’immaginario dei perugini. Quando al tavolo di gioco qualcuno mo-strava una particolare ed abnorme fortuna la domanda di rito era:“Ma sei passato a Monteripido?”. Sarà questo il motivo che spiegala scelta della location?

Pendolare673,94 euro. Tanto il Comune di Perugia ha riconosciuto al consi-gliere forzista Carmine Camicia per “spese di viaggio” sostenutetra ottobre 2014 e giugno 2015. Di viaggi e trasferte però non cen’è. C’è solo un viavai da casa a Palazzo dei Priori. Meno di 10chilometri. Troppi da fare a piedi, ma a dorso di mulo?

Onde casalingheIl Comune di Perugia autorizza la messa in funzione di una antennaper la telefonia a poche decine di metri dal Silvestrini. I residentisi preoccupano per le onde elettromagnetiche senza fidarsi troppodei rilievi tecnici degli uffici comunali. Esagerati, in fondo si trattadi emissioni a km zero. L’antenna fa danni? Il Silvestrini ripara.

Scambi culturaliGrande impegno per celebrare Burri a New York. Una settimana fa-ticosa per la folta delegazione di tifernati con la governatrice Marini,il sindaco Bacchetta e i loro cari. In rete entusiastici selfie tipoMorra è a New York, ciao mamma. Dopo la gita sociale nellaGrande Mela qualcuno ha proposto di realizzare la Grande Casta-gna, invitando tutti a Morra. Tutti gli amici.

Utopie costose e inutiliLe gazzette locali hanno dato notizia della chiusura dell’edizione2015 della Fiera delle Utopie concrete, manifestazione pagata daRegione e Comune di Città di Castello. Notizia preziosa anche per-ché nessuno si era accorto dell’apertura

il piccasorci

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - é un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. La ru-brica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e, ovenecessario, di “rosicare il cacio”.

il fatto

Perugia-Tel Aviv

2comme n t iottobre 2015

LN

ooperazione fra l’Universitàdi Perugia e istituzioni scien-tifiche di Israele, questo il ti-

tolo di un incontro pubblico tenutosinella mattina di martedì 13 ottobrenell’Aula magna di Ingegneria, allapresenza del rettore, del vicesindaco,dell’Ambasciata di Israele, nonchédella presidente della Associazione Ita-lia-Israele. Incontro pubblico che talenon si è rivelato. Infatti, ad alcunicittadini, una decina di persone, fracui studenti dell’università e innocuipensionati, è stato proibito l’accessoda uno spropositato intimidatoriostuolo di forze dell’ordine (Digos, ca-rabinieri, Ps con mezzi blindati) mo-bilitato e schierato ai cancelli della fa-coltà, temendo chissà quale Intifadaperugina, per un evento, fra l’altro,assai poco pubblicizzato e rimastosconosciuto ai più. La dirigente dellaquestura, in evidente imbarazzo, haper due ore opposto diverse motiva-zioni: la prima è che occorreva un in-vito, poi che non si potevano fare en-trare “persone non identificate”; madopo la tranquilla esibizione di do-

cumenti d’identità, è spuntata - im-perscrutabile - la decisione del que-store ed infine la volontà del rettoredi impedire l’accesso. Sarebbe assaigrave se, come è apparso all’inizio,l’agibilità dell’Aula magna di una uni-versità italiana (non di Tel Aviv) fossea discrezione della Polizia; assoluta-mente inaccettabile è che tali com-portamenti siano stati poi sanciti dalleautorità civili del capoluogo, in primisil rettore, ma anche il vicesindaco,per l’occasione, quanto meno subal-terno, se non succube. L’ordine pub-blico era forse messo in pericolo dadieci comuni cittadini? Nessuno diquesti aveva indosso alcunché di “mi-naccioso”, né caschi, né sbarre, nébandiere, né striscioni, né cartelli ocartellini... Sarebbe il caso che il ret-tore e vicesindaco fornissero una qual-che spiegazione del perché sia statonegato il diritto di accesso ad unospazio pubblico che per definizionedovrebbe essere aperto non solo aglistudenti (con le tasse che pagano perfrequentarla!) ma alla cittadinanza in-tera. Si è forse voluto far vedere agli

ospiti israeliani che anche qui da noi- come a Tel Aviv e Gerusalemme -non si scherza? Che sarebbe stato di-sdicevole che qualcuno avesse osatofare solo qualche domanda sul sensodi questo accordo di cooperazione,mentre Israele continua la sua inac-cettabile politica coloniale, violenta ediscriminatoria verso i palestinesi diIsraele e dei territorioccupati? Par-rebbe proprio di sì. Resta il fatto chequanto accaduto a Perugia, supposta“città della pace”, ha dell’inaccettabilee triste, non solo per l’azione repres-siva, ma anche per l’indifferenza chemostra l’istituzione universitaria allaCampagna mondiale di boicottaggioculturale che coinvolge ormai mol-tissime entità accademiche in tutti icontinenti. Si sappia che in moltipaesi, occidentali e non, vengono can-cellati incontri e disdetti accordi conuniversità israeliane. Gli ultimiesempi sono quelli delle università delSud Africa, paese molto amico diIsraele ai tempi dell’Apartheid, che siuniscono al boicottaggio. Aspettiamorisposte.

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Lo stato dell’arteDi recente il nuovo assessore alla sanità umbraBarberini ha dichiarato che nei primi due mesidalla sua nomina, si è incontrato una decina divolte coi funzionari del Ministero delle finanze emai con quelli della sanità. La “candida” dichia-razione non fa che confermare quel che succededa decenni: la politica sanitaria in Italia la fanno iministri delle finanze e non quello della sanità.Di fatto quindi la programmazione - demandataalle regioni fin dalla legge 833/1978, che istituì ilServizio sanitario nazionale - e la gestione dei ser-vizi, di competenza delle Asl, devono “fare iconti” con continui ridimensionamenti del Fondosanitario nazionale. La conseguenza si esprime intagli per lo più lineari: ai servizi, alle prestazioni,alle tariffe pagate ai privati convenzionati e ai for-nitori di servizi esternalizzati. Il tutto accompa-gnato dal blocco dei contratti e delle assunzionidel personale che continua a scontare gli effettidelle numerose e reiterate misure disposte dallemanovre degli ultimi anni: blocco del turn overper le regioni sottoposte a “piani di rientro”, conrestrizioni autonomamente disposte anche dallealtre regioni, blocco delle procedure contrattuali,congelamento dei livelli retributivi, contenimentodel trattamento accessorio. Strategie messe in attoda tempo dalle aziende sanitarie, con risultatimolto modesti in termini di efficienza (i risparmilegati alle esternalizzazioni sono spesso più teoriciche reali), con un progressivo indebolimento dellaqualità delle risorse professionali disponibili (cre-scente impiego di personale non strutturato e nonadeguatamente formato/aggiornato, anche nellearee più critiche) e con un pericoloso aumentodell’esposizione del settore al condizionamentodella criminalità organizzata e dell’illegalità. Afronte di questa situazione, i sindacati sono pra-ticamente estromessi dai processi decisionali,molte materie essendo diventate argomento disola informativa alle organizzazioni da parte delleaziende, e faticano ad ottenere tavoli di contrat-tazione, anche sulle questioni in materia di orga-nizzazione del lavoro.Produttori e finanza non sono estranei ai processi,anzi, la questione è che la sanità pubblica e con-venzionata, e il loro indotto, rendono ragione,secondo stime documentate, dal 12 al 21% delPil; basti pensare ai proventi dei produttori dialta tecnologia sanitaria, in continuo “ammoder-namento”. La ricaduta degli interessi in gioco siriverbera necessariamente in un sistema complessoche deve tentare di tenersi in equilibrio tra diritti,bisogni da soddisfare, teoricamente infiniti, senon interpretati come reali, e le risorse a disposi-zione teoricamente “finite”. Anche i naturali rappresentanti degli interessidegli utenti/pazienti, costituitisi in associazioni,sempre meno entrano nel merito delle questionistrutturali e di processo e sempre più adottano“la logica del consumatore”, quando non quellada lobby - spesso i soci fondatori sono medicispecialisti - interessati solo al “prodotto”, alla pre-stazione e non ai processi di governo che caratte-rizzano e connotano un pubblico servizio. Anchequando chiamati a “partecipare” alle scelte neiluoghi istituzionali, troppo spesso si prestano adoperazione di restyling di immagine, quando ad-dirittura non si sostituiscono al servizio pubblico,nella fornitura di servizi ausiliari, a prezzo con-correnziale rispetto agli abituali fornitori autoriz-zati (vedi servizi di trasporto assistito e accompa-

gnamento).Si registra però da tempo una contraddizione trale rappresentazioni strumentali sulla poca “soste-nibilità” del sistema, la percezione diffusa di unosfascio generalizzato e l’evidenza che il nostro Ssn,sulla base di parametri economico finanziari, ècomunque riconosciuto tra i migliori del mondoda svariate agenzie nazionali e internazionali in-dipendenti accreditate, anche per la qualità deirisultati degli indicatori di salute; pur nelle suedisomogeneità territoriali, che costringono tanticittadini al defatigante “turismo sanitario”: van-taggioso per le regioni ospitanti, rimborsate a ta-riffa, “sconveniente” per quelle di provenienzadell’assistito, che provvedono ai pagamenti a pièdi lista, senza possibilità di controllo. Riconosci-menti di qualità di livello internazionale riguar-dano anche il tipo di organizzazione che questopaese s’è dato, delle Asl e dei centri decisionali,seppur ridimensionati nel tempo, a partire dallacapillarità della medicina generale e della rete deiservizi territoriali; non a caso esperti nostrani sonostati scelti come consulenti per la riforma diObama.

La dinamica della spesa sanitariaI dati riportati nel documento a cura dei Servizidel bilancio del Senato della Camera dei deputati,triennio 2012-2014, confermano il ruolo svoltodal settore sanitario al processo di risanamentodella finanza pubblica. Anche per il 2014, infatti,la spesa sanitaria continua a contenere il propriopeso su quella pubblica primaria (ovvero la spesacomplessiva al netto degli interessi sul debito pub-blico): i dati provvisori relativi al 2014 indicanouna crescita della spesa sanitaria dello 0,9%, afronte di un aumento della spesa primaria del1,2%. È solo il caso di ricordare che negli anniprecedenti la spesa sanitaria si era addirittura ri-dotta in valore assoluto (rispettivamente dell’1,6%del 2012 e dello 0,3% nel 2013), tanto che at-tualmente il Ssn spende ancora meno che nel2010: 111 miliardi nel 2014 contro i 112,5 del2010.Anche le modalità di finanziamento del sistema,da sempre sub iudice a seconda dei momenti sto-rici e delle “scuole di pensiero”, hanno subitocambiamenti. In passato pochi si azzardavanoapertamente a mettere in discussione l’universa-lismo del sistema; esercitando l’arte nostrana del-l’ipocrisia linguistica, ipotizzavano piuttosto un“universalismo selettivo” (sic!). Oggi, secondoNerina Dirindin, siamo ormai giunti alla fasedell’attacco all’universalismo che, “in assenza di

una rapida inversione di tendenza, porterà il no-stro paese a non poter più contare - di fatto - suun sistema di protezione universale e globale similea quello che abbiamo conosciuto in questi de-cenni”.“La questione non è però semplicemente di naturaeconomica - come sottolinea Slow medicine -ma riguarda direttamente la salute delle persone,che da un sovra o da un sotto-utilizzo di presta-zioni diagnostiche e di trattamenti farmacologicie chirurgici può ricevere seri danni. In questosenso i media possono giocare un ruolo informa-tivo indispensabile per evidenziare comportamentiinappropriati e pericolosi, che alimentano sprechie producono effetti diseducativi e dannosi per lasalute. Si calcola, per esempio, che almeno la metàdelle raccomandazioni attinenti alla salute for-mulate nei talk show non siano basate su provescientifiche, siano contraddette dalle conoscenzedisponibili o siano state sponsorizzate da portatoridi interesse. D’altra parte, fino a quando ai citta-dini e ai pazienti viene fatto credere che tutte lecure che ricevono sono utili, […] sarà inevitabileche qualsiasi tentativo di riduzione delle presta-zioni (anche di quelle inutili) venga consideratoun attentato alla salute”.Di contro il proliferare dell’offerta privata. Comescrive Marco Geddes: “Basta uno sguardo in unaCoop, in una città delle coste italiane. Campeggiaa tutto campo un’offerta diagnostica, che i fre-quentatori si appresteranno a richiedere al propriomedico, il quale, in molti casi, cedendo all’insi-stenza, incapace o impossibilitato, per ragioni diformazione o di tempo, ad instaurare un dialogocon il proprio assistito, alla fine, anche per gli ef-fetti della medicina difensiva, accoglierà”.“Ogni medico aggiornato e attento alla letteraturascientifica - aggiunge Slow medicine - sa moltobene che una parte consistente delle cure medichenon sono né efficaci, né appropriate. Sono inap-propriate, ad esempio, quasi la metà delle indaginiradiologiche ambulatoriali, il 50% delle angio-plastiche eseguite su pazienti con angina stabile egran parte della artroscopie nei pazienti con artritedel ginocchio; i check-up non servono a nulla ealmeno il 20% dei farmaci sono prescritti per in-dicazioni non validate dalla ricerca. I dati reperibilinella letteratura internazionale relativi a prestazioniinappropriate sono innumerevoli”. Ancora Ged-des: “I confronti internazionali indicano che l’Ita-lia è - in Europa - il Paese con il maggior numerodi risonanze magnetiche e Tac, avendo superato,negli ultimi dati Ocse riferiti al 2013, anche laGrecia”.

Ricercatori, studiosi e addetti ai lavori si sonospesi negli anni, più nello stendere che nel farapplicare linee guida, protocolli diagnostici e per-corsi terapeutici, dovendosi scontrare e con l’ob-solescenza dell’organizzazione, ammantatasi diaziendalismo di maniera, e con la separatezza trai saperi e l’operatività di chi è impegnato sulcampo. Sempre Geddes: “D’altronde è anni che,gufi e professori, nell’ambito di tante sedi e asso-ciazioni […], richiamano l’attenzione dei decisorisu questo problema, sollecitandoli a programmarel’offerta di mezzi diagnostici, incrementare unprocesso qualificato di linee guida, istituire unpercorso più rigoroso sotto il profilo clinico perl’autorizzazione all’immissione nel mercato di di-spositivi diagnostici e terapeutici, finanziare la ri-cerca applicata e indipendente, volta a verificarediffusione ed efficacia di procedure.” L’Italia suquesto, riguardo ai due fondamentali strumentidi diagnostica per immagine come Tac e Rm, hafatto assai poco e non vi è regione “senza peccato”.E’ in questo composito e complesso quadro ge-nerale che si colloca la querelle mediatica sul de-creto Lorenzin che riguarda l’appropriatezza delleprestazioni, malfatta quanto mal detta e malgestitadalla quasi totalità degli attori in gioco. Come scrive Nino Cartabellotta: “L’appropria-tezza è un concetto talmente semplice, quantoincomprensibile se a spiegarlo sono politi e medicil’un contro l’altro armati come stiamo vedendo eleggendo in questi giorni. Volendo semplificareal massimo, un intervento sanitario […] è ap-propriato quando i potenziali benefici per il pa-ziente superano i possibili rischi […] La pubbli-cazione di un elenco di 208 indagini diagnosticheper le quali sono stati posti vincoli prescrittivi esanzioni per i medici ‘disubbidienti’, al fine di ri-durre le prescrizioni inappropriate, ha scatenatoun polverone mediatico del tutto ingiustificato.Infatti fare tutti gli esami a tutti i pazienti nellasperanza di identificare tutte le malattie è unastrategia perdente dal punto di vista clinico (lostato di salute della popolazione peggiora), eco-nomico (si genera un immane spreco di risorse) eculturale (determina la progressiva medicalizza-zione della società)”.Se poi si considerano i casi di “overdiagnosi “ eterapia, documentati non solo nella letteratura disettore, ma anche dalla cronaca, i tanti procedi-menti penali in corso a carico di chi ha sottopostopazienti che non ne avevano necessità a terapieinappropriate, persino chirurgiche e invasive, ilquadro si fa completo.Sull’appropriatezza perduta scrive Geddes par-tendo da una storiella: “Una donna si confessadelle proprie maldicenze e, chiedendo al pretel’assoluzione, dichiara di voler rimediare. Il pretele dice di portargli una delle sue galline, spen-nandola nel non breve tragitto dalla casa allachiesa. Una volta ricevuta la gallina il prete le dicedi fare il percorso inverso raccogliendo le penne.«Ma è impossibile», esclama la donna, «È comerimediare alla maldicenza», risponde il prete [...]Il 30% degli interventi sanitari non porta alcunbeneficio ai pazienti? Allora diamo un bel taglioalla spesa sanitaria. Ma la lotta agli sprechi invecedi essere un magic bullet si rivelerà una pistolascarica se non sarà accompagnata da profondetrasformazioni del sistema, che rafforzino la con-tinuità e il coordinamento delle cure, le relazionidi fiducia, il controllo sui provider e l’efficienzadei sistemi informativi”.

