La sicurezza energetica europea Problemi e sfide · sto dall’Antitrust, Paolo Scaroni ha...

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Nave metaniera per il trasporto di Gas Naturale Liquefao (GNL). Raffreddato a -162°C, il metano diventa liquido, diminuendo in volume di 600 volte Francesco Palmas D i sicurezza degli approvvigionamenti energe- tici si cominciò a parlare in Europa circa un secolo fa. Il dibattito assunse toni drammatici in occasione delle due Guerre Mondiali e delle crisi petrolifere degli anni ’70. Fu allora che il problema di forniture stabili, abbondanti ed economiche d’idrocar- buri assurse a componente chiave della stabilità eco- nomica e della sicurezza nazionale di molti Paesi. Nell’Europa odierna, le oscillazioni dei prezzi e l’enor- me divario fra produzione e consumo hanno nuova- mente inasprito i toni, ribaltando un ventennio circa di pax energetica. Bruxelles dipende dall’estero per oltre metà del fabbisogno. Nel quinquennio 2000-2005, la domanda è aumentata del 5,1%, balzando ad 1,13 miliardi di tonnellate equivalenti a petrolio. L’oro nero vi ha inciso per 484 milioni (+ 3,3%), il gas per 270,3 (+9,2%). Sia chiaro: il 62% della produzione elettri- ca europea dipende oggi dal carbone e dal nucleare, ma i vincoli ambientali suggeriscono che nel prossimo futuro il gas s’imporrà come fonte energetica per an- tonomasia. Gli impianti a ciclo combinato si stanno dif- fondendo a macchia d’olio: hanno garantito nell’ultimo decennio i 3/4 della capacità elettrica aggiuntiva. In Italia, soddisfano il 51% delle necessità, fagocitando metano, GPL o diesel. Sono molto più efficienti delle centrali convenzionali a carbone e a olio combustibile: 60% contro 35-45% massimo dei più recenti impianti a vapore. Ma hanno spiacevoli ripercussioni sull’import di gas. Le cifre parlano chiaro: il 25,8% del metano consu- mato in Europa è estratto dai giacimenti siberiani e le previsioni dicono che, nel 2030, la quota di gas russo nel mix energetico comunitario potrebbe superare il 27%. Le riserve del mare del Nord vanno scemando e l’Unione potrebbe vedersi costretta a importare 816 miliardi di m 3 l’anno, contro i 465 attuali (grafico 1). Panorama Internazionale 24 n. 2 - 2009 Informazioni della Difesa La sicurezza energetica europea Problemi e sfide

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Nave metaniera per il trasporto di Gas Naturale Liquefatto (GNL). Raffreddato a -162°C, il metano diventa liquido, diminuendo in volume di 600 volteFrancesco Palmas

Di sicurezza degli approvvigionamenti energe-tici si cominciò a parlare in Europa circa un secolo fa. Il dibattito assunse toni drammatici

in occasione delle due Guerre Mondiali e delle crisi petrolifere degli anni ’70. Fu allora che il problema di forniture stabili, abbondanti ed economiche d’idrocar-buri assurse a componente chiave della stabilità eco-nomica e della sicurezza nazionale di molti Paesi.Nell’Europa odierna, le oscillazioni dei prezzi e l’enor-me divario fra produzione e consumo hanno nuova-mente inasprito i toni, ribaltando un ventennio circa di pax energetica. Bruxelles dipende dall’estero per oltre metà del fabbisogno. Nel quinquennio 2000-2005, la domanda è aumentata del 5,1%, balzando ad 1,13 miliardi di tonnellate equivalenti a petrolio. L’oro nero vi ha inciso per 484 milioni (+ 3,3%), il gas per 270,3 (+9,2%). Sia chiaro: il 62% della produzione elettri-ca europea dipende oggi dal carbone e dal nucleare,

