LA RIFORMA DEL COLLOCAMENTO DELLA GENTE DI MARE · Oggi che al mare viene riconosciuto un ruolo ......

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LA RIFORMA DEL COLLOCAMENTO DELLA GENTE DI MARE (D.P.R. 18 aprile 2006, n. 231) La nuova regolazione del mercato del lavoro marittimo tra pubblico e privato GRUPPO DI ALLIEVI UFFICIALI DELLACCADEMIA ITALIANA DELLA MARINA MERCANTILE DI GENOVA La differenza tra una gentildonna e una fioraia non sta nel modo in cui si comporta ma nel modo in cui è trattata. George B.Shaw, Pigmalione, 1912 Riccardo Degl’Innocenti 2007

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LA RIFORMA DEL COLLOCAMENTO DELLA GENTE DI MARE

(D.P.R. 18 aprile 2006, n. 231)

La nuova regolazione del mercato del lavoro marittimo

tra pubblico e privato

GRUPPO DI ALLIEVI UFFICIALI

DELL’ ACCADEMIA ITALIANA DELLA MARINA MERCANTILE DI GENOVA

La differenza tra una gentildonna e una fioraia non sta nel modo in cui si comporta ma nel modo in cui è trattata.

George B.Shaw, Pigmalione, 1912

Riccardo Degl’Innocenti 2007

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INDICE

Prefazione

Introduzione

1. Il mercato del lavoro marittimo in Italia

2. Il nuovo regolamento del collocamento della gente di mare

3. Le questioni aperte e i decreti attuativi da emanare

4. I marittimi italiani, una specie in estinzione: la profezia che si autoavvera?

Appendice: il testo del DPR 231/2006

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All’amico mentore Ivo, figlio di gente di mare, per la limpida passione divisa equamente tra l’impresa e il lavoro marittimo. PREFAZIONE Qualcuno dirà che ci risiamo. Che questo libro che tratta del lavoro marittimo non è scritto da un esperto del mondo del mare ma da uno che non ha mai messo piede su una nave se non per andare in vacanza in Sardegna. Insomma l’ennesima ingerenza di chi con il mare non ha niente a che vedere e che viene a dirci che cosa fare. Voglio rispondere, e cerco di dimostrarlo con il libro, che per il mondo marittimo oggi è essenziale dotarsi di una funzione di interprete, mi viene da dire di “mediatore culturale”, per farsi comprendere al di fuori del suo ambito specialistico e al contempo per meglio comprendere il mondo circostante in cui si opera e da cui non può prescindere. Anzi, verso il quale occorre che converga senza rinunciare alle sue peculiarità per beneficiare di maggiori e migliori opzioni. Oggi che al mare viene riconosciuto un ruolo strategico (ambientale, economico, politico, culturale) nel panorama della globalizzazione, oggi che il cluster marittimo italiano si afferma come un comparto determinante della nostra economia alle prese con le sfide della competizione internazionale, oggi che l’impresa e il lavoro marittimo italiani scrivono nuove storie di successo e di primato nel “grande torneo mondiale dei traffici”, è divenuto urgente comunicarlo al resto della società per fare uscire il mondo marittimo dalla diversità, talora anacronistica, in cui in certe circostanze esso indugia per difendere le proprie tradizioni e la propria identità. Atteggiamento che ha trovato conferma puntuale nella posizione pregiudizialmente contraria assunta dalla maggior parte delle istituzioni marittime e delle rappresentanze sociali in occasione della riforma del collocamento della gente di mare. A dispetto del fatto che in tale riforma ci sono i presupposti per affrontare finalmente molte delle questioni che affliggono il mercato del lavoro marittimo e per rilanciare tra i giovani italiani le professioni della gente di mare. Nonostante, infatti, la bella citazione attribuita allo scrittore Arthur C. Clarke che fa da epigrafe al recente “Green Paper” della Commissione europea sulla futura politica marittima dell’Unione: “How inappropriate to call this planet Earth when it is quite clearly Ocean” (“È assurdo definire Terra un pianeta composto per lo più da Oceani”), è sulla terraferma che origina e termina la catena del valore dell’economia marittima e (finalmente) è sulla terraferma che ritornano i marittimi al termine dei loro viaggi.

Ringrazio coloro che mi hanno aiutato a conoscere il mondo marittimo e che perdoneranno le eventuali imprecisioni o inesattezze contenute nel libro, di cui conservo tutta la responsabilità: Gian Enzo Duci e Ivo Guidi di Federagenti, Armando Pavia di Federpesca, Remo Di Fiore di ITF, Elio Rizzi e Claudio Barbieri di Confitarma, Giuseppe Perasso di Federazione del Mare, Lucio Terranova della Capitaneria di porto, Renato Causa di FIT CISL, Matteo Cavalleroni di ANPAN. Il libro è stato scritto nell’ambito del servizio da me prestato nell’Amministrazione provinciale di Genova, grazie alla politica lungimirante che il suo Presidente, Alessandro Repetto, anche in qualità di coordinatore delle “Province di mare” in seno all’UPI, ha avviato da alcuni anni a favore del riconoscimento del ruolo nazionale e locale dell’economia marittima e del rilancio dell’occupazione dei giovani italiani a bordo della nostra flotta. Le considerazioni esposte tuttavia sono frutto esclusivo del mio pensiero e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione.

Riccardo Degl’Innocenti Genova, settembre 2007

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INTRODUZIONE Quando nell’estate del 2006 fu pubblicato il DPR231 con il nuovo regolamento del collocamento della gente di mare, il Presidente della Provincia di Genova Repetto scrisse al Ministro del Lavoro Damiano una lettera in cui gli offriva l’esperienza acquisita nella riforma dei servizi per l’impiego dalle “Provincie di mare”, coordinatesi in seno all’Unione Province Italiane. Lo scopo era di contribuire a integrare i servizi pubblici generalisti, avviati ormai da sei anni, con quelli marittimi sino ad allora rimasti estranei dal mercato del lavoro generale. A seguito della lettera la Provincia di Genova in rappresentanza dell’UPI fu invitata dal Ministero del Lavoro a partecipare al tavolo di discussione con il Ministero dei Trasporti, con il Corpo delle Capitanerie di porto, da cui dipendono gli uffici di collocamento della gente di mare, e con le rappresentanze delle imprese armatoriali e dei lavoratori marittimi. Vi partecipai compiaciuto di contribuire all’avanzamento della riforma, ma trovai una sorpresa. Tutti i convenuti si dichiararono avversi al nuovo regolamento e le parti sociali affidarono ai dirigenti del Lavoro un messaggio per il Ministro Damiano affinché fosse mantenuto il precedente regolamento del 1992. In realtà al tavolo c’erano anche posizioni più sfumate ma unanime fu il rilievo polemico e severo sul metodo in quanto il precedente governo, che aveva promosso e approvato il decreto, non aveva mai coinvolto le associazioni datoriali e sindacali né accolto i rilievi critici del Ministero dei Trasporti e delle Capitanerie di porto. I motivi puntuali delle critiche erano innumerevoli. In primo luogo, sebbene il DPR231/2006 fosse figlio del DLvo297/2002 che aveva innovato le regole dei servizi per il lavoro e cancellato il vecchio armamentario delle liste di disoccupazione, veniva giudicata posticcia e deleteria l’adozione dello schema operativo dei servizi generalisti. Questi ultimi si basano infatti sulla verifica periodica dell’“immediata disponibilità” al lavoro e sulla attivazione del lavoratore nella ricerca di un’occupazione in cambio del riconoscimento dello status di disoccupato, mentre la domanda e l’offerta nel mercato del lavoro marittimo presentano dinamiche e comportamenti molto diversi. Ancor più dell’impronta del 297 ci si lamentava (principalmente da parte dei sindacati) dell’impronta “ideologica” del DLvo276/2003 di attuazione della legge 30, visibile nel ruolo delle agenzie private introdotte a scapito del ruolo dei Raccomandatari marittimi, operatori già abilitati all’intermediazione del lavoro marittimo in base alla legge 135/1977 voluta a suo tempo e apprezzata da tutte le parti sociali. Ma il motivo principale dell’avversione delle parti sociali riunite a quel tavolo, era l’abrogazione del “turno particolare di imbarco”, un argomento che non riguardava il settore della pesca ma a cui bastavano, per farne il punto di rottura sociale e politico della riforma, le invettive delle rappresentanze del trasporto. Il turno particolare costituisce infatti il principale strumento regolatore del mercato del lavoro del trasporto marittimo, costruito dalle parti in decenni, anche aspri, di relazioni industriali. Esso assicura ai marittimi che vi sono iscritti la precedenza (di fatto la sicurezza) nelle chiamate di imbarco da parte degli armatori, sì da raggiungere l’obiettivo di una quasi-continuità di rapporto di lavoro laddove invece la forma contrattuale resta in prevalenza quella del contratto a tempo determinato (o più tipicamente, a viaggio). Con l’abrogazione del turno particolare i sindacati temevano di andare verso una ulteriore precarizzazione del lavoro marittimo, di cui avrebbero potuto approfittare gli armatori: o per aumentare il potere sui lavoratori non più tutelati da un istituto di legge, sebbene sia previsto anche dal CCNL, o per spingersi verso la loro totale sostituzione con marittimi extracomunitari. In questo senso l’avvento delle agenzie private contribuiva ad aggravare la preoccupazione, perché esse si sarebbero interposte tra i lavoratori e gli armatori divaricandone le posizioni e gli interessi nella logica di mercato, mentre sinora la relazione era gestita amministrativamente e garantita dalle istituzioni pubbliche attraverso le Capitanerie. Per le imprese c’era di riflesso la preoccupazione che si allentasse il rapporto di fidelizzazione con i marittimi iscritti nel proprio

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turno particolare, i quali avrebbero potuto più liberamente rispondere alle offerte provenienti da altre compagnie. Quel tavolo, con le sue tante e motivate ragioni di opposizione, lasciava tuttavia perplessi. Non parlo delle obiezioni al metodo su cui non c’era dubbio sull’unilateralità con cui il governo aveva inopinatamente proceduto. Riguardo al merito invece colpiva come le parti del settore trasporti convenute, mentre quelle della pesca sotto questo profilo manifestavano una posizione decisamente aperta e interessata, non avessero sufficiente considerazione dei principi “europei” che stavano alla base della riforma e da cui il legislatore non aveva potuto prescindere: la liberalizzazione del mercato del lavoro marittimo con la fine del monopolio pubblico e del

collocamento obbligatorio, la creazione di un sistema per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro e per

promuovere l’occupazione marittima con servizi per l’impiego moderni e politiche attive del lavoro integrate con la formazione scolastica e professionale. Peraltro il monopolio pubblico del collocamento della gente di mare, nato ottant’anni prima per reprimere la senseria, era ormai diventato un simulacro, superato dalle dinamiche del mercato in cui domanda e offerta si incontravano o direttamente o per mezzo dell’attività dei “raccomandatari”, pionieri dell’intermediazione privata legale in Italia. Quanto al collocamento obbligatorio, esso era già stato molto circoscritto nel regolamento del 1992 e mantenuto solo per alcune categorie di lavoratori del trasporto, tant’è che il mercato del lavoro della pesca agiva sin da allora al di fuori degli uffici di collocamento. Per tutto questo, erano diventati del tutto residuali i cosiddetti “turni generali”, equivalenti alle liste di disoccupazione del collocamento ordinario, da cui attingere personale con chiamate pubbliche numeriche. Ai “turni generali” erano però agganciati quei “turni particolari” di cui si è detto in precedenza. Inoltre, molto critico era diventato lo stato del rapporto tra domanda e offerta di lavoro marittimo ed esigente di una gestione del mercato del lavoro obiettivamente più efficiente e di una sua integrazione con strumenti moderni di politiche del lavoro e della formazione utili per risolvere le questioni principali: l’offerta insufficiente di figure di ufficiali, con addirittura la minaccia della loro estinzione sulle navi dedite al trasporto internazionale; lo sviluppo delle autostrade del mare che richiama nuova occupazione che occorre promuovere tra i giovani italiani in crisi di vocazioni marittime; il tendenziale decremento di occupazione nella pesca dovuto a limiti produttivi imposti dall’Unione europea ma per cui resta essenziale l’esigenza di ricambio generazionale e di qualificazione professionale; infine il nuovo mercato della nautica da diporto commerciale che promette interessanti sviluppi occupazionali che vanno opportunamente sostenuti con politiche e strumenti normativi e operativi. Tutte queste questioni erano e sono ovviamente all’attenzione delle parti istituzionali e sociali marittime presenti al tavolo, ma c’era difficoltà a cogliere nella riforma del collocamento l’occasione buona per affrontarle finalmente in maniera positiva, dopo una ventina di anni di inutile attesa che si facesse quanto promesso a favore del lavoro marittimo, mentre tanto si era fatto a favore dell’impresa armatoriale. Senza andare troppo indietro, è sufficiente partire dal 1998, quando fu istituito il “registro internazionale” per favorire il rientro delle navi italiane dalle “bandiere di comodo”, grazie ad agevolazioni fiscali e contributive e alla parziale liberalizzazione della nazionalità degli equipaggi e con il sacrificio quindi di buona parte dell’occupazione italiana a bordo. In quella legge e nelle successive norme emanate sulla stessa materia, così come nei rinnovi contrattuali che si sono susseguiti sino al recentissimo CCNL siglato a giugno di quest’anno, si trovano a più riprese stabiliti strumenti, interventi, programmi, tutti rivolti a sostenere la formazione dei marittimi italiani, in particolare degli allievi ufficiali e delle figure più qualificate, e l’occupazione italiana. Ebbene, dal 1998 poco o nulla è stato realmente fatto anche di ciò che stava scritto nelle leggi e nei contratti nonostante il continuo lamento della crisi del lavoro marittimo italiano e comunitario: quasi un fenomeno di “profezia che si autoavvera”, un atteggiamento che pare abbia coinvolto tutte le parti e che forse ne ha

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condizionato l’atteggiamento anche in occasione dell’emanazione del nuovo collocamento. Come se anch’esso venisse a confermare le minacce (un ulteriore manifestazione della “profezia”!) e non invece a offrire occasioni di soluzione. Sotto questo profilo il nuovo regolamento annuncia infatti nuove e concrete opportunità. A cominciare dalla prima, il trasferimento di competenze dal Ministero dei Trasporti, che tradizionalmente non ha né una spiccata vocazione sociale né concrete risorse per la formazione, al Ministero del Lavoro che invece ha la missione, la cultura amministrativa e i fondi per promuovere e finanziare piani di intervento per l’occupazione e la formazione, anche d’intesa con le Regioni e gli enti locali e con le parti sociali con cui ha permanenti rapporti di concertazione e di collaborazione. Inoltre, il nuovo regolamento guarda alla costruzione di un sistema evoluto di governance del mercato del lavoro marittimo, basti pensare all’istituzione del Comitato centrale, interistituzionale e paritetico, e alle politiche integrate a cui può dare vita, per promuovere e rilanciare il lavoro marittimo come opportunità professionale e occupazionale qualificata, rivolta principalmente a soddisfare la domanda di lavoro, di reddito e di competenze che in Italia a dispetto dei luoghi comuni sull’ “estinzione” dei marittimi continua a esistere, soprattutto tra i giovani meridionali dai quali peraltro tradizionalmente continuano ad arrivare le leve più numerose. Per passare alla seconda opportunità, la realizzazione di un sistema informatico/ivo nazionale che finalmente dia conto in maniera esatta e aggiornata delle dimensioni quali-quantitative del mondo del lavoro marittimo e che consenta una gestione efficiente del mercato del lavoro, ottimizzando l’impiego delle risorse professionali disponibili e permettendo un’efficace programmazione della formazione e dell’occupazione a favore dei giovani. Per finire alla terza, il collegamento e alla possibile integrazione tra servizi per il lavoro marittimo e quelli per il lavoro generale, che possono favorire iniziative di orientamento e di promozione delle carriere marittime su larga scala territoriale e quella circolazione di competenze e professioni dalla terra al mare e viceversa che costituisce uno degli indirizzi fondamentali dell’Unione Europea per sviluppare l’occupazione nel cluster marittimo. Per promuovere presso i giovani il lavoro a bordo delle navi, infatti, non basta la promessa di un’occupazione sicura, legale, retribuita qualificata. Occorre anche accompagnare la proposta con una promessa e una scommessa: dopo qualche anno di lavoro a bordo, un giovane che non voglia più navigare, grazie all’esperienza e alla professionalità acquisita, potrà trovare facilmente a terra una nuova occupazione nei settori che utilizzano competenze analoghe. Il contesto internazionale dal punto di vista geografico, normativo, organizzativo e relazionale delle professioni marittime; l’intensità delle prestazioni lavorative; la complessità organizzativa del lavoro; il grado di autonomia che si sviluppa anche psicologicamente grazie alla distanza dalla propria residenza e dal proprio paese; la modernità delle tecnologie impiegate a bordo ecc., tutto questo rende il lavoratore che sbarca quale un professionista che può prevalere facilmente nella competizione sul mercato del lavoro con un suo coetaneo che abbia fatto solo esperienze a terra. Le imprese marittime, di fronte alle difficoltà di imbarcare giovani e considerata la necessità di disporre di personale italiano che in molte posizioni offre le garanzie di qualità professionali migliori dei lavoratori di ogni altra nazione, sono disponibili ad accettare questa scommessa, scambiando turn over con formazione, a condizione naturalmente che dal turn over risulti una quantità e una qualità sufficiente di personale che decida di permanere a bordo, di fidelizzarsi e di crescere verso le posizioni organizzative superiori. A questa prospettiva sono naturalmente molto interessate anche le imprese a terra che ricevono personale giovane eppure già formato e esperto, che possono concorrere quindi efficacemente al loro sviluppo offrendo competitività e internazionalità. In quel tavolo al Ministero che mostrava per lo più freddezza per queste opportunità c’era in buona sostanza una rappresentazione delle contraddizioni del mondo del lavoro marittimo: per un verso, fermo nella difesa della sua estrema specialità, su cui fonda la sua identità sociale e

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professionale che sente minacciata dall’omologazione con il lavoro in generale; per l’altro verso, risentito per la marginalità sociale e politica in cui il lavoro marittimo è lasciato, invece di ricevere un’adeguata considerazione dei sacrifici a cui sono sottoposti i lavoratori e del contributo economico che le imprese forniscono al Paese. Senza tuttavia avere la capacità e la tenacia di rivendicare e ottenere anche solo quello stabilito da norme e contratti. Una sorta di sindrome che ha la sua espressione sintomatica nel lutto perdurante per la sostituzione del Ministero della Marina mercantile con quello più generale dei Trasporti, come se il problema stesse nella targa fuori del palazzo, e come se non occorresse oggi una visione moderna della logistica integrata. Insomma, mi trovavo a partecipare a una riforma che quasi nessuno voleva, che anzi la maggior parte dei presenti denunciava come ostile e controproducente, fatta a loro insaputa e nell’ignoranza delle principali questioni, al solo scopo di omologare pedissequamente e rovinosamente il collocamento marittimo a quello generale. Mi misi allora a cercare di comprendere i motivi apparenti e profondi di questo generale atteggiamento, convinto dalla mia lettura “terza” del testo di riforma che essa poteva rappresentare invece un’ottima occasione di rilancio del lavoro marittimo italiano. Fortunatamente nei mesi successivi, grazie alla determinazione e all’impegno della Direzione generale del Mercato del lavoro del Ministero del Lavoro e del Corpo generale delle Capitanerie di porto, il confronto è andato avanti con una maggiore disponibilità di tutti ad approfondire il testo della riforma, a riconoscerne i principi moderni e ormai inderogabili, e a istruire i sette decreti attuativi previsti che dovranno essere emanati, per chiarirne alcune oscurità e per cercare di farne l’occasione per un effettivo miglioramento della gestione pubblica del mercato del lavoro marittimo. Alcuni di questi decreti sono in cantiere e prossimi all’emanazione sotto la regia del Ministero del Lavoro d’intesa con il Ministero dei Trasporti. Con essi è lecito prevedere che si trovino le soluzioni alla gran parte dei problemi emersi a partire da quel primo tavolo di confronto e che tutte le parti interessate concorrano alla loro definizione. Questo libro vuole essere un contributo alla buona riuscita della riforma, nell’interesse generale dell’impresa e del lavoro marittimo italiani, che costituiscono risorse essenziali per l’economia nazionale e locale e opportunità di occupazione qualificata e remunerativa per i giovani alla ricerca di un futuro professionale appagante. Ma il libro vuole essere anche il mezzo con cui cercare di decifrare le carte con cui i diversi attori istituzionali, economici e sociali del mercato del lavoro marittimo stanno giocando con il futuro dell’occupazione italiana in questo settore, una partita in cui si sente aleggiare il sospetto che qualcuno stia bluffando.

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Capitolo 1 IL MERCATO DEL LAVORO MARITTIMO IN ITALIA …al fine di poter ridurre l’unico costo di esercizio che non è determinato internazionalmente: quello degli equipaggi. Giovanni Delle Piane, armatore, 2002

Per “lavoro marittimo” si intende ogni attività lavorativa che si svolga in mare, a bordo di un’imbarcazione. Chi presta del “lavoro marittimo” appartiene di norma ad una specifica categoria di lavoratori detta “gente di mare”. In questo libro ci occupiamo dei tre settori di attività civile in cui si svolge il lavoro marittimo: il settore dei trasporti, il settore della pesca e il settore del diporto nautico. Per quanto riguarda il trasporto, si tratta del lavoro prestato a bordo di navi adibite al trasporto di merci e di passeggeri, “oltre gli stretti” sulle rotte oceaniche dei traffici internazionali, sulle rotte “corte” del cabotaggio nazionale e mediterraneo, e a bordo delle navi speciali che operano “offshore”, per la posa di condotte, per la costruzione e l’installazione di piattaforme ecc., oltre che a bordo delle imbarcazioni di servizio nei porti, come i rimorchiatori, le unità dei piloti, le navi addette al bunkeraggio, cioè al rifornimento di carburante, ecc. Per quanto riguarda la pesca, si tratta del lavoro a bordo delle imbarcazioni adibite alla pesca marittima, sia che operino sotto costa o in aperto Mediterraneo, sia che varchino gli stretti per andare a pescare negli oceani, oltre che il lavoro a bordo delle imbarcazioni al servizio dei sistemi di acquacoltura per l’allevamento, la riproduzione e la raccolta in aree marine attrezzate di pesci, molluschi, crostacei. Per quanto riguarda il diporto nautico, si tratta del lavoro a bordo di imbarcazioni concepite per scopi sportivi o ricreativi dai quali esuli il fine di lucro, ma che la legge consente che possano anche essere impiegate in attività economiche, a scopi commerciali, mediante contratti di locazione e di noleggio (“charter nautico”) oppure per l’insegnamento della navigazione da diporto, nonché come unità di appoggio per le immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo. Ci occuperemo quindi del complesso del lavoro civile che si svolge “a bordo e in mare”, escludendo perciò il lavoro a bordo delle unità navali militari (Marina militare, Guardia costiera ecc.) e il lavoro a terra nelle sedi direzionali e operative da cui dipendono le attività marittime (gli uffici delle compagnie di navigazione e delle agenzie marittime, le banchine dei terminal portuali, ecc.). “A bordo e in mare”, ovvero dove si svolge la prestazione lavorativa della gente di mare, è l’elemento che caratterizza il lavoro marittimo, la circostanza che ne ha determinato storicamente la specificità e le distinzioni rispetto al lavoro in generale. A cominciare dal fatto che per il lavoro marittimo, a causa dei rischi intrinseci a cui è soggetto, si configura un interesse pubblico fondamentale, in primo luogo dello Stato, in nome della sicurezza della navigazione, nel senso dell’incolumità degli equipaggi e dei passeggeri, delle merci e dei mezzi di trasporto, e infine della tutela dell’ambiente marino e costiero a rischio di inquinamento provocato da incidenti o naufragi. Prova ne è che al lavoro marittimo si applica il Codice della navigazione, una particolare disciplina di natura pubblicistica che si interpone alle leggi ordinarie con una fitto articolato di disposizioni e regolamenti, e che quasi tutte le norme che lo regolano devono essere conformi a regole internazionali per armonizzarsi con gli interessi degli altri Stati con cui

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le attività marittime creano relazioni funzionali e con cui si condivide il bene comune e universale del mare. Per restare all’oggetto di questo libro, ai fini della sicurezza della navigazione il Codice contiene disposizioni rivolte a regolare l’accesso al lavoro marittimo, come il requisito dell’iscrizione dei lavoratori in appositi registri pubblici della gente di mare e quello del possesso di titoli professionali e di specifiche qualifiche, e come la stipula del contratto di arruolamento sotto forma di atto pubblico. Il Codice della navigazione contiene inoltre norme che regolano il modo in cui funziona l’organizzazione di bordo, tra cui spiccano quelle che ne predeterminano i ruoli e indirizzano la composizione degli equipaggi, e che la ordinano secondo un rigoroso principio di gerarchia di stampo militare: tutte le persone a bordo sono soggette all’autorità del comandante della nave e devono inoltre prestare obbedienza ai superiori e uniformarsi alle loro istruzioni per il servizio a bordo, pena l’applicazione disciplinare di natura non solo amministrativa, ma anche penale. Tuttavia, la nave è anche luogo e mezzo di produzione di un’impresa che fa capo alla figura dell’armatore che è il gestore della nave stessa (spesso ne è anche il proprietario), per cui il lavoro marittimo rientra anche nella norma del rapporto di lavoro in generale, che si caratterizza per lo scambio tra l’attività del prestatore, svolta in posizione subordinata, e la retribuzione, e che non muta la sua essenza se l’attività lavorativa si esplica a bordo di una nave invece che a terra. Nell’arruolamento (il termine con cui si indica l’assunzione dei lavoratori marittimi) è possibile infatti distinguere gli stessi elementi fondamentali tipici del contratto di lavoro subordinato. In questo senso, sebbene il Codice della navigazione abbia dato luogo a due sistemi normativi paralleli e conviventi, l’uno di carattere pubblicistico, l’altro relativo al rapporto di lavoro, caratterizzati da regole, poteri, apparati sanzionatori distinti, da alcuni anni si assiste ad una tendenza da parte delle fonti normative e della giurisprudenza a fare convergere le due sfere disciplinari1. Si può dire che il caso della riforma del collocamento della gente di mare segue questa inclinazione. Sin qui abbiamo parlato del lavoro marittimo come se fosse unico, anche se abbiamo premesso che può svolgersi in tre settori distinti: il trasporto, la pesca e il diporto. In realtà ci sono molti lavori marittimi che a partire dalla comune appartenenza alla categoria delle attività della gente di mare distinguono in maniera anche molto netta i diversi ambiti organizzativi e operativi dell’impresa e i diversi profili professionali e occupazionali dei lavoratori, per cui danno luogo a diversi segmenti o “sottomercati” del lavoro marittimo. Ci sono anche lavori marittimi che non presuppongono l’appartenenza alla gente di mare, come è per gran parte delle attività di tipo alberghiero, ricreativo e commerciale prestate a bordo della navi da crociera, sebbene i lavoratori che le svolgono concorrano a formarne a pieno titolo gli equipaggi di quelle navi. LA DOMANDA DI LAVORO DELLE IMPRESE Quanti sono i lavoratori marittimi italiani? Da quanti lavoratori è composta la gente di mare iscritta nei registri delle Capitanerie di porto? Quanti lavorano nel trasporto? Quanti sui pescherecci? Quanti sulle imbarcazioni da diporto? Quanti attendono privi di un’occupazione un lavoro a bordo? Quanti sono gli armatori italiani e quante le rispettive imbarcazioni che determinano la domanda di marittimi sul mercato del lavoro nazionale? Quanta domanda è invece rivolta sul mercato del lavoro internazionale e quanti sono quindi i marittimi non comunitari a bordo delle nostre imbarcazioni? Quanti marittimi italiani lavorano su navi di bandiera estera? Quanti sono i lavoratori e di quale nazionalità che, senza appartenere alla gente di mare, prestano la loro attività a bordo delle navi passeggeri e da crociera? Domande che in un qualsiasi altro settore occupazionale riceverebbero più facilmente risposte di quanto accada nel

1 Cfr. Maria Novella Bettini, Quando il diritto del lavoro è costretto a navigare, in Nautes, Rivista di IPSEMA, 2, 2003.

