La scuola è aperta a tutti Classi IV D e IVG Liceo Scientifico “A.Tassoni” di Modena.

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La scuola è aperta a tuttiClassi IV D e IVG

Liceo Scientifico “A.Tassoni” di Modena

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Art. 3Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Itinerario storico – critico tra gli articoli 3, 33,34 della Costituzione italiana

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Art. 33L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.E' prescritto un esame di Stato per la ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. 

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Art. 34La scuola è aperta a tutti.L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

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Dalla lettura degli articoli della Costituzione che riguardano la scuola incrociata con la lettura dell’art. 3 abbiamo individuato tre fondamentali temi di riflessione:Uguaglianza Diritto all’istruzioneLibertà d’insegnamentoAbbiamo iniziato il nostro percorso di riflessione chiedendoci perché così esplicita e dettagliata risulti nell’art. 3 l’elencazione delle forme di discriminazione che negano la pari dignità sociale e l’uguaglianza di fronte alla legge e abbiamo pensato di esaminare, in relazione al diritto all’istruzione, a quale situazione storica concreta si riferissero i Costituenti, per vedere se in essa sono rintracciabili motivi delle precisazioni puntuali della carta costituzionale. Siamo partiti da noi, dalla situazione della nostra scuola, prendendo come inizio della nostra ricerca gli anni in cui più radicalmente nel vicino passato sono stati negati in Italia i diritti fondamentali. Abbiamo preso in esame le condizioni della scuola nel periodo fascista, le leggi razziali e la propaganda razzista e, attingendo in particolare agli archivi della nostra scuola, abbiamo cercato di identificare attraverso documenti e testimonianze le modalità della discriminazione e dell’esclusione attraverso anche le storie personali degli alunni espulsi.La riflessione sui diritti costituzionali ci ha poi portato a chiederci se la scuola garantisca ora la loro effettiva realizzazione: anche questa fase delle nostra ricerca si è mossa sia sul piano generale sia in riferimento alla nostra specifica situazione ed esperienza.

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Esclusione e discriminazione nella scuola del periodo

fascista

Percorso storico sulla scuola all’epoca delle leggi razziali

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La scuola nel periodo fascista

Negli anni dell’unificazione nazionale l’Italia era uno dei paesi europei, insieme a Spagna e Russia, con il più alto tasso di analfabetismo, che col tempo diminuì, tuttavia rimase tra i più alti dell’intero continente fino alla metà del XX secolo. La distribuzione degli alfabetizzati era fortemente disuguale sul territorio nazionale: mentre in alcune regioni del nord Italia il loro numero era al livello dei più avanzati stati europei già alla fine del XIX secolo, in molte regioni del sud rimase elevatissimo ancora in pieno ‘900. Le ragioni di questa arretratezza vanno individuate principalmente nelle scelte politiche adottate dai governi italiani nei settant’anni successivi all’unificazione nazionale.Il sistema scolastico italiano, al momento dell’unità, era regolato dalla legge elaborata nel 1859 dal ministro della pubblica istruzione del regno di Sardegna Gabrio Casati

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Nel sessantennio successivo all’unità i vari governi succedutisi, in particolare i governi guidati da Giolitti nel periodo 1901-1914, introdussero molti cambiamenti nella legge Casati. L’obbligo scolastico venne esteso a 9 anni d’età e successivamente a 12 e furono previsti prestiti e finanziamenti ai comuni per la costruzione di scuole; infine, con la legge Daneo-Credaro del 1911, si stabilì che lo stato avrebbe assunto il controllo diretto delle scuole elementari, onde garantirne finalmente la presenza su tutto il territorio nazionale.

Furono inoltre fondate molte più scuole e istituti tecnici di quanto inizialmente previsto, in risposta alla crescente richiesta di formazione da parte delle famiglie della piccola e media borghesia, che desideravano per i propri figli una preparazione più approfondita di quella fornita dalle scuole elementari. Vennero aperti alcuni nuovi indirizzi nelle scuole medie superiori come il liceo moderno, che univa i contenuti del liceo classico con una più approfondita preparazione in campo scientifico e fu permesso l’accesso ad alcuni corsi universitari ai diplomati degli istituti tecnici. Dopo la fine della prima guerra mondiale il dibattito sulla scuola italiana si riaprì. In un primo tempo durante il cosiddetto “biennio rosso”, vennero riprese le proposte più avanzate del periodo precedente alla guerra, in particolare l’ipotesi di una scuola media unica, successivamente, però, in seguito al mutato clima politico, le ipotesi di cambiamento andarono nella direzione opposta: non già una minore, bensì una maggiore differenziazione dell’istruzione tra le varie classi sociali.Di questa impostazione si fece interprete il fascismo: nel 1922. Mussolini affidò l’incarico di ministro della pubblica istruzione a Giovanni Gentile, uno dei più importanti filosofi italiani dell’epoca, oltre che studioso di problemi della scuola e dell’educazione.

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Nel 1923 il ministro Gentile varò una riforma organica del sistema scolastico attraverso quattro decreti, senza discussione in Parlamento: gli scopi erano realizzare un sistema scolastico selettivo, ridare dignità agli studi classici, rendere più efficiente l’amministrazione e dare un carattere accentrato all’ordinamento scolastico attraverso la nomina dei presidi direttamente da parte del ministro della pubblica Istruzione. Gentile aveva affermato di “lasciare poche scuole, ma buone”. La riforma, antidemocratica nella sua essenza, fallì a livello di insegnamento popolare e professionale e accentuò la distinzione tra scuola di cultura e scuola di lavoratori; la scuola complementare non riuscì a realizzare alcuna promozione sociale. Gentile, in sostanza, proponeva una scuola estremamente severa, che consentiva l’accesso ai

livelli superiori dell’istruzione solo a un ristretto numero di giovani. D’altro canto Gentile, a chi lo rimproverava di causare con la sua riforma una netta diminuzione degli studenti delle scuole medie e superiori (diminuzione che in effetti ebbe luogo nei primi anni successivi alla riforma), rispondeva che questo era esattamente il suo obiettivo. Secondo Gentile, infatti, gli studi superiori dovevano essere “aristocratici, nell’ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori [...] cui l’ingegno destina di fatto, o il censo e l’affetto delle famiglie pretendono destinare al culto de’ più alti ideali umani”. In altri termini, per Gentile solo i figli dell’alta borghesia e una ristrettissima minoranza dei ragazzi degli altri ceti sociali, quella più dotata per gli studi, aveva diritto a frequentare le scuole medie superiori, in particolare il ginnasio-liceo; una minoranza di figli del ceto medio poteva inoltre accedere alle altre scuole medie superiori, il liceo scientifico e gli istituti tecnici, mentre tutti gli altri, cioè la grande maggioranza della popolazione giovanile, non dovevano continuare gli studi dopo il raggiungimento dei 14 anni d’età.

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La riforma Gentile ricevette critiche da parte di alcuni esponenti del fascismo e, soprattutto, da parte della borghesia per la sua eccessiva severità; le forze imprenditrici, inoltre, denunciarono il suo carattere “troppo umanistico”. Ebbe così inizio, a partire dal 1925, la “politica dei ritocchi” anche per favorire la fascistizzazione della scuola, che andò crescendo con il consolidamento del regime seguito ai Patti Lateranensi del 1929. Nello stesso anno “l’insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica,” diventava “fondamento e coronamento” dell’istruzione di ogni ordine e grado; i genitori potevano, però, fare richiesta di esonero dall’insegnamento della religione. La scuola e le sue attività istituzionali si intrecciarono con quelle del regime rivolte ai giovani: l’Opera Nazionale Balilla (ONB), istituita nel 1926, poi assorbita nel 1937 nella GIL (Gioventù italiana del Littorio) e i Gruppi universitari fascisti (GUF 1927). La fascistizzazione dell’istruzione comportò anche ritocchi nei programmi: dal 1930 la dottrina fascista venne incorporata all’insegnamento della Filosofia nei Licei, mentre negli Istituti tecnici alla storiaNel 1933 era stata resa obbligatoria l’iscrizione al PNF per l’ammissione agli impieghi pubblici.

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Con l’introduzione del Testo Unico di Stato (1929) il regime riuscì ad ottenere un controllo ancor più stretto sull’apparato scolastico, in quanto si raggiunse una perfetta omogeneità anche nell’utilizzo dei libri di testo. Il testo unico di stato fu diffuso in tutte le scuole, sia in quelle pubbliche che in quelle private, a partire dal 1930 – 1931 e ogni tre anni una commissione doveva rivederne il contenuto. Ci sono due costanti che non variano e che rappresentano il nucleo principale dell’intero testo: l’esaltazione del fascismo e l’esaltazione della Chiesa. Con la spiccata e pesante ideologizzazione di ciascuna materia d’insegnamento, inclusa l’aritmetica, si può quindi parlare di “didattica asservita al regime”. In questo modo la scuola divenne ben presto la cassa di risonanza di tutte le iniziative del regime. Le letture, i temi, i dettati, gli esercizi di matematica rispecchiavano il clima del periodo ed erano il riflesso delle scelte politiche del Duce. Il ministro Giuliano decise poi di far rientrare nei programmi del liceo l’opera di D’Annunzio e di Oriani. Dal 1927 divenne obbligatorio prestare giuramento al re e ai suoi discendenti, allo statuto e alle altre leggi del regno, e Mussolini colse l’occasione per imporre il giuramento di fedeltà al regime fascista.

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Con la nomina di Cesare De Vecchi come Ministro dell’Istruzione la fascistizzazione della scuola prese un andamento più marcatamente militaristico.L’aspetto essenziale dell’operato di De Vecchi consistette nell’accresciuta centralizzazione del governo della scuola.I ritocchi ai programmi riguardarono le discipline letterarie. In italiano fu accantonato lo studio del XIV secolo a vantaggio delle opere del XIX secolo e dei contemporanei e le traduzioni degli autori stranieri scomparvero totalmente. Divennero obbligatori autori come Machiavelli, Petrarca, Boccaccio, Parini e l’Alfieri, mentre già lo erano D’Annunzio, Carducci, Pascoli e Mussolini. I principali autori europei come James Joyce e Marcel Proust furono vietati per il loro atteggiamento “decadente e disfattista”.L’etica fascista indirizzava infatti le masse verso la lettura di vicende eroiche di guerra, viaggi ed avventure. Perciò un romanziere come Emilio Salgari fu considerato dal regime comeuno dei più importanti scrittori italiani.De Vecchi incentivò inoltre lo studio del latino e auspicava che gli alunni riuscissero a parlarlo fin dalle prime classi della scuola media.Il fatto che l’opera di Benito Mussolini sia stata inserita all’interno dei programmi scolastici dimostra il fatto che l’esaltazione del Duce non si fermasse alle sue capacità politiche ma proseguisse nell’apprezzamento nei confronti delle sue doti letterarie.

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La notevole presenza della censura portò all’omologazione letteraria, ma anche all’omologazione dell’insegnamento; i libri non potevano non contenere spiccate esaltazioni del regime e, in assenza di queste, venivano respinti.Nel 1938 fu costituita la Commissione per la bonifica libraria, presieduta da Gherardo Casini. Lo scopo della Commissione era quello di rivedere tutta la produzione letteraria italiana e quella straniera tradotta in italiano. Alla fine, però, si trattò soltanto di eliminare dall’industrialetteraria i testi di autori ebrei, poiché dominava il clima delle leggi antisemite.

Giuseppe Bottai all’inaugurazione del Liceo “A. Tassoni” di Modena

La Carta della Scuola, approvata dal Gran Consiglio del fascismo il 15 febbraio 1939, completava la fascistizzazione della scuola come strumento di manipolazione ideologica. La Riforma di Bottai, ministro dell’Educazione dal 1936, infatti, prevedeva un rigido rapporto dell’istituzione scolastica con le organizzazioni giovanili del PNF e attribuiva alla scuola fascista il compito di dare ai giovani non solo una formazione culturale, ma anche una educazione civica e militare.Contadini e operai senza specializzazione o piccoli artigiani ricevevano una limitatissima scolarizzazione, che forniva soltanto pochi elementi di un’educazione al lavoro. Venne inoltre istituita dopo il ciclo elementare una scuola artigiana di tre anni che “doveva formare una coscienza di mestieri, che “non richiedono né rigore né metodo logico né importazione e tonalità di lavoro scientificamente organizzato”. I ceti urbani operai potevano poi qualificarsi o specializzarsi nel biennio successivo delle scuole tecniche. Bottai espresse infatti la necessità di rivalutare la tecnica per andare incontro alle esigenze di una società autarchica.