ma i vincoli ambientali suggeriscono che nel prossimo futuro il gas s’imporrà come fonte energetica per an-tonomasia. Gli impianti a ciclo combinato si stanno dif-fondendo a macchia d’olio: hanno garantito nell’ultimo decennio i 3/4 della capacità elettrica aggiuntiva. In Italia, soddisfano il 51% delle necessità, fagocitando metano, GPL o diesel. Sono molto più efficienti delle centrali convenzionali a carbone e a olio combustibile: 60% contro 35-45% massimo dei più recenti impianti a vapore. Ma hanno spiacevoli ripercussioni sull’import di gas.Le cifre parlano chiaro: il 25,8% del metano consu-mato in Europa è estratto dai giacimenti siberiani e le previsioni dicono che, nel 2030, la quota di gas russo nel mix energetico comunitario potrebbe superare il 27%. Le riserve del mare del Nord vanno scemando e l’Unione potrebbe vedersi costretta a importare 816 miliardi di m3 l’anno, contro i 465 attuali (grafico 1).

Panorama Internazionale

24 n. 2 - 2009Informazioni della Difesa

La sicurezza energetica europeaProblemi e sfide

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25n. 2 - 2009Informazioni della Difesa

Quando i giacimenti siberiani marceranno a pieno re-gime, Mosca eguaglierà Rabat al vertice degli espor-tatori globali di petrolio e distaccherà Doha e Teheran nel gas naturale. Le riserve di cui dispone sono im-mense: 120 miliardi e passa in barili di petrolio e 50 trilioni circa in m3 di gas, il doppio dei diretti concor-renti (grafico 2).Bulgaria, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Slo-vacchia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia dipendono già oggi al 100% dal metano russo. La percentuale è di poco inferiore per i greci (80%) e superiore al 50% anche per austriaci, cechi, polacchi, sloveni, unghere-si, serbi e turchi. Francia, Italia e Germania si ferma-no al 30% circa, ma non appena entrerà in servizio il gasdotto nordeuropeo, i tedeschi balzeranno al 50%. Al vertice di Davos (gennaio 2009), Vladimir Putin non ha fatto che ribadire l’importanza dei gasdotti Nord e South Stream: attraversando i mari Baltico e Nero, i due tracciati eluderebbero Ucraina, Georgia e tutti i contenziosi irrisolti.

Graf. 2 Le riserve di gas dei 3 grandi

Criticità delle forniture e paradossi dell’AntitrustQuando Putin interruppe le forniture di gas all’Ucraina (gen-naio 2006), l’impatto sull’UE fu immediato. L’Italia dovette intaccare le proprie riserve strategiche, Parigi e Varsavia vacillarono. Poco o punto servirono i vertici UE-Ucraina e le istituzioni del dialogo energetico russo-europeo. La sto-