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settore marittimo, che da questo punto di vista invece costituisce una sorta di pianeta sconosciuto o di entità misteriosa, anche per gli addetti ai lavori e nonostante la gestione pubblica dei registri di immatricolazione, dei turni di imbarco, degli arruolamenti, dei ruoli degli equipaggi, oltre che delle posizioni assicurative e previdenziali. Insomma, siamo di fronte al paradosso per cui il settore privato del mercato del lavoro che ha più evidenza pubblica sia il settore di cui si ha minore informazione pubblica e quindi conoscenza generale. Non esiste una fonte statistica ufficiale dei lavoratori marittimi, né nazionale né locale. ISTAT non se ne occupa se non all’interno o a margine di indagini entro cui non si riesce a distinguere e a estrapolare il lavoro marittimo vero e proprio. Non esiste un archivio centralizzato del Ministero dei Trasporti né delle Capitanerie di porto presso cui sono registrati i dati delle matricole e dei movimenti occupazionali. Ciascuna Capitaneria detiene la parte di dati relativa alla propria attività, ma per lo più su supporto cartaceo o su supporto elettronico locale. A nostra conoscenza, nessuna Capitaneria produce rapporti statistici sulla consistenza dei marittimi iscritti e arruolati. Le iniziative assunte negli ultimi dieci anni sia in sede legislativa sia in sede di intese contrattuali dalle parti sociali per dotare il mercato del lavoro della gente di mare di un sistema informativo nazionale, basato o sugli uffici delle Capitanerie di porto oppure sulle Compagnie di navigazione, non hanno sinora sortito alcun effetto. Ugualmente, né INPS né INAIL né IPSEMA, quest’ultimo è l’istituto assicurativo dei marittimi, hanno sinora rilasciato rapporti ufficiali sull’occupazione nel settore marittimo. Però su questo fronte c’è una nuova, ottima, notizia che dovrebbe contribuire a risolvere il problema delle statistiche del lavoro marittimo per una parte fondamentale: quella relativa ai movimenti occupazionali. Si tratta di una doppia norma contenuta nella legge Finanziaria 2007: la prima già in vigore dal 1° gennaio 2007, la seconda che sarà presto in vigore prima della fine del 2007 e che assorbirà la prima. La prima norma riguarda l’obbligo dal 1 gennaio 2007 per i datori di lavoro del settore marittimo di comunicare a IPSEMA l’avvio o la cessazione di un rapporto di lavoro tramite la denuncia nominativa1. Questa operazione non era obbligatoria fino ad ora, infatti la legge 38 del 2000 che stabilisce la denuncia all’istituto assicuratore (INAIL) nel primo giorno lavorativo non era stata estesa al comparto marittimo, per cui l’armatore si limitava ad aprire una posizione assicurativa per la nave con la previsione dei posti a bordo sui quali ruotavano più lavoratori anonimi (in ragione degli avvicendamenti). Il nuovo obbligo grava invece su tutti i datori di lavoro marittimo, prescindendo dalla categoria di naviglio di riferimento (trasporto, pesca, diporto), per cui anche il settore marittimo può contare, dal 1° gennaio 2007, su una anagrafe assicurativa nominativa dei lavoratori. D’altro canto la stessa legge finanziaria ha introdotto l’obbligo della comunicazione telematica obbligatoria il giorno antecedente l’inizio e alla fine di qualsiasi rapporto di lavoro dipendente, ivi compreso quello marittimo. La comunicazione va resa ai Centri per l’impiego e nel caso dei marittimi agli Uffici di collocamento della gente di mare che a loro volta la reindirizzeranno per quanto di competenza agli istituti assicurativi e previdenziali, IPSEMA compresa. Per l’entrata in vigore di questa seconda norma si è in attesa di un decreto che definisca i moduli di comunicazione via internet che sarà pubblicato in autunno di quest’anno2. Alla fine del 2007 sarà dunque solo IPSEMA a potere dare conto dei movimenti occupazionali dei marittimi nel corso dell’intero anno solare, mentre dal 2008 lo potranno fare con maggiore dovizia di dati gli Uffici di collocamento della gente di mare. A dire il vero il problema della difficoltà di disporre dei dati sull’occupazione in campo marittimo non riguarda solo l’Italia. L’Unione europea non perde occasione per segnalare questo

1 Art.1, c.1182, della legge 27 dicembre 2006, n.296 (Finanziaria 2007). 2 Art.1, c.1180, ibidem. La comunicazione all’INAIL ex art. 14, comma 2, del D.L.vo n. 38/2000 attraverso gli strumenti telematici resta in vigore fino alla piena operatività delle nuove modalità di trasferimento dei dati. Lo stesso vale nei confronti dell’IPSEMA.

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problema e la necessità che i paesi membri si dotino di sistemi adeguati per risolverlo. Ultima denuncia in ordine di tempo l’ha pronunciata il commissario europeo per la pesca e gli affari marittimi Joe Borg nella conferenza a Sopot in Polonia a febbraio di quest’anno sul ruolo della futura politica comunitaria nel delineare nuovi standard di formazione e occupazione marittima (“it has been clear to me since the beginning of our efforts to develop a maritime policy for the EU, that there is a lack of comprehensive data available. This is especially so with regard to maritime employment”), tanto da avere commissionato nel 2005 un’apposita indagine poi pubblicata nel 2006 su cui avremo occasione di tornare per rilevarne i dati e i giudizi1. È utile però sottolineare qui quelle caratteristiche del settore marittimo che secondo gli autori dell’indagine motivano la difficoltà generalizzata a tutti i paesi europei di disporre di dati attendibili sul lavoro marittimo: la natura prevalentemente temporanea del contratto di imbarco per cui si rinnova ad ogni viaggio l’arruolamento di un nuovo equipaggio, e la varietà delle bandiere di registrazione delle navi di armatori europei, soprattutto di quelle impegnate nel traffico internazionale, che impiegano per lo più equipaggi multinazionali, per cui i dati che si raccolgono dai paesi dell’Unione cumulano spesso marittimi europei e non europei e navi di bandiera europea e non. Ne consegue che i dati dell’occupazione risultano talvolta sovrastimati rispetto ai posti di lavoro occupati effettivamente da marittimi comunitari e su navi comunitarie. Inoltre, a rendere ancora più complessa l’indagine, è risultato che alcuni paesi mischiano i dati degli occupati a bordo con quelli degli occupati a terra negli uffici e nei terminal delle compagnie di navigazione. Per l’Italia, aggiungiamo noi, pesa inoltre l’arretratezza già segnalata dell’amministrazione pubblica. In attesa degli effetti delle nuove norme in materia di denuncia nominativa degli assicurati e di comunicazione obbligatoria telematica degli arruolamenti, che permetteranno come detto, di disporre in tempo reale dei flussi occupazionali marittimi, ci si deve arrangiare con dati approssimativi provenienti da fonti diverse, abbastanza simili però da permettere una stima attendibile dei numeri esatti. Per quanto riguarda il trasporto, la prima fonte è costituita dal Ministero dei Trasporti che nella pubblicazione annuale contenente il “Conto Nazionale dei Trasporti e delle Infrastrutture” (CNTI) fornisce però un unico dato sommario circa il totale delle unità di lavoro presenti nel settore marittimo. Tale informazione non è l’elaborazione dei dati amministrativi primari provenienti dalle Capitanerie di porto che li archiviano in forma analitica nei loro registri e moduli operativi, sebbene esse dipendano dal Ministero dei trasporti, bensì di dati di seconda mano e pure approssimati. La seconda fonte, più analitica, la si trova nei dati forniti da CONFITARMA, la Confederazione Italiana degli Armatori, in occasione dell’Assemblea annuale dei soci. La terza fonte è rappresentata dai posti assicurati da IPSEMA. Esistono poi altre fonti estemporanee, com’è il caso di questo libro, che si cimentano a fini di ricerca e di studio nel mettere in relazione dati di provenienza diversa, per stimare in maniera più esatta sia i posti di lavoro a bordo delle navi addette al trasporto, sia i marittimi che si avvicendano su tali posti, sia la quota occupata da marittimi extracomunitari, sia infine il numero di marittimi italiani che abbandonano il mercato nazionale per imbarcarsi temporaneamente o stabilmente con navi straniere. Per quanto riguarda la pesca la situazione è più favorevole grazie all’attività di IREPA (Istituto di Ricerche Economiche per la Pesca e l'Acquacoltura) che dal 1994 svolge attività di assistenza tecnica in favore del Ministero per le Politiche Agricole e negli ultimi anni ha assunto la

1 ECOTEC Research & Consulting, An exhaustive analysis of employment trends in all sectors related to sea or using sea resources - Final report for the European Commission, DG Fisheries and Maritime Affairs, C3135 / September 2006.

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responsabilità della produzione statistica dei dati della pesca in Italia per cui, oggi, opera nell'ambito del Sistema Statistico Nazionale (SISTAN)1 Per quanto riguarda il diporto nautico la situazione è invece ai primordi e gli unici dati disponibili sono stime di IPSEMA e degli stessi operatori di mercato. Prima di passare ad esaminare i dati della domanda di lavoro marittimo, vale la pena di segnalare al di là delle oggettive difficoltà di rilevazione dei dati del lavoro marittimo, che anche i ricercatori dell’UE hanno rimarcato, che più di un secolo fa l’amministrazione del Regno d’Italia era in grado di fornire, in una pubblicazione periodica intitolata “Sulle condizioni della Marina Mercantile italiana al 31 dicembre. Relazione del Direttore generale della Marina Mercantile a S.E. il Ministro della Marina”, i dati del personale iscritto nei compartimenti marittimi, suddiviso per categorie e per qualifiche, e la quota di imbarcati nell’anno rispetto agli iscritti, come documenta Maria Stella Rollandi nel bel libro:“Lavorare sul mare – Economia e organizzazione del lavoro marittimo tra Otto e Novecento” da cui è tratta la figura seguente2:

Ciò accadeva in un mercato del lavoro marittimo certamente meno complicato di adesso in quanto integralmente nazionale, ma anche con numeri di marittimi iscritti quasi doppi di quelli attuali e soprattutto con una efficienza e una tempestività, nonostante la mancanza di tecnologie informatiche e telematiche, di cui lo Stato repubblicano non ha ancora dato prova nei suoi 60 anni di vita.

1 IREPA (Istituto di Ricerche Economiche per la Pesca e l'Acquacoltura) è stato fondato a Salerno nel 1982 da enti pubblici e locali della Campania con lo scopo di promuovere lo sviluppo della ricerca economica di settore e svolgere attività di assistenza in favore degli enti pubblici deputati alla gestione della pesca e dell’acquacoltura. 2 Edizioni Brigati, Genova, 2003. Si vedano le tabelle relative al periodo 1887-1913, pp.37-78.

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LA DOMANDA NEL TRASPORTO MARITTIMO Per giungere a determinare quantità e qualità della domanda di lavoro nel settore del trasporto, occorre avere presente le sue diverse tipologie. In primo luogo si distingue il “traffico internazionale” o “giromondo”, quello in cui si svolge il lavoro marittimo per antonomasia, che ne caratterizza la storia e l’immaginario. È il lavoro prestato a bordo di navi mercantili che fanno rotte internazionali, interne al Mediterraneo o più frequentemente con destinazione oltre lo Stretto di Gibilterra o lo Stretto dei Dardanelli o il Canale di Suez. Viaggi che tengono i marittimi, per lo più stranieri ad eccezione degli ufficiali come vedremo in seguito, lontano da casa per diversi mesi. Ci sono navi che fanno linee che non toccano mai l’Italia e che navigano esclusivamente da porto estero a porto estero. Esistono persino navi dette “tramp” (vagabondo) o volandiere, che non fanno servizi di linea, ma che attendono lungo rotte commerciali di essere noleggiate “al volo”. Del “traffico internazionale” fanno parte anche le navi passeggeri che sulle rotte “oltre gli stretti” sono ormai esclusivamente quelle da crociera e che presentano una enorme quantità di lavoratori marittimi a bordo delle loro unità sempre più grandi. Basti pensare che una nave da carico ospita un equipaggio di una ventina di persone per la sua conduzione, mentre una nave da crociera può avere anche più di mille membri di equipaggio, la gran parte dei quali però dedicati non alla conduzione nautica ma ai servizi offerti alle migliaia di passeggeri imbarcati. Riducendo il raggio di azione delle navi, si distingue il cosiddetto “cabotaggio” o trasporto tra porti europei (“a corto raggio”) o tra porti italiani (cabotaggio interno o nazionale). Il cabotaggio comprende navi mercantili di ogni genere, sia di linea che non. Tra le prime rientrano i traghetti (“ferries”), che trasportano persone e/o merci per lo più accompagnate dai loro mezzi di trasporto, sicché le linee del cabotaggio interno e mediterraneo vengono anche dette “autostrade del mare” quando sono alternative alle corrispondenti rotte stradali del trasporto “su gomma”. I marittimi che vi lavorano, principalmente italiani, conducono navi specializzate nelle funzioni tipiche del cabotaggio, su rotte più brevi e prevalentemente di linea, che li obbligano a bordo per periodi relativamente brevi, con pause che permettono anche rientri a casa, un po’ alla stregua della condizione lavorativa dei ferrovieri impegnati a bordo dei treni di lunga percorrenza. Ci sono poi le “navi speciali”, in particolare i rimorchiatori per lo più impiegati nelle acque dei porti al servizio delle manovre delle navi in ingresso e in uscita, ma anche operanti nel traino di imbarcazioni o piattaforme in mare aperto, oppure le pilotine o le unità del bunkeraggio, tutti natanti su cui operano marittimi per lo più italiani, residenti nella città del porto in cui prestano servizio, che condividono una condizione lavorativa simile al turnista che torna comunque a casa dopo i turni di lavoro. A queste tipologie di trasporto marittimo, a cui corrispondono altrettante condizioni lavorative, corrispondono anche altrettanti “mercati del lavoro”, che distinguono in maniera sostanziale la gente di mare che vi opera sotto il profilo delle motivazioni, delle esperienze e degli orizzonti professionali e personali, pur condividendo formazione, qualifiche, titoli professionali, percorsi di carriera, e alla fine di tutto ciò anche sotto il profilo della nazionalità. Scendendo sul piano quantitativo della domanda, il mercato del lavoro del trasporto marittimo è meccanicamente determinato dal numero di navi. Esse costituiscono ciò che a terra è indicato come “luoghi di lavoro” o “unità produttive”. Da esse, dal loro numero, dalla loro tipologia e dalla loro dimensione, derivano i numeri dei componenti degli equipaggi, da cui derivano i numeri dei marittimi che si avvicendano a ricoprirne i ruoli nell’arco di un anno di esercizio delle navi.

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Alla fine del 2006 la flotta mercantile italiana era composta di 1.480 navi da trasporto, per un totale di 13.144.608 tsl1 così ripartite2:

Tipologie macro e micro

Navi > 100 tsl % Tsl % Tsl / Navi

NAVI DA CARICO LIQUIDO 294 19,9% 3.743.000 28,5% 12.731

Petroliere 116 7,8% 2.102.000 16,0% 18.121

Gassiere 43 2,9% 353.000 2,7% 8.209

Chimichiere 102 6,9% 1.253.000 9,5% 12.284

Altre cisterne 33 2,2% 34.000 0,3% 1.030

NAVI DA CARICO SECCO 204 13,8% 5.551.000 42,2% 27.211

Carico generale 38 2,6% 275.000 2,1% 7.237

Portacontainer 30 2,0% 869.000 6,6% 28.967

Portarinfuse 58 3,9% 2.134.000 16,2% 36.793

Traghetti 78 5,3% 2.273.000 17,3% 29.141

NAVI MISTE E DA PASSEGGERI 450 30,4% 3.101.000 23,6% 6.891

Crociera 15 1,0% 969.000 7,4% 64.600

Aliscafi, Catamarani e unità veloci 85 5,7% 25.000 0,2% 294

Traghetti 217 14,7% 2.055.000 15,6% 9.470

Altre navi trasporto passeggeri 133 9,0% 53.000 0,4% 398

PORTARINFUSE POLIVALENTI 2 0,1% 65.000 0,5% 32.500

NAVI PER SERVIZI AUSILIARI 530 35,8% 684.000 5,2% 1.291

Rimorchiatori e navi appoggio 307 20,7% 127.000 1,0% 414

Altri tipi di navi 223 15,1% 557.000 4,2% 2.498

TOTALE 1480 100,0% 13.145.000 100,0% 8.882

Di queste 1480 navi, sopra le 100 tsl3, poco meno della metà, pari a 713 navi, sono >1.000 tsl equivalenti a 12.895.551 tsl complessive (il 48% delle navi copre dunque il 98% di tsl), mentre le restanti 767 navi hanno tra 100 e 999 tsl, equivalenti a 249.057 tsl complessive. Circa 90 navi appartengono al Gruppo Tirrenia, di proprietà pubblica. Si tratta di navi che operano esclusivamente nelle linee interne dei traghetti passeggeri, merci o miste, per assicurare la cosiddetta “continuità territoriale”, ossia il servizio pubblico di trasporto con le isole appartenenti al territorio nazionale. Le navi Tirrenia, assieme alla piccola flotta di navi della RFI (Rete Ferroviaria Italiana) composta da una decina di battelli che fanno servizio sullo Stretto di Messina, costituiscono la componente pubblica della flotta italiana, pari a circa il 4% del complesso del tsl nazionale, mentre il 96% del tonnellaggio complessivo è privato. Le categorie a cui appartengono le 767 navi <1000 tsl sono facilmente individuabili dal rapporto medio tra numero di navi e tsl complessivo di ciascuna categoria: sono principalmente presenti tra le “altre cisterne” che comprende le piccole unità in servizio nei porti per il bunkeraggio (appena 1000 tsl medie), tra le “altre navi da trasporto passeggeri” e gli “aliscafi, catamarani e unità veloci” (circa 300 tsl medie), tra i “rimorchiatori e le navi appoggio” e in una parte degli “altri tipi di navi” addette a servizi ausiliari (circa 400 tsl medie), oltre che in misura minoritaria 1 TSL (tonnellate di stazza lorda): è l’unità di misura convenzionalmente più utilizzata per le dimensioni di una nave mercantile. Corrisponde al volume interno complessivo della nave. Una tonnellata di stazza equivale a 2,83 metri cubi. 2 La tabella è tratta da: CONFITARMA – Relazione all’assemblea annuale dei soci – Roma, 5 luglio 2007. Per avere un dettaglio maggiore della composizione della nostra flotta si vedano le tabelle allegate all’annuale “Conto Nazionale dei Trasporti e delle Infrastrutture” (CNTI) pubblicato dal Ministero dei Trasporti. 3 Sotto le 100 tsl le imbarcazioni appartengono di norma al settore della pesca e del diporto nautico.

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tra le unità delle altre categorie. Si tratta nel complesso di navi che imbarcano equipaggi ridotti numericamente e che per lo più svolgono i loro servizi o in ambiti portuali o vicino alle coste o su linee di trasporto a corto e cortissimo raggio. Le altre categorie comprendono le navi >1000 tsl, come si evince dal rapporto medio tra numero di navi e tsl complessivo: sono le “navi da carico liquido e secco” (circa 25.000 tsl medie), le “navi da crociera” (circa 65.000 tsl medie) e i “traghetti passeggeri o misti” (circa 20.000 tsl medie), le “portarinfuse” (circa 30.000 tsl medie) e una parte di “altri tipi di navi”. Sono nel complesso le navi che avendo equipaggi abbastanza numerosi compongono il quadro maggioritario della domanda di lavoro marittimo del trasporto. Per fare comprendere meglio le dimensioni di queste navi >1000 tsl diamo alcuni esempi di senso comune1: - il piccolo traghetto della Toremar che serve l’Isola d’Elba da Piombino o il ferry-boat della Caronte che fa servizio sullo Stretto di Messina hanno ciascuno una stazza di circa 1.500 tsl; - il traghetto della Grandi Navi Veloci che fa linea tra Genova e la Sardegna ha una stazza di circa 40.000 tsl; - la MSC Napoli, la portacontainer che si è vista alla televisione in difficoltà lo scorso inverno nel Canale della Manica subire un parziale affondamento con perdita di carico ha una stazza di 53.000 tsl; - l’ultima costruzione della Costa Crociere, la Costa serena, che imbarca 1100 componenti di equipaggio e 3800 passeggeri, ha una stazza di 114.500 tsl. Il numero, la tipologia e la dimensione delle navi determinano con buona approssimazione la domanda di lavoro per comporne gli equipaggi. Infatti, diversamente da quanto accade per una fabbrica o un ufficio, è materia di legge e di preventivi accordi sindacali la definizione di quanti e quali lavoratori salgono a bordo di una nave, ossia ne compongono l’equipaggio e con quali titoli e qualifiche professionali, a dimostrazione ulteriore della forte impronta pubblicistica del settore marittimo, sempre dettata da ragioni di sicurezza della navigazione. L’organico di una nave in particolare è fissato nella cosiddetta “tabella di armamento” dove sono indicati il numero minimo degli ufficiali di coperta e di macchina con i relativi gradi, nonché la composizione e la forza minima del resto dell’equipaggio, tenuto conto anche del fatto che l’esercizio di una nave copre le 24 ore giornaliere e i sette giorni della settimana. Il Codice della navigazione demanda alla legge o alla contrattazione collettiva la determinazione della tabella di ciascun tipo di nave e di ciascuna unità. Le tabelle sono sottoposte al controllo delle Capitanerie di porto che hanno facoltà di impedire la partenza delle navi il cui equipaggio sia composto in maniera difforme da quanto indicato sotto il profilo delle quantità e delle qualifiche. Le Capitanerie inoltre hanno il compito di accertare, mediante ispezioni, la validità dei certificati dei marittimi imbarcati richiesti obbligatoriamente dalle convenzioni internazionali in materia di sicurezza che ne completano il quadro di conformità professionale. A partire dunque dalla classificazione della flotta nazionale suddivisa per categorie di unità di trasporto marittimo, CONFITARMA presenta annualmente la stima dei posti di lavoro a bordo. Dalla stima presentata all’assemblea di quest’anno e riferita al 31 dicembre 2006, abbiamo elaborato la seguente tabella che sviluppa la precedente relativa alla composizione funzionale della flotta:

Tipologie macro e micro Navi %

Posti stimati a

bordo %

Posti stimati a bordo /

Navi

Posti stimati a bordo X

1,43

NAVI DA CARICO LIQUIDO 294 19,9% 5.005 16,4% 17 7.157

Petroliere 116 7,8% 2.320 7,6% 20 3.318

Gassiere 43 2,9% 690 2,3% 16 987

1 Un repertorio analitico della nostra flotta è fornito periodicamente dalla rivista TTM-Tecnologie Trasporti Mare - L'automazione Navale, edita a Genova.