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Evidente è la volontà di Bottai di rifiutare il carattere umanistico e astratto della pedagogia di Gentile: il lavoro e la formazione del nuovo uomo fascista dovevano essere il punto di partenza dell’educazione. L’innovazione più importante della Riforma è l’istituzione della scuola media che dava diritto a tutti i tipi di istruzione secondaria, diventando cosi il vero strumento di separazione e di selezione dei destini sociali, anche se si ampliavano le prospettive di mobilità dei ceti medi; gli Istituti superiori non subivano modifiche di rilievo.

Ogni tempo ha il suo fascismo. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava l’ordine e in cui la sicurezza di pochi privilegiati riposava sul lavoro e sul silenzio forzato dei moltiPrimo Levi Intervista “Corriere della sera “ 1960

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Le leggi razziali e la scuolaRDL 5 settembre 1938 XVI Art. All’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica.Art. 2 Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica

È di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei È considerato di razza ebraica colui che nasce da padre ebreo e da

madre di nazionalità stranieraÈ considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da un

matrimonio misto , professa la religione ebraicaGran Consiglio del Fascismo 7 ottobre 1938

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Attraverso un’analisi di circolari degli archivi scolastici del Liceo “Tassoni”, di documenti dell’Archivio Comunale e dell’Istituto Storico di Modena, abbiamo cercato di ricostruire alcuni momenti della fase di persecuzione dei diritti degli ebrei in Italia a partire dal 1938 fino al 1943. Fin dal 1936 era stata avviata una prima propaganda antisemita a cui parteciparono anche i giornali “Il Popolo d’Italia”, “Il Resto del Carlino” e “La Stampa”. Tra a fine del ‘37 e l’inizio del ’38 dopo il primo censimento e l’identificazione degli ebrei, il regime fascista si dichiarò pubblicamente razzista e antisemita. Nel 1938 ebbe così inizio la legislazione persecutoria.

Nella circolare del 17 agosto 1938, relativa alla diffusione della rivista “La Difesa della Razza” si informano le scuole e gli istituti sulla modalità con cui deve essere trasmessa la mentalità razzista ai ragazzi fin dalla più giovane età. Questa mentalità si deve fondare su una piena convinzione della superiorità degli italiani che devono preservare integre le loro qualità ereditarie e devono imparare ad affrontare il problema razziale. Tutta l’istruzione deve avere come finalità l’approfondimento della dottrina razzista, che i giovani studenti dovranno assimilare e diffondere.

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Nella circolare del 23 agosto 1938 è trascritto il decreto del Ministro dell’Istruzione Bottai, che vieta, a decorrere dell’anno scolastico1938/39, l’iscrizione degli ebrei stranieri nelle scuole italiane. Il 7 settembre 1938 viene emanato un ulteriore decreto nei confronti degli ebrei stranieri che vengono obbligati a lasciare il paese entro sei mesi.

Il fascismo intende eliminare gli ebrei stranieri dal territorio italiano con rapidità e definitivamente; non solo, si propone anche di allontanare gli ebrei italiani dal territorio della penisola; data però la profonda integrazione esistente tra loro e gli altri italiani, questo obiettivo non viene immediatamente proclamato e perseguito pubblicamente.

L’azione governativa è quindi inizialmente rivolta soprattutto ad eliminare gli ebrei dalla vita nazionale (espulsione dalle cariche pubbliche e dal comparto educativo - culturale) e a separarli dai non ebrei (divieto di matrimoni misti, ecc.); mentre le altre misure persecutorie (revoca o limitazione della possibilità di lavorare e di istruirsi) spingono concretamente i perseguitati ad emigrare. Il 9 agosto il Ministero dell’Educazione Nazionale impone ai provveditorati la revoca degli incarichi e delle supplenze ai docenti ebrei

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Nella circolare del 26 agosto 1938 si informano tutte le scuole del divieto di adottare libri di testo di autori di razza ebraica, dei quali sarà trasmesso un elenco dal Ministero.Con la circolare del 9 settembre 1938 si impone ai direttori didattici delle varie scuole di fare un censimento del personale di razza ebraica precisando il numero di coloro che hanno madre o padre ebraico o di cui il coniuge sia di razza ebraica.Con la circolare del 14 settembre 1938 i presidi sono sollecitati ad effettuare al più presto il censimento del personale di razza ebraica. Gli insegnanti di tale razza devono essere sostituiti e, a partire dall’anno scolastico 1938/39, gli alunni di razza ebraica non potranno essere iscritti, senza eccezioni , e , a questo proposito, si invita al momento dell’iscrizione a richiedere oltre ai consueti documenti anche un attestato di non appartenenza alla razza ebraica. Il divieto di iscrizione alla scuola per i ragazzi di razza ebraica non è esteso agli esami a cui tutti sono ammessi.

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Dal 16 ottobre 1938 tutti gli insegnanti, i presidi, i direttori, gli assistenti e i professori universitari di razza ebraica devono essere sospesi dal servizio e rimpiazzati. Sempre da questa data i membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti vengono rimossi dai loro incarichi. Le Comunità ebraiche possono aprire, con l’autorizzazione del Ministero, scuole elementari per fanciulli di razza ebraica che però saranno costretti a sostenere esami negli istituti statali per aver riconosciuto il diritto a continuare gli studi. Questa legislazione si fonda sulla volontà di effettuare una separazione su base razziale che solo all’apparenza dona autonomia agli ebrei. Le comunità israelitiche in realtà non godono di una libertà speciale ma di costrizioni straordinarie, infatti anche l’apertura di nuove scuole deve essere sottoposta all’autorizzazione del ministero. Lo stato a proprie spese istituisce delle speciali sezioni di scuola elementare nelle località in cui il numero di alunni ebrei non sia inferiore a dieci. Con la circolare del 14 novembre vengono esplicati i provvedimenti del Consiglio dei ministri per cui non possono essere iscritti nelle scuole italiane alunni di razza ebraica anche se di religione cattolica. In seguito le circolari contengono delle sollecitazioni a denunciare e sostituire il personale scolastico di razza ebraica. Queste denuncie vengono richieste come dovere civico di difendere la propria razza. La ricerca di impiegati pubblici da licenziare passa attraverso numerose verifiche e controlli nell’arco di tempo tra il 1938 e 1939.

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La solerte applicazione delle leggiIl 14 settembre 1938 il Provveditore agli studi di Modena invia agli uffici dipendenti una circolare ministeriale in cui si chiede di effettuare al più presto un censimento del personale di razza ebraica. Gli insegnanti ebrei devono essere sostituiti e, a partire dall’anno scolastico 1938/39, gli alunni di razza ebraica non potranno essere iscritti. Per dare piena applicazione a queste disposizioni viene altresì stabilito che in ogni ordine di scuola genitori al momento dell’iscrizione degli alunni, alleghino ai documenti di rito una dichiarazione di non appartenenza alla razza ebraica. Gli studenti, esclusi dalla frequenza, possono essere ammessi agli esami .Il Preside del Liceo Tassoni, Prof. Lamberto Tessaro, aderendo alla richiesta del Ministro Bottai, esegue il censimento del personale della scuola e invia il 15 settembre un prospetto riassuntivo al Provveditore agli studi e in data 8 novembre un elenco degli alunni di razza ebraica iscritti nel suo Istituto.

“Bisogna stabilire il principio totalitario: nessun insegnante ebreo e per conseguenza nessun alunno di razza ebraica.”Epurazione necessaria in “Il Regime fascista” 3 settembre 1938

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Abbiamo ricostruito la storia degli alunni ebrei che sono stati espulsi dalla nostra scuola

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Abbiamo rintracciato alcuni alunni ebrei che sono stati espulsi dalla scuola, li abbiamo intervistati e abbiamo cercato di capire dagli interessati come furono attuati e vissuti quei meccanismi di esclusione che, come abbiamo potuto appurare dai documenti, furono applicati con zelo e solerzia.

Arrigo Levi

Alberta Levi Crema Insegnante

Alessandro Osima

Silvana Formiggini

Paola Formiggini

Luisa Melli

Donati Amedeo

Anna Levi

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 “L’amarezza di  essere  strappato da quel  sicuro destino,  da quel  percorso naturale dell’esistenza segnato dalla vita dei padri, quella sì la ricordo, e come; perché tracciò un vero solco di dolore, uno struggimento, legato proprio alla notizia che “non sarei andato più a scuola” perché ebreo. Potrei collegare quei  sentimenti,  se  volessi,  a  un  giorno particolare,  quello  in  cui  furono proclamate  le leggi razziali, ricordo di quel giorno d’autunno le luci del tramonto, i colori intensi della campagna, e il senso di vuoto e d’ignoto che mi nasceva dentro. Il filo che guidava la mia, la nostra esistenza, era stato spezzato; per me, dodicenne in quell’autunno del 1938, il taglio col passato fu soprattutto uno  strappo della  scuola,  dalla  nostra  scuola,  la  scuola dei miei  fratelli,  di mio padre,  dei  nostri amici. Poi ci fu l’aspra rivalsa degli esami “da privatista”, sedendo in un banco lontano dagli altri, con  la  sola  ambizione  che  il  quadro  dei  voti  non  lasciasse  dubbi  sul  fatto  che  eravamo  sempre bravi, anzi i più bravi: quegli otto, quei nove conquistati con tutto l’impegno che era possibile porre nello studio, avevano sapore di risposta a chi ci aveva cacciato”   

  Testimonianza di Arrigo Levi in:  Il  Liceo Muratori a Modena. Quattro secoli di vita e cultura dal 1591 ad oggi. Modena, CID 1991

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Tutte le testimonianze che abbiamo raccolto  sono molto vicine a quanto abbiamo trovato  in Primo Levi:“Da pochi mesi erano state proclamate le leggi razziali, e stavo diventando un isolato anch’io. I compagni  cristiani  erano  gente  civile,  nessuno  fra  di  loro  né  fra  i  professori  mi  aveva indirizzato  una  parola  o  un  gesto  nemico,  ma  li  sentivo  allontanarsi,  e,  seguendo  un comportamento antico, anch’io me ne allontanavo: ogni sguardo scambiato fra me e loro era accompagnato da un lampo minuscolo, ma percettibile, di diffidenza e di sospetto. Che pensi tu di me? Che sono io per te? Lo stesso di sei mesi addietro, un tuo pari che non va a messa o il giudeo che “di voi tra di voi non rida”? Primo Levi Il sistema periodico in “Tutti i racconti” Torino, Einaudi

“Dopo aver accettato con gran fatica che, pur non avendo fatto niente, ero stata espulsa dalla scuola, papà mi iscrisse in una scuola privata. Ricordo che i primi giorni della terza elementare, nel nuovo anno scolastico, attraversavo  la via dove c’era  la mia vecchia scuola pubblica, e  le mie  compagne  di  scuola  mi  segnavano  col  dito.  La  strada  è  ancora  oggi  stretta,  da  un marciapiede all’altro, e le bambine dicevano: quella lì è la Segre, non può più venire a scuola perché  è  ebrea.  E’  brutto  essere  additati,  e  io  capivo  confusamente  che  loro mi  ritenevano diversa…io che ero così uguale. Il mio telefono smise allora di suonare, alle festicciole non ero più invitata e alla piccola tavola della mia famiglia borghese sentivo dire: “gentile quello, mi ha salutato per strada, che caro, quello, mi è venuto a trovare”….era la solitudine.” Liliana Segre racconta la Shoah. Incontro con i ragazzi delle scuole superiori di Modena

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Il rifiuto della discriminazione nella Costituzione e l’uguaglianza dei diritti

Art.3

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ART.3La prima proposizione afferma l’uguaglianza formale come pari dignità e uguaglianza di fronte alla legge.La nostra ricerca sull’esclusione e l’individuazione del nemico interno come avversario da combattere e corpo estraneo da espellere e perseguitare ci ha fatto comprendere che il ricordo ancora vivo delle discriminazioni razziali contro gli ebrei e del trattamento degli avversari politici nel precedente regime fascista ha portato i Costituenti a specificare dettagliatamente le diversità, che vanno accolte e tutelate e che non possono più essere messe alla base di discriminazioni fra i cittadini.Mentre l’art. 2 parla dell’uomo, l’art. 3 si riferisce ai cittadini, istituendo una diretta relazione tra la concezione dell’universalità del diritto in riferimento a tutti gli uomini con la peculiarità del diritto positivo italiano.Il primo comma si richiama ai fondamenti del diritto moderno della Dichiarazione dei diritti della Rivoluzione francese (Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge) dal punto di vista del diritto formale astratto a cui si affianca il principio dell’uguaglianza di fatto (Pari dignità sociale), che trova sviluppo nel secondo comma, in cui si enuncia l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto e impediscono la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.

