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32 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 14 GIUGNO 2015 n. 162 Pompei e l’Europa il sovrintendente Meglio la manutenzione straordinaria la sezione a napoli/ 1 Il boom del pompeiano Al Museo Archeologico l’influsso di Ercolano e Pompei su architettura, pittura, illustrazione, arti decorative, letteratura e fotografia dal 1748 al 1943 di Fernando Mazzocca pagina a cura di Marco Carminati Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e all’Anfiteatro negli Scavi di Pompei ha aperto al pubblico mercoledì 27 maggio la mostra Pompei e l’Europa 1748 – 1943 visitabile fino al prossimo 2 novembre. La rassegna organizzata da Electa è promossa dalla Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e dalla Direzione Generale del Grande Progetto Pompei, con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. La mostra è allestita per entrambe le sedi dall’architetto Francesco Venezia. L’esposizione nel Salone della Meridiana del museo di Napoli è curata da Massi- mo Osanna, Maria Teresa Caracciolo e Luigi Gallo. A Pompei la sezione Rapiti alla morte. I calchi è a cura di Massimo Osanna e Adele Lagi, mentre La fotografia è curata da Massimo Osanna, Ernesto De Carolis e Grete Stefani. La mostra ha ottenuto il patrocinio Expo Milano 2015. Il catalogo è edito da Electa in tre edizio- ni (italiano, francese e inglese). In occasione della mostra, per la collana Electaphoto, viene inoltre pubblicato il volume Pompei. La fotografia con circa 200 foto storiche, perlopiù inedite. La mostra è aperta tutti i giorni agli Scavi di Pompei, dalle 9.00 alle 18.00. Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.30 (chiusa il martedì). Per informazioni: www.mostrapompeieuropa.it moda pomepeiana | Qui sopra, «Danzatrice con fiori» (I secolo d.C.) Napoli, Museo Archeologico Nazionale (da Ercolano). Accanto, «Poltrona» (1796-1799), Napoli, Museo di Capodimonte, (dalle Collezioni Borboniche). A destra, «Anfora con danzatrice», porcellana, bronzo e marmo, Napoli, Museo di Capodimonte di Massimo Osanna P ompei è stato sin dalla sua scoperta nel 1748 luogo evocativo di grande fascino per l’Europa e allo stesso tempo luogo di ricerca e sperimentazione. La “seconda vita” di Pompei scorre lungo due binari paralleli: il primo, basato su un approccio razionale e metodi- co, sollecitato dalla necessità di far rivivere e di co- noscere la città nella sua interezza; il secondo, lega- to all’immaginazione che ricrea, generazione dopo generazione un’altra Pompei, dotata di una realtà poetica avvincente nella sua mutevolezza. La stra- ordinaria vicenda della “doppia vita” di Pompei, ha così nutrito e ispirato artisti, letterati, intellettuali, storici, ricercatori, ma anche gente comune, che ha visitato, ammirato, operato e contribuito a trasfor- mare il luogo. Nel lungo percorso tra la metà del ‘700 e oggi Pompei ha conosciuto nella sua gestio- ne, nelle prospettive di ricerca e conservazione vi- cende e fortune assai alterne. Periodi particolar- mente felici (come quello inauguratosi con l’Unità d’Italia e la nuova gestione del geniale soprinten- dente Fiorelli) si sono alternati a periodi di ristagno e inerzia. Non sono mancati eventi tragici come il disastroso bombardamento degli alleati nel 1943, episodio epocale, che ha condizionato irreversibil- mente lo stato di conservazione del sito e ancora condiziona le attuali politiche di tutela. Si sente spesso ripetere che quello di cui neces- sità Pompei oggi è la manutenzione ordinaria, l’esperienza maturata in quest’ultimo anno mi permette di dire che, senza nulla togliere alla ma- nutenzione ordinaria – che deve essere certa- mente portata avanti con costanza anno per anno - , quello di cui Pompei aveva bisogno era di un in- tervento straordinario che risolvesse le molte cri- ticità alla base, portando avanti azioni e progetti di ampio respiro. Con il Grande Progetto Pompei cofinanziato dalla Comunità Europea, si è final- mente intrapresa una politica consapevole di conservazione: si tratta infatti di un quanto mai necessario e improcrastinabile intervento stra- ordinario sul sito, destinato a risolvere le criticità esistenti grazie a lavori di messa in sicurezza di tutte le Regiones, di restauro strutturale e degli apparati decorativi delle domus meglio conserva- te, di mitigazione del dissesto idro-geologico. Ma si è puntato anche a dare una nuova immagine a Pompei, muovendo da istanze scientifiche e di conservazione per poi volgersi al grande pubbli- co, con un piano di fruizione e comunicazione adeguato alle esigenze del contemporaneo. Un piano di interventi strutturali e di conoscenza per un rilancio complessivo della città vesuviana, per portare alla luce nuovamente la sua bellezza. Per poterla trasformare da luogo dello “scandalo” a luogo di eccellenza, dove coniugare conoscenza, conservazione, formazione e sperimentazione con le tecnologie di documentazione e restauro. Nell'ambito di questo progetto ambizioso di conservazione e rilancio internazionale di Pom- pei e della sua “immagine” si è puntato anche sull'organizzazione di mostre. Il patrimonio pom- peiano è infatti solo in parte composto dalle case, dalla botteghe, dai luoghi pubblici, che quotidia- namente migliaia di turisti visitano. La restante parte vive una vita più oscura, suddivisa tra il Mu- seo Nazionale di Napoli e i vari depositi della So- printendenza. I diversi percorsi espositivi della Mostra “Pompei e l'Europa”, dislocati tra il Museo Archeologico di Napoli e l'anfiteatro di Pompei, rappresentano per il grande pubblico un indubbio elemento attrattore con cui scoprire e costruire una nuova immagine di Pompei: vengono trasfe- riti nelle due esposizioni i risultati e il senso dei la- vori e ricerche in corso, valorizzando un patrimo- nio nascosto (in buona parte mai esposto al pub- blico: mostra sui calchi e mostra fotografica a Pompei) o difficilmente fruibile (conservato com'è in