3p o l i t i c aottobre 2015

Sanità

Diritti e rovesciStefania Piacentini

Spesa sanitaria e primaria delle amministrazioni pubbliche (milioni di euro)

Fonte: Servizio bilancio Senato e Camera. Doc. LVIII. n.3 Tab. 3.2 - Conto economico delle amministrazioni pubbliche

Spesa sanitaria

% Pil

var. % su annoprecedente

Spesa primaria

% Pil

var. %su anno precedente

Spesa sanitariasu spesa primaria

2012

110.422

6,8

-1,6

671,423

41,6

-

16,4%

2013

110.044

6,8

-0,3

684,031

42,5

1,9

16,1%

2014

111.028

6,9

0,9

692,331

42,8

1,2

16,0%

2015

111,288

6,8

0,2

697.569

42,6

0,8

16,0%

2016

113.372

6,7

1,9

707.210

41,9

1,4

16,0%

2017

115.508

6,7

1,9

715.419

41,2

1,2

16,2%

2018

117.708

6,6

1,9

725.791

40,6

1,4

16,2%

2019

120.084

56

2,0

737.008

40,0

1,5

16,3%

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4p o l i t i c aottobre 2015

ncertezza, confusione e contraddizioni con-tinuano a dominare la riforma delle Province.Gli ultimi sviluppi del processo di riordino

avviato con la legge Delrio cozzano contro gli effettidella legge di stabilità 2015 ed il problema dei bi-lanci delle Province diventa dirimente. La deliberazione n. 17 del maggio 2015 della Cortedei conti mette in evidenza il progressivo definan-ziamento dei bilanci delle Province e la riduzionedei servizi e della spesa per il personale. In partico-lare la Corte parla dell’”annullamento di fatto dellacapacità di programmazione delle province” e delrischio di tenuta dei bilanci”. Infatti la metà circadelle Province, tra le quali le due umbre, non èstata in grado di chiudere i bilanci di previsione2015 e l’altra metà non riuscirà a farlo nel 2016.Cosa succede adesso? La mancata approvazione deibilanci cosa comporta? Entrambe le province umbre denunciano il fattoche la mancata approvazione dei bilanci non sarebbedovuta ad un dissesto finanziario ma ad un semplicedisavanzo: sarebbero quindi allo studio varie misuretecniche che consentirebbero di “limare” il disa-vanzo e dall’altro di utilizzare risorse vincolate, perpotere così predisporre il bilancio 2015. L’esistenzadi un bilancio di previsione allontanerebbe i rischiper stipendi e posti di lavoro e consentirebbe tral’altro alla Provincia di Perugia di procedere allaproroga, anche se soltanto annuale, dei contrattidei precari dei centri per l’impiego (Terni non neha). La mancanza di un bilancio di previsioneinvece produrrebbe effetti immediati su servizi, sti-pendi e personale e renderebbe tra l’altro insoste-nibile un piano di rientro a fronte delle già previstemisure sui bilanci 2016 e 2017. Con il Dl 78/2015sono state adottate misure tecniche che hanno con-sentito a circa una metà delle province di formare ibilanci 2015 ma che hanno anche definito unasorta di “amministrazione controllata”: possonoessere predisposti soltanto i bilanci 2015 e nonquelli pluriennali, ad ulteriore conferma della com-promissione definitiva della capacità di program-mazione degli enti. La questione finanziaria ed iproblemi di bilancio sembrano quindi configurarsicome la leva tecnica per forzare il riordino o co-munque per configurare enti con poche funzioni epoche risorse, ridotti a mega uffici tecnico-ammi-nistrativi a supporto dei comuni, a meno che nonsi voglia credere alla tesi che a guidare le scelte delgoverno siano solo l’ improvvisazione e la contin-genza. Certo che a leggere l’art. 7 comma 9-quinquies delDl 78/2015 verrebbe da pensare proprio a questo,considerata la paradossalità della previsione che le

regioni che non avessero ancora adottato le leggi diriordino entro il 31 di ottobre sono tenute a versarealle province le somme per i servizi non più propri:come a dire, non fa niente se non avete applicatola Delrio, potete continuare a farlo, a lasciare tuttocosì come è, purché paghiate alle province le spese!Il Dl 78/2015 ha poi ripensato, per così dire, ledecisioni assunte per le polizie provinciali, che dopotanti travagli approderebbe finalmente ai comunicon funzioni di polizia municipale, azzerando dicolpo tutte le funzioni di vigilanza del territorio inmateria ambientale ed ittico-venatoria, rifiuti e in-quinamento. In sede di conversione del decreto ilgoverno ha poi nuovamente ripensato la questioneed ha deciso che solo dopo che le stesse province ele regioni avranno definito i propri contingenti divigilanza sulle funzioni di competenza, gli eventualirimanenti addetti dei corpi di polizia delle ex pro-vince dovranno essere trasferiti, entro il 31 ottobre2015, presso i comuni. In Umbria tali previsionisono rimaste sulla carta e ad oggi nessuna delle dueprovince ha definito i propri nuclei di vigilanza, nétanto meno la Regione ha provveduto a riallocarele funzioni di polizia amministrativa locale: si contasul fabbisogno dei comuni umbri i quali a lorovolta chiedono sostegni finanziari e normativi emettono a disposizione circa 60 posti su un numerocomplessivo di circa 130 unità. Ma i tempi sonostrettissimi: il 31 ottobre è il termine entro il qualele province inseriscono il personale soprannume-rario negli elenchi del Portale “Mobilità.gov”, lapiattaforma che deve gestire l’incrocio domanda-offerta del personale delle province in cerca di unposto di lavoro. Si lavora quindi ad una prorogadel termine e all’adozione di misure specifiche peril personale delle polizie, tali da garantire una ge-stione separata del loro ipotetico percorso di ricol-locazione. L’altro tema scottante riguarda il perso-nale ex Anas, circa 135 lavoratori, cui è affidata lagestione delle strade regionali: in capo alle provinceè rimasta la competenza in materia e la Regione fi-nanzia i lavori e la gestione della propria rete viariama non il personale, il cui costo è a carico deibilanci provinciali. Ma le sofferenze di bilancio e ilimiti per il personale non consentono spazi suffi-cienti e di conseguenza le strade regionali rischianodi non essere gestite ed una parte del personale ri-schia la sovrannumerarietà e l’inserimento nel Por-tale “Mobilità.gov”. Allo stato, non risulta nessunainiziativa in merito: la regione continua ad affermareche la copertura della spesa di personale va chiestaal governo ma nel frattempo scorrono i giorni ed il31 ottobre si avvicina. Sempre con il Dl 78/2015 il Governo ha regolato

la fase transitoria dei servizi per l’impiego che, nel-l’attesa della individuazione definitiva di un modelloorganizzativo generale, sono stati finanziati in ma-niera non soddisfacente, a detta delle regioni chenel frattempo devono stipulare specifiche conven-zioni con il Ministero del lavoro per la gestione diquesti servizi. Viene data facoltà alle province distipulare contratti di lavoro a tempo determinatocon scadenza non successiva al 31 dicembre 2016. La Regione Umbria ha garantito la copertura fi-nanziaria di questi servizi e della spesa di personale,sia di quello a tempo indeterminato, circa 140 di-pendenti, che di quello precario, circa 52 unità,per una fase intermedia di due anni ma nell’im-mediato, per questi ultimi quale ente provvederebbealla proroga dei contratti in scadenza? La provinciasenza bilancio di previsione potrebbe farlo? Il tanto atteso decreto sui criteri, le procedure e latempistica della mobilità del personale soprannu-merario, il cosiddetto decreto Madia è stato final-mente pubblicato a fine settembre. Le previsionidel decreto ministeriale non si applicano al perso-nale addetto alle politiche del lavoro ed ai centriper l’impiego, né al personale da collocare a riposoentro il 31 dicembre 2016 (circa 144 unità tra Pe-rugia e Terni), né al personale che viene ricollocatodirettamente, addetto alle funzioni riordinate dallaRegione (circa 241 dipendenti tra le due province). La Regione Umbria, avendo adottato la legge diriordino delle funzioni, sta lavorando alla ricollo-cazione diretta (art. 3 del decreto Madia) del per-sonale provinciale addetto alle funzioni non fon-damentali, assegnati a funzioni che vannodall’ambiente (rifiuti, valutazioni ambientali, risorseidriche) all’energia, dal governo del territorio (con-trollo costruzioni, paesaggistica) alle attività pro-duttive (industria, commercio, artigianato, cave eminiere), dalla caccia e pesca al turismo, alla for-mazione professionale, ai trasporti. Il 21 ottobre a Terni è stato firmato un proto-collo di intesa tra la Regione, le due province ele organizzazioni sindacali (Cgil-Cisl-Uil manon è stato firmato da Cobas e Usb) con ilquale è stata definita la ricollocazione diretta(ai sensi dell’art. 3 del D.M. del 29/09/2015cosidetto “Madia”) di n. 235 unità (158 dipen-denti della Provincia di Perugia e 77 di quelladi Terni) di cui 195 presso la Regione e 40presso altri enti regionali, compreso il sistemasanitario.Restano comunque numerose partite aperte, tantaincertezza di un percorso al buio che sta spazzandovia servizi e posti di lavoro ed i cui esiti finali nonsono ancora tutti prevedibili.

Scioperodei “provinciali”Una piccolarivoluzioneLuigino Ciotti

l riuscito sciopero di 2 ore di venerdì 16ottobre, con relative manifestazioni, 400partecipanti circa a Perugia e un centinaio

a Terni (su 1300 dipendenti complessivi), segnaun salto di qualità, anche se non risolve i pro-blemi, nella lotta dei provinciali contro lo sman-tellamento dei propri enti attuato dalla legge Del-rio e dal decreto Madia.Sia pure in ritardo si è cominciato a prendere co-scienza che il progetto del governo Renzi (non acaso lo slogan più gettonato dei cortei è stato ilvaffa al premier) è lo smantellamento dello statosociale e la conseguente riduzione dell’occupa-zione nei vari comparti, per esternalizzare i servizi,favorendo amici e costruendo il consenso conaltre modalità.L’attacco è complessivo e va dalla scuola alla sa-nità, agli enti locali; gli esuberi-mobilità-licenziamenti nelle province (sono a rischio18.000 dipendenti su 65.000) sono solo lo sfon-damento nell’ente più debole dopo i forti tagli aibilanci (1 miliardo nel 2015, 2 nel 2016, 3 nel2017), il declassamento ad ente di secondo livelloseguito dall’eliminazione tout court contenutanella riforma costituzionale approvata nei giorniscorsi in Senato.E’ una politica scellerata, che ha gravi ripercussionisull’economia umbra, perché i 250 posti a rischiosi aggiungono ad altre 200 vertenze aziendali incorso nella nostra regione con quasi 20.000 lavo-ratori coinvolti; una politica avallata anche dalleorganizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil che hannorinunciato ad una vertenza anzionale, ad iniziativedi lotta unificanti, lasciando i lavoratori alla mercedelle singole regioni, che possono decidere sullemodalità del riassorbimento di parte del personaleper le funzioni già delegate alle province e cheora la legge riassegna loro.Al ritardo di partenza vanno aggiunti l’omogeneoquadro di comando Pd di governo, regione, pro-vince, la scarsa sindacalizzazione e coscienza diclasse di dipendenti che fino ad ora si sentivanoceto medio, sicuri del salario e del lavoro, e chein buona parte dovevano il lavoro a meriti politici,per cui si riteneva che i propri padrini politici e irappresentanti eletti e votati nelle istituzioni localinon avrebbero mai permesso licenziamenti, de-mansionamenti, allontanamento del posto di la-voro dalla propria residenza, attacco alla propriaprofessionalità ed anche alla propria dignità.Insomma un bello scossone ad alcune storichecertezze e radicate convinzioni politiche, unaspinta a modificare non solo le opinioni ma anchei comportamenti, fino a costringere a ciò che al-cuni non avevano mai fatto: metterci la faccia,rimetterci dei soldi con lo sciopero, fare una ma-nifestazione.Per vincere, salvaguardando posti di lavoro e ser-vizi ai cittadini, nel caos legislativo, nella mancatavolontà politica, con soldi utilizzati per inaccet-tabili scelte come i vitalizi e gli stipendi di parla-mentari e consiglieri regionali o l’eliminazionedell’Imu dalle ville, forse lo sciopero e le manife-stazioni non basteranno ma in Umbria sono giàuna piccola rivoluzione.

I

Il nodo delle province

Lenta eutanasiaMassimo Panella

I

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aranzia giovani, il pacchetto di prov-vedimenti a favore dell’occupazionegiovanile, finanziato da fondi del-

l’Unione europea per un miliardo e mezzo dieuro, compie un anno.Il piano degli interventi previsto da questo pro-gramma è articolato in modo diverso da regionea regione e questo rende più difficile darne unavalutazione complessiva, ma se da un lato l’ap-posito sito del governo esprime molta soddisfa-zione sul fatto che gli iscritti sono 560.000,dall’altro i media, e non solo, esprimono ungiudizio molto più severo. Lo ha detto anche il presidente del consiglioMatteo Renzi in persona, nel corso di un in-contro all’Università Luiss: “I numeri della Ga-ranzia giovani non sono quella botta di vita checi aspettavamo, anzi che qualcuno si aspettava.Non a caso, io ne parlo abbastanza poco”. E senon ne parla lui, sempre pronto a sottolinearemezzi successi, c’è da giurarci che Garanzia gio-vani sia andata proprio male. A decretarne loscarso successo però non sono solo le (non) pa-role di Renzi, ma anche i numeri e l’uso, pocoin linea con l’iniziativa, che la maggior partedelle imprese mette in campo dal punto di vistacontrattuale.Prima di passare a dati, successi e soprattuttoinsuccessi, è bene capire dove e come nasce ilprogramma Garanzia giovani e cosa dovrebbemettere a disposizione dei giovani italiani. Come si può leggere a chiare lettere diretta-mente dal sito HYPERLINK “http://garanzia-giovani.gov.it/”garanziagiovani.gov.it, Garanziagiovani è il piano europeo per la lotta alla di-soccupazione giovanile che viene attivato, tra-mite finanziamenti, nei paesi membri dell’Ueche hanno tassi di disoccupazione superiori al25%. Il target sono i cosiddetti Neet (Not ineducation, employment or training), tradottoquella fascia di giovani tra i 15 e i 29 anni at-tualmente non impegnati in un’attività lavora-tiva, né inseriti in un percorso scolastico o for-mativo.L’invito del sito dunque è chiaro: “Se sei quindiun giovane tra i 15 e i 29 anni, residente inItalia - cittadino comunitario o straniero extraUe, regolarmente soggiornante - non impegnatoin un’attività lavorativa né inserito in un corsoscolastico o formativo, la Garanzia giovani èun’iniziativa concreta che può aiutarti a entrarenel mondo del lavoro, valorizzando le tue atti-tudini e il tuo background formativo e profes-sionale”.Lo stanziamento destinato all’Umbria dal pro-gramma è prossimo a 22,8 milioni di euro, dautilizzare entro il 31 dicembre 2015.

La maggior parte dei fondi messi a diposizionesono destinati alla formazione - al fine di alli-neare i profili degli under 30 con le figure ri-chieste dalle aziende - e ai tirocini extracurricu-lari. Ad oggi sono stati erogati dai Centri per l’im-piego ben 4.000 voucher formativi - per la co-pertura dei costi dei corsi di formazione - esono state oltre 2.000 le proposte di tirociniopervenute dalle aziende umbre. Secondo Fabio Paparelli, vicepresidente dellagiunta regionale, con delega a lavoro e forma-zione, Garanzia giovani in Umbria non è unfallimento: le adesioni al progetto sono quasi aquota 20.000, una percentuale assai più ampiadi quelle che si riscontrano in altre realtà regio-nali.Ma siamo sicuri che chi ci ha guadagnato sianoveramente i giovani? Non è più corretto direche lo stanziamento previsto dall’Unione euro-pea sia stato un affare per le aziende private -che ospitano i giovani tirocinanti praticamentegratis - e per gli enti di formazione che orga-nizzano i corsi?Intanto la Commissione Ue apre un’indaginesul programma umbro, dopo un’interrogazionesu presunte irregolarità portata avanti dalla por-tavoce al parlamento europeo del Movimento5 Stelle, Laura Agea.A rispondere all’interpellanza dell’europarla-mentare pentastellata è la commissaria europeaall’occupazione e gli affari sociali, MarianneThyssen: “La commissione segue con attenzionela questione sollevata e ha contattato le autoritàregionali responsabili. In base ai risultati deicontrolli, la commissione potrebbe avviare lemisure preventive e/o correttive previste dal Re-golamento”.Le presunte irregolarità sono state segnalatedopo che alcuni enti di formazione ternani ave-vano denunciato anomalie in merito alla ge-stione delle informazioni sensibili degli utenti.Secondo i denuncianti, sulla base di puntualiriscontri, gli utenti venivano contattati telefo-nicamente sul loro numero privato di cellulareda specifiche agenzie di formazione, nonostantel’assenza di rapporti pregressi tra loro. Tali ano-malie, che hanno permesso un vantaggio ad al-cuni enti a scapito di altri, sembra si siano veri-ficate anche nei precedenti bandi, riferiti sia adisoccupati che cassintegrati, anomalie già se-gnalate in passato, senza che accadesse mai al-cunché. Parliamo di una torta di tanti milionidi euro, su cui fino ad oggi sembra non abbiavigilato nessuno.In attesa di un riscontro i giovani disoccupatiaspettano di avere un lavoro. Vero.

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La crisidella ColussiLe istituzionibattanoun colpoMoreno Sdringola*

nalizzando la storia del progresso scien-tifico e dei suoi protagonisti, si scopriràche fra i vari tentativi di avanzamento

tecnico, si trova quello di creare la macchinadel moto perpetuo, cioè un dispositivo che unavolta avviato elimini gli attriti e non si fermimai nel suo funzionamento, tentativo finorafallito. D’altro canto, le alte dirigenze della Co-lussi spa pensavano esse stesse di aver creatoquesto utopico marchingegno, nel senso cheavendo avviato una florida azienda, essa avrebbecontinuato a creare utili in eterno, senza subiregli attriti del mercato. Purtroppo si è scopertopoi che, come per la fisica anche per l’industria,il moto perpetuo resta solo un sogno; infattisenza nessuna immissione di forza nei settoridi marketing, ricerca e sviluppo, i vari attritidella competizione globale tendono a rallentareil moto di ogni azienda, fino a farla entrare inuna crisi seria e profonda. Il dibattito scientifico ora è incentrato sullecause degli attriti. Per l’azienda quello maggioreviene dall’alto tasso di assenteismo dei propridipendenti, va ricordato che per essa il termine“assenteismo” contiene, oltre alla normale ma-lattia, maternità, donazione sangue, usufruiredelle leggi 104 e 105, assenze per gravi malattie,permessi sindacali. Per la Rsu, invece, la causadegli attriti ha origine dalla mancanza di unpiano industriale ben delineato. Ora qualunquesia l’origine dei rallentamenti, l’urto maggiorelo stanno subendo i lavoratori, che hanno vistoridursi notevolmente il salario a causa dell’in-staurarsi del contratto di solidarietà, in piùhanno accettato, a malincuore, di rinunciare agran parte del premio per obbiettivi per con-sentire all’azienda di avere liquidità monetaria,necessaria per il rilancio del gruppo. Rilancioche da un anno a questa parte stanno ancoraattendendo: ogni quattro mesi negli incontrifra rappresentanti aziendali e sindacali vieneannunciato, poi posticipato per motivi non an-cora dichiarabili, stando alla narrazione con-findustriale. Da queste incertezze sul proprio futuro lavora-tivo, coadiuvato dalla mancanza di chiarezzadelle alte sfere imprenditoriali, la Rsu della Co-lussi, composta da Cgil, Cisl, Uil e Ugl, insiemealle proprie segreterie regionali, ha deciso dicoinvolgere i vari gradi istituzionali: sindaci,regione e ministero, naturalmente per gradi,nel tentativo di analizzare ed eliminare il piùpossibile i succitati attriti. Al momento la Rsuha incontrato i sindaci Lunghi e Ansideri, ri-spettivamente primi cittadini di Assisi e Bastia,i quali interessatisi al problema, convocherannole dirigenze aziendali. Il prossimo passo saràconvocare le istituzioni regionali e se non ba-sterà, si arriverà fino al ministero. Da qui in poi il problema dell’eliminazione de-gli attriti non è più fisico-meccanico, ma diventapolitico, nello specifico si scontreranno due li-nee di pensiero. La prima, molto in auge davent’anni a questa parte, dichiara che le aziendesono enti privati, il cui proprietario ha dirittodi farne ciò che più crede, senza ingerenze po-litiche. La seconda, al contrario, dichiara che leaziende, pur rimanendo proprietà privata,hanno un legame con i propri lavoratori e ilterritorio in cui gravitano, quindi anche ad essidevono rendere conto delle proprie azioni. La-palissiano pensare che i dirigenti siano propensiverso la prima linea di pensiero, mentre i sin-dacati verso la seconda; il difficile sta nel capirequale di queste due linee è ora in voga nella si-nistra di governo.

