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LA SCUOLA DI EQUITAZIONE DI CAMPAGNADI TOR DI QUINTO (1891-1943)

Marco [email protected]

1. Introduzione

Pochi lustri dopo l’unità d’Italia, la Scuola di Cavalleria di Pinerolo, sorta nel 1849 macon scaturigni risalenti al 1823, iniziò a sciogliersi dai vincoli del puro lavoro di maneggio,sperimentando l’equitazione di campagna. Promotore di questo orientamento fu GiulioCesare Paderni, ex ufficiale austriaco a Vienna dove ne aveva appreso i principi1. Tuttavia,il Paderni, troppo ancorato alla vecchia scuola che l’aveva formato, non intravidemiglioramenti tecnici utili al cross-country riding. Tale merito spettò al più anticonformistadei suoi allievi, Federico Caprilli, ideatore del “sistema naturale di equitazione”. Caprillifu, così, uno dei primi istruttori inviati al «Corso complementare di equitazione dicampagna» istituito a Tor di Quinto, nei pressi di Roma, all’abbrivio degli anni Novantadel XIX secolo; un corso di un paio di mesi voluto dalle superiori gerarchie per fornire unupgrade agli elementi più promettenti che si diplomavano a Pinerolo. Nell’arco di unaquindicina d’anni, dall’autunno del 1891 al 1906/1908 – allorché furono distribuite invisione nei teatri due distinte pellicole sulle esercitazioni dei cavalieri di Tor di Quinto ePinerolo2 –, la fama della scuola di equitazione espressa dalle suddette località assurse arilevanza internazionale, quasi pari alle accademie di Saumur, Vienna e Hannover.Incernierata sui metodi del Caprilli, essa funse da battistrada a una concezione più sportivadell’addestramento all’arte della cavalleria. Corollario a una tale teoria e pratica, fu la messedi vittorie riportate dai cavalieri italiani nei concorsi di equitazione a premi in tutta Europa,

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1 Il 26 dicembre 1885, in una nota mandata al Ministro della Guerra all’indomani di un saggio di esami in cuigli allievi avevano montato sei cavalli diversi in rapida successione ed erano risultati tutti idonei, si definivail metodo del Paderni «veramente pratico e razionale». Paderni acquisì nel 1889 il titolo di «Maestro Capod’Equitazione»; cfr. Archivio Centrale dello Stato (Acs), Ministero della Guerra, Segretariato Generale -Divisione Giustizia Scuole militari (1885-1894), busta 43, fasc. “Corso Magistrale Superiore di equitazione”,fasc. “Maestri Istruttori ed aspiranti istruttori di equitazione”.

2 Nel maggio del 1906 uscì, per la produzione della Ambrosio e C., girato da Giovanni Vitrotti, il film Tor diQuinto (La scuola di cavalleria), di 98 metri. Due anni dopo, sempre per la Ambrosio ma con operatore GiorgioOmegna e la distribuzione in Francia e Germania della Raleigh et Robert e della Warwick Continental Trading,apparve la pellicola I Centauri: esercitazioni dei cavalleggeri di Pinerolo. Quest’ultima, molto più lunga e coninclusioni di scene dal film di Vitrotti ed il titolo Tor di Quinto. Die Centauren der Gegenwart!, fa oggi partedella Collezione Sagarminaga, libro-dvd che raccoglie filmati dal 1897 al 1906; cfr. (a cura di Bernardini A.)Cinema muto italiano. I film dal vero 1895-1915, Cineteca del Friuli 2002;. Blot-Wellens C., La colección Sagarminaga(1897-1906). Érase una vez el cinematógrafo en Bilbao, “Filmoteca Espanola”, 2011, n. 14, pp. 123-124.

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in specie nelle stagioni precedenti la Grande Guerra, quando ancora gli avversari nonavevano assimilato il rivoluzionario stile.

In era fascista, la Scuola di applicazione di equitazione di campagna di Tor di Quintocontinuò a concedere il suo, per così dire, dottorato equestre, supporto per ulteriori atoutin campo agonistico. Ma l’evoluzione tecnologica partita a ridosso della prima guerramondiale, coll’ingresso prepotente dell’aviazione e dei veicoli terresti alimentati a motore(biplani, motociclette, autoblindo, semoventi di artiglieria e carri armati), determinò unaminore valenza dei reggimenti di cavalleria, che già negli anni Venti del Novecentodiminuirono di numero per adattarsi poi, nel decennio successivo, alle mutate esigenze.Così, allorchè nel 1936 Benito Mussolini visitò la Scuola per illustrarne le qualità al suoospite del giorno, il ministro della difesa tedesco Werner von Blomberg, fu una sarabandadi autoblindo, bersaglieri in moto Gilera e cavalieri quel che gli piacque di mostrare.Pinerolo e Tor di Quinto, le due scuole di perfezionamento famose nel mondo, chiuserol’attività nel 1943 e non riaprirono nel dopoguerra, considerate oramai inutili. Non dimeno, la legacy di valori morali e tecnico-sportivi che avevano generato rimase alla basedelle vittorie dei nostri cavalieri negli anni Cinquanta e Sessanta.

Il presente saggio intende tracciare le coordinate all’interno delle quali si mosse ilmovimento collegato a Tor di Quinto, individuando i meccanismi che condussero allasua nascita, sviluppo e declino, nonché le specificità dei raggiungimenti conseguiti.

2. L’apertura dell’Ippodromo di Tor di Quinto e una gara finita veramente male

Al volgere degli anni Ottanta dell’Ottocento, una polemica attraversò il mondo dellacavalleria, riverberando dalle aule municipali agli ippodromi, dai circoli militari ai luoghideputati all’horse riding: gli alleati tedeschi denunciavano, senza mezzi termini, che lacavalleria italiana semplicemente non esisteva, preoccupandosi loro per un tale disdicevolestato delle cose. I nostri ufficiali responsabili dei 24 reggimenti (calcolabili in 14.400 icavalieri ben montati, dei quali circa 4.000 tra cavalleria e artiglieria) ribattevano che lo sidoveva alla poca qualità delle razze indigene, con la razza Friuli, la migliore, piccola distazza, e quella Romana, assai antica e incrociata con i vigorosi mecklemburghesi, in viad’innalzamento, mentre il restante era costituito da razze sarde e siciliane. Il Governos’impegnava in notevoli sforzi per acquistare all’estero, in Ungheria o in Irlanda, migliaiadi equini nelle cosiddette “rimonte” (nel 1904 si sarebbe arrivati a 40.000 capi, costati 35milioni di lire), certo che il parco dei quadrupedi da sella, calcolato in 750.000 cavalli cui siaggiungevano 250.000 muli, sarebbe dovuto bastare in caso di conflitto bellico con i cuginitransalpini. Ma una pecca stava nel fatto che, con testarda miopia, si privilegiava la comperada allevatori esteri di stalloni produttori di “puro sangue”, emarginando i cavalli italiani equindi mancando di produrre il “mezzo sangue” che era poi, a detta dei più, il vero“cavallo-soldato”: le somme governative andavano ad incoraggiare il cavallo riproduttoree non il cavallo prodotto. Le critiche includevano la Scuola di Pinerolo, dove il quadropermanente era stato appena fissato in 28 ufficiali. Due maestri civili dirigevano il corso

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magistrale di equitazione per sottoufficiali (due anni), il corso superiore per gli ufficiali dinove mesi, e il corso di scherma e ginnastica. C’erano, inoltre, il corso biennale per aspirantiistruttori, il corso per gli ufficiali provenienti dagli allievi delle scuole militari, il corsoannuale di mascalcia e quello che formava i sottotenenti veterinari3. Scriveva l’articolistaJean-Jules Richard sul foglio parigino “Le Figaro” nel gennaio del 1889:

Il programma adottato a Pinerolo pare sia quello di far presto, con un piccolopersonale di ufficiali insegnanti. I sottotenenti ed i tenenti non vi rimangono alungo; gli uni e gli altri dopo un anno devono rientrare ai loro reggimenti. Tutto èben inteso a Pinerolo: il grande maneggio è superbo; il cavalcatoio è posto in unparco de’ più pittoreschi. [...] Ho inteso dire dai nostri ufficiali, e credo di ricordarmidi aver letto anche recentemente nella nostra eccellente Revue de Cavalerie, cheil modo di montare a cavallo degli ufficiali italiani è difettoso, perchè l’insegnamentodi Pinerolo è sbagliato. Io ho già visto non poche cavallerie straniere, ed ho rimarcato,senza essere un valente cavallerizzo, quanto le maniere di montare, di tenere le mani,le gambe, differiscono a seconda delle latitudini, delle razze umane e cavalline; ed iocredo che in materia di equitazione sia come in materia di religione: bisognarispettare quella degli altri e credere migliore la propria4.

Nel bel mezzo della querelle, il Ministro della Guerra, Ettore Bertolè Viale, pensòbene di saggiare il valore dei cavalieri istituendo le «Corse Military», inizialmenteassegnate agli ippodromi di Roma, Firenze, Palermo e Milano, quindi allargate ad altrecittà. In sostanza, si trattava di gare alle quali si iscrivevano eclusivamente ufficiali dicarriera, ricompensati con medaglie d’oro e «oggetti di utilità militare»5. Nulla ha maifine, e se ripercorriamo a ritroso tutti i nessi causali sembra impossibile trovare unprincipio. Tuttavia, quel provvedimento inclinò in avanti la prima tessera del domino,lungo una linea che avrebbe portato l’equitazione italiana a primeggiare in Europa.

C’era un mondo attiguo a quello dei cavallerizzi militari, ed era il mondo, silvestre earistocratico, dei cavallerizzi appassionati della caccia alla volpe o al daino. Per esempio aMilano, e soprattutto a Roma. Al quarto meet del 1889, guidato dal master duca GiulioGrazioli-Lante della Rovere nella zona della tomba di Cecilia Metella sull’Appia Antica, sinotò il perdurare dell’assenza degli ufficiali dello Stato Maggiore e dei reggimenti dicavalleria e artiglieria di stanza nella capitale, così che uno dei partecipanti poté commentare:«La caccia a cavallo è certamente più utile delle corse “military”. Che cercare di meglio perl’equitazione pratica?»6. Parole assennate di uno sportsman esperto che sapeva il fatto suo. Mail giornale “Lo Sport Illustrato”, edito a Milano a vantaggio d’una clientela ricca e poliglotta,

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3 Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (Aussme), Scuola di applicazione di Cavalleria.Memorie Storiche 1869-1897, vol. 0265, aa. 1888, 1889.

4 I cavalli dell’Armata Italiana, “Lo Sport Illustrato”, 24 gennaio 1889. 5 Le Corse Military, “Lo Sport Illustrato”, 25 aprile 1889. 6 Jockey, Caccia alla volpe, “Lo Sport Illustrato”, 28 novembre 1889.

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non era tra le letture abituali dei generali sabaudi. Sfuggiva loro il nesso tra sport di matricecivile e attività equestre militare, quest’ultima sganciata non solo dai principi commercialiche animavano l’ippica, ma anche dalle novità tecniche che l’universo delle corse e dellecacce, influenzato dalla cultura anglosassone, produceva in maniera incessante. Se, nel 1890,si fosse paragonato un cavaliere istruito a Pinerolo a un jockey o a un gentleman rider più omeno di favella shakespeariana/belliana, sarebbe stato un po’ come far correre uno a fiancoall’altro Achille e la tartaruga. E senza l’ausilio dei paradossi di Zenone.

L’entourage sportivo romano disponeva di un turf a Villa Ada e, dal 1881, del magnificoIppodromo alle Capannelle sull’Appia Nuova, non lungi dai ruderi dell’Acquedotto Claudio.Alle Capannelle, nella settimana di Pasqua, si correva il “Derby Reale”, e fino al maggio del1888 rimase l’unico impianto ippico a carattere permanente (non in legno) esistente in Italia;primato che fu suo fino a quando non sorse l’Ippodromo di San Siro. Le peculiarità tecnichedella pista alle Capannelle si equiparavano a quelle del turf milanese; epperò, sussisteval’impiccio della distanza dal centro abitato, ben dieci chilometri da piazza Colonna,percorribili da vetture a trazione animale lungo strade disagevoli e senza stazioni del tram odella ferrovia nelle vicinanze. San Siro, al contrario, stava all’interno della città. E allora ilgrido da Roma fu unanime: la capitale doveva avere un campo ippico fruibile con facilità!S’incaricò della questione la Società di Corse del Lazio, nata nel 1884 e il cui consiglio diamministrazione contava su alcuni esponenti della Società Romana della Caccia alla Volpe(1842) e della Società delle Corse in Roma (1877), proprietaria delle Capannelle. Essa avevacome scopo incoraggiare la produzione ippica nazionale e, mediante l’allestimento di corsesui suoi terreni nella zona denominata Prati di Tor di Quinto, facilitare la vendita dei cavalliitaliani ed esteri. Il consiglio di aministrazione era composto dal principe Don GiovanniBorghese, dal marchese Luciano Del Gallo di Roccagiovine, dal cavalier Cesare Bertone –imprenditore lombardo che di lì a poco avrebbe costruito al Salario un velodromo per le garedei velocipedi – e dal barone Michele Angelo Lazzaroni. Quest’ultimo, appartenente a unafamiglia di finanzieri torinesi bene introdotti a Casa Reale, possedeva tenute da valorizzarea Tor di Quinto e non si fece scappare l’occasione: sul finire del 1887, cedette una primatranche di terreni per farvi sorgere il nuovo ippodromo. Nel 1890, il rampantissimo baronepiazzò la seconda e più cospicua tranche nell’ambito d’un altro ambizioso progetto: un campopolisportivo con pista ciclabile e il Poligono Umberto I, sotto gli suspici della Società del Tiroa Segno Nazionale (nata nel 1883, quasi tremila i soci) di cui era presidente. In tal guisa, ilsenso degli affari si coniugava, nell’ottica dell’arrembaggio sabaudo all’ex sonnacchiosa Romapapalina, con le necessità sportive e i patriottici piani per un esercito di leva adeguato7.

La Società di Corse del Lazio prospettò l’inaugurazione dell’Ippodromo di Tor di Quintoentro la stagione 1888-89. Dichiarò che avrebbe bandito gare nelle domeniche di ogni mese,rendendo così un servizio agli ippofili. I tempi furono rispettati, l’impianto aprì al pubblico

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7 Il barone Michele Lazzaroni, singolare figura di gentleman rider e mercante d’arte con le mani in pasta insvariati e loschi affari, a partire dal 1893 sarebbe poi sparito dalle scene, coinvolto nello scandalo della BancaRomana; cfr. Martucci P., Le piaghe d’Italia: i lombrosiani e i grandi crimini economici nell’Europa di fine Ottocento,Franco Angeli, Roma 2002, p. 57.

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nella primavera del 18898. Esso era ubicato lungo la via Flaminia, nuova direttrice dello sportcapitolino. Da Porta del Popolo, i romani percorrevano la passeggiata fino a Ponte Milvio,limite daziario, e di lì proseguivano per viale del Lazio, ideato per funzionare da bretellacon l’area a vocazione militare e sportiva che andava profilandosi oltre la vecchia Piazzad’Armi, tra il Campo della Farnesina e i Prati di Tor di Quinto, più o meno alla confluenzadel Tevere coll’Aniene. Il rettilineo di un chilometro e mezzo di viale del Lazio, in brecciolinobianco e alberato, immetteva ai prati antistanti l’ippodromo e al vicino campo del tiro albersaglio, prossimo a trasformarsi nel monumentale impianto nazionale del tiro a segno. Almodico costo di una lira e cinquanta centesimi, il biglietto del tramway, il cittadino si potevapermettere il lusso di sparare col fucile da guerra e la pistola, oppure assistere alle corse,accedendo al recinto dei prati o alle tribune. Nonostante i disservizi in cui incappò l’aziendache gestiva la linea tramviaria, le corse dei cavalli a Tor di Quinto divennero, nel giro dipoche stagioni, l’evento sportivo clou delle festività religiose. Capace di attrarre non solol’élite aristocratica e l’alta borghesia, cui erano riservati i posti in tribuna centrale, ma anchele classi medie e il popolo minuto, con la sua curiosità e i suoi commerci di vendita di generialimentari al dettaglio. Lo sport funzionava – parimenti a quel che accadeva in altre nazionioccidentali – da agente di positiva competizione tra nobiltà e borghesia all’internodell’adolescente civiltà industriale. Catalizzatore di spinte commerciali e turistiche, fattored’ingentilimento dei costumi e innesco di processi di democratizzazione in una comunitàurbana sempre più omologata nella gestione del loisir9.

Un altro intendimento degli amministratori del nuovo ippodromo era quello di ospitarele corse military, necessarie per strappare gli ufficiali effettivi dalla riserva che s’erano impostie che veniva deplorata nell’ambiente ippofilo. Se non ché, già alle prove svolte nel maggiodel 1890 (quattro premi con 77 iscrizioni e 66 cavalli), ci si avvide che la differenza di qualitàtra le corse riservate agli ufficiali e le altre con protagonisti i civili in frack rosso era grande:uno iato che induceva al sorriso i funzionari dei corpi diplomatici e militari stranieri, igentiluomini cacciatori e le loro consorti amazzoni, nonché la composita fauna che sosteneval’ippica professionale. L’apice negativo lo si toccò durante le corse di primavera del 1891,allorché mezza Roma accorse alla kermesse. Alcuni giorni dopo lo spettacolo del “GranPremio”, assai gradito nelle innumerevoli baracche improvvisate nei prati dove la romuleagens beveva e mangiava in allegria, sulla stampa campeggiò la notizia dei ruzzoloni capitati

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8 Morgana, Lo sport a Roma, “Lo Sport Illustrato”, 7 gennaio 1888 e 13 dicembre 1888; Società Romana della Cacciaalla Volpe, Concorso ippico 28 marzo 1889 a Tor di Quinto. Programma-Regolamento, Tip. Cecchini, Roma 1889.

9 L’Ippodromo aveva una pista di 2.400 metri di lunghezza e 50 di larghezza. I due rettifili misuravano 650metri e le curve un raggio di 175. Comprendeva una pista per le corse piane, una per quelle a ostacoli e unadi esercizio. Le tribune, in mattoni e ferro, si suddividevano in quattro palchi, destinati alla corte reale, ai socie agli invitati, e le altre due a pagamento. Al pian terreno, si dipartivano sale riservate alla direzione, allastampa e alle signore. In seguito, furono costruiti due chalet a uso ristorante e le tettoie per proteggere dalsole estivo e dalle intemperie chi sedeva nelle tribune. Il popolo, invece, se ne stava nei prati recintati, a godersilo spettacolo del “gran mondo”. Il pesage, ubicato in un elegante giardino, era anch’esso al coperto, provvistodi due scuderie ai fianchi con quaranta box ai quali, nei piani superiori, corrispondevano altrettante camereper alloggi e sellerie; cfr. Morgana, Lo sport a Roma, “Lo Sport Illustrato”, 13 dicembre 1888.

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ai cavalieri dell’arma. La giornata funesta cadde la domenica del 10 maggio10. Cinque premi,72 iscrizioni e 54 cavalli impegnati, con la novità del totalizzatore, che sostituiva il vecchiosistema delle scommesse “a libro”. Al cospetto del re Umberto I e d’un parterre debordantedi generali, avvenne la mezza ecatombe sotto la pioggia fastidiosa. In ciascuna delle corsemilitary, almeno un terzo o addirittura la metà dei concorrenti non tagliarono il traguardo.Cattive partenze, andature scelleratamente veloci, e l’obbrobrio di vedere ufficiali chestringevano troppo il morso e montavano senza frusta, percuotendo con le mani guantate ilcavallo al collo o alla testa, coll’effetto di stordirlo. Diversi quadrupedi stramazzarono per lafatica dopo tremila metri di siepi, gabbie e muretti di macerie, fossi e staccionate, ostacoliaffrontati magari per la seconda volta in uno stretto giro d’ore. Gli attachés esteri malignaronoche la cavalleria italiana faceva ridere: che altro ci si aspettava da Pinerolo se non la panache?11.La sensazione di sconcerto nell’opinione pubblica fu enorme. I fogli “Il Popolo Romano” e“Il Fanfulla” – dove scriveva il marchese di Roccagiovine alias “Eques” – giudicarono chel’unico modo per ovviare al difetto fosse quello di trasportare immediatamente la scuola dicavalleria da Pinerolo a Roma. Perchè era assurdo ostinarsi a tenere una magistrale diequitazione ai piedi delle Alpi, in una regione dove non si rinvenivano cinquecento metri dicampagna aperta per lanciare al galoppo un cavallo. E citarono le frasi di scherno che avevaproferito un deputato al Parlamento: «Cosa pensereste di un ministro della Marina che invecedi esercitare la sua scuola navale al mare le imponesse di esercitarsi sul lago di Como?Pretendere di formare valenti cavalieri obbligandoli, nel primo periodo di equitazione che èil più utile, a fare esercizi in un maneggio o nel letto di un fiume, equivale alla pretesa diformare dei valenti marinai insegnando loro a nuotare dentro una bagnarola»12.

Il disastro era stato in parte profetizzato, giacché il capitano Giuseppe Forte, delReggimento Aosta, addetto all’Accademia Militare di Torino, aveva pubblicato unallarmato articolo per una tendenza perniciosa da lui riscontrata: diversi ufficiali, piuttostoche allenare i cavalli di servizio e correre con essi, avevano acquistato nevrili purosanguespecializzati in steeple chase, assoldando trainer e fantini, così che le military s’erano prestocircoscritte a un’élite di individui che, tramite prolungate licenze, giravano la Penisola allaricerca di gloria, mentre i loro colleghi rimanevano in guarnigione ad assolvere il gravososervizio. Il risultato delle gare del 10 maggio aveva evidentemente soddisfatto la fede nelcastigo che ogni uomo nutre in segreto13. Naturalmente, vi era chi difendeva la scelta dei

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10 La direzione delle corse fu affidata al maggiore generale Fabio Longhi, coadiuvato dal colonnello brigadiereMassimiliano Cesati di Vigadore. Tra i cinque direttori incaricati vi era il tenente colonnello Luigi Berta. Ilcapitano della Milizia Territoriale, marchese Luciano di Roccagiovine, era uno dei nove commissari, tra cuifiguravano i principi Giovanni Battista Borghese, anch’egli sottotenente d’artiglieria alla Territoriale, e ProsperoColonna di Sonnino, capitano di complemento di cavalleria. Uno dei giudici era il tenente di cavalleriaAgostino Chigi, principe di Farnese. In qualità di Ispettore del terreno agì il barone Lazzaroni, sottotenentedella Territoriale. Come regolamento di gara si adottò quello del Jockey Club Italiano per le corse in piano adostacoli. Le iscrizioni dovevano essere indirizzate al signor Pio Cartocci, segretario della Società di Corse delLazio, nella sede in via dei Lucchesi; cfr. Corse militari a Roma, “Lo Sport Illustrato”, 5 marzo 1891.

11 Riunione militare a Tor di Quinto, “Lo Sport Illustrato”, 14 maggio 1891.12 Ego, Echi della riunione militare, “Lo Sport Illustrato”, 28 maggio 1891.13 Forte G., Corse Militari e cavalli di puro sangue, in “Rivista Militare Italiana”, a. XXXV (1890), n. 12, pp. 15-17.