ria non fece che ripetersi, prima con bielorussi e lituani, poi nuovamente con gli ucraini (2009). Mancando di una politica estera comune, Bruxelles è poco incisiva sia all’esterno che all’interno. Le sue competenze sono limitate al mercato comune, al nucleare e al carbone, tanto per non cambiare importato al 40%. Quando voglia dettare regole in materia energetica, la Commissione non può che appellarsi a normative ambientali, fiscali o d’ar-monizzazione. È quanto avvenuto con la direttiva 20-20-20, ormai esecutiva dal dicembre scorso. Entro 11 anni, i Paesi comunitari dovranno incrementare dall’8,5 al 20% la quota di energie rinnovabili sui consumi primari, tagliando di un altro 20% emissioni nocive e sprechi. Le priorità sono chiare: dei 5 miliardi di € avanzati nel bilancio 2008, 1,25 sono andati al carbon capture and storage e solo le bricio-le ai progetti infrastrutturali.A preoccupare Bruxelles sono più la liberalizzazione del mercato e l’efficienza energetica che non la sicurezza de-gli approvvigionamenti. Obiettivo principe rimane la sepa-razione tra fornitori e distributori. Ma il caso spagnolo in-segna che la teoria dell’unbundling proprietario non regge alla prova dei fatti. Da tempo, la francese EDF e la tedesca E.ON vanno pro-pugnando la costituzione di un monopolio europeo capace di strappare contratti vantaggiosi a medio-lungo temine, in virtù delle quantità potenzialmente acquistabili. Ma la Commissione non ne conviene: teme che un monopolio possa danneggiare l’economia e preferisce puntare su più isole energetiche, indipendenti fra loro ma strettamente connesse. L’antitrust si è scatenata: E.ON ha dovuto ri-nunciare alla rete elettrica nazionale e a numerose centra-li, pena sanzioni pari a 1/10 del suo fatturato. Da noi, ENI e SNAM hanno cominciato a tremare, ma è inverosimile che la Commissione riesca a spuntarla. Parigi e Berlino non sono affatto disposte a rinunciare ai loro campioni na-zionali e Roma sta cercando di proteggere i suoi. Richie-sto dall’Antitrust, Paolo Scaroni ha rifiutato la cessione del TAG, cruciale per la sicurezza energetica italiana: dal con-fine austro-slovacco, il gasdotto porta al Tarvisio il 30% del nostro import di metano. L’ENI ne controlla l’89% e gode del sostegno governativo. Il premier Berlusconi è interve-nuto personalmente, telefonando e scrivendo al presidente Barroso, per scongiurare la vendita di un’infrastruttura de-terminante ed evitare all’ENI una sanzione di oltre 500 mi-lioni di €. La situazione italiana è assai più critica di quella franco-tedesca. Mentre Roma genera il 79% dell’elettricità comburendo gas (36%) e petrolio, Berlino non supera il 15 e Parigi il 6%. Non basta: secondo l’Unione petrolifera italiana, entro tre anni, il metano prevarrà sull’oro nero. Nel 2007, l’Italia ne ha consumato 85 miliardi di m3, in massima parte per le esigenze elettriche (34,29), abitative e del terziario (28,1), per non dire dell’industria (19,1).

Ambizioni dell’UELe vie alla stabilità energetica sono fortunatamente tante. Bruxelles dialoga da tempo coi produttori e cerca un coor-

Graf. 1 Domanda di gas dell’UE secondo l’area di provenienza

Interna

Norvegia

Russia

Algeria

Altri

2030

20

40,8

16,225,8

7 10,2

12,2

27,1

14,1

26,6

2007

26,3%

15,5%14,3%

Russia Iran Qatar

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26 n. 2 - 2009Informazioni della Difesa

dinamento col fronte dei consumatori, in seno all’Agenzia internazionale per l’energia, foro abbastanza controverso: secondo alcuni, l’IEA gonfierebbe ad arte le proiezioni sul-la domanda globale d’idrocarburi, per costringere l’OPEC ad aumentare l’offerta e calmierare i prezzi. Ognuno com-batte con le sue armi. Contatti regolari sul tema energetico si susseguono anche con le grandi potenze: con la Cina dal ’94, con gli Stati Uniti dal ’95, con l’India dal 2004 e, negli ultimi tempi, anche col Giappone. Ove manchino in-tese preferenziali coi Paesi fornitori e di transito, Bruxelles punta sui memoranda d’intesa come avvenuto con Kiev (2005), Baku e Astana (2006). Assai importanti sono gli accordi con l’Algeria: integrarla nel mercato interno e rad-doppiarne le forniture di gas è obiettivo di negoziati speci-fici, non ancora sfociati in un partenariato strategico. Tra il 2006 e il 2007, Bruxelles si è inoltre dotata di una strategia globale per l’energia e di una ad hoc per l’Asia Centrale, regione chiave per ampliare il ventaglio dei fornitori.