*Rsu Colussi, Flai-Cgil

Ex MerloniFinedella storiaDelegati Fiom Antonio Merloni Umbria

ontinua la dissoluzione dell’AntonioMerloni, tra il disinteresse generale.Il dodici ottobre è terminato il pe-

riodo in cui i dipendenti con meno di quarantaanni hanno potuto godere dell’assegno di mo-bilità, oltre cento persone solo in Umbria. Cisaranno poi altri due scaglioni, uno l’annoprossimo e l’ultimo per gli over cinquanta nel2017, secondo le vecchie modalità previsteprima della riforma degli ammortizzatori so-ciali. Al termine della mobilità saranno oltreseicento nella sola Umbria le persone che ri-marranno senza alcuna forma di reddito. Unaltro macigno che rovina in un’area, quelladell’appennino umbro già devastata dalla crisie, nonostante questo, evidentemente dimen-ticata. Lo sfaldamento della ex Antonio Merloni, unavolta leader europeo nel settore degli elettro-domestici contribuisce in maniera determi-nante alla marginalizzazione del territorio cheha pure vissuto un periodo d’oro fino ai primianni duemila ma che in seguito si è impoverito,complice anche la crisi della ceramica ed il ter-mine della ricostruzione post sisma del ‘97.Deboli ed inefficaci le soluzioni messe incampo da governo e regioni. L’accordo di pro-gramma che stanziava una serie di incentivieconomici e normativi è stato del tutto igno-rato dagli imprenditori, in quanto non suffi-cientemente attrattivo. E’ servito, vero, a ga-rantire l’erogazione degli ammortizzatori socialima non a ricreare il lavoro che è quello che gliex dipendenti stanno chiedendo da anni. Lasituazione mette a nudo l’incapacità o forse lanon volontà di trovare una soluzione.Si poteva fare certamente di più. La vertenza èstata sottovalutata e si è trascinata avanti pertroppi, lunghi anni.“Altre crisi analoghe in Umbria sono state ri-solte mentre questo territorio è stato abban-donato a se stesso con un rimpallo di respon-sabilità tra le varie istituzioni”, sono queste leparole, pesanti come macigni di MassimilianoPresciutti, sindaco di Gualdo Tadino all’indo-mani della fine della mobilità, una presa d’attodelle mancate promesse sulla ricollocazione nelmondo del lavoro e del mancato rilancio dellafascia appenninica. C’è poi ancora irrisolta la vertenza riguardantela Jp industries, azienda sorta dalle ceneri del-l’Antono Merloni che coinvolge oltre 700 di-pendenti tra Umbria e Marche le cui attivitànon sono mai decollate in quanto poco dopol’acquisizione un pool di banche chiese l’an-nullamento della vendita. Il tribunale di An-cona nei due primi gradi di giudizio ha datoragione agli istituti di credito, come spiegatoripetutamente da “micropolis”. Entro la finedell’anno è atteso il pronunciamento della Cas-sazione. Se la suprema corte dovesse confer-mare le sentenze e se non dovesse andare inporto il tentativo di accordo extragiudiziale incorso si aprirebbero scenari cupi anche per i350 umbri ricollocati.

GA

C

Fondata sul lavoro

Compleannoamaro

Miss Jane Marple

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dal giugno scorso (Sfruttati e malpa-gati) che abbiamo iniziato una colla-borazione con un gruppo di soci/la-

voratori di alcune cooperative operanti neiservizi alla persona e nelle aziende i quali, peruna legittima quanto comprensibile forma diautotutela, hanno scelto di firmarsi con lo pseu-donimo di Black Mamba. Attraverso i loro ar-ticoli - che proseguiranno - stiamo provando adare luce ad un mondo complesso che troppivolutamente vogliono tenere sommerso e chenel corso dei decenni ha subito una vera e pro-pria trasformazione da mezzo per l’emancipa-zione di classi subalterne a mezzo di manteni-mento dei profitti, per le aziende o per ilrisanamento dei bilanci delle pubbliche ammi-nistrazioni. La cooperazione culturale e sociale negli ultimi20 anni si è sviluppata in maniera anomala acausa di due elementi cardine: il blocco delleassunzioni nel settore pubblico e la necessità dirisparmiare da parte degli enti locali. Quelladei servizi alle aziende ha avuto un spropositatoincremento con le esternalizzazioni di alcunefasi delle lavorazioni, pulizie e logistica, chehanno causato un abbassamento sostanziosodei diritti e delle tutele, permettendo così ilrinnovo dei contratti di secondo livello ed azien-dali a ribasso per i lavoratori senza andare adintaccare i profitti e gli utili degli azionisti. L’avanzare della precarietà e della flessibilità,prima, e poi il sopraggiungere della crisi hannodeterminato fenomeni distorsivi quali la proli-ferazione dei consorzi e, in generale, un au-mento numerico e dimensionale delle impresecooperative, in particolare dell’apparato gestio-nale, cresciute per far fronte ad una lievitazionedei costi, incentivata da un lato dai bandi digara al massimo ribasso, dall’altro dalla necessitàdi aggiudicarsi l’appalto a tutti i costi per sal-vaguardare la propria stessa sopravvivenza. Ilrisultato è che oggi il costo orario di un serviziosvolto da un lavoratore di cooperativa è semprepiù vicino a quello di un qualsiasi lavoratoredipendente pubblico o privato, ma ciò non valeper i salari e, soprattutto, per i diritti. A partire da questo assunto e, per verificarne lavalidità, abbiamo deciso di confrontarci diret-

tamente con Black Mamba attraverso lo stru-mento del forum. Quello che segue è il reso-conto dell’incontro che si è tenuto in reda-zione.La prima questione che vorremmo porre èquesta: come e quanto è cambiato nell’ultimodecennio il mondo della cooperazione?Black Mamba1: Comincio io che opero, da ol-tre vent’ anni, nel campo dei servizi alla persona.Sono un socio lavoratore di cooperativa socialee lavoro in un Sert come educatore. Ho allespalle una lunghissima esperienza in una dellestoriche cooperative del perugino. Dal 2013,dopo una serie di cambi di appalto, sono inuna cooperativa che si è aggiudicata una delleprime maxi gare. Il fatto di vedere in gara coo-perative di fuori regione ha provocato un certoscalpore che è aumentato nel momento in cuiuna di queste, quella appunto di cui ora faccioparte, si è aggiudicata, per un lungo periodo,tutta una serie di servizi socio sanitari dell’alloraAsl2. La mia lunga esperienza mi permette di direche è stata la forte radicalizzazione sulle gared’appalto a mutare lo scenario. Gli anni ‘90,quelli in cui il fenomeno dell’affidamento deiservizi alle cooperative è esploso, furono carat-terizzati dalla co-progettazione piuttosto che,come avviene oggi, dalla semplice committenzae ciò significa che il nostro ruolo era comple-mentare e non sostitutivo del pubblico. Primasi progettava e si sperimentava insieme e i ri-sultati erano molto diversi, qualitativamentemigliori. Oggi, servizi in co-progettazione nonesistono più, malgrado la 328 [legge quadrodel 2000 che regola il sistema integrato di in-terventi e servizi sociali, ndr] li preveda. Conla gara d’appalto è il committente pubblico acomandare il gioco. L’attenzione non è più allareale efficacia del servizio ma sulla misurazione- quasi ossessiva - della prestazione, dimenti-cando un fatto molto importante ovvero che laqualità non è misurabile.Black Mamba2: Il mio percorso è simile, sonoun socio lavoratore del sociale e in precedenzastavo anche io in un’altra delle storiche coope-rative del perugino. Sono assolutamente d’ac-cordo sul fatto che tutto si gioca, ormai, sul ca-

pitolato d’appalto. Svolgo il mio servizio in una struttura residen-ziale per disabili fisici e psichici. La mia espe-rienza mi porta a dire che quando c’è la volontàe l’impegno anche il sindacato può intervenirenei capitolati migliorandone il contenuto. Esempio: il servizio in cui lavoro (per come èstrutturato e per il numero dei pazienti e pergravità della loro disabilità o problematica) co-pre le 24 ore giornaliere tramite l’apporto dipiù operatori, ma il capitolato originario neprevedeva solo 22 di ore e la presenza di unsolo operatore per turno. In questo caso, il sin-dacato è stato fondamentale perchè è interve-nuto preventivamente e puntualmente tramiteil suo Rsa (rappresentante aziendale), chiedendoall’ente committente di modificare il capitolatodi gara per raggiungere e garantire gli standardprevisti dalla normativa vigente.Noi operatori ci siamo spesso domandati qualeservizio possiamo dare e quale qualità possiamoraggiungere con solo il nostro impegno e la no-stra sensibilità verso utenti deboli e bisognosi.Questi sono aspetti che i sindacati non possonoignorare sia nelle trattative aziendali che nellacontrattazione sociale tanto sbandierata, mainutile e qualche volta incomprensibile. E poimi chiedo: l’Osservatorio provinciale sulla coo-perazione funziona? A quanto mi risulta nonha prodotto mai un documento. In un quadro simile spicca, poi, il disinteressecrescente dei soci lavoratori che non parteci-pano alle assemblee o lo fanno passivamente.Un comportamento indotto dai cda delle coo-perative che operano per favorire l’opacità dellagestione anziché la trasparenza, ma anche daglistessi sindacati che mai hanno proposto o pro-gettato una seria formazione del socio lavoratoreper fargli comprendere il proprio ruolo. I sin-dacati dovrebbero essere i promotori della for-mazione e sentirsi in obbligo di organizzaredelle presenze qualificate (delegati) all’internodelle assemblee societarie che grazie alla loroconsapevolezza siano in grado di contrastare ofiltrare delibere consiliari che ledono i dirittidei lavoratori peggiorando i Ccnl di categoria.Tanto per fare un esempio la mia cooperativaci fornisce almeno il bilancio sintetico, ma so

per certo che molte altre neanche quello.Questa involuzione non ha incontrato alcunaresistenza?Bm1: Purtroppo no. Il mondo della coopera-zione sociale, di cui posso parlare a ragion ve-duta essendoci anch’io oramai da tanti anni, èstato passivo e credo di poter parlare, vistal’esperienza avuta in questo gruppo di soci/la-voratori, anche per il mondo delle altre coope-rative (pulizie e logistica). Il fatto ancora piùgrave è che il sindacato non ha svolto, e conti-nua a non svolgere, opposizione alcuna. Mispiego: negli appalti pubblici i sindacati nonentrano mai nel merito dei capitolati di appalto,neppure quando questi impongono tagli del25-30% dei corrispettivi pregiudicando inevi-tabilmente l’efficacia della prestazione e dellaretribuzione che dovrebbe essere sufficiente peruna vita libera e dignitosa. Si limitano, piutto-sto, a fare pressioni sui presidenti delle coope-rative per fare assumere qualcuno oppure adintervenire a valle lavorando affinché, magaridopo dieci anni di precariato, i lavoratori dellecooperative vengano stabilizzati nel pubblico,senza mai addentrarsi nel contenuto.Si può calcolare il costo orario di un operatoresociale?Bm1: Posso parlare per un operatore di coope-rativa sociale che all’incirca è attorno ai 20 euro,che salgono a 25-27 per un inquadramento dilivello superiore di coordinamento. Natural-mente c’è un margine di guadagno per la coo-perativa. Diciamo che nel mio caso il compensolordo per il lavoratore, comprensivo dei con-tributi previdenziali, è intorno ai 12 euro l’ora. Bm3: Anche io lavoro in una cooperativa so-ciale, da socio lavoratore o, come alcuni prefe-riscono, lavoratore socio per indicare propriola priorità che loro ritengono noi siamo. Co-nosco bene l’attività di assistenza domiciliareche si svolge con frequenti spostamenti nell’arcodella stessa giornata che costringono ad un ora-rio spezzato ed elastico. La retribuzione oscillatra 6,70 e 6,80 euro/ora lordi. Gli spostamentiavvengono con mezzi propri e spesso non co-perti dall’assicurazione kasko o, se presente,con franchigie altissime che ricadono sullostesso socio lavoratore. Il rimborso chilometrico

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Cooperazione e lavoro

Da soci a dipendentiA cura di Stefano De Cenzo

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è esiguo e non copre tutte le spese sostenuteper il mantenimento dell’autovettura, a mala-pena riesce a coprire la benzina utilizzata perlavorare.Se, come sembrerebbero indicare questi dati,l’ente pubblico non risparmia poi tanto ad af-fidare un servizio ad una cooperativa, perchési insiste su questa strada?Bm1: A mio parere la vera motivazione chespinge l’ente committente ad esternalizzare unservizio non è tanto quella del costo del lavoro- che dati alla mano non è poi così dissimile -quanto quella della flessibilità intesa anchecome possibilità di assumere chi si preferisce elicenziare senza vincoli. Voglio aggiungere unaltro elemento: non è che in passato non cifosse ugualmente una disparità di diritti tra ilsocio lavoratore della cooperativa e il dipen-dente pubblico che svolgevano la stessa man-sione, ma questa disparità era compensata dalprotagonismo, dal sentirsi parte attiva di unprogetto. In assenza di questo c’è solo sfrutta-mento. Questo vale per qualsiasi genere di coo-perativa.All’interno delle diverse cooperative socialiqual è il rapporto numerico tra lavoratori eaddetti all’amministrazione?Bm1: I modelli sono molto diversi tra loro.Nel consorzio che riunisce le storiche coopera-tive sociali del perugino il rapporto tra ammi-nistratori e amministrati, almeno fino a chesono stato presente, era di 1 a 10 ovvero deltutto sproporzionato, soprattutto se si tieneconto del fatto che la gestione delle buste pagaè affidata a consulenti esterni. Agli interni è,invece, affidata la progettazione e l’istruzionedelle gare d’appalto.Bm2: In altre il numero degli addetti alla tec-nostruttura è abbastanza contenuto per quelloche ci è dato sapere. Non è facile per chi lavoranella base sociale reperire informazioni del ge-nere, soprattutto quando la sede legale è inun’altra Regione. Bm3: Io posso dire che il mio Cda è abbastanzaridotto: presidente, vice presidente e sei consi-glieri tra i quali i responsabili di zona e il diret-tore tecnico.A proposito, quanto percepisce un presidentedi cooperativa?Bm2: Il mio presidente percepisce mensilmente9.300 euro lordi più l’emolumento che gli com-pete in quanto responsabile organizzativo diarea. Il precedente, prendeva circa 300mila eurol’anno. Ai consiglieri spetta un gettone di presenza di200 euro lordi più gli emolumenti relativi ailoro incarichi lavorativi. Il numero medio deisoci lavoratori per il 2014, dati dell’ultimo bi-lancio, è stato all’incirca di 900 unità; l’utile dicirca 400mila euro a fronte di un fatturatocomplessivo di oltre 28milioni di euro. Non èprevista la divisione degli utili.Bm3: Nella mia cooperativa questo dato nonsi può sapere.Questi sono alcuni degli aspetti che emergonodalla cooperazione sociale. Valgono anche pergli altri settori?Bm4: Io opero nel campo della logistica comeaddetto al carico/scarico merci. Il nostro settoreè tutto in mano a consorzi di cooperative chepartecipano alle gare di appalto indette dalcommittente. Questo vale anche per altre mul-tinazionali/corrieri del settore. Nulla di strano.Singolare è, tuttavia, ciò che avviene dopo l’ag-giudicazione della gara, quando, il vincitore,deve avviare il servizio. Che fine fanno i lavoratori preesistenti? Se vo-gliono mantenere il posto sono costretti ad ab-bandonare la loro vecchia cooperativa ed entrarein quella del nuovo consorzio che le subentra.Tutto ciò accade senza che il futuro socio lavo-ratore sia a conoscenza del regolamento internoche, purtroppo, andrà a influire, spesso negati-vamente, sia sul suo stato di futuro socio chesu quello di lavoratore con il rischio che si ab-bassino le retribuzioni e si perda il Tfr. Il pas-saggio alla nuova cooperativa, quindi, non èmai indolore e, come avviene per gli appaltipubblici, anche qui siamo difronte al massimoribasso e sempre, dico sempre, il nuovo rap-porto di lavoro è meno tutelato e con menodiritti. Ma non è tutto: può succedere che nelcorso della durata dell’appalto il consorzio im-

ponga agli stessi lavoratori di passare da unadelle sue cooperative ad un’altra, sino a quelmomento inattiva e senza un giustificato mo-tivo. Il più delle volte, inoltre, questi passaggicomportano la perdita dello status originariodi socio lavoratore e la conseguente trasforma-zione in semplice dipendente. E’ quello che èsuccesso a noi. Ma lo stesso è avvenuto anchein altre realtà. Il sindacato la chiama stabilizza-zione: se ne deve quindi concludere che è me-glio essere dipendente che socio lavoratore diuna cooperativa? Quali sarebbero i benefici?Allora qualcuno mi deve spiegare che differenzac’è tra una cooperativa e un’ impresa commer-ciale di altro tipo. Si può finalmente aprire unvero dibattito nella società civile e nel sinda-cato?Davanti a questo fenomeno avete reagito? Ese sì, come?Bm4: Ad un certo punto, entrati in questomeccanismo infernale di scatole cinesi, abbiamodeciso di capire per chi effettivamente stavamolavorando rivolgendoci alla centrale umbra acui la cooperativa era associata. La risposta èstata: noi non possiamo aiutarvi, non ne sap-piamo nulla, il consorzio è extra-regionale per-ciò dovete rivolgervi agli addetti della regionedi competenza. Peccato che chi ci ha dato que-sta riposta comparisse poi come relatore, di lì abreve, proprio in un’iniziativa pubblica dellostesso consorzio. Questo è l’inizio e il mecca-nismo è continuato sino all’accordo tra l’asso-ciazione padronale, che raggruppa le principaliaziende del settore, e i sindacati confederali chehanno sancito definitivamente e ufficialmenteil nostro status di dipendenti di cooperativa.Cosa è cambiato concretamente nelle condi-zioni di lavoro?Bm4: Tutto questo si è tradotto, per noi lavo-ratori, in un aumento della flessibilità già diper sé notevole in un settore come il nostroche prevede l’inizio del lavoro di carico e scaricoall’arrivo della merce, indipendentemente dal-l’orario, anche alle quattro del mattino, per in-tenderci. Il nostro cantiere [ovvero l’unità logi-stica operativa ndr] è composto da circa unaventina di persone, lavoratori che nel corsodegli anni non hanno accettato di subire lescelte imposte dall’amministrazione, ma hannoprovato a vederci chiaro, ad ottenere la paritàdi dignità. Ma il passaggio a semplici dipendentici ha, in un certo senso, tagliato le gambe. Loripeto: è questo che vuole il sindacato? Un altro modo per tacitare i lavoratori, per ren-derli meno coesi è quello delle assunzioni clien-telari. Non raro è il caso in cui, per fidelizzare ilavoratori, si proceda ad assumere persone congrado di parentela e amici dei membri del con-siglio di amministrazione, persone affini su baseetnica o religiosa. Così come non è rara la sceltadi figure, molto importanti per la vita lavorativadei dipendenti, di comodo e controllabili chevanno a ricoprire il ruolo di Rsa e Rls (rappre-sentante della sicurezza).Avete già stigmatizzato, per molti aspetti,l’operato dei sindacati. Il fatto che, per la loroorganizzazione interna, le confederazioni nonabbiamo mai considerato la cooperazione nelsuo insieme, ma siano sempre intervenute percategoria, può questo rappresentare una sortadi vizio di fondo?Bm5: Assolutamente sì. I datori di lavoro lohanno fatto. Il danno nasce proprio dal fattoche il sindacato, come più volte abbiamo ripe-tuto, si è limitato e si limita ad intervenire avalle. La diversità dei settori non avrebbe dovutofar perdere di vista il compito principale ovvero,quello di rendere consapevoli i soci lavoratoridel loro ruolo e delle loro potenzialità. Questosi doveva fare se si voleva salvaguardare lo spiritoe la funzione originaria del mondo della coo-perazione: unire non dividere. Invece - purtroppo - si è fatto ben altro. Si èconsiderato questo mondo, in primo luogo,come bacino di interessi politici, economicifino ad arrivare alla corruzione, come mafia ca-pitale ci insegna. Il gruppo Black mamba esisteproprio in virtù di questa sentita esigenza direndere i lavoratori soci consapevoli del lororuolo all’interno del mondo cooperativo, faci-litando l’esigenza dei diritti di partecipazione,di trasparenza, di sicurezza, di giustizia, di lei-galità e di solidarietà.