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purosangue nei reggimenti. Il maggiore Rodolfo Pugi, uno dei vincitori con la sua cavallaLucilla, commissario alle corse per il Jockey Club, sulla “Rivista Militare Italiana” del marzo1891 sottolineò la superiorità del purosangue sia per resistenza sia per velocità, le due virtùcardinali, a suo dire, del moderno cavallo d’arme14.

3. Venti novembre 1891: nasce a Roma il corso dei cavalieri provetti. E arriva Caprilli

La discussione che decise le sorti della nostra cavalleria ebbe luogo alla Camera deiDeputati il 13 giugno del 1891. Attori l’on. Corrado Tommasi Crudeli, un aretino docenteuniversitario in medicina, medaglia d’argento al valor militare e grande esperto diequitazione, e il generale Luigi Pelloux, dal 6 febbraio nominato ministro della Guerra. Ilprimo disse che, nel caso di uno scontro in campo aperto con la cavalleria austriaca, il risultatonon sarebbe stato identico al 1863. Questo perchè i nostri ufficiali, i peggio pagati in Europae costretti ad invecchiare nei gradi bassi, mostravano una grossa lacuna nell’equitazione dicampagna e mormoravano, convinti, che Pinerolo non formava al pari delle accademiestraniere; albergava in loro un sentimento d’inferiorità suffragato dal confronto con i cavaliericivili nelle gare ad ostacoli, le pericolosissime steeple chase. Pelloux, savoiardo decorato aCustoza nel 1866, uomo della sinistra parlamentare, ribatté che in una recente sessione dicorse al Campo di Marte di Torino, con 41 cavalli e 35 cavalieri militari all’ingaggio, nons’erano registrate cadute, per cui i sistemi adottati a Pinerolo non avevano difetto. Nel 1887c’era stata sì la possibilità di trasferire a Caserta la Scuola, sostituendola con due reggimentidi artiglieria, ma al momento la cosa non era più proponibile per il costo richiesto: due milionidi lire. L’unica strada era quella di prolungare il corso magistrale superiore di Pineroloaggiungendovi un periodo d’istruzione extra nel senso voluto da Tommasi Crudeli15.

L’idea di Pelloux del «corso complementare» piacque al re: era un ragionevolecompromesso tra falchi e colombe, restava solo da stabilire la località. In un primomomento, si parlò di Pisa e di Firenze (la Cavallerizza di fronte alla Fortezza da Basso), diPalestrina e di Albano Laziale, coi suoi Campi di Annibale. Ma poi intervenne un accordotra il marchese di Roccagiovine e il barone Lazzaroni a sciogliere i dubbi di Pelloux. Lucianodi Roccagiovine, nobile quirite che vantava una discendenza da Napoleone I, diede inconcessione al Governo cinquanta ettari di terreno nell’Agro Romano, sui quali impiantarela scuola16. Lazzaroni, dal canto suo, vendette al Ministero della Guerra una tenuta

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14 Articolo ripreso in: Ego, Echi della riunione militare, cit. Molti altri esperti s’inserirono nella discussione sullostato difettoso della cavalleria italiana; ad esempio, il conte Ernesto Balbo Bertone di Sambuy, uno deifondatori nel 1890 della Società Torinese per la Caccia a Cavallo.

15 La scuola normale di cavalleria a Pinerolo, “Lo Sport Illustrato”, 18 giugno 1891.16 Il marchese, quindi, non donò i suoi terreni, come fino ad oggi è stato riportato in vari libri, bensì li diede in

concessione, e solo in seguito i cinquanta ettari sarebbero passati di proprietà del Ministero della Guerra.Ciò risulta da una lettera, datata 21 marzo 1986, spedita dall’avvocato Edy Lucrezia Pollio al generale MarioArgenton, del Ministero della Difesa, in risposta alla richiesta di questi di ottenere documenti utili al ripristinodelle corse a Tor di Quinto. Ipotizziamo che il Ministero ottenne la proprietà nel 1900, quando invalse suigiornali la dizione Ippodromo Militare di Tor di Quinto; cfr. Acs, Archivi di Famiglie e di persone, PollioVincenzo, busta 14, fasc. 55.

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sovrastante a Tor di Quinto, già di proprietà dell’indebitatissimo suo amico il principeBorghese, e dove questi aveva vanamente giocato la carta d’una masseria modello. Lacostruzione, «con pochi lavori di adattamento» (che fecero sorgere una caserma nei pressidella diroccata torre toponimo), poteva servire ad ospitare una «piccola guarnigione» e unascuderia d’una sessantina di cavalli. Roccagiovine, ottimo cavallerizzo egli stesso,conosciuto e stimato dal re, accettò di comandare il corso. I mugugni riguardo alla nominad’un civile alla guida di soldati furono silenziati col riferimento al riuscito esperimento diMasaniello Parise alla Scuola Magistrale Militare di Scherma, aperta a Roma nel 1884 pressoil reggimento di cavalleria della caserma Macao. Al tenente colonnello Emilio Pesenti,comandante in seconda a Pinerolo, fu demandata la direzione del corso, coadiuvato daCarlo Farlatti del Reggimento Lancieri di Montebello. Il capitano Edoardo Coardi diBagnasco di Carpeneto, del Reggimento Alessandria, fu incaricato del lavoro effettivod’istruzione, di concerto al Roccagiovine. Per il corso d’esordio, ancora a caratteresperimentale, dell’autunno-inverno 1891-92, si stabilì d’inviare sedici ufficiali di cavalleriae quattro di artiglieria, quasi tutti con esperienze nelle corse17.

La circolare numero 130, firmata da Pelloux ed emessa il 24 ottobre dalla DirezioneGenerale Fanteria e Cavalleria, fissò al 15 novembre l’inizio del corso, della durata diquattro mesi all’incirca18. Partirono da Pinerolo per Roma venticinque cavalli, ma unincidente ferroviario, occorso nella notte del 13 novembre a Ponte Galeria, provocò lamorte dell’appuntato che accompagnava la spedizione. Perirono sette equini, tra cui ilsaltatore purosangue Balilla assegnato al Pesenti e costato 12.000 lire, e gli altri rimaseroferiti, ritrovati vaganti dai butteri nei giorni successivi. Il colonnello Felice Avogadro diQuinto, comandante in capo della Scuola di Cavalleria, rimpiazzò i caduti e anzi, suordine di Pelloux, nel mese di dicembre portò a cinquantacinque il totale dei quadrupedi:venti Heavyweight Hunters irlandesi e trentacinque mezzosangue saltatori. Pelloux fececominciare ugualmente il corso, che alla sua presenza ebbe l’inaugurazione ufficiale ilvenerdì del 20 novembre 1891. Terminò il 10 marzo 1892 con gli esami agli allievi, e solouno tra loro, il tenente Pietro Lanfranchi, causa malattia non li affrontò19.

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17 Cfr. Il trasporto della scuola di cavalleria da Pinerolo, “Lo Sport Illustrato”, 22 gennaio 1891; Corso complementared’equitazione per ufficiali, “Lo Sport Illustrato”, 22 ottobre 1891. Ecco i nomi dei 19 ufficiali risultati idonei al1° corso di Tor di Quinto: capitani di cavalleria: Giacomo Bianchi Mina, Camillo Borsarelli di Rifreddo,Amilcare Giacometti, Mario Schiffi. Tenenti: Alfredo Paglianti, Oreste Chionetti, Tancredi Brascorens diSavoiroux, Emanuele Naim, Gustavo Rubin de Cervin, Gherardo Averoldi, Alessandro MontecuccoliLaderchi, Alfredo Cannone, Raul San Martino di Valprato, Francesco Mortignoni, Guerino Fattori. Arma diartiglieria: capitano Enrico Brunati, tenenti Paolo Ajroldi di Robbiate, Paolo Spurgazzi, Carlo Ferrario; cfr.Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1869-1897, vol. 0265, aa. 1891, 1892.

18 La circolare precisava: «Gli ufficiali, che saranno chiamati a prendervi parte, condurranno seco loro i propricavalli e gli attendenti. I cavalli di truppa, assegnati di servizio a questi ufficiali, rimarranno presso i rispettivisquadroni. Gli ufficiali del corso avranno diritto, durante la loro permanenza a Roma, al soprassoldo diaccantonamento ed all’indennità di residenza. I punti di merito ottenuti dagli ufficiali nell’esperimento finalesaranno oggetto di nota speciale negli specchi caratteristici»; cfr. “Giornale Militare Ufficiale”, 31 ottobre1891, dispensa 31, parte seconda, p. 303.

19 Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1869-1897, vol. 0265, a. 1891; Lo scontro dei treni aPonte Galera, “Il Messaggero”, 15, 16 e 18 novembre 1891.

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«Cavalli di sangue montati da cavalieri di sangue freddo»20. Questa la formula, uditanei frequenti viaggi in Francia e in Germania, con la quale Luciano di Roccagiovinecompendiava la filosofia corretta da trasmettere ai suoi allievi in divisa; lui che, quandosaliva in sella, aveva la calma confidente d’un cristiano con quattro assi. Destinato «senzaassegni» al servizio, il trentottenne marchese – che Grazia Pierantoni Mancini nel 1884aveva definito, nel suo romanzo d’esordio Il Tevere, «Quel giovane che portava uno storiconome con la fierezza e la semplicità di chi ignora ogni bassa vanagloria» –, in comune colcavalier Paderni, direttore capo dei corsi magistrali di equitazione a Pinerolo, aveva il fattod’essere un civile col grado di capitano della Territoriale (il Paderni dal 9 dicembre 1888era tenente colonnello). Per il resto, la sua visione tecnica era ben distante, privilegiando lamonta sportiva tesa alla velocità. Egli mantenne l’ufficio di istruttore capo delleesercitazioni dal 15 novembre 1891 al 31 marzo 1894, avendo a fianco Coardi e poi ilcapitano Tancredi Brascorens di Savoiroux. Un triennio che vide la costituzione di duegruppi per ogni anno e di un vero e proprio distaccamento, così assemblato: un tenente dicavalleria, un tenente veterinario, un furiere, due sergenti, tre sottoufficiali allievi istruttorid’equitazione col compito di «montare i cavalli dei signori Ufficiali ammalati, esenti ed inlicenza», un caporale e due allievi maniscalchi, un caporal maggiore, due caporali, unappuntato. L’organigramma entrò in vigore nell’autunno del 1892, per un corso che partìil primo novembre, andò avanti per tre mesi e registrò la partecipazione di ventitré ufficialidi cavalleria e tre di artiglieria. Nel 1893, sotto il comando diretto del tenente colonnelloOrazio Lorenzi e del suo aiutante, il maggiore Guido D’Oncien de la Batie, il distaccamentoallocato a Tor di Quinto fu sufficiente per gestire 65 soldati ospitati nelle camerate e 109cavalli per «l’equitazione di campagna e la caccia e per l’esercitazione di corsa». Nel lugliodi quell’anno, il Ministero della Guerra stabilì che Tor di Quinto, pur restando nellaresponsabilità del colonnello Luigi Berta, succeduto nel frattempo all’Avogadro, passassesotto la direzione del Comandante del IX Corpo d’Armata, coadiuvato dall’IspettoreGenerale dell’Arma di Cavalleria, cioè il Longhi. Furono ammessi («comandati») tutti isottotenenti allievi del corso magistrale a Pinerolo, che venne così soppresso, più alcuniufficiali d’artiglieria «dotati di spiccata attitudine e passione al cavalcare». Provvedimentoche comportò la messa in pensione dei maestri d’equitazione di estrazione civile operantiin tutte le scuole e accademie militari del regno, compreso il povero Paderni21.

La durata e le modalità del corso furono fissate per l’anno accademico 1893-94 e glianni a venire: due sessioni, la prima dal 1° o dal 15-16 ottobre al 20 o al 23 dicembre, laseconda dal 7-10 gennaio al 15 o al 31 marzo, e ciascuna sessione si chiudeva con unagiornata campale di esami sostenuti davanti ad una commissione presieduta dall’ispettoredell’arma. Si calcolò che, grazie ad ulteriori lavori di ampliamento, i cavalli in scuderia

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20 Marchese di Roccagiovine, La Cavalleria, “Lo Sport Illustrato”, 9 luglio 1891.21 La disposizione del Ministero della Guerra data al 2 febbraio 1893 ed è contenuta nel bollettino n. 46 del 13

dicembre 1892; cfr. Acs, Ministero della Guerra, Segretariato Generale, Divisione Giustizia Scuole Militari(1885-1894), busta 59, fasc. “Soppressione dei Maestri e degli Istruttori d’Equitazione”. Cesare Paderni vennedispensato dall’impiego e collocato a riposo dal primo gennaio 1893; cfr. Acs, Ministero della Guerra,Segretariato Generale, Divisione Giustizia Scuole Militari (1885-1894), busta 59, fasc. “Paderni Cesare”.

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avrebbero potuto sommare a 150. L’ambiente era esclusivo, sul tipo “circolo degli ufficiali”,motivo per cui da subito, nel novero dei corsisti, si udirono nomi prestigiosi. Ad esempio,nel 1892, risultato idoneo a dicembre, Vittorio Emanuele di Savoia Aosta conte di Torino.L’illustre personaggio non fu alloggiato in camerata, bensì si restaurò apposta per lui unacostruzione medievale vicino al poligono. Molti anni dopo, nel marzo del 1914, gli sarebbetoccato di presiedere agli esami dell’ultima sessione precedente l’entrata in guerra22.

Bisogna dire che l’osmosi tra Pinerolo e Tor di Quinto – quasi una sineddoche delledue anime, torinese e romana, che avevano sostenuto la genesi del Regno d’Italia – fu operaprincipale del generale Berta. Che introdusse gli Hunters e i purosangue, intensificò lapratica dell’equitazione nei reggimenti di cavalleria, realizzò il galoppatoio di Baudenascae ampliò il Campo Ostacoli, così da preparare il terreno all’upgrade in quel di Roma, doveil clima meno rigido garantiva continuità di esercitazione23. Tra l’altro, il fatto che i giovaniufficiali, dopo dieci mesi di dura scuola a Pinerolo, fossero comandati a Tor di Quinto, attesida un corso specialistico di equitazione di campagna, comportò a Pinerolo la diminuzionedelle noiose ore di teoria (ippologia, strategia militare, ecc.) a vantaggio delle uscite neidintorni della caserma, e anche questo fu un portato della direzione illuminata del generaleBerta. E poi dell’azione stravolgente di Federico Caprilli24.

Nell’autunno del 1894, infatti, Caprilli, dalla guarnigione di Torino, ReggimentoPiemonte Reale Cavalleria, venne comandato alle esercitazioni di Tor di Quinto, dove giàfungeva da istruttore il suo amico Savoiroux. Al corso complementare, ma come allievo,vi era stato nel 1892, risultando il migliore e conquistandosi molti estimatori. Caprilliassunse la direzione dei due corsi, dal 1° ottobre al 20 dicembre 1894 e dal 10 gennaio al31 marzo 1895, aiutato nel compito dal Savoiroux. Nel gruppo invernale gli fu allievo iltenente d’artiglieria Pietro Badoglio, mentre al secondo gruppo annuale del 1895,svolgendo le esercitazioni però col Savoiroux, si sarebbe visto il sottotenente di cavalleriaCarlo Giubbilei, futuro biografo di Caprilli. Per il 1895-96, Caprilli fu confermato a Tor diQuinto col Savoiroux25 sotto la supervisione del direttore capo del corso, il comandantein seconda a Pinerolo, tenente colonnello Pugi. La prima sessione partì il 15 ottobre e duròsessantacinque giorni. La seconda, prevista dal 10 gennaio al 16 marzo 1896, non registròla presenza del livornese. Una «spiacevole vertenza avuta con un collega per ragioniprivate e causata da un malinteso» ne provocò l’allontanamento. Il suo posto venne presodal tenente Adolfo Bertolotti. Ma proprio questi, allorché tornò a Pinerolo finito il corso,

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22 Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1869-1897, vol. 0265, aa. 1892,1893, 1894; GiubbileiC., Federico Caprilli. Via e scritti, in “Rivista di Cavalleria”, a. XII (1909), n. 4, pp. 411-413; Il conte di Torino a Tordi Quinto, “Il Messaggero”, 4 novembre 1892; Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche1898-1925, vol. 0266, a. 1914. Il regolamento della Scuola di Tor di Quinto ammetteva le visite di conoscentidegli allievi, ma ciò comportò alcuni episodi criminali; cfr. Furto a Tor di Quinto nella Scuola di Equitazione, “IlMessaggero”, 27 maggio 1913.

23 Morelli di Popolo C. A., La scuola di cavalleria di Pinerolo, L. L. Edizioni Equestri, Milano 1980, pp. 13-16.24 Fè d’Ostiani A., L’equitazione in Italia (1867-1931), Fratelli Bocca, Torino 1932, pp. 10-11.25 Savoiroux, che aveva qualche difficoltà ad adeguarsi al nuovo stile caprilliano, decedette nel 1896 per una

banale caduta da cavallo; cfr. Morelli di Popolo C. A., La scuola di cavalleria di Pinerolo, cit., p. 20.

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si lussò una spalla e fu la volta di Caprilli di sostituirlo per un mese26. È da sottolineare che, a Tor di Quinto, sia in qualità d’istruttore che nei soggiorni a Roma

dedicati alle corse e ai concorsi ippici, Caprilli ampliò il ventaglio delle esperienze acquisitesul campo, profittando della natura del terreno – a mezzo tra il collinare e la prateria, conformazioni tufacee, strette marrane e creste di pini marittimi – e della varietà degli ostacoliproposti dalla campagna romana. Tra l’altro, Caprilli a Tor di Quinto inventò la tecnica dello“scivolone” (così gli ufficiali lo battezzarono) da una particolare discesa argillosa, conpendenza del cinquanta per cento, che rimaneva vicina alla masseria dove stavano i cavalli;un luogo destinato a divenire leggendario col nome di “muro” (i francesi lo chiameranno“la descente Caprilli”), immortalato in disegni e fotografie, attrattiva per gli stranieri in visitaalla città. Nei primi tempi, quell’esercizio spettacolare parve impresa straordinaria, ma poisarebbe stato affrontato con la massima disinvoltura da generazioni di allievi. L’arte deinostri cavalieri di precipitarsi giù da dirupi rimanendo illesi stupì gli inglesi, che provaronoa far credere d’essere stati loro i pionieri della specialissima manovra27.

Sempre in quell’intenso 1895, Caprilli trasse spunto da un comportamento degliardimentosi Hunters per sviluppare l’idea di saltare gli ostacoli tenendo il busto in avantie senza strappare le redini all’indietro28. Nel far questo, durante un’uscita nella zona di Tor

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26 Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1869-1897, vol. 0265, aa. 1895, 1896; Giubbilei C.,Federico Caprilli. Via e scritti, in “Rivista di Cavalleria”, a. XII (1909), n. 6, pp. 644-64; Lami L., Le passioni deldragone, Mursia, Milano 2009, pp. 62-67.

27 De Margherita C., Un giudizio inglese sulla nostra cavalleria, in “Rivista di Cavalleria”, a. VIII (1905), n. 6, pp. 626-630.28 Ricordò in proposito il capitano Giubbilei: «Allora era per fortuna cessata l’abitudine di dar l’aiuto al cavallo col

rovesciare il busto molto indietro, quando esso spiccava il salto, ritraendo in tal modo le mani nell’intenzione disostenerlo, in realtà ottenendo il cattivo risultato di martoriarne la bocca e le reni; si saltava senza aiutare, tenendole mani ferme e basse, il busto dritto, ma più volentieri inclinato indietro, sicchè i pugni spesso involontariamentevenivano ancora verso il corpo e perdurava l’inconveniente di disturbare il cavallo in bocca. Questo metodo siseguiva a Tor di Quinto nel 1895, quando frequentai la scuola di campagna, e ricordo benissimo di aver talvoltaassistito ad un fatto, che denotava senza dubbio disgusto e stanchezza del salto da parte degli ottimi cavalliirlandesi e italiani che ci erano assegnati. Avveniva che ad un certo momento inattesamente, nel fare un percorsodi campagna, dinanzi a una maceria o a una staccionata tutti i cavalli dell’intiera sezione, seguendo l’esempiodi uno che si piantava, rifiutavano ostinatamente di saltare. Sembrava uno sciopero, non era uno scarto, unrifiuto isolato, come ne vediamo raramente ancora adesso, ma una vera protesta generale dei quadrupedi. Dital fatto non comprendevamo il motivo, e per rimediare alle sue conseguenze e ricondurre i cavalli alle abitudinidi affrontare volenterosi l’ostacolo, i nostri istruttori facevano abbattere una filagna o due a qualche staccionatae mettevano i cavalli in circolo portandoli a superare ripetutamente sulla circonferenza gli ostacoli abbassati. Icavalli riprendevano così la buona abitudine di saltare e per qualche tempo il grave inconveniente veniva evitato.Caprilli studiò con attenzione quali potevano essere le cause del fatto, che ho ricordato, e convinto che bisognavaeliminarle si persuase della necessità di mutare il metodo di condurre il cavallo, perchè i rifiuti non poteandipendere che da sofferenze inflittegli dal cavaliere col sistema di montare che si seguiva. Col tempo, osservando,si accertò che in realtà il cavallo era disturbato dalla seduta del cavaliere e dal contemporaneo ritrarre dei pugni,causa di strapponi delle redini che si facean sentire dolorosi sulle barre dei quadrupedi, ove appoggiava il freno,e ciò gli suggerì una modificazione di metodo, e fu quella di tenere il busto inclinato in avanti nel salto, purrimanendo ancora i pugni fermi e bassi ed il cavallo appoggiato. Infatti, terminato il corso di Tor di Quinto allafine di marzo, quando tornò a Pinerolo, dedicò gran parte del suo tempo a studiare con diversi cavalli il modomigliore di montarli superando gli ostacoli»; cfr. Giubbilei C., Federico Caprilli. Vita e scritti, in “Rivista diCavalleria”, a. XII (1909), n. 6, pp. 644-645.

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Crescenza, cadde riportando lacerazioni alle reni che l’avrebbero tormentato per il restodella sua vita. In buona sostanza, rovinandosi anche la salute, Caprilli apprese per se stesso,e mostrò ai suoi allievi, una varietà di azioni, da svolgersi solo in aperta campagna, tantospettacolari quanto poco ortosse. Azioni estranee alla scuola di maneggio e tuttaviaterribilmente efficaci, consone alle più moderne direttive nell’uso tattico della cavalleria inguerra29. Egli capì che, col mutamento di postura del cavaliere, con la leggerezza e libertàdi filetto concesse al cavallo allorché s’inarcava e riabbassava la testa per volare sopral’ostacolo, teso in avanti per effetto della flessione delle articolazioni alte posteriori, unorizzonte nuovo si spalancava. E si può dire che, nelle campagne istoriate di ruderidell’antica caput mundi, si manifestarono i prodromi di quella che sarebbe diventata,nell’arco d’un lustro, la teoria e la prassi della “equitazione naturale”30.