Limiti dell’UEProgetti ambiziosi richiedono tuttavia unità d’intenti, dispo-nibilità delle controparti e dotazioni finanziarie adegua-te: l’Unione di oggi manca sia delle une che delle altre. In Asia Centrale come nel Mediterraneo, le sue politiche continuano a sovrapporsi più che a integrarsi con quelle statunitensi e della NATO. Molti vagheggiano un accordo di ampio respiro con Mosca, che spianerebbe la strada a un’integrazione energetica teoricamente profittevole per entrambe le parti: la dipendenza russa dall’export di ma-terie prime non è meno grave di quella degli importatori europei. La rete nazionale per il trasporto degli idrocarburi necessita d’investimenti colossali: 935 miliardi di $ entro il 2030, il triplo del PIL nazionale. Non meno ingenti sono i capitali richiesti per potenziare la capacità estrattiva e soddisfare la domanda crescente. Ma, nonostante l’inte-resse reciproco e le continue pressioni, non si è riusciti ad ottenere neanche la ratifica della Carta dell’energia e del Protocollo sul transito, pendente dal 1994.Peggio: fra gli europei, il piccolo vantaggio nazionale con-tinua spesso ad esser più attraente del bene comune. Pur di aver accesso privilegiato ai giacimenti russi, la Germa-nia ha affossato le speranze residue di un fronte unitario in materia energetica. Se è vero che sotto la spinta di grandi gruppi come ENEL, E.ON o EDF, si stanno profilando mer-cati macroregionali dell’energia, la maggior parte dei Paesi europei sembra non avvertire l’urgenza di regole comuni. Mentre E.ON e Ruhrgas controllano già il 6,5% di Gaz-prom, anche i francesi stanno cercando di acquisire par-tecipazioni importanti nel colosso russo. Nicolas Sarkozy ha chiesto reciprocità: da dicembre 2006, Gazprom può accedere al mercato transalpino e vendervi direttamente 1,5 miliardi di m3 di gas. Ora spetterebbe alla Russia aprir-si alle società francesi. Ai rischi di energo-dipendenza si

aggiungono nuovi timori: si sospetta che Mosca voglia dar vita ad una sorta di OPEC del gas, sfruttando la partnership energetica con Teheran e un accordo del 2006 con Algeri. Alcuni sostengono che i russi ambiscano soltanto a drena-re competenze tecniche e commerciali nel settore del gas naturale liquefatto (GNL), per scalare l’apogeo mondiale anche nel ramo. Ma è meglio non abbassare la guardia: se la Russia soddisfa il 26% del fabbisogno europeo di gas, un altro 7% viene proprio dall’Algeria. La Sonatrach, compagnia di stato algerina, è prima fornitrice dell’Italia, della Spagna e del Portogallo; seconda della Francia.L’idea di un cartello piace molto all’Iran, ma potrebbe at-trarre anche la Libia, il Qatar e il filoccidentale Azerbaigian. Teheran e Doha condividono già lo sfruttamento del gia-cimento off shore di South Pars-North Dome, il maggiore mai scoperto al mondo1. Sebbene nessuno ne parli aper-tamente e Mosca si profonda in smentite, l’ipotesi agita non poco i consumatori europei ed italiani, la cui bolletta energetica supera i 50 miliardi di € l’anno. Sul nostro Pae-se grava un mix delle fonti sbilanciato per oltre 3/4 sul gas naturale e sul petrolio, e una dipendenza dall’estero assai superiore alla media europea: 86% contro 56 (graf. 3).

Per ampliare il ventaglio dei fornitori e scongiurare qual-sivoglia cartello, occorrerebbe puntare maggiormente sul GNL, ancora marginale sia a livello mondiale (30%), che europeo (15%): Bruxelles ne consuma 290 miliardi di m3 l’anno, ma prevede di raddoppiarli entro il 2020. In Angola, Egitto, Nigeria e Trinidad, esisterebbero enormi potenzialità di sfruttamento, e Giappone e Sud-Corea insegnano che la strada è percorribile, ambientalisti per-mettendo. I rigassificatori hanno infatti un impatto sia di-retto che indiretto: basti solo pensare che per trasportare 5 miliardi di m3 di GNL occorrono più di 50 navi. In Italia, nonostante la marea di progetti, l’unico impianto in via

Graf. 3 Le fonti dell’energia italiana ( milioni di T e %)

Altri35,1 (31%)

Olanda0,1 (0,1%)

Ex Urss30,9 (27%)

Libia29,1 (25%)

Arabia Saudita8,3 (7%)

Norvegia3,4 (3%)

Algeria2,0 (2%)

Produzioneinterna

5,8 (5%)

Fonte Il Sole24Ore

1 Giorgio S. Frankel, Gas, Bruxelles guarda al Caspio, in «Il Sole24Ore», 26 gennaio 2009, p. 10.

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di completamento è quello off shore2 dell’isola di Porto Levante, nei pressi di Rovigo. Costato 2 miliardi di €, un’infinità di autorizzazioni e un decennio di progettazio-ni, produrrà a regime 8 md di m3 di gas.Assai promet-tenti sono anche le energie rinnovabili e il nucleare di 4a generazione, sebbene insufficienti a soddisfare l’iperbole della domanda (tab. 1).