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Chimichiere 102 6,9% 1.635 5,4% 16 2.338

Altre cisterne 33 2,2% 360 1,2% 11 515

NAVI DA CARICO SECCO 204 13,8% 3.320 10,9% 16 4.748

Carico generale 38 2,6% 495 1,6% 13 708

Portacontainer 30 2,0% 570 1,9% 19 815 Portarinfuse 58 3,9% 1.160 3,8% 20 1.659

Traghetti 78 5,3% 1.095 3,6% 14 1.566

NAVI MISTE E DA PASSEGGERI 450 30,4% 19.410 63,6% 43 27.756

Crociera 15 1,0% 2.925 9,6% 195 4.183

Aliscafi, Catamarani e unità veloci 85 5,7% 595 2,0% 7 851

Traghetti 217 14,7% 5.640 18,5% 26 8.065

Altre navi trasporto passeggeri 133 9,0% 800 2,6% 6 1.144

Personale alberghiero 9.450 44 … 630 13.514

PORTARINFUSE POLIVALENTI 2 0,1% 40 0,1% 20 57

NAVI PER SERVIZI AUSILIARI 530 35,8% 2.730 8,9% 5 3.904

Rimorchiatori e navi appoggio 307 20,7% 1.840 6,0% 6 2.631

Altri tipi di navi 223 15,1% 890 2,9% 4 1.273

TOTALE 1480 100,0% 30.505 100,0% 21 43.622

La tabella mostra che alla fine del 2006 i posti di lavoro stimati a bordo delle navi italiane >100 tsl erano 30.505, di cui: - il 63,6% a bordo di navi miste e passeggeri, di cui circa la metà costituito da personale alberghiero, - il 27,3% a bordo di navi da carico (liquido o secco) più lo 0,1% a bordo di portarinfuse, - il resto, pari all’8,9%, a bordo delle navi speciali e ausiliarie.

Percentuale di marittimi imbarcati per tipo di trasporto

navi passeggeri; 63,60%

navi da carico; 27,50%

navi speciali e aus iliarie; 8,90%

Sulla base del rapporto posti di lavoro stimati/numero di navi si ottiene la stima dell’equipaggio medio per ciascuna categoria di nave, che si aggira: - tra 15 e 20 componenti per le navi da carico e le portarinfuse, - sui 6-7 componenti per i piccoli traghetti, sui 25-30 per i traghetti più grandi e sui circa 200 per le navi da crociera; a questi equipaggi medi delle navi passeggeri va aggiunto il personale alberghiero, la cui media andrebbe ponderata tra i traghetti e le navi da crociera;

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- circa 5 componenti per le navi speciali e ausiliarie. In base delle norme contrattuali per cui un posto di lavoro a bordo di una nave in esercizio per tutto l’anno è occupato da 1,43 lavoratori, in considerazione dei periodi di riposo obbligatori previsti per i marittimi (circa 4 mesi/anno), la tabella mostra anche il totale complessivo di lavoratori che occupano avvicendandosi nell’arco di un anno i posti stimati a bordo1. Secondo questo calcolo, la stima della domanda da parte delle navi italiane impegnate nel trasporto per coprire i fabbisogni di composizione degli equipaggi nell’arco dell’anno, ammonta a 43.622 marittimi. CONFITARMA più sommariamente indica la cifra di 40.000. Di questi marittimi, sulla base delle percentuali prima stimate, poco meno di 12.000 navigano sulle navi da carico tra cui molte vanno “oltre gli stretti”, mentre circa 21.000 navigano su navi passeggeri, tra cui solo le crociere, che ne imbarcano circa 10.000, escono dal Mediterraneo, e infine quasi 4000 operano per lo più dentro o in prossimità delle aree portuali: L’altra fonte importante di dati è costituita da IPSEMA, l’istituto di previdenza dei lavoratori marittimi, che rilascia dati pubblici in occasione della pubblicazione del Bilancio sociale di cui però sono disponibili solo quelli relativi al 2003 e al 2004. Inoltre i dati sono ripartiti per categorie diverse di navi, non facilmente confrontabili con quelle utilizzate da CONFITARMA. Essi registrano i posti di lavoro dichiarati all’istituto dall’armatore per ogni nave sulla base della tabella di armamento al momento dell’apertura delle posizioni assicurative obbligatorie. Abbiamo però i dati di IPSEMA relativi al 2006 che sono stati trasmessi dallo stesso istituto a FEDERPESCA, la Federazione Nazionale delle Imprese di Pesca, che li ha gentilmente messi a disposizione di questo libro. Essi corrispondono abbastanza nella loro sommarietà ai dati di CONFITARMA: i posti di lavoro indicati da IPSEMA sono infatti 28.446, solo un 5% in meno di quelli indicati da CONFITARMA. Circa il numero di marittimi che si sono avvicendati per ricoprire questi posti nell’arco del 2006, IPSEMA indica in maniera abbastanza analitica (ripartiti per comune di domicilio), un numero di circa 48.000 lavoratori, più alto del 15% di quello stimato applicando il moltiplicatore convenzionale di 1,43, pari ad un moltiplicatore di 1,6, dovuto probabilmente alla maggiore considerazione di un certo tasso di assenteismo e di un certo impiego di marittimi in soprannumero rispetto alle tabelle di armamento in relazione ai carichi stagionali sulle categorie di navi impegnate nel trasporto turistico. Tirando le somme, si può concludere che la domanda di lavoro marittimo per il trasporto, rilevata alla fine del 2006, è di circa 30.000 posti a bordo delle navi di bandiera italiane (assumiamo come più attendibile il dato CONFITARMA), pubbliche e private, per coprire i quali l’armamento italiano ha potuto disporre di un numero di lavoratori che oscilla intorno alle 48.000 unità (assumiamo come più attendibile il dato IPSEMA).

1 Numero di lavoratori equivalenti alle ULA in statistica sociale: unità di lavoro equivalenti a tempo pieno che occupano un posto di lavoro.

MARITTIMI

IMPIEGATI A BORDO 48.000

POSTI DI LAVORO A BORDO

30.000

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L’internazionalizzazione del lavoro marittimo nel trasporto Sino ad una quindicina di anni fa le navi italiane potevano imbarcare solo marittimi italiani, ai sensi dell’art.318 del Codice della Navigazione che prevedeva solo in via eccezionale e per deroga ministeriale, la presenza di stranieri tra il personale di bassa forza e comunque in numero contenuto. Dal 1994 i marittimi degli Stati membri della Comunità europea sono stati equiparati agli italiani ai fini della formazione degli equipaggi, in attuazione di una direttiva CEE sul riconoscimento dei titoli di formazione professionale1. In quegli anni il lavoro marittimo italiano, in particolare quello impegnato nel traffico internazionale, stava affrontando una dura contesa che aveva in palio la sua stessa sopravvivenza. Sino dagli anni ’80 gli armatori stavano abbandonando sempre più numerosi il Registro italiano, ossia la nostra bandiera, per iscriversi in registri stranieri sotto bandiere di comodo. Lì trovavano migliori condizioni fiscali e non avevano i vincoli di arruolamento di personale italiano e comunitario imposti dal Codice della navigazione, che determinavano costi eccessivi nella gestione della nave se confrontati con i costi degli armatori esteri concorrenti, anche comunitari a cominciare dai paesi scandinavi, che non erano più assoggettati agli stessi vincoli grazie all’adozione di specifiche misure finalizzate ad aprire gli arruolamenti al personale extracomunitario. Si veda a questo proposito la tabella che segue, che mette a confronto i costi di gestione di una nave italiana alla fine degli anni ’90 con quelli di due navi europee concorrenti e da cui emerge come il diverso margine operativo, sfavorevole per la nave italiana, sia determinato dal costo dell’equipaggio superiore più del doppio rispetto alle altre due navi2:

La situazione era così grave che si temeva per la sopravvivenza stessa della flotta italiana sulle rotte del traffico internazionale con conseguenze non solo sull’occupazione diretta ma anche in tutti i settori economici gravitanti intorno alla flotta (banche, assicurazioni, broker, cantieri ecc.). Fu allora dapprima approvata la legge 234 del 1989, meglio nota come la legge sul Bare Boat Charter (“locazione a scafo nudo”)3. In base ad essa fu consentito alle navi italiane di assumere una bandiera estera attraverso lo strumento della locazione, e quindi di raggiungere lo scopo di imbarcare marittimi extracomunitari, allora vietato dal Codice della navigazione. Successivamente fu approvata una seconda e decisiva legge, la 30 del 1998, meglio nota come

1 Art.23 del DLvo 2 maggio 1994 n.319 di attuazione della Direttiva 92/51/CE. 2 La tabella è tratta da: Antonio Gozzi, Bulk Shipping, Giappichelli, 2002. 3 Legge 14 giugno 1989 n.234 “Disposizioni concernenti l’industria navalmeccanica e armatoriale e provvedimenti a favore della ricerca applicata al settore navale”.

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legge sul Registro Internazionale (RI)1, sulla scia delle misure adottate dai paesi europei che si erano già mossi con successo in questa direzione e che si erano anche tradotti in indirizzi espliciti sia della Commissione che del Parlamento europeo verso una nuova strategia marittima2. La legge fu elaborata grazie al concorso attivo delle parti sociali. Essa aveva lo scopo esplicito di ridare competitività e richiamare sotto la nostra bandiera il naviglio nazionale grazie all’istituzione di un secondo registro che permettesse agli armatori di beneficiare di particolari aiuti di stato consentiti e condivisi dall’Unione europea3. Gli strumenti forniti dalla legge, riservata alle sole navi impegnate nei traffici commerciali internazionali con esclusione quindi del cabotaggio, riguardavano sia agevolazioni fiscali e contributive volte a contenere i costi di esercizio delle navi iscritte, sia la possibilità di imbarcare marittimi extracomunitari allo scopo di contenere i costi di personale4. Per quello che riguarda in particolare quest’ultimo aspetto, la legge interveniva a modificare l’art.318 del Codice della navigazione concedendo la possibilità di armare la nave con equipaggio non comunitario, ad eccezione di sei membri a cui dovevano essere riservate le mansioni di comando o comunque le qualifiche più alte a bordo. Il minore costo del lavoro dei marittimi extracomunitari veniva determinato dalla regola, prevista dalla stessa legge, per cui il contratto di lavoro del personale imbarcato sulle navi iscritte nel RI, per i marittimi italiani e comunitari era disciplinato dalla normativa e dalla contrattazione collettiva dei singoli stati membri, mentre per il personale extracomunitario era regolato dalla legge scelta dalle parti e comunque nel rispetto delle convenzioni internazionali in materia di rapporto di lavoro. In pratica, si derogava al principio “pari lavoro/pari salario” già allora vigente e poi proclamato nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, sottoscritta nel Consiglio di Nizza nel 2000: all’articolo 15, comma 3 si stabilisce che “i cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell’Unione”. Questa deroga per il lavoro marittimo avrebbe trovato conferma nell’interpretazione fornita dal Presidium (il comitato di redazione della Carta) per cui l’ingaggio di marinai aventi la cittadinanza di stati terzi negli equipaggi di navi battenti bandiera di uno stato membro dell’Unione è disciplinata dal diritto comunitario e dalle legislazioni e pratiche nazionali. Sono le organizzazioni sindacali a livello internazionale che contrattano e vigilano sulle condizioni economiche, salariali e assicurative minime che devono essere osservate per i lavoratori non comunitari, condizioni che sono ovviamente molto inferiori agli standard italiani ed europei5. Per rendersi conto dell’efficacia della legge 30 sotto il profilo della restituzione della competitività si osservi la tabella seguente che mostra il confronto tra i costi di un equipaggio prima e dopo l’introduzione del RI grazie agli sgravi fiscali e contributivi6:

1 Legge 27 febbraio 1998, n. 30 “Conversione in legge con modificazioni del Decreto legge 30 dicembre 1997 recante disposizioni urgenti per lo sviluppo del settore dei trasporti e l’incremento dell’occupazione”. 2 Cfr. Comunicazione della Commissione, al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni - Verso una nuova strategia marittima /COM/96/0081def. Cfr. anche la Risoluzione del Parlamento europeo su tale Comunicazione, approvata nella seduta del 24 aprile 1997. 3 Cfr. Orientamenti comunitari in materia di aiuti di stato ai trasporti marittimi (97/C 205/5). 4 Le agevolazioni consistevano nella esenzione IRAP e nell’abbattimento al 20% della base imponibile IRPEG, e nel credito di imposta pari all’IRPEF del lavoratore marittimo e nello sgravio del 100% dei contributi previdenziali e assistenziali. 5 Le organizzazioni sindacali dei marittimi sono associate a livello mondiale nell’ITF, International Transport Workers’ Federation. Questa raggruppa 681 sindacati che rappresentano 4,5 milioni di lavoratori del trasporto in 148 paesi del mondo. Sono 600.000 i marittimi membri dei sindacati affiliati all’ITF. L’ITF agisce per migliorare le condizioni dei marittimi di tutte le nazionalità e per assicurare una adeguata regolazione dell’industria marittima difendendo gli interessi e i diritti dei lavoratori. L’ITF difende il personale marittimo di qualsiasi nazionalità e imbarcato su qualsiasi bandiera. 6 La tabella è tratta da: Gozzi, op.cit.

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La legge 30 raggiunse l’obiettivo sperato, per cui si invertì il fenomeno dell’abbandono della nostra bandiera e circa 600 navi nel giro di pochi anni rientrarono iscrivendosi nel RI e successivamente molte se ne sono aggiunte di nuova costruzione. Il successo fu tale che il repentino aumento delle navi in bandiera italiana rese difficile reperire i marittimi italiani necessari al completamento degli equipaggi delle navi iscritte nel RI, in particolare quei quadri ufficiali che la legge imponeva. Ciò era dovuto al fatto che molti ufficiali italiani si erano nel frattempo impegnati con flotte estere, facendo carriera e trovando buone e talvolta migliori condizioni organizzative e economiche. Inoltre nello stesso periodo il cabotaggio, operato da navi ancora escluse dal RI, conosceva un notevole sviluppo assorbendo molti ufficiali che trovavano più conveniente navigare in bandiera italiana e sulle rotte vicino a casa. A queste circostanze si aggiunga la carenza di vocazioni da parte dei giovani diplomati nautici che allora aveva raggiunto il culmine non solo e non tanto per motivi generici di disaffezione per il lavoro a bordo, quanto per l’abbandono ventennale da parte degli armatori di una politica di reclutamento di personale ufficiale italiano, tentati e attratti dalla prospettiva di utilizzare esclusivamente personale extracomunitario ovvero rassegnati o convinti a seconda dei casi del definitivo tramonto della marineria italiana sulle rotte internazionali. Atteggiamenti che non avevano contribuito certo a motivare nuove carriere marittime. In realtà, la legge 30 prevedeva contestualmente delle misure rivolte a rilanciare e a incrementare l’occupazione di marittimi italiani, in particolare, dei quadri di comando, grazie alla creazione dell'Osservatorio del mercato del lavoro marittimo e all’istituzione del “Turno generale unico di collocamento della gente di mare”, strumenti ritenuti essenziali per salvaguardare e gestire l'occupazione dei marittimi italiani e per promuovere di conseguenza le necessarie misure promozionali e formative1. Tuttavia, da allora il Ministero dei Trasporti non ha provveduto a rendere operativi con i decreti previsti dalla legge né l'uno né l’altro strumento: il primo finalizzato alla continua verifica dello stato della categoria e di gestione del fabbisogno di manodopera occorrente alla flotta nazionale; il secondo per allargare le chiamate d'imbarco a tutti i compartimenti marittimi nazionali, accertando in tale modo con sicurezza la presenza o meno di marittimi disponibili all'imbarco prima di ricorrere all'utilizzazione di personale straniero. Né le parti sociali hanno avuto la forza di ottenere tale adempimento da parte del

1 Art.9-ter.

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Ministero, nonostante che in tre successivi rinnovi del CCNL armatori e sindacati ne abbiano rinnovato l’istanza e non ci sia stato convegno, articolo o intervento pubblico in cui non si sia lamentata tale inadempienza. Eppure essa ha reso la legge 30, che aveva la tutela e l’incremento dell’occupazione italiana, un provvedimento evidentemente “zoppo”, in quanto efficace in una sola direzione, quella dell’impresa. Peraltro, la mancata attivazione degli strumenti di rilancio del lavoro marittimo italiano sulle navi iscritte nel registro internazionale finiva per aggravare la situazione della carenza di ufficiali italiani, con il risultato paradossale di dovere legiferare ulteriori provvedimenti per favorire il lavoro extracomunitario. Per sopperire alle nuove difficoltà, infatti, nell’ambito della legge 88 del 2001 fu inserito un articolo che interveniva a modificare ulteriormente sia l’art.318 del Codice della navigazione sia la stessa legge 30. In particolare si consentiva, in caso di irreperibilità di marittimi italiani o comunitari, di procedere all’imbarco di marittimi non comunitari per tutte le qualifiche, ad esclusione del solo Comandante, previo apposito accordo sindacale nazionale per determinare una composizione d’equipaggio in deroga a quella stabilita dalla legge1. Per favorire la circolazione dei marittimi extracomunitari, inoltre era stabilito che non sono richiesti visti di ingresso né permesso di soggiorno e autorizzazione al lavoro anche quando la nave su cui sono imbarcati navighi in acque territoriali o sosti in un porto nazionale. Solo un anno dopo, nella perdurante assenza di provvedimenti per contrastare la carenza di ufficiali italiani che continuava ad aggravarsi per lo sviluppo del cabotaggio, si ritenne di intervenire nuovamente con un altro articolo di legge, la 166 del 2002, che modificava l'articolo 319 del Codice della navigazione2. Con esso si superava anche il vincolo degli accordi collettivi, consentendo alle imprese di navigazione la possibilità di impiegare manodopera straniera, pur sempre nel caso di indisponibilità all'imbarco di marittimi di nazionalità italiana, una condizione che tuttavia era ormai diventata puramente retorica. Insomma, dal 1998 in avanti si assiste alla progressiva liberalizzazione dell’arruolamento di marittimi extracomunitari sulle navi iscritte nel RI, senza che in buona sostanza una sola misura venga resa operante tra quelle stabilite dalla legge o tra quelle concordate in sede di stipula dei CCNL per contrastare questo fenomeno. Anzi, fu annullata l’unica misura vigente di incentivazione economica per imbarcare allievi ufficiali comunitari, togliendo altresì legittimità al vincolo occupazionale posto dalla legge 30 a carico degli armatori per godere dei benefici del RI. Infatti l’art.2 c.1 lett.b, tra criteri da osservare obbligatoriamente, prescrive che “le navi iscritte al Registro… saranno armate con sei membri dell'equipaggio aventi i requisiti di nazionalità di cui al comma 1 dell'articolo 318 del codice della navigazione [ossia italiana o comunitaria]. Tra essi dovranno obbligatoriamente esservi il comandante, il primo ufficiale di coperta e il direttore di macchina. I restanti tre componenti saranno ufficiali o sottufficiali, e almeno un allievo ufficiale di macchina e un allievo ufficiale di coperta in vigenza dei benefici di cui al decreto-legge 13 luglio 1995, n. 287, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 343”3. La legge 343 prevedeva una serie di misure finanziarie a favore dell'armamento, tra cui un contributo mensile per il periodo di imbarco per ciascun allievo ufficiale di macchina e

1 Art.5, Legge 16 marzo 2001, n.88 “Nuove disposizioni in materia di investimenti nelle imprese marittime”. Già un accordo sindacale dell’anno prima, il 21 giugno 2000, prevedeva, in caso di irreperibilità di un ufficiale comunitario la possibilità di sostituirlo con uno extracomunitario. Il nuovo accordo tra CONFITARMA e sindacati confederali, previsto dalla legge 88, è intervenuto meno di un anno dopo, il 21 febbraio 2002, in virtù del quale alle imprese armatoriali fu consentito di procedere all'imbarco di lavoratori non comunitari in caso di irreperibilità di marittimi italiani o comunitari. 2 Art.34 c. 9, Legge 1 agosto 2002, n.166 “Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti”. 3 Legge 343 del 1995, recante misure straordinarie ed urgenti in favore del settore portuale e delle imprese navalmeccaniche ed armatoriali, che all’art.1 c.3 prevedeva una serie di misure finanziarie a favore dell'armamento, sotto forma di contributi vari. Il termine del 31 dicembre 1996 dell’impiego del personale valido ai sensi della legge 343 era stato poi differito al 31 dicembre 2001 dall’art.11 c.4 della legge 28 dicembre 1999 n.522 recante “Misure di sostegno all'industria cantieristica ed armatoriale ed alla ricerca applicata nel settore navale”.

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di coperta pari a 2 milioni mensili per 12 mesi, e un contributo pari agli oneri connessi alla frequenza ai corsi per la sicurezza, compreso vitto e alloggio, resi obbligatori dall’adozione delle nuove convenzioni internazionali STCW1. La scadenza era stata differita alla fine del 2001, ma poi la legge non era stata più finanziata. La mancata proroga di questa misura nella sostanza ostacolava invece di agevolare la strada ai diplomati nautici italiani e nella forma liberava gli armatori dal vincolo di imbarco di allievi ufficiali perché stabilito “in vigenza dei benefici”. Ma il processo di progressiva apertura degli equipaggi delle navi italiane ai marittimi extracomunitari si estende anche in un’altra maniera: rimuovendo gradatamente, sino quasi a farli scomparire, i limiti di impiego delle navi iscritte al RI dalle sole rotte internazionali a quelle interne, aprendo l’impiego di marittimi extracomunitari anche sulle linee del cabotaggio. Già con la citata legge 522 del 1999, che va a modificare la legge 30, le navi da carico iscritte nel RI possono effettuare un viaggio di cabotaggio mensile purché seguito o preceduto da un viaggio internazionale. Poi, con la citata legge 166 del 2002 il permesso viene esteso fino a quattro viaggi di cabotaggio mensili senza più l’obbligo di seguire o precedere un viaggio internazionale, purché gli equipaggi siano internamente comunitari o si sia fatto ricorso alle deroghe ai sensi dell’accordo con le organizzazioni sindacali del 21 febbraio 20022. Per quanto attiene alle procedure, non sono più previste le chiamate preventive ad almeno quattro Capitanerie per verificare se esistono marittimi italiani in attesa di arruolamento, in assenza del famoso e mai realizzato “Turno unico generale” informatizzato: le aziende dovranno solo inviare una comunicazione, via telefax, alle segreterie sindacali nazionali indicando la qualifica o le qualifiche per le quali non riescono a reperire personale italiano/comunitario. Le segreterie nazionali entro 48 ore dal ricevimento della comunicazione, dovranno a loro volta inviare alla società un nullaosta per l’imbarco di marittimi non comunitari. In caso di mancata risposta si applica il principio del silenzio/assenso. Poi, la legge finanziaria 289 del 2002 porta un comma che aumenta il numero dei viaggi di cabotaggio per le navi iscritte nel registro internazionale da quattro a sei3. Infine, un altro comma inserito nella legge 326 del 2003 amplia ulteriormente la possibilità delle navi iscritte nel RI che possono effettuare oltre i sei viaggi di cabotaggio massimo, oppure viaggi oltre le 100 miglia nautiche senza alcun limite nel numero4. Quest’ultimo ampliamento tuttavia richiedeva l’approvazione da parte della Commissione europea5. La decisione della Commissione arriverà pochi mesi più avanti, il 14 luglio 2004, a dare definitiva efficacia alla norma delle 100 miglia. Nel mentre, in assenza di contromisure, la produzione normativa accompagnava il precipitare degli eventi che abbiamo tratteggiato e la prima fenditura nel Codice della navigazione provocata dalla legge 30 era diventata con le leggi successive una apertura che aveva portato alla completa riscrittura dell’art.318, i risultati occupazionali in termini complessivi sono stati i seguenti:

1 La convenzione STCW (Standards of Training, Certification and Watchkeeping), adottata in sede IMO (International Marittime Organisation) nel 1978 e completamente rivisitata nel 1995, è lo strumento normativo internazionale che fissa gli standard di competenza professionale propri di ogni figura professionale e ne disciplina la relativa attività di certificazione. 2 Vedi la nota 2 della pagina precedente. 3 Art.21 c.10 della legge 27 dicembre 2002, n.289 (Finanziaria 2003). 4 Art.39 c.14bis della legge 24 novembre 2003, n.326 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 settembre 2003 n.269 recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”. 5 Ai sensi dell’art.2 c. 68, della legge 350 del 2003 e dell’articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea.