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l 24 settembre scorso, la Cgil di Terni e l’associazione Ettore Proietti Divi hanno organizzatoun’iniziativa a Palazzo Gazzoli, in occasione della “settimana degli archivi”. Prima una partespecialistica sull’archivio della Cgil e sulle vicende della fabbrica ternana, a seguire la portata

principale: l’atteso confronto tra Susanna Camusso e Lucia Morselli, moderato da Luca Telese.Diciamo subito che il dibattito ha notevolmente deluso le aspettative, almeno le nostre. Saremo straniperché, in realtà, lo show ha strappato risa e applausi a larghi strati di una platea gremitissima. Beninteso, non ci attendevamo in questa sede la definizione delle questioni più spinose, oppure chissàquali sviluppi sull’ancora nebuloso futuro delle Acciaierie. Ma neppure lo spettacolo che è andato inscena, in perfetto stile talk show televisivo, con troppo spazio ai fronzoli e poco al “nocciolo delle que-stione”, per dirla con Graham Greene. Anche perché le intenzioni dell’iniziativa erano piuttosto am-biziose: Terni assunta al rango di laboratorio nell’evoluzione delle relazioni industriali. Ma di questoaspetto se ne sono perse le tracce, oppure abbiamo mal colto la nuova frontiera delle relazioniindustriali. Non vorremmo che, come per la politica nazionale, anche le relazioni industriali sianoavviate verso la vacuità dei contenuti, i sorrisi e la rimozione delle questioni complesse e indesiderate.Nel corso del talk show, avremmo rinunciato di buon grado alle digressioni “gossippare” sulla quoti-dianità delle contendenti e a certe domande che volano in superficie su temi centrali come jobs act,licenziamenti e controllo dei lavoratori, mentre avremmo preferito alcuni approfondimenti mirati.Tanto più che tra sindacato e Tk-Ast non mancano questioni insolute che si trascinano da tempo.Sono infatti giunti al pettine i nodi segnalati già l’indomani della firma dell’accordo del 3 dicembre2014. In primis, la riorganizzazione dei reparti operata unilateralmente da Thyssen nel marzo scorso,che riguarda il sottodimensionamento, la sicurezza dei lavoratori, i turni, le ferie, gli straordinari e iriposi. In secondo luogo, il tema degli investimenti. Inoltre, la spinosa questione degli appalti alleditte esterne, tornata in questi giorni di stretta attualità, con cambi nelle commesse e politiche delmassimo ribasso. Infine, le scottanti tematiche ambientali, che coinvolgono le condizioni di lavoronella fabbrica e l’intera città. Su tutti questi aspetti, la realtà fattuale non si accorda con i timidi proclami della Morselli su una pre-sunta strategicità di Ast, ma nessuno glielo ha fatto notare. Il culmine è stato forse raggiunto quandoTelese ha affermato che al termine della dura vertenza “non ci sono stati licenziamenti”. Qualcuno hamugugnato, qualcuno è uscito dalla sala, molti - forse troppi - non hanno palesato reazioni, Camussocompresa. La nuova frontiera delle relazioni industriali si fonda su questi capisaldi?Per queste ragioni, l’impressione conclusiva la restituisce il titolo della celebre tarantella napoletana diPeppino Fiorelli e Nicola Valente. Confidiamo che il sindacato nelle sedi opportune si faccia sentire enon si appiattisca sul renzismo imperante, un modus operandi, ma anche un approccio mentale chesembra aver ormai contagiato larghe fasce di politica, media e cittadini. Se non puoi vincerli, fatteliamici, così insieme tiriamo dritto, con obliterazione, sorrisi, molta facciata e poca sostanza e sequalcuno dissente o soffre, problemi suoi!

A Terni in onda il talk showMorselli-CamussoScurdammoce ‘o passatoMatteo Aiani

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Grey list: gli interdettiTre terremoti in tre anni sono difficili da sop-portare. Ai primi due che hanno devastato ilterritorio gli emiliani della bassa hanno reagitocon la determinazione e l’orgoglio che li carat-terizza da sempre rimboccandosi le maniche ecominciando la ricostruzione. Al terzo, quelloche nel marzo scorso ha portato in carcere i ver-tici della Cpl Concordia, sputtanato una storialunga 120 anni, compromesso il futuro di 1800lavoratori e messo in discussione valori e idealistorici, devono ancora reagire. Gli scarriolanti,erano i braccianti agricoli poveri che alla finedell’800 per sopravvivere alzavano argini, sca-vavano canali e colmavano paludi. Come tantialtri avevano fondato una cooperativa di pro-duzione lavoro anche a Concordia sulla Secchia.Per 8 mesi all’anno prendevano la loro carriolae si presentavano al lavoro cantando per farsicompagnia: “A mezzanotte in punto / si senteun gran rumor/ sono gli scarriolanti/ che ven-gono al lavor/”. Abituati alla fatica e al sacrificioper sfamare la famiglia avevano fatto dell’asso-ciazionismo un’arma di difesa per sottrarsi allamiseria e sopravvivere con dignità. Nasceva ilmovimento cooperativo e il socialismo anchenelle campagne: pane e lavoro, solidarietà e giu-stizia. Fondata nell’aprile del 1899 la Cpl Con-cordia è diventata nel tempo un colosso delmondo cooperativo nel settore energia, reti gas,reti idriche, gassificatori e multiutility con 1800dipendenti e un fatturato di 461.milioni di euronel 2014, 70 società controllate tra le quali la exSacofgas oggi Meter di Città di Castello. Nelmarzo scorso il terremoto che devasta Concordiasulla Secchia e i valori del mondo cooperativo.La Procura di Napoli ordina l’arresto di 11 per-sone a conclusione dell’inchiesta sulla metaniz-zazione di Ischia. Tra gli arrestati lo storico pre-sidente di Cpl Roberto Casari, 40 anni al verticee Francesco Simone responsabile delle relazioniesterne del gruppo. Per i pm di Napoli i dirigentiarrestati “facevano sistematico ricorso ad un mo-dello organizzativo ispirato alla corruzione cheli ha portati ad accordarsi non solo con i sindaci,gli amministratori locali e i pubblici funzionarima anche con esponenti della criminalità orga-nizzata casertana e gli amministratori legati atali ambienti criminali”.Tra gli arrestati il sindaco di Ischia GiuseppeGiosi Ferradino del Partito Ddemocratico ac-cusato di corruzione. In suo favore Cpl avevaacceso convenzioni fittizie per 330mila euro,aveva assunto il fratello come consulente, avevaregalato viaggi. In pratica era una sorta di facto-

tum per la metanizzazione di tutta l’isola diIschia. Altra testimonianza che aiuta a capire èquella di Antonio Iovine detto o Ninno espo-nente dei Casalesi poi collaboratore di giustizia.Per Iovine l’accordo tra Cpl e i Casalesi preve-deva che gli imprenditori cui affidare i sub ap-palti fossero indicati dai sindaci per evitare allaCpl l’accusa di utilizzare imprese colluse. Questiimprenditori versavano una quota da 7500 euroal mese nelle casse del clan della zona e quasi ildoppio in quelle della famiglia Zagaria. Per ilGip Colucci “la strategia della Cpl era tesa amascherare l’accordo coi clan evitando contattidiretti tra azienda e affiliati, creando una sortadi filtro”. Uno di questi filtri è Antonio Piccolodi Casapesenna uomo di fiducia di Cpl ma so-prattutto del clan Zagaria. Coinvolto anche l’exsenatore antimafia del Pd Lorenzo Diana accu-sato di concorso esterno in associazione camor-ristica. Ora la Direzione distrettuale antimafiadi Napoli indaga su altri 200 contratti tra i qualiquelli compiuti tra il 1999 e il 2003 a Casal diPrincipe e in altri sei comuni limitrofi. Ma Cpldimostrava la sua generosità con tutti: impossi-bile elencare l’elenco delle elargizioni liberali checoncedeva a piene mani. Sponsorizzazioni al Mi-lan calcio, al Modena calcio, contributi per cam-pagne elettorali a candidati e a circoli del Pd dimezza Italia; partecipazione alla cena sottoscri-zione da mille euro a pasto pro Renzi nel no-vembre 2014 all’Eur, acquisti di quantità di libridi Massimo D’Alema, Renato Brunetta e GiulioTremonti, il tutto innaffiato con duemila botti-glie di vino prodotto da Massimo D’Alema. Fe-nomenale il nuovo presidente di Cpl MarioGuarnieri nel suo filosofeggiare: “i valori demo-cratici si realizzano e si mantengono attraversol’attività di una pluralità di movimenti, partiti edelle loro articolazioni politico organizzative,con costi particolarmente elevati”. Il 29 aprilescorso la Cpl viene sottoposta a interdittiva an-timafia e affidata a tre commissari: blocco deicapitali. Insomma per mesi la società è messamale e non è in grado con i soli flussi di cassa disostenere gli impegni presi con i creditori. Il 21ottobre la revoca dell’interdittiva e l’uscita dallablack list ma una nuova tegola si abbatte suCpl. L’operazione Apollo d’oro: 14 indagatidalla Procura di Modena, sequestro di impiantifotovoltaici e di 16 milioni di euro. Impiantinei comuni di Turi e di Noci in Puglia frazionatiin 10 piccole unità per aggirare la normativa.L’accusa è di associazione a delinquere, falsitàideologica in atto pubblico e truffa aggravataper il conseguimento di erogazioni pubbliche,

mica quisquilie e pinzillacchere. Cpl delle me-raviglie si dichiara “del tutto estranea ai fatti”.Eppure le società inquisite avevano sede allostesso indirizzo di Cpl che ne detiene anche il49 per cento delle azioni. Oggi a Modena e din-torni c’è un gran rumor per salvare Cpl. Giustose si tratta di salvare i posti di lavoro, meno se sivuol salvare un management corrotto e incapaceche rischia di trascinare nel baratro anche realtàsane del suo impero. Lo slogan aziendale di Cplè energia che migliora la vita. Energia delle brac-cia che un tempo ha migliorato la vita di tuttigli scarriolanti, oggi solo dei capoccioni e deiloro compagni di merende. Povero scarriolante,quella che devi trasportare oggi non è terra.

White list: i bene dettiA Città di Castello se chiedi dov’è lo stabili-mento della Meter nessuno ti sa dire dove è mase chiedi della Safofgas tutti conoscono la fab-brica di contatori per gas immersa nel verde traGaravelle e Santa Lucia. I tifernati non solo co-noscono l’ubicazione ma sono affezionati allastoria di questo che è uno degli stabilimenti in-dustriali più longevi dell’alta valle del Tevere:46 anni vissuti tranquillamente con reciprocasoddisfazione di dipendenti, della proprietà, delmanagement e della città. La storia della Sacof-gas, acronimo di Società anonima costruzioneofficine del gas inizia nel 1927 quando un in-traprendente olandese, Carlo Enrico Neeff sce-glie Milano per svolgere la sua attività di pro-gettazione e costruzione di gasometri.Precorrendo i tempi e guardando con attenzionea quello che succede nell’Europa del Nord, neglianni ‘30 acquista in Germania il brevetto percostruire contatori poi negli anni ‘50 li producenella sua fabbrica sui Navigli. Nel 1969 tocca alsuccessore Teodorico Neeff prendere la decisionedi spostare lo stabilimento in Umbria. Milanoha uno sviluppo caotico e costoso che non favo-risce la crescita dell’azienda. Città di Castellooffre agevolazioni non indifferenti per la lungi-mirante politica del sindaco Gustavo Corba edel presidente della locale Cassa di risparmioLuigi Pillitu protagonisti del processo di indu-strializzazione del territorio.Comincia il cammino della Sacofgas che occupaun centinaio di dipendenti con un fatturato di30 milioni nel 2014 e una previsione di 50 mi-lioni per il 2015, clienti importanti come Italgas,Enelgas, Hera, Gas Natural in Italia ma anchein altri paesi europei. I contatori di Sacofgasvanno forte e attirano l’attenzione di una parte-

cipata di Cpl Concordia, la Coop Bilanciai diCampogalliano nel modenese che produce con-tatori elettronici. L’idea è quella di mettere in-sieme le competenze per realizzare contatorismart, metà meccanici e metà elettronici. Dopoun fidanzamento di tre anni arriva il matrimonionel 2014: Fimetra srl, una partecipata di Cpl edi Bilanciai acquista il 90 per cento di Sacofgasche diventa Meter Italia.Cpl Concordia garantisce l’operazione e spalancaalla nuova società l’immenso mercato delle pro-prie reti. Passano pochi mesi e scoppia il bub-bone Cpl Concordia, che coinvolge anche Fi-metra srl e Coop Bilanciai gravate da pesantiproblemi aziendali e finanziari e, fino ad unasettimana fa, per l’interdittiva antimafia, impos-sibilitate a far fronte agli impegni presi, tra iquali quelli per l’acquisto di Sacofgas fino adoggi mai onorati. Ovviamente a Modena tuttisi stanno prodigando per uscire da questa situa-zione: i partiti, i commissari della Cpl, la Legadelle Cooperative, la Regione Emilia e Romagnae i sindaci del modenese. Addirittura è stata va-rata una legge in parlamento per consentire l’ac-cesso agli ammortizzatori sociali alle società finitenella lista nera dell’antimafia.Bene, giusto ma in tutto questo prodigarsi anessuno è venuto in mente di spendere una pa-rola per Sacofgas. Eppure uno dei tre commissaridi Cpl, l’ex Prefetto Angelo Tranfaglia, è statoin passato commissario al comune di Città diCastello: per lo meno conosce l’azienda. Silenzioanche dalla politica umbra in genere semprepronta ad intervenire su tutto, almeno a parole.Insomma un silenzio preoccupante. Chi può as-sicurare che nella ristrutturazione della galassiaCpl un’azienda sana e appetibile come la Sacof-gas non venga assorbita dalla Bilanciai e trasferitatecnologia e capacità varie, a Campogalliano?Possibile che non si trovi un parlamentare o unconsigliere regionale che tra una inaugurazionee una intervista non possa spendere una parolasull’argomento e si faccia interprete delle preoc-cupazioni dei dipendenti e dei cittadini umbriche pur essendo innocenti, competenti e puliti,temono di dover far fronte agli oscuri intrecciaffaristici tra Cpl Concordia, clan dei Casalesi eesponenti disinvolti e corrotti dei partiti? Dopoche la politica ha dormito sogni tranquilli o me-nato il can per l’aia in vicende che ancora oggigridano vendetta come la A. Merloni, la ex Pozzio la Trafomec meglio avvertire per tempo e atti-vare i nostri distratti esponenti politici: gli Umbrinon sono figli di una regione minore e non vo-gliono essere infiltrati dalle mafie e dalle caste.

8p o l i t i c aottobre 2015

Lo scandalo Cpl Concordia mette a rischio la Safogas di Città di Castello

A tutto gasPaolo Lupattelli

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nformazione e comunicazione in Umbria,una questione di democrazia. Per questola Cisl Umbria, assieme a Cgil e Uil, ha

organizzato un forum con le redazioni che si ètenuto il 30 settembre presso la Scuola di gior-nalismo radiotelevisivo di Ponte Felcino, dove sisono formati molti giornalisti e dove hanno ini-ziato la professione tanti. Perché di questo sitratta. Di una professione che sempre di menoviene riconosciuta come tale, sia da un punto divista contrattuale che retributivo. In una regionenella quale un pezzo giornalistico può costarequanto una colazione al bar, due euro e cin-quanta, e dove alcuni direttori di testate on linesono precari tra i precari. Questi tra i contenutiemersi negli interventi dell’incontro “L’informa-zione in Umbria: un problema di lavoro e de-mocrazia”, che almeno per un giorno hanno datovisibilità a un vero e proprio esercito di riserva.Ma la questione affrontata è grave, anzi gravissimae ha un respiro più ampio. Ha già assunto i con-notati della crisi. Di una crisi della rappresentanzae della democrazia rappresentativa che sempre dipiù tende alla personalizzazione, al leaderismo.In questo processo, le identità collettive si inde-boliscono e la rinnovata democrazia diventa quelladel pubblico che è libero solo di cambiare ca-nale.Tanto in politica, quando nell’informazione, lapartecipazione, l’organizzazione e la diffusionesono progressivamente sostituite dalla comuni-cazione, perlopiù televisiva. E per curare l’im-magine si ricorre ad esperti di marketing, chetrasformano le singole identità in audience ounità di misura nei sondaggi. In questo processoanche il voto, diritto-dovere dei cittadini, è di-ventato sempre più fluido, umorale e volatile. El’equilibrio dei poteri, come la partecipazione indemocrazia, appaiono superate. La stampa prima, e la comunicazione più in ge-nerale poi, forti della libertà e dell’autonomia sierano guadagnati la definizione di “Quarto po-tere”, diventando una garanzia di controllo e me-diazione del potere costituito, di equilibro de-mocratico, di strumento fondante dell’opinionepubblica. Un Quarto potere, o almeno quelloche è rimasto, che si sta trasformando sulla sciadi uno straordinario processo tecnologico e dellemutazioni della rappresentanza democratica.Mettendo progressivamente la politica e gli altri