numerosissimi musei e collezioni europee). Se la mostra pompeiana presenterà per la pri- ma volta una ricca scelta di calchi delle vittime ap- pena restaurati (da quelli pionieristici realizzati nell'Ottocento all'epoca del Soprintendente Giu- seppe Fiorelli a quelli frutto degli scavi succedutisi sino agli anni '80 del secolo scorso), nonché una scelta significativa di fotografie dell'archivio foto- grafico della Soprintendenza speciale (che docu- mentano scavo e restauri di contesti su cui oggi si interviene di nuovo con il Grande Progetto Pom- pei), l'esposizione napoletana propone un gran- dioso allestimento che mette a confronto oggetti antichi rinvenuti nell'area vesuviana (e conservati in gran parte in deposito) con opere d'arte euro- pee, che giungono per la prima volta a Napoli dai maggiori Musei d'Europa. L'eccezionale impegno che si sta oggi profon- dendo nel restauro e nella valorizzazione del sito di Pompei, sostenuto finalmente da una disponibilità di fondi straordinari, in gran parte destinati proprio alla messa in sicurezza e al restauro, non corrispon- de dunque alla rinuncia ad affrontare il problema nell'unica prospettiva possibile che è quella di una approfondita conoscenza storico archeologica di contesto e materiali e la conseguente presentazio- ne di questo patrimonio al grande pubblico. L'ob- biettivo è di portare di nuovo l'attenzione - tanto de- gli addetti ai lavori, quanto del più vasto pubblico -, su una Pompei non già solo crolli, cantieri e opere pubbliche, ma di straordinario laboratorio, fabbri- ca di conoscenze attraverso la ricerca, la conserva- zione e la valorizzazione di un sito archeologico su scala urbana. In questo ambito la proposta di far ri- vivere a Pompei- adeguandola alle esigenze del contemporaneo - l'antica idea del Fiorelli di una Scuola di Archeologia non è affatto peregrina. L'attenzione internazionale, l'interesse del grande pubblico, le possibilità di individuare nuove forme di partecipazione ampia al recu- pero di Pompei, fanno di questo luogo il con- testo ideale per sperimentare e concepire una formazione di altissimo livello, com- petitiva a livello internazionale nonché nuove forme di gestione e fruizione. – Soprintendente della Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia © RIPRODUZIONE RISERVATA È stata una coincidenza stra- ordinaria che in un secolo in cui l’attività del Vesuvio era ripresa in tutta la sua spetta- colare magnificenza venis- sero riscoperte addirittura due antiche città romane, Ercolano nel 1738 e Pompei nel 1748, che erano state se- polte dalla lava nell’eruzione del 79 dopo Cristo, l’evento descritto da Plinio il Gio- vane nella celebre lettera inviata a Tacito. Assistere allo spettacolo del grande vulca- no in fiamme, ed ascendere con ardite escursioni comunque ben organizzate dalle guide alle sue pendici, e poter, im- presa non sempre facile, ammirare gli sca- vi e gli stupefacenti reperti raccolti nell’ Herculanense Museum allestito nella reg- gia di Portici alle falde dello stesso Vesuvio (successivamente saranno trasferiti in quello che è oggi il Museo Archeologico Nazionale) fecero di Napoli la meta, insie- me a Roma, privilegiata del Grand Tour. Le vedute che rappresentavano il vulcano in esplosione, soprattutto quando i suoi ba- gliori nelle notti terse gareggiavano con la luce della luna, diventarono un vero e pro- prio genere molto richiesto dai viaggiatori e affrontato da mestieranti, ma anche da pittori di grande talento, come il francese Volaire e l’inglese Wright of Derby. Le due città dissepolte si insediarono per sempre con la loro fantastica storia nell’ immaginario collettivo. Mario Praz, che ci ha lasciato pagine memorabili sulla loro riscoperta e la loro importanza per il Neoclasssicimo, ricordava come Goethe avesse “cinicamente” osservato che «nes- suna catastrofe è stata mai fonte di tanto piacere pel resto dell’umanità, come quel- la che seppellì Ercolano e Pompei». Questa affascinante mostra interdisciplinare, che sotto la guida dei tre curatori Maria Teresa Caracciolo, Luigi Gallo e Massimo Osanna ha saputo avvalersi del contributo di spe- cialisti in campi diversi, ricostruisce attra- verso duecento opere in catalogo le vicen- de di una fortuna che ha coinvolto l’archi- tettura, la pittura, l’ illustrazione, le arti decorative, la letteratura, la fotografia, in un arco temporale identificato tra la risco- perta di Ercolano e di Pompei al bombar- damento nel 1943 da parte degli alleati di quei famosi, quanto travagliati, siti ar- cheologici. Un evento davvero traumatico che sta all’origine degli attuali difficoltà ri- spetto alla conservazione e alla gestione di quello che Chateaubriand, uno dei testi- moni più significativi del mito di Pompei, ha definito come «le plus merveilleux mu- sée de la terre». In realtà, il clamoroso successivo ritro- vamento delle due città, destinato a cam- biare radicalmente la visione dell’ antichi- tà, non aveva suscitato all’inizio un entu- siasmo incondizionato. I primi resoconti mostrarono addirittura una certa freddez- za e persino scetticismo sull’importanza delle opere ritrovate. Quelle più significati- ve erano state i dipinti murali anche di grandi dimensioni, conservati in parte in loco e nella maggior parte – nel 1787 aveva- no raggiunto il numero riguardevole di mille e cinquecento – dirottati verso il Mu- seo Ercolanense. Queste opere, che oggi costituiscono il vanto del Museo Archeolo- gico Nazionale di Napoli, costituivano una novità, in quanto davano un’idea della pit- tura degli antichi, dei capolavori, esaltati dalle fonti ma andati perduti, di Apelle, Zeusi e Polignoto. I pareri furono però di- scorsi, prevalendo la convinzione che non riuscissero a restituire la bellezza di un’arte che doveva essere ormai in decadenza all’ epoca di Nerone. In realtà quegli scavi, diversi da tutti quanto erano stati realizzati nei secoli pre- cedenti, avevano portato alla luce non dei singoli monumenti, ma