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Il grafico precedente, di fonte CONFITARMA, mostra come grazie ad un graduale recupero seguito all’istituzione nel 1998 del RI la nostra flotta abbia riguadagnato lo stesso numero di occupati del 1995, quando il fenomeno della delocalizzazione delle navi italiane sotto bandiera di comodo faceva presagire addirittura la loro scomparsa, almeno dal traffico internazionale. Tuttavia occorre capire in che misura la progressiva apertura del lavoro marittimo del trasporto alla partecipazione dei marittimi extracomunitari, che per un verso ha salvaguardato la nostra bandiera e quindi l’occupazione, per l’altro abbia inciso nella quota di partecipazione dei marittimi di nazionalità italiana rispetto al quadro complessivo della domanda. Ci limitiamo alla alternativa italiani-extracomunitari perché l’alternativa italiani-comunitari è solo sulla carta, in quanto – salvo piccolissimi numeri che riguardano ufficiali che navigano sotto altre bandiere europee – le marinerie comunitarie hanno tutte gli stessi problemi per cui i rispettivi marittimi, già insufficienti, restano o sotto la propria bandiera oppure navigano per bandiere estere extraeuropee, per lo più di comodo, per maggiori salari. L’entrata dal 1° gennaio 2007 nell’Unione Europea di alcuni paesi dell’Europa orientale, tra cui la Romania che sino ad allora forniva quote importanti di marittimi extracomunitari divenuti ora comunitari, ha determinato una situazione nuova rispetto alla presenza di comunitari in alternativa agli italiani. A meno che la norma del Registro Internazionale, che obbliga per i comunitari ad adottare le condizioni dei rispettivi contratti collettivi nazionali e non invece le condizioni convenute in sede internazionale per i marittimi non comunitari, non renda i marittimi romeni “fuori mercato” così da vederli sostituiti anch’essi da marittimi extracomunitari. CONFITARMA, nel suo rapporto annuale, propone una stima circa la composizione nazionale dei 30.500 posti a bordo della nostra flotta: 20.000, pari al 65,6%, sono coperti da marittimi italiani o comunitari, 10.500, pari al 34,4%, da personale extracomunitario. Un rapporto che osservato negli anni si è spostato gradatamente a favore di questi ultimi: dal 21,6% del 1999 al 34,4% del 2006. Come mostra il grafico seguente che elabora i dati di CONFITARMA:

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% extracomunitari sul totale dei posti a bordo della flotta italiana (fonte Confitarma)

0,0%

5,0%

10,0%

15,0%

20,0%

25,0%

30,0%

35,0%

40,0%

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

Si noti l’innalzamento evidente della curva tra il 2002 e il 2003 in concomitanza con l’accordo sindacale del 21 febbraio 2002 a seguito della legge 88 del 2001: solo in quel lasso di tempo i marittimi extracomunitari guadagnarono 3200 dei 5200 posti di lavoro guadagnati nell’intero periodo. Questo spostamento ha modificato in 8 anni, come mostra il grafico seguente, la composizione della domanda a favore dei marittimi extracomunitari che hanno raddoppiato la loro presenza, da 5300 posti occupati nel 1999 ai 10.500 del 2006, mentre i posti appannaggio degli italiani e comunitari sono rimasti invariati attorno alle 20.000 unità:

19900 21200 21000 19000 19880 17950

5600 4600 5000 82008850

9500

2000019200

10500

5300

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

extracomunitariitaliani e comunitari

Rispetto alla creazione di nuovi posti di lavoro, questo significa che dei 6000 nuovi posti a bordo della flotta italiana, creatisi dal 1999 al 2006, 5200 pari all’86,7% sono andati a favore di marittimi extracomunitari e solo 800, pari al 13,3%, a favore di marittimi italiani e comunitari. Proiettando infine il dato dei posti a bordo su quello dei lavoratori marittimi effettivamente impiegati sulle navi della nostra flotta nel 2006, nella proporzione di italiani e extracomunitari indicata da CONFITARMA, si ottiene una stima di circa 28.000 marittimi italiani impiegati a bordo nell’anno a fronte di circa 15.000 marittimi extracomunitari.

MARITTIMI EXTRACOMUNITARI IMPIEGATI A BORDO

17.000

MARITTIMI ITALIANI

IMPIEGATI A BORDO 31.000

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Alcune caratteristiche della domanda I numeri sin qui riassunti danno conto soprattutto delle quantità di lavoro. Per ottenere dei dati anche qualitativi sulle caratteristiche della domanda, in assenza di qualsiasi altro studio pubblico e privato, ci dobbiamo rivolgere ad una indagine campionaria recentemente svolta dalla Federazione del mare1 nell’ambito di una iniziativa di ricerca avviata con l’Unione Province Italiane sul tema della formazione professionale nel cluster marittimo, che ha prodotto un rapporto e un convegno nello scorso giugno2. È stato condotto nel corso del primo semestre del 2007 un sondaggio attraverso un questionario presso un campione rappresentativo di imprese armatoriali associate a CONFITARMA e FEDARLINEA, l’Associazione Italiana dell’Armamento di Linea ossia il Gruppo Tirrenia, e il Collegio Capitani, allo scopo di ricostruire le caratteristiche del personale imbarcato sulla flotta nazionale e verificare il peso attuale e quello programmato del personale italiano sul complesso della forza lavoro a bordo3. Il campione è stato configurato anche per rappresentare il fenomeno occupazionale rispetto a due diverse tipologie di trasporto: il traffico transoceanico, e il traffico di cabotaggio o a corto raggio insieme alla movimentazione interna nei porti e in rada. Mentre i lavoratori sono stati distinti in tre gruppi: stato maggiore costituito dagli ufficiali, sottoufficiali e comuni, e personale di camera e cucina. La figura che segue sintetizza i dati raccolti attraverso il sondaggio e riportati all’universo della stima numerica espressa da CONFITARMA sul totale dei posti a bordo delle navi della flotta italiana (pari a 30.500), ripartiti tra traffico transoceanico e non, con estrapolazione di quelli ricoperti da marittimi italiani:

1 Costituita nel maggio 1994, la Federazione del Sistema Marittimo Italiano (in breve Federazione del mare) riunisce oggi gran parte delle organizzazioni del settore. La Federazione, in collaborazione con il Censis, pubblica periodicamente un rapporto economico sullo stato dell’economia del mare. Il più recente è il “III Rapporto sull’economia del mare - Crescita economica, capitale umano e tutela dell’ambiente nel cluster marittimo italiano – 2006”, Franco Angeli, Milano. 2 Federazione del mare, Unione Province Italiane, Mutamenti strutturali e nuove esigenze formative nel cluster marittimo, a cura di ISFORT, presentato a Roma il 26 giugno 2007 in occasione del Convegno “Economia del mare e risorse umane”. L’iniziativa dello studio trae origine dal Protocollo di collaborazione sottoscritto dalla Federazione del mare e dall’UPI Coordinamento Province di mare il 18 gennaio 2006. 3 Le aziende che hanno partecipato al sondaggio sono sufficientemente rappresentative della flotta nazionale in quanto dispongono, nel loro complesso, di poco più della metà della flotta (51,6%) e di circa il 40% degli occupati. Il campione fa riferimento però al numero di navi, senza considerarne la dimensione e, soprattutto il numero degli impiegati a bordo di ciascuna. La ripartizione della flotta, partire da questo secondo aspetto, restituirebbe un’immagine sostanzialmente diversa del peso dei diversi segmenti. Ad esempio le 11 navi del settore crociere delle imprese che hanno partecipato al sondaggio, che impiegano a bordo mediamente circa un migliaio di persone ciascuna (tra marittimi e personale alberghiero) avrebbero tutt’altro peso rispetto alle 113 petroliere/bulk carrier che nel complesso possono contare circa 2.000 marittimi a bordo.

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Del totale dei posti a bordo della flotta italiana, quelli a bordo di navi adibite alla navigazione a corto raggio, cabotaggio e nei bacini portuali costituiscono il 77,9%, mentre quelli a bordo di navi adibite al traffico internazionale “oltre gli stretti” costituiscono il 22,1%. La quota di marittimi italiani però varia: ricoprono il 65,1% dei posti a bordo delle navi a corto raggio ecc., mentre ricoprono solo il 35,7% di quelli a bordo delle navi transoceaniche. Dal punto di vista dei gradi e dell’appartenenza ai gruppi che compongono gli equipaggi, l’indagine ha rilevato la seguente distribuzione, in cui la quota dei marittimi italiani risulta tendente ai gradi più bassi favore della quota degli stranieri:

Totali Italiani Diff. Ufficiali 34,3% 30,3% - 3% Sottoufficiali e comuni 40,8% 41,0% + 0,2% Personale alberghiero 24,9% 28,7% + 3,8%

100,0% 100,0%

Questo dato è abbastanza in contraddizione con un’altra rilevazione di norma assai attendibile condotta a scala internazionale, il rapporto di BIMCO (Baltic and International Marittime Council) e ISF (International Shipping Federation), che formano il più autorevole osservatorio internazionale1. Secondo tale rapporto, che non prende in considerazione il personale alberghiero la ripartizione tra ufficiali e sottoufficiali e comuni nel 2005 era la seguente, su un totale di 20.950 marittimi italiani: - Ufficiali 9.560 45,6% - Sottoufficiali e marinai comuni 11.390 54,4% Una contraddizione che si spiega con lo sbilanciamento del campione verso le navi da crociera in cui si ha il rapporto massimo tra ufficiali e non ufficiali.

1 Dati BIMCO-ISF riportati in Appendix V, in ILO , Subcommittee of the Joint Marittime Commission, Ginevra 24-25 febbraio 2006 – “Seafarers’ wages and hours ok work and the manning of ships recommendation, 1996 (n.187): updating of the minimum basic wage of able seamen”.

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La figura che segue mostra la quota percentuale di personale italiano ripartito tra traffico transoceanico e non e tra i tre gruppi componenti l’equipaggio.

Secondo il sondaggio, i marittimi italiani si ripartiscono tra i gruppi a bordo con percentuali che sembrano contraddire il senso comune per cui la bassa forza sarebbe appannaggio principalmente dei marittimi extracomunitari e lo stato maggiore degli italiani. La percentuale di ufficiali italiani (57%) infatti è più bassa rispetto a quella di sottoufficiali e comuni (65%) e di personale alberghiero (74%). È pur vero che la quota di ufficiali sale al 60,7% con le navi a corto raggio ecc., ma essa scende al 42,1% con le navi transoceaniche, dove peraltro le altre componenti dell’equipaggio precipitano sotto il 30%. Tradotto in valore assoluto equivale a dire che su un totale stimato di circa 12.000 posti da ufficiale presenti sulla nostra flotta, ben 5000 ufficiali italiani mancherebbero all’appello: certamente all’appello delle norme di legge e degli accordi sindacali che avrebbero dovuto tutelare l’occupazione nazionale in primo luogo degli ufficiali, ma non all’appello del libero mercato, considerato che altrettanti, anzi quasi certamente di più (6000/6500 dicono le stime degli operatori), sono gli ufficiali italiani che navigano sotto bandiera estera di comodo. Nel traffico transoceanico questo dato non suscita la sorpresa che invece suscita il 60% di posti, pari a circa 3000 ufficiali italiani, che mancano all’appello a bordo delle unità del cabotaggio e del corto raggio e delle navi speciali e ausiliarie. Considerato che la tendenza del personale marittimo dei paesi europei è di abbandonare i ruoli inferiori mantenendo quelli superiori, l’indagine della Federazione del mare mostra la gravità della situazione italiana. La domanda di allievi ufficiali Nonostante l’importanza che la categoria degli allievi ufficiali riveste sul piano delle leggi, a cominciare dalla legge 30 del 1998 che subordina l’ammissione al RI, tra le altre condizioni, all’obbligo di imbarco di due allievi ufficiali su ogni nave iscritta, e sul piano sostanziale della formazione di nuove leve di ufficiali per colmare quella grave carenza che i dati presentati in

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precedenza hanno mostrato, non esiste nessun dato, ufficiale o meno, relativamente a questo aspetto del mercato del lavoro marittimo. CONFITARMA, che pure è la sola a produrre annualmente i dati più analitici sull’occupazione, sorvola sistematicamente sugli allievi ufficiali, se si eccettua una tabellina pubblicata su un bollettino statistico di un paio di anni fa in cui si indicava in 700 il numero degli allievi a bordo delle navi italiane, un numero molto sommario che coincideva con il numero di navi superiori alle 1000 tsl, quelle con dimensioni tali da prevedere l’imbarco degli allievi. Insomma, l’impressione era di un calcolo fatto al volo, come dire che suppergiù ci deve essere almeno un allievo per nave. Un dato più preciso appare quello riportato da una ricerca internazionale commissionata dall’associazione europea degli armatori e da quella omologa dei sindacati, nella quale si afferma che nel 2004 c’erano 352 allievi ufficiali a bordo, 184 di coperta e 168 di macchina1. Inoltre è nota la presenza di un certo numero di allievi ufficiali, purtroppo non quantificata, ma si presume dell’ordine di diverse decine, a bordo di navi con bandiera estera, sia di armatori italiani, sia di armatori esteri come è il caso delle flotte crocieristiche appartenenti al Gruppo Carnival sulle cui navi peraltro navigano molte centinaia di ufficiali italiani. Oltre questi dati è il buio completo. Anche IPSEMA non fornisce alcun dato a questo proposito. Il Ministero dei Trasporti lo stesso. LA DOMANDA NELLA PESCA MARITTIMA Anche per determinare quantità e qualità del lavoro marittimo nel settore della pesca occorre avere presente le diverse tipologie di attività. Nella pesca si distinguono cinque tipologie diverse, a cui corrispondono categorie di navi, equipaggi, rapporti e condizioni di lavoro assai diverse: • la pesca oceanica, che si esercita oltre gli stretti, su navi di grande dimensione attrezzate

anche per la conservazione e a volte la lavorazione del pesce in ragione della lunga permanenza in navigazione;

• la pesca mediterranea, che si esercita nelle acque del Mediterraneo; • la pesca costiera ravvicinata, che si esercita entro una distanza di 20 miglia dalla costa; • la pesca costiera locale, che si esercita entro una distanza di 6 miglia dalla costa; • la pesca esercitata in impianti destinati alla cattura di specie migratorie, alla pescicoltura,

alla molluschicoltura e all’acquacoltura in generale. La flotta peschereccia italiana annovera quasi esclusivamente imbarcazioni addette alla pesca costiera. Su un totale infatti di circa 14.000 pescherecci che formano la nostra flotta, le navi oceaniche sono in un numero che sta intorno alle 20 unità (meno del 0,2%), mentre intorno a 135 (meno del 1%) è il numero delle unità mediterranee. Per il resto, ossia per la quasi totalità (pari a circa il 99%) abbiamo imbarcazioni dedite alla pesca costiera, più o meno sottocosta. Nella tabella che segue è riassunta la composizione della flotta peschereccia italiana alla fine del 2006 suddivisa non per categorie di attività ma per sistemi di pesca, come è consuetudine nelle statistiche sulla pesca, con l’indicazione del tsl e degli addetti relativi, che assommano secondo la fonte ufficiale di IREPA, a 30.3492:

1 AA.VV., The mapping of career paths in the maritime industries, A project by Southampton Solent University for the European Community Shipowners’ Association (ECSA) and European Transport Workers Federation (ETF) with the support of the European Commission, 2006. 2 IREPA, Dati SISTAN, Caratteristiche tecniche ed equipaggio della flotta peschereccia italiana per sistemi di pesca, anno 2006.

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Sistemi N. battelli % Tsl % tsl/ battello occupati % occupati/ battello

Strascico 2.845 20,4% 93.631 57,6% 33 9.880 32,6% 3,5 Volante 145 1,0% 7.613 4,7% 53 822 2,7% 5,7 Circuizione 309 2,2% 15.802 9,7% 51 2.343 7,7% 7,6 Draghe 705 5,1% 7.310 4,5% 10 1.416 4,7% 2,0 Piccola pesca 9.107 65,3% 24.877 15,3% 3 13.211 43,5% 1,5 Polivalenti 79 0,6% 945 0,6% 12 378 1,2% 4,8 Polivalenti passivi 444 3,2% 5.412 3,3% 12 946 3,1% 2,1 Palangari 321 2,3% 6.972 4,3% 22 1.353 4,5% 4,2

Totale 13.955 100,0% 162.562 100,0% 12 30.349 100,0% 2,2

Si noti che i 2/3 della flotta per numero di battelli è dedita alla piccola pesca sottocosta, ossia nelle 6 miglia, con naviglio di piccolissime dimensioni appartenente a microimprese per lo più gestite attraverso lavoro autonomo o piccole cooperative, con poco più di un solo pescatore in media occupato a bordo, che però nel loro insieme sommano il 43,5% dell’intera forza lavoro della pesca. I pescherecci di maggiore dimensione, tra le 20 e le 50 tsl medie, costituiscono circa un quarto delle unità dell’intera flotta, imbarcano equipaggi di 4/7 pescatori e nel loro insieme comprendono il 47,5% dell’intera forza lavoro. L’altra fonte di dati è costituita da IPSEMA che propone sia una stima dei posti a bordo delle navi peschereccie sulla base delle posizioni assicurative, pari a 27.000 unità di cui 14.000, più della metà, appannaggio di lavoratori autonomi e soci di piccole cooperative, sia una stima dei pescatori che si sono avvicendati nel 2006 su quei posti, pari a circa 38.000 unità equivalenti a 1,4 lavoratori per posto. In particolare, i posti di lavoro sulle navi oceaniche e mediterranee sono circa 1300 pari a meno del 5% del totale. Un’ulteriore fonte ci viene da una indagine commissionata dall’Unione Europea relativa al 2004 ma pubblicato nel 2006. Il rapporto di indagine fornisce tra gli altri tre dati molto interessanti1: - la suddivisione degli addetti alla pesca tra quanti praticano la pesca costiera locale, 12.692 pari al 33,3%, e quanti praticano quella lontano dalla costa, 25.645 pari al 66,6%, dato che corrisponde abbastanza al dato IREPA; - la suddivisione tra i proprietari o armatori dei pescherecci, 14.945 pari al 39,2%, e i marinai, 23.212 pari al 60,8%, da cui si evince la forte artigianalità della nostra pesca; - la suddivisione degli addetti alla pesca tra quanti lavorano a tempo pieno, 32.103 pari al 84,1%, e quanti lavorano part-time, 6.054 pari al 15,9%, che conferma la contiguità per una quota importanti di marittimi della pesca con altre attività lavorative. La caratteristica della flotta peschereccia in Italia è costituita pertanto dall’aspetto artigianale dovuto alle ridotte dimensioni aziendali, nelle quali in genere l’armatore esercita direttamente la pesca insieme ai propri familiari o con l’ausilio di pochi dipendenti. Inoltre diversamente dal trasporto, si deve rilevare un’elevata età media dei natanti: il grado di obsolescenza delle navi da pesca (circa 25 anni d’età in media) è un indicatore significativo per una valutazione complessiva dell’efficienza della flotta ma anche e soprattutto del livello di sicurezza della navigazione, delle esigenze di sicurezza del lavoro a bordo e della qualità della vita del pescatore, ma è anche un segno del basso grado di rinnovamento del capitale che caratterizza il settore. L’artigianalità e la frammentarietà delle imprese di pesca sono anche fattori che spiegano l’importanza dell’ “associazionismo” che caratterizza il settore.

1 Cfr. Salz-Buisman-Smit-de Vos, Employment in the fisheries sector: current situation”, Rapporto finale, aprile 2006.

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D’altro canto, diversamente dal trasporto marittimo i numeri della flotta sono in costante e verticale caduta negli ultimi anni, come mostra la tabella che segue, elaborata da IREPA, riferita al periodo tra 1998 e il 20051:

La progressiva riduzione del numero di pescherecci è avvenuta in accordo con le misure di programmazione settoriale intraprese a livello comunitario e nazionale in nome dell’eco-compatibilità della pesca marittima, oltre che a motivi di ordine economico e industriale come l’aumento del costo del carburante. La conseguente riduzione della produttività fisica ed economica ha determinato la fuoriuscita di occupati dal settore quantificabile nella perdita di circa 20 mila posti di lavoro. Accanto a questi fattori bisogna considerare il divieto di alcuni tipi di pesca, l’introduzione di aree marine protette o la chiusura di aree di pesca. Tutto ciò ha contribuito, nel corso degli anni, ad una forte contrazione dei livelli occupazionali con pesanti ripercussioni sul tessuto sociale ed occupazionale soprattutto delle aree meridionali. È chiaro che una volta esaurito il processo di riduzione della flotta si stabilizzerà anche il numero degli occupati; tuttavia bisogna considerare il problema della mancanza di ricambio generazionale e la carenza di professionalità qualificate.

L’internazionalizzazione della pesca Anche la pesca marittima ha subito un progressivo quanto celere processo di internazionalizzazione del personale imbarcato, sia per motivi di competitività economica, sia per fare fronte alla carenza di equipaggi italiani sebbene in presenza di un forte calo occupazionale. Già la legge 30 del 1998 del RI, oltre a rendere beneficiarie anche le navi da pesca oltre gli stretti e una buona parte di quelle operanti nel Mediterraneo, in caso di particolari necessità aveva aperto l’arruolamento di marittimi stranieri tra il personale di bassa forza, in numero non maggiore della metà dell’intero equipaggio e dietro autorizzazione delle Capitanerie di porto. Successivamente nel Dlvo 153 del 2004 di attuazione della nuova legge sulla pesca marittima, si procedeva ad un’ulteriore estensione, con la modifica e integrazione dell’art.318 del Codice della navigazione, per cui previa autorizzazione delle Capitanerie, era possibile formare equipaggi con personale straniero tranne che per la qualifica di Comandante2.

1 Tratta dal “Primo rapporto sulla pesca”, a cura di INAIL, IPSEMA, IPSESL, luglio 2005. 2 Art.5, Dlvo 26 maggio 2004, n.153 “Attuazione della legge 7 marzo 2003, n.38, in materia di pesca marittima”.