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Questo articolo va considerato come la chiave di lettura dell'intero dettato costituzionale. Vi trovano posto sia la concezione liberale di Stato, sia l'idea di Stato sociale ed interventista il quale, partendo dalla constatazione dell'esistenza concreta di diseguaglianze, nel limite della ragionevolezza delle norme giuridiche, introduce la possibilità di una disparità di trattamento in favore di chi parte svantaggiato per garantire a ogni cittadino pari opportunità. In questo senso viene superato il pensiero liberale che si limita a dare a tutti lo stesso trattamento senza altre considerazioni, creando così i presupposti per una stratificazione della società in ristrette classi abbienti ed elitarie che partono ad ogni generazione con un vantaggio crescente, e in classi medie o addirittura povere sempre più ampie e sempre più distanti dalla partecipazione alla vita pubblica. La Costituzione con questo articolo sancisce così l'obbligo di tutti di osservare la Legge senza poter accampare alcun privilegio, esenzione o riserva non prevista dalla Legge.Importante rilevare che ancora emerge il concetto di "persona" finalizzato al suo pieno sviluppo, anche individuale, attraverso la relazione sociale.

Ci pare importante che la Costituzione abbia voluto impegnare legislatori e governanti a rendere effettivi ed operanti i diritti enunciati, creando le condizioni per l’attuazione dei principi ed abbia inoltre enunciato dettagliatamente in negativo le possibili discriminazioni.Ci ha in particolare fatto rifletter l’uso del termine “razza” ben spiegabile in reazione al razzismo ed all’antisemitismo fascista: la nostra ricerca sulle leggi razziali e sull’esclusione, emarginazione e persecuzione degli ebrei si è proprio sviluppata per comprendere e ricordare. Ci siamo poi chiesti se sia ancora significativo l’uso del termine “razza” e se questo tipo di discriminazione sia ancora presente.

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Secondo la moderna prospettiva scientifica le “razze” non esistono. È stata cioè dimostrata la completa irrilevanza cognitiva della nozione di “razza”, già abbozzata intorno agli anni ’40. I più recenti studi sul DNA condotti dai genetisti hanno infatti dimostrato che è scientificamente scorretto servirsi di classificazioni su base somatica ed è invece più corretto parlare di “popolazione”, termine più articolato e complesso. In altre parole i gruppi sanguigni o la circolazione linfatica sono elementi più significativi del colore della pelle o dei tratti del viso. Perché allora il razzismo continua ad esistere come concreto fenomeno intellettuale e sociale che “inventa” le razze e produce le discriminazioni, nonostante questa confutazione scientifica?Il razzismo oggi non ha più bisogno di usare il termine “razza”, usa “cultura” o “etnia”, inchiodando attraverso stereotipi i singoli individui all’identità presunta di un gruppo o di una cultura pensata come “diversa” e con cui non ci si può mescolare o con cui non si può effettivamente comunicare.A questo proposito possiamo parlare di “funzione specchio” del fenomeno migratorio: i migranti, nella ricerca di identità che nasce nello spaesamento della società globale, ci offrono l’occasione del riconoscimento di una nostra identità, ma, al tempo stesso, sono gli “ altri”, sempre incompleti, sempre “fuori luogo”, presenze inquietanti. Sono cittadini- ombra nel paese d’origine e persone prive di cittadinanza nel paese di arrivo; sono “non persone”, bersaglio privilegiato delle paure e delle proiezioni dei “cittadini”. Il riconoscimento negato prima che nelle relazioni interpersonali è un dato istituzionale, legato alle stesse leggi dell’accoglienza

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“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me/ e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Martin Niemoeller, pastore luterano (attribuita a Bertold Brecht)

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Art.33, art. 34

Lo stato riconosce e tutela la libertà nei campi dell’arte e della scienza, pur senza assumersi obblighi particolari. Invece, come riflesso del principio di uguaglianza sostanziale(art. 3/2), regola con proprie norme l’istruzione, come diritto-dovere di tutti i cittadini, istituendo scuole pubbliche (in cui vale la libertà di insegnamento, pur all’interno di programmi uniformi) ed esercitando un controllo su quelle private. Non sussiste per lo stato un obbligo di sovvenzionare in alcun modo le scuole private, anche se taluni ritengono che si tratti invece di un divieto di sovvenzionarle. Una delle conseguenze principali del principio di uguaglianza sostanziale (art. 3/2) riguarda l’istruzione che è obbligatoria e gratuita per otto anni (con l’istituzione nel 1962 della scuola media unica), di dieci anni in base alla legge 27/12/2006 art.296, il diritto/dovere è stato cioè innalzato al biennio della scuola superiore, anche per adeguare l’Italia agli altri paesi europei. Per garantire effettivamente il diritto allo studio sono previsti, per i capaci e i meritevoli, aiuti economici (borse di studio, esenzione dalle tasse ecc.), anche se in misura considerata ancora insufficiente. Il comma secondo cui “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi” consentirebbe allo Stato di qualificarsi come stato di cultura, ponendo fra i suoi fini fondamentali anche quello di impartire, a tutti coloro che siano in grado di attingere ad essa e ne abbiano il merito, un’istruzione non soltanto a livello inferiore, bensì anche ai livelli più alti. Questa enunciazione contiene un irrinunciabile impegno a porre in atto tutti i mezzi che si renderanno necessari per far sì che sia formato, nell’interesse dello Stato e dei suoi membri, il più ampio patrimonio possibile di risorse umane.

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L’istruzione è un “diritto di cittadinanza”, perché consente una partecipazione effettiva alla vita collettiva, sociale, lavorativa e politica. La complessità del mondo contemporaneo richiede un’istruzione superiore a quella di base, tanto che l’Unione Europea, nella Conferenza di Lisbona, ha impegnato i paesi membri a limitare, entro il 2010, al 10% la percentuale dei cosiddetti early school leavers, i giovani dai 18 ai 24 anni provvisti della sola istruzione obbligatoria.Secondo gli ultimi dati ufficiali, nel 2006 l’Italia era ancora al 21,9%, contro il 12,1% della Germania, il 12,6% della Francia e il 14% della Gran Bretagna.Che un diritto sia garantito a tutti dalla Costituzione è di grande importanza, che esso sia realizzato concretamente lo è ancora di più: bambini e ragazzi in età scolare abbandonano ancora adesso di fatto la scuola in Italia o ne sono espulsi nonostante l’obbligo; in passato si parlava di “mortalità scolastica”, termine forse eccessivamente brutale, sostituito oggi dal più soft “dispersione scolastica”, anche se, di fatto, esso altrettanto significa emarginazione ed esclusione in una società complessa che richiede prestazioni di livello sempre più elevato.

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Qualche nostra riflessione

Art. 3 Secondo me questo articolo non trova, attualmente, la sua piena applicazione: ancora oggi gli italiani, nei fatti, non hanno gli stessi diritti, lo Stato non garantisce le stesse possibilità di studio, cura e carriera a tutti, la donna non ha ancora le stesse possibilità dell'uomo. I parlamentari sono irresponsabili, di diritto e di fatto, per tanti loro atti o dichiarazioni. Anche dal punto di vista religioso, a chi professa la religione riconosciuta dallo Stato, come la cattolica, è concessa l'assistenza religiosa, mentre ai fedeli di altre religioni l'assistenza religiosa è concessa per favore e non per diritto.

Art. 33 Questione discussa e controversa della politica scolastica nel nostro paese è quella del rapporto tra istruzione pubblica e privata. Attualmente sono stati fatti numerosi tagli alla scuola pubblica e finanziamenti a quella privata e ciò rientra nel quadro generale di privatizzazione dei servizi prima garantiti dallo Stato. Nella scuola pubblica possono liberamente convivere diverse posizioni culturali ed ideali, ed è la scuola pubblica, secondo me, che, nonostante tutti i suoi “malanni”, resta ancora la soluzione preferibile per la formazione e l'educazione delle giovani generazioni

Federico

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Nell’Art.26 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo si afferma che lo scopo dell’istruzione è  quello di provvedere “ al pieno sviluppo della persona umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Inoltre essa ha il compito di ‘promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali, religiosi[…]’Si vuole dunque sottolineare che l’istruzione è un diritto individuale ma, al tempo stesso, ha anche una fondamentale importanza a livello sociale. Anche se, implicitamente, viene messo in evidenza che l’istruzione non è solo un diritto ma anche un dovere. L’uomo infatti deve rispettare le libertà degli altri e deve dunque essere educato a questo scopo. Questo diritto-dovere implica un obbligo e in quanto obbligatoria l’istruzione deve essere garantita a tutti. Anche nell’art.34 della costituzione Italiana si afferma il principio dell’istruzione obbligatoria e gratuita e il principio secondo il quale anche i gradi più alti degli studi devono essere accessibili a tutti gli studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi.

Sulla base della mia esperienza, posso dire che questa norma viene rispettata.Alle scuole medie avevo compagni di classe con grandi difficoltà economiche e sono sempre stati aiutati per l’acquisto dei libri, per il pagamento delle gite..ecc. Il diritto allo studio viene dunque garantito a tutti in modo effettivo.In materia di istituzioni scolastiche gli Art.33 e 34 della  Costituzione italiana risultano approfonditi rispetto all’Art.27 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, viceversa nell’Art.27 è presente un punto importante che viene omesso negli Art.33 e 34, in questi infatti non si parla del compito dell’istruzione di promuovere la tolleranza,  il confronto, e del suo dovere di educare al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Elena

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Riferendo alla scuola i principi trattati nell’articolo 3 della costituzione italiana, essi risultano fondamentali perché consentono un trattamento uguale per tutti gli studenti delle nostre scuole. Ogni studente si dovrebbe sentire uguale agli altri e la scuola ha il compito di farlo sentire tale.La precisazione sull’ uguaglianza nella scuola che riguarda il sesso è necessaria per costruire un solido appoggio all’ uguaglianza dei diritti nella società. Se la scuola, che sta alla base della formazione di ogni individuo, educa al rispetto dell’uguaglianza, si può estendere tale rispetto anche nel campo della vita quotidiana e famigliare. Lo stesso si può dire anche per quanto riguarda la precisazione sul rifiuto della discriminazione che riguarda la razza, le culture o le etnie. Se un ragazzo impara a convivere con un proprio compagno di classe straniero, avrà certamente più rispetto degli stranieri anche all’ esterno dell’ ambito scolastico.

Il rifiuto della discriminazione sulla base della lingua è possibile solo se il ragazzo straniero che non ha pieno possesso della nostra lingua venga aiutato con degli insegnanti di appoggio o dei corsi aggiuntivi. In caso contrario non penso riuscirebbe a seguire il normale corso delle lezioni come gli altri ragazzi e quindi non sarebbe davvero “uguale”.Penso che nella scuola italiana i diritti fondamentali vengano rispettati, dico questo anche grazie a mie esperienze personali.

Andrea

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Art.33 e Art. 34 Questi due articoli affermano e sostengono la sostanziale parità di ogni cittadino nel diritto all’istruzione e delle scuole per quanto riguarda l’insegnamento. Molto probabilmente questi articoli riguardanti la scuola e l’insegnamento si basano su quello della costituzione americana, la quale rivendicò per prima il diritto e la libertà d’istruzione come fondamentali per gli individui. Da un punto di vista strettamente teorico, ciò che dicono gli articoli dovrebbe rappresentare la regola, ma rimangono tuttavia delle eccezioni e certamente le direttive fornite dalla costituzione non vengono rispettate nella loro interezza, in quanto rimangono dei margini di disparità fra istituti di varie zone o anche solo fra quelli statali e privati. Si ha l’impressione che la scuola formi diverse categorie di studenti con diversi standard, di conseguenza gli studenti troveranno un diverso livello di difficoltà nell’inserimento nel mondo del lavoro. Nonostante tutto, il nostro sistema in certi paesi è addirittura invidiato, un esempio è quello proprio degli USA, che è stato il primo paese a dichiarare come legge il diritto allo studio. Per esperienza personale ho sentito molti statunitensi che apprezzano il nostro sistema scolastico, preferendolo al loro, ritenendolo più egualitario…..