4. Tally-ho!

I meet di caccia alla volpe, indetti dall’omonima società che vantava natali Britishrisalenti all’epoca di Ciceruacchio, costituivano uno degli avvenimenti pubblici piùchiacchierati. Grazie ad essi, l’aristocrazia bianca filosavoiarda – costituita dai più ricchimercanti di campagna e dai più noti signori di Roma, gli habitué a Corso Umberto delCircolo della Caccia, club all’inglese proibitissimo alle donne –, s’incontrava con lavariopinta comunità straniera che risiedeva nell’Urbe o vi soggiornava; in specie la venainglese era forte, con scaturigini romantiche e quindi artistiche, perchè Roma offriva«inspiration in the atmosphere». Le cacce, o run, iniziavano in mattinata da un cascinaleo un attendamento, con i cani e i cavalli colà portati dal Circolo di Tor Fiorenza delprincipe Doria-Pamphilj. Si protraevano fino a sera, chiuse da uno sciamare, allegro edendorfinico, verso la città dei novelli gruppi rimescolati dalle casualità della giornata;spesso c’era un ricevimento con danze. Lo scrittore vittoriano Anthony Trollope definivala capitolina la più inglese delle “Tally-ho!’” al di là della Manica, e tuttavia, se qualcosala differenziava, l’indice lo si poteva puntare sul fattore flirt niente affatto secondario. Ilfox hunting made in Italy si caratterizzava per essere una liturgia mondana cheproduceva matrimoni di ottima rendita. L’elemento militare era assai bramato, sia dallesignore (gli ufficiali più spavaldi scherzavano fra loro che col “meet” si andava alla“rimonta”) sia dagli uomini, cui piaceva l’idea di confrontarsi fair play con i cerimoniosigiovanotti in divisa blu e alamari d’argento.

Fino al 1890, si videro ospiti i corazzieri e pochi ufficiali di cavalleria, in specie nonitaliani o di stanza nelle guarnigioni displocate in città, come il Reggimento Foggia delconte Gustavo Jaracewski. Castro Pretorio ospitava questi ufficiali dei reparti cavalleggeri,che disponevano d’un galoppatoio a Villa Borghese raggiungibile, come si vede in una

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29 Caprilli Federico, in Dizionario Biografico degli Italiani, Enciclopedia Italiana, vol. 19, Roma 1976, pp. 198-200. 30 A detta del generale Mario Badino Rossi, fu fra Tor di Quinto e Nola che Caprilli elaborò il “sistema” come

esperienza personale e dottrina; cfr. Badino Rossi M., Pinerolo. L’arte equestre italiana. La sua fucina. I suoiartefici, Scuola Tipografica dei padri Giuseppini, Pinerolo 1960, p. 80.

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carta topografica del 1889, mercè un vialetto che correva lungo il Muro Torto31. L’aperturadelle gare military spinse diversi ufficiali a comprare dagli allevatori che servivano igentlemen riders esemplari di sangue da utilizzare negli ippodromi e nelle cacce. Infine, laScuola di Tor di Quinto stabilizzò la situazione, formando un nucleo di affezionati alle caccee alle corse. D’altronde, tra i motivi che avevano portato il «complementare» a Roma c’eraquello di migliorare la tecnica degli ufficiali, mettendoli a contatto con i cavalieri in livrearossa o nera che settimanalmente si producevano nel cross-country riding ad andature darompicollo. Subito, già nell’autunno del 1891, i corsisti fecero la loro attesissima apparizioneai meet. Il master Don Giulio Grazioli era alla sua ultima stagione, un periodo di ritrovatofulgore grazie al ricco lotto di cavalli e di terrier che aveva importato dall’Inghilterra. Toccòa lui saggiare che qualcosa stava cambiando, e in positivo, allorché, durante un field offertodal principe Alfonso Doria-Pamphilj Landi, si accorse che un tenentino di parlata ibridatoscana-romana, un diplomato di fresco a Pinerolo, gli teneva testa bravamente32.

Nel periodo appena precedente, le uscite della Società erano state oggetto d’inghirlandatascrittura da parte di Gabriele D’Annunzio, alle sue prime indagini cronachistiche. Il monitoredegli inglesi residenti, “The Roman Herald”, e il giornale “Lo Sport Illustrato” dedicavanoarticoli. Su quest’ultimo foglio, i report furono firmati nel 1889-90 da “Morgana”, misteriosaamazzone di sangue aristocratico che, con beneficio d’inventario, possiamo appuntare dellamedaglia di pioniera del giornalismo sportivo coniugato al femminile; per l’appuntoesemplate dalle cronache ippiche dannunziane apparse su “La Tribuna”. In quei giorni, pure,partecipava ai field l’attrice parigina Sarah Bernhardt33. C’è da dire che, dopo aver vissuto un

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31 Tirincanti G., Il galoppatoio sul tetto del parcheggio, in (Aavv), Strenna dei Romanisti 1973, Roma Amor 1973, pp. 398-405. 32 Lo stesso Don Giulio scrisse nei suoi appunti: «Rammento una stupenda giornata di sport in quella bella campagna,

che, tagliata da grossi ostacoli, si estende dal Ponte Salario in ondeggianti praterie sino a Mentana. Vi era stato inprincipio un galoppo alquanto duro nella direzione di Coazzo, e, verso le ore 14, una volpe, uscita dal fosso dellaCecchina, prendeva subito l’avanzo, mentre i cani le si slanciavano dietro a grande andatura, scivolando sotto unanotevole “trefilagne”. Un giovane ufficiale, dalle fiamme rosse, anziché seguire i suoi colleghi, si riuniva all’huntsmane a me, che già galoppavamo velocemente, per partecipare al nuovo run, tanto promettente, dopo quella bellissimapartenza. Superato così tutti e tre insieme il primo ostacolo, s’iniziava fra noi un vero steeple-chase. Noncuranti seeravamo o no seguiti da altri, guardavamo bene innanzi per saltare il meglio possibile, stante le ineguaglianze delterreno, le staccionate che si succedevano con una frequenza impressionante, tanto che, dopo i primi venti minuti,senza mai prendere fiato i nostri buoni cavalli cominciavano a dare manifesti segni di stanchezza. Avevamoappoggiato prima verso la Bufalotta, poi verso Sant’Alessandro, in seguito alla Macchia della Cesarina e versoMentana, sempre con la volpe in vista. Meravigliato della bravura e tenacia del mio avversario dalle fiamme rosse,lo feci passare avanti per meglio vederlo e, da quel momento, non lo lasciai più, sino a che, giunti ad un’altramacchia vastissima, sfuggito oramai il trofeo a noi ed il premio ai cani, dissi all’huntsman di fermarli. Scendemmodai cavalli che, con le narici gonfie ed i fianchi ansanti, non avevano più voglia di muoversi. Toltomi il cap, stesi lamano al mio compagno dicendogli: “Mi rallegro con lei: dal Marchese di Roccagiovine avrà poco da imparare,perchè lei di certo può insegnare a molti”. Ed egli, salutando militarmente, si presentò: “Tenente Caprilli”. Cosìfeci la conoscenza di quel portentoso cavaliere, del quale non avevo sentito ancora parlare: conoscenza che apprezzaie coltivai sino all’estremo limite della sua troppo breve esistenza». Citato in: Ceriana Mayneri C., Cento anni di caccealla volpe, Edizioni Colombo, Roma 1954, pp. 58-60; sulle esperienze di Caprilli nel fox hunting, vedi: Giubbilei C.,Federico Caprilli. Vita e scritti, in “Rivista di Cavalleria”, a. XII (1909), n. 6, p. 643.

33 Il raduno con protagonista la Bernhardt ebbe luogo il 28 gennaio 1889 a Torre Nuova, cfr. Un nobile sport: lacaccia alla volpe, “La Capitale Sportiva”, 7-8 dicembre 1926.

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empasse a causa dello scandalo finanziario sollevato dal barone Lazzaroni, con tanto di messain liquidazione, il sodalizio ripartì bene col principe Agostino Chigi. A questi succedette ilmarchese di Roccagiovine, che tenne salda la mastership dal 1895 al 1907. Luciano del Gallodi Roccagiovine fu il protagonista assoluto dell’entente cordiale tra gli ufficiali, sovente guidatidal maggiore Fabio Pandolfi, «prediletto a Roma nei circoli e in società», e i gentiluomini delfox hunting. Giovanni Lega, corrispondente de “La Gazzetta dello Sport”, nel 1898 lodichiarava «cavallerizzo senza pari». Gabriele d’Annunzio – fox hunter per via delle suepassioni: cavalli e dame – coltivò con lui un rapporto sia cameratesco sportivo che epistolare.Infine, il marchese passò la mano al conte spoletino Pompeo Campello della Spina, suo allievoa Tor di Quinto34. Campello regalò alla Società un lustro di ottimo sport. Organizzò fieldsempre più numerosi e cosmopoliti, usufruendo d’un indennizzo annuale di ventimila liredel Ministero della Guerra. In tutti questi anni, riviste inglesi descrissero a più riprese le virtùespresse dai prodigiosi knights di Tor di Quinto, non errando nell’affermare che le cacce – siaquelle, anche bisettimanali, nell’Agro Romano per la volpe, sia le altre, nei dintorni diBracciano per il daino – erano parte integrante dell’addestramento loro elargito. Nel 1902, ilcomandante Annibale Giacometti vi portava oramai il corso al completo, e il suo aiutanteLuigi Ramognini ne redigeva il report per i giornali. Cronache abbellite dalle immaginiscattate dal conte Giuseppe Primoli o dalle istantanee d’uno dei pionieri della fotografiasportiva a Roma: Piero Sbisà. Non di rado, nella bella stagione, gli ufficiali offrivano lacolazione di mezza giornata, consumata all’aperto su tavoli apparecchiati elegantemente35.

Nel 1914 la guerra mondiale interruppe il cavalleresco dialogo della Società Romanadella Caccia alla Volpe con la Scuola di applicazione d’equitazione di campagna di Tordi Quinto. Modello di fruttuoso interscambio, sul piano sportivo e non solo, tra lacollettività civile e gli ambienti militari. Un rapporto che sarebbe comunque ripreso neglianni Venti, sotto la guida del marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, col canile alleCapannelle e trentasei coppie di gioiosi fox hounds36.

5. Le corse steeple-chase, i raid, il campionato del cavallo d’arme, i concorsi ippici

Le corse al galoppo in piano e ad ostacoli, definite steeple-chase per la loro matriceirlandese, furono una delle cartine di tornasole che evidenziarono i progressi della

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34 Su D’Annunzio e Roccagiovine, vedi Ceccarius, Motivi sportivi nella Roma dell’Ottocento, in “Capitolium”, a.XXXV (1950), numero speciale, p. 49; Ceriana Mayneri C., Cento anni di cacce alla volpe, cit, pp. 73-75. D’Annunzioaveva nel fox hunting uno dei suoi passatempi prediletti, e al riguardo ebbe a dire: «Ho il piacere di cavalcaree di arrischiare il mio bel cranio contro le staccionate della campagna romana»; cfr. Pancera M., Vergani G. ( acura di), Il piacere del corpo. D’Annunzio e lo sport, Electa, Milano 1999, p. 46. Al conte Pompeo Campello dellaSpina dobbiamo una delle prime note storiografiche d’una certa ampiezza sul fox hunting in Italia; cfr. P.Campello, Caccia alla volpe nella campagna romana, in “Rivista di Cavalleria”, a. I (1898), n. 1, pp. 646-650.

35 Cfr. C. G., Caccia a Cavallo, “La Stampa Sportiva”, 9 febbraio 1902; Caccie a Cavallo nella Campagna Romana, “LaStampa Sportiva”, 9 marzo 1902; Tenente Ramognini, La Caccia alla Volpe, “La Stampa Sportiva”, 30 marzo1902; La caccia alla volpe, in “Illustrazione Militare Italiana”, a. V (1910), n. 23, p. 24.

36 Ivi: 14-16; Lega G., Caccia alla volpe, “Suppl. Gazzetta dello Sport”, marzo 1898; Fè d’Ostiani A., L’equitazionein Italia (1867-1931), cit, pp. 163-168; Cacce a cavallo, in “Lo Sport Fascista”, a. V (1932), n. 11, pp. 75-80.

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cavalleria militare italiana. Anche qui il mattatore fu Caprilli, che per competereacquistò purosangue e si sottopose a diete onde avere un peso, nonostante il metro e83, che si avvicinasse ai fantini professionisti. Risulta che, tra il maggio del 1892 (a Tordi Quinto) e l’autunno del 1905 (alle Capannelle), sia sceso in pista 33 volte in provericonosciute dal Jockey Club o dalla Società degli Steeple Chase d’Italia, arrivandoprimo in 18 occasioni e piazzato in 11. Ebbe una sua scuderia – giubba bianca, cucitured’argento e cap celeste – e fu il primo ufficiale ad allinearsi al via, nel 1893, alla piùclassica delle corse romane, il “Derby Reale”, tagliando il traguardo per secondo colsuo Goldfinder; due giorni prima, aveva stravinto la military a Napoli con la cavallaNichette37.

Sull’esempio di Caprilli, molti altri ufficiali s’inserirono nelle steeple-chase di Roma,Milano, Napoli, Firenze, Torino, ecc. Tanto che, nell’autunno del 1906, allorché illivornese diresse per la seconda volta i corsi a Tor di Quinto, parve a tutti lampanteche le “lezioni” che gli ufficiali impartivano nelle cacce e i successi negli ippodromiavevano un’etichetta: “sistema naturale”. Nel 1910 i gentlemen riders riconoscevanooramai senza impacci, nei recinti del turf, che le military erano «assurte all’altezza dellecorse classiche d’ostacoli»38.

Alle steeple-chase e alle military si aggiunsero i raid, di matrice francese e tedesca. Sitrattava di marce di 100 km ed oltre, talora con l’appendice d’una prova ad ostacoli. Banditicon programmi imperfetti, mal soddisfecero e non si cercò di adeguarli alla visionemoderna della cavalleria militare, motivo per cui in Italia vennero per un po’ abbandonati.Dai raid originò il “Campionato Italiano del Cavallo d’Arme”, che sarebbe poi sfociato nel“Completo” olimpico. La prima kermesse di questo tipo fu allestita nel 1907 a VillaBorghese, vinta da Caprilli col sauro Pouff. Il modello era quello transalpino, ma Caprillisubito avanzò un nuovo regolamento, più affine ai suoi principi. L’anno dopo, ilcampionato vide ingaggiati 104 militari, suddivisi in pattuglie che da diverse regioniconfluirono a Roma con marce a tappe montando cavalli di qualità. Si articolò in cinquegiornate, due distinti gruppi ad alternarsi in una marcia su strada di 50 km, di cui 10 incampagna con ostacoli naturali, e in uno steeple-chase in piano di 3.500 metri; quindi, ilgiorno due, in una gara di 4.500 m. a 18 ostacoli, denominata “Campionato Nazionale perPattuglie Reggimentali”. La giornata conclusiva mise in lizza coloro che avevano superatole tre prove. Questi superstiti affrontarono uno steeple-chase di 5.500 metri, che valeva perintero il premio di ventimila lire posto in palio dal re. Il tutto all’interno d’un concorso

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37 Giubbilei C., Federico Caprilli. Vita e scritti, in “Rivista di Cavalleria”, a. XII (1909), n. 6, pp. 637-641. La Societàdegli Steeple-Chases d’Italia era stata fondata nel 1892 da un gruppo di sportsmen con a capo il re UmbertoI°, il duca d’Aosta, il conte di Torino e il conte Felice Scheibler. Una decina le Società di Corse e i Comitatifavorevoli alla specialità: Tor di Quinto (Roccagiovine), Roma Vecchia (Scheibler), Milano, Torino, Bologna,Senigallia, Pisa, Firenze, Erba e Varese.

38 Al primo corso, che partì il 15 ottobre 1906, Caprilli ebbe sotto il suo comando quattro istruttori in tre differentisezioni: Giorgio Ricci Capriata, Attilio Paolo Anselmi, Giovanbattista Calvi e Mario Caccia; cfr. CerianaMayneri C., Cento anni di cacce alla volpe, cit, p. 80; Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche1898-1925, vol. 0266, aa. 1906, 1907; Starita G. B., Il trionfo del Metodo. Conferenza reggimentale, in “Rivista diCavalleria”, a. XIII (1910), n. 11, p. 564.

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internazionale ospitato, ai primi di maggio del 1908, all’Ippodromo Militare di Tor diQuinto, con gare di elevazione/estensione aperte ai civili e uno steeple-chase d’alto livello39.

Nel 1911, inserito nel “Concorso Ippico Internazionale” tenuto nella capitale per le“Feste del Cinquantenario dell’Unità del Paese”, il campionato interessò 128 cavalieri dicui un centinaio italiani e i restanti francesi, spagnoli, rumeni e perfino cinesi. Dei 30ammessi alla giornata finale, 19 furono italiani e 11 francesi, per la vittoria del tenenteRuggero Ubertalli, che bissò nel contest di elevazione; nell’occasione, si notarono i progressidella prova per pattuglie, con la quale si voleva costituire in ogni reggimento unosquadrone che sapesse destreggiarsi nell’equitazione di campagna40. Nel 1913 l’eventonon ebbe luogo, e in sua vece si svolse un raduno scandito in tre giornate: marcia diresistenza di 50 km da compiere al trotto; cross country di 20 o 25 km al galoppo; steeple-chase di 3 km ad ostacoli. Nel 1914 il campionato ricadde sotto l’egida tecnica della Scuoladi Tor di Quinto. Lo steeple-chase aveva ormai assunto caratteristiche utili a collaudarel’idoneità del cavallo al servizio militare, per cui il cavaliere era chiamato ad eseguirelungo il percorso speciali esercizi, come scendere e rimontare, aprire un cancello standoin sella e fare arresti improvvisi41. Quella del 1914 fu l’ultima delle sette edizionianteguerra, con altrettanti differenti vincitori42. A nostro avviso, l’osmosi tra la disposizioneagonistica e le necessità di preparazione bellica del programma ideato da Caprilli per talitipi di prove è indice della volontà del medesimo di porre lo sport al servizio dellafunzione bellica. La finalità sportiva non fu, dunque, prevalente su quella militare.

Noi oggi dubitiamo dell’attitudine “politically correct” dello sportsman Caprilli per viadel fatto che, negli stessi anni della sua “rivoluzione”, i concorsi ippici subirono anch’essi,così come le corse al trotto e al galoppo, un’inarrestabile tendenza al business; anzi, fuproprio la loro trasformazione in evento a valenza spettacolare a determinarne i caratteri eil gradimento presso il pubblico. In effetti, non era più ex oriente che veniva la lux, ma dalleIsole britanniche e dal culturalmente contiguo Nord America. «C’est du nord aujourd’huique nous vient la lumiere». La frase che Voltaire aveva detto a Caterina II fu rispolveratanella polemica che accese quella porzione di ufficiali che s’adoperavano alla critica. Essirilevarono come in Italia, rispetto a Inghilterra, Francia, Germania e Austria-Ungheria, la

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39 Cfr. Giubbilei C., Federico Caprilli. Vita e scritti, in “Rivista di Cavalleria”, a. XIV (1911), n. 7, p. 55; Il grandeConcorso ippico internazionale, “Roma Sportiva”, 4 maggio 1908; E. R., Alcune considerzioni intorno al Concorsoippico internazionale di Roma, in “Rivista di Cavalleria”, a. XI (1911), n. 8, pp. 195-201.

40 C. G., Il Concorso Ippico Internazionale di Roma, “Illustrazione Nazionale”, 5-20 maggio 1911. Di Roger Ubertalli,che a Tor di Quinto era stato allievo di Fattori nel 1898-99, usava dire Caprilli: «Io ho inventato il metodo,ma Ruggero lo applica meglio di me»; cfr. Lami L., Le passioni del Dragone, cit., p. 138.

41 Il Concorso Ippico Militare a Tor di Quinto, “Il Messaggero”, 4 maggio 1913; Gualassini G., Storia dell’Ippica, in(a cura di Franzoni A.), Storia degli sport, vol. I, Società Editrice Libraria, Milano 1933, pp. 504-505; Morelli diPopolo C. A., La scuola di cavalleria di Pinerolo, cit, pp. 67-71.

42 La lista dei vincitori dopo Caprilli: tenente Vittorio Fenoglio dei Lancieri di Novara (1908), sottotenente EttoreCaffaratti dei Cavalleggeri Guide (1909), tenente Leone Tappi del Nizza Cavalleria (1910), tenente Ubertallidei Cavalleggi di Milano (1911), tenente Menini dei Cavalleggeri di Saluzzo (1912), sottotenente Rica deiCavalleggeri di Lucca (1914); cfr. Acs, Ministero della Guerra. Ispettorato delle Truppe Celeri, busta 51,Programma del XXIII Campionato Militare Ippico. Tor di Quinto 23-24-25-26 aprile 1934-XII.

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passione per il cavallo non fosse diffusa, dal ché ne inferiva una «poca educazione sportivaippica» e «una conoscenza e un amore per nulla paragonabili alle altre nazioni». Quel chesi notava era che le corse al trotto erano popolari solo in Veneto e in Emilia Romagna. Mentrequelle al galoppo vivevano «una esistenza anemica in tutti gli ippodromi», e nemmeno ilgioco aveva dato motivo di passione, «il ceto medio-basso preferendo il regio lotto». Sirimarcò la fatuità del frequentatore delle gare ippiche, il suo essere a digiuno delle regolesportive: «Lo spettacolo che offre un nostro campo di corse è diverso da quello di unippodromo francese o inglese. Da noi si va per mirare ed essere mirati, tutto quanto interessachi capisce di cavalli da corsa è arabo per la gran maggioranza degli spettatori: vanno allecorse come ai concerti wagneriani, senza capire nulla»43.