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Infine, nel 2006 FEDERPESCA aveva ottenuto d’intesa con i sindacati che fosse prevista una quota di 2500 pescatori nei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari, come quota nazionale, senza contatori per Regioni e Province, dopo che negli anni addietro i lavoratori della pesca provenienti dai paesi extracomunitari erano stati esclusi dalle procedure vigenti di ingresso in Italia. La richiesta si spiega con il fatto che l’attività di pesca mediterranea e costiera si concilia con la residenza del lavoratore presso il porto di riferimento dell’armatore, per cui il pescatore straniero è assimilabile ad un qualsiasi altro lavoratore immigrato. Nel traffico internazionale invece il luogo di lavoro è considerato “off-shore”, ossia in mezzo ai mari del mondo, senza una precisa localizzazione, per cui ai marittimi stranieri non si pensa come a immigrati, ma come a lavoratori internazionali. L’iniziativa di FEDERPESCA e del Ministero del Lavoro non ha però avuto successo, pare per motivi burocratici più che per la mancanza di offerta di lavoro. C’è stato l’ingresso di solo 200 lavoratori tanto da indurre il Ministero alla fine del 2006 a ridistribuire la quota restante a favore di altri settori. Vero è che l’iniziativa non è stata ripetuta con le quote del 2007. Ma quanti siano i pescatori extracomunitari che lavorano sui nostri pescherecci non è un dato accessibile attraverso alcuna fonte. IPSEMA nella rilevazione ufficiosa messa a disposizione di FEDERPESCA stima la presenza di 2000 extracomunitari imbarcati sulle navi da pesca. Il dato però sembra sottostimare la presenza straniera, se si dà credito alle testimonianze raccolte per esempio a Mazara del Vallo, il principale porto peschereccio italiano, dove sono iscritti circa 3000 pescatori e dove il 60% del personale imbarcato sarebbe extracomunitario, oppure nella provincia di Rimini dove ci sono almeno 500 pescatori iscritti e l’80% degli imbarcati sarebbe composto da extracomunitari. Del resto, come nel caso dei trasporti, anche per la pesca il problema della mancanza dei dati sulla partecipazione dei lavoratori extracomunitari riguarda tutta l’Europa. Si conoscono solo delle percentuali, che vanno dal 3% del Portogallo al 10% di Spagna, Olanda e Francia. Nel complesso si stima la presenza di 5 - 10.000 unità su tutto il territorio comunitario a fronte di una occupazione complessiva di circa 190.000 unità. L’occupazione di pescatori stranieri è generalmente alta nelle regioni dove l’offerta è maggiormente rivolta verso manodopera a basso costo, come ad esempio nelle regioni del Sud Europa (è il caso della Sicilia nei confronti dei marittimi provenienti dalla Tunisia) o ancora sui battelli che operano nei Paesi terzi1. Rispetto a quest’ultimo aspetto, che riguarda le navi oceaniche, vanno segnalati i Protocolli sottoscritti dalla Unione europea e alcuni stati africani (per es., Senegal, Mauritania) che fissano le possibilità di pesca in quei mari per le flotte comunitarie con contropartite finanziarie e occupazionali, tra cui una quota che può arrivare sino al 50% di pescatori di quegli stati a bordo delle navi europee. LA DOMANDA NEL DIPORTO NAUTICO Nella nautica da diporto solo da pochi anni va profilandosi un’attività commerciale, il cosiddetto “charter nautico” o noleggio, in cui si configura del “lavoro marittimo” nell’ambito degli equipaggi delle imbarcazioni da diporto noleggiate alla stregua di piccole navi da crociera e dei megayacht armati per proprio uso dai facoltosi proprietari. La novità del settore rende ancora difficile indagarne le dimensioni e la struttura occupazionale poiché non esistono fonti pubbliche ufficiali ma solo rapporti e stime delle associazioni degli operatori economici. In linea di massima è possibile dividere le imprese che operano nel noleggio in armatori e broker: i primi sono imprese con una flotta di proprietà, costituenti l’oggetto della transazione; i secondi, invece, si limitano a gestire la delicata fase di intermediazione tra i soggetti proprietari delle imbarcazioni ed i soggetti intenzionati a noleggiarle. Nella realtà quasi sempre una società armatoriale svolge anche attività di broker. Si è parlato indifferentemente di noleggio, ma in

1 Cfr. ISMEA, L’occupazione nel settore ittico dell’Unione europea, febbraio 2007.

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realtà nella terminologia tecnica di settore il contratto di “noleggio” è relativo ad imbarcazioni con equipaggio, mentre viene usato il termine “locazione” per i contratti relativi a imbarcazioni senza equipaggio. Il mercato del charter nautico è nato circa venti anni fa, ma è negli ultimi dieci anni che si è sviluppato con un maggiore specializzazione e professionalità, fino ad arrivare alla situazione attuale che vede il mercato sempre in maggiore espansione e crescita. Occorre sottolineare che questo tipo di attività è prevalentemente collaterale all’attività principale di vendita delle imbarcazioni: sebbene non sia molto remunerativa dal punto di vista economico essa permette però di recuperare parte dei costi di gestione che sono a carico del proprietario attraverso un maggiore sfruttamento dello stesso yacht. Il maggiore utilizzo dell’imbarcazione infatti, che altrimenti sarebbe vincolato al solo proprietario, permette a quest’ultimo di vedere alla fine dei conti una proporzionalità tra utilizzo dello yacht e costi sostenuti per il suo mantenimento. D’altro canto, il nuovo mercato del charter permette a molti più soggetti di poter fruire di un servizio altrimenti non raggiungibile e a costi ridotti rispetto all’acquisto dello stesso yacht. Visti i costi proibitivi della maggior parte di questi mega-yacht e la crescente domanda di utilizzo di tali imbarcazioni per un periodo di tempo tendenzialmente breve, la possibilità offerta dalla locazione dello yacht sembra mettere d’accordo domanda ed offerta1. Oggi le più importanti società propongono un’offerta piuttosto variegata, con imbarcazioni che vanno dai 9-10 metri fino a yacht di lusso da 60-70 e più metri. In Italia, come mostra la tabella seguente, erano immatricolate, alla fine del 2005, 73.311 unità da diporto, tra queste 173 navi da diporto ossia superiori ai 24 metri di lunghezza, 1945 imbarcazioni tra i 18 e i 24 metri e oltre 13.600 tra i 12 e i 18 metri, configurando perciò una offerta potenziale di charter molto ampia e di riflesso una domanda potenziale di lavoro a bordo altrettanto importante anche se assai discontinua e poco strutturata2:

Secondo le stime delle associazioni degli operatori sarebbero 5.000 le unità impiegate nel charter, ma esse offrirebbero in realtà poche occasioni di lavoro su base contrattuale annua, essendo l’intero settore assoggettato ad un utilizzo estremamente stagionale delle unità talvolta limitato al solo periodo di agosto per le unità armatoriali. In particolare, le operazioni di noleggio vengono concentrate nel quadrimestre giugno-settembre, mentre per le locazioni il periodo è un po’ più esteso, partendo a volte da fine marzo per concludersi ad ottobre. In media le società registrano circa 90-100 giorni di occupazione per le imbarcazioni con equipaggio, soglia che sale a circa 140-150 giorni per quelle senza equipaggio. Inoltre molte unità da charter, praticamente tutte quelle al di sotto dei 16 metri, vengono offerte con contratto di “locazione” mentre solo le imbarcazioni più grandi adottano il contratto di noleggio. Il contratto di locazione consente al cliente di rivolgersi privatamente ad un patentato nautico, anche se non iscritto alla gente di mare né in possesso di libretto di navigazione, per affidargli il comando dell'unità. Un indicatore della crescita di questo mercato lo suggerisce il più recente rapporto UCINA (Unione Nazionale Cantieri e Industrie Nautiche ed Affini) che 1 UCINA, La Nautica in cifre. Analisi del mercato per l'anno 2005. 2 ibidem

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con riferimento al 2005 segnala nell’alto numero di nuove patenti nautiche rilasciate nell’anno ben 541 fossero per navi da diporto e quindi di potenziali nuovi professionisti per il mercato del charter. Delle 5000 imbarcazioni stimate per essere adibite a charter sono individuabili due gruppi: il primo, con circa 3000 imbarcazioni offerte in locazione, non offre che poche occasioni di lavoro (trasferimenti e navigazione di servizio) trattandosi di unità che vengono cedute al cliente prive di equipaggio; il secondo, ben più interessante, annovera le navi da noleggio, superiori ai 24 metri (circa 130-150 unità), che hanno un equipaggio imbarcato a libretto per buona parte dell’anno ed infine circa 2000 imbarcazioni che durante la stagione del charter (da aprile-maggio a settembre-ottobre) hanno in varia misura esigenza di equipaggi. Unico riscontro di fonte pubblica a queste stime lo troviamo nei dati forni da IPSEMA a FEDERPESCA e da questa gentilmente messi a disposizione di questo libro: nel 2006 sarebbero state 1258 le imbarcazioni da diporto registrate in IPSEMA ai fini assicurativi degli equipaggi e 2429 i posti stimati a bordo di esse, con un rapporto medio di 2 lavoratori per imbarcazione. Nonostante l’incertezza sui numeri relativi a questo nuovo mercato, non c’è dubbio che è nata e che si sta sviluppando una sorta di “terza marineria”, la marineria del diporto, dopo quella del trasporto e quella della pesca1. A questa marineria si è andato riconoscendo una specifica peculiarità anche attraverso le leggi, con la pubblicazione del Codice della nautica che ha introdotto una normativa moderna al passo con gli analoghi codici dei paesi europei più evoluti nel campo del diporto e con il contestuale decreto di riconoscimento di specifici titoli professionali conforme agli standard internazionali di addestramento2. Il 17 luglio di quest’anno poi è giunta la firma del primo contratto collettivo nazionale specifico per i marittimi imbarcati su navi da diporto destinati a scopi commerciali che era atteso sin dalla legge 172 del 2003. Finora il lavoro a bordo delle unità da diporto era assimilato a quello dei marittimi imbarcati su navi fino a 151 tonnellate adibite al traffico, ma tale forma di rapporto mal si adattava alla navigazione da diporto. Nel contratto è anche previsto che le tabelle di armamento siano stabilite dalle autorità marittime, mentre per le navi da diporto iscritte nel Registro internazionale verranno definite in sede nazionale con le segreterie sindacali firmatarie del contratto. L’internazionalizzazione del lavoro del diporto Mancano assolutamente dati sulla presenza di marittimi stranieri a bordo delle imbarcazioni da diporto, sebbene nell’ambito del 1° Convegno Nazionale dei Marittimi del Diporto si sia affermato che la maggioranza delle navi da diporto immatricolate in Italia imbarcano equipaggi stranieri e nonostante gli aiuti offerti agli armatori moltissime unità “italiane” sono rimaste immatricolate all’estero. Il riferimento agli aiuti è ancora una volta al RI in quanto la legge 172 del 2003 prevede che siano ammesse e assoggettate alla disciplina del RI le navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e comunque di stazza lorda non superiore alle 1.000 tonnellate, adibite in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche: le navi sono armate di norma con equipaggio di due persone, più il comandante, di nazionalità italiana o di altro Stato membro

1 Cfr. Atti del 1° Convegno Nazionale dei Marittimi del Diporto organizzato dalla Rappresentanza per il Diporto del Collegio Nazionale Capitani Lungo Corso e Macchina, Roma 28 febbraio 2007. 2 Cfr. Legge 8 luglio 2003, n.172 recante disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica, in particolare l'articolo 6, recante delega al Governo per l'emanazione del codice delle disposizioni legislative sulla nautica da diporto. Cfr. Decreto Legislativo 18 luglio 2005, n.171 Codice della Nautica da Diporto ed attuazione della direttiva 2003/44/CE. Cfr. Decreto 10 maggio 2005, n.121 “Regolamento recante l'istituzione e la disciplina dei titoli professionali del diporto.

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dell'Unione europea; qualora lo ritenga necessario, il comandante può aggiungere all'equipaggio componenti di altra nazionalità1. L’OFFERTA DI LAVORO DELLA GENTE DI MARE L’offerta di lavoro dei marittimi italiani è costituita in primo luogo dai marittimi “occupati”, che sono già stati definiti trattando della domanda, la quale è stata soddisfatta attraverso di essi. Anche se, come s’è visto, una quota di domanda è stata soddisfatta da marittimi extracomunitari, per cui occorre capire se ciò è avvenuto per mancanza di offerta, in termini sia quantitativi che qualitativi, oppure per altri motivi previsti o meno dalle norme e dalle politiche nazionali. In secondo luogo, l’offerta è costituita da coloro che “disoccupati” attendono di essere occupati, avendo i requisiti professionali e la disponibilità per esserlo. Occupati e disoccupati nella statistica sociale costituiscono le cosiddette “forze di lavoro” e dal rapporto tra gli uni e gli altri si calcola il “tasso di disoccupazione” relativo. Le statistiche riguardano principalmente gli stock ad una certa data, ossia l’ammontare degli occupati e dei disoccupati, e i flussi in un certo periodo, ossia i passaggi da uno stato all’altro, o i flussi in entrata (dalla formazione scolastica o professionale o da una condizione di inattività) e i flussi in uscita (verso la pensione o verso l’occupazione in altro settore). Il settore marittimo è caratterizzato da rapporti di lavoro per lo più temporanei, legati ai “viaggi” delle imbarcazioni e anche alle imbarcazioni stesse, ciascuna delle quali è un’impresa a sé stante. Questo rende più difficile seguire i flussi e quantificare gli stock, sebbene il controllo pubblico dei registri dei lavoratori marittimi e di ogni movimento occupazionale renderebbe banale la soluzione del problema, a condizione di disporre di un sistema informativo capace di raccogliere e mettere insieme questi dati che sono distribuiti nelle diverse Capitanerie di porto. La fonte alternativa dell’INPS non è praticabile per gli stessi motivi per cui non è utile di solito nemmeno per il resto del mercato del lavoro. Resta l’IPSEMA che però, come abbiamo spiegato in precedenza, è solo dal 2007 che riceve le notizie dei nominativi dei marittimi arruolati ai fini assicurativi. Inoltre, per ammissione degli stessi dirigenti di IPSEMA, ci sarebbe una certa evasione contributiva nel settore della pesca e soprattutto del diporto, per cui i dati sotto questi profili potrebbero non essere esaurienti. Fortunatamente però, come già detto in precedenza, il futuro si annuncia positivo. Infatti l’obbligo di comunicazione obbligatoria dei movimenti occupazionali a carico di tutti i datori di lavoro esteso anche al settore marittimo consentirà entro la fine del 2007 di disporre dei dati che confluiranno negli uffici di collocamento della gente di mare. Se poi, il Ministero dei Trasporti, anche perché pressato dai decreti attuativi della riforma del collocamento della gente di mare, porterà a compimento l’informatizzazione dei registri della gente di mare, si potrà finalmente avere il quadro completo e aggiornato sia degli stock che dei flussi occupazionali dei marittimi italiani. Nel frattempo, non disponiamo praticamente di dati circa l’offerta da esaminare che non abbiamo già considerato nel capitolo della domanda. Non esiste infatti allo stato attuale nessuna fonte statistica né alcuna ricerca sui disoccupati marittimi. Possiamo però cercare di fare delle ipotesi valutando quel numero di marittimi che nelle statistiche sulla domanda viene indicato eccedere il numero dei posti di lavoro a bordo calcolato sulla base delle tabelle di armamento, e il numero di coloro che vi si avvicendano in corso d’anno sulla base delle norme contrattuali. Nel caso dei marittimi del trasporto, IPSEMA indica in circa 48.000 i marittimi che si sono avvicendati sui 30.000 posti a bordo in cui di norma si dovrebbero avvicendare 43.000 lavoratori. Questo porta a ritenere che ci siano circa 5.000 marittimi che sono occupati ma in maniera precaria e occasionale nel trasporto. È probabile che tra di essi ci siano coloro che lavorano regolarmente ma solo stagionalmente, nei mesi estivi, a bordo dei traghetti.

1 Art.3, legge 172 del 2003.

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Nella pesca, utilizzando un criterio diverso e assumendo i dati IREPA come validi e confrontandoli con quelli di IPSEMA, si può ritenere che ci siano circa 5.000 pescatori anch’essi occupati ma nelle stesse condizioni. Nel diporto, non si è in grado nemmeno di tentare una stima. Può essere utile valutare però il fatto che, essendo un mercato del lavoro nuovo che sfugge per lo più ai canali pubblici, esso si svolga attraverso contatti diretti e quindi si avvalga anche di siti specializzati on line su internet. Il più efficiente tra questi siti proponeva agli inizi di agosto, in stagione quindi avanzata, circa 1700 profili inseriti da persone che si erano candidati a prestare lavoro su unità da diporto1. Di disoccupati in senso stretto, ossia privi di occupazione per periodi prolungati e che tuttavia attendano di essere arruolati a bordo di un’imbarcazione, non abbiamo dati. Potremmo solo riferire ciò gli operatori pubblici e privati del collocamento affermano, forse con un po’ di semplificazione ma anche con quella certa sintonia che fa pensare che si tratti del senso comune del mondo marittimo: “non ci sono disoccupati”, tanto meno per i posti per i quali c’è della domanda. Se ci sono alcuni che cercano un imbarco, in ogni caso si rivolgono direttamente agli armatori e quindi non lasciano traccia di sé negli uffici di collocamento, se non in casi molto sporadici per non dire eccezionali, salvo che per fare le pratiche necessarie per iscriversi nei registri della gente di mare e per disporre dei titoli e dei certificati che serviranno in caso in cui un armatore li chiami. L’offerta degli allievi ufficiali La sola offerta strutturata, quantificabile, è oggi quella degli allievi ufficiali, in quanto deriva da un percorso formativo definito per legge, per cui basta rilevare l’offerta di coloro che completano il percorso per potere fare stime che acquistano una particolare importanza per il mercato del lavoro, in quanto l’offerta degli allievi determina in una certa misura in un tempo successivo l’offerta degli ufficiali, oltre che per i risvolti normativi e contrattuali del loro impiego a bordo2. Nel 2006, il dato più recente di cui disponiamo, si sono diplomati nei 37 Istituti Nautici Statali italiani circa 1700 studenti di cui 1050 pari al 62% come capitani, 650 pari al 38% come macchinisti, distribuiti nel NORD per il 17,5%, nel CENTRO per il 16,2%, nel SUD e nelle isole per il 66,4%. In particolare, tra le Regioni prevale la Sicilia con 335 diplomati, seguita dalla Campania con 230, la Liguria con 225, la Puglia con 220, la Sardegna con 160, il Lazio con 125. Tuttavia, da quanto è dato sapere, è molto alta la dispersione post diploma, visto che solo una percentuale ridotta (10-15%) decide di utilizzare il titolo di studio per tentare la carriera di bordo. Una indagine internazionale già citata a proposito della domanda ha fornito per l’Italia risultati interessanti che confermano questo dato e permettono di comprenderne meglio il fenomeno3. Si osservi infatti il grafico seguente che riassume i risultati:

1 Cfr. www.marineria.it. È un sito a cui si accede anche attraverso il sito www.yachts.it che ha il patrocinio dell’AINUD (Associazione Italiana Noleggio Unità da Diporto) e del Collegio Nazionale Capitani. 2 Cfr. Frans A.J. Waals, Albert W. Veenstra, A forecast model and benchmarking of the supply and demand of maritime officers, in Atti del Congresso IAME (International Association of Maritime Academy), Panama 2002. 3 AA.VV., The mapping of career paths in the maritime industries, op.cit.

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Il grafico mostra che solo il 20% dei diplomati nautici prosegue verso la carriera del marittimo. Ma dopo 1 o 2 anni un 25% di costoro ripiega sull’università e un altro 25% su un’occupazione a terra nello shipping. Il rimanente 50% del 20% in esame, si distribuisce tra marina mercantile, servizi portuali, marina militare, guardia costiera, mentre i macchinisti transitano grazie alle loro competenze arricchite dall’esperienza a bordo verso l’industria navale e portuale. Un 50% dei diplomati nautici va all’università, da dove la metà di questi approda nello shipping a terra e l’altra metà si disperde in altre professioni di terra. Un 30% infine dei diplomati nautici va direttamente a lavorare nelle imprese dello shipping a terra. Questi i pochi dati a disposizione. Tuttavia ci sono evidenze diverse circa la propensione dei diplomati italiani verso la carriera a bordo come allievi prima e ufficiali dopo. L’esperienza dell’Accademia Italiana della marina Mercantile, avviata solo da un paio di anni, è in grado di mostrare numeri che soprattutto per gli allievi di coperta indicano un’offerta maggiore delle stime correnti, che però necessita di essere sostenuta con una domanda più trasparente e programmata da parte degli armatori e con una struttura formativa che agevoli la transizione tra la scuola e il mondo del lavoro. Temi, questi ultimi, sui quali torneremo nel capitolo finale. Le caratteristiche geografiche dell’offerta Dati molto interessanti invece possediamo circa la provenienza geografica dei marittimi che si sono avvicendati sui posti di lavoro a bordo delle navi da trasporto e da pesca nell’arco del 2006. I dati sono stati messi gentilmente a disposizione dall’Osservatorio Nazionale della Pesca, l’ente bilaterale che riunisce l’organizzazione degli imprenditori, FEDERPESCA, e le rappresentanze di categoria di CGIL, CISL e UIL, e costituiscono una novità assoluta, resa ancora più preziosa dal fatto che è estesa anche al trasporto marittimo. L’indagine è stata voluta come una fonte di prima informazione sia per le parti sociali che per i pubblici poteri che dovranno gestire ed orientare le ipotesi di cambiamento a seguito della

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riforma del collocamento, anche sotto il profilo delle esigenze formative della generalità dei marittimi interessati. La distribuzione dei marittimi per provincia, in particolare, è significativa perché consente, nella prospettiva della riforma, di gettare le basi per una collaborazione tra gli uffici presso le Capitanerie e i Centri per l’impiego provinciali1. Si presentano, nelle tabelle che seguono, i dati emersi dall’indagine, riferiti ai marittimi che hanno lavorato nel corso del 2006 ripartiti per provincia e per regione sulla base del loro domicilio anagrafico, distinti tra lavoratori del trasporto marittimo e della pesca e infine sommati insieme. Il particolare del domicilio anagrafico è importante perché si distingue da quello, peraltro non disponibile, degli iscritti negli uffici di collocamento della gente di mare presso le Capitanerie di porto. L’iscrizione infatti, secondo le vecchie regole che la riforma innova specificamente a favore dell’equazione domicilio-luogo di iscrizione, era libera e indipendente dalla residenza, e privilegiava ovviamente le Capitanerie dei porti dove maggiore è la presenza delle compagnie di navigazione. Da questo punto di vista la Capitaneria di porto di Genova è sicuramente la capitale della domanda di lavoro nel settore del trasporto, gestendo da sola – a detta degli operatori – circa il 40% degli arruolamenti, mentre Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, è la capitale della pesca. Per la distribuzione geografica sono stati messi in relazione i Compartimenti Marittimi con le Province. I lavoratori residenti nelle province non di mare, del tutto residuali, non sono inclusi.

1 I dati forniti sono il risultato di una ricerca quantitativa condotta da un team di consulenti a carattere multidisciplinare, in collaborazione con una società di Servizi e una Agenzia del lavoro, la quale ha coordinato la parte finale del progetto inerente la modalità per le azioni di ricollocazione soprattutto per gli addetti alla pesca marittima (da una parte in crisi di opportunità e da una altra parte in crisi di vocazione). Il bacino complessivo dei marittimi è stato quantificato e individuato con una rilevazione ad hoc per questo specifico lavoro (monitoraggio collettivo), nonché, relativamente al settore della pesca, utilizzando i dati, attualizzati per anno, rilevati presso i registri delle Autorità marittime per come presenti nel tempo, nella banca dati del progetto SMART CARD.

