La “Seconda Natura” di Arnold Gehelen

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La “Seconda Natura” di

Arnold Gehelen

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Indice

Introduzione.............................................................................................. pag. I

Capitolo primo

L'UOMO TECNICO E L’UOMO CAPITALISTICO ............................................ pag. 1

Capitolo secondo

L'UOMO COME ESSERE NON SPECIALIZZATO ................................................ pag. 7

Capitolo terzo

L'UOMO NELL’ETÀ DELLA TECNICA E IL SUO RAPPORTO CON L’ISTITUZIONE ............................................................................................ pag. 14

Bibliografia ............................................................................................... pag. 21

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Introduzione

I

Introduzione

È sempre difficile contestualizzare un’opera filosofica. È difficile resti-

tuire ad un testo il perimetro storico, politico o sociale, che, delimitandone il si-

gnificato, lo renda comprensibile. L’uomo nell’età della tecnica1 di Arnold Ge-

helen, per una serie di specifici motivi che mostreremo, non si sottrae a questa

difficoltà.

Nonostante il titolo del saggio già fornisca, a tal proposito, alcune im-

portanti informazioni, tuttavia solleva un primo interrogativo, a cui sarà neces-

sario dare una risposta: qual è l’età della tecnica?

Quest’opera fu pubblicata nel 1957, ma Gehelen ci suggerisce che il di-

battito filosofico, a cui bisogna fare riferimento, è quello prodottosi in Germa-

nia fra le due guerre:

Non abbiamo nulla da obiettare se il presente

saggio verrà inserito a priori nel quadro gene-

rale di rappresentazioni critiche che è stato

tracciato dalla Kulturphilosophie nella prima

metà del nostro secolo2.

Anche questo dislocamento è problematico. Infatti, inserendo il suo la-

voro tra le voci che diedero vita al dibattito sviluppatosi nella repubblica di

Weimar, Gehelen si assumeva due importanti responsabilità: in primo luogo,

egli non si sottraeva alla denuncia della critica postbellica, che aveva visto in

quel confronto sulla tecnica forti punti d’aggancio con l’ideologia nazionalso-

cialista; e in secondo luogo, rimandando il lettore a quel contesto, di fatto

1A. GEHELEN, L’uomo nell’età della tecnica, Milano 1984. 2Ivi p. 137.

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Introduzione

II

ammetteva che quel dibattito non si era (non si è?) ancora concluso.

In effetti, già leggendo le prime righe del suo saggio, si può constatare

come Gehelen sia forse troppo esplicito a tale riguardo. Egli, immediatamente,

pone Nietzsche, Spengler e la vecchia tradizione idealista contro l’ingegnosità

tecnica del popolo tedesco, come se volesse dimenticare la parentesi nazional-

socialista, per collegare le proprie tesi ancora alle ragioni della rivoluzione con-

servatrice3.

Tuttavia, il diretto riferimento a quel dibattito sul ruolo della tecnica,

che fu elaborato all’interno della dialettica Zivilisation-Kultur, può fornire un

ulteriore significato al saggio che ci accingiamo ad esaminare. È probabile che

questo rimando rinvii alle categorie utilizzate da Gehelen nella sua Antropolo-

gia Elementare, elaborata proprio negli anni che vanno dal 1935 al 19404.

Se ciò fosse vero, si potrebbe rilevare questo ulteriore obiettivo ne

L’uomo nell’età della tecnica: il richiamo alla coppia Zivilisation–Kultur può

essere, in realtà, l’estremo tentativo di oltrepassare la dialettica. Infatti, il riferi-

mento alla contrapposizione Zivilisation–Kultur, che nel saggio del 1957 risulta

essere un modo della scissione mente/corpo, potrebbe essere equiparato allo

sforzo che Gehelen compie nella sua antropologia, poiché soprattutto in essa si

pone l’obiettivo di superare una tale scissione5.

3Sull’ideologia della Rivoluzione Conservatrice cfr. ivi p. 57: “I rivoluzionari conservatori eran eredi delle tradizioni irrazionalistiche europee, tradizioni che assunsero tinte particolarmente forti in Germania per la politicizzazione della Lebensphilosophie, della filosofia della vita [...]. Essi si consideravano come i rappresentanti di tutto ciò che era vitale, cosmico, elementare, ap-passionato, volitivo e organico: dell’intuizione e della vita piuttosto che della razionalità e della morte”. 4A. GEHELEN, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Milano 1983. Per quanto ri-guarda la storia del testo cfr. K.–S. REHBERG, L'antropologia elementare di Arnold Gehelen, in Id. 5Cfr. A. GEHELEN L’uomo, op. cit. p. 38: “[...] il compito di rappresentare l’uomo è difficilissi-mo, è stato più volte tentato, mai però realizzato.Non è stato realizzato per parecchi motivi. Il principale è questo: la mancata ricomposizione di interno e di esterno; morfologia e psicologia, corpo e psiche rimangono in tutte le riflessioni sinora condotte, mondi estranei”.

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Capitolo Primo

L'UOMO TECNICO E L’UOMO CAPITALISTICO

La maggior parte degli interventi, che hanno cercato di comprendere il

particolare dibattito sulla tecnica, sviluppatosi in Germania durante gli anni

della Repubblica di Weimar, hanno rilevato un’intrinseca schizofrenia al suo

interno. Infatti, questi interventi hanno messo in evidenza che, sebbene in esso

permanga una tradizione romantica e anti–illuminista, d’altra parte al suo inter-

no emergeva, sia un impegno filosofico che giustificasse la necessità dello svi-

luppo tecnico–scientifico, e sia un tentativo di adeguare il linguaggio filosofico

alle nuove esigenze di un simile sviluppo.

In effetti, a prima vista, una posizione di questo tipo rivela una non tra-

scurabile incoerenza: in che modo gli aspetti più peculiari della Cultura tedesca

potevano assimilare un linguaggio estraneo ed inautentico ed alcuni concetti

che, a tutta prima, sembravano mettere in discussione proprio il primato della

loro Cultura? In che modo la Zivilisation poteva passare attraverso lo sviluppo

tecnologico?1

Queste sono le premesse che danno al dibattito tedesco una forma tutta

particolare. E l’analisi di queste premesse diventano necessarie per comprende-

re il significato de L'uomo nell’età della tecnica, soprattutto se teniamo presen-

te che, come abbiamo già accennato nell’Introduzione, questo saggio deve

essere collocato tra le voci che diedero vita al dibattito sulla tecnica anteceden-

te l’ascesa del regime nazionalsocialista. Non bisogna sottovalutare questo pa-

1Cfr. T. MALDONADO, Tecnica e cultura. Il dibattito tedesco tra Bismark e Weimar, Milano 1987, p. 11: “A questo punto viene spontaneamente da chiedersi: come si concilia questa in-dubbia preferenza per i valori – etici ed estetici – della «vita contemplativa» con la proverbiale capacità del popolo tedesco di svolgere con efficienza i compiti propri della «vita attiva»? Det-to altrimenti: come si concilia il rifiuto dei valori inerenti alla «moderna civiltà industriale» da parte precisamente di in popolo che tanto a contribuito allo sviluppo della base tecnico–mate-riale di tale civiltà?”