poteri democratici al servizio dell’economia.Come sottolinea Richard Whately che ribadiscecome il processo di globalizzazione abbia pro-gressivamente invertito il rapporto tra politica edeconomia, portando quest’ultima a divenire ilfine. E come per fare questo sia necessario il con-trollo sui media e sulla cultura più in generaleovvero fabbricare consenso. Ma la custodia dei processi democratici affidaun ruolo importante ai territori, al locale. E’ pro-prio questo livello che è chiamato a risolvere iproblemi, a farsi carico di una gestione più par-simoniosa ed equa che sia rispondente alle esi-genze della collettività. Il lavoro, che manca eche spesso non è di qualità, è la priorità, assiemealla bassa produttività e alle disuguaglianze cre-scenti. Basti pensare che la povertà è aumentata,in base ai dati di Banca Italia, dal 2,2% a oltre il10%. Ma dietro a questi numeri c’è un disagiosociale e psicologico, che non deve essere dimen-ticato e sottovalutato. In Umbria a ciò si aggiungeun alto tasso di invecchiamento della popola-zione: 176% nel 2013, che si rinforza progressi-vamente nell’emigrazione dei giovani e degli stra-nieri. E poi la refrattarietà al cambiamento delleistituzioni umbre che tende all’esclusione e quindialla cetomedizzazione della società. Quindi le problematiche gravi ed urgenti, le ri-sorse disponibili, le opportunità di crescita e disviluppo, la nuova centralità del territorio hannobisogno di attenzione e di sostegno. E proprioqueste questioni devono essere centrali nell’in-formazione: ridare voce ai problemi reali e con-creti delle persone significa cominciare ad intes-sere un percorso di dignità per le innumerevolipersone che vivono sulla propria pelle la crisi.Per questo c’è bisogno di più informazione, dipluralità di opinioni e soprattutto di sostegnoper una buona amministrazione e per una politicadi qualità, che sappia gestire bene le poche risorseed evitare sprechi e privilegi che rendono il si-stema insostenibile. Quello che ci vuole è un pro-getto di medio-lungo periodo nel quale si disegniil futuro della comunità. Ma per questo è urgenteritrovare il filo delle cose importanti. E per fareciò dobbiamo riuscire a superare le criticità del-l’informazione locale. Questioni che sono state aperte nel corso dei la-vori di confronto e che entreranno a far parte diuna piattaforma unitaria che sarà presentata alle

istituzioni e alla parte datoriale, agli editori: pro-blemi economici crescenti, continui riassetti pro-prietari, professionalità degli operatori e loro dif-fuso precariato; ma anche prospettive e soluzioniche vadano oltre i contributi pubblici e istituzio-nali.La carta stampata e le tv, infatti, non riescono agenerare fatturati economici sufficienti alla lorostessa sopravvivenza; mentre l’informazione online per il momento rimane solo un’interessanteprospettiva. Da questo il permanere di un climadi precarizzazione preoccupante, che finisce conil non offrire sbocchi professionali a giovani purmolto preparati e scoraggia la nascita di nuoveimprese editoriali. Per questo, anche nell’incontro,è stato ribadito un rischio preoccupante, anche esoprattutto in termini di democrazia: l’editoria,in alcuni casi, potrebbe essere scelta come formadi investimento da chi ha interesse ad orientareo manipolare l’informazione. Fragilità impren-ditoriali e condizionamenti esterni hanno fattosembrare parte dell’informazione un’ house organdei sistemi di potere. A ciò si aggiunge la facilitàcon cui alcuni politici e personaggi pubblici ri-corrano alle querele, quale ulteriore elemento dicondizionamento.In questo contesto, le associazioni di rappresen-tanza sono chiamate a interpretare il proprioruolo fino in fondo. Perché la società post sinda-cato e post informazione libera è anche una so-cietà con meno diritti e meno democratica. In questa battaglia le forze della rappresentanzasociale e del sistema dei media e della cultura lo-cali devono rimanere unite. Tutti insieme, nel ri-spetto dei propri ruoli e delle proprie autonomie,si può provare a lavorare per il superamento dellediffidenze, iniziando a mettere al centro con de-terminazione i problemi reali delle persone. Ciòper provare a tornare ad essere i pilastri del plu-ralismo di una democrazia rappresentativa, in-clusiva e partecipata, a garanzia del controllo delpotere e di servizio attivo all’opinione pubblica.Con questo obiettivo, il forum con le redazionidi fine settembre vuole essere un punto di par-tenza, un inizio di confronto e collaborazioneper essere, riprendendo un pensiero di JosephPulitzer, con il potere come il cane con il lam-pione e non come il cane con un signore con ilbiscottino in mano.*Segretario generale regionale Cisl Umbria

9p o l i t i c aottobre 2015

Informazione locale

Un articolo al costodi una colazione al bar

Ulderico Sbarra*

I

ParoleSabotaggioJacopo Manna

“Saboter = lavorare male e in fretta, come noidiciamo acciabattare, e saboteur = cattivo ope-raio. Ora la parola sabotage acquistò in Francianuovo senso: cioè indica un sistema di rap-presaglia che consiste nel distruggere e gua-stare gli istrumenti del lavoro e il loro pro-dotto. Forma subdola di sciopero. Così ilcuoco brucerà le vivande, il panettiere metterànella pasta sostanze sudice e nocive, il came-riere verserà gli intingoli addosso ecc.”. Alfredo Panzini nel 1908 rappresentava per-fettamente la mentalità standard del medioborghese italiano, che lo ricambiava leggendocon approvazione i suoi frequenti articoli sullastampa conservatrice e diffondendo il suo“Dizionario moderno della lingua italiana”dal quale è tratta questa citazione. Di Panzinisi diceva che fosse antifascista perché il fasci-smo era per lui una cosa eccessivamentenuova; a leggere la sua definizione viene dacrederci davvero. Gli sfuggono, della tecnicadel sabotaggio, almeno due cose: la dimen-sione industriale e il danno economico, ridu-cendosi tutto a una serie di dispetti artigianali(e però con l’aggravante morale di essere sub-doli). Una novantina di anni dopo, il “Grande di-zionario della lingua italiana”, fondato dallinguista Salvatore Battaglia, mostrava ovvia-mente ben altra consapevolezza: “Ciascunodei vari tipi di comportamenti, tenuti da qual-siasi soggetto, ed in particolare da lavoratoridipendenti […] nel quadro di forme radicalidi lotta politico-sindacale ispirata a ideologierudimentali e aggressive. […] Tali comporta-menti, siano essi ispirati a ragioni economico-sindacali o a ragioni politiche, sono conside-rati come delitti dal vigente codice penale”.Nella definizione neppure si ipotizza che “ru-dimentale ed aggressivo” possa essere inveceil potere contro cui viene utilizzata, come ex-trema ratio, la tecnica del sabotaggio quandotutti gli altri strumenti di trattativa o lottasiano risultati infruttuosi: questa voce è statapubblicata nel 1995, ma il ciclo di lotte deglianni ‘70 aveva lasciato parecchi conti in so-speso e se ne vedono le tracce persino nellalessicografia. Il fenomeno è cresciuto nel tempo: non sispiegano altrimenti certe reazioni pavlovianedi fronte a determinate parole, capaci di ge-nerare terrore ed anatemi non appena si af-faccino all’orizzonte; e la sconfitta storica dellasinistra italiana coincide con l’estensione deivocaboli impronunciabili. Si cominciò, sottoCraxi, con sfruttamento, seguìto a ruota daclasse sociale, plusvalore, operaio, conflitto (ri-voluzione era parola anestetizzata da lungotempo).Grazie alla buona volontà del nostro arco par-lamentare la lista in pochi anni si è ampliatafino a comprendere occupazione/disoccupa-zione, licenziamento, uguaglianza; sciopero stafacendo resistenza ma ci finirà anche lui, eper sinistra vedasi quanto già detto a rivolu-zione. Sabotaggio era sfuggito alla bonificagenerale come certi parenti dai trascorsi umi-lianti, della cui esistenza in famiglia ci si di-mentica a forza di non farne mai il nome:finché un giorno bussano alla nostra portaricordandoci, nell’imbarazzo generale, che ilmondo non finisce col salotto di casa. In que-sto mondo esistono, per esempio, ancheforme di potere cui l’efficienza ipertecnologicanon ha tolto nulla né dell’antica rozzezza (nelrespingere come insignificanti le obiezionidella controparte) né della nuova aggressività(il cui raggio di estensione è ormai mondiale).Non sono i lavoratori dipendenti, i disoccu-pati, gli espropriati di diritti e tutele, i rifugiatieconomici, gli scampati a guerre non loro, adavere voluto alzare il livello di conflitto. Nonsi limiteranno, se il caso, a bruciare le pietanzeo a rovesciare il piatto unto sulle ginocchiadel cliente.

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10s o c i e t àottobre 2015

a politica umbra non sembra appassio-narsi più di tanto alla “Strategia delleAree interne”. Forse il tema odora di dé-

cadence, rischiando di contaminare l’incantesimodella dolcissima Arcadia umbra, celebrata dalle im-magini Sensational di McCurry. Oppure perchél’area-pilota sperimentale coincide in larga partecon l’Orvietano, terra, com’è noto, “diversamenteumbra”. Ma al di là del costume c’è una ragionepiù seria: l’impermeabilità della matrice culturaleche informa le politiche regionali di programma-zione. Impermeabilità a tutto ciò che è difformedal mainstream burocratico, dall’ortodossia neoli-berista, dal convenzionale. Contribuisce anche lascarsità di risorse destinate ai progetti dell’area-pi-lota: 3,7 mln di euro dalla Legge di stabilità e circa8 mln, da qui al 2020, dai fondi europei Fears, Fsee Fesr. La “Strategie delle Aree interne” è un’ideadi Fabrizio Barca. Nel 2012 l’allora Ministro dellacoesione prende sul serio Manlio Rossi-Doria e lemetafore dell’osso (aree interne) e della polpa (lezone costiere e pianure). Barca rileva gli esiti (in-fausti) del rapporto squilibrato tra osso e polpa nelMeridione, scoprendo che fenomeni analoghi sistanno verificando, seppur con minor evidenza,anche in altre zone d’Italia, che spesso hanno subitoil combinato disposto di illusioni e aggressioni.L’Arcadia, vissuta dagli abitatori metropolitani neiweek-end, a volte si trasforma in una specie diverde esilio dai diritti e dalle opportunità. E quandosi esce dal pittoresco i dati raccontano una storiadi lento e inesorabile processo di erosione che coin-volge il territorio, le comunità, i saperi tradizionali.Le aggressioni coincidono con le politiche di svi-luppo che negli ultimi vent’anni hanno spalmatosulle campagne quantità stellari di cemento e, intempi recenti, dubbie operazioni legate alle energierinnovabili.Da qui, una strategia nazionale per rimettere inequilibrio i tre assi dello sviluppo: le città, il Sud ele Aree interne. Per Area interna i documenti mi-nisteriali intendono “quella parte del territorio na-zionale distante dai centri di agglomerazione e diservizio e con traiettorie di sviluppo instabili ma altempo stesso dotata di risorse che mancano allearee centrali, ‘rugosa’, con problemi demograficima al tempo stesso fortemente policentrica e conelevato potenziale di attrazione”. Una sintesi esem-plare di minacce e opportunità su cui intervenirecon misure ad hoc. Le aree sono state individuatesecondo indicatori oggettivi (demografici, geogra-fici, sanitari, scolastici, produttivi) e, di concertocon le regioni, selezionate in vista di una prima

fase “prototipale”. L’obiettivo è invertire nel prossimo decennio iltrend demografico negativo attraverso una dupliceazione di promozione del mercato e ripristino dicittadinanza. La prima azione punta sulle iniziativedi sviluppo locale; la seconda sul riequilibrio del-l’offerta dei servizi di base - scuola, mobilità, salutee connettività a banda larga - concepiti come “pre-condizioni dello sviluppo”.Dalla ripresa demografica ci si attende una serie diretroazioni positive: riutilizzo del capitale territoriale,ricostituzione della vitalità delle comunità locali,efficienza dei servizi di base, custodia degli equilibriagro-forestali e idrogeologici.L’idea è buona. Nel principale documento mini-steriale qualche perfida manina introduce addirit-tura il tema della civilizzazione del mercato e del-l’esigenza di rieducarlo in verso fini coerenti con la“sostanza umana e naturale” della società. Del restoalle prime fasi del progetto partecipano, oltre a eco-nomisti statistici e demografi e geologi, storici (PieroBevilacqua) e poeti-paesologi (Franco Arminio), edi questo métissage qualcosa nei documenti è ri-masto: nelle pratiche, per ora, un po’ meno.Veniamo allora all’Umbria e alle sue tre zone in-terne: Umbria sud-ovest, Umbria nord-est e Val-nerina. A inaugurare il percorso di programmazionesarà la prima, con Orvieto a far da baricentro traCittà della Pieve-Alto Orvietano e l’area dalla BassaTeverina. Venti comuni, la terza area interna d’Italiaper numero di abitanti, la quarta per superficie.Tra pochi giorni sarà consegnata alla Regione e alDipartimento per la Coesione la “Strategia d’Area”che, successivamente affinata, condurrà alla firmadell’Accordo di programma quadro, dentro il qualesaranno indicati priorità e progetti fondamentaliin relazione sia ai servizi di cittadinanza sia allo svi-luppo locale.Il percorso si presenta lungo e complesso. Per quelche ci è sembrato di vedere, e saremmo felici di es-sere smentiti dai fatti, l’esito resta ambiguo. Unpo’ perché l’antico riflesso pavloviano - “ci sono isoldi da spartire!” - è sempre in agguato; un po’perché i percorsi d’integrazione delle politiche diarea non sono esattamente il punto di forza di que-ste terre. La Regione Umbria ha in qualche modoaccentuato quest’ultima difficoltà, mischiando“mele e pere”, vale a dire territori che storicamentesi riconoscono in diverse centralità (forse ha inter-ferito la discussione sulla legge elettorale). In ognicaso è difficile avviare una programmazione strate-gica comune in un territorio geloso delle proprieprerogative municipali: prova ne sia la difficoltà

con cui sono state individuate le due funzioni daassociare obbligatoriamente (catasto e protezionecivile). In ogni caso, fuori dagli uffici comunali c’èvita e il nuovo potrebbe venire anche proprio dalleforme auto-organizzate della società. La “Bozza di strategia dell’area interna pilota” del-l’Umbria sud-ovest, propedeutica alla “Strategia”vera e propria, è un documento che indica le criti-cità, l’idea guida, le soluzioni. L’idea guida è “unapproccio integrato alla filiera della conoscenza, trainnovazione e tradizione”. La definizione lascia unpo’ perplessi, e il risultato è una sommatoria diprogetti piuttosto che un disegno sistemico. “Ilcontenuto della Bozza di strategia - commenta ilComitato tecnico del Dipartimento - è� molto riccoma manca ancora un’idea guida che racconti l’area,le singole cose interessanti appaiono come tantissimiframmenti scollegati. Bisogna selezionare”. L’im-pressione è che il termine “conoscenza” sia unavernice postmoderna per coprire la tenace resistenzadel “particulare”. A noi pare che alle spalle di questi frammenti pro-grammatici agisca il consueto “frame” egemonico“californiano” in salsa umbra, per cui l’unico svi-luppo è rappresentato dalle start up, possibilmentedigitali. Ma come queste possano diventare volanodi sviluppo di un’intera area è un vero mistero. Ladifficoltà è segnalata anche da un commento delComitato: “Immettere ideologia e strumenti delmondo start up in un’area interna a bassa capacita�imprenditoriale, cosi� come si legge nel paragrafoSapienze locali, arte del fare, innovazioni, puo� essereuna sperimentazione interessante, ma occorre unragionamento approfondito su come si declina ilmondo start up in un contesto quale un’area in-terna”. Tutto ciò è degno di attenzione perché do-vrebbe obbligare tutti, non solo i comuni, a ripen-sare strumenti, metodi e obiettivi, a cominciaredalla Regione Umbria.Non è pensabile di risolvere problemi di portatastorica costringendoli nel letto di Procuste dellaburocrazia, delle start up innovative e dei manualidi progettazione europea. I territori, specie quellipiù fragili, dovrebbero poter contare su un contri-buto di persone e di intelligenze messe al lavoro sulcampo e non chiuse dentro il Broletto o a PiazzaItalia. C’è l’università, ci sono i ricercatori auto-nomi, gli animatori (senza scopo di lucro) dellosviluppo… Serve più coraggio, più conoscenza deiterritori e della loro storia, più virtù sperimentali.E dopo i sogni californiani diventa di un certo in-teresse capire come si faceva territorio al tempo diPapa Re e del Granduca di Toscana.

Al via i progetti pilota

Una chanceper le aree interne

Girolamo Ferrante

L

l sistema industriale italiano è ormai ca-ratterizzato dalla dismissione, primadelle produzioni e poi degli immobili.

L’Umbria non fa eccezione, nel suo territorionon mancavano aree industriali in zone di-ventate centrali in seguito all’espansione ur-bana. Per fare solo qualche esempio, a Perugial’area della vecchia fabbrica della Perugina aFontivegge è stata trasformata in centro dire-zionale e residenziale, a Terni lo stabilimentochimico ex Siri è diventato un centro per learti contemporanee. Molti altri siti sono in attesa di essere ricon-vertiti ad altre funzioni. Spesso l’attesa di que-sta nuova destinazione è così lunga che tuttoil quartiere subisce le conseguenze dell’abban-dono con il degrado. E’ il caso dell’ex tabac-chificio di Via Cortonese a Perugia che aspettauna nuova destinazione d’uso dall’interruzionedell’attività nel 2001. In questi quattordicianni se ne sono sentite di tutti colori, dandol’impressione che le varie amministrazionisiano andate avanti per tentativi in mancanzadi un’idea di città. Solo su sollecitazione deiresidenti, che lamentavano l’occupazione abu-siva degli edifici abbandonati da parte di per-sonaggi poco raccomandabili, è stato avviatoun dibattito, per inziativa della stampa o diqualche associazione civica, perché le ammi-nistrazioni non hanno attivato tavoli di parte-cipazione per discutere con i cittadini circa lanuova destinazione dell’area. Fuori dall’utopiadella partecipazione c’è chi ha proposto di faredell’area un polo tecnologico avanzato e unmuseo scientifico, e sarebbe stata una buonaidea da sviluppare. Intanto l’assessora comu-nale all’urbanistica annunciava l’ordinanza didemolizione del 90% delle superfici entro iprimi mesi del 2012, ma il complesso è ancoralì. Ma se l’abbandono dovesse persistere sa-rebbe difficile preservare la ciminiera e la pa-lazzina uffici, forse unico segno in città delrazionalismo italiano, su cui era intervenutoanche Pierluigi Nervi. In questi giorni l’area è di nuovo al centrodell’attenzione per una variante urbanisticache la vuole prevalentemente residenziale: dun-que nessuna funzione particolare, ma una clas-sica speculazione edilizia. Si parla di housingsociale di qualità, in classe ambientale B, peruna quota superiore al 50%, edilizia residen-ziale privata per il 15% e 35% servizi. L’inve-stimento più corposo, quindi, è quello che ve-drebbe la realizzazione di residenze daassegnare in convenzione a chi non può acce-dere all’edilizia privata, insomma una speciedi moderna Ina Casa, ma gestita dal privato,che viene ritenuta più affidabile ed efficientedel pubblico.Infatti la proprietà è di una società partecipataal 50% dalla Cassa Depositi e Prestiti Immo-biliare che ha incaricato del progetto una Fon-dazione della Cariplo specializzata nel settore.E’ lecito avere qualche dubbio sulla economi-cità delle garanzie richieste dal gestore privatoal cliente di questo progetto sociale, ma forsela differenza tra libero mercato e convenzio-nato verrà pagata dai cittadini, cioè dalla CassaDepositi e Prestiti o dal comune di Perugia.Con buona pace di chi vive davanti ad uncantiere di edilizia privata in classe ambientaleA incompiuto e abbandonato da anni come il“Solaria” a Ponte S. Giovanni, per non parlaredi tutti gli altri residenziali invenduti. L’espe-rienza ha insegnato, evidentemente, che a Pe-rugia si vende meglio la classe ambientale Bin convenzione. Ma sarà vero?