Mirco

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Per quanto posso osservare a scuola le distinzioni di sesso sono del tutto assenti, anche se ciò forse non del tutto vero nel mondo del lavoro. Più difficile capire se è realmente assente la discriminazione sulla base della lingua: la scuola dovrebbe incaricarsi, di abbattere, l’ostacolo della lingua favorendo l’integrazione con corsi ed aiuti per alunni stranieri. Quanto questo si realizzi, secondo me, è diverso da scuola a scuola: per quanto riguarda la mia esperienza, nella scuola italiana l’integrazione e l’insegnamento della lingua sono a livelli altissimi alle scuole elementari e vanno poi regredendo in quelle superiori, probabilmente perché, progressivamente, con l’aumentare dell’età degli alunni cresce il distacco alunno-insegnante.

Lisa

L’articolo 34 dichiara che l’istruzione deve essere obbligatoria e gratuita per tutti per almeno (ora) 10 anni. Chiunque ne abbia le capacità e sia ritenuto meritevole, anche se privo di mezzi, deve avere la possibilità di accedere ai gradi più alti di studio, la repubblica favorisce tale percorso con borse di studio ed altri aiuti. Le controversie nella discussione dell’articolo in seno alla Costituente riguardarono principalmente le modalità di assegnazione di tale aiuti e i criteri per definire chi sia meritevole. Si è stabilito che le borse di studio debbano essere assegnate per concorso solo per chi è privo di mezzi sufficienti.Mentre i primi due commi si realizzano concretamente, almeno per quanto posso vedere, “i capaci e i meritevoli” non vengono sufficientemente incoraggiati ad usufruire del loro diritto ad accedere ad alti gradi di studio, anche se privi di mezzi. Chi non ha i mezzi per accedere alle università spesso si ferma già alla terza media per non gravare sulla famiglia; alla scuole medie tale scelta, per quanto ho potuto vedere, non viene discussa a fondo con gli insegnanti e non è incoraggiata la partecipazione a concorsi per borse di studio.

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L'articolo 3 si pone l'obbiettivo di abbattere le differenze di tipo sociale ed economico e di porre sullo stesso livello ogni cittadino italiano. Viene inoltre rimarcato che né la razza, né il sesso, né la religione potranno influenzare il trattamento che lo Stato riserverà al cittadino. Questi tre principi sono d'importanza fondamentale e penso che essi vengano rispettati, almeno nell'ambito dell'istruzione statale. In queste affermazioni si possono inoltre trovare forti analogie con l'articolo 2 della “Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo”, stilata nello stesso periodo della nostra costituzione

Lo stesso non si può dire della Costituzione francese(1789) e di quella americana(1776), che da questo punto di vista si potrebbero definire più “obsolete”, in quanto si occupano più che altro di garantire i diritti del cittadino maschio adulto, guardandosi bene dall'includere altre ampie fasce di popolazione, basti pensare alle donne.Gli articoli 33-34 si occupano del ruolo dello stato in merito all'educazione dei cittadini. Viene chiaramente espresso che la famiglia deve ricoprire un ruolo fondamentale in ambito educativo e che deve indirizzare l'individuo verso gli studi obbligatori, siano essi sostenuti in ambito pubblico o privato. Le scuole private possono certamente competere con quelle statali nel contendersi gli studenti, ma devono anche uniformarsi agli standard educativi imposti dallo stato. Tuttavia ho potuto osservare che, in molti casi, la preparazione fornita dalla scuola privata appare “più debole” e molti studenti sembrano frequentarla solamente perché incapaci di terminare gli studi in ambito pubblico. Questi articoli sono stati accompagnati da una discussione in merito al finanziamento degli istituti privati; l'idea che ha prevalso è stata quella di dare la possibilità allo stato di aiutare economicamente queste scuole senza però essere vincolato da nessun obbligo nei confronti di esse.

Giacomo

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“Un mondo basato sul rispetto di quattro libertà fondamentali per l'uomo: la libertà di parola e di pensiero, ovunque nel mondo; la libertà di ciascuno di pregare Dio secondo le proprie tradizioni, ovunque nel mondo; la libertà dal bisogno economico e sociale, ovunque nel mondo; la libertà dalla paura, con la fine delle guerre di aggressione, ovunque nel mondo". Franklin Delano Roosevelt, Discorso sullo stato dell'Unione, detto “Discorso delle Quattro Libertà”, messaggio al Congresso degli Stati Uniti e alla Nazione, 8 dicembre 1941

"Finché il colore della pelle di un uomo non avrà più valore del colore dei suoi occhi; finché i diritti umani fondamentali non saranno ugualmente garantiti a tutti, senza distinzione di razza; fino a quel giorno, il sogno di una pace duratura, la cittadinanza del mondo e le regole della morale internazionale resteranno solo una fuggevole illusione, perseguita e mai conseguita."Haile Selassie I

Abbiamo letto che…

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“Il tuo Cristo è ebreo e la tua democrazia è greca. La tua scrittura è latina e i tuoi numeri sono arabi. La tua auto è giapponese e il tuo caffè è brasiliano. Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è coreano. La tua pizza è italiana e la tua camicia è hawaiana. Le tue vacanze sono turche, marocchine o tunisine. Cittadino del mondo, non rimproverare il tuo vicino di essere…straniero”. Graffito Munich

“L’antisemita è un uomo che non ha paura degli ebrei, certamente: ma di se stesso, della sua coscienza, della sua libertà, dei suoi istinti, delle sue responsabilità, della solitudine, del cambiamento della società e del mondo; di tutto meno che degli ebrei. L’ebreo qui è solo un pretesto: altrove ci si servirà del negro o del giallo. La sua esistenza permette semplicemente all’antisemita di soffocare sul nascere ogni angoscia persuadendosi che il suo posto è stato da sempre segnato nel mondo, che lo attende e che egli ha per tradizione il diritto di occuparlo.” Jean Paul Sartre L’antisemitismo. Riflessioni sulle questione ebraica.Edizioni di Comunità Torino 1982

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La scuola è aperta a tutti

Classi IV D e IV G Liceo Scientifico “A. Tassoni” di Modena

Coordinamento e progettazione: Adele Corradini e Marisa ZanonCon la collaborazione di:Istituto Storico di ModenaComunità  ebraica di Modena

2008/2009

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Analfabetismo in I talia dal 1861 al 1991

anno maschi % femmine % totale %

1861 72,00 84,00 78,00

1871 67,04 78,94 72,96

1881 61,03 73,51 67,26

1901 51,13 60,82 56,00

1911 42,80 50,50 46,20

1921 33,40 38,30 35,80

1931 17,00 24,00 21,00

1951 10,50 15,20 12,90

1961 6,60 10,00 8,30

1971 4,00 6,30 5,20

1981 2,03 3,61 3,10

1991 n.d. n.d. 2,10

fonti Genovesi, Storia della scuola in I talia dal

 

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LEGGE CASATILa cosiddetta “legge Casati” prevedeva due anni di obbligo scolastico per tutti i bambini di sei anni d’età; quattro anni di scuola elementare, divisi in due cicli biennali, di cui solo il primo ciclo era obbligatorio; dopo le elementari, la scelta fra la scuola tecnica di tre anni (al termine della quale si poteva accedere all’istituto tecnico) o il ginnasio di cinque anni (alla fine del quale era possibile frequentare tre anni di liceo classico). Solo chi aveva frequentato il liceo, che offriva una preparazione centrata sulla letteratura, le lingue classiche e la filosofia e una quantità ridotta di ore dedicate alle materie scientifiche, poteva poi andare all’università, da cui era invece escluso chi proveniva dall’istituto tecnico. Non si trattava certo di una legge particolarmente avanzata; per esempio, nello stesso periodo, in Germania era già previsto un obbligo scolastico di otto anni. La legge Casati inoltre istituiva sì l’obbligo, ma non prevedeva meccanismi adeguati per la sua realizzazione, poiché affidava ai comuni la costruzione e il mantenimento delle scuole; i comuni più piccoli o situati nelle zone più povere, non erano assolutamente in grado di pagare scuola e maestri, con il risultato che moltissimi bambini non potevano frequentare alcuna scuola.

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Legge Daneo CredaroLuigi Credaro nacque a Sondrio il 15 gennaio 1860. È a lui che si deve l’istituzione del liceo moderno di indirizzo scientifico, che venne ad affiancarsi al ginnasio-liceo classico, ed è sempre a Credaro che risale l’ampliamento delle maggiori università. Nel 1907 fondò la "Rivista pedagogica". All’attività pedagogica unì quella sociale e politica. Fu deputato del Partito Radicale e Sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel 1906 nel governo Sonnino. Nel 1910 diventa ministro della Pubblica Istruzione nel governo Luzzatti, al posto del dimissionario Edoardo Daneo, e in questa carica verrà confermato anche nel successivo governo Giolitti nel marzo del 1911. Pochi mesi dopo, il 4 giugno 1911, il Parlamento approvava, dopo un aspro dibattito, la nuova legge di riforma scolastica. Credaro lascia il governo solo di fronte agli attacchi dei cattolici, che gli rimproveravano l’affiliazione massonica e temevano per l’insegnamento della religione nelle scuole, a quelli non meno veementi dei nazionalisti, che gli muovevano l’accusa di neutralismo e a quelli, infine, dello stesso Mussolini in Parlamento. Il 28 ottobre 1921 Credaro cessa formalmente il suo incarico, ma i fascisti lo cacciano dalle cariche che ricopriva a Bolzano e due anni dopo, nel ’23, Giovanni Gentile lo caccerà anche dalla carica di presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione che ricopriva fin dal 1917. Nel 1925 è tra i 51 professori che firmano la mozione di Benedetto Croce contro la Riforma Gentile della scuola e nel ’29 attacca il Concordato dalle colonne della sua Rivista pedagogica. Morì a Roma il 15 febbraio 1939.  ● La legge Daneo Credaro La legge Daneo Credaro istituiva i nuovi organi dell’amministrazione scolastica a livello provinciale, dava vita al patronato scolastico in ogni comune, rendeva obbligatoria l’istruzione elementare anche per i militari e i detenuti e veniva previsto un sistema organico di finanziamenti per l’edilizia scolastica, oltre che un consistente aumento di stipendio per gli insegnanti. Ma la novità più rilevante di quella riforma fu il passaggio delle scuole elementari dai comuni alla gestione statale attraverso le province, limitato tuttavia ai soli comuni maggiori, per la durissima opposizione dei cattolici in Parlamento e nel Paese che si unì a quella dei socialisti e alle critiche di Giovanni Gentile e di Lombardo-Radice. Per Credaro si trattava di far passare tutto il mondo dell’istruzione elementare dalla sua dimensione ancora assistenziale e caritativa a moderno ed efficiente servizio pubblico e di superare la piaga dell’analfabetismo che scenderà, infatti, sul piano nazionale dal 37,9 al 27,3% nel giro di un decennio.