La minaccia terroristicaGarantire la sicurezza energetica significa proteggere al contempo le infrastrutture di trasporto e le SLOC dai conflitti armati, dagli attentati terroristici e dalle ca-lamità naturali. Nell’ultima guerra irachena, oleodotti e gasdotti sono stati colpiti più di 300 volte; in Nigeria, i raid del MEND hanno causato perdite del 20% nelle esportazioni di petrolio. Passaggi strategici come il canale di Suez e lo stret-to di Gibilterra sono obiettivi potenziali del terrorismo marittimo. Sebbene la minaccia sia al momento si-lente, nel 2002 Gibilterra è stata teatro di manovre destabilizzanti, al punto tale da costringere la NATO a pattugliamenti navali (Active Endeavour). Non meno importante è la libera navigazione dello stretto di Bab-el-Mandeb, ove pirateria ed instabilità politica sono divenute endemiche. Dopo gli attentati alla petroliera francese Limburg e al cacciatorpediniere americano Cole, è toccato ai nostri mercantili Cielo di Milano, Jolly Marrone e Neverland esser assaltati dai pirati, muniti di motoscafi, kalashnikov e lanciarazzi (graf. 4). Dal sancta sanctorum d’Eyl ai vari porti costieri, la So-malia è divenuta terra d’elezione dei corsari moderni, seguita dalla Nigeria. Spesso pagati, i riscatti fruttano dai 2 ai 9 milioni di $. Il caso della Sirius Star è emble-matico. Sequestrata 450 miglia a sud-est di Mombasa

(15 novembre 2008), la super-petroliera saudita vale-va 285 milioni di $, 100 dei quali di solo “carico”. Per restituirla, i pirati somali hanno chiesto 30 milioni di $ ma, dopo 55 giorni di trattative, si sono accontentati di 1/10. Ottenuti i contanti, son fuggiti a terra e, su potenti jeep, si son dati alla macchia. Fra ottobre e dicembre, l’Alleanza Atlantica aveva nell’area 4 unità da guerra (Standing NATO Maritime Group 2), al comando dell’ammiraglia italiana Durand De La Penne. Anche Bruxelles è intervenuta con la missione EU NA-VFOR Somalia (operazione Atalanta), cui partecipano mezzi francesi, britannici, greci e tedeschi. Ma i pattu-gliamenti marittimi e i corridoi di sicurezza non basta-no: controllare quasi 3mila km di coste e un braccio di mare che si estende per oltre 6 milioni di km2 è impresa ardua. Nate Christensen, portavoce della 5a flotta dell’USN, ha incoraggiato gli armatori a contri-buire alla protezione dei cargo, assoldando mercenari

Tab. 1 Produzione elettrica mondiale per fonte di energia(valori in TWh1 e %)

1 TWh (Terawattora) = miliardi di Kilowattora Fonte: Corriereconomia

Graf. 4 Gli attacchi di pirateria marittima

2008 293

263

239

276

329

417

341

252

2007

2006

2005

2004

2003

2002

2001

2 É il primo del genere al mondo, a 15 Km dalla costa e invisibile da terra.