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L’Uomo Tecnico e l’Uomo capitalistico

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radosso, perché molti critici hanno sottolineato come l’incoerenza tra l’irrazio-

nalismo politico di quel regime, e la sua ideologia tecnocrate, trovi proprio nei

paradossi di quel dibattito a cui Gehelen fa riferimento, la propria logica.

Per comprendere questi paradossi, utilizziamo una categoria euristica

approntata da Jeffrey Herf: Modernismo Reazionario2. Questa costruzione ide-

altipica3 c’è sembrata calzante quando, per mezzo di essa, Herf ha voluto indi-

care il modo attraverso cui si “assorbì la tecnologia moderna nel sistema cultu-

rale del nazionalismo tedesco moderno, senza sminuire gli aspetti romantici e

irrazionalisti di quest’ultimo”4.

I modernisti reazionari costituirono una parte della intellighenzia tede-

sca ben distinta da quella rappresentata dagli ideologi della Destra Conserva-

trice. Al contrario di questi ultimi, infatti, i primi riuscirono ad unire “reazione

politica e progresso tecnologico”5, in un modo così pregnante che “depurarono

dalle nostalgie pastorali l’anticapitalismo romantico della destra tedesca”6.

Herf scorge alcuni fondamentali passaggi che segnarono il modo attra-

verso cui questi intellettuali, pur rigettando i principi dell’Illuminismo7, accol-

2J. HERF, Il modernismo reazionario. Tecnologia, cultura e politica nella Germania di Weimar e del Terzo Reich. Bologna 1988. 3Cfr. Ivi p. 27: “Il modernismo reazionario è una costruzione idealtipica. I pensatori che vengo-no chiamati qui modernisti reazionari non si sono mai definiti con questo termine.” 4Ivi p. 28. Nonostante la pregnanza della categoria utilizzata dall’A. per descrivere uno stato di fatto che il più delle volte sfugge al dominio della logica e della coerenza, tuttavia a volte ci è sembrato che, attraverso la costruzione modernismo reazionario, egli accolga con troppa im-mediatezza e fiducia il nesso razionalità–tecnologia–modernità con Occidente industrializzato, per giustificare la specificità del caso tedesco. Cfr. a questo proposito ivi G. E. RUSCONI, Introduzione all’edizione italiana. 5J. HERF Il modernismo reazionario, op. cit. p. 28. 6Ibidem. 7Per ciò che riguarda il concetto di Illuminismo, Herf presuppone un collegamento troppo poco problematico tra Età dei lumi e Liberalismo. La sua fiducia negli esiti politici del razionalismo occidentale, impedendogli di problematizzare il concetto stesso di razionalità, fa in modo che essa si trasformi in un termine di paragone onnicomprensivo e astratto. A questo proposito, il-luminanti sono le sue riflessioni su La dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno. Cfr. ivi pp. 35–36: “Horkheimer e Adorno avevano ragione a sottolineare l’intreccio tra ragione e mito nella dittatura tedesca [...]. Ma se la percezione di Adorno e Horkheimer era esatta, la loro teoria dell’Illuminismo e la loro visione della storia moderna tedesca disgraziatamente era-no sbagliate. Il vero disastro tedesco fu la separazione di Illuminismo e nazionalismo. La so-cietà tedesca non fu mai «pienamente», ma solo parzialmente Illuminata[...] Lo sfondo sociale del modernismo reazionario fu rappresentato dalla peculiare combinazione tra sviluppo in-dustriale e debolezza della tradizione liberale. La tesi della dialettica dell’Illuminismo oscura-

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L’Uomo Tecnico e l’Uomo capitalistico

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sero con favore un nuovo orientamento politico sociale, che sebbene fosse im-

prescindibile dallo sviluppo tecnologico, era paradossalmente basato sull’irra-

zionalità.

Un primo nucleo di intellettuali che tentò la riconciliazione tra tecnolo-

gia e irrazionalismo, fu costituito da alcuni umanisti delle facoltà tecniche delle

università tedesche, professori d’ingegneria e collaboratori alle riviste pubbli-

cate dalle associazioni nazionali d’ingegneria, che volevano riscattare il loro

ruolo marginale nella Cultura tedesca. A questo primo tentativo, iniziato nel

primo decennio del secolo, si aggiunsero, negli anni di Weimar, importanti

esponenti della rivoluzione conservatrice: Hans Freyer, Ernst Jünger, Carl

Schmitt, Werner Sombart e Oswald Spengler8.

Tuttavia, i presupposti ideologici e ambientali attraverso cui fu possibi-

le conciliare definitivamente l’irrazionalismo politico a forme esasperate di tec-

nologizzazione, per Herf sono: da un lato, alcune interne contraddizioni del ro-

manticismo politico tedesco, per cui, ad esempio, non è possibile etichettarlo,

una volta per tutte, come movimento di Destra o di Sinistra; e dall’altro, il

ruolo particolare che giocò la classe media nella Repubblica di Weimar.

Herf ritrova, ed in maniera generalizzata, nel romanticismo politico te-

desco l’idea che la validità dell’azione politica era commisurata in rapporto al

grado di soddisfacimento dell’interiorità individuale:

I romantici se entravano in politica lo faceva-

no per salvare l’anima, trovare una nuova i-

dentità, stabilire l’autenticità del loro impegno

o ristabilire la perduta Gemeinschaft, piuttosto

che dedicarsi al difficile e frustrante compito di

bilanciare mezzi e fini9.

Questo approccio romantico, poiché misurava il proprio impegno solo

in rapporto al coinvolgimento psicologico dell’azione politica, comportava so-

va questa singolarità storica. Come «teoria della critica», essa era curiosamente apologetica verso la storia moderna tedesca.” (Corsivo nostro). 8Cfr. ivi pp. 27–29. 9Ivi pp. 39–40.