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RIFORMA GENTILE Nel 1923 il ministro Gentile varò una riforma organica del sistema scolastico attraverso quattro decreti, senza discussione in Parlamento: gli scopi erano realizzare un sistema scolastico selettivo, ridare dignità agli studi classici, rendere più efficiente l’amministrazione e dare un carattere accentrato all’ordinamento scolastico attraverso la nomina dei presidi direttamente da parte del ministro della pubblica Istruzione. Gentile aveva affermato di “lasciare poche scuole ma buone”. La riforma, antidemocratica nella sua essenza, fallì a livello di insegnamento popolare e professionale e accentuò la distinzione tra scuola di cultura e scuola di lavoratori; la scuola complementare non riuscì a realizzare alcuna promozione sociale. Aspetto positivo della riforma è, però, l’insistenza con cui i programmi invitavano gli insegnanti a sviluppare l’intelligenza degli allievi evitando il sovraccarico di nozioni.I maggiori interventi riguardano la scuola secondaria e in particolare la fascia 11-14 anni con l’istituzione di ben 5 tipi di scuole (ginnasio, istituto tecnico inferiore, istituto magistrale inferiore, scuola complementare, corso integrativo: solo col ginnasio si accede al liceo e di qui a tutte le facoltà universitarie; l’istituto tecnico consente l’accesso molto limitato all’università); inoltre si sostituiva l’istituto magistrale alla scuola normale e si creava il liceo femminile. L’istruzione tecnico-professionale fu posta alle dipendenze del ministero dell’Economia nazionale.Gli esami erano il vero perno del sistema scolastico di Gentile, a partire dagli esami di ammissione al ciclo successivo che dovevano determinare se l’alunno era portato a continuare gli studi; le prove d’esame dovevano evidenziare le capacità più che le conoscenze. L’Esame di Stato, imposto a conclusione del secondo ciclo, permise l’equiparazione delle scuole private a quelle pubbliche.

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La riforma Gentile prevedeva:Scuola di grado preparatorio: scuola materna non obbligatoria dai 3 ai 6 anni. E’ la prima volta che una scuola materna entra nelle competenze dello stato nazionale, anziché essere lasciata all’iniziativa dei comuni, come fino ad allora accadeva.Scuola elementare: articolata in grado inferiore (dalla I alla III classe) e grado superiore (IV e V classe). Erano previsti esami ogni anno e in III e in V esami con tutti i maestri delle scuola.Corso integrativo: post-elementare (dalla VI all’VIII classe), senza sbocchi ulteriori, che i comuni avevano la facoltà di istituire addossandosene la maggior parte degli oneri. I corsi integrativi mantennero il carattere di scuola minore di “scarico”, molto povera culturalmente e senza sbocchi Istituti di I Ciclo:  Scuola complementare (senza sbocco) di durata triennale, si può intendere come il complemento educativo e professionale della scuola elementare e non era finalizzata al proseguimento degli studi. Lo scopo era quello di formare alunni in grado di svolgere la funzione di cittadini e il loro mestiere di artigiano, impiegato ecc.; dava accesso al grado più basso degli impieghi statali.Istituto Tecnico inferiore: della durata di quattro anni, suddiviso al suo interno in due indirizzi: (commerciale e agrimensura). Doveva anche preparare al liceo scientifico e per questo impartiva un insegnamento umanistico Istituto magistrale inferiore (durata 4 anni)Ginnasio: durata 5 anni: inferiore. 3 anni, superiore 2. Da qui si poteva poi accedere al Liceo Istituti di II Ciclo Istituto tecnico superiore Il diploma dava accesso agli istituti Superiori di Scienze Economiche e Commerciali, ma non alle altre Università Liceo scientifico: di durata quadriennale dava maggiore importanza alla matematica e alle scienze e garantiva l’accesso all’università ad eccezione delle Facoltà umanistiche Liceo classico: al Liceo Classico le materie studiate erano in prima linea Filosofia e Lettere Classiche, mentre le materie scientifiche erano in secondo piano. Destinato alla formazione delle future classi dirigenti, accentuava il carattere di scuola privilegiata e selettiva al tempo stesso. Anche se la scuola di Gentile voleva formare tramite gli studi classici l’élite della nazione non riuscì in questo senso: la riforma imponeva la scelta di una scuola e di una carriera in un’età in cui le attitudini di un giovane erano appena abbozzate e il suo avvenire dipendeva dalla situazione famigliare.  Liceo femminile: istituito per risolvere il problema dell’aumento della popolazione femminile nell’insegnamento medio e per equilibrare l’elevato numero di iscrizioni delle ragazze alle magistrali. La maggioranza delle studentesse avevano prevalenza di estrazione alto borghese ed affollavano le aule con il solo scopo di completamento culturale, e non con l’intenzione di diventare maestre. I genitori apprezzavano la mancanza di promiscuità tra i sessi in questo tipo di scuola Istituto magistrale superiore: di durata triennale permetteva di accedere a Magistero, ridotti da Gentile, rispetto a Giolitti, a soli due, presenti a Roma e Firenze. 

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Opera Nazionale Balilla (ONB)L’Opera Nazionale Balilla, nata nel 1927 e confluita dopo un decennio nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio), fu presieduta dal giovane Renato Ricci, fascista della prima ora, che l’ amministrò come un suo feudo fino al suo scioglimento. I Balilla rappresentano la prima vera forma di uscita organizzata e di massa dell’infanzia dai quadri dell’educazione famigliare tradizionale. L’educazione dei Balilla con le evoluzioni e gli esercizi militari, le simulazioni di situazioni di guerra e i fucili di legno coniuga gioco, educazione fisica e addestramento militare. Si tratta di una socializzazione politica per mezzo di un’esperienza organizzata di massa (attività sportive, colonie marine, campeggi, Ludi Juveniles, che culminavano nelle manifestazioni del Foro Mussolini) fortemente concorrenziale con i poli di aggregazione e le attività della Chiesa. Si vuole formare l’uomo nuovo fascista finché è ancora vergine e può essere plasmato virilmente come guerriero.L’Opera Balilla diventa uno strumento della politica scolastica del fascismo, al servizio di un’idea di educazione come processo totale che include l’istituzione scolastica in un processo educativo più ampio che coincide con la sfera pubblica e l’organizzazione politica del regime.Durare è la parola d’ordine di Mussolini e l’educazione fisica assolve a questo ruolo di assicurare la persistenza del regime attraverso il condizionamento dei giovani. L’educazione fisica si collega al tema del fascismo come modo di vivere: coraggio, virilità, rischio. L’educazione fisica si collega a una struttura culturale che mentre si appella al linguaggio dell’eroismo,della guerra e al codice della fama realizza la scomparsa del singolo dentro la dimensione anonima e collettiva della comunità politica.

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Qualche esempio di problemi di matematica tratti dai sussidiari fascisti:

“Il maggiore dei figli del Duce, Vittorio ha 15 anni, il più piccolo, Romano, ne ha 5. Di quanti anni Vittorio è più grande di Romano?”

“Quanti anni ha il tuo babbo? Calcola quanti anni aveva quando avvenne la marcia su Roma”

“4 comunisti, perché hanno poca voglia di lavorare, guadagnano al giorno Lire 8 e 4 fascisti Lire 15 al giorno. Chi guadagna di più?”

“In palestra vi sono 153 Balilla che fanno esercitazioni. Marciando a file di 9 quante file formano?”

“Aprilia e Guidonia vengono unite con una bella strada. Il giorno della loro inaugurazione ci passano 75 automobili?Se ognuna di loro gettò 12 bigliettini con scritto W il Duce. Quanti biglietti furono gettati?”

“Un padre desiderava organizzare una bella gita con la famiglia; ma la spesa per lui era troppo forte: lire 125. Rimandò allora la gita fino a quando non poté servirsi di un treno popolare, ottima istituzione del Regime fascista, che permette a tutti di viaggiare per conoscere e godere le bellezze della nostra Patria. Egli spese così 64 Lire in tutto. Quanto risparmiò?”

“Quanto è lungo il moschetto Balilla? Misuralo.” Da: I “problemi del fascismo” a cura di G. Gabrielli e M. GuerriniRegione Emilia Romagna Mostra Gattatico 2009

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 Manifesto della razza  “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuol dire introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.8) È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d’Europa(Occidentali) da una parte e gli orientali e gli Africani dall’altra: sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili9) Gli Ebrei non appartengono alla razza italiana

Manifesto della razza in “La Difesa della Razza” I 5 agosto 1938

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LA DIFESA DELLA RAZZA

 “La difesa della razza”, rivista del razzismo fascista, inizia la sua pubblicazione il 5 agosto del 1938 e uscirà con cadenza quindicinale fino al 1943. Il direttore è Telesio Interlandi che si era già distinto nelle campagne antisemite del 1934 e del 1936-37 alla direzione de “Il Tevere”; il comitato di redazione è formato anche da Guido Landra, l’estensore del “Manifesto della razza”. La rivista conta su un ampio sostegno politico e, in particolare, il ministro dell’educazione Bottai con la circolare n.34 del 6 agosto invita i rettori dell’Università e i direttori della scuola elementare e degli istituti superiori a diffonderla in modo capillare: “La Difesa della Razza che nel movimento razzista italiano è l’organo di maggiore importanza, dovrà perciò essere conosciuta, letta, divulgata e commentata da tutti i presidi, direttori, ispettori e insegnanti della scuola media ed elementare, sia dei grandi che dei piccoli centri; ogni biblioteca scolastica dovrà esserne provvista e tenerla a disposizione del corpo insegnante, il quale ne assimilerà e propagherà l’alto spirito informatore(…)”La rivista aveva il preciso compito di creare mistero e paura intorno agli Ebrei e di persuadere gli italiani che le leggi razziali erano una scelta politica legittimata dalle leggi di natura attraverso la divulgazione di una dottrina “scientifica”, che doveva giustificare l’antisemitismo di stato.L’esaltazione della razza ariana era compiuta attraverso la descrizione degli aspetti negativi di tutte le altre, in particolare di quella ebraica. I lettori della rivista sono per la maggior parte poco informati sugli Ebrei, in quanto questi hanno sempre costituito una minoranza numericamente esigua in Italia, la maggior parte di essi è ben integrata nella società italiana, coltiva la propria religiosità in maniera abbastanza discreta.Gli Ebrei sono visti come eterni parassiti che cercano soltanto di impedire a tutti gli altri popoli di ottenere successo e vengono spesso rappresentati con figure stereotipate.

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Gli Ebrei sono visti come eterni parassiti, ragni che tessono le loro tele di infamie.Nella copertina del primo numero, ad esempio, viene messa a confronto la razza ariana con quella ebraica e quella africana. L’Italiano è rappresentato da una statua romana, in modo da ricondurre la supremazia della razza ariana all’antichità classica; il viso nella sua bellezza si contrappone all’”animalità” dell’africana e alla deformità e degenerazione dell’ebreo, rappresentato da un volto grottesco. L’Ebreo è all’interno della società italiana e costituisce un pericolo

Se la copertina era un mezzo per attirare i lettori, le illustrazioni all’interno raffiguravano l’ebreo come un avvoltoio con il becco sgocciolante sangue o un ragno, che tesse la tua trama per la conquista del mondo. . Gli Ebrei non sono inferiori come le altre razze nei confronti di quella ariana, ma sono classificati come “traditori” che tramano una vendetta contro gli altri popoli. Gli Ebrei vengono caratterizzati da un naso adunco, le labbra carnose, gli occhi poco incavati e i capelli lanosi; non tutti gli Ebrei però possiedono le caratteristiche tipiche della “maschera ebraica” e se un ebreo non appare tale vuol dire che è camuffato da gentile: è questa l’ennesima dimostrazione della ipocrisia ebraica

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Il razzismo italianoIl “Manifesto degli scienziati razzisti” e le Leggi razziali del 1938 si calano in un clima di mentalità diffusa già preparata dal razzismo coloniale e dall’assimilazione da parte della popolazione dell’intolleranza e della criminalizzazione lombrosiana della diversità (pazzi, omosessuali, zingari, asociali, delinquenti, ecc.), pronta quindi ad accettare senza difficoltà la persecuzione del nemico interno che viene immaginato come più subdolo, mimetico e strisciante: “l’eterno ebreo”. I provvedimenti per la difesa della razza italiana del 17 novembre 1938, non erano che la prosecuzione della legislazione coloniale contro il meticciato: anni di razzismo nei confronti dei neri sono il tramite che fa passare in Italia senza opposizione il razzismo antisemita. In concomitanza con la proclamazione dell’Impero e l’instaurazione di un regime di apartheid in Etiopia, il fascismo intende produrre una svolta e un rilancio dello spirito fascista degli Italiani, infiacchitosi dopo la vivacità dei primi anni della “rivoluzionaria” presa di potere: bisogna trasformare gli Italiani in “uomini nuovi fascisti”, umanità superiore, fiera, antiborghese, guerriera e non più contaminata dalle debolezze pericolose della democrazia e del liberalismo, una razza consapevole della potenza nazionale e imperiale. Il dispositivo dell’esclusione e della discriminazione entra in funzione per rafforzare e potenziare l’identità nazionale fascista, riprendendo temi e stereotipi dell’antigiudaismo cattolico.La lotta contro gli ebrei fu condotta in prima persona da Mussolini, con la finalità di stimolare l’imbelle borghesia italiana, che non aveva preso coscienza ancora del suo destino imperiale, e di trovare ulteriori legami comuni con il potente alleato tedesco, pur distinguendosi da lui. Mussolini promosse la campagna di odio contro gli ebrei pienamente consapevole di ciò che stava accadendo in Germania. All’indomani del pogrom del 9 novembre 1938, la cosiddetta “Notte dei cristalli”, Ciano nel suo Diario annota:”Il Duce è sempre più montato contro gli ebrei. Approva incondizionatamente le misure di reazione adottate dai nazisti. Dice che in posizione analoga farebbe ancora di più”: Mussolini affrontò la campagna antisemita ben consapevole delle implicazioni brutali e disumane che essa comportava.