una serie di testi- monianze, dalle architetture, alle sculture, ai dipinti, agli oggetti di uso quotidiano, ai cibi addirittura, che ci restituivano, come preciserà Leopoldo Cicognara nella fonda- mentale introduzione al VII libro della Sto- ria della scultura, gli «usi della vita» che erano «rimasti sepolti» e conservati intatti entro il loro mantello di lava per «quasi di- ciassette secoli». Quindi le «produzioni della nuova dissotterrata città misero una convulsione generale», per cui i «letterati e gli antiquarj corsero in folla alla corte di Carlo III per riconoscere gli scavi e le opere, e per esaminare, commentare, studiare le tante singolarità». Il grande sovrano illu- minato fece gestire questo fenomeno co- me una sorta di affare di stato. L’accesso agli scavi era interdetto ai più, ma anche le visite alle antichità raccolte nella reggia di Portici avvenivano tra mille interdizioni e cautele. La novità fu la tutela e la trasmis- sione dell’immagine delle opere ritrovate attraverso la grandiosa impresa degli otto monumentali volumi illustrati Le Antichità di Ercolane esposte, collocati ad apertura della mostra, dove vennero riprodotti, con incisioni di eccezionale livello, soprattutto le pitture –cui vennero dedicati cinque to- mi - , ma anche i bronzi, le lucerne e i can- delabri. I sontuosi volumi dell’edizione originale non furono mai messi in com- mercio, ma inviati in omaggio, suscitando gelosie e malumori, agli studiosi e alle isti- tuzioni che la corte riteneva meritevoli. Ma furono tante e tali le derivazioni che il gu- sto pompeiano, piuttosto ininfluente per lo svolgimento della pittura e della scultu- ra, ebbe invece un’enorme fortuna, come sottolineò Cicognara, «su ciò che si chiama oggetti minori delle arti, come le suppel- lettili, le mobilie, le decorazioni domesti- che ed interne degli edificj; e alcuni sculto- ri, gli intagliatori di gemme, i pittori, e ce- sellatori imitarono le danzatrici, le centau- resse, e le altre pitture ercolanensi». Mentre «li candelabri, le lucerne, ed i bron- zi servirono di modello ad ogni costruzio- ne più moderna d’ornamenti e d’utensili». Insieme alle vedute del sito, come quelle straordinarie di Hackert e di Piranesi, sono proprio queste derivazioni, nell’ambito della decorazione a caraterizzare, il per- corso della mostra, dalle incantevoli tem- pere su fondo nero di Canova con le figure delle danzatrici, che ritroviamo poi anche negli schienali dei sofà e delle poltrone, ai parafuochi, ai biscuit dove ricorre il tema della venditrice di Amorini, uno dei più ce- lebri degli affreschi staccati, alla porcella- ne realizzate dalla Manifattura Reale di Ca- podimonte, ai fastosi centrotavola dove venne riprodotto il Tempio di Iside, uno dei più famosi edifici di Pompei. Nel corso dell’Ottocento, quando l’atti- vità di scavo non conosce sosta e l’accesso alle due città entra nei circuiti turistici, ac- canto all’initerrotta fortuna dei motivi pompeiani nell’ambito dell’architettura, della decorazione e dell’oggettistica, l’«ul- timo giorno di Pompei» entra nell’immagi- nario collettivo attraverso il melodramma (il più famoso è quello di Pacini del 1825), la pittura (il dipinto più popolare è quello im- menso di Brjullov realizzato a Roma tra il 1827 e il 1833, conservato al Museo Statale Russo di San Pietroburgo) e la letteratura, quando, a partire dal 1834, il macchinoso feuilleton The Last Days of Pompeii di Geor- ge Edward Bulwer-Lytton diventerà, tra- dotto in tutte le lingue, un successo globale destinato ad influenzare il cinema che si impadronirà di questo tema apocalittico. Ma non mancheranno tra Otto e Novecento i dipinti, sovente banali, dove veniva rievo- cata la vita a Pompei nei giorni felici prece- denti il disastro. Mentre il misterioso fasci- no delle sue architetture e dei suoi affreschi sapranno restituirlo dei visitatori d’ecce- zione come Le Corbusier e Picasso, alla cui testimonianza è giustamente affidata la chiusura della mostra. © RIPRODUZIONE RISERVATA allestimenti d’autore Teatrini invece di vetrine di Fulvio Irace I n una mostra è facile esporre oggetti, più o meno bene. Ma come si espone un mito? La mostra «Pompei e l’Euro- pa» parla di un mito, il mito virale che dalla scoperta della città sepolta a oggi non ha mai smesso di agitare il sonno del clas- sico e il demone del quotidiano. Come dimostra la copiosa documen- tazione che costituisce il corpus della se- zione della mostra al Museo Archeologi- co di Napoli, un fiume di quadri, stampe, sculture e fotografie sorge poco a poco e forma il “racconto dei racconti”, la sum- ma mitologica del Moderno che, come Narcisio, si specchia nell’Antico e, anche nei suoi momenti di massima distanza, ne riflette il turbamento con la voce del proprio tempo. Era dunque un compito difficile rende- re visibile questa rete di rapporti, trasfor- mandoli in un campo di tensioni. Entran- do in quella che rimane una delle più impo- nenti aule coperte d’Europa, il seicentesco Salone della Meridiana del Museo Archeo- logico, che l’astronomo Giuseppe Casella voleva rendere simile a un Osservatorio astronomico, ci si rende conto di come l’ar- chitetto allestitore Francesco Venezia ab- bia saputo trasformare la fatica in una lie- ve passeggiata. Tra le invenzioni più effi- caci, va segnalata infatti la sostituzione delle vetrine con piccoli teatrini: con fine- stre insomma dove l’originale, la copia e l’interpretazione si accostano e si guarda- no (esemplare il confronto tra i Gladiatori e De Chirico ) rendendo percepibile la trama del dialogo che è appunto l’essenza del Mi- to. Ogni oggetto ha il suo posto ma questo non è mai scontato: leggeri slittamenti(co- I soggetti degli affreschi pompeiani incantarono Canova ma finirono anche su schienali di sofà e poltrone, su parafuochi e biscuit Con il «Grande Progetto Pompei» si è finalmente intrapresa una politica di conservazione destinata a risolvere le criticità esistenti una mostra, due sedi