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L’Uomo Tecnico e l’Uomo capitalistico

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prattutto il disprezzo per la logica del dibattito parlamentare, e pertanto lo ren-

deva autoritario e illiberale.

Tuttavia, ai nuovi fautori del romanticismo politico tedesco, non fu più

necessario ipotizzare il ritorno ad una natura pre–industrializzata e rurale, pro-

pria degli ideologi Völkisch10. In questo processo di modernizzazione reaziona-

ria ebbe un ruolo fondamentale l’esaltazione della Fronterlebnis dei romanzi

soprattutto di Ernst Jünger, perché in essi, non solo il fronte veniva descritto

come il limite imprescindibile per la costituzione di un uomo nuovo e comple-

tamente rigenerato, ma essenziale fu che il tema della vita del fronte, tema caro

anche al romanticismo ottocentesco, venisse calato in un contesto moderno, in

cui l’istituzione di un nuovo rapporto tra gli uomini, e tra la macchina e l’uo-

mo, erano stati possibili solo grazie all’apporto della nuova tecnologia militare

e della razionalizzazione scientifica del campo di battaglia11.

Solo grazie a questi processi di trasformazione dell’ideologia romantica

ottocentesca, nei quali convivevano aspetti illiberali e autoritari dell’azione po-

litica, estetizzazione della macchina da guerra, idee di rinascita nazionale, rifiu-

to sia dell’occidente borghese che della via sovietica per lo sviluppo e il pro-

gresso economico–sociale, è possibile comprendere in che modo il dibattito sul

rapporto tra Technik e Kultur abbia potuto presupporre un processo politico ba-

sato sull’irrazionalità, ma comunque legato ad uno sviluppo tecnologico gene-

ralizzato.

Tutto questo insieme di elementi molto differenti fra di loro servì, se-

condo Herf, da collante per l’eterogenea classe media tedesca, la quale compì

la rivoluzione conservatrice12, e senza la quale essa non si sarebbe potuta rea-

10Sull’ideologia del Vökisch cfr. ivi p. 40. 11Cfr. ivi p. 55: “Collegando la tecnologia alla Gemeinschaft dell’esperienza bellica, anziché al-la frammentata Gesellschaft postbellica, Ernst Jünger espresse una visione molto diffusa nella Destra. Quando i letterati di destra idealizzavano le perdute comunità del passato, essi guarda-vano indietro, ma non a scenari preindustriali, bensì ai moderni campi di battaglia e alle trin-cee.” 12Cfr. ivi p. 53: “La base sociale della rivoluzione conservatrice fu rappresentata dalla casse media, intesa nel senso più ampio. Il Mittelstand comprendeva piccoli e medi coltivatori, artigiani e bottegai, colletti bianchi della grande industria e dell’amministrazione pubblica e le professioni: avvocati, medici, docenti universitari, alti funzionari e ingegneri.

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L’Uomo Tecnico e l’Uomo capitalistico

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lizzare, poiché quella classe era nella condizione di fare propri i valori fonda-

mentali del modernismo reazionario.

Ma contro cosa, un insieme di persone diverse sotto molti punti di vista,

decise di percorrere la strada comune ma paradossale del modernismo reazio-

nario?

Secondo Herf, il Mittelstand dovette far fronte comune, per contrastare

due nuovi soggetti sociali emergenti nel panorama dello sviluppo del moderno

capitalismo industriale Un primo nuovo soggetto economico–politico a cui do-

vette far fronte, era rappresentato dai detentori del grande capitale finanziario.

L’altro soggetto era la classe operaia che si presentava sulla scena politico–so-

ciale sempre più compatta e organizzata. Contro i pericoli provenienti dal cos-

mopolitismo liberale del grande capitale e dalla Sinistra operaia senza frontie-

re, la classe media si affidò al nazionalismo di Destra, il quale affermava che

solo lo Stato–nazione era superiore ai ristretti interessi di classe13.

Giunti fin qui nell’analisi del contesto in cui inserire L’uomo nell’età

della tecnica, non possiamo non rilevare un cortocircuito nell’impianto appron-

tato da Herf. Difatti, il suo ragionamento è partito da un certo concetto di indi-

viduo proprio del romanticismo, per giustificare in che modo i modernisti rea-

zionari hanno tentato di conciliare il razionalismo politico e il necessario svi-

luppo tecnologico. Tuttavia, a nostro avviso, questo cortocircuito, non solo des-

crive bene il paradosso che muove il suo lavoro, ma ci permette, forse, di com-

prendere le ragioni e il fallimento della strada ipotizzata dai modernisti reazio-

nari. Difatti, il processo di modernizzazione da essi ipotizzato, ovvero quello di

combinare l’irrazionalismo politico con la moderna tecnologia, figlia del razio-

nalismo europeo, di giustificare le ragioni dello sviluppo tecnologico attraverso

l’affermazione della soggettività e allo stesso tempo annullare l’individuo nella

macchina estetizzata dello Stato–nazione, è già un cortocircuito che non dava a

quel processo nessuna possibilità di riuscita.

Ma è in che modo è giustificabile la presenza di questo impedimento

13Ibidem.

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L’Uomo Tecnico e l’Uomo capitalistico

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nel sistema?

È possibile che ad un certo punto del dibattito tedesco sulla tecnica, il

quale, come abbiamo visto, è imprescindibile dalla dicotomia Zivilisation–Kul-

tur, il processo di assimilazione della tecnica al suo interno, abbia spostato il

centro critico di quella dicotomia verso una contrapposizione più radicale: da

Uomo–tedesco/Tecnica a Uomo–tecnico/Uomo–tecnico–capitalistico. All’in-

terno di questa contrapposizione il modernismo reazionario ha potuto fagocita-

re la tecnica con la promessa di salvaguardare il primato della Cultura tedesca.

Questa auto–lacerazione14 non deve essere considerata una qualità

psicologica degli interpreti della rivoluzione conservatrice, ma essa è una vera

e propria caratteristica del sistema, attraverso cui in Germania fu assimilato lo

sviluppo tecnologico proprio del capitalismo industriale. Questa auto–lacera-

zione, questo cortocircuito, è probabilmente lo sfondo dal quale emerge il

saggio di Arnold Gehelen. Infatti. solo su questo sfondo è possibile compren-

dere per quale motivo, Gehelen da un lato presenta l’uomo come necessaria-

mente tecnico, e dall’altro lato presenta la conseguente de–istituzionalità che

una particolare età della tecnica comporta.