L’ex tabacchificiodi PerugiaDismetteree delocalizzareAnna Rita Guarducci

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a completa esternalizzazione del ser-vizio di refezione scolastica per lescuole dell’infanzia e primarie di Pe-

rugia è compiuta. L’amministrazione ha con-segnato, previa gara, il servizio comprensivodell’acquisto derrate, prima di competenza deigenitori in convenzione con il Comune, allaAti, composta da Elior, B+ (costola del Con-sorzio Abn), Cirfood, Allfoods, “due società dicapitali e due cooperative che parlano conun’unica voce” (come ha tenuto a specificareRiccardo Fioriti di Elior). Inascoltati i genitoriche per un anno hanno protestato raccogliendofirme contro il progetto, chiesto incontri e ten-tato un dialogo costruttivo con le parti per tro-vare alternative che non disperdessero l’espe-rienza di partecipazione dei comitati mensa escongiurassero l’abbassamento della qualità delservizio.Al banco di prova della riapertura delle scuoleil servizio, peraltro non da rodare poiché le dittecitate gestivano già le cucine, ha immediata-mente rivelato gli aspetti negativi a lungo pa-ventati dai genitori: poca gradibilità del pasto,scarsa qualità della materia prima - come di-mostra la presenza continua di lische nel pesceservito (fatto gravissimo considerando che amangiarlo sono bambini e bambine tra i tre e isei anni) - bambini che tornano a casa affamati,continue sostituzioni nel menù a causa di for-niture che non arrivano in tempo, acqua di ru-binetto somministrata senza controllare lo statodelle tubature delle scuole, molte delle qualidecisamente vecchie e senza effettuare analisidelle acque, come richiesto anche ai ristorantiche servono acqua di rubinetto, mentre è notoche in molti plessi l’acqua è piena di residui.Inoltre né il Comune né il gestore hanno prov-veduto a fornire, a inizio anno, le brocche divetro, così nei primi giorni in alcuni plessi l’ac-qua di rubinetto è stata servita in bottiglie diplastica riciclate e nel pomeriggio i bambini si

sono attaccati ai rubinetti dei bagni. Le stovigliein plastica, lungi dall’essere eliminate come ri-chiesto, vengono fornite dal gestore e viene uti-lizzata plastica anche dove prima non si utiliz-zava. A ciò si aggiunge un drastico cambio dimenù che, pur deciso dalla Asl, come negli annipassati, non risulta gradito ai piccoli e per ilquale la Asl non ha previsto, inspiegabilmente,alcun monitoraggio. Tale menù, inoltre, vederidotte le grammature di carne (da 80 a 50 g),pesce, formaggio (da 50 a 40 g), frutta fresca(da 150 a 100 g), secondo linee guida regionaliche però non recepiscono le linee guida nazio-nali in fatto di refezione scolastica.Le lamentele dei genitori sono moltissime e ar-rivano direttamente in Comune, al dirigentedel servizio e al sindaco, ma tutto tace. La cosapiù grave è che il Comune non abbia predispo-sto una Carta dei servizi, né elaborato un pro-tocollo per i controlli da parte dei rappresentantidei genitori: anche questa una prassi consolidatanegli anni che poteva semplicemente essere rei-terata. Invece è stata sospesa, non si sa comemai. O meglio, con la promessa di un fanto-matico “tavolo paritetico” tutto da costruire,prima del quale pare impossibile poter accederee controllare il servizio che intanto continua acreare ogni giorno problemi nuovi alle famiglie. Ad oggi, a oltre un mese dall’inizio delle lezioni,non si conoscono ufficialmente i fornitori, néle schede dei prodotti e la loro provenienza. Siconoscono invece i numerosi problemi e so-prattutto lo spreco indicibile che un servizio diquesto genere sta generando: l’80% delle por-zioni, di primo o di secondo, tornano in cucina,il pane è definito “immangiabile”, l’olio disgu-sta. Il Comune tuttavia, pagherà al gestore i pasti“consumati” compresa la parte buttata nellaspazzatura, 4,88 euro (base d’asta aumentatarispetto allo scorso anno) a bambino. I genitoripagheranno la quota intera indipendentemente

dai pasti consumati dalla prole (non si tieneconto neppure delle assenze) e senza più averequell’avanzo che permetteva il finanziamentodelle attività didattiche e favoriva l’inclusione.Così il risparmio, ammesso che ci sia, si tradurràin profitto per i gestori.Nonostante i proclami il sindaco è il grande as-sente dell’intera vicenda, tutta delegata ad as-sessore e dirigenti. L’amministrazione sfugge ilconfronto e rimanda a data da definire anche ilConsiglio grande richiesto dall’opposizione sultema dei servizi all’infanzia. Ma i genitori nonci stanno e molte sono le iniziative per essereascoltati.Nonostante i tempi ristretti per procedere, duescuole, la Cena-Calvino di Perugia città e laGandhi di San Martino in Campo hanno fattoricorso al Tar contro l’esternalizzazione per ra-gioni di “incompetenza della giunta che nonpotrebbe deliberare nemmeno in via di urgenzain materia di organizzazione dei pubblici servizie per violazione dei principi di trasparenza epartecipazione.” Gli altri comitati mensa dellacittà e le associazioni genitori che a causa delrinnovo dei consigli, tenuti proprio nei giorniin cui scadeva la possibilità di fare ricorso, nonhanno potuto aderire, hanno inviato una letteraal Tar in cui condividono pienamente le ragionidel ricorso. L’amministrazione dunque non po-trà difendersi dicendo che tutti gli altri concor-dano con la scelta fatta.Il Comune e la comunità perugina hanno persoun’esperienza di cogestione del servizio che nonsolo interpretava nel modo migliore il principiodi sussidiarietà dell’art. 118 della nostra Costi-tuzione, ma realizzava un reale civismo, creandoun clima di fiducia e di benessere importantis-simo in un contesto come quello della scuola edei servizi all’infanzia. Un’alleanza famiglie-isti-tuzioni che ora si è rotta. E non sappiamo a be-neficio di chi.*Consigliera comitati mensa

11s o c i e t àottobre 2015

Dopo l’esternalizzazioneaumentano i problemi

Mense, cui prodestPatrizia Tabacchini*

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Chipsin UmbriaSensibilitàa tavolae in reteAlberto Barelli

iera del consumo critico e degli stilidi vita sostenibili. Naturalmente nonstiamo parlando dell’Expo, bensì della

rassegna che ai primi del mese ha visto riunitiin Umbria consumatori consapevoli, associazioniimpegnate in campagne contro lo spreco ali-mentare, nonché i sostenitori dell’open source.Se lo scorso mese ci siamo occupati dell’interes-sante iniziativa svoltasi all’isola Polvese, i cui la-vori si sono incentrati in particolare sulla lottaallo spreco, la seconda edizione dell’appunta-mento sul consumo critico tenutosi a BastiaUmbria ci conferma come la regione sia terrafertile per la promozione di attività messe inpiedi sulla base di una logica ben diversa rispettoa quella che ha finito per caratterizzare l’eventoin programma a Milano. Non a caso, ed è questoche ci preme evidenziare, il filo conduttore delledue manifestazioni umbre è stato il ruolo daprotagonisti del movimento a favore del softwarelibero. Un riconoscimento va al Gnu/Linux usergroup di Perugia che ha saputo ancora una voltatessere la propria tela, soprattutto fornendo ideee contenuti che hanno arricchito e reso più in-teressante il programma dei vari appuntamenti.In effetti, in piena epoca digitale, quale migliorcontributo per uno stile di vita sostenibile chefar rivivere un computer di cui Windows ha de-cretato la morte, facendolo tornare ad essere ingrado di svolgere pienamente i propri compiti?L’installazione di sistemi operativi open sourceper allungare la vita anche ai computer più ob-soleti ha rappresentato anche quest’anno l’atti-vità centrale attorno alla quale è stata pensata lapresenza dell’associazione. A tale tema sono statidedicati parte degli incontri promossi negli spaziconferenza, mentre l’altro terreno su cui si èscelto di puntare i riflettori è stato quello dellascuola. La diffusione della piattaforma Libreof-fice negli istituti regionali ha raggiunto da annibuoni traguardi e le esperienze messe in campooffrono ormai innumerevoli spunti di riflessionee soprattutto la conferma della validità di talestrada per fare fronte anche ai tagli alle risorse eai costi dei sistemi operativi proprietari. Occa-sioni per qualche lezione più approfondita sonostati, sempre questo fine mese, gli incontri pro-mossi sia ad Orvieto che a Perugia per il LinuxDay, l’appuntamento annuale più atteso dai so-stenitori del pinguino. Insomma per il softwarelibero umbra è sempre primavera, l’autunnosembra calare soltanto sull’Expo.

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utrire il Pianeta, energia per la vita”questo è il tema dell’Esposizione uni-versale 2015, iniziata lo scorso 1°

Maggio e ormai giunta quasi al termine. Con la suaarea espositiva di 1.1 milioni di metri quadrati ecirca 140 Paesi partecipanti, ha raccolto un copiososciame di visitatori spinti dalla curiosità verso unevento così dibattuto e potenzialmente così “im-portante”, sia per i temi proposti che per gli investi-menti fatti.Di Expo si è sentito molto parlare già prima cheaprisse i battenti per la corruzione ormai legata, conun meccanismo quasi deterministico, alle grandiopere. Naturalmente, visto il nome che porta el’obiettivo che si prefiggeva, l’inizio è stato comeuna prima nota stonata in una sinfonia.Come in tutte le storie che si rispettano, si è cercatodi coprire le voragini organizzative presenti con ognisforzo e ad ogni costo. Bisognava rispettare i tempi,recuperare quelli perduti e naturalmente non si èbadato a spese. Il costo complessivo per l’Esposizioneuniversale è stato stimato a circa 14 milioni di euroma, dalle notizie che si hanno, sono cifre che po-trebbero salire visto che il costo del solo padiglioneItalia è passato dai 63 milioni previsti ai 92 effettivi.Ad oggi, ancora, non sappiamo bene quanto questaopera graverà nelle tasche dei contribuenti. Le pra-tiche economiche legate agli extra costi degli appaltinon sono state ancora archiviate e i ricavi sono perora sconosciuti.Ci si è mossi al ritmo del “fate presto”. Si è corsocosì tanto da dimenticarsi di aprire i bandi di garaper assegnare alcuni degli appalti, lo si è fatto conuna naturalezza così spietata che pure la Corte deiconti si è pronunciata a riguardo. La più clamorosagara vinta senza essere bandita è stata quella che havisto destinare due padiglioni, 4 mila metri quadraticiascuno, a Eataly, di Oscar Farinetti. Che dire, forsenessun altro avrebbe potuto esserne all’altezza? Infattiquesto presunto abuso si è magicamente travestitoin azione benefica che il magnate di Eataly ha desti-nato all’Italia tutta per rappresentare con orgoglio ilnostro Paese. Un entusiasmo da primi della classeche, se non controllato, può calpestare i diritti deglialtri. Si sa, le accuse e le polemiche le attraggonotutti quelli che sono disposti a sporcarsi le mani,che non lasciano fare agli altri quello che l’urgenzarichiede; coloro che mettono l’azione al centro delloro mandato e lo portano in fondo con dignità.Tuttavia quando si parla di dignità non si può pre-scindere dal rispetto di principi, regole, che a voltesono anche non scritte.A McDonald’s è stato destinato uno spazio com-plessivo di 600 metri, per un totale di 300 posti. Ilcolosso del fast food statunitense, in qualità di spon-sor ufficiale di Expo, si è preso carico di illustrare almondo, assieme a Coca Cola, la sana e corretta ali-mentazione. Senza bisogno di troppe parole, non èdifficile capire quali possano essere i conflitti di in-teresse per colossi economici nel farsi promotori dilinee guida su argomenti inerenti il business di ap-partenenza. Bisognerebbe prestare più attenzionenell’evitare che azioni di marketing etico, per quantolecite, interferiscano con la libertà e la veridicitànelle informazioni, soprattutto se destinate a scopieducativi e di sensibilizzazione. Hanno quindi giu-stamente attratto molte critiche le raccomandazionidell’assessore al lavoro ed istruzione della regioneLombardia, Valentina Aprea, che ha sollecitato di-rigenti scolastici ed insegnanti degli istituti regionalia consumare un pasto da McDonald’s perché piùeconomico, senza considerare il suo livello nutri-zionale o il suo impatto ambientale, aspetti che evi-dentemente non assumono importanza neanche incerte circostanze.Nel giorno dell’Italia che festeggia il lavoro, Expoapre i cancelli. I primi mesi sono una timida escala-

tion, i visitatori ci sono, ma non quanti attesi. Sonosoprattutto le scuole, prima della fine dell’anno sco-lastico, ad organizzare una visita all’Esposizione uni-versale di Milano. Così, accompagnati dagli inse-gnanti, arrivano ad Expo per una visita educativacentinaia di giovani, generazioni che giocherannoun ruolo chiave e che dovranno fare rinunce per ga-rantire che questa terra diventi sostenibile. Si sonotrovati di fronte chilometri di padiglioni, personaggi

colorati vestiti da frutta e verdura, musica, immagini,piante, culture da diverse parti del mondo. Certa-mente la visita ad Expo avrà fatto sì che in classe gliinsegnanti abbiano dedicato del tempo a sensibiliz-zare i ragazzi al tema della nutrizione e della soste-nibilità, ma dubito la visita in sè abbia avuto unavalenza di molto differente a quella ad un gran parcogiochi.L’estate calda non aiuta ad attrarre visitatori. A set-

tembre ed ottobre, ad un passo dalla chiusura, le vi-site ad Expo registrano un’impennata, tanto che siè addirittura pensato di prolungare la chiusura del-l’evento. Il visitatore tipo è un cittadino comune,curioso, che forse vorrebbe sapere come contribuiread una causa, o capire quale ruolo ha in una pro-spettiva globale, altre volte è li solo per fare un giroe mangiare “gratis”: ognuno di questi scopi, nobileo meno che sia, molto probabilmente, non verràsoddisfatto. Per i molti, più sfortunati o fortunatiche dir si voglia, il caso ha almeno permesso di avereun assaggio di cosa significhi vivere in un mondosuper popolato: si sono raggiunti picchi di circa 270mila presenze giornaliere, e quando le risorse sonolimitate, questo comporta rinunce e lunghe attese. Entrando dall’ingresso principale di Expo si trova ilPadiglione zero, allestito dalle Nazioni unite, en-trandovi si prende visione delle maggiori forze chemettono a repentaglio la sostenibilità del pianeta ela sicurezza alimentare mondiale. Sicuramente unallestimento ben curato che però non dà alcun ruoloal visitatore, non lo rende protagonista ma lo lasciaallo stadio di mero osservatore non permettendo dicreare alcuna coscienza partecipativa. Dal Padiglionezero, con il tempo scandito da attese, ci si inoltratra quelli dei vari paesi che si snodano lungo il De-cumano, l’arteria principale di Expo lunga circa 1.5chilometri. Ogni paese partecipante ha allestito unospazio espositivo, ma forse nel farlo in pochi hannoritenuto il tema dell’edizione un fattore vincolante.Così quella che doveva essere l’esposizione riguar-dante le sfide e le soluzioni in tema di alimentazioneed energia è diventata, per lo più, una fiera di arte,cultura e turismo. In molti dei padiglioni, salvo ec-cezioni, si tenta direttamente o indirettamente dipromuovere un territorio, la sua cultura, la musicae la cucina che a volte può essere assaggiata alla finedella visita a prezzi medio-alti. Il Cardo, la secondaarteria che attraversa il Decumano, ospita gli standdi alcune regioni d’Italia, Palazzo Italia e l’alberodella vita. Anche qui si respira la stessa aria, quelloche interessa è promuovere una terra, incentivare ilturismo; tutto lecito, ma naturalmente, in questaottica la sostenibilità e la sicurezza alimentare ven-gono relegate ad una zona di penombra.Un’ Expo che tratta i temi di alimentazione e soste-nibilità esiste, ed è quella delle tavole rotonde, degliinterventi, dei seminari, tuttavia questa anima è perdi più sconosciuta al visitatore “turistico”. Così,Expo che guarda al futuro mostra tutto il suo ana-cronismo che ricorda quello di una struttura socialepiramidale, tipica del medioevo. Qui la scienza, nonincontra il popolo, la si relega ad un mondo parallelo,quasi surreale, non dedicandole neanche un padi-glione. Solo nel “Future food district”, in qualchemodo, si cerca di stabilire un legame tra cibo e tec-nologie innovative. Qui, si trovano tutte le correntifilosofiche sull’alimentazione, da quelle dei puristi,i savonarola del cibo, a quelle laissez faire, ma ognunadi loro rimane arroccata nelle proprie idee, dopoaver puntellato qualche centinaia di metri di padi-glione. Qui manca la profonda consapevolezza, cheserve dialogo, occorre educare, perché le sfide cisono e sono reali. Questi visitatori sono il nostropopolo, siamo noi, e solo un processo di democra-tizzazione dei risultati della scienza può aiutare arenderli consapevoli del loro ruolo centrale nel vin-cere le sfide in tema di sostenibilità ed alimenta-zione.Expo, un bel nome, impegnato e promettente, so-prattutto per i ben pensanti, è diventato vetrina dimolte polemiche, ha suscitato curiosità. Ora che staper chiudere i battenti, ci piace ricordarlo per quelloche pensiamo che sia, con l’augurio che vi si rendauna fine degna del nome che portava “Nutrire ilPianeta, energia per la vita”.*Economista agraria

12s o c i e t àottobre 2015

Chiude Expo, occasione mancata

Il medioevoprossimo venturo

Elena Castellari*

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Umbria all’ExpoE.C.