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32 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 14 GIUGNO 2015 n. 162

Pompei e l’Europa

il sovrintendente

Meglio la manutenzione straordinaria

la sezione a napoli/ 1

Il boom del pompeianoAl Museo Archeologico l’influssodi Ercolano e Pompei su architettura, pittura, illustrazione, arti decorative, letteratura e fotografia dal 1748 al 1943

di Fernando Mazzocca

pagina a cura diMarco Carminati

Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e all’Anfiteatro negli Scavi di Pompei ha aperto al pubblico mercoledì 27 maggio la mostra Pompei e l’Europa 1748 – 1943 visitabile fino al prossimo 2 novembre. La rassegna organizzata da Electa è promossa dalla Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e dalla Direzione Generale del Grande Progetto Pompei, con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. La mostra è allestita per entrambe le sedi dall’architetto Francesco Venezia. L’esposizione nel Salone della Meridiana del museo di Napoli è curata da Massi-mo Osanna, Maria Teresa Caracciolo e Luigi Gallo. A Pompei la sezione Rapiti alla morte.I calchi è a cura di Massimo Osanna e Adele Lagi, mentre La fotografia è curata da Massimo Osanna, Ernesto De Carolis e Grete Stefani. La mostra ha ottenuto il patrocinio Expo Milano 2015. Il catalogo è edito da Electa in tre edizio-ni (italiano, francese e inglese). In occasione della mostra, per la collana Electaphoto, viene inoltre pubblicato il volume Pompei. La fotografia con circa 200 foto storiche, perlopiù inedite. La mostra è aperta tutti i giorni agli Scavi di Pompei, dalle 9.00 alle 18.00. Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.30 (chiusa il martedì). Per informazioni: www.mostrapompeieuropa.it

moda pomepeiana | Qui sopra, «Danzatrice con fiori» (I secolo d.C.) Napoli, Museo Archeologico Nazionale (da Ercolano). Accanto, «Poltrona» (1796-1799), Napoli, Museo di Capodimonte, (dalle Collezioni Borboniche). A destra, «Anfora con danzatrice», porcellana, bronzo e marmo, Napoli, Museo di Capodimonte

di Massimo Osanna

Pompei è stato sin dalla sua scoperta nel1748 luogo evocativo di grande fascinoper l’Europa e allo stesso tempo luogo diricerca e sperimentazione. La “seconda

vita” di Pompei scorre lungo due binari paralleli: il primo, basato su un approccio razionale e metodi-co, sollecitato dalla necessità di far rivivere e di co-noscere la città nella sua interezza; il secondo, lega-to all’immaginazione che ricrea, generazione dopogenerazione un’altra Pompei, dotata di una realtà poetica avvincente nella sua mutevolezza. La stra-ordinaria vicenda della “doppia vita” di Pompei, hacosì nutrito e ispirato artisti, letterati, intellettuali, storici, ricercatori, ma anche gente comune, che havisitato, ammirato, operato e contribuito a trasfor-mare il luogo. Nel lungo percorso tra la metà del ‘700 e oggi Pompei ha conosciuto nella sua gestio-

ne, nelle prospettive di ricerca e conservazione vi-cende e fortune assai alterne. Periodi particolar-mente felici (come quello inauguratosi con l’Unità d’Italia e la nuova gestione del geniale soprinten-dente Fiorelli) si sono alternati a periodi di ristagnoe inerzia. Non sono mancati eventi tragici come il disastroso bombardamento degli alleati nel 1943, episodio epocale, che ha condizionato irreversibil-mente lo stato di conservazione del sito e ancora condiziona le attuali politiche di tutela.

Si sente spesso ripetere che quello di cui neces-sità Pompei oggi è la manutenzione ordinaria, l’esperienza maturata in quest’ultimo anno mipermette di dire che, senza nulla togliere alla ma-nutenzione ordinaria – che deve essere certa-mente portata avanti con costanza anno per anno- , quello di cui Pompei aveva bisogno era di un in-tervento straordinario che risolvesse le molte cri-ticità alla base, portando avanti azioni e progetti di ampio respiro. Con il Grande Progetto Pompeicofinanziato dalla Comunità Europea, si è final-

mente intrapresa una politica consapevole diconservazione: si tratta infatti di un quanto mai necessario e improcrastinabile intervento stra-ordinario sul sito, destinato a risolvere le criticitàesistenti grazie a lavori di messa in sicurezza di

tutte le Regiones, di restauro strutturale e degli apparati decorativi delle domus meglio conserva-te, di mitigazione del dissesto idro-geologico. Masi è puntato anche a dare una nuova immagine a Pompei, muovendo da istanze scientifiche e diconservazione per poi volgersi al grande pubbli-

co, con un piano di fruizione e comunicazioneadeguato alle esigenze del contemporaneo. Unpiano di interventi strutturali e di conoscenza perun rilancio complessivo della città vesuviana, perportare alla luce nuovamente la sua bellezza. Perpoterla trasformare da luogo dello “scandalo” a luogo di eccellenza, dove coniugare conoscenza,conservazione, formazione e sperimentazione con le tecnologie di documentazione e restauro.

Nell'ambito di questo progetto ambizioso diconservazione e rilancio internazionale di Pom-pei e della sua “immagine” si è puntato anche sull'organizzazione di mostre. Il patrimonio pom-peiano è infatti solo in parte composto dalle case, dalla botteghe, dai luoghi pubblici, che quotidia-namente migliaia di turisti visitano. La restante parte vive una vita più oscura, suddivisa tra il Mu-seo Nazionale di Napoli e i vari depositi della So-printendenza. I diversi percorsi espositivi della Mostra “Pompei e l'Europa”, dislocati tra il Museo Archeologico di Napoli e l'anfiteatro di Pompei, rappresentano per il grande pubblico un indubbioelemento attrattore con cui scoprire e costruire una nuova immagine di Pompei: vengono trasfe-riti nelle due esposizioni i risultati e il senso dei la-vori e ricerche in corso, valorizzando un patrimo-nio nascosto (in buona parte mai esposto al pub-blico: mostra sui calchi e mostra fotografica a

Pompei) o difficilmente fruibile (conservato com'èin numerosissimi musei e collezioni europee).

Se la mostra pompeiana presenterà per la pri-ma volta una ricca scelta di calchi delle vittime ap-pena restaurati (da quelli pionieristici realizzatinell'Ottocento all'epoca del Soprintendente Giu-seppe Fiorelli a quelli frutto degli scavi succedutisisino agli anni '80 del secolo scorso), nonché una scelta significativa di fotografie dell'archivio foto-grafico della Soprintendenza speciale (che docu-mentano scavo e restauri di contesti su cui oggi si interviene di nuovo con il Grande Progetto Pom-pei), l'esposizione napoletana propone un gran-dioso allestimento che mette a confronto oggetti antichi rinvenuti nell'area vesuviana (e conservatiin gran parte in deposito) con opere d'arte euro-pee, che giungono per la prima volta a Napoli dai maggiori Musei d'Europa.