14Cfr. T. MALDONADO, Tecnica e cultura... op. cit.: Introduzione.

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Capitolo Secondo

L'UOMO COME ESSERE NON SPECIALIZZATO

La premessa che Gehelen introduce per descrivere l’uomo è la constata-

zione della sua non–specializzazione:

[...] mancando di organi ed istinti specializzati,

l’uomo non è conformato per un ambiente na-

turale, e di conseguenza non ha altra risorsa

che trasformare con la sua intelligenza qualsi-

voglia stato di cose da lui incontrato nella na-

tura1.

Questa non–specializzazione, relativa alle prestazioni organiche ed

istintive dell’uomo, induce Gehelen ad un assunto fondamentale: la tecnica “è

insita già nell’essenza stessa dell’uomo”2, perché l’uomo e la natura sono reci-

procamente estranei. L’uomo si trova in una condizione per cui, rispetto alla

natura, non può essere definito naturale. L’uomo ha ed è una seconda natura,

con leggi e caratteristiche proprie che sono, nei loro tratti essenziali, unici ed

irripetibili:

Il mondo della tecnica per così dire è il “gran-

de uomo”: geniale e ricco d’astuzia promotore

ed insieme distruttore della vita come l’uomo

stesso, come lui in rapporto poliedrico con la

natura vergine. Anche la tecnica è, come l’uo-

mo, nature artificielle3.

1A. GEHELEN, L’uomo nell’età della tecnica, op. cit. p. 11. (Corsivo nostro). 2Ivi p. 12. 3Ivi p. 13.

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L’uomo come essere non specializzato

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I risultati a cui perviene Gehelen hanno importanti implicazioni filoso-

fiche, ma i presupposti del suo ragionamento non debbano essere tratti da un

particolare concezione metafisica, per esempio: dal rifiuto della concezione

creazionistica. Essi debbano, piuttosto, essere rintracciati in determinate conce-

zioni antropologiche, che, nel suo caso specifico, ruotano attorno alla messa in

discussione, sia dell’ipotesi evoluzionista, che di quella involuzionista4. Ciò è

di estrema importanza, perché in tal modo Gehelen mostra come una serie de-

terminata di comportamenti umani, siano tali soltanto in quanto l’uomo non

può prescindere da una propria particolare costituzione fisica, che a differenza

di altre specie antropoidi, presenta dei notevoli primitivismi.

L’uomo è quindi presentato da Gehelen come problema biologico par-

ticolare:

L’uomo [...] non sarebbe soltanto un essere

che, necessariamente, per una serie di motivi

umani peraltro particolarissimi, «prende posi-

zione», bensì anche un essere in un certo

qual modo “incompiuto”, un essere cioè che

sarebbe posto, di per sé o nei rapporti con i

propri simili, dinanzi a dei compiti, i quali, con

la mera esistenza, sarebbero dati, non però ri-

solti. Se così è, è d’altra parte necessaria un

“autointuizione” dall’interno [...]5.

L’incompiutezza e la non–specializzazione dell’uomo, il suo dover ne-

cessariamente prendere posizione, l’urgenza di dover compiere un’interna

autointuizione, l’impossibilità di vivere in un suo ambiente caratteristico, lo

contraddistinguono in modo da indurlo all’azione6. Inoltre, poiché egli è aperto

4Cfr. A GEHELEN, L’uomo, op. cit. p. 36: “La prima [la teoria creazionista] di tale formule deri-va l’uomo da Dio, L’altra [la teoria evoluzionista] dall’animale. Ma la prima non è scientifica, e la seconda, come vedremo, è ambigua proprio sul piano scientifico. Colpisce per contro che i due punti di vista abbiano un presupposto comune; colpisce che l’uomo non possa essere concepito in base a se stesso, che egli sia descrivibile e interpretabile soltanto con categorie dell’extra–umano [...]: un siffatto presupposto non è necessario”. Cfr. anche ivi PARTE PRIMA. 5Ibidem. (Corsivo nostro). 6Cfr. ivi p. 50: “[...] la determinazione dell’uomo ad agire è la legge strutturale generale di tutte le funzioni e le capacità umane [...]: un essere fisicamente costrutto in tal modo è capace di vi-

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L’uomo come essere non specializzato

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al mondo, è costretto ad esonerarsi7 dalle incombenze che la natura di volta in

volta gli presenta; ed infine, essendo costantemente soggetto al rischio, è anche

obbligato ad antivedere ed a provvedere8.

Estremamente importante è la funzione dell’esonero che l’uomo

esercita nei confronti delle incombenze della realtà circostante. Questa

funzione ha, infatti, un ruolo centrale nella sua antropologia elementare.

Attraverso l’esonero, Gehelen può mostrare che, anche tutti gli aspetti più

interiori e indiretti dell’agire umano, come per esempio l’attività della

riflessione, derivino da non–specializzazioni, che costringono l’uomo ad agire,

per potersi sollevare dall'inefficienza dei sui istinti e dei suoi sensi:

Con l’azione su se stesso l’uomo trasforma gli

oneri elementari da cui è gravato in chances

per conservare la propria vita, poiché le sue

prestazioni motorie, sensorie e intellettuali (li-

berate dal linguaggio9) si intensificano di con-

serva finché è possibile una condotta ben

ponderata dell’azione10.

Anche nei processi di esonero è possibile rintracciare alcune fasi impor-

tanti, attraverso cui il mondo esterno diventa principio di affinamento del pro-

prio agire.

Secondo Gehelen, l’uomo incontra il mondo attraverso una plastica11

attività motoria, cioè un’attività di manipolazione che non è costretta da

determinati bisogni biologici, e che il piccolo d’uomo può sviluppare in quanto

vere solo in quanto agisca; e con ciò è data la legge strutturale di tutte le attuazioni umane, da quelle somatiche a quelle spirituali”. 7Cfr. ivi p. 56: “Specificatamente umana è invece la possibilità dell’esonero del comportamen-to, per esempio dell’attività di pensiero o pratica, dalla funzione al servizio di pulsioni istintive, e perciò in pari tempo la possibilità di apprendere, senza che nel prolungarsi della situazione in cui si apprende debba sussistere una situazione biologicamente caratteristica”. 8Cfr. ivi p. 59: “L’uomo è infine l’essere che antivede e provvede (vorsehend). Come Prometeo è obbligato a dirigersi su ciò che è lontano, su ciò che non è presente nel tempo e nello spazio”. 9Gehelen mostra che la creazione del linguaggio, connessa con le particolari capacità sensomo-torie dell’uomo, è una funzione esonerante. Cfr. ivi PARTE SECONDA. 10Ivi p. 90. 11Cfr. ivi p. 68: “I movimenti umani sono dunque movimenti straordinariamente “plastici”, cioè regolati su coordinazioni controllate e illimitatamente variabili [...]”