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La scuola ebraica Con le leggi razziali del 1938 studenti e insegnanti ebrei vennero espulsi dalle scuole.Per i bambini frequentanti la scuola elementare lo stato istituì a sue spese speciali sezioni in qualunque località dove fossero presenti almeno 10 alunni ebrei.Tuttavia le aule loro destinate dovevano avere ingressi separati dal resto della scuola e lo stato si impegnava a stipendiare un solo insegnante.A Modena una sezione speciale di scuola elementare per gli alunni ebrei entrò in funzione, a spese dello stato, il 28 novembre 1938, presso i locali di San Vincenzo, con ingresso separato, e l’insegnamento venne provvisoriamente affidato alla maestra Bianca Donati (dispensata dal normale servizio, a causa delle legge razziali, il 16 Ottobre dello stesso anno).Per quello che invece riguarda l’istruzione media e superiore, l’Unione Delle Comunità Israelitiche Italiane propose varie soluzioni al presidente della comunità israelitica di Modena:Sistema di scuole delegate e pareggiateIn queste scuole i rami dell’istruzione secondaria erano impartiti dall’Enim, finanziato dallo StatoSistema di scuole gestite e parificateSi trattava di scuole gestite dall’Enim, che stipendiava gli insegnanti. La comunità avrebbe affidato la gestione di una o più scuole all’Enim, che però esigeva che la comunità garantisse il pagamento della somma globalmente occorrente per l’anno scolastico. Gli alunni pagavano le tasse statali oltre a una maggiorazione pagata all’Enim stesso.Sistema di scuole private associate all’ente nazionale e parificateQuesto sistema prevedeva l’organizzazione di una scuola secondo le disposizioni dell’Enim da parte della comunità, che sceglieva e stipendiava gli insegnanti e stabiliva l’ammontare delle tasse scolastiche. La comunità doveva prima chiedere l’associazione all’Enim. 

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A Modena la comunità israelitica decise di organizzare una scuola paterna, cioè “lezioni private collettive impartite a domicilio dell’insegnante o presso la famiglia, adeguatamente scelta, di uno degli alunni o in un locale della comunità”. Anche in quest’ultimo caso i corsi avevano sempre carattere di lezioni private collettive e la responsabilità didattica era dei professori. In una lettera dell’11 ottobre 39, il presidente della comunità israelitica di Modena informa un’insegnante che per l’anno scolastico 39/40 a Modena sarebbe stata istituita una scuola media ebraica: “domenica 15 ottobre avrà luogo presso questi uffici una riunione nella quale gradiremo la Vostra presenza”La scuola paterna di Modena venne aperta il 26 ottobre 1939 nei locali messi a disposizione dalla Comunità di Modena in via Coltellini 13. La costituzione della scuola media ebraica a Modena venne comunicata al Provveditore il 7 dicembre anche perchè il preside del Liceo Ginnasio Muratori, favorevole alla costituenda scuola ebraica, aveva sconsigliato di informare il provveditore prima di avere il quadro completo degli insegnanti e l’orario delle varie materie.Nella scuola paterna le lezioni, che hanno avuto quasi subito un andamento regolare, erano sospese il sabato, ma il resto dell’orario si uniformava a quello delle corrispondenti classi statali. Dato l’esiguo numero di alunni si erano potute formare solo due classi: una di scuola media inferiore, composta da Corinaldi Laura, Donati Raffaele e Osima Anna, cui si univano un’alunna di seconda, Formiggini Silvana, e ,per due lezioni settimanali di lingua, religione ebraica e disegno, un alunno che studiava privatamente per la IV ginnasio, Levi Arrigo.L’altra classe era composta da 3 alunni che si preparavano alla maturità classica, da Levi Anna che si preparava alla maturità scientifica e da un alunno che si preparava all’abilitazione magistrale. I docenti della scuola erano: Prof.ssa Alberta Levi Crema (Latino, Greco, Italiano, Storia, Storia dell’Arte); Dr.ssa Paola Levi (Matematica, Geografia nelle classi di scuola media e Scienze e Filosofia per la maturità classica e scientifica) ; Prof.ssa Emma Castelbolognesi (Francese scuola media e Tedesco maturità scientifica); Prof. Dainelli (Matematica liceo scientifico) Rabbino maggiore Dott. Rodolfo Levi (Religione) .  

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Il 12 febbraio 1940 il Provveditore agli studi, però, informò la comunità israelitica di Modena che, poiché la costituzione di scuole medie per alunni di razza ebraica doveva essere preventivamente autorizzata, la scuola della comunità doveva senz’altro essere chiusa e per farla funzionare nell’anno scolastico successivo si doveva presentare domanda all’ENIM. Il presidente della comunità replicò dicendo che non si trattava di una scuola, in quanto gli alunni erano pochissimi, ma di semplici lezioni private volute dai genitori e appoggiate dalla comunità con la messa a disposizione di un locale annesso al tempio israelitico.Numerose furono le richieste avanzate dalla comunità israelitica di Modena circa la possibilità di tenere aperta la scuola media di carattere paterno, puntualmente rimaste senza alcun tipo di risposta da parte dell’ENIM. Continuamente venivano richiesti alla Comunità, da parte del Provveditorato, documenti ulteriori al fine di autorizzare l’apertura della scuola. Il confronto intenso fra Provveditorato, Comunità ebraica di Modena ed ENIM, durato circa un anno, si concluse il 18 dicembre del 1940: il Ministero della Educazione Nazionale rifiutò le richieste avanzate dalla Comunità. Le lezioni per i pochi alunni continueranno a svolgersi presso le abitazioni private: in parte in Viale Margherita n. 33 e in parte in Via F. Crispi n. 2. Se la scuola media non ottenne mai l’autorizzazione dell’ENIM a essere operativa, la Comunità poté disporre della scuola elementare dall’anno 1940 all’anno1943 e il 18 giugno del 1943 il presidente della Comunità di Modena inviò la richiesta per il funzionamento della scuola anche per l’anno scolastico 1943/44.Il problema della scuola professionale  Medici, ingegneri, avvocati, insegnanti ebrei vennero esclusi dal lavoro e molti si trovarono di fronte al problema della rieducazione professionale; non aveva, quindi, più senso che i giovani studiassero nei licei e nelle università, era una inutile perdita di tempo. I dirigenti e i responsabili della vita ebraica in Italia dovevano quindi impegnarsi ad aiutare i giovani a prepararsi a un lavoro decoroso e onesto che consentisse loro di affrontare la vita.

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Uguaglianza: dal latino aequaliare (aequalis = “uguale”).Condizione di parità, essere uguali.Principio per cui tutti gli uomini sono considerati uguali davanti alla legge senza distinzione e privilegi, in base al sesso, alla razza, alla religione, al ceto sociale, alle convinzioni politiche, mettendoli così in una condizione di uguaglianza reale e non solo formale. Nel linguaggio giuridico quindi si distinguono due forme di uguaglianza: uguaglianza formale: principio che garantisce a tutti i cittadini gli stessi diritti di fronte alla legge, senza distinzione di razza, di religione, di sesso, di classe sociale;uguaglianza sostanziale: principio secondo il quale vengono rimossi gli ostacoli di natura economica e sociale che limitano di fatto l’esercizio dei diritti riconosciuti sul piano formale. Il principio di eguaglianza inserito nella Costituzione intende scongiurare ogni tipo di discriminazione, ma allo stesso tempo non nega le differenze esistenti che necessitano di essere mantenute, quando non addirittura tutelate. Ad esempio, l'articolo 36 stabilisce che il lavoro dipendente deve essere retribuito in modo “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”, ma si aggiunge che la retribuzione deve essere “proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro”. L'eguaglianza costituzionale è quindi quella che si realizza nell'equilibrio tra lotta alle discriminazioni illegittime e tutela delle legittime differenze.Artt. 3, 33-34, 37, 51.

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Dignità (dignus da decet = “che conviene”, “che merita”).

In senso costituzionale indica il rispetto del sé come essere umano in quanto tale. La dignità sociale cui si fa rifermento nella Costituzione è uno dei cardini dell'intero sistema della Carta costituzionale, che si caratterizza per un impianto personalista, ovvero che colloca la persona al centro.La dizione “pari dignità sociale”fu scelta in sede di Assemblea Costituente a preferenza dell’espressione proposta “uguale trattamento sociale”

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Cittadino: colui che ha la cittadinanza, cioè che appartiene alla collettività di uno Stato e come tale è titolare dei diritti e soggetto ai doveri stabiliti dalla legge. Il cittadino non è però solo colui che appartiene alla comunità statale, ma colui che gode di diritti civili di prima generazione, le cosiddette libertà dallo Stato (libertà personale, di domicilio, libertà economiche e di proprietà, di manifestazione del pensiero e di professione religiosa), politici di seconda generazione, le libertà nello Stato (diritto di voto attivo e passivo, di associazione in partiti e sindacati, di riunione) e sociali di terza generazione, quelle che vengono definite libertà mediante lo Stato (diritto all'istruzione, alla salute, alla previdenza sociale, alla casa) e deve sottostare a doveri che discendono dallo stesso status di cittadinanza. Accanto ai diritti civili, politici e sociali a partire dalla seconda metà del Novecento si comincia a parlare di “diritti di quarta generazione” che definiscono la cittadinanza investendo sia la sfera privata (ad esempio il diritto alla privacy e all'orientamento sessuale) che quella pubblica (ad esempio il diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, la partecipazione alla definizione delle politiche pubbliche attraverso gli istituti della democrazia partecipativa come petizioni, istanze, leggi di iniziativa popolare, ecc..). Si tratta di garanzie che mettono al centro la persona in senso molto ampio, poiché la considerano inserita nel suo ambiente vitale fatto di una molteplicità di situazioni individuali e collettive che si determinano per effetto dello sviluppo tecnico e culturale, ma anche dei cambiamenti etico-sociali.

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Cittadino: colui che ha la cittadinanza, cioè che appartiene alla collettività di uno Stato e come tale è titolare dei diritti e soggetto ai doveri stabiliti dalla legge. Il cittadino non è però solo colui che appartiene alla comunità statale, ma colui che gode di diritti civili di prima generazione, le cosiddette libertà dallo Stato (libertà personale, di domicilio, libertà economiche e di proprietà, di manifestazione del pensiero e di professione religiosa), politici di seconda generazione, le libertà nello Stato (diritto di voto attivo e passivo, di associazione in partiti e sindacati, di riunione) e sociali di terza generazione, quelle che vengono definite libertà mediante lo Stato (diritto all'istruzione, alla salute, alla previdenza sociale, alla casa) e deve sottostare a doveri che discendono dallo stesso status di cittadinanza. Accanto ai diritti civili, politici e sociali a partire dalla seconda metà del Novecento si comincia a parlare di “diritti di quarta generazione” che definiscono la cittadinanza investendo sia la sfera privata (ad esempio il diritto alla privacy e all'orientamento sessuale) che quella pubblica (ad esempio il diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, la partecipazione alla definizione delle politiche pubbliche attraverso gli istituti della democrazia partecipativa come petizioni, istanze, leggi di iniziativa popolare, ecc..). Si tratta di garanzie che mettono al centro la persona in senso molto ampio, poiché la considerano inserita nel suo ambiente vitale fatto di una molteplicità di situazioni individuali e collettive che si determinano per effetto dello sviluppo tecnico e culturale, ma anche dei cambiamenti etico-sociali.