L'eccezionale impegno che si sta oggi profon-dendo nel restauro e nella valorizzazione del sito diPompei, sostenuto finalmente da una disponibilitàdi fondi straordinari, in gran parte destinati proprioalla messa in sicurezza e al restauro, non corrispon-de dunque alla rinuncia ad affrontare il problema nell'unica prospettiva possibile che è quella di una approfondita conoscenza storico archeologica di contesto e materiali e la conseguente presentazio-ne di questo patrimonio al grande pubblico. L'ob-

biettivo è di portare di nuovo l'attenzione - tanto de-gli addetti ai lavori, quanto del più vasto pubblico -,su una Pompei non già solo crolli, cantieri e opere pubbliche, ma di straordinario laboratorio, fabbri-ca di conoscenze attraverso la ricerca, la conserva-zione e la valorizzazione di un sito archeologico su scala urbana. In questo ambito la proposta di far ri-vivere a Pompei- adeguandola alle esigenze del contemporaneo - l'antica idea del Fiorelli di una Scuola di Archeologia non è affatto peregrina. L'attenzione internazionale, l'interesse del grande pubblico, le possibilità di individuare nuove forme di partecipazione ampia al recu-pero di Pompei, fanno di questo luogo il con-testo ideale per sperimentare e concepire una formazione di altissimo livello, com-petitiva a livello internazionale nonchénuove forme di gestione e fruizione.

– Soprintendente della Soprintendenzaspeciale per Pompei, Ercolano e Stabia

© RIPRODUZIONE RISERVATA

È stata una coincidenza stra-ordinaria che in un secolo incui l’attività del Vesuvio eraripresa in tutta la sua spetta-colare magnificenza venis-sero riscoperte addirittura

due antiche città romane, Ercolano nel1738 e Pompei nel 1748, che erano state se-polte dalla lava nell’eruzione del 79 dopoCristo, l’evento descritto da Plinio il Gio-vane nella celebre lettera inviata a Tacito.Assistere allo spettacolo del grande vulca-no in fiamme, ed ascendere con arditeescursioni comunque ben organizzatedalle guide alle sue pendici, e poter, im-presa non sempre facile, ammirare gli sca-vi e gli stupefacenti reperti raccolti nell’Herculanense Museum allestito nella reg-gia di Portici alle falde dello stesso Vesuvio(successivamente saranno trasferiti inquello che è oggi il Museo ArcheologicoNazionale) fecero di Napoli la meta, insie-me a Roma, privilegiata del Grand Tour. Levedute che rappresentavano il vulcano inesplosione, soprattutto quando i suoi ba-gliori nelle notti terse gareggiavano con laluce della luna, diventarono un vero e pro-prio genere molto richiesto dai viaggiatorie affrontato da mestieranti, ma anche dapittori di grande talento, come il franceseVolaire e l’inglese Wright of Derby.

Le due città dissepolte si insediaronoper sempre con la loro fantastica storianell’ immaginario collettivo. Mario Praz,che ci ha lasciato pagine memorabili sullaloro riscoperta e la loro importanza per ilNeoclasssicimo, ricordava come Goetheavesse “cinicamente” osservato che «nes-suna catastrofe è stata mai fonte di tantopiacere pel resto dell’umanità, come quel-la che seppellì Ercolano e Pompei». Questaaffascinante mostra interdisciplinare, chesotto la guida dei tre curatori Maria TeresaCaracciolo, Luigi Gallo e Massimo Osannaha saputo avvalersi del contributo di spe-cialisti in campi diversi, ricostruisce attra-verso duecento opere in catalogo le vicen-de di una fortuna che ha coinvolto l’archi-tettura, la pittura, l’ illustrazione, le artidecorative, la letteratura, la fotografia, inun arco temporale identificato tra la risco-perta di Ercolano e di Pompei al bombar-damento nel 1943 da parte degli alleati diquei famosi, quanto travagliati, siti ar-cheologici. Un evento davvero traumaticoche sta all’origine degli attuali difficoltà ri-spetto alla conservazione e alla gestione diquello che Chateaubriand, uno dei testi-moni più significativi del mito di Pompei,ha definito come «le plus merveilleux mu-sée de la terre».

In realtà, il clamoroso successivo ritro-

vamento delle due città, destinato a cam-biare radicalmente la visione dell’ antichi-tà, non aveva suscitato all’inizio un entu-siasmo incondizionato. I primi resocontimostrarono addirittura una certa freddez-za e persino scetticismo sull’importanzadelle opere ritrovate. Quelle più significati-ve erano state i dipinti murali anche digrandi dimensioni, conservati in parte in loco e nella maggior parte – nel 1787 aveva-no raggiunto il numero riguardevole dimille e cinquecento – dirottati verso il Mu-seo Ercolanense. Queste opere, che oggicostituiscono il vanto del Museo Archeolo-gico Nazionale di Napoli, costituivano unanovità, in quanto davano un’idea della pit-tura degli antichi, dei capolavori, esaltatidalle fonti ma andati perduti, di Apelle,Zeusi e Polignoto. I pareri furono però di-scorsi, prevalendo la convinzione che nonriuscissero a restituire la bellezza di un’arteche doveva essere ormai in decadenza all’epoca di Nerone.

In realtà quegli scavi, diversi da tuttiquanto erano stati realizzati nei secoli pre-cedenti, avevano portato alla luce non deisingoli monumenti, ma una serie di testi-monianze, dalle architetture, alle sculture,ai dipinti, agli oggetti di uso quotidiano, aicibi addirittura, che ci restituivano, comepreciserà Leopoldo Cicognara nella fonda-mentale introduzione al VII libro della Sto-ria della scultura, gli «usi della vita» cheerano «rimasti sepolti» e conservati intattientro il loro mantello di lava per «quasi di-