2005 2030 Var. 2005-2030

Fonte TWh % TWh % TWh %

Carbone 7334 40 15796 45 8462 49

Petrolio 1186 7 929 3 -257 -1

Gas 3585 20 8068 23 4483 26

Nucleare 2771 15 3275 8 504 3

Idroelettrico 2922 16 4842 14 1920 11

Rinnovabili 397 2 2461 7 2064 12

1 TWh (Terawattora) = miliardi di Kilowattora Fonte: Corriereconomia

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armati. Per le compagnie private si sono aperte nuove pro-spettive: le britanniche Eos, Hart Security, Drum Cus-sac e Olive Group offrono da tempo servizi di sicurez-za navali. A parte le guardie armate, proteggono le imbarcazio-ni con sistemi di difesa passiva: dagli idranti ad alta pressione agli scorrimano elettrizzati. Non mancano le offerte della Blackwater e della Hollowpoint: la pri-ma ha già noleggiato una porta-elicotteri ed effettuato scorte nel golfo di Aden3. Ovunque, al-Qaeda ha alzato la posta, minaccian-do più volte una “jihad economica” contro le instal-lazioni energetiche. Guarda caso, nel febbraio nero del 2006, è saltato l’oleodotto saudita di Abqaiq. Secondo l’in-telligence norvegese, la rete di Osama Bin Laden disporrebbe di 23 mercantili registrati con bandiera liberiana, panamense e dell’isola di Man. Gruppi come al-Gama’a al Islamiy-ya, Jihad Islamica ed Hezbollah risultereb-bero coinvolti in attività terroristiche via mare: non solo contrabban-derebbero armi ed al-tro materiale bellico,

ma tramerebbero a favore della stessa al-Qaeda.Proteggere oleodotti, gasdotti, linee di comunicazione marittima ed infra-strutture portuali di stoccaggio e rifor-nimento è altrettanto importante che avere fornitori affidabili. Ad essere in gioco è la stabilità economica e la sicurezza tout court dell’Occidente. Il Consiglio nord-atlantico ne è ben consapevole: non solo sta tenendo sessioni di lavoro ad hoc, ma ha anche attivato un gruppo di lavoro per la protezione delle infrastrutture critiche (2005). Di più: ha ventilato l’ipotesi di un coinvolgimento diretto dell’Alleanza nella sicurezza ener-getica (vertice di Riga). Poiché è

chimerica una difesa marittima tous azimuts, alla NATO spetterebbe proteggere le rotte più significative e i punti di passaggio obbligati, soprattutto se minacciati da ten-sioni e conflitti armati.La storia offre un precedente: durante la guerra Iran-Iraq, l’operazione Earnest Will (’87-’88) fu un successo nel ga-rantire continuità di rifornimenti energetici. La comunità internazionale riuscì a proteggere le petroliere kuwaitia-ne fornendo loro scorte marittime e bandiere straniere.Dopo la crisi di Suez (1957), i governi europei avrebbe-ro dovuto capire l’importanza dei rapporti con la sponda Sud nella difesa attiva del bacino. Ma, a parte i buoni propositi, una vera associazione fra Paesi comunitari e sud-mediterranei non è ancora decollata. Il Partenariato euro-mediterraneo risente di troppi limiti, sebbene affian-cato da molte altre iniziative regionali: dai simposi bien-nali fra le marine dei Paesi mediterranei e del Mar Nero,

La Libia è il principale fornitore dell’ENI, che vi estrae quotidianamente 252mila barili di olio equivalente. Nella foto, l’impianto di trattamento di Mellitah (Western Libyan Gas Project). Fonte: ENI.

28 n. 2 - 2009Informazioni della Difesa

Terminal turco dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan

3 Gianandrea Gaiani, Nato e Ue, ma anche «private security companies» contro la pirateria, Il Sole24ore, 13 novembre 2008, edizione on line.

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alla Carta di Stoccarda per la sicurezza e la stabilità, dall’Iniziativa «5+5» a strut-ture di cooperazione militare come EUROFOR ed EURO-MARFOR. Ancora più pregnanti sono le iniziative promosse dall’Al-leanza Atlantica. A parte il Dialogo Mediterraneo e l’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul, meritano di es-sere menzionati i 4 gruppi per la guerra di mine e la reazione rapida, versati so-prattutto nell’antiterrorismo marittimo.Sia chiaro: in un mondo in cui si riaffacciano fenomeni di pirateria e di terrorismo, i mari circostanti l’Europa sono senz’altro sicuri, grazie a Marine efficienti e dotate d’innumerevo-li mezzi per la vigilanza costiera. Come se non bastasse, gli americani e i loro alleati controllano gli stretti e i choke points navali più importanti: Suez, Gibilterra, Bosforo e Dardanelli, vere sentinelle del Mediterraneo.