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L’uomo come essere non specializzato

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permane, per molti anni, in uno stato di dipendenza dall’adulto12.

Uno dei primi affinamenti, che realizza la funzione dell’esonero, è lo

sviluppo di una ricca immaginazione motoria. Ad un certo punto, l’attività mo-

toria può compiersi anche solo allusivamente, perché la funzione dell’esonero,

trasforma il campo di sorprese, il mondo sempre aperto, che l’attività motoria

comporta, in un mondo di impressioni ed esiti che è possibile attendersi. Infat-

ti, dal principio al suo esito finale, questa attività può essere esonerata, può es-

sere cioè soltanto immaginata, agevolata, in modo che l’uomo possa indirizzar-

si verso un’attività più raffinata13.

Un secondo affinamento molto importante è l’autoavvertimento della

propria attività motoria. Questo è il momento in cui, grazie al piacere avvertito

a causa del compimento di un determinato movimento, esso diventa auto–av-

vertito, ovvero consapevole e impegnabile. Fondamentale è in questo senso

l’attività fonetico–auditiva, poiché il suono è, sia attuazione motoria dell’orga-

no della fonazione, e sia suono restituito, ovvero udito, riavvertito, da chi lo ha

emesso14.

Entrambi questi affinamenti sono fondamentali per comprendere come

si giunge alla riflessione. Questa attività non è altro che un grado molto raffina-

to della funzione esonerante, e che si attua attraverso un lungo processo, in cui

prendono avvio, sia attività motorie solamente immaginate, che attività motorie

riavvertite: difatti, la riflessione non è altro che autoavvertimento estraniato:

[...] l'oggettività del mondo delle cose diviene

datità solo in riferimento a questa struttura

motoria “riflessa”15.

12Cfr. ibidem: “Se ci domandiamo perché mai l’uomo disponga di una tale molteplicità motoria, la risposta, anche qui, non può essere che la non specializzazione della sua gamma motoria [...]. L’incompiutezza, che dura per anni, dell’apparato motorio infantile [...] costituisce un compito, il compito cioè di sviluppare le proprie possibilità motorie enucleandole attraverso un proprio sforzo, in un faticoso apprendimento intessuto di insuccessi, impulsi contrari, autosuperamen-ti”. 13Cfr. ivi pp. 163–164. 14Cfr. ivi p. 167. 15Ivi p. 170.

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L’uomo come essere non specializzato

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La riflessione, quindi, come nel meccanismo catottrico, è un prendere

posizione verso di sé, un oggettivarsi, è un processo in cui, la confusione de-

terminata dalla circolarità, viene sostituita da una più orientata e orientabile

frontalità.

In effetti, la funzione esonerante dell’attività motoria, nonostante all’i-

nizio proceda in maniera circolare16, ad un certo momento può essere fatta sal-

tare in un punto qualunque:

[...] non appena l’«estraneazione» si profila,

quando cioè la soggettività della sensazione

tattile come tale (dunque oggettivamente!) di-

venta il dato [...]17.

Questa stessa interruzione di circolarità, non solo è una delle radici del-

la formazione del linguaggio18, del riconoscere, il quale concorre alla formula-

zione del nome, ma addirittura, si riscontra nella organizzazione della teoria.

Anche il linguaggio, dunque, si sviluppa a causa di un autoavvertimen-

to estraniato, perché la circolarità del processo fonetico–auditivo, che è il ful-

cro della prima radice del linguaggio19, ad un certo punto si rivela un meccanis-

mo superfluo20, e le attività motorie, che ne stanno alla radice, possono

16Cfr. ibidem: “il maneggio di una porzione di mondo è al tempo stesso lo stimolo alla sua prosecuzione [...]”. 17Ibidem. (Corsivo nostro). 18Il problema della formazione del linguaggio è il tema principale della SECONDA PARTE de L’uomo. Anche in questo caso, il concetto fondamentale è quello sviluppato anche per le altre caratteristiche prettamente umane: non–specializzazione, attività motorie plastiche, esonero. All’interno di questa costante, Gehelen rintraccia cinque radici che concorrono alla sua forma-zione: 1. la vita del suono; 2. L’espressione sonora in risposta a impressioni visive; 3. il ri-chiamo; 4. Il gesto sonoro; 5. il gesto che riconosce. Fondamentale è anche la connessione tra oggettivazione–formazione del linguaggio–riflessione, perché, essendo quelle radici tutte pre-intellettive, indica il punto germinale del pensiero. A questo proposito cfr. ivi p. 279: “Il punto in cui germina il pensiero è là dove noi, in un movimento esonerato e non imposto da un biso-gno, in pari tempo ci volgiamo a una cosa e la “interroghiamo” nello stesso movimento in cui la maneggiamo”. (Corsivo nostro). 19Cfr. n. precedente. 20Cfr. A. GEHELEN, L’uomo, op. cit. p.170: “Tali «parole» della lallazione, in risposta ad eventi gioiosi o penosi, non sono meramente suoni effettivi, e nemmeno nomi, bensì reazioni specifi-che del riconoscere. “Si osservino le conseguenze. Se tutto questo acquista determinatezza, con il tempo tutti gli al-

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L’uomo come essere non specializzato

12

permanere presso di sé, cioè oggettivarsi21.

Stare presso di sé, oggettivarsi, rendere le incombenze superflue, pren-

dere posizione verso se stessi, riflettere, autoavvertire in maniera estraniata,

ecc... sono il risultato dell’attività motoria e dell’esonero, ma Gehelen non con-

cepisce mai questi risultati e le operazioni che ne stanno a capo in maniera, per

così dire, intellettualistica. Nella sua antropologia elementare, vi è sempre il

tentativo di superare la dialettica mente/corpo, interno ed esterno, physis/

psyché, non sul piano esclusivamente filosofico, ma soprattutto attraverso la

profondità di una teoria scientifico–sperimentale. Comunque, rimane tuttavia

paradossale che l’estremo tentativo di oltrepassare questa metafisica, sia conse-

gnato alla scoperta di uno iato: uno iato fra azione e pulsione. infatti, secondo

Gehelen, solo perché vi è questa separazione, l’uomo può permanere presso di

sé, può autoavvertire/autoavvertirsi in maniera estraniata, può oggettivare, può

esonerarsi in maniera così importante dalle incombenze della natura:

Nell’ampia indipendenza dai bisogni propri

delle azioni di maneggio che s’intrecciano con

l’oggettività delle circostanze, in questo “iato”

è la chiave del problema “psiche”. Solo que-

sto iato emancipa la vita interiore dalle pulsio-

ni come tale, e in base a ciò si spiegano sia la

consapevolezza sia la plasticità delle pulsioni

umane [...]22.