ciassette secoli». Quindi le «produzionidella nuova dissotterrata città misero unaconvulsione generale», per cui i «letterati egli antiquarj corsero in folla alla corte diCarlo III per riconoscere gli scavi e le opere,e per esaminare, commentare, studiare letante singolarità». Il grande sovrano illu-minato fece gestire questo fenomeno co-me una sorta di affare di stato. L’accessoagli scavi era interdetto ai più, ma anche levisite alle antichità raccolte nella reggia diPortici avvenivano tra mille interdizioni ecautele. La novità fu la tutela e la trasmis-sione dell’immagine delle opere ritrovateattraverso la grandiosa impresa degli ottomonumentali volumi illustrati Le Antichitàdi Ercolane esposte, collocati ad aperturadella mostra, dove vennero riprodotti, conincisioni di eccezionale livello, soprattuttole pitture –cui vennero dedicati cinque to-mi - , ma anche i bronzi, le lucerne e i can-delabri. I sontuosi volumi dell’edizioneoriginale non furono mai messi in com-mercio, ma inviati in omaggio, suscitandogelosie e malumori, agli studiosi e alle isti-tuzioni che la corte riteneva meritevoli. Mafurono tante e tali le derivazioni che il gu-sto pompeiano, piuttosto ininfluente perlo svolgimento della pittura e della scultu-ra, ebbe invece un’enorme fortuna, comesottolineò Cicognara, «su ciò che si chiamaoggetti minori delle arti, come le suppel-lettili, le mobilie, le decorazioni domesti-che ed interne degli edificj; e alcuni sculto-ri, gli intagliatori di gemme, i pittori, e ce-sellatori imitarono le danzatrici, le centau-resse, e le altre pitture ercolanensi».Mentre «li candelabri, le lucerne, ed i bron-zi servirono di modello ad ogni costruzio-ne più moderna d’ornamenti e d’utensili».Insieme alle vedute del sito, come quellestraordinarie di Hackert e di Piranesi, sonoproprio queste derivazioni, nell’ambitodella decorazione a caraterizzare, il per-corso della mostra, dalle incantevoli tem-

pere su fondo nero di Canova con le figuredelle danzatrici, che ritroviamo poi anchenegli schienali dei sofà e delle poltrone, aiparafuochi, ai biscuit dove ricorre il temadella venditrice di Amorini, uno dei più ce-lebri degli affreschi staccati, alla porcella-ne realizzate dalla Manifattura Reale di Ca-podimonte, ai fastosi centrotavola dovevenne riprodotto il Tempio di Iside, unodei più famosi edifici di Pompei.

Nel corso dell’Ottocento, quando l’atti-vità di scavo non conosce sosta e l’accessoalle due città entra nei circuiti turistici, ac-canto all’initerrotta fortuna dei motivipompeiani nell’ambito dell’architettura,della decorazione e dell’oggettistica, l’«ul-timo giorno di Pompei» entra nell’immagi-nario collettivo attraverso il melodramma(il più famoso è quello di Pacini del 1825), lapittura (il dipinto più popolare è quello im-menso di Brjullov realizzato a Roma tra il1827 e il 1833, conservato al Museo StataleRusso di San Pietroburgo) e la letteratura,quando, a partire dal 1834, il macchinosofeuilleton The Last Days of Pompeii di Geor-ge Edward Bulwer-Lytton diventerà, tra-dotto in tutte le lingue, un successo globaledestinato ad influenzare il cinema che si impadronirà di questo tema apocalittico. Ma non mancheranno tra Otto e Novecentoi dipinti, sovente banali, dove veniva rievo-cata la vita a Pompei nei giorni felici prece-denti il disastro. Mentre il misterioso fasci-no delle sue architetture e dei suoi affreschisapranno restituirlo dei visitatori d’ecce-zione come Le Corbusier e Picasso, alla cuitestimonianza è giustamente affidata la chiusura della mostra.

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allestimenti d’autore

Teatriniinvece di vetrinedi Fulvio Irace

In una mostra è facile esporre oggetti,più o meno bene. Ma come si esponeun mito? La mostra «Pompei e l’Euro-pa» parla di un mito, il mito virale che

dalla scoperta della città sepolta a oggi nonha mai smesso di agitare il sonno del clas-sico e il demone del quotidiano.

Come dimostra la copiosa documen-tazione che costituisce il corpus della se-zione della mostra al Museo Archeologi-co di Napoli, un fiume di quadri, stampe,sculture e fotografie sorge poco a poco eforma il “racconto dei racconti”, la sum-ma mitologica del Moderno che, comeNarcisio, si specchia nell’Antico e, anchenei suoi momenti di massima distanza,ne riflette il turbamento con la voce delproprio tempo.

Era dunque un compito difficile rende-re visibile questa rete di rapporti, trasfor-mandoli in un campo di tensioni. Entran-do in quella che rimane una delle più impo-nenti aule coperte d’Europa, il seicentescoSalone della Meridiana del Museo Archeo-logico, che l’astronomo Giuseppe Casella voleva rendere simile a un Osservatorioastronomico, ci si rende conto di come l’ar-chitetto allestitore Francesco Venezia ab-bia saputo trasformare la fatica in una lie-ve passeggiata. Tra le invenzioni più effi-caci, va segnalata infatti la sostituzionedelle vetrine con piccoli teatrini: con fine-stre insomma dove l’originale, la copia el’interpretazione si accostano e si guarda-no (esemplare il confronto tra i Gladiatori eDe Chirico ) rendendo percepibile la tramadel dialogo che è appunto l’essenza del Mi-to. Ogni oggetto ha il suo posto ma questonon è mai scontato: leggeri slittamenti(co-

I soggetti degli affreschi pompeiani incantarono Canova ma finirono anchesu schienali di sofà e poltrone, su parafuochi e biscuit

Con il «Grande Progetto Pompei» si è finalmente intrapresa una politicadi conservazione destinataa risolvere le criticità esistenti

una mostra, due sedi

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n. 162 DOMENICA - 14 GIUGNO 2015 Il Sole 24 Ore 33