L’Umbria si è fatta portavoce del connubio tra le antiche tradizioni e l’aspirazione ad un futurobasato sulla creatività portando dal 31 luglio al 20 agosto il tema del convivio all’interno diPalazzo Italia. Convivium 2.0 il titolo dell’allestimento umbro, ha voluto trasmettere il tema delsaper fare, della laboriosità che si ispira alle antiche scuole degli eruditi monaci benedettini efrancescani, ma che guarda avanti nel dare vita ad idee innovative. Molte altre attività collateralisono state promosse, tutte atte a promuovere la tipicità ed il saper fare umbro, con le sue eccellenzenel manifatturiero e gli eventi culturali di qualità che la regione ospita.Parallelamente la Regione Umbria è stata presente all’Esposizione universale partecipando a nu-merose iniziative. Tra i vari eventi ricordiamo la rievocazione storica promossa dal comune diCittà di Castello che, nella scenografia del Rinascimento tifernate, ha introdotto i visitatori allaeccellenze enogastronomiche e artistiche del territorio altotiberino, in primis il centenario dellanascita del grande artista Alberto Burri.L’Università di Perugia nell’ambito dell’iniziativa Umbria. Dalla Coltura alla Cultura Alimentareha contribuito ad Expo con 100 idee progettuali (workshop, convegni, seminari, mostre, visitetecniche, etc.) organizzate da 16 dipartimenti dell’Ateneo. Gli eventi hanno riguardato le tematichedell’alimentazione in tutte le sue fasi dal campo alla tavola, all’ educazione alimentare, alla tutelae valorizzazione dei prodotti, alla comunicazione e all’arte che trova sua ispirazione nei temi delcibo e della sostenibilità.Tra le molte attività di particolare interesse è, infine, l’iniziativa Don’t Waste our Future! promossoda Felcos Umbria (Fondo di enti locali per la cooperazione decentrata e lo sviluppo umano soste-nibile), con il patrocinio della Regione e di Anci. L’Umbria si fa capofila nella lotta contro glisprechi alimentari coinvolgendo dieci partner di sette paesi europei, associazioni, enti locali, uni-versità ed Ong. L’evento rivolto ad amministratori ed attori della filiera agroalimentare ha comescopo quello di confrontarsi per creare linee guida contro lo spreco alimentare che verrannoraccolte nella Carta Don’t waste our future 2015 - Manifesto europeo dei Giovani e degli entilocali per la riduzione dello spreco alimentare e per il diritto globale al cibo.

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viluppato a partire da un rapportocommissionato dal think tank britan-nico Demos per convincere il governo

Cameron sull’inopportunità dei tagli alla spesapubblica, il libro di Mariana Mazzucato Lostato innovatore. Sfatare il mito del pubblico con-tro il privato (Laterza, Roma-Bari 2014) unisceal piglio del pamphlet di attualità il respiro delsaggio teorico. A partire dalle urgenze dellacrisi, passando in rassegna la storia economicadegli ultimi decenni, Mazzucato rimette in di-scussione il ruolo dello Stato nel sistema eco-nomico, rovesciando l’immagine - che il pen-siero economico dominante ha trasformato insenso comune - di una struttura pubblica sta-tica, zavorra che blocca il dispiegamento dellanaturale dinamicità dell’impresa privata. Se-condo questo schema di ragionamento nell’areaUe la crisi avrebbe colpito più pesantemente i“Pigs” per via di un bilancio pubblico appe-santito da un eccesso di spesa. In realtà nonsolo il debito pubblico di questi paesi si è con-giato in conseguenza della crisi, ma la vera dif-ferenza rispetto, ad esempio, alla Germaniaconsiste nell’esiguità della spesa pubblica neicampi della ricerca e all’innovazione. Le poli-tiche di austerità hanno in tal modo un doppioeffetto recessivo: da un lato deprimono la do-manda, dall’altro diminuiscono ulteriormentegli investimenti, in particolare quelli destinatiall’innovazione teconologica, già di per sé pocoperseguiti dai capitali privati, orientati versorealizzi a breve termine.Mazzucato dimostra come, contrariamente allavulgata corrente, nell’era dell’economia dellaconoscenza questa tendenza si accentui: i capi-tali privati tendono a evitare i settori ad altorischio tecnologico ed alta intensità di capitalie la storia di molti comparti conferma l’assuntokeynesiano secondo il quale è lo Stato a doverfare quello che i privati non vogliono o nonsono in grado di fare.Ma il ruolo dello Stato non va ridotto alle mi-sure anticicliche (peraltro invocate nei periodidi crisi anche dai più incalliti liberisti): esso èdecisivo non solo nel “salvare” ma nel promuo-vere lo sviluppo. Già Polany ne La grande tra-sformazione (1944) aveva dimostrato come lapiù tipica manifestazione dell’economia capi-talistica, il mercato nazionale, sia una creazionestorica, artificiale, frutto di un’azione secolareda parte delle autorità pubbliche. Ancora: allabase di alcuni salti di paradigma tecnologicifondamentali vi è l’apporto fondamentale degliinvestimenti e delle competenze dello Stato,che ha assunto il ruolo schumpeteriano di “im-

prenditore innovatore”. Questo è il punto cruciale che Mazzucato af-fronta con una serrata “battaglia discorsiva” euna puntuale dimostrazione storica: propriosul terreno dell’innovazione si ribalta l’imma-gine consueta che contrappone di capitali pri-vati dinamici ad uno Stato inerte e burocratico.In realtà in diversi settori lo sviluppo tecnolo-gico e di mercato, che ha reso ricchi e degni diammirazione aziende e manager, ha alle spalledecenni di investimenti ad alto rischio soste-nuti dalla mano pubblica. Non si tratta di settori marginali: gli esempianalizzati da Mazzucato si riferiscono a indu-strie di punta, ad altissime intensità tecnologica,portate (a torto) come prova della superioreefficienza dei mercati: le biotecnologie, l’infor-matica, la “rivoluzione verde”. L’industria farmaceutica e delle biotecnologieè un esempio patente della “divisione del lavoroinnovativo” che caratterizza l’economia del se-condo dopoguerra. Le grandi case farmaceuti-che giustificano gli altissimi prezzi dei prodottie il blocco alla liberizzazione delle licenze per i“generici” come equa ricompensa per i propriinvestimenti in ricerca: in realtà nella stragrandemaggioranza dei casi i farmaci realmente nuovi(le nuove molecole) sono il frutto della ricercadi base, promossa e finanziata (o cofinanziata)dai governi e condotta in strutture pubbliche.L’industria privata interviene per lo più a valle,investendo in piccole variazioni di prodotto esoprattutto nel marketing, il che riduce i mar-gini di rischio e aumenta esponenzialmente iprofitti. Quando queste industrie invocanouna diminuzione del carico fiscale, nascon-dono che sono proprio i contribuenti adaver finanziato la ricerca di base cheha costruito i prodotti e i mercatisu cui properano. Il caso dell’industria farmaceuticaè abbastanza acclarato. Certamentemeno scontato è che questoschema, in cui lo Stato si assumei rischi maggiori e apre la stradaai profitti privati, sia applicabileal paese e al settore che rappre-sentano il simbolo del “rischiod’impresa”, rispettivamente gliUsa e l’informatica. Eppure è così: l’epopea della Si-licon valley e della “aziende dagarage”, non avrebbe potuto svi-lupparsi senza il pluriennale im-pegno di ricerca teconologicacompiuto nei laboratori del

prgetto Darpa e del Ministero della difesa. Ilpercorso di ricerca che approda ai personalcomputer e a internet trae origine dall’impegnodell’esercito e del governo Usa volto ad un si-stema di comunicazioni “sicuro” in caso diconflitto termonucleare. Il massiccio impegnodel governo Usa non si è limitato all’erogazionedei finanziamenti, ma ha costituito la colonnavertebrale della filiera tecnologica per la tra-sformazione delle ricerche in prodotti e per laloro commercializzazione. Lo Stato si è accol-lato il peso dell’investimento iniziale, quelloche comporta la massima incertezza. Su questabase si sono poi inseriti i privati: il discorsovale anche per la più celebrata impresa della“new economy”, la Apple. Mazzucato non in-tende negare le virtù innovative e il genio lun-gimirante di Steve Jobs. Ma questo consiste es-senzialmente nella capacità di adattare aibisogni dei consumatori, assemblandoli in pro-dotti che con un design accattivante e in di-mensioni ridotte consentono molteplici appli-cazioni, tecnologie già sviluppate in precedenza,

sostanzialmente graziefondi e strutture di ri-cerca pubblici.

L’informatica è iltipico esempio ditecnologia di base,la cui diffusionemodifica l’interoparadigma pro-

duttivo (come il va-pore o l’elettricità); ac-

canto e insieme adessa un

altroset-

tore risulta cruciale per l’evoluzione dell’eco-nomia globale: quello delle “produzioni verdi”,il cui obiettivo è modificare l’infrastrutturaenergetica esistente. L’obiettivo è sempre piùcondiviso a tutti i livelli, ma sulle modalità diconseguirlo le strategie nazionali divergono pa-recchio. Da un lato gli Stati Uniti, che hannooscillato tra sostegno diretto e incentivi alladomanda, senza una strategia precisa di lungoperiodo, si trovano ora indietro sia sul pianotecnologico che produttivo. Dall’altro Germa-nia e Cina che, in modi e tempi diversi, si sonoorientate verso un ruolo attivo dello Stato nonsolo nel garantire incentivi ma nel promuoveree indirizzare ricerca, produzione e commercia-lizzazione delle nuove tecnologie. In questo ambito emerge tutta la complessitàstrutturale dello sviluppo. Perché una crescitabasata sull’innovazione possa avere successo si-curamente non è sufficiente che lo Stato si li-miti agli incentivi fiscali in favore delle imprese:che i venture capitals non vadano in impieghiad alto rischio è noto dai tempi di Keynes. Manon basta nemmeno un generico aumento degliinvestimenti pubblici, nemmeno nel campodella ricerca: l’innovazione richiede la costru-zione di un sistema altamente integrato “sim-biotico”, che prevede strutture avanzate tantodal punto di vista delle forme di finanziamento(in questo senso i paesi emergenti fornisconoun esempio importante con le Banche per losviluppo) quanto delle competenze e in gene-rale del capitale umano. Solo attraverso unapresa di coscienza del ruolo fondamentale dellamano pubblica nell’innovazione che si possonofondare le basi istituzionali per evitare il ripe-tersi della tendenza alla socializzazione dei rischie alla privatizzazione degli utili. In sintesi un ruolo attivo dello Stato è indi-spensabile per la crescita economica, e per farsì che essa sia rispettosa dell’ambiente e dellagiustizia sociale. Il lavoro di Mazzucato - nelfrattempo divenuta uno dei consiglieri delnuovo leader labourista Corbyn - ha il grandemerito di uscire dal campo delle generiche af-fermazioni sulla “necessità di investire di piùper la ricerca” o di “liberare le energie” delmercato, riaffermando la necessità allo stessotempo economica e politica di una politica eco-nomica forte e consapevole, che rigetti i tabùliberisti riacquisendo funzioni programmatichee strutture di intervento. Il titolo originaledell’opera, lo “stato imprenditore”, dovrebbesuonare familiare alle orecchie italiane, e spin-gere a un dibattito un po’ meno asfittico e pro-pagandistico.

13c u l t u r aottobre 2015

S

Il ruolo del pubblico nell’innovazione economica

Per uno statofoolish and hungry

Roberto Monicchia

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i è concluso, con la presentazione del la-voro, di nuovo ricollocato nel museo deltesoro del Sacro Convento della Basilica

di San Francesco in Assisi, il 2 ottobre scorso, ilrestauro del calice di Guccio di Mannaia. Il ca-polavoro dell’arte orafa senese trecentesca è statoriportato all’originario aspetto in virtù di un ac-curato intervento del laboratorio di restauro deiMusei vaticani, l’ente più autorevole e affidabileper un’operazione di tale rilievo, dati la delica-tezza del manufatto, la rarità della tipologia - ar-gento dorato e smalti traslucidi - il valore storicoe l’importanza dell’opera. Erano presenti tra glialtri, oltre al Padre custode Mauro Gambetti,Antonio Paolucci direttore dei Musei vaticani egli studiosi Paola Pinto Folicaldi e Fabio Morresiche hanno illustrato valore caratteristiche e pro-cedure d’intervento, da essi stessi curate, grazie asofisticate tecnologie, nel rigoroso rispetto deidisciplinari. Ora, riportato allo splendore origi-nario, testimone della svolta che la storia dellafigurazione compie proprio qui e proprio in que-sti anni di fine secolo XIII, il calice tornerà nellesale del Museo, in compagnia di oggetti di altovalore storico-artistico, negletti o poco ammiratie studiati. Forse si è persa un’occasione: la presentazionesarebbe potuta avvenire nel corso del Cortile deigentili, sotto i riflettori, alla presenza di un nu-mero di persone elevato, così da costituire motivoper il rilancio dell’attenzione nei confronti delmuseo, un contenitore di alto pregio che pur-troppo è invece offerto alla visita distratta di pel-legrini che capitano lì quasi per caso, girovagandotra gli spazi del monumento. Il rilancio avrebbesignificato un plus valore culturale, riverberandol’attenzione di appassionati e studiosi su altri la-vori, come la coeva croce di cristallo di rocca, lapala dello Spagna, vetrate, sinopie medievali e laCollezione Perkins. Bastava anticipare il conve-gno di meno di una settimana, dato che il Cortilesi è concluso il 27 settembre, invece di incastrarlotra questo e le celebrazioni per S. Francesco. Nelvortice di orazioni, proclami, meditazioni, esibi-zioni, omelie laiche e religiose della kermesse,avrebbe trovato una collocazione adeguata e unospazio di visibilità opportuno. Si sarebbe innal-zato ancora il tono generale degli incontri, ispiratianche a questo tipo di tematica, ovvero la salva-

guardia dei beni storici. Perché, si badi bene,l’iniziativa il Cortile di Francesco - questo è ilnome che assume la variante assisana del Cortiledei gentili, quest’anno intitolato Umanità - hacostituito per la sua configurazione, per la città enon solo, un momento culturale e di riflessionesul mondo, di qualità elevatissima, nelle inten-zioni e in parte anche nella sostanza. In veritàhanno rimbalzato commenti da parte di soggettinon identificati, che, chissà con quali pregiudizi,lo assimilavano vicendevolmente al Meeting diComunione e liberazione di Rimini e alla Festadell’unità; tanto che verrebbe da dire: delle duel’una oppure, tristemente, nella percezione del-l’opinione pubblica, le due manifestazioni ten-dono a divenire simili. In realtà non c’erano négli stand dei venditori cattolici né le grigliate ve-terocomuniste, bensì interventi a raffica - ben

sessanta nei cinque giorni - di intellettuali, i cuicontenuti hanno oscillato, salvo lodevoli ecce-zioni, tra managerialità della comunicazione espiritualità, campi relativamente graditi ad unpopolo di sinistra. Più di un relatore ha portatocontributi originali e profondi: notevole l’im-patto, contemporaneamente autorevole ed umiledi Santiago Calatrava, che ha tenuto un dialogodi arte e architettura anche con i bambini; la te-stimonianza personale e professionale di Moncefben Moussa, il conservatore del Bardo di Tunisi,musulmano di fede, ma laico custode di un mu-seo tra i più importanti al mondo, vittima di unassalto tragico, in seguito al quale, guarda caso,4 militari armati stazionano giorno e notte inprossimità della Basilica, o Gino Strada il cuispessore umano e morale ha campeggiato. Diconverso a molti è apparso discutibile, anche per

i contenuti, il talk show tra il cardinale Ravasi,titolare del dicastero vaticano che promuove lamanifestazione, e tre ministre: Boschi, Gianninie Pinotti. Memorabili invece le testimonianze diZanotelli, Forte, Rodotà. Rituale il dibattito, cheavrebbe potuto assumere un rilievo non pere-grino, tra la segretaria Camusso e il presidenteSquinzi.In realtà la caratteristica di questi incontrinegli intenti è simile a quanto accade a Mantova,a Sarzana, a Modena o affine a quelli di Oicosriflessioni, in cui donne e uomini che pensano,personalità della cultura, della politica, dellascienza, della fede, testimoni attivi del nostrotempo, esprimono le proprie visioni e avanzanoproposte sulla base di un dialogo, anche in con-trapposizione, avente per oggetto alcune delletematiche di fondo e i problemi di stringente at-tualità, che investono il pianeta e l’umanità chelo abita. Con l’auspicio di contribuire a renderemigliore l’esistenza di tanti per i quali il mondoin cui viviamo è inospitale: per le disuguaglianze,le privazioni, gli abusi, l’esclusione, l’indifferenza,la cancellazione delle culture e dei beni testimo-nianza del passato.Come si è detto, non c’è stata purtroppo un’esattacoincidenza tra speranze e fatti. Purtroppo alcunihanno presentato stantie prosopopee o hannoscelto lo stile della predica o del proclama perdar forza a banalità e (tre di essi) hanno anchepreteso di essere pagati, oltre all’ospitalità e alservizievole trasporto. Per fortuna non è mancatochi ha onestamente privilegiato un’esposizionedi idee, chiara ed argomentata, magari non con-divisibile. Ma anche chi ha steso un quadro incui novità delle considerazioni ed efficacia dellacomunicazione si sono ben interconnesse, comeTito Boeri, o Zigmunt Bauman, nonostante l’ine-ludibile intralcio della traduzione simultanea,Domenico De Masi o, in un campo e con mo-dalità diverse, Uto Ughi. Tutto quanto propostoalla considerazione e al coinvolgimento dei pre-senti che, si spera, in seguito si faranno carico,indipendentemente dal loro credo, di renderlopensiero quotidiano, quindi politica. Insomma,nel bene e nel male, e in questo caso il terminenon è speso a sproposito, un evento, che è riuscitoa scuotere dal sopore culturale un’Assisi, in cuidorme profondamente anche l’opposizione di si-nistra.

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Arte e cultura ad Assisi

Un calice mezzo pienoEnrico Sciamanna

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E io pagoP.L.

el 1993 la Regione dell’Umbria acquista e ristrutturagrazie a fondi dell’Unione europea la Rocca d’Ariesnel comune di Montone e il Borgo di Coloti annesso

al fortilizio militare del XI secolo messo a guardia della vallatadel Carpina, poi appartenuto alla famiglia dei Fortebracci.L’intenzione era quella di realizzare un museo delle armaturee un centro di educazione ambientale sulle conchiglie e di ri-strutturare le abitazioni intorno alla Rocca. Nel 2000 vieneinaugurato, al costo di 600mila euro finanziati dalla Regione,l’unico osservatorio professionale dell’Umbria con telescopiorobotico infrarosso, gestito dall’Università di Perugia.Ma del museo e del laboratorio malacologico, nonostante leingenti spese per la ristrutturazione edilizia, non si hanno notizie. Nel 2013 scadono le convenzioni e chiude tutto: osservatorio e strutture ricettive. Nello stesso periodo alPolo sud, nella stazione di ricerca francese Dome C, diventa operativo un nuovo telescopio alla cui co-struzione hanno contribuito l’Università di Perugia e la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia. E laRocca d’Aries e Borgo Coloti? Abbandonati in silenzio al loro triste destino in attesa di qualche malin-tenzionato visitatore notturno. Duro colpo per gli appassionati delle stelle, delle armature e delle conchiglieprivati di un posto in prima fila; per i soci della cooperativa di gestione della struttura rimasti senzalavoro; per l’autostima di amministratori locali e regionali; per l’Ateneo perugino. Si progetta e si spendesenza logica e senza prospettiva; e, infine, duro colpo per gli Umbri messi di fronte all’ennesimo sprecodi risorse pubbliche. A loro non resta che un sorriso amaro e l’esclamazione che amava ripetere Totò nelfilm 47 morto che parla: “e io pago!”. Duro colpo anche per Immanuel Kant. Con una mossa solaazzerata la legge morale dentro di lui e spente le stelle sopra di lui. Ma questa è troppo difficile da capireper i nostri politici.

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l 16 ottobre ha avuto luogo a Terni ilconvegno organizzato dall’Isuc “LaResistenza. Un bilancio storiografico”.