Pertanto, soltanto nella distanza che vi è tra azione e pulsione, tra mon-

do e psiche, si dà la possibilità dell’esonero. In questo senso, la “seconda na-

tura” di Gehelen è tecnica perché l’uomo è tale in quanto è completamente se-

parato dall’ambiente naturale, in quanto il proprio mondo, per così dire, natura-

le, è il mondo della cultura e dell’artificio:

tri modi di padroneggiare un’impressione, di accoglierla nelle nostre abitudini motorie, di esplicarvi le nostre attese e infine di accantonarla diventano superflue. In tutta la nostra vita di parlanti, si è conservata, da queste radici, una proprietà estremamente singolare: l’esonero con-siste nel fatto che nel mero nominare c’è già un esaurire”. (Corsivo nostro). 21Cfr. ivi PARTE SECONDA, cap. 33. 22Ivi p. 185.

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L’uomo come essere non specializzato

13

L’insieme della natura da lui trasformata con il

proprio lavoro in tutto ciò che riesca utile alla

sua vita dicesi cultura, è il mondo della cultura

è il mondo umano[...] La cultura è pertanto la

sua “seconda natura” – vale a dire: la natura

umana, dall’uomo elaborata autonomamente,

entro la quale egli solo può vivere; e la cultura

“innaturale” è il prodotto di un essere unico al

mondo, lui stesso “innaturale”, costruito cioè

in contrapposizione all’animale23.

Anche se parzialmente, pensiamo di aver mostrato, attraverso la sua an-

tropologia elementare, quali siano le caratteristiche dell’uomo di Gehelen, e in

che modo egli tenti di superare il conflitto dialettico tra Kultur e Technik. Tut-

tavia, se il suo uomo ha ed è una natura tecnica, e se la tecnica è di per sé un

elemento essenziale della sua “natura”, ovvero l’elemento più precipuo alla se-

conda natura dell’uomo, e se, infine, la tecnica è la “natura dell’uomo”, allora:

quali problemi può sollevare l’uomo nell’età della tecnica?

23Ivi p. 64. (Corsivo nostro).

Page 18: La “Seconda Natura” di Arnold Gehelen

14

Capitolo Terzo

L'UOMO NELL’ETÀ DELLA TECNICA ED IL SUO RAPPORTO CON L’ISTITUZIONE

Non è più possibile avviare qualsiasi discorso sull’età della tecnica, che

voglia cogliere gli aspetti peculiari della società contemporanea, senza presup-

porre un intimo legame tra industria, tecnica e scienze naturali1. Secondo Ge-

helen, infatti, la situazione attuale ha raggiunto uno stadio tale, per cui è ormai

insostenibile l’ipotesi che la tecnica possa ancora essere considerata una scien-

za naturale applicata2. In realtà, il fatto decisivo è che, all’interno del rapporto

sviluppo tecnico–ricerca scientifica, sono state introdotte le forme della produ-

zione capitalistica. Difatti, in questo nuovo contesto, diventa irrilevante chie-

dersi, per esempio, qual è il fondamento della ricerca chimico–farmaceutica,

poiché la ricerca tecnico–scientifica, l’azienda che la conduce e l’organizzazio-

ne capitalistico–imprenditoriale che la finanzia, si presuppongono a vicenda3.

Soltanto se si considera questa stadio dello sviluppo tecnologico, è pos-

sibile condurre un’analisi di quel processo generale di trasformazione dell’indi-

viduo, e quindi delle società e della cultura, che è cominciato tra il XVII e il

XVIII secolo, e che prosegue tutt’oggi: perché in questo stadio diventa proble-

matico il rapporto uomo–età della tecnica.

Infatti, all’interno di questo stadio, oltre alla presenza di strutture psi-

chiche e comportamentali prevedibili, se considerate alla luce della funzione

esonerante, (come per esempio, l’impiego sempre crescente dell’elemento

1Cfr. A. GEHELEN, L’uomo nell’età della tecnica, op. cit. p.19. 2Cfr. ibidem. 3Cfr. ibidem.

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L’uomo nell’età della tecnica ed il suo rapporto con l’Istituzione

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inorganico in sostituzione dell’organico4, il fascino dell’automatismo5, la ten-

denza all’agevolazione e al disimpegno6, ed infine, l’oggettivazione della cir-

colarità causa–effetto, vale a dire l’instaurazione di processi di feedback7), vi

sono fenomeni culturali e sociali di genere completamente nuovo.

Uno degli aspetti tipicamente moderni, collaterale al progresso tecnico,

è la radicale intellettualizzazione8 della cultura. Il dibattito culturale è diventa-

to monopolio degli specialisti: le scienze, anche le scienze umane, hanno perso

di evidenza, di immediatezza e di accessibilità problematica, e si sono trasfor-

mate in scienze esoteriche9. Il legame che via via si intesse tra la cultura e i

nuovi processi tecnico–capitalistici trasforma, secondo Gehelen, i contenuti

culturali “in una specie di possesso segreto di piccolissime e spesso influenti

minoranze”10.

Un altro aspetto dell’epoca moderna è il predominare di uno spirito em-

pirico anche in ambiti che non sono propriamente tecnico–scientifici. Secondo

Gehelen, è in atto un processo per cui ci si avvia verso una cultura e una socie-

tà che tiene in enorme considerazione solo gli aspetti formali del pensiero, una

cultura e una società per le quali ha valore solo l’esperimento e lo sperimenta-

bile. Per Gehelen infatti, uno spirito votato all’empirico non è in contraddizio-

ne se rende astratti i contenuti culturali che produce:

Ovunque si studi un oggetto dal punto di vista

dei momenti costanti e variabili e si provochi

l’alternanza di questi ultimi; ove a guisa di ten-

tativo si sostituiscono gli assiomi finora validi

con dei nuovi ovvero si presupponga il con-

trario del normale per osservarne le conse-

guenze; ove si separi un nuovo metodo dal

4Ivi p. 13. 5Ivi p. 23: “Il fascino dell’automatismo costituisce l’impulso prerazionale e metaempirico della tecnica, il quale dapprima, si esplicò nella magia – la tecnica del soprasensibile – fino a trovare in epoche molto recenti espressione in orologi, motori e meccanismi rotanti di ogni genere”. 6Ivi p. 28. 7Cfr. ivi Cap. I par. 5. 8Ivi p. 38. 9Ivi p. 44.