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Ripartizione dei lavoratori del trasporto marittimo per provincia e per regione: PROVINCIA TOT MARITTIMI REGIONE TOT

1 NAPOLI 14992 31,1% 1 CAMPANIA 15719 32,6%

2 BARI 4322 9,0% 2 SICILIA 10541 21,9%

3 GENOVA 3525 7,3% 3 PUGLIA 5217 10,8%

4 PALERMO 2670 5,5% 4 LIGURIA 4629 9,6%

5 MESSINA 2385 4,9% 5 SARDEGNA 2688 5,6%

6 TRAPANI 2063 4,3% 6 TOSCANA 2172 4,5%

7 CAGLIARI 1389 2,9% 7 LAZIO 1849 3,8%

8 RAGUSA 1084 2,2% 8 CALABRIA 1752 3,6%

9 LIVORNO 1080 2,2% 9 VENETO 1048 2,2%

10 VENEZIA 1048 2,2% 10 FRIULI V.G. 794 1,6%

11 SASSARI 1033 2,1% 11 ABRUZZO 755 1,6%

12 LATINA 968 2,0% 12 EMILIA ROMAGNA 474 1,0%

13 SIRACUSA 897 1,9% 13 MARCHE 453 0,9%

14 ROMA 881 1,8% 14 MOLISE 97 0,2%

15 REGGIO CALABRIA 873 1,8% tot 48188 100,0%

16 CATANIA 770 1,6%

17 VIBO VALENTIA 767 1,6%

18 LA SPEZIA 692 1,4%

19 GROSSETO 651 1,4%

20 TRIESTE 608 1,3%

21 SALERNO 541 1,1%

22 AGRIGENTO 461 1,0%

23 PESCARA 327 0,7%

24 SAVONA 308 0,6%

25 LUCCA 285 0,6%

26 BRINDISI 262 0,5%

27 CHIETI 253 0,5%

28 RAVENNA 246 0,5%

29 LECCE 231 0,5%

30 TARANTO 214 0,4%

31 CALTANISETTA 211 0,4%

32 FOGGIA 188 0,4%

33 NUORO 188 0,4%

34 CASERTA 186 0,4%

35 TERAMO 175 0,4%

36 ANCONA 169 0,4%

37 MASSA CARRARA 156 0,3%

38 ASCOLI PICENO 131 0,3%

39 PESARO 124 0,3%

40 GORIZIA 111 0,2%

41 IMPERIA 104 0,2%

42 CAMPOBASSO 97 0,2%

43 FERRARA 95 0,2%

44 CROTONE 93 0,2%

45 ORISTANO 78 0,2%

46 RIMINI 75 0,2%

47 UDINE 75 0,2%

48 FORLI' 58 0,1%

49 MACERATA 29 0,1%

50 CATANZARO 19 0,0%

tot 48188 100,0%

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Ripartizione dei lavoratori della pesca marittima per provincia e per regione: PROVINCIA TOT PESCATORI REGIONE TOT

1 TRAPANI 5155 14,4% 1 SICILIA 10699 30,0%

2 VENEZIA 3255 9,1% 2 PUGLIA 6053 17,0%

3 BARI 2480 6,9% 3 VENETO 3255 9,1%

4 FOGGIA 1872 5,2% 4 SARDEGNA 2890 8,1%

5 PALERMO 1670 4,7% 5 EMILIA ROMAGNA 2748 7,7%

6 FERRARA 1663 4,7% 6 CAMPANIA 2229 6,2%

7 CAGLIARI 1269 3,6% 7 MARCHE 1848 5,2%

8 AGRIGENTO 1224 3,4% 8 ABRUZZO 1511 4,2%

9 NAPOLI 1219 3,4% 9 TOSCANA 1020 2,9%

10 MESSINA 966 2,7% 10 LAZIO 975 2,7%

11 LECCE 962 2,7% 11 CALABRIA 959 2,7%

12 SALERNO 950 2,7% 12 FRIULI V.G. 718 2,0%

13 TERAMO 941 2,6% 13 LIGURIA 592 1,7%

14 CATANIA 802 2,2% 14 MOLISE 190 0,5%

15 ORISTANO 786 2,2% tot 35687 100,0%

16 PESARO 644 1,8%

17 RIMINI 637 1,8%

18 SIRACUSA 601 1,7%

19 ANCONA 569 1,6%

20 TARANTO 531 1,5%

21 LATINA 516 1,4%

22 MACERATA 504 1,4%

23 SASSARI 468 1,3%

24 ROMA 459 1,3%

25 LIVORNO 420 1,2%

26 REGGIO CALABRIA 411 1,2%

27 GROSSETO 401 1,1%

28 FORLI' 379 1,1%

29 NUORO 367 1,0%

30 UDINE 357 1,0%

31 CROTONE 314 0,9%

32 CHIETI 287 0,8%

33 PESCARA 283 0,8%

34 RAGUSA 272 0,8%

35 GENOVA 254 0,7%

36 GORIZIA 213 0,6%

37 BRINDISI 208 0,6%

38 CAMPOBASSO 190 0,5%

39 LUCCA 179 0,5%

40 IMPERIA 152 0,4%

41 TRIESTE 148 0,4%

42 ASCOLI PICENO 131 0,4%

43 VIBO VALENTIA 126 0,4%

44 LA SPEZIA 122 0,3%

45 CATANZARO 108 0,3%

46 RAVENNA 69 0,2%

47 SAVONA 64 0,2%

48 CASERTA 60 0,2%

49 MASSA CARRARA 20 0,1%

50 CALTANISETTA 9 0,0%

tot 35687 100,0%

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Ripartizione dei lavoratori marittimi totali (trasporto + pesca) per provincia e per regione: PROVINCIA TOT REGIONE TOT

1 NAPOLI 16211 19,3% 1 SICILIA 21240 25,3%

2 TRAPANI 7218 8,6% 2 CAMPANIA 17948 21,4%

3 BARI 6802 8,1% 3 PUGLIA 11270 13,4%

4 PALERMO 4340 5,2% 4 SARDEGNA 5578 6,7%

5 VENEZIA 4303 5,1% 5 LIGURIA 5221 6,2%

6 GENOVA 3779 4,5% 6 VENETO 4303 5,1%

7 MESSINA 3351 4,0% 7 EMILIA ROMAGNA 3222 3,8%

8 CAGLIARI 2658 3,2% 8 TOSCANA 3192 3,8%

9 FOGGIA 2060 2,5% 9 LAZIO 2824 3,4%

10 FERRARA 1758 2,1% 10 CALABRIA 2711 3,2%

11 AGRIGENTO 1685 2,0% 11 MARCHE 2301 2,7%

12 CATANIA 1572 1,9% 12 ABRUZZO 2266 2,7%

13 SASSARI 1501 1,8% 13 FRIULI V.G. 1512 1,8%

14 LIVORNO 1500 1,8% 14 MOLISE 287 0,3%

15 SIRACUSA 1498 1,8% tot 83875 100,0%

16 SALERNO 1491 1,8%

17 LATINA 1484 1,8%

18 RAGUSA 1356 1,6%

19 ROMA 1340 1,6%

20 REGGIO CALABRIA 1284 1,5%

21 LECCE 1193 1,4%

22 TERAMO 1116 1,3%

23 GROSSETO 1052 1,3%

24 VIBO VALENTIA 893 1,1%

25 ORISTANO 864 1,0%

26 LA SPEZIA 814 1,0%

27 PESARO 768 0,9%

28 TRIESTE 756 0,9%

29 TARANTO 745 0,9%

30 ANCONA 738 0,9%

31 RIMINI 712 0,8%

32 PESCARA 610 0,7%

33 NUORO 555 0,7%

34 CHIETI 540 0,6%

35 MACERATA 533 0,6%

36 BRINDISI 470 0,6%

37 LUCCA 464 0,6%

38 FORLI' 437 0,5%

39 UDINE 432 0,5%

40 CROTONE 407 0,5%

41 SAVONA 372 0,4%

42 GORIZIA 324 0,4%

43 RAVENNA 315 0,4%

44 CAMPOBASSO 287 0,3%

45 ASCOLI PICENO 262 0,3%

46 IMPERIA 256 0,3%

47 CASERTA 246 0,3%

48 CALTANISETTA 220 0,3%

49 MASSA CARRARA 176 0,2%

50 CATANZARO 127 0,2%

tot 83875 100,0%

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In primo luogo si rileva che sono 50 le province riguardate dall’indagine, quelle da cui provengono i marittimi, circa la metà del territorio nazionale, province ovviamente di mare. Per quanto riguarda i marittimi del trasporto spicca l’assoluta preminenza della provincia di Napoli, che conta da sola per quasi 1/3 del totale. Napoli è dunque la capitale dell’offerta di lavoratori marittimi del trasporto.Le prime 6 province raggiungono quasi i 2/3 (62%) del totale (Napoli, Bari, Genova, Palermo, Messina e Trapani) e le prime 15 superano l’80%. In termini regionali, Campania e Sicilia superano la metà del totale (54,2%) Per quanto riguarda i marittimi della pesca, dove è la provincia di Trapani, che comprende Mazara del Vallo, a distaccare le altre con quasi il 15%, si assiste a una maggiore dispersione, e tuttavia le prime 15 province contano quasi il 70% del totale degli addetti. Tra le regioni prima è la Sicilia con quasi il 30% del totale, mentre spicca la Puglia con più del 16%. Trapani è dunque capitale della domanda e dell’offerta di lavoro, a riprova della reciprocità che il territorio ha per entrambi i lati del mercato, mentre invece nel trasporto la domanda e l’offerta sono per lo più indipendenti. Sommando le due tabelle per avere il totale dei lavoratori marittimi, sia del trasporto che della pesca, per disporre di una dimensione complessiva del mercato del lavoro e dei potenziali utenti degli uffici di collocamento della gente di mare, si ottiene un quadro con alcune evidenze assai significative: Napoli è la capitale del lavoro marittimo con quasi il 20% dei lavoratori, seguita da Trapani, Bari, Palermo, Venezia, Genova Messina, Cagliari e Foggia. Queste nove province sulle 50 totali, contano più del 60% dei lavoratori marittimi nazionali. Tra le regioni il Sud, solo con Sicilia (quasi un quarto di tutti i marittimi), Campania (più di 1/5) e Puglia, raggiunge il 60% del totale. Limitandoci al Nord, Venezia, forte nella pesca, e Genova più forte nel trasporto, sono le due province più rappresentative, così come tra le regioni la Liguria e il Veneto, che insieme raggiungono l’11% del totale nazionale. TIRIAMO LE SOMME Abbiamo dato molti numeri, più o meno analitici e ricavati da fonti più o meno vicine alla origine dei dati. Abbiamo dato soprattutto numeri approssimativi ma che dovrebbero essere sufficienti a fornire degli ordini di grandezza significativi per valutare le quantità e alcune qualità che caratterizzano il mercato del lavoro marittimo. Che valutazione darne? Sono tanti i marittimi, sono pochi? Sono sufficienti, oppure mancano, oppure eccedono? Proviamo a mettere assieme i numeri che abbiamo dato sinora:

Imbarcazioni Posti a bordo

Occupati: che si avvicendano sui

posti a bordo nell’arco dell’anno di cui extracomunitari

Trasporto 1.500* 30.000* 40* / 43** / 48.000*** 15.000*

Pesca 15.000** 27.000** 32****/ 38.000*** 2.000** Diporto 1.300** 2.500** 3.000*** ?

tot 17.800 59.500 75 / 89.000 17.000

* Fonte CONFITARMA; **Moltiplicatore 1,43; *** Fonte IPSEMA; **** Fonte IREPA.

Il popolo della gente di mare assomma secondo le nostre stime a circa 85.000 lavoratori, che si ripartiscono per un 55% circa nel trasporto e un 45% circa nella pesca. Il diporto risulta ancora marginale, forse e soprattutto perché mancano quasi del tutto i dati relativi. L’internazionalizzazione del lavoro marittimo si rileva soprattutto nel trasporto, dove i lavoratori extracomunitari sono circa i135% del totale, mentre nella pesca il numero, che comunque appare

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sottostimato, è percentualmente limitato dal carattere artigianale e famigliare della maggior parte delle unità produttive. LE DONNE MARITTIME Delle donne che lavorano a bordo delle navi o nel settore della pesca esistono pochi studi a livello internazionale, quasi nulla per l’Italia. Per esempio, nessuna delle indagini finora citate fornisce dati su questo aspetto. C’è però anche qui una buona notizia. È in corso una indagine, promossa da IPSEMA, avviata nel 2006 per conoscere, nell'ottica della prevenzione e della soddisfazione sociale dell'utenza, le condizioni di lavoro delle donne marittime, identificandone i bisogni, le aspettative, le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia e le eventuali discriminazioni cui sono sottoposte. L’indagine intende approfondire anche la condizione delle donne che lavorano, magari nell’ombra, come sostegno nelle imprese di pesca. Il progetto si chiama “Donne al timone”, è finanziato dal Ministero del lavoro ed ha ricevuto l’assenso anche dei Ministeri delle Pari Opportunità e dei Trasporti. In attesa dei risultati del lavoro di IPSEMA, esaminiamo la situazione internazionale grazie ad uno studio pubblicato nel 2003 dall’Ufficio Internazionale del Lavoro1. Lo studio fa seguito ad una Risoluzione della 29a sessione della Commissione marittima congiunta (22-26 gennaio 2001) a Ginevra, che richiede che vengano adottate delle misure per promuovere le donne nell’industria marittima. Lo studio esamina le differenze al livello regionale in materia di occupazione delle donne marittime e di mansioni da esse svolte. Vengono altresì identificate dallo studio le buone pratiche nonché raccomandate diverse misure atte ad aiutare l’integrazione delle donne a bordo. Secondo lo studio, le donne costituiscono tra l’1 e il 2% dell’oltre un milione di marittimi imbarcati nel mondo. Scendendo a livello delle marinerie nazionali, mentre in alcuni paesi scandinavi le donne rappresentano oltre il 10 % dei marittimi, la proporzione risulta insignificante in altri paesi: 1,2% in Italia, 4,2% in Germania, 8,3%o nel Regno Unito. La media europea si aggira intorno al 7,5%. Fuori dall’Europa, le proporzioni sono altrettanto variabili. La maggior parte delle donne marittime è attiva nel settore alberghiero delle navi di crociera dove svolge mansioni inferiori. Infatti, solo il 7% delle donne sono ufficiali; il 93% rimanente sono sottoufficiali e marinai. In confronto a loro, il 42% degli uomini sono ufficiali, per il 58% di rango inferiore. Si notano altre differenze rispetto agli uomini per quanto riguarda l’occupazione nei ruoli subordinati. Attualmente, la maggior parte delle donne impiegate sulle navi di crociera vengono reclutate nei paesi dell’OCSE (51,2 %); seguono l’Europa dell’Est (23,6 %), l’Estremo Oriente (13,7 %), l’America latina e l’Africa (9,8 %), l’Asia del Sud Est e il Medio Oriente (1,7 %). La maggior parte della bassa forza costituita da uomini è invece reclutata in Estremo Oriente (29,1 %) ; seguono i paesi dell’OCSE (23,3 %), l’America latina e l’Africa (17,8 %), l’Europa dell’Est (12,3 %), l’Asia del Sud e il Medio Oriente (7,5 %). Secondo lo studio, le cifre rispecchiano delle prassi fortemente radicate, prevalenti nell’industria a tutti i livelli e in tutti i settori per quanto riguarda le donne, le loro capacità e le loro caratteristiche. Mentre gli armatori che assumono donne parlano di esperienze molto positive, come pure gli istruttori negli istituti di formazione, le donne sono tuttavia vittime di troppo frequenti discriminazioni, di intolleranza o di molestie. Numerosi sono gli imprenditori e i sindacati che non hanno espressamente previsto clausole specifiche a favore delle donne. Lo

1 P.Belcher, H.Sampson, M.Thomas, J.Veiga, M.Zhao, Women seafarers. Global employment policies and practices, International Labour Office, in collaborazione con SIRC (Seafarers International Research Center) di Cardiff, 2003. Purtroppo molti dei dati rilevati dallo studio si riferiscono ad un decennio prima, agli inizi degli anni ’90, per cui il loro valore si perde non tanto rispetto alla grandezza dei numeri rilevati, che non sono cambiati sostanzialmente, quanto rispetto alla loro evoluzione e alle tendenze in atto nel presente.

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studio dimostra inoltre il bisogno di politiche che fronteggino questioni quali le molestie sessuali, le mestruazioni, la gravidanza, la contraccezione, la maternità e la medicina sessuale e generale. Un aspetto più positivo: lo studio registra un progresso significativo in questi ultimi anni per quanto riguarda la formazione. Le donne ricevono una formazione rivolta a coprire posti più elevati nell’industria marittima, a bordo o a terra. Nel 2001, ad esempio, il numero totale delle donne iscritte all’Università marittima mondiale (World Maritime University, WMU) di Malmoe in Svezia ha raggiunto il 21% dell’insieme degli studenti, contro l’8% nel 1995. Un segnale di ottimismo in questo senso si registra anche in Italia nell’ambito dell’avvio delle attività dell’Accademia Italiana della Marina Mercantile, la scuola per la formazione degli allievi ufficiali. Le ragazze iscritte al primo bando nel 2005 sono state in totale 65, pari al 14,5%: 15 per “ufficiale di coperta”, 3 per “ufficiale di macchina”, 48 per “commissario di bordo”. Per esse era prevista una riserva per promuoverne l’accesso alle carriere marittime in cui sono tradizionalmente sottorappresentate. Per “coperta” e “macchina” era necessario il diploma superiore tecnico nautico, corso di studi in cui le ragazze sono presenti in media per il 5%. Questo significa che tra i circa 1700 diplomati nautici annui le ragazze sono circa 80, per cui il dato di 18 iscritte indica una intenzione alla carriera di bordo molto più alta dei colleghi maschi e quindi una più chiara motivazione per il lavoro marittimo al momento dell’iscrizione all’istituto nautico. Da segnalare che nel 2006, al secondo bando che non prevedeva i commissari, le ragazze iscritte sono salite da 18 a 21. Accanto al dato delle aspiranti ufficiali di coperta e di macchina, il numero significativamente alto di giovani donne che aspirano alla carriera di commissario di bordo, che diversamente dal caso precedente non richiede obbligatoriamente il diploma nautico, mostra una tendenza incoraggiante che si riesca a ottenere un consistente e stabile cambio di orientamento culturale e professionale sia tra le ragazze nelle loro scelte professionali sia tra le imprese di navigazione nel valorizzarle professionalmente e nel facilitarne la permanenza a bordo. Per contribuire a questo obiettivo l’Accademia ha sottoscritto un protocollo con la Consigliera di pari opportunità e con WISTA Italia (Women International Shipping and Trading Association), l’associazione delle donne impegnate professionalmente nel mondo marittimo, per promuovere iniziative comuni e sostenere l’impegno delle ragazze nel realizzare il loro progetto professionale. Un altro studio internazionale ha riguardato “Il ruolo della donna nella pesca”, conclusosi nel 2002su incarico dalla Commissione Europea1. I dati mostrano che, nonostante la gran varietà culturale ed economica all’interno dell’UE, esistono numerosi punti in comune per quanto riguarda la posizione e la considerazione della donna nel settore pesca. Se da un lato, ad esempio, le donne si sentono poco gradite nel sottosettore della pesca d’altura, dall’altro è pur vero che esse sono scarsamente interessate a parteciparvi. Inoltre, il ruolo di supporto svolto dalle mogli dei marittimi impegnati in campagne di pesca è ritenuto da entrambe le parti come molto importante anche se ampiamente sottovalutato. Lo studio ha messo anche in evidenza la discriminazione economica nei confronti delle donne. Le retribuzioni sono inferiori del 12% rispetto a quelle degli uomini per attività apparentemente identiche, pur tenendo conto del fatto che, alla luce della scarsità dei dati disponibili, il confronto potrebbe non essere avvenuto esattamente tra mansioni analoghe. Il dato, in ogni caso, risulta di gran lunga inferiore alla differenza di reddito tra i due sessi complessivamente riscontrabile nelle economie UE (il 22% circa). Lo studio del caso italiano ha riguardato solo tre zone dipendenti dalla pesca (Ancona, Brindisi e Trapani), distinte e molto diverse tra loro, scelte per rappresentare la variegata realtà delle

1 European Commission Directorate General For Fisheries , The role of women in the fisheries sector - Final report, a cura di Mac Alister Elliott and partners ltd, marzo 2002.

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comunità di pesca in Italia. I dati sommati relativi alle tre zone considerate figurano nella tabella seguente per offrire un quadro di sintesi della struttura occupazionale:

Per tutte e tre le zone, i dati raccolti mostrano che le donne occupate a bordo di pescherecci sono molto poche, anzi spesso sono totalmente assenti. In gran parte dei distretti di pesca italiani, il lavoro in mare resta tradizionalmente associato agli uomini per ragioni profondamente radicate nelle comunità di pesca. In ogni caso, le donne hanno sempre svolto un ruolo di supporto fondamentale, anche se poco ufficiale, rispetto al lavoro dell’uomo in mare. Esse si occupano di norma della distribuzione del prodotto e della vendita al dettaglio, della riparazione delle reti, degli adempimenti burocratici (licenze, tasse, ecc.) e della gestione dei rapporti con le cooperative di pesca. In generale, emerge un’economia sommersa del lavoro non retribuito all’interno delle aziende a conduzione familiare, molto comune specialmente nelle regioni meridionali. Come evidenziato dai dati raccolti nelle tre zone, le donne svolgono un ruolo più importante nei settori dell’acquacoltura, della trasformazione e della ricerca scientifica, su livelli in linea con le tendenze dell’occupazione femminile nell’intero sistema economico. I dati, inoltre, confermano la progressiva transizione dell’occupazione femminile verso il terziario (che assorbe il 75% della manodopera femminile, contro il 52% di quella maschile). A livello salariale, non sembrano esserci grosse differenze tra i due sessi, sebbene le donne, come già ricordato, facciano spesso parte di un mercato del lavoro sommerso, non retribuito. Un’altra indagine, anch’essa commissionata dall’Unione Europea riporta, tuttavia dati molto più eclatanti, come mostra la tabella seguente riferita al 20041:

1 Cfr. Salz-Buisman-Smit-de Vos, Employment in the fisheries sector: current situation”, op.cit..

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Le donne che lavorano nel settore della pesca raggiungerebbero l’8% del totale. La fonte del dato, secondo quanto indicato dal rapporto, è IREPA, e si fa notare che ad una precedente rilevazione riferita al 1999 IREPA aveva dichiarato nessuna donna impiegata nella pesca. Si tratterebbe quindi approfondire questo aspetto, per scoprire se si tratta davvero di posti di lavoro a bordo oppure no.

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Capitolo 2 IL NUOVO REGOLAMENTO DEL COLLOCAMENTO DELLA GENTE DI MARE Il mercato del lavoro è ben diverso dal mercato del pesce…. Robert M. Solow, economista (premio Nobel 1987), Il mercato del lavoro come istituzione sociale, 1990.

Varata in extremis nel corso dell’ultimo Consiglio dei ministri del Governo Berlusconi, alla vigilia delle elezioni politiche, la riforma del collocamento della gente di mare si è formalmente avviata con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2006 del Decreto del Presidente della Repubblica n.231 del 18 aprile 2006: “Regolamento recante disciplina del collocamento della gente di mare, a norma dell'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n.2971”. Il 297 è il decreto che aveva portato a compimento la riforma del collocamento ordinario avviato nel 1997 con il decentramento amministrativo2, smantellando la precedente impalcatura vincolistica e liberando i neonati Centri provinciali per l’impiego dalla tara delle vecchie regole del collocamento. La novità essenziale portata dal 297 rispetto al 181 del 2000 in particolare era infatti la soppressione delle liste di collocamento ordinarie e speciali. Nel 297 la riforma del collocamento della gente di mare, pur essendo uno dei collocamenti che restava da riformare, veniva rinviata a uno specifico regolamento da emanarsi da parte del Ministero del lavoro di concerto con il Ministero dei trasporti3. A dire il vero, la notizia del nuovo regolamento caduta nell’intervallo elettorale (la sua pubblicazione in GU cadrà per giunta nell’intervallo delle ferie estive) passò quasi inosservata. Il mondo marittimo o non se ne accorse o fece finta di niente. Tanto meno la notizia poteva destare interesse tra gli operatori del mercato del lavoro generale e nelle amministrazioni pubbliche impegnate nella riforma dei servizi per l’impiego. Il collocamento della gente di mare è infatti una realtà pochissimo nota al di fuori del mondo marittimo e circoscritta ai territori sedi di porti. La stessa locuzione “gente di mare”, d’impronta antica e letteraria, ha per i più un significato piuttosto vago, mentre la sua definizione giuridica più recente risale a un lontano Regio Decreto del 1942 con cui fu approvato il Codice della navigazione4. Inoltre il collocamento della gente di mare non era stato sino ad allora nell’orizzonte istituzionale e operativo del Ministero del lavoro,

1 Dlvo 19 dicembre 2002, n.297: “Disposizioni modificative e correttive del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, recante norme per agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, lettera a) della legge 17 maggio 1999, n.144”. 2 Dlvo 23 dicembre 1997, n.469 "Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59". 3 Art.2 c 4: “Con regolamento emanato su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 [che disciplina l’attività del governo], è disciplinato il collocamento della gente di mare, prevedendo, in applicazione dei principi stabiliti in materia dal presente decreto, il superamento dell'attuale sistema di collocamento obbligatorio”. 4 Regio Decreto n.1808 del 7 dicembre del 1942. Per il Codice della navigazione (art.114), la “gente di mare” è una componente del “personale marittimo”: le altre componenti sono il personale addetto ai porti e quello addetto alle costruzioni navali.