L’evento ha visto il contributo di Luca Bal-dissara, Filippo Focardi, Dianella Gagliani,Gianluca Fulvetti, Gianni Oliva la mattina,mentre il pomeriggio alla tavola rotonda sultema “Resistenza e identità nazionale” sonointervenuti Claudia Mancina, Ernesto Gallidella Loggia e Santo Peli. La giornata è statal’ultima iniziativa che l’Isuc ha organizzatonell’ambito del Settantesimo anniversariodella Liberazione dell’Umbria dal nazi-fa-scismo. E’ stata un’opportunità per ascoltarela riproposizione, da parte di storici nonumbri, delle ipotesi interpretative, dellechiavi di lettura, delle piste di ricerca e deipunti di vista su cui si ragiona da venti anni:revisionismo, uso pubblico della storia,guerra partigiana, forme di resistenza nonarmata, stragi nazifasciste, contro rappresa-glie e moralità nella Resistenza, dimensionecomparativa ed europea dei fenomeni, patriae identità nazionale, antifascismo, repub-blica e costituzione, costruzione di grandinarrazioni e strettoie dei localismi, ruolodegli alleati prima e dopo il 25 aprile, con-trapposizioni nel Cln, ecc. Ascoltarli, perchi da tempo segue e partecipa al dibattitostoriografico sulla Resistenza, non è statacerto un’esperienza nuova. Ricordo, tantoper fare un esempio, quando a Perugia ventianni fa andavamo con i compagni di uni-versità a sentire le lezioni di Galli della Log-gia o divoravamo gli scritti di Santo Peli epenso ai convegni ai quali abbiamo parteci-pato nel corso degli ultimi tempi. Propongoa chi non è venuto, ma è comunque inte-ressato ai temi trattati, di aspettare gli attio, più semplicemente, di reperire in libreriaqualcosa degli studiosi che hanno parteci-pato. Provo, in questa sede, a riflettere sul sensogenerale dell’operazione del 16 ottobre per-ché, se è un insulto pensare che gli addettiai lavori non conoscano il dibattito per comeè stato presentato, è altrettanto giusto rite-nere che la giornata è stata per i ternaniun’occasione più unica che rara. Un’oppor-

tunità che, però, è stata colta solo da pochiintimi vista la scarsa partecipazione di pub-blico. Perché non è venuto praticamentenessuno? Si dirà che la Resistenza non inte-ressa più alla gente, che è stato il mito diuna Terni che non c’è più e che proprio lascarsa partecipazione lo dimostra. Credo chela questione sia un po’ più complessa. Provoa fare un ragionamento che mescola ele-menti pratico-organizzativi e aspetti più ge-nerali di politica culturale. E’ ovvio che i convegni di storia vanno te-matizzati e organizzati da un punto di vistascientifico rispetto alle domande che unacomunità si pone nel proprio presente ed èevidente che l’Isuc ha pienamente adem-piuto al proprio compito. L’Istituto ha pro-posto, infatti, alla città un momento di ri-flessione su uno dei pilastri dell’identitàdella Terni del passato, nel bel mezzo dellapiù grave crisi economica, sociale, di identitàe fiducia che stiamo vivendo da mezzo se-colo a oggi. E’ altrettanto palese che unagiornata del genere va anche promossa epreparata bene per favorire la più ampia par-tecipazione possibile dei cittadini. Chiavrebbe dovuto fare questo? L’amministra-zione comunale visto che, come abbiamoletto nel programma, il convegno è stato or-ganizzato “in collaborazione con il Comunedi Terni” e dato che questa ha un ufficiostampa, un sito internet, un assessorato allacultura con un proprio budget seppur ri-dottissimo e degli esperti che si preoccupanodella buona riuscita delle iniziative messein cantiere. Nell’ambito del percorso che vede Terni can-didata a capitale italiana della cultura unconvegno come questo non sarebbe statoun bel momento da condividere con tuttele associazioni della rete che si è costituitaper il percorso partecipativo? Per il Comuneevidentemente no. Purtroppo, da alcunianni la politica culturale della città si muovetra le nebbie della post-modernità che, no-nostante sia un’illusione vecchia ormai ditrent’anni - caduta sotto i colpi della crisidel turbo-capitalismo, e non in grado difarci comprendere ormai più nulla - a Terni

è presentata come la novità del momento.Nella visione proposta lo spazio (globaliz-zato) si estende e il tempo si annulla: glieventi che un tempo componevano la storiasono variabili di contesto. L’uomo non èchiamato allo scambio sociale in una se-quenza di fatti ma è l’esecutore di una fun-zione, quella dell’incremento mercantile inuna massa di diversi identici. L’individuopostmoderno si definisce in quanto consu-matore, non è più diretto verso una meta,non è parte di un corpo sociale ma è unamonade immersa in una cronologia immo-bile: insomma, è la fine della storia. La cul-tura è immersa nella contemporaneità ed èdiventata economia della cultura, populismoestetico.A farne le spese è ogni forma di riflessionestorica e in città, infatti, da ormai un quin-quennio, da quando, per intenderci, è statosmantellato l’Icsim “Franco Momigliano”,a ragionare sui fatti e i processi del passatosono rimasti il Centro studi storici, l’Irsume l’Istess, tre associazioni di privati cittadiniche svolgono la propria attività in modonon continuativo grazie al volontariato. Tral’altro, dopo che abbiamo assistito al crolloinglorioso di uno dei grandi sistemi di pen-siero che a Terni era egemone, quello mar-xiano, sotto i colpi della società liquida, os-serviamo gli intellettuali cattolici e liberaliternani - che hanno vinto per dissolvimentodell’avversario e non si sono resi conto cheanche le loro idee sono a rischio - indicarecome punto di riferimento per costruire ilfuturo la città romana. Una proposta affa-scinante, certo, ma spendibile realmente?A mio parere è più concreto tornare alla sto-ria contemporanea perché legata più diret-tamente alle domande del nostro presente.Ribadisco che volendo scegliere un solo mo-mento da portare nello zaino per il viaggioche dobbiamo intraprendere, lo individuonel complesso processo che dall’antifascismoha portato alla Resistenza, alla Costituzionee alla Repubblica, ricco di elementi digrande innovazione culturale, civile, morale,politica. Da lì possiamo partire per rico-struire ancora una volta Terni.

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L’Umbriae il prossimogrande eventoMisericordia!arrivail GiubileoSalvatore Lo Leggio

l “giornalino” del 18 ottobre ha sparato inprima pagina il titolo Chiesa, aria di rivo-luzione sopra l’immancabile foto del Papa

cattolico che sorride e benedice. L’enfasi che vi silegge non è, in verità, caratteristica solo del foglioumbro, ma anche del personaggio notiziato, che- come quell’altro - annuncia una rottamazioneal giorno per garantirsi una preponderanza me-diatica: fa impressione udire un Papa che al Si-nodo dichiara necessaria una “conversione delPapato”: “Il Papa, non sta, da solo, al di sopradella Chiesa, ma dentro di essa, battezzato tra ibattezzati, e dentro il collegio episcopale, comevescovo tra i vescovi”. Per riportare alle giuste dimensioni la “rivolu-zione” di Bergoglio basta comunque leggere “Av-venire”, il quotidiano dei vescovi. Il titolo sul di-scorso programmatico è assai meno incendiario:Il Papa alla Chiesa: io garante di unità; si parla di“decentralizzazione”, di “Conferenze episcopaliche decidono di più”: si tratterebbe, insomma,di una autonomia octroyée, concessa dall’alto, inuna sorta di “monarchia federalista” che fa pen-sare a Maurras, il capo della Action Française.Nell’interpretazione delle mosse papali mi paredirimente la scelta di un Giubileo straordinario,piuttosto che di un Concilio. Tuttora il ConcilioVaticano II, che rivelò la grande varietà di posi-zioni dottrinali e pratiche interne alla Chiesa chesi pretende universale, viene vissuto in Curiacome un incubo da esorcizzare, come una Babele;e Bergoglio si adegua, sicché, tra i papi novecen-teschi, guarda più a Wojtila che a Roncalli. Nonè un caso che in preparazione del Giubileo si re-cuperino figure di dignitari che con Ratzingersembravano cadute in disgrazia: come mons. Fi-sichella, che aveva e conserva eccellenti “entra-ture”, cui si affida il compito di guida organizza-tiva. Sul significato generale del Giubileo e suirisvolti politici e finanziari non mancherà occa-sione per riflettere: apriremo su “micropolis” unosservatorio che metta insieme cose umbre e coseromane. Per intanto giova ricordare che in Um-bria la Conferenza episcopale di agosto ha indi-cato i due poli regionali del Giubileo: la Porziun-cola di Santa Maria degli Angeli in Assisi e ilSantuario dell’Amore misericordioso a Colleva-lenza. È difficile non collegare la scelta della Por-ziuncola alle disavventure dei suoi amministratori,con ingenti capitali bloccati in Svizzera per i pe-rigliosi legami con riciclatori.Ci sono già state sostituzioni con lo scopo di-chiarato di far pulizia, ora si vuol favorire un af-flusso di pellegrini che possa in parte ristoraredelle perdite l’ordine francescano coinvolto, quellodei Frati minori cappuccini. Una nuova conferenza episcopale umbra in set-tembre si è incontrata con i prefetti per la prepa-razione dell’Anno santo. Non sono mancate nel-l’occasione felicitazioni per il vescovo emerito diTerni Paglia, che esce indenne dalle indagini giu-diziarie sull’acquisto di un castello (ma non lasciala diocesi umbra indenne dagli effetti delle suedilapidazioni). Anche Paglia, fondatore e ispira-tore della Comunità di Sant’Egidio, pare tra i ri-pescati dal nuovo pontefice. In prima fila nel-l’organizzare le manifestazioni papaline di questigiorni sulla famiglia, ha contribuito alla liquida-zione di Marino, giudicato inaffidabile dalla Cu-ria. In una trasmissione radio da lui curata unfinto Matteo Renzi gli ha chiesto un commentoalle dichiarazioni del Papa contro il sindaco diRoma: Paglia ha approfittato dell’assist per river-sare sull’inquilino del Campidoglio un cocktaildi untuoso e di acido. La finta gaffe sembra peròavere giovato alle quotazioni del gerarca ciociaro:non escludo qualche incursione in Umbria nel-l’anno giubilare.

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Chiuse a Terni le celebrazioni per il 70°della Liberazione

Il senso della storiaMarco Venanzi

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Paolo Lattanzi, Chi comanda a Terni.I compagni, i tedeschi, i perugini. Po-teri e affari in una città a sovranità li-mitata, Intermedia edizioni, Orvieto2015.

Segnaliamo questo volume di PaoloLattanzi con qualche mese di ri-tardo. La motivazione è duplice. Perun verso confessiamo l’insofferenzadiffusa nei confronti di un generegiornalistico che utilizza schemiconsolidati e fonti eterogenee, vi-scide e tutt’altro che complete: o sidice l’ovvio o si costruiscono narra-zioni a tesi; narrazioni appunto nonanalisi critiche. Dall’altro l’idea dipoteri forti che si impongono nelquadro urbano e che ne determi-nano il presente e il futuro ci parefrancamente forzata e priva di so-stanza: poteri forti in Umbria non ce

ne sono più e quando ci sono non siinteressano dell’Umbria, come lemultinazionali. Detto questo il libro, sia pure inmodo schematico, coglie una realtàche è quella di una città ed una so-cietà etero diretta, dove ceti medi eborghesia locali vivono di trasferi-menti pubblici e dove non c’è più,ammesso ci sia mai stata, una classedirigente. Era così anche in prece-denza ma con una variante: la classedirigente della sinistra reclutata tra iceti medi ed impiegatizi aveva unazionista di riferimento forte, i lavo-ratori di fabbrica che costituivano lamaggioranza degli occupati e deiredditi cittadini. Oggi gli operaicontinuano ad esserci ma contanopoco e nulla, non sono rilevanti neldibattito culturale, civile e politico

ternano. D’altro canto Lattanzi ri-prende un mantra della destra, la su-balternità a Perugia e alla Regioneche sarebbe l’unica fonte di legitti-mazione delle amministrazioni atraino Pd della città. E’ vero o no?Per dimostrarlo sarebbero necessariepiù pezze di appoggio (delibere, attiamministrativi, trasferimenti finan-ziari, ecc.). L’impressione è che ci siauna subalternità non tanto rispettoa Perugia, ma anche e soprattutto ri-spetto a poteri romani (Acea e Civitadocent). Ciò detto quello di Lattanziè un libro utile che rimette in fila ifatti e consente di capire quali sonoi nodi di analisi da affrontare. Saràpoco, ma un po’ è.

Luisella Cassetta Giustinelli, Le ra-gioni di Alma. Una vita straordinaria

tra arte e amore, Rubbettino, SoveriaMannelli 2015.

L’Alma di cui si parla nel titolo èAlma Schindler, donna di rilievonella vita viennese ed europea delXX secolo, non fosse altro per gliuomini che ha amato e sposato. Mo-glie di Gustav Mahler, Walter Gro-pius e Franz Werfel, ebbe relazionisentimentali con Gustav Klimt, MaxBurckhard, Alexander von Zemlin-sky, Oskar Kokoschka, in sintesi coni maggiori esponenti della culturamitteleuropea dagli inizi del secoloagli anni trenta. Luisella CasettaGiustinelli, che vive a Terni e che hagià scritto tre romanzi e ha parteci-pato ad altre imprese letterarie, que-sta volta si cimenta con un generedifficile come è la biografia, dove il

rischio costante, specie se il perso-naggio è importante come in questocaso, è quello di concentrarsi su diesso, dimenticando il contesto in cuisi svolge la vicenda.L’autrice, utilizzando la sua cono-scenza della lingua tedesca, ha con-sultato fonti di prima mano: dallelettere con Kokoschka, ai diari dellaprotagonista, all’epistolario conMalher, alle due autobiografie scrittedalla Schindler, alle molteplici bio-grafie scritte su di lei. Quello cheemerge è una donna versata nellearti, di grande bellezza e fascino ca-pace di sedurre grandi intellettuali eche su tale capacità costruisce il suomito almeno fino agli anni trentaquando la coglie Elias Canetti che,innamorato della figlia Anna, si recaa farle visita.La sua bellezza era sfiorita e “adessoAlma Mahler era lì in piedi e si se-dette pesantemente, una persona instato di ebbrezza, molto più vecchiadella sua età, circondata da tutti itrofei che aveva raccolto…” .

uanto più si va avanti con gli anni tanto più le personedivengono eteree, perdono spessore fisico. A volte illoro ricordo sfuma e ci si domanda se siano ancora

vive o siano già morte. E’ vero per le persone comuni; è ancorapiù vero per un politico, un protagonista della vita pubblica eculturale del paese come Pietro Ingrao. In occasione del suocentesimo compleanno le pagine dei giornali avevano già iltono di chi parla di un passato remoto più che di una personaancora vivente. A scomparsa avvenuta si è aggiunto un ulte-riore dato che ha reso ipocriti molti necrologi. Ingrao era un comunista non pentito e non tradizionale, unuomo che del comunismo aveva fatto una divisa etica, che congli sfruttati, con il popolo, aveva costruito un rapporto sim-patetico. Un uomo così andava seppellito con chiacchiere inu-tili, relegato ad una storia morta, sepolto, semmai con l’onoredelle armi (che costa poco o niente), specie in un periodo incui la sinistra socialista e comunista, almeno in Italia, non esi-ste più. Giorgio Napolitano, suo avversario storico, lo ha ar-ruolato tra i sostenitori del monocameralismo, cosa vera; soloche per Ingrao la Camera andava eletta con una legge elettoraleproporzionale. Più sincero Renzi, estraneo alla storia del vec-chio partito, ha dichiarato - pur nel rispetto e nel cordoglioche non si nega a nessuno - la sua lontananza dalle ipotesi didemocrazia e di relazioni sociali che emergono dall’elabora-zione ingraiana. Per il resto, a parte i tentativi di appropria-zione indebita e qualche riflessione commossa e intelligente,lo sforzo è stato quello di celebrarlo come orpello inutile diun mondo che fu, senza un vero sforzo di approfondimento. In realtà Ingrao è stato una figura emblematica ed amletica. Ilsuo sforzo è stato quello di tenere aperto un rapporto con un

popolo organizzato, quello del Pci e non solo, e di indurre alsuo interno trasformazioni che risolvessero a sinistra le con-traddizioni che i mutamenti della società italiana provocavano.Fu forse l’unico dirigente di rango del Pci che ruppe l’involu-cro terzinternazionalista di un capitalismo “naturalmente” vo-cato al fascismo, incapace di intercettare la modernità e che

percepì la positività del sindacato dei consigli come esperi-mento di democrazia radicale. Fu il primo a contestare laprassi del centralismo democratico; il solo a proporre il supe-ramento della forma di stato con robuste iniezioni di parteci-pazione dei cittadini. Fin dagli anni sessanta apparve estraneoai riti del socialismo reale pur senza subire il fascino del co-munismo cinese che abbacinò gran parte dei gruppi a sinistradel Pci. E’ stato un profeta disarmato, con pochi seguaci al centro e inperiferia, prova è che molti comunisti umbri che si dichiara-vano “ingraiani”, quando si arrivava al dunque, ossia al voto,nei comitati federali e al comitato centrale, si allineavano senzasforzo alla maggioranza del gruppo dirigente nazionale da cuiIngrao era ormai escluso. La tenace e inutile, resistenza nel Pci,dove le sue proposte avevano scarsissima legittimità, era legataall’idea che esistesse non solo una possibilità di riforma in-terna, ma che senza quel popolo organizzato non fosse possi-bile nessuna riforma morale e civile del paese. Ci ha provatofino in fondo, nello stesso Pds, e questo significava la metaforadel “gorgo”, finché ha dovuto arrendersi all’evidenza. I fatti,insomma, gli hanno dato torto, come hanno dato torto a co-loro che tentarono strade alternative, rompendo l’involucrodel vecchio partito e rifiutando le sue trasformazioni degli anninovanta. Quello che resta è, tuttavia, il nucleo forte del pen-siero del leader comunista, l’idea che senza un forte movi-mento organizzato e consapevole non esista nessuna possibilitàdi cambiamento e i processi d’involuzione autoritaria, conser-vatrice e antipopolare sono destinati a vincere, come dimostraquello che sta avvenendo da ormai venti anni e che sta trion-fando negli ultimi mesi.

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la battaglia delle idee

libri

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Tipografia: Litosud SrlVia Carlo Pesenti 130 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96 N.38/96

Direttore responsabile: Stefano De CenzoImpaginazione: Giuseppe Rossi

Redazione: Alfreda Billi, Franco Calistri,Alessandra Caraffa, Renato Covino, OsvaldoFressoia, Anna Rita Guarducci, Salvatore LoLeggio, Paolo Lupattelli, Francesco Mandarini,Enrico Mantovani, Roberto Monicchia, Saverio

Monno, Francesco Morrone, Rosario Russo, Enrico Sciamanna,Marco Venanzi.

Chiuso in redazione il 23 /10/2015

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Pietro IngraoRe.Co.

16c u l t u r aottobre 2015