La mancanza di competence fu peculiare anche ai concorsi ippici, laddove gliorganizzatori preferirono la spettacolarità della performance a regole pensate per ridurre idifetti dei concorrenti. Giubbilei poteva così lamentare: «Ignaro del valore di cavalli ecavalieri, il pubblico li disturba con applausi eccessivi e fuori posto, tributati magari a chiesibisce facili prodezze e non a chi supera reali difficoltà»44. Quando Giubbilei, ufficiale aPinerolo, proponeva queste considerazioni, i concours hippique avevano appena terminatola loro prima fase evolutiva, che ne aveva cambiato radicalmente il volto. L’analisi di questomutamento ci aiuta a comprendere come si giunse, mercè l’allargamento dell’audience, aldeficit di competence. Tutto era partito dall’edizione inaugurale del Concorso Ippico di Tordi Quinto, il primo mai allestito in Italia, promosso il 4 aprile del 1889 dal marchese diRoccagiovine. Come le successive edizioni, l’evento s’era svolto secondo un programma dicorse di pariglie e con i sedioli, col contorno di gare in elevazione e in estensione. I concorsiippici inizialmente impegnarono cavalli che avevano partecipato alle cacce e cavalli d’ognirazza e paese. Si trattava di riunioni di fine stagione, ristrette ad un circolo di personedell’alta società. All’epoca, le prove di salto – nate agli albori del secolo nelle fiere di paesein Irlanda e in Inghilterra – vertevano nel superare macerie, sieponi, “banchine irlandesi”(rialzi verticali di terra seguiti o preceduti da un fosso) e staccionate alte da un metro almetro e quaranta. I giurì giudicavano con larghezza e indipendenza. Lo stile era quello“Irish”, col cavallo che saltava in due tempi, poggiando le zampe sullo spessore dell’ostacolo,perché l’importante era la limpida visuale di ciò che l’attendeva dopo; inoltre, non si volevache la bestia si azzoppasse. Dopo l’apertura della Scuola di Tor di Quinto, fu inserita unaterza classe di «cavalli saltatori», quelli «di servizio dei Signori ufficiali», osservanti le normedel Ministero della Guerra per le corse militari. Nobilissimi equini adeguatamente addestratie d’un livello decisamente migliore rispetto alla fase pionieristica45. Illuminante, sul carattereche avevano codesti concorsi ippici prima maniera, è la ricostruzione fatta da FrancescoFormigli, uno dei comandanti “storici” di Tor di Quinto:

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43 Giubbilei C., Educazione sportiva, in “Rivista di Cavalleria”, a. VIII (1905), n. 8, pp. 192-194.44 Ivi: 195.45 Cfr. Acs, Ministero dell’Agricoltura, busta 624, Concorsi ippici 1889-1983, Programmi-regolamento concorsi 1889,

1890, 1892, 1893; Società Romana per la Caccia alla Volpe, Concorso Ippico sabato 13 marzo 1897 a Tor di Quinto.Programma-Regolamento, Roma 1897.

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A quei tempi, le gare ippiche in Italia erano molto modeste. Consistevanoprincipalmente in prove di salti in elevazione e in estensione, eseguite dentro recintilimitati dove le andature non avevano possibilità di svilupparsi. I cavalli eranoaddestrati con costrizione spesso violenta. La virtuosità di questi saltatori era fatta diabitudine: erano specialisti per un solo salto alla volta, ma erano privi delle qualità diun buon cavallo da caccia. I vincitori erano delle vecchie bestie, piene di magagne e ditare, spesso affette da fischio, che sarebbero state incapaci di lunghe marcie, di percorsicon una piccola serie di ostacoli e di galoppate in campagna. Non si trattava diaddestramento di cavalli, ma di ammaestramento simile a quello dei cani, ottenuto aforza di legnate e di zuccherini. Le categorie di concorso consistevano nel superare,sempre nel breve spazio di pochi metri, un muro, una stanga mobile e un fossato. Viprendevano parte una ventina di cavalieri al massimo. Nel 1893, a Roma, in unconcorso ippico a Tor di Quinto, la prima categoria fu vinta saltando metri uno e dieci,e la seconda saltando metri uno e quindici. Il Capitano Pompeo Campello e Caprilli,in quello stesso concorso, vinsero una gara di elevazione saltando un metro e quarantafra lo stupore degli spettatori. Per quattro volte i due cavalieri ripeterono e superaronolo stesso ostacolo, che nessuno osò alzare per selezionare il vincitore46.

Questo fu l’avvio. Senonché, sull’esempio di ciò che accadeva oltre frontiera, nel girodi pochi anni si verificò il fenomeno – comune ad altri settori del panorama sportivo –della diramazione in singole specialità. Scomparse le carrozze, l’uso di sedioli piùtecnologici lanciò anche a Roma il trotto, disciplina da intenditori. I concorsi ippici sirivolsero alla pura arte equestre, quella dei salti in rapida sequenza fatti all’interno di unampio recinto per stupire lo spettatore; l’agon e la meraviglia sul genere “giro dellamorte”, Circo Barnum e il Buffalo Bill’s Wild West Show, applicati a un ambientemondano costituendo il nocciolo della questione47. Di più, il Concorso Ippico, cosìsistemato, divenne un modo di proporsi di una certa classe politica legataall’establishment militare ottocentesco, quello conforme all’idea dell’uomo che dominain quanto “a cavallo”. Gli organizzatori svilupparono percorsi tortuosi disseminati diostacoli eterogenei. I regolamenti assunsero una marcata selettività, allontanandosi dallenecessità dell’equitazione di campagna e volgendosi all’acrobatismo. Cosa che fecestorcere il naso agli “ippiarchi” – gli ufficiali che esercitavano il giudizio critico. Essivalutarono si dovesse tornare a un indirizzo meno ossequiente al modello imposto dagliimprenditori. Piuttosto, i concorsi avrebbero dovuto puntare a promuovere la produzioneequina nazionale, facilitando agli allevatori e ai mercanti la vendita, e allo Stato e ai

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46 Formigli F., La grande e breve giornata di Caprilli, in “Il Cavallo Italiano”, a. XXXXV (1967), n. 1-2, p. 7.47 Buffalo Bill, alias William F. Cody, passò anche a Roma, attendandosi in Piazza d’Armi nel febbraio-marzo

del 1890. Ci fu una sfida ai Prati di Castello tra i butteri del duca di Sermoneta e i cow-boy. Crediamo siapossibile che la maniera molto libera di montare a pelo nudo degli indiani abbia potuto impressionarequalche ufficiale di cavalleria presente allo show, e forse lo stesso Caprilli; cfr. Verdone M., Il cinema e BuffaloBill a Roma, in Aavv, Strenna dei Romanisti 1952, Roma-Amor, Roma 1952, pp. 207-215.

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privati l’acquisto. Altro fondamento era quello di diffondere il corretto uso del cavallonei suoi impieghi, e incoraggiare l’equitazione nelle sue diverse forme48.

Al pari degli ippiarchi, il marchese di Roccagiovine stigmatizzò lo scioccoesibizionismo e la venalità dei concorsi. Disse al Senato in un’occasione: «Non miperdonerò mai di avere contribuito a dotare il mio paese di una istituzione che ha inInghilterra uno scopo commerciale, facilitando la vendita degli Hunters, ma che da noisi è sostituita al vero sport, incoraggiando falsi criteri, e creando delle reputazioni dicavalieri e di cavalli che vorrei vedere affrontare un vero ostacolo in caccia o in corsa».Tuttavia, i successi conseguiti dai nostri cavalieri, forti d’essere i collaudatori del metodocaprilliano ai concorsi internazionali, fecero passare in subordine un tale aspetto negativodella sportivizzazione in atto. Consideriamo che lo sport, all’abbrivio del Secol Nuovo,stava finalmente interessando il ceto medio, in specie nei centri urbani in espansione, esi vedeva come fosse assurto a nuovo attore sulla stampa grazie all’aggancio con talunisettori industriali; motivo per cui anche gli apparati statali-militari s’inchinavano alla suaenergia e attualità. Sul mensile “Rivista di Cavalleria”, notiamo l’avvio, nel 1906, d’unarubrica per gli eventi agonistici. Si moltiplicarono, su questo ed altri periodici rivolti aimilitari, gli articoli a sostegno d’un allineamento ai valori proposti dagli sport open air,alternativi alla ginnastica attrezzistica di stampo teutonico. Sport che arrivavano dalnord-ovest del mondo, freschissimi e colorati, soprattutto “alla moda”, ligi ai principidel costante cambiamento instaurati nel XVIII secolo dalla Rivoluzione industriale49.Fisiologi come il professor Angelo Mosso, dal 1896 presidente della Società Ginnasticadi Torino, eseguivano esperimenti sul campo e diffondevano teorie sui beneficidell’attività fisica e sportiva frequente e variegata e i miglioramenti razziali-sociali chene derivavano. La moda sportiva s’insinuava ovunque, giacché il papa, ora, consentivacorse nei prati sorvegliate da parroci, marce ciclistiche, giochi della palla vibrata e paratedi ginnasti dentro il Vaticano50. Che il mondo intero avanzasse a passo di carica sul temadel Ballo Sport, lo si scoprì nella primavera del 1905 a Tor Fiorenza, allorché alcune dameosarono cimentarsi in pubblico in un percorso, superando con grazia e decisione siepi ebarriere che, solo tre lustri prima, avevano tolto il sonno ai colleghi uomini. Eventomagnificato come il primo esempio del genere in Italia51. Pochi mesi prima, a febbraio, ilre Vittorio Emanuele aveva accompagnato Pierre de Coubertin a visitare l’ippodromomilitare di Tor di Quinto e l’annessa Scuola. Si stava tentando di mettere le basi perl’Olimpiade romana del 1908, evento che non si sarebbe mai realizzato52.

Non di meno, una sorta di “Fabianesimo equestre” attraversò i quadri della cavalleria

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48 Malvani E., Come potrebbero trasformarsi in Italia i Concorsi Ippici, in “Rivista di Cavalleria”, a. VI (1903), n. 9,pp. 845-854.

49 De Simone E., Gli Sports, in “Illustrazione Militare Italiana”, a. III (1908), n. 10, pp. 17-18; L’esperimento del 1°Battaglione Bersaglieri Ciclisti, in “Illustrazione Militare Italiana”, a. III (1908), n. 11, pp. 10-11.

50 Collari G. A., Il 1° Convegno Sportivo Cattolico Italiano, in “La Stampa Sportiva”, a. IV (1905), n. 43, pp. 4-5.51 Un concorso femminile a Roma, in “La Stampa Sportiva”,a. IV (1905), n. 18, p. 7.52 Colasante G., La nascita del movimento olimpico in Italia. Dal conte Brunetta d’Usseaux alla costituzione del Coni

(1894-1914), Coni, Roma 1996, p. 79.

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militare sullo scorcio della belle époque. Quadri che, via via, s’infoltirono di elementiborghesi non devoti ai noblesse oblige dell’aristocrazia. Gli exploit della “generazioneCaprilli” (si pensi al concorso al coperto all’Olympia di Londra del 1908, dove i nostridominarono sia pure in condizioni non ideali per esprimere il potenziale) furonoaccompagnati dalla fede degli alti comandi che le capacità dimostrate dagli ufficialipercolassero, mercé il campionato del cavallo d’arme, al resto dell’esercito53.

6. Il master dei centauri. L’osmosi tra sport e cavalleria militare

Dal 1895, allorché Caprilli e Savoiroux avevano dato l’impronta alla Scuola, passandoper il 1904 – allorché un plotone di 30 reclute, addestrate secondo il metodo Caprilli, inappena tre mesi aveva rivelato una superiorità schiacciante nei confronti dei plotoni istruitiai vecchi canoni –, all’inverno 1914-15, con i tamburi di guerra rullanti minacciosi, Tor diQuinto acquisì una fama internazionale non inferiore a Pinerolo: decisamente qualcosa dipiù di un semplice «corso complementare». Dal 1897 la Scuola ebbe un suo direttore sulposto, «incaricato all’insegnamento dell’equitazione», nel maggiore Adriano Thaon di Revel.Gli successero, nell’arco temporale 1900-1915, Amilcare Giacometti, Adolfo Coulant e FabioPandolfi. Essi si avvalsero di un minimo di tre a un massimo di sei istruttori a stagione,motivo per cui, alla fine del ventennio 1896-1915, contiamo l’avvicendarsi d’una quarantinadi ufficiali addetti alle esercitazioni per i due gruppi in rotazione negli anni solari54. Gli esamicontinuarono a svolgersi poco prima delle feste di Natale e Pasqua, con l’eccezione del primocorso della stagione 1900-1901, spostati a gennaio a causa degli inondamenti delle campagnea nord di Roma che avevano ostacolato il regolare programma di uscite. Il numero degliallievi complessivi, per ogni stagione accademica, si mantenne poco sopra ai 60, con unatendenza ad infoltire il primo gruppo; nel 1913-14, l’anno dei sei istruttori, si iscrissero in39. Il metodo di giudizio fu articolato su tre gradi: ottimo, buono e mediocre, più i nonclassificati che avevano abbandonato in itinere. I valutati buoni costituirono a lungo lamaggioranza netta, circa l’80%. Ma, a ridosso della guerra mondiale, sui registri di Pinerolocominciarono ad essere vergati ad inchiostro molti ottimi, spia dell’uniformità d’indirizzoche Caprilli aveva impresso all’equitazione: giusto l’obbiettivo auspicato dopo lapubblicazione del suo metodo nel 1901. Una tale omogeneità scaturiva anche dal riordinogenerale dei programmi, con l’aumento delle esercitazioni in campagna sia a Pinerolo – dal

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53 E. R., Alcune considerazioni intorno al Concorso ippico internazionale di Roma, cit., p. 201. 54 Ecco la lista: Federico Caprilli, Tancredi Brascorens di Savoiroux, Gherardo Averoldi, Enrico Fattori, Adolfo

Bertolotti, Ferdinando Bulgarini, Francesco Lauzi, Filippo Solari, Riccardo Comolli, Vittorio Figarolo diGroppello, Giovanni Ceresole, Luigi Rangoni Macchiavelli, Pompeo Campello della Spina, Cesare Noseda,Ippolito Giorgi di Vistarino Belingeri, Giovanbattista Calvi, Vittorio Fenoglio, Paolo Biella, GiovanbattistaStarita, Gaspare Bolla, Alessandro Grisi Rodolfi della Piè, Alberto Acerbo, Filippo Balbo Bertone di Sambuy,Giuseppe Parvopassu, Pietro Dodi, Guido Luigi, Francesco Amalfi, Luigi Carotti, Alfredo Caprino, GiorgioRicci Capriata, Giacomo Antonelli, Aroldo Dal Pozzo, Vincenzo Pollio, Ettore Caffaratti, Carlo Boschi, LeoneValle, Carlo Ceriana Rayneri, Giulio Cacciandra, Alberto Lombardi, Giorgio Calvi di Bergolo; cfr. Aussme,Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1869-1897, vol. 0265, 1898-1925, vol. 0266.

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1910 «scuola di applicazione» al pari di Tor di Quinto – sia nei reggimenti55. Oltre alle frequenti visite del ministro della guerra, di altri ministri italiani e stranieri e,

soprattutto, del re Vittorio Emanuele III, della regina Elena e dei loro altolocati ospiti, Tor diQuinto fu oggetto di visite di cortesia, ma in sostanza accertamenti di studio, da parte diufficiali di accademie di cavalleria estere, in particolare l’École de cavalerie di Saumur. I maîtreindiscussi del dressage scesero a Roma nel dicembre del 1910, in risposta ad una missioneestiva dei nostri ufficiali in Francia. In questa speciale occasione, il re volle che i forestieri –guidati dal direttore degli studi, il comandante Henri de Gondrecourt, col quale colloquiavanormalmente nella sua lingua madre – assistessero assieme a lui e all’ambasciatore di Francia,Camille Barrére, un habitué delle cacce alla volpe, agli esami del primo gruppo. I francesividero così gli ufficiali italiani in sarabanda nella campagna circostante e impegnati sulpercorso ad ostacoli costituito da arginelli, oxer, muri in cresta, banchine e doppie banchine(il famoso “doppio-talus”), gabbie, siepi, staccionate, riviere e passaggi di strada. Dopo diche, i cavalieri francesi parteciparono a tre field di fox hunting, montando i migliori prodottimilitari. Con una certa dose di malizia, la rivista “Illustrazione Nazionale” pubblicò incopertina le immagini delle discese dal “muro Caprilli” dei nostri ufficiali, in comparazionecon quelle effettuate dai compitissimi cavalieri della Loira: la differenza nell’atteggiamento(catapultati in avanti gli uni, impettiti all’indietro gli altri) balzava evidentissima56! Ciò potevaaccadere perchè, oramai, il “metodo Caprilli” aveva innalzato gli esercizi del corsocomplementare una spanna al di sopra del tipo di cross country riding praticato in Inghilterra,Francia, Russia, Stati Uniti, Svezia, Germania e Austria-Ungheria. E questo nonostante itedeschi dicessero, con disprezzo evidente, che le prodezze degli italiani fossero solo di scenae inutili in battaglia; e i francesi scrivessero che erano stati loro ad insegnare la maniera dilasciare allungare l’incollatura ad un cavallo cedendogli le redini, tacendo il fatto che gliitaliani flettevano in avanti il busto, non rimanevano rigidi come la statua di Napoleone57.Insomma, i nostri non erano Tod Sloane, il fantino americano che s’abbarbicava al collo comeuna scimmietta, ma l’ambizione era patente: divenire “centauri”58. La consapevolezza d’essere

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55 Ibidem. Per la pubblicazione del “sistema naturale” e le polemiche che l’accompagnarono, vedi: Comandodella R. Accademia di Fanteria e Cavalleria e della Scuola di applicazione di Fanteria, Federico Caprilli - Perl’equitazione di campagna - Due altre parole sull’equitazione di campagna (Estratti dalla Rivista di Cavalleria anno1901), Soc. Tip. Modenese, Modena 1937.

56 Cfr. C. G., Una missione italiana a Saumur, in “Illustrazione Militare Italiana”, a. V (1910), n. 18, p. 4; C. G. Unavisita di ufficiali francesi a Roma, in “Illustrazione Nazionale”, a. VI (1911), n. 1, pp. 4-5.

57 Exercises de la cavalerie italienne, “Sport Universel Illustré”, 14 marzo 1909; citato in C. G., Note sportive militari.Leggendo un giornale francese, in “Illustrazione Militare Italiana”, a. IV (1909), n. 4, p. 4.. Il senso di superioritàche i francesi sentivano verso la nostra scuola di equitazione è dimostrato dal fatto che non pubblicaronomai alcuno studio specifico su Pinerolo o Tor di Quinto, mentre Saumur fu oggetto di scritti da parte deinostri cavalieri; cfr. Di Roccagiovine L., La scuola di cavalleria di Saumur, Tip. L. Cecchini, Roma 1893.

58 Commentava Giovanbattista Starita, il tenente dei Lancieri di Firenze che rappresentò la Scuola di Tor di Quintonel processo di “ricostituzione” del Coni nel 1914: «La leggenda del centauro diventà realtà, e cavallo e cavaliereformano un corpo solo, assoggettato ad una sola volontà. Il cavallo naturalmente assecondato, e non sottopostoin modo assoluto a qualsiasi movimento o impiego di forza che possa causargli una fatica inutile e molte voltedolorosa, si assoggetta facilmente e può quindi sviluppare le qualità che devono caratterizzare il cavallo da guerra,ossia calma, franchezza, velocità, maneggevolezza, ardire». Cfr. Starita G. B., Il trionfo del metodo, cit., p. 566.

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tornati nel gotha, avanguardia d’una evoluzione tecnica cui tutto il mondo guardava coninvidia mista ad ammirazione, è lampante in questa cronaca del 1905:

La Scuola di Tor di Quinto, complemento a quella di Pinerolo, è una scuola diequitazione di campagna in tutta l’estensione della parola. Ad essa sono chiamati indue riprese gli ufficiali che hanno frequentato il corso di Pinerolo, dopo il periododelle manovre: la prima dall’ottobre al dicembre, la seconda dal gennaio al marzo.L’edificio dell’istituto complementare sorge sopra un poggio e si vede in distanza daRoma e anche dalla ferrovia per chi vada alla Capitale dall’Alta Italia, caratteristicoper la forma e la tinta rossiccia. La campagna romana ondulata, accidentata, collesue imponenti macerie, colle sue staccionate fisse di divisione, è adattabilissima peresercitare l’ufficiale all’ostacolo e ad una equitazione ardita in terreno vario; i risultatiottenuti dal corso complementare dimostrano ch’esso ha risposto pienamente alloscopo per il quale fu istituito. A Tor di Quinto predomina nell’istruzione una correnteessenzialmente moderna, mediante la quale si ottennero e si ottengono dai cavalierifrutti un tempo insperati. La Scuola di Tor di Quinto, che segna l’iniziodell’evoluzione dal vecchio al nuovo sistema di equitazione, fu istituita l’anno 1891dal Ministero della guerra, quando comandava la Scuola di cavalleria il colonnelloAvogadro di Quinto, l’ex aiutante di campo di S. M. Umberto I [...]. Attualmente èdiretta dal maggiore Giacometti, coadiuvato dal capitano Figarolo di Groppello, daltenente Noseda Cesare e dagli istruttori tenenti Ceresole Giovanni, RangoniMacchiavelli Luigi e Campello Pompeo. Annesso alla Scuola vi è un campo di corse,ove i sottotenenti vengono esercitati a compiere degli steeple-chase, e dove hannomezzo di esercitare sé stessi agli ostacoli prima di affrontarli in aperta campagna.Gli ufficiali portano con sé un solo cavallo di proprietà, ricoverato nelle scuderie diTor di Quinto, ed a loro vengono assegnati dalla Scuola due cavalli scelti fra i miglioriper mezzi e resistenza. Gli ufficiali allievi prendono parte in corpo alle caccie a cavallo;ottima disposizione che ebbe a essere proficua di eccellenti risultati per l’equitazione,rende l’istruzione più divertente e fa acquistare in pari tempo al giovane sottotenentela passione per questo utilissimo esercizio sportivo59.

Durante la stagione 1905-1906, quella in cui partì a Pinerolo il leggendario “corsoCaprilli” e i promossi, secondo le nuove disposizioni, furono accolti a Tor di Quinto, siregistrarono due altre novità: uscì in tarda primavera nei teatri la pellicola Tor di Quinto.(La scuola di cavalleria), del produttore torinese Rinaldo Arturo D’Ambrosio; film del qualeoggi rimangono solo alcune scene iniziali, laddove si vede in azione Caprilli e appare il“muro”60. È possibile che vi comparissero in origine anche i sei allievi stranieri che,provenienti dal corso di perfezionamento di Pinerolo del 1905, parteciparono al primogruppo di ottobre-dicembre: gli ufficiali Kitancef, Anastasof, Kristof (bulgari), De

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59 Tenente Ramognini, La Scuola di Tor di Quinto, in “La Stampa Sportiva”, a. I (1902), n. 12, p. 3.60 Cfr. https://sempreinpenombra.com/2012/02/14/i-centauri-di-tor-di-quinto-localita-vicino-a-pinerolo/

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Rudebeck, Torquist (svedesi) e Casares (argentino)61. Essi al termine del corso non furonosottoposti al giudizio finale, ebbero come direttore il maggiore Coulant e, in qualità dicolleghi di corso, trentuno tenenti e sottotenenti. Tra loro, il marchese Clemente Theodolidel Reggimento Genova, figlio d’una principessa Altieri e che, nei ricordi del criticoletterario Mario Praz, veniva comunemente presentato nei salotti romani come «il migliorcavallerizzo del reggimento di cavalleria scelta d’Italia». Anche lui fu visionato dal reVittorio Emanuele III, che a Tor di Quinto volle personalmente assistere al fianco diCaprilli alle prove62.

Oltre al Theodoli, furono parecchi i destinati a grandi cose nello sport che siaddottorarono in equitazione di campagna a Tor di Quinto. Limitandoci alle primestagioni, citiamo Giuseppe Pirzio Biroli, “ottimo” alla sessione autunnale 1898-99. Quellostesso Biroli che, nel 1932, avrebbe capitanato la squadra azzurra di tiro al piattello aiGiochi di Los Angeles. (E suo fratello Alessandro fu argento nella sciabola a squadre aLondra 1908). Due anni dopo, leggiamo il nome di Giovanni Giorgio Trissino. Nomeimportante, in quanto Trissino è, cronologicamente, la prima medaglia olimpica italianain assoluto, vinta a Parigi il 31 maggio del 1900 nel salto in estensione. Soprattutto, ilconte vicentino è ricordato negli albi odierni (non in quelli antichi) come il vincitore delprimo oro, conquistato ex aequo con un francese il 2 giugno nel saut en hauter, montandoun cavallo addestrato da Caprilli63.