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L’uomo nell’età della tecnica ed il suo rapporto con l’Istituzione

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terreno d’origine e se ne sperimenti il funzio-

namento altrove e sotto altri aspetti: quivi è al-

l’opera lo spirito empirico11.

La conseguenza più prossima che investirà il progresso culturale della

moderna società tecnologica, è l’estetizzazione: la cultura intellettualizzata e

piena di spirito empirico si è, infatti, già svincolata da qualsiasi conseguenza,

soprattutto ha perso qualsiasi interesse per la morale. Ma de–responsabilizzata

da ogni impegno morale, la cultura sviluppa anche una contro–tendenza al pri-

mitivismo, che si realizza, tra l’altro, su di un duplice fronte: da un lato, il pri-

mitivismo tende a mediocrizzare i contenuti culturali, in modo da accontentare

le esigenze di un pubblico sempre più vasto; dall’altro lato, invece, una produ-

zione culturale più colta si serve dei modelli delle civiltà primitive in maniera

astratta, in modo da escludere il vasto pubblico da un costruttivo accesso cultu-

rale12.

Ma il dis–ancoraggio dalla morale non trascina alla deriva soltanto la

produzione della cultura. Infatti, è opinione di Gehelen che anche la ricerca tec-

nico–scientifica, poiché utilizza sempre più l’elemento inorganico al posto di

quello organico, non si pone più nessun ostacolo etico, per ciò che concerne

l’ampiezza delle sue applicazioni e implicazioni, ma soltanto limiti tecnici, con

la fiducia, tra l’altro, che di volta in volta potranno essere superati13.

Questo nuovo contesto, dominato dalla onnipotente sovrastruttura com-

posta dalla cooperazione di tecnica, industria e scienze naturali, non può non

coinvolgere i rapporti sociali. Le figure psicologiche che emergono da una

società in cui è sempre più cogente per l’individuo la perdita del senso della

realtà, sono: quella dell’opportunista, quella del soggetto privo di personalità e

10Ibidem. 11Ivi p. 48. Cfr. anche ivi p. 142: “Tutto quanto è vivente si rende accessibile solo dopo essere stato decomposto dall’analisi, forse perché soltanto così l’accadere è determinato realmente e completamente o perché allora le causalità si semplificano”. (Corsivo nostro). 12Cfr. Cap. II, par. 3. 13Cfr. ivi p. 142: “Dinanzi alla natura inorganica, alla sua conoscenza e al suo sfruttamento, non esistono apriori, per quanto concerne gli obiettivi da perseguire, limiti etici di nessun gene-re, bensì solo limiti tecnici, che a loro volta sono eo ipso soltanto provvisori [...]”.

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L’uomo nell’età della tecnica ed il suo rapporto con l’Istituzione

17

quella del consumatore14.

Questi nuovi soggetti appagano i propri bisogni intellettuali grazie alla

produzione culturale dell’industria dell’informazione, la quale fa in modo che,

ognuna di queste nuove figure psicologiche, abbia sempre la possibilità di com-

piere esperienze di seconda mano15. Ma la perdita di immediatezza risulta es-

sere ascrivibile, purtroppo, anche alla vita emotiva di questi soggetti, in quanto

essa non può che essere completamente ripiegata su se stessa16:

Si sono sviluppati su vasta scala schemi di

stati affettivi, forme a vuoto che possono es-

sere arricchite di contenuti qualsiasi. In altre

parole: anche la vita del sentimento diviene di

“seconda mano”17.

Ebbene, se questa è l’età della tecnica, allora quali altre strade l’uomo

potrà percorrere?

Alla perdita definitiva di un qualsiasi atteggiamento etico18, la soluzio-

ne proposta di Gehelen è radicale:

Nel caso concreto l’ascetismo ha come con-

seguenza un consolidarsi del complesso emo-

zionale, una maggiore integrazione e padro-

nanza della personalità, collegate all’acuirsi

degli impulsi sociali ed ad una forma più in-

14Cfr. ivi p. 69. Cfr. anche p. 70: “[...] gli individui che agiscono in base a valutazioni e giudizi personali, “secondo princìpi” che consentono di mantenere un orientamento generale stabile al di sopra dell’accidentale mutarsi delle situazioni, divengono sempre più rari. E perché? Evi-dentemente perché le «grandi situazioni meteorologiche» della vita economica, politica e socia-le divengono incomprensibili all’intelletto e moralmente insostenibili, e perché si avvicendano con un ritmo troppo veloce”. 15Cfr. ivi p. 81: “Ciò che un tempo si apprendeva “per sentito dire” viene oggi comunicato in primo luogo dall’industria dell’informazione [...]”. 16Cfr. ivi p. 103: “La vita interiore ripiegatasi su se stessa è in grado di assumere le forme più raffinate; in molti individui pensieri e sentimenti si presentano già eo ipso non soltanto come processi reali ma in più anche come autostimoli ai quali essi poi reagiscono”. 17Ivi p. 100. (Corsivo nostro). 18Cfr. ivi p. 125: “Come abbiamo mostrato, il passaggio all’età industriale ha infirmato alcune tra le premesse basilari dell’ordine e della civiltà umana radicatasi da millenni. Dal punto di vi-sta psicomorale è decisivo il fatto che dinanzi alla natura inorganica, al carbon fossile, all’elet-tricità, all’energia nucleare, non esiste un atteggiamento etico”.

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L’uomo nell’età della tecnica ed il suo rapporto con l’Istituzione

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tensa di vigilanza spirituale [...]19.