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Diritti dell’individuoLa filosofia moderna si è interrogata sul soggetto inteso genericamente come essere dotato di profondità interiore, come Io. L’Io è il centro cui riferire la consapevolezza (io teoretico) e l’iniziativa dell’agire (io pratico) per differenza dal mondo esterno da cui provengono le percezioni o verso cui si dirigono le azioni e le iniziative del soggetto. La posizione razionalista tende ad attribuire all’Io un significato sostanziale. Infatti per Cartesio l’Io è res cogitans, sostanza pensante il cui attributo è il pensiero; è il soggetto gnoseologico cioè il soggetto di conoscenza. Il soggetto inteso come cogito è garanzia di verità e le idee conosciute dal pensiero in modo evidente, cioè chiaro e distinto sono vere. Per l’empirista Locke, invece, l’Io non è sostanza ma è la coscienza che accompagna i pensieri e gli stati che si producono nel senso interno; l’uomo non solo percepisce ma a ogni percezione si accompagna la coscienza. Hume, empirista come Locke, propone di pensare il soggetto come semplice fascio di impressioni, di stati d’animo che noi, per abitudine, tendiamo a riferire a un unico Io, a una persona che permane identica nel tempo. Tale concetto di Io verrà poi esteso da Kant, secondo il quale l’Io penso è il principio e l’unità formale di un’attività di sintesi, di unificazione di una molteplicità di intuizioni empiriche ; la condizione trascendentale della conoscenza di ogni oggetto da parte del soggetto. Kant all’Io conoscitivo (teoretico) contrappone un Io pratico che, nel suo agire, nel pieno rispetto della legge morale, acquista la certezza della libertà. La libertà che viene attribuita al soggetto come caratteristica essenziale è il segno più ovvio della sua mancanza di determinazione e definitezza. Il soggetto proprio perché non è qualcosa di determinato ha una importanza fondamentale: è quindi potenzialità indeterminata, capacità di scelta fra possibilità alternative. Locke in “Due trattati sul governo civile” definisce lo stato di natura uno stato di libertà e perfetta uguaglianza, non uno stato di guerra permanente come quello di Hobbes perché in esso l’uomo non è dominato dalle passioni, dalla volontà di sopraffare gli altri, ma dalla ragione che insegna che è bene non danneggiare gli altri per quanto riguarda la vita, la libertà e la proprietà.

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DirittiPer Montesquieu, che ha una visione pessimistica dell’uomo e non crede nell’esistenza di una legge naturale valida per tutti, quando un uomo ha un potere senza vincoli è portato per natura ad abusarne; ecco allora che è necessaria la divisione dei poteri, legislativo esecutivo e giudiziario, ma è solo dall’equilibrio dei primi due che deriva la libertà.Diversa è la concezione di libertà espressa da Rousseau ne: il “Contratto sociale”(1762) in cui la creazione di uno stato “legittimo” è il risultato di un patto consensuale con cui ogni associato aliena i suoi diritti a vantaggio della comunità. A fondamento di questo stato ”legittimo” stanno una condizione di uguaglianza perché ognuno sopporta gli stessi sacrifici per ottenere uguali vantaggi e una condizione di libertà in quanto ciascuno sottomettendosi alla volontà generale, che è la volontà di tutti spogliata dagli egoismi individuali, in fondo obbedisce soltanto a se stesso. Rousseau, inoltre è il primo filosofo che riflette seriamente sul riconoscimento della uguale dignità e sull’importanza dell’uguale rispetto .Il principio della uguaglianza diventa, quindi, il naturale completamento di quello di libertà. Alle libertà civili corrisponde l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ; alle libertà politiche corrispondono gli eguali diritti di partecipare alla vita politica e di ottenere cariche pubbliche. La Costituzione giacobina del 1793 sancisce il principio secondo cui “tutti i cittadini sono per natura uguali” Gli esseri umani sono dunque esseri umani. La tautologia si basa sull’argomento della “umanità condivisa” da cui discende il “desiderio di rispetto di sé” e il riconoscimento della intrinseca “dignità dell’uomo”. Le prime dichiarazioni dei diritti dei cittadini, contenute nelle costituzioni, risalgono al periodo illuministico, ma assumono una posizione di fondamento dell’ordinamento giuridico solo con la rivoluzione francese.

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DirittiNella Dichiarazione del 1789, il cui art. 1 si apre con l’affermazione che: “gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti(…)”, la libertà “consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri(…), ha il suo limite solo nella legge, espressione della volontà generale ed è un diritto naturale, inalienabile e sacro dell’uomo. Le libertà individuali sono, innanzitutto la libertà di opinione e di stampa, ma non si trovano menzionate, per esempio, la libertà di culto, quella di riunione né quella di insegnamento. A proposito della libertà religiosa l’art. 10 recita: “Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazioni di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge(…)”. Il diritto di libertà precede quello di uguaglianza che, per il momento, occupa nella Dichiarazione un posto più ristretto e non figura fra quelli imprescrittibili anche se il primo articolo afferma che. “gli uomini nascono uguali” Diritto naturale e imprescrittibile è, invece, quello di proprietà che, nell’art. 2 è elencato dopo la libertà e prima della sicurezza e della “resistenza alla oppressione”; il diritto di uguaglianza non viene spinto fino a entrare in contrasto con quello di proprietà; è uguaglianza di fronte alle legge e nell’accesso alle cariche e agli impieghi pubblici.Nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1793 l’uguaglianza, diritto naturale e imprescrittibile precede la libertà, la sicurezza e la proprietà e l’istruzione viene definita “un bisogno di tutti che deve essere favorito dalla società; la società si impegna anche a “provvedere alla sussistenza dei cittadini bisognosi, sia procurando un lavoro, sia assicurando i mezzi di esistenza a chi non è in grado di lavorare” Questi principi restarono una pura dichiarazione di intenzioni perché la Dichiarazione del 1793 e la Costituzione dell’anno I non ebbero mai applicazione; fu deciso dalla Convenzione che il governo sarebbe rimasto provvisorio fino alla fine della guerra. In realtà venne varata nel 1795 una nuova costituzione, preceduta da una dichiarazione di tutt’altra ispirazione di quella del 1793 e il diritto di libertà tornò a prevalere su quello di uguaglianza; ai diritti vennero anteposti i doveri dei cittadini, come il non violare le leggi e il rispettare i valori tradizionali della famiglia.

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DirittiLa Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino, fondamento della Rivoluzione francese e del moderno stato liberale però proclamano una uguaglianza solo giuridica, formale degli individui e i diritti dell’uomo sono, dirà Marx negli “Annali franco-tedeschi”, “i diritti dell’uomo egoistico, chiuso in sé e nel proprio interesse privato, che trova nell’altro uomo non l’attuazione, bensì il limite della propria libertà”. Al liberalismo e all’ideale di una emancipazione soltanto politica che lascia inalterate le diseguaglianze reali (economiche) fra gli uomini Marx contrappone quello di una emancipazione umana che mira a una uguaglianza sostanziale e al recupero autentico “dell’essenza sociale dell’uomo”; l’emancipazione è, dunque, recupero di un rapporto pieno fra uomo e uomo e uomo e natura che è stato distrutto dal meccanismo dell’alienazione imposto dalla borghesia all’operaio, ridotto a pura forza lavoro. Scrive Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844: “l’alienazione dell’operaio nel suo oggetto si esprime, secondo le leggi dell’economia politica, in modo che, quanto più l’operaio produce, tanto meno ha da consumare, e quanto più crea dei valori e tanto più è senza valore e senza dignità(…)

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Il relatore Basso spiegò:“Non basta l’uguaglianza puramente formale, come quella caratteristica della vecchia legislazione, per dire che si sta costruendo uno stato democratico… L’essenza dello stato democratico consiste nella misura maggiore o minore del contenuto che sarà dato a questo concreto principio sociale”Il Presidente della commissione, Ruini, scriveva nella relazione al progetto:“Il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge, conquista delle antiche carte costituzionali, è riaffermato con più concreta espressione, dopo le recenti violazioni per motivi politici o razziali; e trova oggi nuovo e più ampio sviluppo con l’uguaglianza piena , anche nel campo politico, dei cittadini, indipendentemente dal loro sesso”In Assemblea uno dei firmatari della formula approvata, l’On. Fanfani, disse:“Noi partiamo dalla constatazione della realtà, perché mentre prima, con la rivoluzione dell’89, è stata affermata l’uguaglianza giuridica dei cittadini membri di uno stesso stato, lo studio della vita sociale di quest’ultimo secolo ci dimostra che questa semplice dichiarazione non è stata sufficiente a realizzare tale uguaglianza” Da: La Costituzione della Repubblica Italiana a cura di V. Falzone F. Palermo F. Cosentino Milano Mondadori 1976

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Giuseppe Dossetti sottopose alla prima Sottocomissione, quale risultato della discussione generale precedentemente svolta in ordine ai “diritti inviolabili” e ai “doveri inderogabili”:“La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo;“esclusa quella che si ispiri a una visione soltanto individualistica;“esclusa quella che si ispiri a una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali;“ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia democratica deve soddisfare, è quella che:Riconosca la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni, non solo materiali ma anche spirituali) rispetto allo Stato e alla destinazione di questo a servizio di quella;Riconosca a un tempo la necessaria socialità di tutte le persone , le quali sono destinate a completarsi e a perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie, disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose, ecc.) e quindi, per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, nello Stato;Che per ciò affermi l’esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato”  Da: La Costituzione della Repubblica Italiana a cura di V. Falzone F. Palermo F. Cosentino Milano Mondadori 1976

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Razza e Razzismo:Il razzismo è un fenomeno facilmente riconoscibile, ma molto sfuggente: una definizione restrittiva rischia di ridurlo a manifestazione storica già conclusa e di far perdere di vista la sua presenza nell’oggi, una sua definizione estensiva porta a rendere il termine inservibile sia da un punto di vista descrittivo che concettuale, fondendo in un unico orizzonte fenomeni diversi di rifiuto, emarginazione, o esclusione dell’altro. “Razza” è una categoria di classificazione dei gruppi umani, nata nella prima metà del XIX secolo, basata su caratteristiche ereditarie fisiche comuni, che si riferiscono al patrimonio biologico e genotipico, indipendenti dalla cultura, dalla lingua, dalla nazionalità e dal costume. “Razzismo” è legare stabilmente, senza alcun fondamento scientifico, tali caratteristiche somatiche a qualità morali, intellettuali e sociali diverse a seconda delle razze, in un rapporto gerarchico che istituisce differenze di valore tra i vari gruppi umani: si determina così un passaggio da giudizi di fatto sulla diversità dell’altro a giudizi di valore che fanno dell’altro un nemico. Il razzismo è “un discorso formulato da un gruppo che si rivolge a un gruppo”: l’individuo non è più considerato per se stesso, ma come membro di un gruppo sociale di cui si ritiene a priori che possieda necessariamente i caratteri. In senso proprio il razzismo trasforma l’altro, lo straniero, il diverso in un nemico, in un essere inferiore, degno di disprezzo o di odio, non per quello che fa o ha fatto, ma per quello che è, per la sua nascita, per la sua struttura somatica o comunque la sua appartenenza ad un gruppo “inferiore”. Diverso è l’atteggiamento della xenofobia, che non postula l’inferiorità dell’altro, ma la sua pericolosità per gli interessi del gruppo di appartenenza; cosi è possibile essere xenofobi senza essere razzisti, anche se l’atteggiamento xenofobo sfiora costantemente quello razzista e lo interseca. L’ideologia razzista nella sua determinazione storica è nata dalla fusione di temi e concetti della biologia, dell’estetica, della teoria evoluzionistica, dell’etica e si fonda essenzialmente su tre postulati indisgiungibili: la naturale disuguaglianza degli uomini, il legame deterministico tra sangue e spirito e la necessità di mantenere inalterata la purezza razziale.