C’è un tema che ricorre nel presente saggio, centrale nell’economia del discorso: quantoinfluì la deriva sportiva sull’evoluzione delle tecniche adottate alla Scuola di Tor di Quinto?E il suo corollario: in che misura il tipo di cavaliere caprilliano accompagnò i cambiamentidell’equitazione agonistica in Italia al tramonto della belle époque? Furono senz’altro iconcorsi ippici, con i loro esperimenti volti a rendere più vario lo spettacolo ed avvincenti legare, a dare il là a molte migliorie. Essi aiutarono a generalizzare la scuola nuova, nata, comeabbiamo visto, dall’incontro del cavallo d’arme con le libertà delle cacce. Poi, però, ci si accorseche era anche il mezzo a fare la differenza, il puro sangue inglese risultando indispensabilenei gran premi, dove il jockey, ad esso conformato, sovente valeva più del cavaliered’estrazione militare. L’Hunter, la scelta principe dei nostri alti comandi, si adattava beneall’equitazione di campagna, e tuttavia non quanto il maremmano. Mentre il primo era piùveloce e resistente, portato per istinto allo slancio ardimentoso, il secondo si dimostrava piùcalmo e attento al terreno, preciso nel superare l’ostacolo senza inutili sforzi, e quindi piùpronto nel recupero del giorno dopo. Così, pian piano, nelle scuderie di Tor di Quinto i focosi(e costosi) irlandesi cedettero il posto ai più duttili (e a buon prezzo) maremmani locali, colloro sangue mezzo germanico e mezzo inglese, morfologicamente affini ai maremmanitoscani; docili e intelligentissime bestie che già il Paderni aveva apprezzato e studiato a fondo.

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61 Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1898-1925, vol. 0266, a. 1905.62 Cfr. (a cura di G. Pulce) Praz M., Geometrie anamorfiche: saggi di arte, letteratura e bizzarrie varie, Storia e

Letteratura, Milano 2002, p. 70. 63 Colasante G., La nascita del movimento olimpico in Italia. Dal conte Brunetta d’Usseaux alla costituzione del Coni

(1894-1914), cit, p. 31.

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Nei concorsi, i maremmani non vennero mai usati, giacché l’agon istruì ostacoli sempre piùdifficili e leggeri, dove bastava sfiorare per abbattere e accumulare punteggio negativo. Ipercorsi a cronometro, infine, indussero i cavalieri a precipitarsi sugli ostacoli in rapida serie,preoccupati d’arrivare nel tempo limite al traguardo, ricorrendo ad azioni violente dellamano, a chiamate brusche nelle giravolte, dimenticandosi dell’equitazione classica insegnataai corsi. Si cercò, talvolta, nei concorsi ippici capitolini allestiti a Villa Umberto (al Prato deiDaini o a Piazza di Siena), di rendere più stabili alcuni tipi di ostacoli. Ma tali esperimentinon incontrarono il favore del pubblico pagante.

All’estero, invece, s’imboccarono strade diverse. Ad esempio, le sbarre superioripresentavano, nella parte alta, una striscia di tasselli di legno così sottili che era sufficienteun tocco lieve per incorrere nella penalità: artifizio che favoriva il sistema del barrageper far contrarre ai cavalli l’abitudine, tecnicamente sbagliata, di sollevare le zampe piùdel dovuto. A Londra nel 1908, il nostro Carlo Bianchetti per vincere fu costretto adadeguarsi al sistema-barrage, con i tipici colpetti obbliganti allo sforzo sovradimensionatodei garretti, logorante per un animale tenuto a galoppare, in campagna, non per dueminuti ma per un pomeriggio intero. Per quel che riguarda le gare di elevazione e diestensione, c’è da notare che in Italia la regola di non ammettere alcun errore al saltoinvalse fino al 1908, proprio perché i nostri erano tanto più bravi degli altri. Ma oltreconfine, con le misure oramai sopra i due metri, la presunzione venne messa da parte esi arrivò celermente ad ammettere due errori prima dell’eliminazione: cambiamento dirotta che favorì i record e attenuò le distanze. In generale, queste gare, troppo facili alungaggini per i gusti frivoli dello spettatore medio, tra il 1905 e il 1915 andaronodiminuendo di numero e d’importanza64. Sul piano manualistico, fu solo nel 1912 che ilMinistero della Guerra pubblicò un nuovo regolamento di equitazione che accettava inpieno la rivoluzione caprilliana. Esso introdusse finalmente, nel capitolo «istruzionicomplementari», esercizi propedeutici alle cacce e di preparazione alle corse e al «saltodi grossi ostacoli», tutti elementi in precedenza per nulla affrontati65.

Il rapporto tra la cavalleria militare e lo sport di marca anglosassone rischiò pure, nel1903, d’imboccare un’ulteriore sliding door: il gioco del polo. Accadde, infatti, che alcunigentlemen rider adusi alle cacce – i marchesi Carlo Calabrini e Giuseppe Patrizi NaroMontoro, i conti Pompeo della Spina e Romeo Gallenga-Stuart, i principi Livio Borghese,Innocenzo Odescalchi e Carlo Bourbon del Monte di S. Faustino – si unissero a residentie diplomatici britannici e americani, tra cui il conte Frigyes Szapári de Szapár el’ambasciatore statunitense George von Lengerke Meyer, e a corsisti di Tor di Quinto,per dar vita ad un «Comitato per il giuoco del polo a cavallo». Un redattore della “Rivistadi Cavalleria” venne invitato alle prime prove alle Capannelle. Subito buttò là unaproposta non del tutto peregrina, a suo parere utile a risvegliare dalla nefasta routinedelle passeggiate igieniche e delle sortite paper-hunts (fox-hunting senza volpe, con un

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64 Cianci di Sanseverino M., I Concorsi Ippici in Italia, in “Rivista di Cavalleria”, a XII (1909), n. 8, pp. 161-174.65 Ulzega M. P., Teja A., L’addestramento ginnico-militare nell’esercito italiano (1861-1945), Stato Maggiore

dell’Esercito Ufficio Storico, Roma 1993, pp. 122-123.

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feticcio impregnato dell’odore) gli ufficiali appena istruiti: inserire il gioco del polo nelcorso complementare di Tor di Quinto:

Il polo potrebbe ben farne parte […] né credo la spesa sarebbe tale da opporsi inmodo assoluto alla sua introduzione. Due dozzine di ponies sardegnoli, tratti daicavalleggeri di Lucca, Piacenza e Roma, potrebbero bastare; una dozzina di magli;una tenue aliquota all’stituenda Società del Polo. In complesso una ventina dimigliaia di franchi, ed ecco tradotto in atto il pensiero, quello, cioè: di provvederel’arma nostra di ufficiali, per quanto possibile, destri e completi; germi fecondi perpiù feconda fioritura nei reggimenti, dove, forse, potrebbe sorgere, con la attrattivadel giuoco, il gusto per un’equitazione essenzialmente pratica e militare66.

Ma la cosa non si concretizzò. Solamente nel 1934 sarebbe stato attivato a Tor di Quintoun corso di polo per ufficiali.

7. Una giornata di equitazione a Tor di Quinto

Millenovecentootto. Nell’anno in cui la mania per il podismo eplose in Italia,pompata dall’epopea di Dorando Pietri, non è sbagliato dire che a Roma la fama deicavalieri di Tor di Quinto fosse superiore a qualsiasi campione sportivo, eccetto forse unpaio di fuoriclasse del “giuoco del pallone” e alcuni ciclisti. Il fotografo che riusciva aprendere qualche buona istantanea dei cavalieri in allenamento, e la metteva inesposizione nella sua bottega d’arte, era sicuro che ne avrebbe vendute parecchie copie.D’altronde, si diceva che perfino l’ispettore della cavalleria inglese, il generale RobertBaden-Powell, avesse sollecitato relazioni su quel che succedeva a Roma. Nel maggiodel 1908 un capitano di cavalleria svizzero, Henri Poudret, pubblicò un reportage dopoaver trascorso un periodo di alcune settimane in un gruppo di corso comprendente altricinque ufficiali stranieri. Qui presentiamo ampi stralci in lingua originale. Da essiricaviamo dettagli sul metodo d’istruzione, nonché tutta l’ammirazione che all’estero sinutriva verso la Scuola di Tor di Quinto. Inoltre c’è, all’interno del piacevole scritto diPoudret, una sorprendente rivelazione sul famigerato “muro”:

[…] Tor di Quinto, situé à une heure environ de Rome, est bâti sur un monticule etdans un terrain assez accidenté. Les bâtiments comprennent quatre écuriesprincipales e deux écuries pour les chevaux des instructeurs. Le tout formé en carréautour d’une vaste cour. A l’etage, un bureau fort simple, une salle à manger, unfumoir et une vestiaire pour les officiers. En outre les cuisines, le logements desordonnances et une chambre pour l’officier de service. Les selleries sont attenantesaux diverses écuries. Autour des bâtiments, de grands paddocks; dans l’un d’eux se

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66 Everyone, Il Polo a cavallo, in “Rivista di Cavalleria”, a. VI (1903), n. 7, pp. 734-736.

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trouve le «Corridor», sorte de couloir où l’ont fait sauter les chevaux en liberté oumême parfois montés. Les écuries sont spacieuses, bien aérées et toujours pourvuesd’une excellente litière. La ration est de 7 kg. d’avoine. Les chevaux. – Au nombreenviron 160, ils se divisent en chevaux de l’école et chevaux d’officiers. Chaque officiera deux chevaux au moins, souvent trois. L’un d’eux est le cheval d’arme choisi dansle régiment, les autres sont ce qu’on appelle en Italie les chevaux de propriété. Lesraces, comme les modéles, sont trés divers: pur sang, irlandais lourde ou lèger, italiengenre poney ou près du sang, fils de pur sangs. A còté de splendides chevaus de têteet d’un grand prix, on est souvent étonné de voir des animaux sans grand extérieuret peu plaisants, au premier abord du moins, et c’est à mon avis, un des grand méritesde l’officier italien de tirer en aussi bon parti de chevaux assez ordinaires. Cetteconstatation a son importance, car beaucoup de cavaliers, au lieu de reconnaîtreloyalement leur manque d’allant, s’en prennent à leurs chevaux et attribuent lesprouesses des cavaliers italiens aux qualités extraordinaires et mysterieuses de leursmontures. Il faut carément détruire cette légende avec laquelle on sauvegarde tropfacilement son amour-propre. Le Travail. – Tous les élèves demeurent à Rome. Lesomnibus de l’école viennent les prendre chaque matin à 9 heures à la place d’Espagne,lieu de rendez-vous, et les y ramènent le soir entre 5 et 6 heures. Le déjeuner de midise prend à Tor di Quinto. Les èléves sont divisés en trois classes de 8 à 10 officierssous le commandement de trois instructeurs. J’eus la bonne fortune d’ètre incorporédans la section du lieutenant instructeur Bolla, un des cavaliers les plus en vue enItalie. Le travail peut se diviser en diverses branches. 1° Le travail sur l’hippodrome,entraînement en vue des courses. 2° Exercises sur les obastacles de concours situéségalment sur l’hippodrome. 3° Les parcours en campagne. 4° Les exercises de sautsur les obstacles de l’école proprement dîte. 5° Les chasses. Le travail d’entrainementest celui par lequel commence la journée, il a été très intense pendant le mois defévrier à cause de la saison des courses commençant à Rome le 28 du dit mois. Lesèléves montent, dans le galops, ou leur cheval de propriété ou un cheval que fournitl’école, et avec lequel ils prendront part aux épreuves. Il y a deux catégories: le pursang et le demi-sang. Ce travail, fait sou la surveillance des instructeurs, se poursuitmême le dimanche matin. Il a pour but de donner aux jeunes officieres l’habitude degalop vite et prolongé, de leur apprendre à tirer parti de chevaux souvent violents,de sauter dans le train et de leur donner le goût des courses. Les obstacles de steeplesont assez gros mais très bien placés et colulants. On est surpris au premier abordd’y trouver la barrière traditionnelle (staccionata), obstacle qu’on ne rencontre guèrequ’en Italie, dans un parcours de courses et qui, soit par sa nature soit par sa hauter,constitue dans un steeple chase une grand difficulté. Les nouvelles méthodesd’entrainement soit les galops vites, courts et répétés, en usage en France et enAngleterre depuis quelques années, ne paraissent pas introduites à Tor di Quinto.On y galop en général sur de longues distances et mi-train. Après ce premier travail,les officiers s’excercent individuellement et sous le contrôle de l’instructeur sur les

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obstacles de concours. Ce derniers sont excessivement nombreux et variés. Habituésà ne sauter que des obstacles sérieux, durs et necessitant de l’attention, les chevauxles respectent en général fort bien. On entretient cette qualité on évitant de sauterdes haies simples ou des barrières fragiles. Cette mesure excellent met à contributionle courage du cavalier en lui faisant préférer une chute possible à une barrière brisée,ce qui aurait pour résultat d’einsegner au cheval la néglicence dans le saut. La plupartdes obstacles de concours et d’exercices sont trop hautes pour ètre sautés très vite,on exige que le cheval soit èquilibrè devant l’obstacle […] Quelle que soit l’opinionqu’on peut avoir sur l’équitation italienne, on doit forcément recoinnaître qu’on nevoit pour ainsi dire jamais au cheval gêné dans son saut; pas de saccades, pas demains hautes, pas de jarrets surchargés; le cheval saute à son aise, aussi saute-t-ilvolontiers et franchement s’il sent son cavalier fermement décidé à passerl’obstacle. Le courage du cavalier se communique à sa monture, la confianceréciproque est complète. C’est qui explique ce fait, à mon avis frappant, de ne jamaisvoir en cheval dégoûté ou vicieux malgré les efforts sérieux et répétés qu’ondemande de lui journellement. Cette docilité remarquable parle en faveur de l’écoleitalienne mieux que ne pourrait le faire toute autre constatation. Si un cheval refuseau premier abord un obstacle c’est que son cavalier a laissé percevoir une hésitationou de la nervosité, s’il se resaissit avec la ferme volonté de sauter, le cheval obéit,même lorsque la chute paraît probable. Pour varier, ou lorsque que l’état du terrainde l’hippodrome laisse à désirer, la reprise se fait sur les obstacles placés aux alentoursde l’école. Ici aussi, la plus gran variété et cette particularité que presque tous sontplacés sur une pente. Il faut done sauter, soit en montant soit en descendant, ce quiconstitue un excellent exercice de franchise et d’obéissance. Parfois même l’obstaclese trouve placé au sommet d’une crête, tel est le cas, par exemple, d’un mur qu’onaborde à grand allure à la montée, pour ce recevoir à la descente. Cela exige une bonnesouplesse d’assiette et de l’allant. La fameuse descent si souvent reproduite et sidiscutée [la “discesa Caprilli”, NdA] est formée par un dévaloir presque verticalde 6 metres de haut environ, le long duquel le cheval se laisse glisser comme uneavalanche pour se recevoir au bas sur un bon terrain mou. Cet obstacleimpressionnant n’est, à vrai dire, pas difficile, mais constitue un bon exercice pourle cheval comme pour le cavalier. Les profanes sont très friands de ce spectacle qui,pour beaucoup de gens, observateurs superficiales, incarne l’équitation de Tor diQuinto. Un obstacle autrement plus sérieux et difficile est constitué par un fossé trèsprofonde précédant un contre-haut en maçonnerie. La moindre faut peut occasionerla chute en arrière du cheval e de son cavalier. […] A eux seuls, les exercices de parcours en campagne, exécutés par classe, suffiraientà donner la plus haute idée du sérieux avec lequel ont travaille à Tor di Quinto et dela perfection de résultats qu’on y obtient. Dans ce travail, l’instructeur, précédantsa classe échelonnée par un à très grande distance, la conduit à vive allure à traversla campagne si riche en obstacles difficiles, talus, passages de route, fossés et surtout

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la traditionnelle «staccionata» toujours solide, élevée et souvent mal placée. On s’enva de la sorte dans un long galop pendant trente minutes à deux heures, avecquelques reprises de pas insignifiantes seulement. Un sous-officier ferme la marche,prét à secourir les malheureux dont le cheval n’a pas sufficamment retroussé le pattesen sautant. La durée du galop donne le souffle et le liant, la sévérité des obstacles,pris individuellement, met les nerfs du cavalier à une haute épreuve et donne laconfiance; c’est une rude e salutaire école de sang-froid et de courage pour un chef depatrouille. Comme épreuve pratique d’équitation de terrain c’est, à mon avis, bienprès de la limite de ce qu’on peut exiger. J’ai eu là, pour la première fois de ma vie, lanotion exacte de cavaliers «passant partout», suivant une expression employée tropfacilement chez nous et ailleurs. […] Tor di Quinto incarne pour ainsi direl’équitation italienne. On peut affirmer qu’aucune armée n’a pris aussi nettementposition pour une équitation exclusivement d’extérieur et que nulle part aiileurs lemanège n’est autant délaissé. Ce fait place la cavalerie italienne tout à fait à part67.

8. Gli insegnamenti della guerra. Le visite del re e del duce

Tra i circoli che s’interessarono all’organizzazione di partite di polo ci fu la SocietàRomana delle Cacce in Bicicletta, fondata nel luglio del 1901 da Giovanni Romano Colonnaduca di Cesarò e dal ventunenne principe Ludovico “Gino” Spada Potenziani. Gruppo dieccentrici aristocratici che si divertivano a produrre “o” di Giotto sulle facce della gente,scorrazzando per il centro storico sulle costose bici inglesi e francesi a catena di trasmissionee pneus Dunlop; in pratica, il paper-hunt su due ruote, parodia della Società della Caccia allaVolpe68. Pure alcuni ufficiali superiori di stanza a Tor di Quinto si unirono saltuariamenteall’allegra brigata, e questo ci dice quanto fascino il “corsiero d’acciaio” già esercitasse.Strumento dapprima per pochi e poi ubiquo per eccellenza, nei primi tre lustri delNovecento la bicicletta acquisì quella diffusione, dovuta ai minori costi d’assemblaggio eallo sviluppo del Touring Club e delle corse su strada (si pensi al Giro d’Italia, nato nel 1909),che finì per entusiasmare gli ambienti militari. Essi, sulla scorta di quanto si sperimentavain altre nazioni, ne incoraggiarono l’uso negli anni Novanta dell’Ottocento, promuovendobici ad hoc per i carabinieri reali e i bersaglieri69. I reparti di bersaglieri ciclisti, impegnati aiGiri d’Italia del 1911 e 1912, nonchè prossimi protagonisti della Grande Guerra, funsero dacontr’altare ai cavalleggeri, ai dragoni e ai lancieri. Possiamo dire che cavalieri e bersaglierirappresentarono le due anime di un’Italia deamicisiana, colonialista e anticlericale nel

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67 Poudret H., A Tor di Quinto, in “Revue Militaire Suisse”, a. LIII (1908), n. 5, pp. 369-379. 68 Sacchetti G., La società romana delle cacce in bicicletta, in Aavv, Strenna dei Romanisti 1996, Roma-Amor, Roma

1996, pp. 601-607. 69 Sull’introduzione e lo sviluppo della bicicletta nell’esercito italiano vedi Giuntini G., Lo Sport e la Grande

Guerra, Stato Maggiore dell’Esercito Ufficio Storico, Roma 2000, pp. 51-61. Sulla costituzione del primoreparto di Bersaglieri Ciclisti, avvenuta nel 1898 a Roma presso la Scuola Centrale di Tiro, vedi Ulzega M. P.,Teja A., L’addestramento ginnico-militare nell’esercito italiano (1861-1945), cit., p. 38.

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governo ma non nelle profondità dell’anima sociale, divisa in classi eppure unità negli scopi;le tavole di Beltrame sulla “Domenica del Corriere”, dedicate alle imprese degli uni e deglialtri nella guerra di Libia, lo testimoniano. I discorsi sul servizio che all’azione dellacavalleria strategica poteva rendere il ciclismo partirono al valico del secolo, direttaconseguenza delle ultime e più decisive innovazioni tecniche. E se è vero che appelli dideputati si levarono a favore d’una sostituzione totale dell’una per l’altro, tuttavia il semplicebuon senso e gli argomenti di cui sopra indussero gli alti comandi a non insistere sulconfronto, distinguendo le opportunità dei due mezzi. Per cui si dispose di montare in bicitutti quegli elementi ausiliari chiamati ad assicurare alla cavalleria di avanscoperta ilfunzionamento dei servizi del genio e delle sussistenze; così che l’introduzione dellabicicletta nell’esercito consentì d’assegnare al seguito delle divisioni di cavalleria i repartidi fanteria specializzati, chiamati a colmare supposte lacune nella costituzione organica dellestesse. Nel 1918, la lezione della guerra indusse le gerarchie ad incrementare il numero deiciclisti negli squadroni. Tre lustri prima, un libello di Istruzione per le Compagnie ciclisti avevaconsiderato come normale il loro impiego in concorso alla cavalleria70.

Diceva il poeta romantico Heine: «Es ist eine alte Geschichte / Doch bleibt sie immer neu».Quando, nel maggio del 1915, l’Italia entrò in lizza contro gli imperi centrali, è presumibileche più di un ufficiale, a Pinerolo e a Tor di Quinto, abbia brindato alla sua fortuna, un po’come il maggiore Drogo della Fortezza Bastiani nel Deserto dei tartari. Ma sappiamo che laprima guerra mondiale sconvolse tutti i precedenti canoni, quelli legati alle battaglie campalidove la cavalleria giocava un ruolo determinante, o per lo meno sentito come tale. Invece,con la ‘14-18 dalla guerra di movimento si passò a quella di posizionamento e logoramento,dove la logistica e l’igiene sanitaria contavano più di tutto. Ironia della sorte, centinaia digiovani ufficiali, un’intera generazione, la crema della “Nazione armata” tanto ricercatadalla politica militare sabauda, vennero sacrificati dal generale Luigi Cadorna in sciocchiassalti allo scoperto, la sciabola levata contro un’arma molto più pericolosa dell’equuscaballus: la mitragliatrice pesante con canna raffreddata ad acqua di fabbricazione tedesca71.Anche l’uso esplorativo fu un fallimento, soppiantato il binomio cavallo-cavaliere dai repartidi staffette in bici e poi dagli aviatori che effettuavano ricognizioni sulle linee nemiche. Anzi,il mito della casta di guerrieri, subordinato al concetto che «la bellezza è potere perchéraccomanda gli uomini al favore delle donne e degli estranei» (Hobbes nel Leviathan), uscìaggiornato a nuovi protagonisti: non i cavalieri antiqui di ariostea memoria, bensì gli arditivestiti di nero e armati di pugnale, il bersagliere piumato già eroico sulle sponde libiche e,soprattutto, il moderno “cavaliere dell’aria”, appunto il pilota aeronautico. Non è un casoche diversi ufficiali di cavalleria indossarono il caschetto in pelle e gli occhialoni da pilota,trovando nel ruolo dell’asso, così come fu esaltato dalla stampa, il soddisfacimento di quei

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70 Cfr. Traguardo, Ciclismo Militare, in “Rivista di Cavalleria”, a. VI (1903), n. 8, pp. 792-808; Ulzega M. P., TejaA,. L’addestramento ginnico-militare nell’esercito italiano (1861-1945), cit., p. 39.