Pompei e l’Europa

francesco venezia | Allestimento della mostr nel Teatro di Pompei. In alto, quello nella Sala della Meridiana al Museo Archeologico di Napoli

la sezione a pompei/ 2

Storia degli scavitutta a scatti di Cinzia Dal Maso

G iorgio Sommer chiese di scattareuna foto, e il generale Giuseppe Ga-ribaldi acconsentì. In pochi minutisi formò il gruppo nel Macellum (al-

lora chiamato Pantheon), e quell’immagineche ricorda la visita di Garibaldi liberatore aPompei il 25 settembre 1860, può essere con-siderata il simbolo degli esordi dell’utilizzodella fotografia professionale a Pompei. Allo-ra in verità, con l’arrivo di Giuseppe Fiorelli aPompei, dal 1863 direttore degli scavi, co-minciò anche la nuova fase “scientifica” dellaricerca archeologica nelle città vesuviane. FuFiorelli ad abbandonare il sistema di scavodelle case con partenza dal fronte stradale, per sostituirlo col rivoluzionario metodo del-lo sterro a strati orizzontali dall’alto che con-sentiva di recuperare anche le strutture supe-riori degli edifici, e se possibile poi ricostruir-le. Fu ancora Fiorelli, grande sodale di Som-mer, a elargire con magnanimità al fotografoi permessi di eseguire scatti, anche nelle oredi chiusura ai visitatori. A ragione dunque lafoto di Garibaldi col suo Stato maggiore aprela carrellata di immagini storiche che, espo-ste sulle pareti dell’ambiente interno alla pi-ramide allestita per la mostra nell’Anfiteatrodi Pompei, ricostruiscono le vicende salientidell’archeologia pompeiana da allora fino al-le devastazioni causate dai bombardamentialleati del 1943 (sezione a cura di Massimo Osanna, Ernesto De Carolis e Grete Stefani).C’è per esempio una foto di Giacomo Brogidell’atrio della Casa dal Balcone Pensile dive-nuto famoso per il rinvenimento di una sta-tua-fontana di fanciullo con conchiglia, mache fu anche una delle prime ricostruzioni delpiano superiore, il “balcone pensile” appun-to, in virtù dell’innovativa tecnica di scavo diFiorelli. E poi una foto, sempre di Brogi, delgiardino della Casa di Marcus Lucretius contutte le sue scenografiche sculture, e una di Sommer degli anni Novanta quando si portòalla luce la Casa dei Vettii, che mostra an-ch’essa il giardino della casa con sculture, ba-cini d’acqua e i vialetti e le aiuole originari cosìcom’erano stati individuati dagli archeologi.

Non è ancora, questa, la fotografia scienti-fica usata come documentazione imprescin-dibile di ogni fase dello scavo. La fotografiaarcheologica ottocentesca mirava prevalen-temente a realizzare quelle immagini di sou-venir che sostituirono e resero di colpo obso-leti incisioni, acquerelli e disegni. Immaginiriproducibili in molte copie e vendibili aprezzo accessibile a un turismo sempre me-no elitario. I soggetti erano quelli privilegiatidai turisti: i luoghi principali della città fa-mosi già da tempo, i panorami col Vesuviosullo sfondo, che il fotografo ritoccava so-vente facendone uscire un po' di fumo. Maanche le case note per gli arredi particolarilasciati allora in situ, e gli affreschi che, con ladirezione degli scavi di Michele Ruggiero(1975-1893), si cominciò a restaurare la-sciandoli sul posto. Molte foto dell’epoca so-no dunque l’unica preziosissima testimo-nianza di arredi ora non più sul posto, di pit-ture svanite, di strutture crollate. In mostra sivede anche il Tempio di Vespasiano quan-

d’era usato come deposito di reperti. Perquesto loro valore documentario, le immagi-ni cominciarono a essere commissionate eacquistate anche dalle istituzioni italiane esono oggi testimonianze impagabili per gliarcheologi. Tuttavia la loro prevalente fun-zione turistica è palese e vi si ammira perlo-più una Pompei senza persone, “da cartoli-na”. Alcune inquadrature, divenute oramaiclassiche, furono mutuate dalle incisioniprecedenti, ma nel complesso furono pro-prio i grandi fotografi dell’epoca - i vari Som-mer, Brogi, Amodio, Alinari, Bernoud, Mau-ri, Rive, Anderson – a costruire la visione del-la città antica che dimora tuttora nel nostroimmaginario.

Una recentissima ricerca condotta da ZenaKamash dell’Università di Londra ha rivelatoche le inquadrature delle foto postate oggi daituristi su TripAdvisor sono le stesse dei foto-grafi dell’Ottocento. E come allora, non ci so-no personaggi nelle foto. L’idea della città de-solata e priva di vita, è sopravvissuta persinonell’era dei selfie. Rare eccezioni, già nell’Ot-tocento, sono i tableaux vivants di Wilhelmvon Plueschow che ritraeva in città fanciulliin posa, sovente nudi, teatralmente vagheg-giando un antico mondo scomparso. Ogl’inediti scatti dell’atelier Esposito che mo-strano gli operai intenti nello scavo e l’inno-vativo uso della decauville per trasportare ve-locemente l'enorme massa di materiali erut-tivi rimossi.

Col tempo però gli archeologi cominciaro-no ad assoldare i fotografi professionisti perdocumentare il loro lavoro, e finalmente nel1910 il direttore Antonio Sogliano decise diassumere fotografi e dotare Pompei di un la-boratorio fotografico. In quello stesso anno ilGenio militare realizzò una foto aerea dellacittà usando un pallone aerostatico. Il dado era tratto: scoperte, allestimenti, visite uffi-ciali, studiosi al lavoro, tutto venne rigorosa-mente fissato in uno scatto. Come il termopo-lio di Asellina allestito in modo da mostrarecom’era una bottega di allora. Il termopoliovenne bombardato nel 1943: senza quegliscatti non ci sarebbe oggi più memoria.

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la sezione a pompei / 3

Il restaurodei fragili calchi

Icalchi delle vittime dell’eruzione non po-tevano mancare. Una mostra che narra ilfascino esercitato dalle scoperte pompeia-ne sulle arti e l’immaginario europei, non

poteva trascurare ciò che più di tutto ha dato corpo e vita al mito. Quei calchi sono a tutti gli effetti esseri umani, gente di Pompei colta nel momento della morte. Sono i nostri antenati che possiamo guardare in faccia, a duemila an-ni di distanza. Ci fanno sentire il contatto diret-to con la vita vera di allora. Come le mummie. Ma ancor più delle mummie, ci fanno partecipidella loro sofferenza, della loro disperazione inquelle ore fatali tra il 24 e il 25 agosto del 79 d.C.