La possibilità di un nuovo atteggiamento etico nei confronti degli aspet-

ti poliedrici della società tecnologica, dunque, risulta essere l’esperienza asce-

tica. Tuttavia, sebbene l’ascetismo sembri preludere all’abbandono, e sembri

voglia tentarci verso il rifiuto, non dobbiamo vedere nella scelta di Gehelen il

desiderio di una svolta elitaria. Nel suo caso, invece, dobbiamo sempre tener

presente che, per le tesi esposte nella sua antropologia, l’individuo non esiste

come un’interiorità contrapposta ad un’esteriorità, e che tecnica e cultura sono

la natura dell’uomo. Pertanto, la natura di questo ascetismo non può prescinde-

re dal rapporto, istituito da Gehelen stesso, tra padronanza della personalità20 e

l’acuirsi degli impulsi sociali, non può prescindere dalla “seconda natura” che

l’uomo ha ed è, altrimenti egli non avrebbe mai potuto considerare l’ascetismo,

un esteriorizzarsi raggiunto attraverso la concentrazione21. L’ascetismo, quin-

di, consiste in una maniera particolare di oggettivarsi, attraverso un processo ti-

pico della funzione esonerante: ascetismo significa cristallizzarsi, ma in modo

da rimanere in un rapporto plastico con la realtà.

È illuminante, a questo proposito, l'analisi che Gehelen compie sul tote-

mismo:

Quel che caratterizza il totemismo è il fatto

che tutti i membri di un gruppo, che già sussi-

ste “in sé” si identificano con uno stesso non-

io e quindi non si imitano direttamente a vi-

cenda, bensì fissano il medesimo ruolo di una

terza identità nei loro rapporti reciproci22.

Il totem dunque, essendo la rappresentazione di un animale in cui il

19Ivi p. 131. 20Cfr. ivi pp. 203–204: “Chi possiede la forza e la fantasia di conquistare ai valori spirituali più delicati e vulnerabili l’appoggio della robusta vita di tutti i giorni, chi ha l’energia mentale necessaria ad interpretare anche le situazioni, anzi le situazioni quotidiane, di percepirne tutte le qualità: quegli ha una personalità, ovvero ha una personalità in senso specifico”. 21Ivi p. 131. 22A. GEHELEN, L’uomo, op. cit. p. 443.

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L’uomo nell’età della tecnica ed il suo rapporto con l’Istituzione

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gruppo si identifica, fa in modo che i singoli individui realizzino, in maniera

oggettiva, l’autocoscienza di essere unità come gruppo. Il totem quindi è, a ben

vedere, la prima radice che crea l’istituzione.

Infatti, Gehelen mostra che, l’idea di gruppo espressa attraverso il to-

tem, è una schematizzazione in un concetto evidente di comportamenti sociali

molto complessi, un concetto, cioè, attraverso il quale, prima di tutto, l’indivi-

duo può collegare concrete e comuni esperienze di obbligazioni e divieti23. Se-

condo Gehelen, nessun concetto astratto, quale per esempio, il concetto di nos-

tro gruppo, potrebbe far nascere comportamenti fissati e perpetuati, che sono il

contenuto essenziale dell’istituzione24.

All’interno dell’orizzonte proprio dell’uomo di dar vita ad una istituzio-

ne ha senso l’espressione di Gehelen: l’uomo è un essere da disciplinare25. In-

fatti, ogni obbligazione che l’individuo si pone in quanto ha riconosciuto di ap-

partenere ad un gruppo, presuppone dei comportamenti di auto–limitazione26.

Ma all’interno di questi comportamenti risulta essere fondamentale la funzione

ascetica27. Infatti, non essendoci nell’uomo meccanismi inibitori autenticamen-

te istintivi28, questi comportamenti non possono essere operazioni della co-

scienza strumentale, ovvero operazioni della coscienza approntate per soddisfa-

re un determinato fine.

L’ascesi, l'esteriorizzassi attraverso la concentrazione, quindi, acquista

significato solo nell’istituzione29, un’istituzione che anche nell’età della tecnica

dovrebbe ancora trovarsi al di sopra di ogni determinatezza:

23Cfr. ivi p. 444. 24Cfr. ivi p. 450. 25Cfr. ivi PARTE TERZA, cap. 42. 26Cfr. ivi p. 450. Questi processi di auto limitazioni acquistano un duplice significato: “In pri-mo luogo essi esprimono il fatto che l’uomo si trova di fronte a se stesso, tema in se stesso del-la sua forza di volontà [...]. In secondo luogo, la riduzione degli istinti dell’uomo, che è il con-traltare della sua coscienza e della sua plasticità pulsionale, comporta in pari tempo una profon-da carenza di meccanismi inibitori autenticamente istintivi”. 27Cfr. ibidem. 28Cfr. n. 68. 29 Cfr. ivi p. 452: “Le istituzioni durature[...] sono prodotti di un comportamento sociale umano assai complesso, nel quale entrano sia atti ideativi, sia atti ascetici di autodisciplina e di inibi-zione”.

Page 24: La “Seconda Natura” di Arnold Gehelen

L’uomo nell’età della tecnica ed il suo rapporto con l’Istituzione

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L’istituzione non deve essere soltanto utile e

adeguata allo scopo nel senso più diretto,

pratico, ma anche costituire un punto di colle-

gamento e un “sostegno del comportamento”

(behavior support) di interessi superiori, anzi

dare il diritto e la possibilità di esistere anche

alle motivazioni più esigenti e più nobili30.

È nell’istituzione, dunque, che la dialettica Zivilisation–Kultur deve tro-

vare la propria sintesi, è nell’istituzione che Gehelen scorge la possibilità di su-

perare la dicotomia uomo–tecnico/uomo–tecnico–capitalistico. Tuttavia, l’isti-

tuzione descritta da Gehelen nella sua antropologia elementare, risulta essere

un traguardo di un uomo essenzialmente tecnico, ma ancora lontano dalle tras-

formazioni che in lui sono avvenute in questo stadio dello sviluppo tecnologi-

co. Le istituzioni che può analizzare la sua antropologia, infatti, sono soltanto,

il riconoscimento del gruppo e le prime obbligazioni che ciò comporta, il ma-

trimonio, l’agricoltura: ma quali istituzioni l’uomo contemporaneo deve cri-

stallizzare per rimanere in un rapporto plastico con la realtà?

30Ibidem.

Page 25: La “Seconda Natura” di Arnold Gehelen

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Bibliografia

A. GEHELEN, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Milano

1983.

A. GEHELEN, L’uomo nell’età della tecnica, Milano 1984.

J. HERF, Il modernismo reazionario. Tecnologia, cultura e politica nella

Germania di Weimar e del Terzo Reich. Bologna 1988.

T. MALDONADO, Tecnica e cultura. Il dibattito tedesco tra Bismark e

Weimar, Milano 1987.

K.–S. REHBERG, L'antropologia elementare di Arnold Gehelen, in A.

GEHELEN, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, op. cit.