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affidato da sempre alla competenza del Ministero dei Trasporti (o della Marina Mercantile come si chiamava una volta) e gestito dagli uffici presso le Capitanerie di porto. Considerati gli ascendenti normativi del DPR231, che risalgono al DLvo469 del 1997 di decentramento amministrativo del collocamento ordinario e alla legge 144 del 1999 di riordino degli strumenti di intervento in materia di occupazione, è utile per meglio comprenderne la genesi ripercorrere i principali passi del processo di riforma del mercato del lavoro generale, verso il quale il collocamento della gente di mare attraverso il DPR231 viene evidentemente fatto convergere. La riforma del collocamento ordinario La riforma del collocamento ordinario in Italia è iniziata una decina di anni fa sospinta dalla condanna della Corte di giustizia della Comunità europea sia per la violazione dei principi della libera concorrenza, sia perché gli uffici statali di collocamento in regime di monopolio non erano in grado di offrire un servizio adeguato nel campo dell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, finendo con il penalizzare gli utenti del servizio1. Pochi giorni dopo quella sentenza della Corte europea, il Governo Prodi con il Dlvo 469 del 1997 abolì il monopolio pubblico e per la prima volta fu consentito alle società private di svolgere mediazione di manodopera, seppure nell’ambito di un modello in cui restava prevalente la responsabilità pubblica. Il 469 fu l’effetto solo della sentenza europea, anche se la sua incombenza ne aveva accelerato i tempi. Il Governo Prodi infatti si era impegnato già con il Patto per il lavoro stipulato del 24 settembre 1996, con CGIL, CISL, UIL e con le associazioni imprenditoriali, a riformare la gestione del mercato del lavoro: con il superamento del monopolio pubblico, con il decentramento istituzionale, con la parziale apertura ai privati, con l’introduzione del lavoro interinale. Il provvedimento a favore di quest’ultima forma contrattuale, innovativa per il nostro ordinamento, precedette il 469 di circa 6 mesi perché fu inserito nel Pacchetto Treu2. Per la fine del monopolio pubblico fu sufficiente un solo provvedimento quantunque giunto in extremis. Per la fine del collocamento obbligatorio, istituito nella forma post fascista da una legge del 19493, il percorso invece era già iniziato da tempo. Di questo percorso, una tappa importante era stata all’inizio degli anni ’90 l’abolizione dell’obbligo della chiamata numerica, che aveva consentito alle imprese di assumere con la richiesta nominativa, anche se sopravviveva il nullaosta da richiedere all’Ufficio di collocamento4. Quest’ultimo obbligo fu cancellato nel 1996 e sostituito dalla comunicazione dell’avvenuta assunzione5.

1 Questo secondo motivo non viene di solito rimarcato sebbene abbia importanti riflessi sulla valutazione dei processi di liberalizzazione. La sentenza dell’11 dicembre 1997 della Corte di Giustizia Europea riguardava un ricorso presentato da una società a cui il Tribunale di Milano non aveva concesso l’omologazione dello statuto perché includeva l’attività di collocamento, giudicata in contrasto con il monopolio pubblico allora previsto dalla legge italiana. 2 Legge 24 giugno 1997, n. 196: “Norme in materia di promozione dell'occupazione”. Gli artt.1-11 sono dedicati al “Contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo” altrimenti noto come “contratto di lavoro interinale”. Il contratto interinale è stato poi nuovamente regolato come contratto di “somministrazione” dal DLvo276/2003. 3 Legge 29 aprile 1949, n. 264: “Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati”. In questa legge uno dei criteri guida della regolazione del mercato del lavoro era l’impersonalità dell’offerta di lavoro. Essa garantiva l’imparzialità del diritto d’accesso, esercitato attraverso le liste di disoccupazione numeriche che assicuravano l’anonimato e graduatorie basate sullo stato di bisogno del disoccupato. 4 Legge 23 luglio 1991, n.223: “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro”. 5 Legge 28 novembre 1996, n.608: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale”.

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Poi è stata la volta nel 1997del Dlvo 469, che oltre ad autorizzare l’ingresso dei privati nell’intermediazione come già detto, aveva decentrato il collocamento statale nei Centri per l’impiego provinciali ordinati nell’ambito di sistemi regionali del lavoro. Con il Dlvo 297 del 2002 era giunta poi finalmente l’abolizione delle liste dei disoccupati, che aveva disobbligato i disoccupati dall’iscriversi e le imprese dal dovere richiedere il certificato di disoccupazione ai neo assunti. Le liste venivano sostituite infatti da un elenco “libero” dei lavoratori, che comprende coloro che sono in cerca di lavoro perché ne sono privi, ma anche coloro che lavorano e cercano una migliore occupazione. Agli uni e agli altri, con priorità ai primi, i Centri per l’impiego offrono servizi di promozione dell’occupazione purché il lavoratore si dichiari immediatamente disponibile e si attivi nella ricerca dell’occupazione. Il libretto di lavoro, istituito nel 1935, era stato nel frattempo abolito e sostituito con la scheda anagrafico-professionale che registra dati, titoli, profili, esperienze, vocazioni, disponibilità del lavoratore1. Da quel momento l’iscrizione al Centro per l’impiego non ha costituito più un requisito obbligatorio ai fini dell’assunzione come avveniva con il vecchio collocamento. Il datore di lavoro infatti è libero di assumere una persona anche non iscritta. Le schede professionali, attraverso sistemi informativi/informatici da connettere in reti regionali e nazionali, alimentano le banche dati con cui possono operare i soggetti, pubblici e privati, ammessi dalla legge a gestire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e autorizzati dallo Stato o dalle Regioni2. In particolare, tutti sono sottoposti all’obbligo di connettersi e di alimentare una banca dati nazionale, detta Borsa Continua Nazionale del Lavoro, finalizzata a favorire il funzionamento del mercato del lavoro facendo incontrare domanda e offerta sulla rete internet. Questo in estrema sintesi il percorso che ha portato l’Italia alla riforma del collocamento ordinario e del mercato del lavoro, e l’ha allineata agli standard normativi e di servizio dei paesi più moderni dell’Unione Europea. Nel frattempo il collocamento della gente di mare è rimasto al margine di questi cambiamenti, sino al 2000 con l’emanazione del nuovo regolamento. IL NUOVO REGOLAMENTO Per facilitare l’analisi del DPR231 e coglierne le novità rispetto alla normativa passata, è utile partire dal fondo del provvedimento, cioè dall’esame delle norme abrogate, elencate all’art.133. Questo permetterà di conoscere le origini e l’evoluzione delle regole del collocamento marittimo. Permetterà anche di evidenziare ciò che scompare e ciò che resta sebbene in altro contesto, e di comprendere meglio le reazioni, anche di contrarietà, che la riforma ha suscitato in alcuni settori del mondo marittimo legati a una tradizione lunga quasi 80 anni. Successivamente esamineremo e commenteremo gli altri 13 articoli che compongono il nuovo regolamento.

1 DPR 7 luglio 2000, n.442: “Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento per il collocamento ordinario dei lavoratori, ai sensi dell'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59”. 2 Il Dlvo 10 settembre 2003, n.276: “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n.30 [nota anche come Legge Biagi]”, ha moltiplicato le categorie di soggetti, pubblici e privati, ammissibili a fornire servizi al lavoro nell’ambito dei sistemi territoriali di riferimento oltre ai Centri per l’impiego provinciali: le Agenzie per il lavoro private (somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione, ricollocazione), i Consulenti del lavoro, e Soggetti pubblici e privati che beneficiano di regimi particolari di autorizzazione alla sola attività di intermediazione a condizione che non perseguano finalità di lucro: le Università pubbliche e private, i Comuni, le Camere di commercio, gli Istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari. Possono altresì essere autorizzate all’intermediazione: le Associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro, le Associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e aventi come oggetto sociale la tutela e l'assistenza delle attività imprenditoriali, del lavoro o delle disabilità, e gli Enti bilaterali. 3 Il testo integrale del DPR si trova in Appendice.

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Le norme abrogate (art.13) Regio Decreto-legge 24-5-1925 n.1031 convertito nella legge 18-3-1926 n.562 “Repressione della senseria per il collocamento della gente di mare” Questa è la norma più antica del collocamento marittimo. Si rilevano punti molto interessanti in questa norma abrogata, che come vedremo in alcuni casi scompaiono definitivamente, mentre in altri rientrano sotto altra forma, ovvero potrebbero rientrare nella fase di decretazione successiva. All’art.1 è previsto che gli uffici di collocamento abbiano sede nei principali porti italiani. Nel decreto c’è un primo elenco (Savona, Genova, Spezia, Livorno, Portoferraio, Civitavecchia, Napoli, Torre Annunziata, Taranto, Brindisi, Molfetta, Bari, Ancona, Venezia, Trieste, Pola, Fiume, Cagliari, Messina, Catania, Trapani e Palermo), che in tempi e con atti successivi è stato integrato con altre sedi. La diffusione sul territorio del collocamento viene dunque condizionata dalla presenza del porto e dei relativi uffici di Capitaneria. Vedremo che questa localizzazione resterà nel nuovo regolamento nel senso che la riforma riparte dagli uffici di collocamento esistenti allo stato attuale. Da rilevare, sempre all’art.1, la possibilità che associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, purché d’intesa, richiedano al Ministro per le Comunicazioni (allora competente in materia) di esercitare il collocamento gratuito attraverso uffici creati e mantenuti dalle associazioni stesse. Vedremo che questa possibilità torna sostanzialmente nel nuovo regolamento dove gli enti bilaterali sono stati inclusi tra i soggetti autorizzati. Interessante infine all’art.3 la norma per cui gli uffici di collocamento, per l'imbarco di ciascun marittimo, “effettuato per loro mezzo”, riscuotono dagli armatori una quota stabilita dal Ministero, e le somme provenienti dalla riscossione delle quote suddette sono devolute per il funzionamento degli uffici. Mentre nel collocamento ordinario si comincia solo ora a discutere della possibilità che le imprese paghino certi servizi resi dai Centri per l’impiego come l’intermediazione di manodopera, qui si scopre che fino dalle sue origini il collocamento della gente di mare è stato finanziato con i ricavi provenienti da quote versate dagli armatori per ogni imbarco autorizzato. Di questa corresponsione non c’è però traccia nel nuovo regolamento. Legge 16-12-1928 n.3042 “Istituzione uffici movimento ufficiali della marina mercantile presso le capitanerie di porto” Tre anni dopo il precedente Regio-decreto del 1925, questa legge istituisce il collocamento speciale per gli ufficiali, detto “ufficio movimento ufficiali”, anch’esso obbligatorio e localizzato negli stessi porti sedi degli uffici di collocamento. L'ufficio di Genova riceve anche le funzioni di ufficio centrale. Come per il collocamento dei sottoufficiali e dei comuni, anche per questo dedicato agli ufficiali vige la norma del versamento di una quota da parte degli armatori per il funzionamento degli uffici preposti. Come vedremo, nel nuovo regolamento gli uffici di collocamento diventano unici e quindi scompare quello specifico e distinto per i soli ufficiali. Artt. 125 e 126 del Codice della Navigazione approvato con Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 327 (con succ. mod. e integr. sino al 2002) Si tratta degli articoli che fissano il monopolio pubblico e il collocamento obbligatorio. All’ art.125: “al collocamento degli iscritti nelle matricole della gente di mare, destinati a far parte degli equipaggi delle navi, si provvede, nel territorio della Repubblica, esclusivamente ad opera di appositi uffici istituiti secondo norme stabilite con legge”; all’art.126: “è vietata la

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mediazione, anche gratuita, per il collocamento degli iscritti nelle matricole della gente di mare destinati a far parte degli equipaggi delle navi”. Questi due pilastri della vecchia concezione del collocamento sono demoliti dalla riforma. Decreto del Ministro della marina mercantile 22-11-1968 “Istituzione del comitato centrale per il collocamento della gente di mare e per il movimento ufficiali della Marina mercantile” All’art.1 viene previsto un organo aperto alle rappresentanze di categoria, con compiti di vigilare, coordinare e uniformare il funzionamento dei diversi uffici e promuovere l’elevazione professionale della gente di mare e incentivare l’afflusso dei giovani alle sezioni marinare degli istituti professionali di stato. Da allora ci sono solo un paio di tracce nella normativa di un effettivo funzionamento di questo Comitato e niente di più1. Per il resto, a quello che ci risulta, il Comitato non svolse un’attività degna di menzione. Un Comitato centrale consultivo è previsto anche dal nuovo regolamento. Decreto del Ministro della marina mercantile 13-10-1992 n.584 “Regolamento recante norme per il funzionamento degli uffici di collocamento della gente di mare” È il regolamento che viene sostituito dal nuovo. Ha un articolato ampio e complesso che merita di essere puntualmente esaminato negli articoli che maggiormente interessano la riforma. All’art.1 si rilevano le categorie dei marittimi disoccupati per i quali è obbligatorio il ricorso al collocamento e le categorie invece che non sono soggette all’obbligo. Il nuovo regolamento supera questa distinzione in favore di un servizio non obbligatorio e aperto per tutti i marittimi, occupati e no, in quanto liberamente iscrittisi nell’anagrafe dei lavoratori, così come aperto per le imprese che liberamente scelgano di utilizzare il servizio pubblico di intermediazione. All’art.2 si specifica che l'ufficio di collocamento cura per ciascuna qualifica la tenuta di un registro dei marittimi disoccupati elencati in ordine numerico di iscrizione. La lista viene sostituita dalla riforma con l’elenco anagrafico. All’art.3 è stabilito inoltre che i marittimi possono chiedere l'iscrizione presso un qualsiasi purché unico ufficio di collocamento, indipendentemente dal domicilio, dalla abituale residenza o dal compartimento di immatricolazione. Nel nuovo regolamento l’iscrizione deve invece avvenire nell’ufficio più prossimo al domicilio del marittimo. Oltre a ciò, all’art.3 si stabilisce che presso ogni ufficio di collocamento è istituito un “turno generale” per ciascuna qualifica prevista dal regolamento, nel quale vengono iscritti, a loro richiesta, i marittimi registrati come disoccupati che desiderano essere imbarcati. Il turno generale è l’equivalente della lista di disoccupazione ordinaria, salvo che c’è un turno distinto per ogni qualifica. Nel nuovo regolamento, il turno è sostituito dall’elenco anagrafico che contiene anche l’indicazione delle qualifiche. Pertanto il scompare il “turno generale”. Sempre per l’art.3 l'armatore è tenuto a promuovere l'istituzione presso gli uffici di collocamento di propri “turni particolari”, suddivisi per qualifica, e a iscrivervi nominativamente il personale disoccupato necessario per i servizi di bordo che deve obbligatoriamente provenire dal “turno generale”. L’armatore è impegnato di conseguenza ad arruolare in via prioritaria i marittimi iscritti nel suo turno particolare, che si configura come uno specifico regime di favore concesso al marittimo nell’avviamento al lavoro con quell’armatore per un successivo imbarco. Esso

1 Si tratta di un paio di decreti emanati tra il 1971 e il 1973 su proposta dello stesso Comitato per derogare al limite di età per l'iscrizione nelle matricole della gente di mare di personale qualificato in considerazione della carenza di personale marittimo qualificato.

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funziona come una sorta di preselezione, che assicura ai marittimi che vi sono iscritti la precedenza (di fatto l’esclusività) nelle chiamate di imbarco da parte di un certo armatore a cui si sono legati, raggiungendo così la condizione di una quasi continuità di rapporto di lavoro anche se la forma contrattuale resta quella del contratto temporaneo (più precisamente, a viaggio). Scomparendo nel nuovo regolamento il “turno generale”, di conseguenza scompare anche il “turno particolare” che ne è una derivazione. All’art.4 si fissano le modalità di iscrizione ai turni generali da parte del disoccupato, che deve dichiararsi tale e confermare ogni 6 mesi la sua condizione, pena la cancellazione dai turni. Anche nel nuovo regolamento è prevista una obbligatoria dichiarazione periodica di disponibilità all’imbarco da parte del marittimo disoccupato. All’art.5 si descrive la procedura attraverso cui l’armatore deve presentare le proprie richieste di imbarco. Nel caso non siano soddisfatte dai turni particolari, deve essere fatta una “chiamata pubblica d’imbarco”. All’art.6 si stabilisce che chi non risponde alla chiamata (che è di tipo numerico solo per le categorie più inferiori, mentre per tutte le altre la richiesta può essere nominativa), pure essendo iscritto nel turno generale, viene cancellato. D’altro canto, l’armatore non può rifiutare il lavoratore avviato dal collocamento. In caso la chiamata non produca risultati, essa può venire estesa ad altri turni presso altre Capitanerie. Nel nuovo regolamento le “chiamate” sono abolite in favore dell’arruolamento diretto o della richiesta di “preselezioni”. All’art.14 si prevede che il marittimo sia cancellato temporaneamente dai turni nel periodo in cui è imbarcato su una nave con bandiera extracomunitaria. Sotto questo profilo il nuovo regolamento trascura la dimensione globale del mercato del lavoro marittimo e il fenomeno abbastanza frequente tra coloro che navigano sulle rotte internazionali di arruolarsi anche sotto bandiere estere e non comunitarie. All’art.19 si precisano i requisiti minimi per l’iscrizione nei turni, per quanto riguarda sia il possesso della relativa qualifica professionale sia della certificazione internazionale in materia di standard di addestramento. Al testo del regolamento è allegato l’elenco delle qualifiche con a fianco i requisiti minimi. Nel nuovo regolamento si prevede di rinnovare tale elenco attraverso un apposito decreto attuativo. All’art.20 si conferma che il servizio di collocamento per la gente di mare è gratuito, dal lato del lavoratore, perché l'armamento italiano provvede al funzionamento dell'ufficio con il contributo di una quota per ogni imbarco “effettuato per mezzo” degli uffici, stabilita con decreto del Ministro della marina mercantile. Si tratta del contributo già previsto dal Regio-decreto del 1925 e che nel nuovo regolamento scompare1. All’art.23 si prevede altresì che saranno creati appositi turni di collocamento riservati ai cittadini extracomunitari, in attuazione di disposizioni da emanare successivamente ai sensi della legge allora in vigore. Sotto questo profilo, che allude come nel caso dell’art.14 alla dimensione globale di questo mercato del lavoro, il nuovo regolamento non prevede nulla.

1 Al 1994 risale l’ultimo decreto ministeriale di adeguamento della somma (D.M. 21 giugno 1994): “le quote dovute dagli armatori agli uffici di collocamento gente di mare per l’imbarco effettuato per mezzo degli uffici stessi, sono stabilite nella misura di L.10.000 (cambiate poi in euro 5,16) per ciascun marittimo di ogni ordine e grado”. Queste somme servivano alle spese di funzionamento dell’ufficio di collocamento e nel caso degli uffici più importanti, Genova e Napoli, si riusciva con esse anche a pagare del personale civile aggiuntivo assunto a termine. Nel 1998 tale personale era stato integrato in pianta stabile negli organici del Ministero della Marina mercantile a seguito di un articolo apposito inserito nella legge 30 del 1998.

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All’art.24 si istituisce il “Comitato centrale per il collocamento della gente di mare” che può esprimere pareri su ogni questione relativa al collocamento e all’applicazione di norme contrattuali. Quindi con una missione diversa da quella del Comitato istituito nel 1968. Ne viene fornita una composizione precisa, in cui accanto a funzionari del Ministero della marina Mercantile siedono 4 rappresentanti delle associazioni amatoriali e 4 delle associazioni sindacali. Anche questo nuovo Comitato centrale in realtà non ha assolto mai effettivamente alla sua funzione. Nel nuovo regolamento torna un’ennesima riproposizione del “Comitato centrale”, la terza dal 1968, con una missione più ampia ma una composizione più ridotta che dovrà comunque essere oggetto di un decreto di definzione. Le finalità del nuovo regolamento (art.1 c.1; art.3 c.1) Il DPR231 apre con una chiara e concreta dichiarazione di finalità: dare efficienza alla gestione del mercato del lavoro marittimo attraverso la razionalizzazione delle procedure e la realizzazione di servizi per il miglioramento dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche grazie all’impiego di tecnologie informatiche. Queste ultime in realtà erano già state previste dal precedente regolamento del 1992 ma da allora gli uffici presso le Capitanerie di porto non sono stati mai dotati di tali strumenti. Con il nuovo regolamento si vuole in particolare realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti per migliorare le opportunità di reclutamento degli inoccupati e disoccupati, come sono definiti dal Dlvo 181/2000: “disoccupati di lunga durata”, ossia coloro che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un'attività di lavoro autonomo, siano alla ricerca di nuova occupazione da più di dodici mesi; oppure, “inoccupati di lunga durata”, ossia coloro che, senza aver precedentemente svolto un'attività lavorativa, siano alla ricerca di un'occupazione da più di dodici mesi. “Disoccupati e inoccupati di lunga durata” formano un target che non suona precisamente chiaro nel mondo marittimo in cui, come si vedrà, offerta e domanda si confrontano in maniera e misura diversa dal resto del mercato del lavoro. Il DPR tuttavia li introduce probabilmente perché lo Stato italiano è impegnato nei confronti della Commissione europea a diminuirne gli indici di disoccupazione in misura programmata con politiche mirate. Il campo di applicazione del nuovo regolamento (art.1 cc.2-4) Il nuovo regolamento si applica all’arruolamento dei lavoratori marittimi iscritti alla gente di mare. Da chi è composta la “gente di mare” lo dice l’art.115 del Codice della navigazione. Essa comprende tre categorie: I) personale di stato maggiore e di bassa forza addetto ai servizi di coperta, di macchina e in genere ai servizi tecnici di bordo; II) personale addetto ai servizi complementari di bordo; III) personale addetto al traffico locale e alla pesca costiera. L’appartenenza alla gente di mare è limitata dal Codice della navigazione al personale di nazionalità italiana o di uno stato dell’Unione europea. Venendo meno il collocamento obbligatorio con tutte le relative procedure ordinarie e eccezionali, scompare anche la distinzione tra le diverse categorie di marittimi oggetto del collocamento obbligatorio o meno, previste dal precedente regolamento del 1992. L’universo della gente di mare viene dunque ricomposto: tutti gli iscritti alla gente di mare sono parimenti utenti del nuovo collocamento, purché siano disponibili a prestare servizio a bordo di navi italiane per conto di un armatore o società di armamento. Compare nel nuovo regolamento il requisito della “disponibilità” già previsto in precedenza, ma introdotto nuovamente in analogia

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con quanto previsto per il collocamento ordinario dal Dlvo 181/2000, dove è il motivo determinante per l’accertamento dello stato di disoccupazione. Per effetto di questa definizione del target, viene precisato altresì che il nuovo regolamento non si applica al personale delle imprese di appalto, che non fa parte dell'equipaggio pur essendo soggetto alla gerarchia di bordo. È il caso che riguarda quasi esclusivamente le navi passeggeri, traghetti e crociere, dove alcuni dei servizi alberghieri e di intrattenimento offerti a bordo, quindi non quelli tecnici per la conduzione della nave, sono gestiti da personale di profilo professionale non strettamente marittimo reclutato attraverso appalti di fornitura di manodopera. Viene inoltre precisato che il regolamento non si applica nemmeno ai marittimi extracomunitari per il cui arruolamento viene confermato quanto previsto dalla legislazione speciale vigente. Emerge, da queste distinzioni per esclusione, una realtà composita dei lavoratori impiegati a bordo delle navi, che oltrepassa i limiti giuridici di applicazione del nuovo collocamento della gente di mare. Come mostrato nella figura che segue, il personale a bordo di una nave, ossia il suo equipaggio, è composto necessariamente dalla componente professionale che assicura la navigazione e i cosiddetti servizi complementari di bordo, per cui è iscritta nei registri della gente di mare. A questa componente può aggiungersi però un’altra componente formata da marittimi extracomunitari, per cui non sono iscritti tra la gente di mare, e eventualmente una terza componente formata dal personale, comunitario o meno, fornito da ditte appaltatrici di servizi non tecnico-navali, per lo più di cura dei passeggeri (hotellerie, intrattenimento ecc.), per cui non è iscritto tra la gente di mare:

Rispetto a questo universo composito degli equipaggi la disciplina del collocamento risulta parziale e quindi non è in grado di dare conto con le sue procedure e i suoi dati del funzionamento dell’intero mercato del lavoro marittimo nazionale. Una prima prova di questa parzialità e delle sue problematiche la fornisce l’adempimento obbligatorio richiesto agli armatori circa la comunicazione dell’arruolamento dei lavoratori e della loro cessazione agli uffici di collocamento della gente di mare, analogamente a quanto prescritto per tutte le imprese in generale1. Dato che l’adempimento per i marittimi si collega a quanto previsto dal DPR231 la cui disciplina è circoscritta agli iscritti alla gente di mare, ne

1 Cfr. la nota del 4 gennaio 2007 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale con cui ha fornito i primi chiarimenti operativi sulle novità introdotte dalla Legge 296/2006 (c.d. Finanziaria 2007) in materia di adempimenti nei confronti dei servizi per l'impiego: “tra di essi, la comunicazione anticipata almeno al giorno antecedente l'inizio del rapporto di lavoro, il cui obbligo fa capo indistintamente a tutti i datori di lavoro pubblici e privati (omissis) si applica anche a settori finora definiti speciali (gente di mare, spettacolo, ecc.)”.