Fu invenzione veramente geniale, quellasperimentata il 3 febbraio 1863 dall’allora Di-rettore degli scavi Giuseppe Fiorelli. Ordinò agli operai di versare gesso liquido in una cavi-tà incontrata in un vicolo, usando un procedi-mento già utilizzato per i mobili in legno, e ot-tenne così il primo calco completo di un corpoumano. Sepolti dalle colate piroclastiche, coltempo i corpi si sono decomposti lasciando però nella cenere indurita la loro impronta, chiarissima, e conservando lo scheletro e i gio-ielli e gli amuleti che portavano con sé. Nei giorni successivi, Fiorelli fece realizzare calchidi altri tre corpi tra cui quelli di due donne, for-se madre e figlia, e da allora quel vicolo si chia-ma Vicolo degli Scheletri.

L’eco fu enorme, si scattarono subito fotoche fecero il giro del mondo: Fiorelli aveva in-ventato un modo nuovo di fare archeologia e di entrare in contatto col nostro passato. E lapratica dei calchi è continuata fino a oggi. Os-servandoli da vicino, si notano le pieghe delle vesti, le rughe sul volto, i capelli, ma è la loro po-sa primordiale, disperata, a colpirci nel pro-fondo: chi si chiude a riccio per proteggersi, chisi copre il volto con le vesti per cercare di respi-rare, chi si abbraccia ai propri cari, chi è colto nell’ultimo tentativo di salvarsi, chi è travolto dai flussi piroclastici.

Fiorelli espose i calchi nel nuovo MuseoPompeiano e lì col tempo ne confluirono di-ciannove. Fino a che dal 1911, con la direzione diVittorio Spinazzola, si cominciò a lasciarli nei luoghi dov’erano stati trovati, protetti da teche,così da consentire ai visitatori di rivivere con maggior forza il loro dramma. A oggi si contano103 calchi, realizzati tutti con la medesima tec-nica di Fiorelli: è importante studiare bene la consistenza del gesso perché sia denso al puntoda sostenere l’ossatura, ma anche sufficiente-mente fluido per cogliere ogni particolare dellefigure. E bisogna colare il gesso molto lenta-

mente, per non turbare alcunché. Nel 1984 è stato fatto un esperimento con la resina che, trasparente, può evidenziare gli scheletri delle vittime e gli oggetti che portavano con sé, ma è risultato un procedimento troppo complesso afronte di un risultato poco realistico e persino macabro. Oggi quel che i gessi racchiudono si vede con una scansione 3D. E il gesso “fa” la per-sona e il suo dramma, come sanno bene le ge-nerazioni di artisti che a quelle “persone” si so-no ispirate cogliendo la loro forza evocativa e laloro profonda natura “anticlassica”: da Arturo Martini a César, da Antony Gormley ad Allan McCollum a Mimmo Paladino a Vanessa Bee-croft. I calchi stessi sono stati considerati, a vol-te, alla stregua di opere d’arte, come nuovi og-getti creati dal nulla, da uno spazio vuoto.

Ultimamente, però, erano molto trascurati. Icalchi posti in vari luoghi della città, erano an-cora chiusi nelle vecchie teche polverose, men-tre quelli nel museo, colpiti dalle bombe alleatenel 1943 e per buona parte ridotti in frammenti,erano accatastati in una stanza delle Terme del Sarno. Serviva un corposo lavoro di ricomposi-zione delle membra sparse, di pulizia e consoli-damento, reso ora possibile da fondi messi a di-sposizione dal Grande Progetto Pompei. L’èquipe di archeologi e restauratori ha iniziatoda poco il lavoro di restauro degli 86 calchi sele-zionati, e non terminerà prima della fine del-l’anno. Ma già venti sono in mostra, a preziosa testimonianza della loro unicità. Molto si è det-to sulla scelta dell’architetto Francesco Veneziadi collocare una piramide tronca all’interno dell’anfiteatro di Pompei, per presentare i cal-chi (la sezione della mostra è a cura di MassimoOsanna e Adele Lagi). Ha voluto una forma me-more sia della tomba monumentale per eccel-lenza che del vulcano, per dire che d’ora in avanti i calchi non saranno più trascurati ma consegnati all’eternità. È una costruzione bellae in fondo non impedisce di cogliere con lo sguardo l’ovale dell’anfiteatro. All’interno, in-vece, si è accolti da una cupola dove i calchi bianchi galleggiano al centro in uno spazio ne-ro, come memoria che emerge dall’oblio. Forsequi serviva creare un’atmosfera più raccolta per restituire alle vittime dell'eruzione tutta la loro dignità. Ma ci sarà tempo di farlo poi, a mo-stra conclusa, quando i calchi torneranno in parte nei propri luoghi e in parte in museo. Do-ve? Ancora non si sa. Ma ancora una volta, dopoi tempi di Fiorelli, sarà un nuovo luogo pensatosoprattutto per loro.

– Cinzia Dal Maso© RIPRODUZIONE RISERVATA

jean cocteau | Picasso e Léonide Massine davanti a una fontana a Pompei nel 1917

il dramma dell’eruzione | I calchi restaurati delle vittime dell’eruzione del Vesuvio esposti nella piramide realizzata da Francesco Venezia nell’Anfiteatro di Pompei

hippolyte moulin «Una scoperta a Pompei» ,1863, bronzo,Parigi, Musee d'Orsay

me i quadri che sporgono lateralmente dal-le pareti), decentramenti d’asse visivo per evitare la centralità della prospettiva e im-percettibili sovrapposizioni danno alla sfi-lata dei reperti l’aria di una conversazione.L’allestimento – o meglio il dispositivo ar-chitettonico - bilancia la misura colossaledello spazio inscrivendovi una costruzionea forma di trapezio (richiamo all’Egitto e alculto di Iside documentato a Pompei) che siinterrompe in alcuni punti per adattarsi al-le peculiarità della sala inglobando, ad esempio, la bella meridiana in ottone. L’ar-chitettura effimera dunque crea lo spazionecessario per far risaltare gli oggetti, ma

allo stesso tempo ci ricorda sempre che sia-mo dentro un ambiente eccezionale.

Francesco Venezia è architetto abituatoa distillare con delicatezza e intensitàl’ispirazione del suo lavoro: rincorre contocco lieve il tema dell’allusione, sa sce-gliere i suoi materiali evidenziandone almassimo le tonalità: fondamentale a Na-poli l’uso del colore con leggeri rivesti-menti in linoleum che hanno la lievità sun-tuosa della seta. Una palette di gialli, rossi,grigi,ecc. ripescato dalle cromie di Pompeiche qui assumono il tono moderno di unMondrian o di un Klee.

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