71 Paradigmatica fu la fine del tenente di cavalleria Fulceri Paolucci de Calboli, caduto sul Carso il 18 gennaio1917. Dilaniato da schegge di schrapnel, disse: «Muoio contento di aver fatto il mio dovere»; cfr. Alessi R.,Le medaglie doro: Fulceri Paolucci de Calboli, in “Il Secolo Illustrato”, a. V (1917), n. 6, p. 199.

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principi sportivi (il duello e il record) e cavallereschi (gli onori al nemico, la cortesia nelcombattimento) dei quali si erano nutriti. Abbiamo almeno sei o sette nomi noti. GaspareBolla, del Nizza Cavalleria, direttore dell’equitazione a Pinerolo nel 1914, fu aviatore giànella guerra italo-turca del 1911-12 e poi cadde in azione nel 1915. Il glorioso Fulco Ruffo diCalabria era un tenente dei Cavalleggeri Foggia. Flaminio Avet veniva dai Lancieri diFirenze. Gastone Novelli apparteneva ai Lancieri di Montebello. Guido Masiero ai Lancieridi Novara, in cui pure si arruolò nel 1915 un ormai cinquantenne Gabriele d’Annunzio. Iltriestino Giorgio Pessi si trasferì in aeronautica dal 2° Reggimento Cavalleria. FrancescoBaracca, il nostro recordman con 34 duelli, aveva frequentato nel 1909 il corsocomplementare d’istruzione per sottotenenti a Pinerolo. L’anno successivo era statoassegnato al 1° squadrone del Reggimento Piemonte Reale di stanza a Roma, allievo a Tordi Quinto del tenente Guido Luigi. Nel 1911 s’era distinto ai concorsi internazionali di Torinoe di Roma, mentre nel 1913 aveva superato il metro e novanta in una prova di elevazione.L’amore per i biplani era sbocciato nel 1912 al campo aviatorio di Centocelle, su modelliFarman e Bleriot impiegati nella scuola allora diretta dal conte colonnello Alberto Corderodi Montezemolo. Il cavallino rampante nero dipinto sulla carlinga del velivolo di Baraccasimbolizza – a nostro modo di vedere – la vicinanza etica dei cavalieri dell’aria a quelliterrestri. Tesi avvalorata da un dettaglio: nel dopoguerra, invalse a Pinerolo l’usanzad’accompagnare, al termine del corso, gli allievi ufficiali di prima nomina all’aeroporto diVenaria Reale, per far prendere loro visione degli ultimi ritrovati dell’aviazione militare72.

D’altronde, considerando che la Grande Guerra fu un bagno d’acciaio capaced’accelelerare tecnologie conosciute ma non ben sperimentate come i sottomarini, isemoventi d’artiglieria e i carri armati, spento il rombo dei cannoni fu chiarissima una cosa:la cavalleria per valenza strategica aveva fatto il suo tempo. Rimaneva utile nella funzionedi forgiatrice d’animi atti al comando; forziere di tradizioni care a chi voleva le statue dei red’Italia tutte equestri; magari anche bacino da cui pescare campioni dello sport. Ma che nonsi parlasse più di azione dirimente in battaglia. E davvero coerenti e generose, ma nonrispondenti alla realtà dinamica, erano suonate nelle aule del Senato, il 17 aprile del 1916, leparole d’incipit con cui il Roccagiovine, il fondatore della Scuola di Tor di Quinto, avevaperorato la sua «questione ippica». Discorso d’addio giacché sarebbe morto, sessantatreenne,di lì a pochi mesi: «Tra gli elementi indispensabili alla preparazione di un esercito e forsel’unico che non si possa improvvisare, imponesi la produzione del cavallo […] dotato dellequalità di sangue e robustezza richieste dalla guerra moderna»73.

Del Roccagiovine, nel dopoguerra restarono le vestigia nella misura del suo nome

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72 Cfr. Alegy G., A caccia di aeroplani. L’asso come sportivo nella prima guerra mondiale, in (a cura di Teja A., IlariV., Alegi G., Belloni E., Fabrizio F., Giuntini S., Tamblè D.), Lo sport alla Grande Guerra, Quaderni dela SocietàItaliana di Storia dello Sport, n. 4, Nuova Immagine, Siena 2014, pp. 132-147; Pugliaro G., Cento anni diequitazione militare italiana, Stato Maggiore dell’Esercito Ufficio Storico, Roma 1993, p. 53;https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_degli_assi_italiani_della_prima_guerra_mondiale.

73 Di Roccagiovine L., Sulla questione ippica – discorso pronunciato nella tornata del 16 aprile 1916, in: Atti Parlamentari. Cameradei Senatori. Legislatura XXIV prima sessione 1913-1916, Discussioni, vol. II, Tip. del Senato, Roma 1916, p. 2483.

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scolpito all’entrata della Scuola di Tor di Quinto. Tuttavia, la filosofia di conduzione e gliscopi prefissati mutarono alquanto, in specie negli anni Trenta. Anche se due reggimentidi grande tradizione, quali il “Genova” e il “Novara”, si erano eroicamente sacrificati nellaritirata di Caporetto, i cavalieri appiedati e trasformati in nobili fanti mentre tutt’intornomiriadi di fantaccini, emersi dal luridume delle trincee, scappavano a rotta di collo davantiall’avanzata degli austriaci, gli insegnamenti che l’immane conflitto aveva impartito nonli si poteva ignorare74. Si ripartì, così, a ranghi un poco ridotti. Il primo corso post-bellicoiniziò il 5 dicembre 1920, sotto la direzione del tenente colonnello Giacomo Antonelli e delcapitano Piero Dodi. Vi parteciparono 21 ufficiali, compreso un albanese. Tra loro, notiamoi nomi di Francesco Formigli, vincitore di numerosi concorsi internazionali, e di TommasoLequio di Assaba, reduce col suo Trebecco dal trionfo nel parcours de chasse, cioè il salto adostacoli individuale, ai Giochi Olimpici di Anversa. Evento che aveva visto a medaglia altriquattro diplomati a Tor di Quinto: Ettore Caffaratti (pinerolese purosangue, uscito dalCollegio Militare di Roma), Giulio Cassandra e Carlo Asinari di S. Marzano (2° Gruppodel 1908 insieme al Fourquet), Alessandro Alvisi. Il corso inaugurale durò fino al 5 maggio1921. Gli esami, svolti il 24, furono preseduti dal generale Francesco Grazioli, nella suaqualità di direttore superiore delle scuole militari75. Quello stesso anno, il corso riacquisì ilregolare format, strutturato su due anni solari, il primo da ottobre a fine dicembre e ilsecondo da gennaio a fine marzo. L’Ippodromo Militare di Tor di Quinto, con due nuovetribune in muratura erette ai lati del palco centrale in legno, riprese parimenti il suoprogramma di steeple-chase per i cavalieri gentiluomini e gli ufficiali della Scuola. Nel 1923,il Ministero della Guerra concluse con la Società degli Steeple Chase d’Italia, presiedutadal marchese Giacomo Marignoli, un accordo secondo il quale l’impianto veniva dato inusufrutto per la durata di dieci anni, stante l’obbligo di garantire alla Scuola il diritto dicontinuare ad avvalersi del percorso siepi ad essa riservato e la possibilità d’indire corse.Grazie allo spirito d’iniziativa del segretario della società, il conte Vincenzo Pollio, anchelui ex allievo e poi istruttore a Tor di Quinto, l’ippodromo s’indirizzò soprattutto verso lecorse a ostacoli. Nel 1933 subentrò nella gestione la Società per l’Incremento delle Corse,pure diretta da Pollio. Essa avrebbe continuato fino all’aprile del 1943 ad indire riunioniippiche, mantenendo agli ufficiali i tradizionali privilegi76.

Sinergica all’attività delle due scuole di equitazione militare fu l’opera svolta dallaSocietà per il Cavallo Italiano da Sella che, nata nel gennaio del 1913 in Roma77, duranteil fascismo ebbe alla guida il generale Luigi Airoldi di Robbiate. Nel 1927 essa si trasformòin Federazione Italiana degli Sport Equestri, di concerto alla linea accentratrice assuntadal Coni per volere di Mussolini e messa in opera, tra il 1925 e il 1930, da Lando Ferretti

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74 Perirono nel conflitto anche due ufficiali che avevano prestato servizio come istruttori a Tor di Quinto neglianni 1904-1910: Gaspare Bolla e Alberto Acerbo; cfr. Giuntini S., Lo Sport e la Grande Guerra, cit, p. 165.

75 Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1898-1925, vol. 0266, a. 1920.76 Acs, Archivi di famiglie e persone, Pollio Vincenzo, busta 14, fasc. 58 “Relazione Tor di Quinto”.77 Il primo consiglio direttivo della Sics fu così costituito: presidente il tenente generale Luigi Berta, vicepresidente

il maggiore generale Gennaro Solinas, segretari il conte Guido Suardi e il capitano Carlo Giubbilei,all’amministrazione il prof. Guglielmo Francini. La sede stava alla Passeggiata di Ripetta, civico 25.

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e Augusto Turati78. Tali accordi e sviluppi favorirono l’andamento sempre più sportivodella Scuola di Tor di Quinto. Gli allievi, provenienti dai reggimenti e da Pinerolo,qualcuno dall’artiglieria di campagna, dai carabinieri e dalle scuole o dai distretti militari,tornarono alla media di una trentina a sessione, per salire a 40, 50 e perfino 67. Si inserironoparecchi ufficiali esteri. Ad esempio, nel secondo gruppo del 1921-22, un giapponese, unosvedese, un finlandese e un norvegese: a loro furono assegnati i cavalli migliori, com’eracortesia fare. La presenza di questi cavalieri rimarrà una costante nel periodo tra le dueguerre mondiali, basculante verso i paesi “amici” a seconda di come si orientava la politicaestera del regime79. Tendenza, come abbiamo visto, pre-esistente e ripresa subito dopo laguerra, allorché vari ufficiali appartenenti alle nazioni alleate erano venuti a curiosare. E,fra loro, dei protagonisti alle Olimpiadi di Anversa80.

Lungo tutti i “roaring twenties” – un lasso di tempo in cui in Italia la parte alto-borghesedella società s’ingegnò ad imitare il tono gaio della belle époque – la qualità dell’istruzionedei cavalieri di Tor di Quinto si mantenne elevata, valendosi la Scuola di istruttori oramaiespertissimi nell’applicazione del verbo caprilliano. Dal 1921 al 1927 guidò i corsi il tenentecolonnello Giovanbattista Starita, un barese mutilato di guerra, brillante fox hunter tra l’altro.Gli successero Ettore Caffaratti (1928-31) e Francesco Formigli (1932-34). Come istruttori,si alternarono, fino alla metà degli anni Trenta, Guido Luigi, Piero Dodi, Leone Valle, GiulioCacciandra, Alberto Lombardi, Francesco Forquet, Giorgio Calvi di Bergolo, MarioGrignolo, Tommaso Lequio d’Assaba, Alberto Litta Modignani, Tomaso Salazar, EustachioDel Duca, Bruno Bruni, Antonio Soliani Raschini, Ettore Bocchini81. La Scuola disponeva,vicino al fabbricato, d’un piccolo campo ostacoli, detto “della valletta”, provvisto di murettidai nomi bizzarri, uno si chiamava “il pianoforte”. Mentre, per gli esercizi di salto ostacolidi più lungo fiato, le corse steeple-chase e quelle per le pattuglie, c’era l’attiguo ippodromomilitare del 1889. (Ora solo riservato alle corse al galoppo, giacché dal 1911 un nuovoimpianto ai Parioli, fatto edificare dal conte Felice Scheibler, aveva accolto il pubblico deltrotto). Posta quasi al centro di un’area innervata dalla via Flaminia, cui scorrevano accantoil sinuoso e angusto Tevere e la roboante Ferrovia Nord, in un paesaggio eternato dai pittoriromantici fiamminghi e tedeschi, la Scuola negli anni Venti incrementò la sua fama di WestPoint della cavalleria italiana. Arma aristocratica per eccellenza, la cavalleria, pure se, nel1927, gli alti comandi pensarono bene di diffondere una circolare nella quale spiccava lapremessa che, senza un’autentica passione per il cavallo, era meglio non entrare nei ranghi.Ma questa diffida non spaventava i giovani uomini di alto ceto che frequentavano i corsidi equitazione di campagna: loro il feeling, l’ippofilia, ce l’avevano nel sangue. Nel 1923registriamo, tra gli allievi, Filiberto di Savoia duca di Pistoia e Amedeo di Savoia duca delle

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78 Annuario dello sport italiano per l’Anno XIV E.F., Coni, Roma 1935, pp. 635-637.79 Ivi: anni 1921, 1922.80 Ad esempio, il capitano degli Ussari Philip Bowden-Smith, quarto ad Anversa 1920 e team-captain della

squadra inglese di salto ostacoli nel 1932. Bowden visitò sia Pinerolo che Tor di Quinto, scrivendo articoliper le riviste specializzate del suo paese; cfr. http://www.lrgaf.org/military/cavalry-italian.htm.

81 Badino Rossi M., Pinerolo. L’arte equestre italiana. La sua fucina. I suoi artefici, cit, pp. 504-505.

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Puglie. Nella primavera del 1924 il principe Ruffo di Calabria, al trapasso dei quaranta,decise di prendere finalmente il suo master82.

Certamente, l’atmosfera da circolo degli ufficiali non si attenuò nella fase politica assaiburrascosa in cui il fascismo prese slancio col beneplacito di Casa Savoia. Essa scaturivadalla commistione con i gentlemen riders e le loro dame, col corollario di occasionali duellid’onore. Nel 1928 toccò a Lequio venire sfidato alla sciabola dall’allievo Francesco diCampello, non esattamente virilissimo cavaliere, amico d’infanzia del principe Umberto diSavoia nonché figlio del conte Pompeo e della principessa Guglielmina BoncompagniLudovisi, al quale l’ex ardito aveva con successo insidiato la moglie Margherita Varè83.. Eforse fu proprio questo spirito gattopardesco a far ritenere alla Scuola il prestigio guadagnatonel suo primo ventennio d’esistenza. Fascino che perdurava nel 1936, allorché il filmmelodramma Cavalleria, presentato alla quarta edizione della “Mostra Cinematografica diVenezia”, interprete un giovanissimo Amedeo Nazzari, riscosse un incontestabilegradimento di critica e di botteghino84.

Le frequenti visite del re, in precedenza segnalate dalle fotografie sulle riviste illustrate,nel dopoguerra si arricchirono dei reportage su pellicola realizzati dall’Istituto Luce e inseritinei cinegiornali. In cineteca contiamo almeno una dozzina di reperti, di cui otto, spaziantidal 1928 al 1937, direttamente collegati alla Scuola e ai saggi finali. Due filmati, datati marzoe dicembre 1929, testimoniano come il sovrano assistette quell’anno a entrambe le sessionidi esami, secondo un rigoroso cerimoniale che prevedeva l’arrivo in auto all’ippodromomilitare, lo squadrone a cavallo schierato su una linea, la presentazione al direttore dei corsie agli istruttori, infine la prova degli allievi. Questa avveniva nel percorso recintato antistantel’ippodromo e disseminato di staccionate, muretti, sieponi, fossi, terrapieni e rusticiabbeveratoi. Carosello seguito dal cross-country tra le collinette, su e giù per i calcinati sentieriscavati, stagione dopo stagione, dal passaggio dei cavalieri85. Lo scenario non muta nelrepertorio filmico degli anni Trenta. Si nota, tuttavia, la presenza d’un pubblico di borghesimisto ai militari. Sul piano dell’addestramento, è evidente, nel dopoguerra, un maggiorassortimento degli ostacoli, più raffinati nella fattura. Ad esempio, il “muro” fu ampliato, inmodo che fosse possibile passarlo per più cavalieri alla volta. L’allievo non risultava idoneoall’esame se falliva in quella specifica prova, non particolarmente difficile sul piano tecnico,come abbiamo appurato, e che però rimaneva il vanto e il genius loci di tutta la Scuola86.Rispetto ad un’analoga esibizione di uno squadrone del Kansas del 1936, balzano all’occhiodue differenze: l’inserimento di manovre d’alta scuola e la minore lavorazione degli ostacoli,lasciati più “naturali” dai cavalieri dello US Army. Lo stile, invece, è proprio quello caprilliano.

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82 Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1898-1925, vol. 0288, aa. 1921, 1922, 1923, 1924,1925, 1926, 1927, 1928.

83 Episodio citato in Pennone V., “Savoia Cavalleria”. Uno strumento di identità militare e sportiva, in (a cura di TejaA., Giuntini S., Palandri M. M.), Sport e identità. Atti del II Convegno Nazionale SISS - Firenze 5 maggio 2012,Quaderni della Società Italiana di Storia dello Sport, n. 1, Lancillotto e Nausica, Roma 2012, p. 48.

84 Cromo M., La Mostra del Cinema a Venezia, “La Stampa”, 22.10.1936.85 Giornali Luce A0300, A0491 del marzo-dicembre 1929.86 Giornali Luce A093, A0938 del gennaio-marzo 1932.

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Uno stile assai peculiare, cui i nostri ufficiali, in un’epoca di sciovinismo spinto, dedicaronomolti scritti, preoccupati di dimostrare con argomenti teorici la superiorità della montaitaliana sul salto e in campagna87. Questi preziosi filmati Luce, arricchiti del sonoro, dasequenze al rallentatore e resi più spettacolari dall’uso audace delle cineprese, allargarono adismisura la gloria della Cavalry School of Tor di Quinto. Essi furono venduti agli americanidella Paramount e ai britannici che, tramite due potenti agenzie giornalistiche, la MovietoneNews e la Universal Newspaper Newsreel, li diffusero nel loro impero coloniale88.

Nel marzo del 1934, il piacere di visitare la Scuola con tutti gli onori del caso spettò aBenito Mussolini, lui medesimo cavallerizzo imperfetto ma costante, nonché veroappassionato di corse al trotto e dei concorsi di equitazione. Si presentò in abiti borghesi,accompagnato dal cancelliere austriaco Dolfuss e da dignitari del Siam armati di minuscolereflex portatili89. Due anni dopo, nel giugno del 1936, questa volta in uniforme insieme alministro tedesco Von Blomberg, il duce si godette le esercitazioni congiunte di reparti sceltidi cavalleria, di bersaglieri motociclisti e di «carri veloci», cioè i nostri modelli di autoblindoFiat-Ansaldo destinati a malfigurare in guerra. «Acrobatiche evoluzioni a cavallo e fantasiedi reparti coloniali» chiusero lo show, quasi circense in alcuni numeri, con i bersaglieri inbilico su passerelle o discendenti rampe di scalini. Scene che, a vederle col senno di oggi,suscitano un sorriso di compatimento nella loro ingenuità, ma capaci, all’epoca, di strappare«il plauso ammirato del capo delle forze armate del Terzo Reich». Un’esibizione similare siripeté in autunno, per il generale jugoslavo Beric in visita in Italia90. Col regime si passò, indefinitiva, dalla composta serietà dei saggi al cospetto del piccolo re in mantella, al Barnum,piuttosto volgarotto, di robusti bersaglieri-acrobati, auto corazzate e cavalli ches’incrociavano in una giostra surreale. La società di massa s’era finalmente inserita. Il duce,prodotto del popolo, del socialismo e della guerra combattuta dai contadini in trincea, eraandato verso il popolo. Della vecchia cavalleria – come lo stesso faceva intendere – rimanevaconsumabile il valore spirituale91.

La Federazione Sport Equestri funse da volano alla decisa deriva sportiva dellacavalleria. Nata nel momento esatto in cui il numero due del PNF, Augusto Turati, portavaa dama il piano mussoliniano di concentrare sotto il partito fascista tutte le forze sportive di

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87 Giornale Luce A0882 del 13 maggio 1936.88 Cfr. British Movietone News, Crack Riders Thrill of Italy 1932, in: https://www.youtube.com/watch?v= huJ=aF-

DVyI; King of Italy sees Tor di Quinto Ride, 1934, in: https://www.youtube.com/watch?v=aFmSyW1pYI489 Giornale Luce B0437 del marzo 1934. Sulle qualità del duce a cavallo, vedi Impiglia M., Mussolini sportivo,

in (a cura di Canella M., Giuntini S.), Sport e fascismo, Franco Angeli, Milano 2009, pp. 26-30. 90 Giornali Luce B109 del 9 giugno 1937, B1206 del 24 novembre 1937. 91 Significativo, in tal senso, è il cambiamento di copertina che la “Rivista di Cavalleria” presentò all’inizio degli anni Trenta:

tre cavalieri in primo piano col volto e il fisico del duce; quello centrale reggente un vessillo tricolore, il casco rotondo dafante sul capo, e in alto a destra il motto firmato da Mussolini che spiega ogni cosa: «La Cavalleria è una riserva di energiespirituali per l’Esercito e la Nazione». Nell’ottobre del 1942, uno dei cavalieri più bravi nei percorsi di campagna, il conteBorghini Baldovinetti de’ Bacci, arruolato nel Reggimento dei Lancieri di Novara, scrisse dal fronte russo una lettera aVincenzo Pollio, due mesi dopo un’azione che gli aveva procurato una medaglia d’argento. Tra le altre cose, il testo diceva:«Questa guerra ha dimostrato ancora una volta che le energie spirituali e fisiche che dà lo sport ippico sono quelle chemaggiormente rifulgono sul campo di battaglia»; cfr. Notizie al galoppo, in “Cavalli e Corse”, a. IX (1942), n. 12, p. 12.

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matrice liberale, la Fise mirò al duplice obiettivo dell’incremento della pratica equitatoria edella commercializzazione degli eventi ippici. Ci riuscì abbastanza bene, considerando chele società affiliate toccarono quota 34 nel 1938, e i tesserati oltre 1.20092. Milano e Roma furonole città con più sodalizi. La capitale da sola arrivò a contarne cinque, giacché alla Societàdella Caccia alla Volpe si affiancarono due di cross country, una per il polo e una diequitazione. I concorsi ippici raddoppiarono di numero, passando da 14 a 33 tra il 1921 e il1934. Piero Dodi istituì un “centro di preparazione olimpionica”, punta di diamantedell’intero movimento agonistico. Tali indici e previdenze diedero agio al Coni, dal 1933guidato dal segretario del partito Achille Starace93, di rivendicare di stare servendo l’equi -tazione sulla mensa della gente. Pretesa campata in aria, in quanto né l’Opera Dopolavoro,né i Gruppi Universitari Fascisti, e tanto meno la Gioventù Italiana del Littorio incluseromai seriamente l’equitazione nei loro programmi. Eppure, all’abbrivio dell’Anno XII E. F.,Lando Ferretti poteva scrivere su un volume curato dal Coni:

Mentre l’equitazione continua a prosperare nell’inquadramento delle nostreorganizzazioni sportive, si è svolta accanto all’attività agonistica un’opera di diffusionee di propaganda efficacissima che non mancherà di dare i suoi benefici frutti. Le scuoledi equitazione sono aumentate di numero, ma più affida per gli sviluppi del nostrosport la pratica della sella entrata sempre maggiormente nell’ordinario delleorganizzazioni giovanili del Regime. Corsi d’equitazione per Avanguardisti e Giovanifascisti assicurano per l’avvenire un materiale di prim’ordine: l’equitazione è stataportata fuori dalla cerchia ristretta di coloro che potevano permettersi questo sport comeun lusso, ed ora è un campo aperto a tutti quelli che per attitudine e passione possonoportare un contributo efficace alla sua prosperità ed alla sua maggior fortuna94.