Il ruolo dell’ItaliaTrait d’Union fra est e ovest, l’Italia gioca nel Mediterra-neo un ruolo cruciale, enfatizzato dai due archi di crisi che vi s’intersecano. Il primo attraversa l’area danubia-no-balcanica e s’adima al Caucaso. Il secondo abbrac-cia la fascia nordafricana e mediorientale, fino al golfo Persico, inquadrando un’area tanto essenziale quanto problematica per la sicurezza italiana ed euro - atlan-tica. Gran parte del petrolio (70%) e del gas mondiali (40%) provengono dal bacino caucasico-centrasiatico-mediorientale; dal Mediterraneo lato sensu passano le vie, le aerovie e le rotte del rifornimento strategico nazionale. Qualsiasi crisi che destabilizzi l’area è minaccia diretta agli interessi vitali dell’Italia, propensa, qui più che al-trove, ad adottare contromisure militari. Non per caso viene da Roma uno dei progetti marittimi più ambiziosi degli ultimi tempi: il Virtual-Regional Maritime Traffic Centre (2004), pensato per monitorare i traffici e i mo-vimenti d’unità mercantili sia nel Mediterraneo che nel Mar Nero. Una sorta di emulo navale dei sistemi di ri-

porto e controllo vigenti per lo spazio aereo e, al tempo stesso, una risposta alla risoluzione A.924 (2002) delle Nazioni Unite, che perorava l’adozione di nuove misure di contrasto al terrorismo marittimo4. Alcuni lamentano l’assenza di una strategia comunitaria per la sicurezza energetica. In realtà, subito dopo l’Energy Policy Act de-gli Stati Uniti (2005), anche Bruxelles si è dotata di una Politica ad hoc per l’energia (2006). Nel Libro verde, ha denunciato l’instabilità dei prezzi del petrolio e l’uso po-litico delle risorse energetiche da parte di alcuni, senza nascondere i timori di crisi future, per l’incertezza sulle riserve disponibili e l’impennata dei consumi. Nel pre-servare il suo margine di manovra, l’UE sta battendo più strade. Da novembre 2005, dispone perfino di un programma globale per la protezione delle infrastruttu-re critiche (EPCIP) e di una rete d’allarme in fieri (CI-WIN). I vettori energetici ne sono beneficiari essenziali: un’interruzione delle forniture comprometterebbe non solo la funzionalità di tutte le altre infrastrutture critiche, ma potrebbe avere impatti umani ed ambientali enormi. Il coordinamento di prevenzione e protezione è tuttavia difficoltoso: molte infrastrutture sono gestite da privati o stranieri, e non sempre è agevole discernere fra com-petenze pubbliche, private e internazionali. Mancano impianti e strutture per ridistribuire i flussi d’idrocarburi in caso di crisi. Peggio: solo il 10% delle reti di gasdotti è stato finora completato e poco più è stato fatto per i network elettrici. n

Blue Stream è il gasdotto sottomarino più profondo al mondo. Corre per

1.213 km fra Izobilnoye e Samsun, sui fondali del mar Nero. Vi è stato posato

da Gazprom e dall’ENI (380 km). Nella foto, tecnici italiani nelle ultime

fasi dei tiri a riva.Fonte: ENI.

4 È entrato in vigore il Codice internazionale per la sicurezza delle navi e delle infrastrutture portuali (ISPS), che disciplina i vettori impegnati nelle rotte intercontinentali, i cargo dalle 500 t in su e le piattaforme off-shore. È la prima volta che una Convenzione marittima globale include anche le infrastrutture portuali: zone di ancoraggio, banchine e così via, sempre più esposte a una minaccia terroristica proteiforme.