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Il razzismo oggi Anche se il razzismo “storico” biologista e scientista dopo la Shoah non può più essere considerato un’opinione tra altre, anche se apertamente solo gruppi marginali e sconfitti continuano a usarne il linguaggio, tuttavia all’interno dei processi della globalizzazione, con la loro carica estraniante e spaesante, si assiste ad una nuova vita del razzismo, specificamente nella sua forma differenzialista (Taguieff.Il razzismo dell’epoca della decolonizzazione compiuta e dei movimenti migratori si presenta con un nuovo linguaggio attraverso le nozioni di etnia e di cultura, tendenti non ad annullare ed omologare le differenze, ma anzi a potenziarle, radicalizzarle e naturalizzarle. Per giustificare l’ostilità e il rifiuto degli altri, per reclamare o legittimare la discriminazione, la segregazione e l’esclusione, per tradurre l’hospes in hostis, l’accento viene posto sulle differenze culturali o “etniche”, che, tuttavia, sono concepite come dati quasi naturali. Il progetto neorazzista differenzialista non vuole eliminare la diversità, ma valorizzarla, esaltando l’identità etnica, religiosa, nazionale contro la forza omologante e livellatrice della mondializzazione economica. Così le teorie comunitariste rivendicano la differenza essenziale fra entità collettive, evocando lo spettro del razzismo. La cultura può anch’essa funzionare come natura per rinchiudere a priori individui e gruppi in una genealogia di un’origine immutabile e intangibile. Come il razzismo “storico” il neorazzismo ha fobia del meticciato e della mescolanza, nella pretesa di conservare e preservare un’identità culturale o religiosa supposta come immutabile, propria, originale.

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Razzismo oggiPossiamo parlare di “funzione specchio” (Remotti) del fenomeno migratorio: i migranti, nella richiesta di identità che nasce nello spaesamento della società globale, ci offrono l’occasione del riconoscimento, sono il dono dell’hospes, ma, al tempo stesso, sono gli altri sempre incompleti, sempre “fuori luogo”, presenze inquietanti. Sono cittadini ombra nel paese d’origine e persone prive di cittadinanza nel paese di arrivo sono “non persone”, bersaglio privilegiato delle paure e delle proiezioni dei “cittadini”.Il riconoscimento negato prima che nelle relazioni interpersonali è un dato istituzionale, legato alle stesse leggi dell’accoglienza.A questo proposito Balibar parla di “razzismo di classe” nei confronti dei migranti, simile alla ostilità delle classi possidenti nei confronti degli operai alle origini dell’industrialismo. Comportamenti razzisti nascono proprio dal declassamento dei ceti medi e dalla precarietà delle condizioni sociali attuali: gli stranieri sono tanto più stranieri quanto più sono poveri.Nelle linee essenziali si ripresentano oggi in forma diversa caratteristiche analoghe a quelle che hanno fatto da sfondo alle grandi tragedie del Novecento dell’odio razzista: i messaggi dei media, eterogenei e decontestualizzati, parlano di grandi numeri di vittime, col risultato di anestetizzare la sensibilità e di volgarizzare la percezione di ascoltatori e spettatori, i processi di trasformazione in atto sono ben più tumultuosi e rapidi di quelli dell’epoca del razzismo “storico”, incertezza e precarietà costituiscono il tono del nostro quotidiano, paura di una tecnica planetaria oramai incontrollabile e senso di colpa per uno sviluppo iniquo i cui effetti devastanti sul clima, l’ambiente la vita sono oramai davanti ai nostri occhi , se li vogliamo vedere. In questa situazione stanno i germi del nuovo razzismo. “O l’affrontiamo con una rivoluzione culturale profonda, radicale. In qualche modo con un ”nuovo inizio”. Oppure, temo, non basteranno tutti i nostri buoni sentimenti per arrestare il contagio razzista” P. A. Taguieff Il Razzismo Raffaello Cortina Editore Milano 1999M.Revelli Le due destre p. 154

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Diritti e DoveriNella Costituzione italiana è stata compiuta la scelta di fondo, in termini di valore, a favore dell’individuo. Stessa scelta è stata fatta dalla “Dichiarazione universale dei diritti” delle Nazioni Unite del 1948. L’art.1della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli un verso gli altri in spirito di fratellanza”.La Costituzione ha esplicitato la scelta di fondo nell’ art. 2:“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…” Infatti in esso si afferma la preesistenza di “diritti inviolabili dell’uomo”, che l’ordinamento giuridico riconosce e garantisce, e subito si precisa che tali diritti non valgono soltanto per l’individuo singolarmente considerato, ma anche per l’individuo inserito nei contesti sociali della sua esistenza concreta, come la scuola, nei quali si forma, sviluppa e manifesta la personalità.L’art. 2 non si limita all’affermazione dei diritti inviolabili della persona, ma nella seconda parte richiede all’uomo-cittadino «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Ciò significa che, se è vero che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili di ogni individuo, è altrettanto vero che il singolo cittadino non può approfittare di tale riconoscimento chiudendosi egoisticamente in se stesso. In quanto membro di una comunità, ogni individuo deve adempiere con spirito di solidarietà ai doveri che nascono dal rapporto con gli altri cittadini, membri della comunità. Pertanto ognuno afferma e sviluppa la propria autonomia, a condizione che questa sia coordinata attivamente, anche mediante sacrifici, con l’autonomia e la libertà di tutti gli altri.

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Diritti e doveri

Nell’art. 2 è impostata, contestualmente al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, la prospettiva dello Stato sociale. La libertà, intesa nel senso giuridico appare formale e insufficiente, necessita di correzioni e integrazioni. Essa per essere valida ed effettiva dovrebbe postulare l’uguaglianza nelle condizioni di partenza con cui ogni individuo entra nella vita: una vera utopia nella realtà poiché le condizioni di partenza sono molto differenziate. Ecco che emerge nella coscienza sociale il nuovo valore della socialità con la sua esigenza di liberazione dell’individuo da ogni condizione negativa indipendente dalla sua volontà: povertà, invalidità, ignoranza impediscono alla vita di attuarsi nella sua pienezza. Bisogna liberarsi da queste condizioni di privazione. Questa liberazione non può attuarsi senza l’adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” Anche il secondo comma dell’art. 3 andrà tenuto presente per comprendere la prospettiva dello “Stato sociale”, valida anche in riferimento al diritto all’istruzione. Senza l’intervento attivo dello Stato l’uguaglianza proclamata nel primo comma resta puramente giuridica, dunque, formale non sostanziale e lascia inalterata la diseguaglianza di fatto, che rende impossibile ad alcuni cittadini l’esercizio dei diritti, compreso quello all’istruzione.

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Capaci e meritevoliPer salvaguardare lo Stato da rilevanti oneri finanziari di difficile concessione, il legislatore costituzionale volle precisare i limiti in cui l’ordinamento favoriva la prosecuzione degli studi oltre la scuola dell’obbligo. Egli stabilì che avrebbero goduto dell’appoggio dello stato i capaci e meritevoli. Per capace, poiché il termine è usato in relazione alla riuscita nel corso degli studi, è da intendersi l’alunno che ha le doti intellettive adeguate al corso di studi intrapreso e che di conseguenza è in grado di portarlo a termine senza difficoltà. Per meritevole si intende invece l’alunno che, fra i capaci, sia in grado di distinguersi per la serietà dell’impegno. L’aggettivo meritevole pone insomma l’accento su di una valutazione della volontà e dell’impegno. Sul piano della pratica, l’alunno capace e meritevole si distingue da quello semplicemente capace e per l’impegno e per i risultati che egli raggiunge nelle prove alle quali l’ordinamento lo sottopone. La legislazione di attuazione ha ritenuto di poter definire capaci e meritevoli gli alunni che raggiungevano, nelle votazioni degli scrutini o negli esami, o in apposite prove scritte determinati punteggi, di un’entità più o meno superiore alla media generale. In questa maniera era possibile scegliere fra i promossi, tutti già implicitamente classificati come capaci, i meritevoli. Complicato è il discorso riguardo alle condizioni richieste per l’erogazione delle beneficenze: la fissazione di una votazione media molto superiore alla media generale equivale alla limitazione delle provvidenze ad un numero assai contenuto di beneficiari; la fissazione invece ad un livello di poco superiore alla media generale comporta un aggravio insostenibile delle finanze dello Stato. Ne consegue che il criterio debba tenere nella debita considerazione anche le situazioni scolastiche contingenti e le esigenze della comunità in rapporto ai fini che essa consegue. La scelta del legislatore è stata finora sempre orientata verso la fissazione di condizioni che davano alle provvidenze una portata ristretta a situazioni di particolare merito e necessità.

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Strategia di LisbonaUn deficit d’investimento nelle risorse umaneIl Consiglio europeo di Lisbona ha invitato gli Stati membri a operare “un sostenibile aumento annuale degli investimenti pro capite in risorse umane”. Nel 2000 l’investimento pubblico nell’istruzione misurato in rapporto al PIL era di 4,9% nell’Unione, vale a dire una cifra comparabile a quella degli Stati Uniti (4,8%) e superiore a quella del Giappone (3,6%). Nel periodo 1995-2000 lo sforzo pubblico si è ridotto nella maggior parte degli Stati membri. Inoltre, l’Unione risente di un sottoinvestimento del settore privato, in particolare nell’istruzione superiore e nella formazione continua. Rispetto all’Unione, lo sforzo privato è cinque volte maggiore negli Stati Uniti (2,2% del PIL contro lo 0,4%) e tre volte più elevato in Giappone (1,2%). Inoltre, la spesa per studenti negli Stati Uniti è superiore a quella della quasi totalità dei paesi dell’Unione per tutti i livelli del sistema d’istruzione. È nell’istruzione superiore che si registra la maggiore differenza: la cifra spesa per studenti dell’istruzione superiore negli Stati Uniti è da due a cinque volte maggiore che nei paesi dell’Unione.– Insufficiente numero di diplomati dell’istruzione superiorePer essere competitiva nell’economia della conoscenza l’Unione ha anche bisogno di un sufficiente numero di diplomati dell’istruzione superiore che dispongano di una preparazione adattata al mercato del lavoro europeo. Il ritardo a livello dell’istruzione secondaria si ripercuote a livello dell’istruzione superiore. Nell’Unione, mediamente 23% degli uomini e 20% delle donne tra i 25 e i 64 anni hanno un diploma d’istruzione superiore. Tale cifra è nettamente inferiore a quella del Giappone (36% degli uomini e 32% delle donne) e degli Stati Uniti (37% per l’insieme della popolazione).

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Strategia di LisbonaL’Unione attira meno talenti dei suoi concorrentiI ministri dell’istruzione dei paesi membri si sono fissati l’obiettivo di fare dell’Unione « la destinazione più apprezzata dagli studenti, dagli universitari e dai ricercatori delle altre regioni del mondo». Questo obiettivo centrale fungerà anche da banco di prova: se l’Unione riesce ad attirare un maggior numero di studenti essa potrà anche meglio evidenziare le sue specificità e i suoi valori e assicurarsi così una maggiore influenza e una maggiore competitività. Se è vero che l’Unione, assieme agli Stati Uniti, è la sola regione del mondo beneficiaria netta in termini di mobilità, la maggior parte degli studenti asiatici e sudamericani preferiscono recarsi negli Stati Uniti. Inoltre, gli studenti europei negli Stati Uniti sono due volte più numerosi degli studenti americani che vengono a studiare in Europa. I primi cercano in generale di ottenere un diploma completo dell’università che li accoglie, spesso a livelli avanzati e in ambiti scientifici e tecnologici. I secondi vengono in Europa in generale per un breve periodo nel quadro degli studi di diploma della loro università d’origine, per lo più ad uno stadio poco avanzato del loro curricolo ed essenzialmente per studiare le scienze umane o sociali.L’Unione « produce » un maggior numero di diplomi e di dottori in scienze e tecnologia degli Stati Uniti o del Giappone (25,7% del totale di diplomati dell’istruzione superiore per l’Unione rispetto a 21,9% e a 17,2% rispettivamente per il Giappone e gli Stati Uniti). Contemporaneamente, la quota dei ricercatori nella popolazione attiva è molto più debole nell’Unione (5,4 ricercatori su 1000 nel 1999) che negli Stati Uniti (8,7) o nel Giappone (9,7) e in particolare nelle imprese private. Il mercato del lavoro europeo è molto più stretto per i ricercatori che lasciano spesso l’Unione per continuare altrove le loro carriere (essenzialmente negli Stati Uniti in cui godono di migliori condizioni di lavoro) o decidono di cambiare professione26.