9. Si compie il declino della cavalleria: lo sfogo nello sport

C’è, nella parabola seguita dalla cavalleria militare in Italia, un punto di non ritorno.Identificabile nell’istituzione, nel 1928, dell’Ispettorato Truppe Celeri, ufficio deputatoall’organizzazione di unità ibride di cavalieri, bersaglieri, artiglieri e carristi95. Novitàche segnò lo smembramento calibrato dell’arma, con la diminuzione progressiva del

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92 Cfr. Favre S., Cifre del C.O.N.I., in “Lo Sport Fascista”, a. XII (1939), n. 1, p. 10. Come pietra di paragone,possiamo dire che, ventisette anni dopo, e cioè nel 1965, i cavalieri agonisti iscritti alla Fise erano ancorapoco sopra il migliaio, mentre oggi i tesserati atleti sono circa 111.000.

93Achille Starace era, al pari di Mussolini, un volenteroso cavallerizzo, figura conosciuta dai cavalieri agonistigiacché assunse la presidenza della Società Romana di Equitazione e della Società Incremento Corse. A luisi deve la proverbiale espressione “datevi all’ippica!”, rivolta a dei medici dello sport spazientiti perché ilgerarca era arrivato in ritardo all’apertura di un loro convegno a Roma.

94 Lo Sport in Regime fascista, Coni, Roma 1935, pp. 56-57. 95 Negli anni Trenta, uno degli ispettori delle Truppe Celeri fu il generale Carlo Giubbilei. A Tor di Quinto,

l’ibridazione carri veloci / cavalli venne gestita nel 1928 dal colonnello Murari della Corte Bra’, che diedecosì un particolare carattere di sperimentazione all’attività dell’istituto; cfr. Badino Rossi M., Pinerolo. L’arteequestre italiana. La sua fucina. I suoi artefici, cit, p. 455.

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numero dei reggimenti, sostituiti dagli specialisti dei mezzi meccanizzati. Divenire«cavalieri d’acciaio», i protagonisti della guerra moderna, oppure restare «cavalieri delcuore», ancorati a un’attitudine romantica propria dell’Ottocento? Questa fu la domandache ci si poteva porre al volgere degli anni Venti. La soppressione, avvenuta nel 1934,del Reggimento Guide a favore d’un reggimento composto da tre squadroni di carriarmati e uno solo di cavalieri, non fu più di tanto messa in discussione. Essa determinòun ulteriore colpo inferto, giacché il decreto legge del 3 agosto assegnò all’arma i dodicireggimenti già presenti nel 1932, di cui uno di “carri veloci”, per un rapporto di 1: 9,25rispetto alla fanteria; all’entrata in guerra, i reggimenti erano stati 3096. Dal primo lugliodel 1936, uno squadrone di autoblindo prese stanza alla Scuola di Pinerolo, all’epocacomandata dal colonnello Federico Ferrari Orsi97. Nello stesso tempo, gli autocarri Fiat38R affiancarono gli equini in reggimenti ibridi completamente asserviti alla causafascista, in cui i reparti di cavalleggeri – notoriamente fedeli a Casa Savoia – furonosciolti o s’integrarono nei reparti dei mitraglieri. Nel 1938, gli ultimi mohicani eranovisitabili, quasi fossero esiliati in riserve apposite, in due divisioni del Corpo di ArmataCelere, all’interno delle quali il contingente dei cavalieri montati appariva poca cosa, incomparazione alle truppe motorizzate. Allorché il 19 marzo furono ricostituiti, pressola caserma “Sacile” della Scuola Truppe Celeri di Civitavecchia, i Lancieri di Milano,essi si riformarono su due squadroni di cavalleggeri, due plotoni di mitraglieri e uno diautoblindo. Il colonnello Manzotti consegnò la tromba d’argento che aveva squillato,nell’autunno del 1918, le note della Fanfara Reale in ogni paese liberato98. Ma tuttoquesto riguardava un passato remoto: l’argento doveva cedere all’acciaio. Ed è difficilenon ravvisare in ciò la ricerca sì dell’utile e del razionale, ma anche una volontà precisadi Mussolini di umiliare il corpo militare sabaudo per antonomasia, caro all’aristocraziache lo derideva nei salotti o quando faceva le sue esibizioni di nuotatore intemerato allido di Venezia. Fargliela vedere agli ufficiali che baciavano lo stendardo azzurro-rosso-crociato e alimentavano un anti-fascismo altezzoso, come nel 1937 si peritava dimostrare il conte Raffaele Cadorna al Savoia Cavalleria99. Una volta iniziata la mischiacon gli inglesi, i russi e gli statunitensi, molti cavalieri, per non rischiare di rimanere alpalo nella corsa alla gloria, sarebbero diventati paracadutisti. I ragazzi delle DivisioniFolgore, Nembo e Ciclone ebbero, pertanto, la loro quota di sangue blu, ma non cosìampia come era stato per l’aviazione nella Grande Guerra. Un altro segnale che i tempierano cambiati, e l’icona del guerriero bello, che va in battaglia per il piacer suo, nonera più un’esclusiva delle classi alte100.

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96 Una disamina della discussione in senato, che coinvolse il generale Ugo Sani, un diplomato a Pinerolo nel1892, e il ministro Federico Baistrocchi, sulla soppressione del reggimento Guide sta in: Ordinamento etrasformazione dell’Arma di Cavalleria, in “Rivista di Cavalleria”, a. I nuova serie (1934), n. 3, pp. 24-26. Per idati statistici, vedi anche le tabelle pubblicate sul numero del gennaio-febbraio 1938 del medesimo periodico,alle pagine 28-31.

97 Aussme, Scuola di applicazione di Cavalleria. Memorie Storiche 1926-1943, vol. 0267, a. 1936. 98 Rinascita dei Lancieri di Milano, in “Rivista di Cavalleria”, a. V nuova serie (1938), n. 2, pp. 94-95.99 Gianoli L., Savoye bonnes nouvelles. L’ultima carica della cavalleria italiana, Ed.Equestri, Milano 1988, p. 8.

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Il declino dei reparti di cavalleria come agente bellico ebbe il rovescio della medaglianella valorizzazione del lato sportivo dell’affaire. È noto che l’ideologia e la prassi fasciste,sui temi dell’educazione fisica e dello sport, vagheggiarono la costruzione d’un “italianonuovo” che fosse allo stesso tempo un lavoratore, uno sportivo praticante e un soldato101.Trinità che, per quanto concerne gli ufficiali di cavalleria, si limitò alle due ultimeepifanie, proprio perchè si trattava d’un essere che proveniva dall’Ottocento: lamassificazione e il totalitarismo non gli si confacevano. Così, questa sorta di cavaliere dibriscola al seme di spade, armigero d’élite sopra e sportsman sotto, fu il protagonista dellastagione felice della Fise negli anni Trenta. Non è un caso che i volumi dati alle stampegià all’epoca, e poi ancora negli anni Quaranta e Cinquanta fino all’Olimpiade di Roma,abbondino nella descrizione minuta di decine di nostri campioni del periodo tra le dueguerre mondiali. Eccetto rare amazzoni102 e qualche borghese in livrea rossa, essiindossarono il grigioverde, e molti con la trafila Pinerolo-Tor di Quinto sul cadreghino.A scorrere la lista dei 58 cavalieri meglio classificati nell’Anno XIII-EF (1935-36), abbiamoun console Alvisi al 33* posto, un conte Persico al 37* e un signor Lanza al 54°; per ilresto, una sfilza di capitani, tenenti e maggiori103.

Questi cavalieri militari agonisti, immersi in un sistema politico-sociale che strepitavanell’aria la sirena delle vittorie nelle arene sportive, utili ad attestare la superiorità del“fascismo latino” sulle “demoplutocrazie nordiche”, per certi aspetti si trasformarono inprofessionisti dello sport di Stato. Un’alchemica oeuvre au noir facilitata dal fatto che lecorse al trotto e al galoppo furono sempre più un business appetibile, sostenuto dai mediaimbonitori. I concorsi ippici e le altre discipline attinenti mantennero la veste amatorialee militaresca, poco interessanti per il grande pubblico, citati i cavalieri nei titoli dei giornalisolamente quando si trionfava sugli altri paesi. La Fise, d’intesa col Ministerodell’Agricoltura e delle Foreste e col Ministero dell’Economia Nazionale, sotto l’azionedel colonnello Dodi, presidente federale dal 1932 e fondatore della Società per il CavalloItaliano (ente che nel 1925 aveva aderito alla Federazione Equestre Internazionale), estesela sua attività non solo al cavallo da sella, ma a tutti i cavalli indigeni, esclusi i purosangueinglesi e i trottatori da corsa. La nascita, il 24 maggio del 1932, dell’Unione Nazionale perl’Incremento delle Razze Equine (Unire), e il regio decreto del 15 dicembre 1932 che

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100 Ulzega M. P., Teja A., L’addestramento ginnico-militare nell’esercito italiano (1861-1945), cit., p. 126.101 Sul concetto di uomo nuovo applicato allo sport, vedi Fabrizio F., Sport e fascismo. La politica sportiva del regime

1924-1936, Guaraldi, Rimini-Firenze 1976, pp. 113-119.102 Citiamo Josepha Giuseppina Pia Ruspoli duchessa di Morignano, le figlie e le mogli di cavalieri, quali la

Alline Bruni, la Vera Bate Lombardi, la Chilesotti, la Bocchini, la Cacciandra, la Rivola, la Radicati, la Felisi;cfr. Annuario Italiano dello Sport per l’Anno XIV-E.F., Coni, Roma 1936, p. 656. Riguardo alla Vera BateLombardi, moglie dell’istruttore Alberto Lombardi, essa fu oggetto d’indagine da parte dei servizi dicontrospionaggio e della polizia politica, che la sospettarono una spia per le sue abitudini spiccatamentemondane e la sua cittadinanza britannica. Su di lei, nel 1936 venne inviato un rapporto al Ministero degliinterni e a quello della guerra; cfr. Vaughan H., Dans le lit de l’ennemi. Coco Chanel sous l’Occupation, A. Michel,Paris 2012, p. 111.

103 Forti A., I professionisti dello sport inquadrati nello Stato Corporativo, in “Lo Sport Fascista, a. VI (1933), n. 12,pp. 41-43; Annuario Italiano dello Sport per l’Anno XIV-E.F., cit, p. 656

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riconobbe giuridicamente lo status degli sportivi professionisti, contribuirono a creare unmodello pressoché perfetto: caccia a cavallo, concorsi ippici, equitazione di fondo su unversante104, corse col totalizzatore sull’altro versante, rullanti in una ventina di ippodromiquasi tutti rifatti in cemento armato: dal San Siro di Milano all’Agnano di Napoli al Bu-Setta di Tripoli. Col miraggio, per la vasta platea dei non appassionati ai cavalli, dei milionida vincere alla Lotteria Ippica Nazionale di Merano, dal 1935 abbinata al Gran Premio dicorsa ad ostacoli105. Alla fine del 1936, sulla spinta delle sanzioni economiche deliberateall’Italia dalla Società delle Nazioni per l’aggressione all’Etiopia, nell’Unire fu istituito unEnte Nazionale per il Cavallo Italiano (Enci), inteso a realizzare l’autarchia nel campoippico, in sintesi: «mettere il paese nelle condizioni necessarie e sufficienti per produrre,entro i confini della patria, tutto quanto può occorrere all’esercito, all’agricoltura e allosport italiano». A presiedere l’Enci fu chiamato il Giubbilei, che fondò stazioni selezionateche prendevano in esame puledri all’età di 18-30 mesi, concedendo premi di rassegna edi allevamento, tra cui un premio nazionale che andò avanti fino allo scoppio dellaguerra106. L’ippica commerciale ebbe così il suo nutrimento e il suo spazio di manovra,dovuti a uno sport che era fonte di diritti erariali d’entità inferiore solo al calcio, e assaipiù cospicui del ciclismo, della boxe e dell’automobilismo107. Al pari di queste disciplineamate dalla gente, l’ippica fornì benzina alla grandeur del regime. Nel senso che, quandocapitò l’opportunità di magnificare le vittorie d’un trottatore o d’un galoppatore, i giornalinon ci pensarono due volte a presentare la cosa come un successo dovuto al fascismo.L’impresa di Nearco al “Grand Prix de Paris” a Longchamps nel 1938 venne appaiata aquella appena compiuta dagli “azzurri” al campionato del mondo di calcio, entrambe«figlie dello stesso clima, nutrite e vivificate dalla medesima linfa»108. “La Gazzetta delloSport” discettò addirittura di «genialità della razza», e ci sarebbe da domandarsi se lapolitica razziale, pedissequamente applicata dal Coni pochi mesi dopo, non influenzò laFise e i due centri di Pinerolo e Tor di Quinto. Probabilmente sì, a giudicare dai nomi di

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104 Nel maggio del 1930 i raid ripresero con una prova in quattro tappe a Torino, circa 300 km., vinta dal tenentecolonnello Cacciandra del Nizza Cavalleria. Cinque anni dopo, si svolse la prima edizione della Milano-Vercelli-Torino, di circa 100 km, vinta dal capitano francese Sougnac; cfr. Carboni G., La gara militare ippica diresistenza, in “Lo Sport Fascista”, a. III (1930), n. 7, pp. 61-63; Morelli di Popolo C. A., La scuola di cavalleria diPinerolo, cit, pp. 120-121. Il “Campionato del Cavallo d’Arme” o “Campionato Ippico Militare”, in era fascistacontinuò a tenersi a Tor di Quinto. Rispetto alla formula del primo dopoguerra aumentò le difficoltà, inquanto ritenuto prova olimpionica preparatoria al concorso del completo. Nel 1934 la ventitreesima edizionefu vinta da Carlo Pirzio Biroli, reduce dal corso di Tor di Quinto dell’ottobre-dicembre 1933; cfr. Pirzio Birolialla presenza del re vince il XXIII Campionato Militare, “Il Littoriale”, 26 aprile 1934.

105 L’Unire ebbe come presidente il barone Luigi Airoldi di Robbiate e a segretario generale il cavalier VincenzoPollio, promotore della costruzione di molti ippodromi, deus ex machina delle corse al trotto e al galopponegli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta. Tra i suoi consiglieri, l’Unire aveva il torinese Federico Tesio, cioèil massimo allevatore di purosangue inglesi nella storia dell’ippica italiana.

106 Cfr. Blanco A., Orizzonti autarchici per l’ippica italiana, in “Lo Sport Fascista”, a. XI (1938), n. 9, pp. 27-29;Giubbilei C., Per il cavallo italiano di mezzo sangue, in “Lo Sport Fascista”, a. XI (1938), n. 12, pp. 39-43.

107 In diritti Siae, e per i soli concorsi, l’ippica era quinta con 701.763 lire. Il calcio era primo con oltre 19 milioni;cfr. Viero E., Cifre e incassi dello spettacolo sportivo, in “Lo Sport Fascista”, a. XI (1938), n. 5, pp. 61-65.

108 Nearco, il cavallo fenomeno, sbaraglia i vincitori di due Derby nel Gran Premio di Parigi, “Il Littoriale”, 27 giugno 1938.

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ascendenza ebraica contenuti nei registri delle due scuole. Ma non ne è rimasta traccia109. Il regime esaltò dunque l’ippica ma anche i più clamorosi successi dell’equitazione. Ad

esempio, il bronzo olimpico a Berlino 1936 vinto nel pentathlon moderno da Silvano Abba,cavaliere uscito dalla triade Accademia di Modena - Scuola di Pinerolo - Scuola di Tor diQuinto. Oppure il primato mondiale di elevazione di Antonio Gutierrez, stabilito il 27ottobre 1938 a Piazza di Siena. Anche le vittorie nella coppa delle nazioni al “Concorso IppicoInternazionale di Roma” furono viste in un’ottica aggressivamente nazionalista, in speciein chiave anti-francese nel triennio dei governi del Fronte Popolare di Léon Blum. L’eventofu ospitato a Piazza di Siena nel 1922-23, quindi all’ippodromo di Villa Glori (1926-28), perritornare in pianta stabile nella cornice di Villa Umberto nel 1930, perdendo, da quelmomento, la sua iniziale discontinuità. Un appuntamento molto atteso, allestito sotto l’egidadella Fise e osservante i regolamenti della Fédération Internationale Équestre110, con unadirezione mista di gentlemen e ufficiali militari. In un programma del 1931, vediamo comela figura di Caprilli, messa in evidenza nella pubblicazione, fungeva da testimonial, aricordare agli stranieri quanto l’equitazione sportiva dovesse all’Italia fascista. Tra l’altro,nei concorsi ippici importanti funzionava il bookmaker, che nella circostanza ebbe come«Commissario del Giuoco» il principe Tommaso Rospigliosi111. In proposito, non è eresiaazzardare che la memoria del Caprilli fu “fascistizzata”. Analogamente a quanto fatto conaltri eroi sportivo-militari dell’era liberale – si pensi al Baracca o al Toti –, il regime costruìun mito Caprilli, con l’obiettivo di esaltare il genio italico in un comparto non moderno, macomunque prestigioso, come la cavalleria. Così, la “Mostra Nazionale dello Sport”, ospitataal Palazzo dell’Arte Fondazione Bernocchi a Milano tra il maggio e il dicembre del 1935,nella sottosezione «Fise» del padiglione «Ippica» presentò su una parete, disposte in varievedute, le «grandi Scuole di Cavalleria di Tor di Quinto e di Pinerolo, dominate dalla figuradel Capitano Caprilli, creatore del metodo di equitazione naturale che dall’Italia ha diffusoil suo insegnamento nel mondo». A fianco, in una «nicchia perpetualmente illuminata», ivisitatori poterono ammirare «un tesoro materiale e ideale, la Coppa d’Oro di Mussolini»,cioé il trofeo da consegnare in via definitiva al paese vincitore per tre volte consecutive dellacoppa delle nazioni. In una tramezza del salone, non mancava il classico trucco al quale inostri padri s’erano assefuatti, allorché si trattava di propaganda spicciola: «fotomontaggiillustranti la Caccia a Cavallo, riproducenti scene e quadri delle Società di questo sport

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109 Vedi il documentario 1938. Lo sport italiano contro gli ebrei, curato da Matteo Marani e mandato in onda suSky Sport il 27 dicembre 2018: https://sport.sky.it/calcio/approfondimenti/giorno-della-memoria-documentario-sky-sport.html

110 La Federazione Equestre Internazionale nel maggio del 1934 accettò di riunirsi per la prima volta fuori dellasua sede parigina, e segnatamente a Roma. Nell’occasione, si discusse sulle questioni del dressage e, l’8maggio, ultimo giorno di permanenza dei congressisti, venne organizzata una visita alla Scuola di Tor diQuinto; cfr. la lettera del presidente Dodi alla segreteria del duce datata 6 maggio 1934 e il programma delCongresso, in Acs, Spd, Co, busta 1273, fasc. 510.035 “Udienza ai congressisti della Fei”.

111 Nel 1930 la presidenza della direzione del concorso spettò al marchese Giorgio Guglielmi di Vulci, mentrepresidente della Giuria fu Giovanbattista Starita: cfr. Comitato Gare e Feste di Roma, Programma del VIConcorso Ippico Internazionale. Roma 2-10 maggio 1931, Roma 1931, p. 1.

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esistenti a Milano, a Roma e nelle Venezie, fotografie dei suoi nobili cultori fra le quali quelledel Duce e di vari personaggi reali». Ma il duce cacciatore a cavallo era pura fantasia deicorifei, forse innestata dalle gelosie verso D’Annunzio di cui Mussolini da tempo soffriva112.

Federico Caprilli assurse a icona d’eccelsa italianità nella propaganda fascista. Ok,ma, ammesso questo, che fine aveva fatto, in realtà, il suo “sistema”? Non sorprenderàsapere che se da un lato lo si era difeso, riuscendo nel congresso romano della Fei delmaggio 1935 a far approvare delle modifiche al programma olimpico del “completo”intese a mettere i cavalieri italiani in una situazione più agevole al metodo che essiseguivano, dall’altro lato ci si era impegnati abbastanza nell’imbastardirlo e renderlo menoefficace. Due studiosi del passato, il marchese Geri Luciano Honorati (allievo a Pinerolo)e il conte Carlo Alberto Morelli di Popolo (allievo a Tor di Quinto), spiegano i cattivirisultati ottenuti alle Olimpiadi del 1928 e del 1936 con tre ordini di ragioni: 1) il nostromodello equitatorio era stato attentamente analizzato all’estero, e forse anche miglioratoda tedeschi e francesi; 2) i tracciati lineari “caprilliani” furono abbandonati in favore dipercorsi più serpentini, allo scopo di creare un handicap ai cavalli italiani menomaneggevoli di quelli dei loro avversari, cui l’integra scuola di dressage incuteva maggiortimore per il cavaliere; 3) la crisi della cavalleria indusse i nostri agonisti a personalizzaremolto lo stile, allontanandosi dai canoni insegnati nelle Scuole militari, alla ricerca strenuadel rendimento in gara. Al riguardo, il senatore Luigi Borsarelli barone di Rifreddo, postodalle gerarchie a capo del “Centro Concorsi Olimpici”, arrivò a stigmatizzare: «I cavalieriitaliani oggi lavorano i cavalli poco e male […] Per essi il lavoro consiste esclusivamentenell’esercizio del salto compiuto sempre non come ginnastica spontanea ma comedeformazione dell’andatura per passare, senza toccare e a qualunque costo, l’ostacolo alsolo scopo di conseguire un premio a dispetto di ogni tecnica e stile»113. E che le lezioniavute dai nostri ufficiali a Pinerolo e a Tor di Quinto contassero sempre meno per vincereai massimi livelli (e Caprilli era un santo esposto alle feste ma tranquillamente gabbatonegli allenamenti), lo deduciamo da un dettaglio: il 29 ottobre 1936 il presidente Dodi,creatore del Centro di preparazione Gare Ippiche della Scuola di Pinerolo da lui affidatoa Formigli, nella relazione sull’annata federale elogiò tutti e parlò di tutto, financo d’un«razionale assestamento del Polo in Roma», ma non spese una parola sulle gloriose Scuoledi equitazione114. E, a proposito del gioco del polo, fu proprio il Dodi a vendicare il “no”dei militari di tre decenni prima, creando a Tor di Quinto, nell’autunno del 1934, unasquadra militare che si appoggiò al Roma Polo Club all’Acqua Acetosa. Venne preparatadal colonnello Giuseppe Boccacci e i capitani Guzzinati e Filiasi, i maggiori AlbertoLombardi e Francesco Camicia furono i primi giocatori. Nel 1936, a Pinerolo, Dodi istituìuna Scuola Militare di Polo, col fine di preparare la partecipazione ai Giochi Olimpici del1940 previsti a Tokio. A Berlino ‘36, infatti, il polo era stato uno dei pochi sport maschiliin cui l’Italia era risultata assente. Dodi sapeva bene che in Francia il polo veniva insegnato

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112 Guida rapida della Mostra Nazionale dello Sport, Edizioni d’Arte E. Bestetti, Milano 1935, pp. 30-32.113 Pugliaro G., 100 anni di equitazione militare italiana, cit, p. 14.114 Annuario Italiano dello Sport per l’Anno XIV-E.F., cit, p. 649.

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a Saumur ed era pratica comune nei reggimenti115. Le due scuole stavano tramontando, quindi. Solo le sorreggeva il blasone Savoia.

Nel dicembre del 1938, un anonimo ippiarca malato di nostalgia denunciaval’abbassamento inarrestabile della qualità degli istruttori impiegati nell’addestramentodei cavalieri. In particolare, la tendenza dei giovani «ufficiali istruttori in S.P.E.» abadare più alle proprietà sportive che a educare i novizi in maniera fedele ai principidella cavalleria116. L’ultima visita alla Scuola di Tor di Quinto del re Vittorio EmanueleIII data a quello stesso anno, in occasione del saggio del quarantunesimo corso. Lo accompagnò Achille Starace, che aveva appena inaugurato, presente il duce e alcospetto di una folla (inverosimile) di duecentomila persone, un nuovo Centro Ippicoa Villa Umberto, con spettacolari evoluzioni degli allievi corsisti e rivista di repartidella Gil montati su cavallini sardi117.

10. Gli ultimi corsi e la chiusura della Scuola

Un rapporto datato 7 agosto 1930, inoltrato da Pinerolo dal generale di brigataFrancesco Guidi al Ministero della Guerra e all’Ispettorato Truppe Celeri a Roma, èl’ultimo documento che abbiamo rintracciato negli archivi pubblici che informa, in modonon schematico, sull’attività della Scuola di Tor di Quinto. La relazione ci dice che ai duecorsi dell’ottobre-dicembre 1929 e gennaio-marzo 1930 presero parte 27 e 19 ufficiali, dicui 5 esteri. I corsi compresero riunioni settimanali di cacce a cavallo, e al termine delsecondo corso un gruppo di allievi s’impegnò in una steeple-chase all’ippodromo militare.Guidi sottolinea il fatto che, tra i 46 corsisti, solo tre fossero stati classificati mediocri,obbligati perciò a ripetere l’anno, tutti appartenenti alla sessione autunnale riservata agliufficiali anziani, di cui parecchi da tempo comandati fuori dell’Arma e quindi presentatisi«in deficienti condizioni di preparazione»; ottimo, invece, il risultato del gruppoinvernale, formato da elementi giovani che avevano frequentato il corso normale di settemesi a Pinerolo118. Dopo il Guidi, nessun altro ufficiale si prese più il disturbo di stilarerapporti sull’andamento di Tor di Quinto. Nonostante la mannaia calata sui reggimentidi cavalleria, fino al 1940 il numero degli allievi si mantenne intorno ai trenta a sessione:circa un 30% in meno rispetto alla belle époque. Con l’entrata in guerra, i due corsi sifusero in uno, da novembre a febbraio; davvero poca cosa, rispetto ai corsi molto piùarticolati e ricchi di allievi attivati per gli ufficiali addetti alle autoblindo. Alla direzionedella Scuola si avvicendarono, come già accennato, dapprima il tenente colonnelloCaffaratti e il maggiore Formigli, quindi i tenenti colonnelli Francesco Forquet (1935-

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115 Boscolo Anzoletti A., Dobbiamo diffondere il polo a cavallo, in “Lo Sport Fascista”, a. XI (1938), n. 10, pp. 63-67.116 Un Vecchio Cavaliere, Ancora un dito sulla nota piaga, in “Rivista di Cavalleria”, a. VI nuova serie (1939), n. 1,

pp. 26-27.117 Il nuovo Centro Ippico di Roma, “L’Illustrazione Italiana”, 27 marzo 1938, p. 403.118 Relazione sull’attività addestrativa della Scuola di Cavalleria nell’anno scolastico 1929-30, in Aussme, Scuola di

Applicazione di Cavalleria, Memorie storiche 1926-1943, vol. 0267, a. 1930.

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39)119 e Tommaso Lequio (1940), il capitano Ferdinando Filipponi (1941) e il colonnelloMario Lombardo di Cumia (1942-43), il duca pugliese che, finito il conflitto, avrebberevisionato il regolamento del salto ostacoli. Dal 1935 al 1942 funsero da istruttori EttoreBocchini, Marino Valletti Borgnini, Renzo Bonivento, Guido Passero, Bruni, Salazar,Alfonso di Campello, Nomis di Cossilla e Alberto Litta Modignani, che ebbe tra i suoiallievi Geri Honorati120. Tra gli ultimi personaggi a visitare la Scuola, nel 1941, spiccanoi nomi di due Altezze Reali: il principe di Piemonte e il duca di Pistoia. Si fecero vedereanche il generale Ferrari Orsi e alcune delegazioni militari croate e spagnole. Sul registroufficiale, alla data del 15 novembre 1941, c’è una laconica nota: «Ricorre il Cinquantenariodella Fondazione del distaccamento di Tor di Quinto». Ne deduciamo che alla circolaren° 130 del 24 ottobre 1891 – quella firmata da Pelloux – ci si era sempre riferiti per ilcompleanno dell’istituto121.

Meno di due anni dopo, la Scuola non esisteva più. Lo scioglimento dell’esercito,avvenuto secondo un modus operandi caotico all’indomani dell’8 settembre 1943, determinòla chiusura di Pinerolo e Tor di Quinto. La Scuola capitolina di equitazione famosa nelmondo serrò i battenti dopo 43 annualità frequentate da circa 3.000 allievi122. Pagando ancheun tributo di sangue. Durante la seconda guerra mondiale, i Lancieri di Vittorio EmanueleII, forse per il loro motto “Teste di Ferro”, erano stati i primi a mutarsi in cavalleria acciaiatae a perdere uomini, e appresso a loro i Cavalleggeri di Lodi. Parecchi diplomati alle dueScuole erano morti combattendo sui vari fronti, sovente con indosso la divisa di altre armi.Nelle steppe russe, rese fangose dal disgelo, il 24 agosto 1942 il Reggimento SavoiaCavalleria, comandato dal tenente colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, aveva messo inscena la sua ultima carica a Isbuscenskij, tra l’incredulità dei generali tedeschi. Vi eranocaduti da eroi l’Abba e il marchese Litta Modignani123. Nell’ottobre del 1942, a sud del frontedi El Alamein, un classe 1917 uscito da Tor di Quinto, il romano Simone Gastone, se ne era

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119 Nell’autunno del 1940 il tenente colonnello Francesco Forquet passò, per raggiunti limiti di età, nella Riserva.Domandò allora a Mussolini che gli venisse data la possibilità di acquistare il cavallo “di agevolezza”, cioèquello dell’Arma, nonostante l’avesse soltanto da un anno, mentre il regolamento prescriveva quattro anniper lo svincolo. La sua istanza fu accolta. D’altronde, aveva già incontrato il duce in udienza con altri ufficialidi cavalleria nel dicembre del 1930; cfr. Acs, Spd, Co, busta 2107, fasc. 119.327 “Forquet Francesco”.

120 Badino Rossi M., Pinerolo. L’arte equestre italiana. La sua fucina. I suoi artefici, cit, pp. 488-489.121Aussme, Scuola di Applicazione di Cavalleria, Memorie Storiche 1926-1943, vol. 0267, a. 1941.122 La Scuola di Pinerolo fu saccheggiata dalle truppe britanniche nel 1945, e si portarono via anche la coppa

d’oro di re Giorgio V del 1908. Non risultano barbarie analoghe perpetrate dai tedeschi o dagli americani aTor di Quinto. Si sa, invece, che la mattina del 26 luglio 1943 tutti e tredici i cavalli di Benito Mussolinisparirono dalla scuderia di Montesacro, gestita dal suo istruttore personale Camillo Ridolfi, anche lui undiplomato a Pinerolo. Probabilmente furono serviti sul mercato capitolino per la popolazione affamata neisuccessivi mesi di carestia, e chissà che la stessa fine non abbiano fatto i cavalli della Scuola di equitazione;cfr. Navarra Q., Memorie del cameriere di Mussolini, Longanesi, Milano 1972, p. 131.

123 Cfr. Loriga V., Nascita dello sport nazionale: il contributo dell’Esercito, in Brunamontini G. (a cura di), Esercito eSport. Dal gesto individuale del guerriero mitologico all’educazione sportiva dei giovani di oggi, Laterza, Roma-Bari1989, p. 181. L’ex presidente del Coni Lando Ferretti scrisse al riguardo: «la carica di Brobowsky» (così fudenominata sotto il fascismo) «parve, nei nomi dei suoi ufficiali, un concorso ippico»; cfr. Ferretti L., Lo sport,L’Arnia, Roma 1949, p. 357.

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andato da capitano paracadutista, tumulato nel cimitero di guerra della Folgore in terralibica col viso sorridente – come si scrisse124. Il 3 giugno del 1944 il generale Pietro Dodi erastato fucilato dai nazifascisti in località La Storta, cadendo da partigiano a pochi chilometridi distanza dalla Scuola di Tor di Quinto. Tre anni prima, si era sacrificato uno dei più grandicavalieri prodotti a Pinerolo, il marchese Giulio Borsarelli di Rifreddo, che con la suacavallina di reggimento, la Crispa, mezzo sangue apparentemente modesta al mirarlaaccanto ai colossali cavalli germanici, aveva mostrato meraviglie di tecnica caprilliana: unafreccia d’oro sfilata dall’arco di Ulisse. E sembrava che, con lui, si fosse staccato dal frontoneun pezzo di storia della cavalleria militare sabauda125.

11. Legacy

«La situazione in cui lo sport equestre italiano era venuta a trovarsi nel dopoguerraera una delle più desolanti. Il patrimonio ippico quasi completamente distrutto edisperso in conseguenza degli eventi bellici; un numero sparuto di cavalieri rimastisulla breccia, dopo l’abolizione di tutti i reparti a cavallo e dopo la chiusura delleScuole di Pinerolo e Tor di Quinto. L’acquisto da parte del C.O.N.I. di tre cavallifrancesi rese possibile la partecipazione italiana alle Olimpiadi nella prova delConcorso Completo di Equitazione per la quale occorrevano cavalli di mezzi e diqualità non comuni, di cui non si disponeva al momento»126.

Queste furono le parole scelte dall’addetto stampa del Coni, Donato Martucci, perdescrivere lo stato dell’arte dell’equitazione nel suo rapporto sulla partecipazione aiGiochi di Londra 1948. Olimpiadi che non andarono benissimo, tornando i nostri seicavalieri a mani vuote in un contesto globale insperatamente positivo per i colori azzurri,stante il ribaltamento totale occorso in un giro stretto di anni: sotto il fascismo lo Statofinanziava lo sport con cifre importanti, ora avveniva il contrario, e il Coni versavacentinaia di milioni all’anno nelle casse dello Stato127. L’ordine di smantellamento delledue Scuole era stato dato dal nuovo presidente della Fise, l’architetto Ettore Rossi. Nel1946, l’Ippodromo Militare, fortunatamente poco danneggiato dalla guerra, aveva ospitato

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124 I nostri gloriosi caduti, in “Rivista di Cavalleria”, a. X nuova serie (1943), n. 1, p. 22.125 S. F., Un eroe caduto. Giulio Borsarelli “maestro dei cavalieri”, in “Lo Sport Fascista”, a. XV, (1942), n. 1, pp. 17-

19. Un altro episodio leggendario è costituito dalla difesa di Roma dai nazisti operata dai Lancieri diMontebello il 9-10 settembre 1943. Inoltre, Carlo Calvi di Bergolo, uno dei più celebri istruttori a Tor diQuinto, nella sua qualità di Comandante di “Roma Città Aperta” si rifiutò di giurare fedeltà al governofascista e quindi fu arrestato e deportato. Piero Dodi, invece, fu ucciso da partigiano nei pressi di Roma il 3giugno 1944, fucilato dalla Gestapo. Il conte spoletino Ranieri di Campello combatté i sovietici con unosquadrone di cosacchi italiani e poi, nel 1943-44, seguì il re Vittorio Emanuele III nella campagna d’Italia afianco dell’esercito alleato; cfr. Morelli di Popolo C. A., La scuola di cavalleria di Pinerolo, cit, p. 132; PugliaroG., 100 anni di equitazione militare italiana, cit, p. 123.

126 Coni, L’Italia alla XIV Olimpiade, Stab. Tip. C. Colombo, Roma 1949, p. 157.127 Doglio C., Uno Stato nello Stato, in “Comunità. Giornale mensile di politica e cultura”, a. VII (1952), n. 1,

pp. 18-19.

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la nuova Scuola di Cavalleria Blindata Tor di Quinto, col classico simbolo dell’aquila, ilPegaso e il motto “Non Ristare”. Questa Scuola venne diretta dal tenente colonnelloAlberto Guzzinati, già comandante del reggimento corazzato durante la guerra e che siera distinto sulla via Ostiense nella difesa di Roma dai nazisti. Egli, disponendo di uncerto numero di cavalli da polo lasciati sul posto dagli inglesi dell’Ottava Armata, rilanciòla pratica. Guzzinati, nei primissimi tempi del dopoguerra, contribuì molto alla rapidaripresa del gioco a Roma. La squadra militare di Tor di Quinto venne funestata, però, dallasua morte improvvisa per una caduta da cavallo durante un torneo all’Acqua Acetosa.Era la domenica del 17 aprile 1948. Per un altro paio di stagioni la squadra militare di polodi Tor di Quinto si mantenne attiva, vincendo tornei in grazia di elementi come i contiCarlo Brenciaglia, Carlo Pianzola (già sottoistruttore nel 1936 a Tor di Quinto conBonivento), Enzo Carrara e Alessandro Cordero di Montezemolo. Nel 1950 la Scuola diCavalleria Blindata si fuse con la Scuola di Carrismo di Forte Tiburtino e anche la squadradi polo sparì. L’ultimo a tentare di mantenerla viva fu il colonnello Luigi MagliariGalante128. Il vecchio impianto in stile liberty continuò, in ogni modo, ad essere il centrodi un’attività equestre militare. Tanto che, nel 1967, spettò al generale comandanteGiuseppe La Rosa mettere a disposizione degli archeologi mezzi e uomini per far tornarealla luce una strada romana scoperta nell’anello centrale della pista129.

In questi primi anni post-bellici, ci fu chi tentò di riportare in auge la tradizione dellacavalleria tout-court. Pochi coraggiosi circondati da aperta ostilità e inizialmente umiliatidall’indifferenza degli alti comandi130. Certamente, l’esito del referendum istituzionale del2 giugno 1946, col re Umberto II costretto ad andare in esilio in Portogallo, non agevolò larinascita dell’arma. Tuttavia, tra il 1946 e il 1948 cinque squadroni si riassemblarono, alcunicelati sotto altri nomi. Essi erano il Gruppo Esplorativo 1° Dragoni (ex Nizza Cavalleria),il Gr. Espl. 2° Cavalieri (ex Piemonte Reale Cavalleria), il Gr. Espl. 3° Cavalieri (ex SavoiaCavalleria), i reggimenti Genova Cavalleria e Lancieri di Novara131. Sì ai singoli gruppi,quindi, ma un no secco dei nuovi governanti – i democratici cristiani e il compositoschieramento della sinistra – alla ricostituzione d’una scuola nazionale di equitazione,neppure nel rispetto di una preminenza che sarebbe stato logico salvare. (Diversamente sicomportò la Francia, che non ritenne di dissolvere nell’acido il suo Cadre Noir di Saumur).

Marco Impiglia

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128 Cfr. Tragica fine del colonnello Guzzinati nel corso di una partita di polo, “Corriere dello Sport”, 18-19 aprile 1948;Gigli P., Il colonnello Alberto Guzzinati, in “Il Punto”, a. III (1958), n. 3, pp. 13-17. Nella primavera del 1947 eraattivo un Centro Militare Polo a Pinerolo, uno dei quattro o cinque gruppi che ripresero a praticare il gioco;cfr. Boscolo Anzoletti A., Dobbiamo diffondere anche il polo a cavallo, in “Lo Sport Fascista”, a. XI (1940), n. 10,pp. 63-667; A.G.A, Polo, in Aavv, Rassegna retrospettiva dello sport, Amoroso Ed., Milano 1947, pp. 401-402.

129 Cfr. Acs, Ministero Pubblica Istruzione Dir. Gen. Antichità e Belle Arti - Div. Archeologica 1929-1982, busta132, “Tor di Quinto: rinvenimento area ippodromo militare”. Attualmente l’area, di 32 ettari situata ai piedidella Collina Fleming, ospita il Centro Ippico Militare Reggimento Lancieri di Montebello. Il centro disponed’una cinquantina di cavalli utilizzati per corsi destinati a portatori di handicap ed è aperto agli allenamentidei tesserati Fise. Allestisce ogni anno concorsi ippici, completi di equitazione e prove riservate ai pony.

130 Pugliaro G., Cento anni di equitazione militare italiana, cit, p. 18.131 Vedi la lettera datata 18 febbraio 1949 spedita dalla Associazione dell’Arma di Cavalleria Sezione di Firenze,

in: Acs, Pcm, Consulta Araldica - Affari Diversi, busta 132, fasc. 6019.

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Il conte Ranieri di Campello, chiamato da Giulio Onesti alla reggenza della Federazionenel 1944 e poi eletto alla presidenza nel 1946, seguì la linea di minor resistenza, aprendo lavia alle società di matrice civile e confidando nei risultati d’un processo didemocratizzazione che lasciava, e anzi esigeva, libertà di manovra dei soggetti privati.Processo di ripresa tecnica e organizzativa che fu lento a partire, molto più di quanto sitende a credere e a ricordare. E che nel gennaio del 1952, anno olimpico, faceva scrivere aLuigi Gianoli, ex Savoia Cavalleria e sommo conoscitore dell’argomento:

Langue oggi l’equitazione, dato un languoroso addio alle scuole militari con lasoppressione, ingiusta e colpevole, di Pinerolo e Tor di Quinto – passata quasi tuttanelle mani borghesi anche se controllata, sostenuta e diffusa da quanti praticaronoprofondamente vestendo la divisa. Già nel 1938 furono fondate in Italia alcunescuole civili di equitazione per iniziativa del compianto generale Dodi, a quell’epocapresidente della Fise. Egli si pose la questione delle scuole civili a base del futuromovimento equestre italiano sia per favorire tra i giovani la pratica di questo sport,allora limitata agli elementi militari e ai pochi in grado di avere una scuderia o dipagarsi costose lezioni in pochi maneggi, sia perché si previde che l’evoluzione deitempi avrebbe portato alla graduale motorizzazione con relativa riduzione dei quadridei reparti montati. Egli non poteva supporre che si sarebbe addirittura giunti allasoppressione delle famose scuole di Pinerolo e Tor di Quinto. Le più celebri delmondo, alle quali giungevano ufficiali e allievi da ogni nazione e continente perapprendere i principi della nostra equitazione. Sorsero così le scuole di Torino,Napoli, Firenze, Milano, Bologna, Udine, ecc.132

Furono in molti a definire un atto di autolesionismo da parte della Fise la rinuncia aPinerolo e a Tor di Quinto. All’epoca, il Centro Ippico Preolimpico di Montelibretti (sortonel 1950 e posto sotto il comando del tenente Conforti, oltre 500 ettari, dal 1969ridenominato Centro Militare di Equitazione), luogo deputato a imprimere slancio alcomparto equitatorio di alto profilo, non fu esattamente percepito come unacontinuazione adeguata delle due celebri scuole. Tuttavia, Helsinki 1952 vide i nostricavalieri già competitivi nel fondo e nei concorsi di salto, e solo molta sfortuna nellagiornata finale del completo, nonché l’ostilità al limite dell’unfair play di talune squadreavversarie nel gran premio delle nazioni, impedirono al carabiniere Raimondo D’Inzeodi cingersi al collo una medaglia. Quattro anni dopo, ai concorsi tenuti a Stoccolma,sarebbero arrivati i primi podi olimpici e un piazzamento nel medagliere al quarto posto,a riprova del buon lavoro svolto dalla Fise in accordo con l’Esercito133.

Roma 1960 e Tokio 1964 avrebbero vieppiù amplificato il trend positivo. Questo potè

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132 Gianoli L., Sparite le scuole militari di cavalleria, quelle civili ne hanno ereditato lo spirito, “La Gazzetta delloSport”, 4 gennaio 1952.

133 Cfr. Il Centro Militare Ippico Nazionale nella sua fase di rinnovamento e di sviluppo, “Il Cavallo Italiano”, a. XXVIII(1950), n. 2, p. 1; Martucci D. (a cura di), L’Italia alla XV Olimpiade, Coni, Roma 1956, pp. 123-125.

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accadere perché il nuovo sviluppo aveva le sue scaturigini nell’insegnamento impartitodai vecchi campioni degli anni Venti e Trenta. I quali immediatamente lavorarono sodonei centri di equitazione, sovente di loro proprietà, plasmando magari figli e figlie. Quindii migliori tra loro furono chiamati nei centri sorti nelle Forze Armate e nei Corpi delloStato, sotto l’usbergo del Ministero della Difesa e in sinergia tecnico-organizzativa colConi. In mancanza di una uniformità teorica e pratica, che poteva discendere solo da unaaccademia nazionale d’elevato prestigio (“visto uno visti tutti”, si diceva nel 1912), lascuola equestre azzurra rifiorì diversa sia nei protagonisti che nei contenuti, e forse piùricca geneticamente, in quanto prodotto dell’estemporaneità e delle qualità di ciascunsingolo maestro. Assai variegata, nella libera applicazione degli antichi precetti osservatia Pinerolo e a Tor di Quinto, ma che, nella sostanza, in quelli aveva la sua radice ultima.Il fittone che era sempre rimasto lì, in grado di donare succosi pomi all’albero cresciutoin era repubblicana134.

Marco Impiglia

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134 Il primo corso federale post-bellico fu attivato nel 1960 dal colonnello Cartasegna; in seguito, ma in mododiscontinuo, anche da altri, ad esempio il Nava nel Centro Militare di Equitazione di Montelibretti.Caratterizzò questi corsi la difformità d’insegnamento, ogni direttore rispettando le proprie convinzionisenza attenersi a un filo unico sui principi dell’arte equestre.