Personale di ditte in appalto

Personale extracomunitario

Personale comunitario

appartenente alla gente di mare

EQUIPAGGIO: Personale che

lavora a bordo di una nave

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consegue che i lavoratori appartenenti alle altre due eventuali componenti dell’equipaggio ne restino esclusi. Da qui un duplice problema che il Ministero del lavoro, di concerto con le parti sociali, dovrà risolvere: amministrativo, che riguarda la competenza della comunicazione circa questi particolari lavoratori che salgono a bordo ma che non sono iscritti alla gente di mare, e conoscitivo, che riguarda la loro inclusione o meno tra i target di osservazione e analisi del mercato del lavoro marittimo. Il nuovo regolamento: i principi generali (art.3) Più che principi, il DPR elenca gli obiettivi che il nuovo regolamento intende realizzare per raggiungere le finalità enunciate. Dal punto di vista dell’impianto giuridico, si abolisce il collocamento obbligatorio per quelle categorie per le quali ancora sussisteva dal 1992 e si infrange il monopolio pubblico stabilendo i principi per l'individuazione degli operatori privati abilitati a fornire servizi di intermediazione. In correlazione con questi mutamenti, in particolare la scomparsa delle liste di disoccupazione (ossia dei turni generali e particolari del collocamento), dal lato dei lavoratori si istituisce l'anagrafe nazionale della gente di mare, un elenco in cui sono registrati i lavoratori marittimi in possesso dei requisiti di legge per prestare servizio di navigazione, mentre dal lato delle imprese si introduce l’assunzione diretta, con obbligo di comunicazione contestuale al servizio di collocamento marittimo. Allo scopo di favorire l’incontro tra domanda e offerta si costituirà inoltre la Borsa nazionale del lavoro marittimo, nell'ambito della Borsa continua del lavoro istituita dal Dlvo276/2003 di attuazione della legge 30/2003 di riforma del mercato del lavoro. Si avvierà inoltre un sistema di monitoraggio per migliorare la conoscenza dei fenomeni specifici del settore e a supporto di mirate politiche attive del lavoro. Infine, si procederà alla revisione del regime sanzionatorio. Le funzioni di indirizzo (art.4; art.5 c.4) Il regolamento assegna al Ministero del Lavoro le funzioni di indirizzo, promozione e coordinamento delle politiche di impiego nel settore marittimo. Il Ministero esercita queste funzioni d’intesa con le regioni nelle materie di loro competenza e sentito il “Comitato centrale per il coordinamento in materia di collocamento della gente di mare”. Quest’ultimo è un organo consultivo da costituirsi nell'ambito della Direzione generale del mercato del lavoro. Nella composizione del Comitato dovrà essere assicurata una adeguata rappresentanza delle regioni e la partecipazione di un rappresentante del Ministero dell'istruzione, università e ricerca. Esso appare come un’ennesima riedizione del Comitato centrale già previsto dalle precedenti norme, ma che ci si augura possa finalmente funzionare. L’attività del Ministero del Lavoro verterà in particolare sul coordinamento dei servizi di collocamento della gente di mare; sulla promozione di azioni rivolte all'integrazione dei sistemi della formazione, della scuola e del lavoro nel settore marittimo; sulle attività di studio e di prevenzione delle emergenze occupazionali e sociali; su iniziative di contrasto al lavoro sommerso; sulla funzione di osservatorio del mercato del lavoro marittimo; sulla cooperazione internazionale e sulla partecipazione all'elaborazione in sede internazionale della normativa di competenza. Rintracciamo in questi compiti una evoluzione rispetto al passato nella prospettiva dell’integrazione tra i sistemi, dell’osservazione anche in chiave preventiva delle dinamiche del mercato del lavoro e della cooperazione internazionale. Una prospettiva che ha bisogno tuttavia di uno sguardo conoscitivo più ampio di quanto la disciplina amministrativa del collocamento non consenta per osservare le dinamiche relative anche ai marittimi non iscritti alla gente di mare, oltre che di dotarsi di strumenti informativi nuovi per seguire i percorsi lavorativi dei

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moltissimi marittimi italiani che in maniera stabile oppure temporanea prestano la loro attività su navi di bandiera estera. I servizi di collocamento: chi li esercita (art.5 c.1-3, 5) Il collocamento della gente di mare è esercitato dagli uffici di collocamento della gente di mare, a partire da quelli esistenti, che saranno posti alle dipendenze funzionali del Ministero del lavoro, dopo che un Decreto del Presidente della Repubblica ne definirà la struttura, l'organizzazione, la dotazione organica e le modalità di funzionamento. Quantomeno in avvio di riforma, si ripropone per la parte pubblica la stessa organizzazione logistica del passato. L’organizzazione degli uffici dovrà invece essere definita d’intesa tra Ministero del lavoro e Ministero dei Trasporti. Possono inoltre essere autorizzati allo svolgimento dell'attività di intermediazione a favore dei propri associati, nonché, mediante convenzione con il Ministero del lavoro, allo svolgimento di tutti i compiti affidati agli uffici di collocamento della gente di mare, gli enti bilaterali del lavoro marittimo, a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione con la Borsa del lavoro marittimo. Il regolamento apre dunque la possibilità di affidare mediante convenzione, da parte del Ministero del Lavoro, la gestione integrale del collocamento della gente di mare agli enti bilaterali del lavoro marittimo. In subordine, essi possono svolgere la sola attività di intermediazione, purché riservata ai propri associati1. Ad oggi non esiste un ente bilaterale del lavoro marittimo. Esiste invece un Fondo Nazionale Marittimi, costituito dalle aziende associate a CONFITARMA sulla base di un accordo con le Organizzazioni sindacali allo scopo di tutelare i lavoratori contro il rischio della disoccupazione. Limitatamente al settore della pesca esistono invece due enti bilaterali: l'Osservatorio Nazionale della Pesca, un organismo bilaterale promosso e istituito da FEDERPESCA e dalle tre organizzazioni sindacali di categoria di FLAI CGIL, FAI CISL e UILA UIL attivo nel campo della formazione, e l’EBIPESCA attivo nel campo della gestione dei fondi integrativi. Possono svolgere attività di collocamento della gente di mare anche le agenzie per il lavoro come definite nel Dlvo 276/2003 con specifica autorizzazione del Ministero del lavoro, i cui requisiti saranno determinati con un successivo decreto. Con ciò si può intendere che essi non saranno identici a quelli previsti per il collocamento ordinario, ma che verosimilmente terranno conto delle peculiarità del mondo marittimo. Peraltro sotto questo profilo già opera nel mondo marittimo una realtà privata, singolare quanto importante, quella dei Raccomandatari marittimi, una professione che comprende l’ingaggio dei marittimi per conto degli armatori. La fonte giuridica dell’attività dei raccomandatari è la legge 4 aprile 1977 n.135: “Disciplina della professione di raccomandatario marittimo”. Essa viene richiamata in premessa al DPR231, ma poi non si trovano altri riferimenti nell’articolato, nemmeno dove si prevede l’apertura alle agenzie private. Questa circostanza è stata uno dei motivi di allarme e di critica al decreto da parte non solo dell’associazione dei Raccomandatari, ma anche dei rappresentanti dell’armamento e dei lavoratori, che considerano i Raccomandatari una componente fondamentale nel funzionamento del mercato del lavoro marittimo, non solo dal punto di vista

1 Nella riforma del mercato del lavoro conseguente alla legge 30 del 2003 gli enti bilaterali sono stati introdotti con grande enfasi. Nel Dlvo 276/2003 sono definiti come “gli organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualità; l'intermediazione nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attività formative e la determinazione di modalità di attuazione della formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti più svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l'integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarità o congruità contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento”.

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organizzativo ma anche della tutela dei marittimi imbarcati su navi straniere di cui i Raccomandatari si fanno carico. Ci si interroga, in buona sostanza, se il riferimento al modello di agenzia ai sensi del Dlvo 276/2003, ancorché con requisiti autorizzativi da definire, sia vincolante per i Raccomandatari, ovvero se l’indicazione in premessa al regolamento della legge 135 significhi che per i Raccomandatari tutto resta com’è. Le funzioni e le competenze dei servizi di collocamento (art.6) Secondo il nuovo regolamento gli uffici di collocamento della gente di mare svolgono le seguenti funzioni, che ricalcano quelle assolte nei Centri per l’impiego per il collocamento ordinario: a) Gestione degli elenchi anagrafici dei lavoratori marittimi disponibili all'arruolamento, in quanto sezione speciale dell'elenco anagrafico dei lavoratori. In sostituzione della gestione delle liste di disoccupazione, si passa alla gestione dell’elenco anagrafico dei lavoratori, che nel caso della gente di mare diventerà necessariamente “degli elenchi anagrafici” perché vanno necessariamente distinti per qualifiche come era in precedenza per i turni, dato che le qualifiche sono requisiti indispensabili per essere arruolati con un determinato ruolo a bordo. Importante è la specificazione circa l’inclusione delle anagrafi marittime nell’anagrafe generale dei lavoratori, che sono gestite a scala provinciale da parte dei Centri per l’impiego. Questa circostanza apre infatti la possibilità di una stretta relazione tra le due strutture e anche di una integrazione non solo per motivi organizzativi ma anche funzionali al governo di un mercato del lavoro che metta in comunicazione il lavoro marittimo con il resto del mondo del lavoro. b) Gestione della scheda professionale dei lavoratori inseriti nell'elenco anagrafico. Si passa alla gestione della scheda professionale di ciascun lavoratore, che ne documenta le caratteristiche professionali e la storia lavorativa, oltre a registrarne la eventuale disponibilità immediata all’occupazione o rioccupazione. Un’analoga gestione avviene attualmente nelle Capitanerie di porto circa il “foglio matricolare” di ciascun marittimo iscritto, ma tale gestione non ha le funzioni statistiche e promozionali che acquista invece nel nuovo regolamento del collocamento. c) Accertamento e verifica dello stato di disoccupazione e della disponibilità al lavoro marittimo. L’accertamento dello stato di disoccupazione avviene su iniziativa del lavoratore che fa, o invia, una dichiarazione contenente i precedenti lavorativi, la qualifica e l’immediata disponibilità al lavoro. La dichiarazione va resa entro 30 giorni dalla cessazione di ogni rapporto di lavoro. A tale dichiarazione gli uffici di collocamento devono a loro volta fare seguire entro tre mesi un colloquio a meno che nel frattempo il lavoratore non si sia imbarcato. Tale colloquio è definito dal decreto come di “verifica”, quindi come un atto meramente amministrativo, non diverso dalla “timbratura” prevista dai vecchi regolamenti. Sotto questo profilo il collocamento ordinario prevede invece che i colloqui siano di “orientamento” accompagnati da proposte di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione o di riqualificazione professionale od altra misura che favorisca l'integrazione professionale1. Parrebbe in questo modo che agli uffici di collocamento della gente di mare non si attribuiscano funzioni di promozione che non sia la diffusione della disponibilità del lavoratore nella rete nazionale supportata dalla Borsa del lavoro, come vedremo in seguito. D’altro canto, gli uffici presso le Capitanerie non sarebbero ad oggi attrezzati a svolgere queste nuove funzioni, né si indica per la loro riorganizzazione anche questa finalità.

1 Cfr. art.4 del Dlvo 297/2002.

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L’instaurazione di una stretta collaborazione con i Centri per l’impiego provinciali potrebbe d’altro canto permettere di offrire anche questi servizi che i Centri ormai offrono stabilmente e con riconosciuti standard di qualità. Questa collaborazione tra uffici del collocamento ordinario e uffici della gente di mare non solo amplierebbe a questi ultimi l’offerta dei servizi per il lavoro nel quadro della comune gestione dell’elenco anagrafico generale dei lavoratori, ma permetterebbe di fare emergere e di contribuire a governare in modo unitario quelle aree del mercato del lavoro in cui gli stessi lavoratori circolano, anche stagionalmente, ora con l’identità anagrafica della gente di mare ora con quella del lavoratore ordinario, oppure quelle aree professionali a terra in cui possono pensare di proseguire la loro carriera marittimi che non intendano, temporaneamente o per sempre, lavorare a bordo. d) Preselezione ed incontro tra domanda e offerta di lavoro. Dalla gestione dei turni, da cui si estraevano i marittimi da avviare all’arruolamento sulla base di liste preordinate per anzianità di iscrizione o a seguito di chiamata pubblica, si passa alla preselezione su richiesta dei datori di lavoro tra gli iscritti nell’elenco anagrafico che abbiano le caratteristiche desiderate in funzione del migliore incontro tra domanda e offerta di lavoro. La preselezione in quanto attività che presuppone anche criteri qualitativi e discrezionali (per questo affidati alla professionalità dell’operatore specializzato) ha bisogno di risorse professionali specializzate in questo compito che non sono presenti negli attuali uffici presso le Capitanerie di porto. Anche in questo caso vale il ragionamento fatto al punto precedente a proposito della prospettiva di collaborazione con i Centri per l’impiego che hanno nel loro organico figure di preselezionatori. e) Registrazione delle comunicazioni obbligatorie degli armatori in materia di arruolamento. La registrazione delle comunicazioni dei datori di lavoro non assolve solo a una funzione amministrativa di registrazione e controllo dei movimenti dei lavoratori in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro con un armatore e dallo stato di disoccupazione, ma dovrebbe anche alimentare un sistema informativo/informatico con il quale potere svolgere analisi statistiche e funzioni di osservatorio, oltre alle attività di preselezione. f) Monitoraggio statistico delle consistenze e dei flussi di lavoro marittimo. Questa funzione presuppone l’impiego e l’efficienza di quel sistema informativo/informatico citato al punto precedente. Nel decreto è previsto che tutte queste funzioni possano essere affidate in convenzione agli enti bilaterali della gente di mare da parte del Comitato centrale per il coordinamento in materia di collocamento della gente di mare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e purché sia stata concessa l’autorizzazione all’ente bilaterale ai sensi del Dlvo 276/2003. Questo comma in realtà non risulta congruente per almeno tre motivi: in primo luogo, per la facoltà che si attribuisce al Comitato centrale, organo consultivo del Ministero del lavoro, di convenzionare gli enti bilaterali per l’affidamento dell’intera attività degli uffici di collocamento della gente di mare; poi, per il carattere non oneroso per lo Stato della convenzione che non chiarisce circa i presupposti di sostenibilità economica dell’iniziativa; infine, il riferimento al Dlvo276 è fatto alla stregua delle agenzie private per il lavoro, mentre per gli enti bilaterali in quel decreto è previsto un regime diverso e particolare di autorizzazione. Le nuove procedure del collocamento della gente di mare (artt.7-11) Secondo il nuovo regolamento i lavoratori marittimi sono iscritti a partire dai 16 anni negli elenchi anagrafici purché intendano avvalersi dei servizi di collocamento. Essi non sono pertanto obbligati a iscriversi, né di riflesso gli armatori sono vincolati a passare dal collocamento per cercare il personale da arruolare.

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L’iscrizione negli elenchi anagrafici presuppone che con successivi decreti da emanare siano definiti i modelli delle schede e dei moduli di comunicazione e i relativi formati di trasmissione, oltre al sistema di classificazione dei dati, e siano definite le qualifiche del personale marittimo e i relativi requisiti minimi aggiornando le qualifiche e i requisiti indicate nel precedente regolamento abrogato. Il nuovo sistema di classificazione andrà poi collegato con le matricole della gente di mare, che vengono gestite da altri uffici delle stesse Capitanerie di porto. La gente di mare infatti, ai sensi del Codice della navigazione, sulla base del possesso dei requisiti di legge è iscritta obbligatoriamente, in matricole tenute dagli uffici delle Capitanerie di porto1. Alla matricola corrisponde il Libretto di navigazione, che è il documento che abilita formalmente alla professione marittima e che vale anche, a tutti gli effetti di legge, come libretto di lavoro per il servizio prestato dagli iscritti nelle matricole della gente di mare a bordo della navi. Sul libretto di navigazione sono riprodotte le annotazioni della matricola e dei movimenti di imbarco e sbarco e di navigazione2. La permanenza nella condizione di disoccupazione del marittimo deve essere verificata dagli uffici di collocamento della gente di mare con le seguenti modalità: a) sulla base di colloqui periodici da attivarsi entro tre mesi dalla dichiarazione di disponibilità; b) sulla base delle comunicazioni degli armatori. Entro 30 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore marittimo rinnova la dichiarazione di disponibilità. A seguito della dichiarazione di immediata disponibilità del lavoratore gli uffici provvedono a darne diffusione in ambito nazionale, avvalendosi dei servizi della Borsa continua per il lavoro marittimo che sarà costituita come una sezione speciale della Borsa nazionale, con lo scopo di realizzare un sistema aperto per favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro su tutto il territorio nazionale. La Borsa del lavoro marittimo comprenderà: gli uffici di collocamento della gente di mare; gli enti bilaterali del lavoro marittimo; le università, gli istituti scolastici e gli enti di formazione e addestramento ad indirizzo marittimo e nautico. La Borsa sarà alimentata da tutte le informazioni degli operatori operanti nel diffondere e consultare le informazioni sulla domanda e sull'offerta di lavoro disponibile su tutto il territorio nazionale e dell’UE. Le società di armamento procedono all'arruolamento della gente di mare mediante assunzione diretta. Dell'avvenuta assunzione sono tenute a dare comunicazione contestuale agli uffici di collocamento nel cui ambito territoriale si verifica l'imbarco. Restano ferme tutte le norme del codice della navigazione e relativo regolamento di esecuzione in materia di procedure di arruolamento e di stipula del contratto di lavoro per il tramite delle Capitanerie di porto. In particolare, resta ferma la forma pubblica del contratto, per cui l’arruolamento deve, a pena di nullità, essere fatto per atto pubblico ricevuto, nella Repubblica, dall’autorità marittima, e, all’estero nei casi di arruolamento e imbarco in un porto straniero, dall’autorità consolare competente3. Questo comporta che al di là dell’effettiva liberalizzazione del collocamento, permane tuttavia l’obbligo delle due parti contraenti – armatore e lavoratore – di sottoscrivere il contratto di fronte a un rappresentante dell’autorità pubblica. Il regime sanzionatorio (art. 12) Vengono adottate le disposizioni sanzionatorie senza modifiche o integrazioni già previste dal decreto legislativo 276 del 2003 per l’esercizio non autorizzato dell’attività di intermediazione

1 Cfr. artt.118-119 del Codice della Navigazione e gli artt.219-223 del Regolamento del Codice della navigazione. 2 Interessante ai fini del nostro ragionamento è quanto previsto all’art.220 c 4 del Regolamento del Codice della navigazione, che però non ci risulta che abbia mai trovato attuazione: “Le norme per il coordinamento del libretto di navigazione con quello di lavoro a terra sono stabilite con decreto del ministro dei trasporti e della navigazione di concerto con quello per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le associazioni sindacali interessate”. 3 Cfr. art. 328 del Codice della Navigazione.

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e per le omissioni da parte dei datori di lavoro nella comunicazione obbligatoria dei movimenti occupazionali. LO SCHEMA COMPLESSIVO DI FUNZIONAMENTO DEL NUOVO COLLOCAMENTO DELLA GENTE DI MARE Ricapitolando l’insieme delle norme introdotte dal nuovo regolamento e sistemandole in uno schema riassuntivo, si ottiene la figura della pagina che segue. A sinistra dello schema c’è la linea che rappresenta l’azione di governo e di indirizzo del Ministero del lavoro. A destra si evidenzia come tra gli uffici delle Capitanerie di porto che concorrono alla gestione del lavoro marittimo, uno – quello del collocamento - venga distaccato funzionalmente alle dipendenze del Ministero del lavoro – mentre restano sotto la competenza del Ministero dei Trasporti l’ufficio Gente di mare che sovrintende alle matricole e che quindi presidia tecnicamente e giuridicamente i titoli, le certificazioni e le qualifiche per potere imbarcare, e l’ufficio Armamento che presiede alla composizione degli equipaggi (le cosiddette “tabelle di armamento”) e alla stpula dei contratti di arruolamento. Cambiano le funzioni amministrative del collocamento, ma non di molto nella sostanza se non si arriverà a integrare tali funzioni dei contenuti di politiche attive del lavoro che hanno i Centri per l’impiego. In ogni caso compaiono nuovi compiti collegati alla gestione della scheda anagrafica che comporta una relazione periodica quantomeno informativa tra l’ufficio e il lavoratore, e alla preselezione dei lavoratori ai fini dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Compito quest’ultimo di cui occorrerà verificare la coerenza con gli attuali strumenti di preselezione come di fatto e in una certa forma è il “turno particolare” di imbarco. Compare infine la funzione del monitoraggio statistico, anche legata alla funzione amministrativa della ricezione da parte delle imprese delle comunicazioni obbligatorie circa i movimenti di imbarco e di sbarco ovvero di avviamento al lavoro e di cessazione. Cambia invece molto la relazione tra imprese e lavoratori, in basso nello schema, che possono incontrarsi senza mediazione, oppure possono servirsi sia dei servizi pubblici presso gli uffici di collocamento sia delle agenzie private, oppure utilizzare la Borsa continua del lavoro marittimo che tutti i soggetti sono impegnati ad alimentare con i rispettivi dati.

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Schema di funzionamento del nuovo collocamento

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Disposizione transitorie e finali (art.14) I lavoratori iscritti nelle matricole della gente di mare devono presentarsi presso l'ufficio di collocamento competente per territorio entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del regolamento per rendere la dichiarazione di disponibilità. La dichiarazione di disponibilità comporta la registrazione del lavoratore nell'elenco anagrafico e la compilazione della scheda professionale. La mancata dichiarazione di disponibilità, senza giustificato motivo, comporta per il lavoratore l'obbligo di riacquisire i certificati di formazione necessari per l'imbarco prima di poter richiedere la registrazione nell'elenco anagrafico. Dall'onere di presentazione sono esentati i lavoratori che alla data di entrata in vigore del regolamento risultano in servizio di navigazione. Questa disposizione ha suscitato allarme nel mondo marittimo per il motivo che il regolamento è entrato in vigore il 28 luglio 2006, per cui il termine dei 180 giorni è scaduto alla fine del mese di gennaio del 2007. Non ci sono state le conseguenze previste della mancata presentazione e dichiarazione di disponibilità, perché l’attuazione del regolamento in realtà è di fatto sospesa in quanto nessuno dei sette decreti previsti per la sua piena e organica attuazione è stato sinora emanato e il loro processo istruttorio e di approvazione è in ogni caso complesso e richiede tempi tecnici non brevi. Circa la possibilità effettiva di richiamare in tempi certi e di necessità brevi tutti i marittimi interessati si riscontra un certo scetticismo nel mondo marittimo. Andando a ritroso nel tempo, a una ventina di anni fa, nel 1989, si trova un precedente appello del Ministero per un censimento generale che a detta di testimoni dell’epoca non avrebbe avuto seguito nonostante che la conseguenza della mancata risposta fosse la cancellazione dai turni72. Un appunto va comunque fatto a questa norma: tra le conseguenze della mancata presentazione e dichiarazione di disponibilità, senza giustificato motivo, entro i termini che andranno ovviamente rideterminati, per il lavoratore marittimo c’è anche l'obbligo di riacquisire i certificati di formazione necessari per l'imbarco prima di poter richiedere la registrazione nell'elenco anagrafico. Appare incomprensibile il motivo per cui il lavoratore dovrebbe riacquisire delle certificazioni che costituiscono una dote essenziale della sua professionalità, di cui può giovarsi peraltro al di fuori del collocamento perché hanno una loro validità a prescindere e che è riconosciuta dalla stessa autorità marittima, e che per lo più gli sono costati anche somme cospicue di denaro per ottenerli presso centri di formazione privati specializzati. In fase di formulazione dei decreti attuativi andrà perciò precisato questo aspetto fornendo ragionevolmente al termine “riacquisire” un’accezione meramente formale e non sostanziale.

72 Decreto 17 luglio 1989 del Ministero della Marina Mercantile “Appello generale dei marittimi iscritti nei turni di imbarco degli uffici di collocamento della gente di mare e negli albi ufficiali e allievi ufficiali disponibili in attesa di imbarco”: “Considerata la necessità di procedere a un censimento al fine di accertare l’effettiva consistenza di personale marittimi disponibile per l’armamento delle unità della flotta mercantile (omissis) i marittimi (omissis) iscritti nei turni generali e particolari (omissis) dovranno confermare la propria disponibilità all’imbarco presentandosi presso l’ufficio di iscrizione o a un autorità marittima entro 20 ottobre , se no saranno cancellati dai turni e dagli albi (omissis)”.

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Capitolo 3 LE QUESTIONI APERTE E I DECRETI ATTUATIVI DA EMANARE Ma il turno particolare, in questo momento di grave disoccupazione, è un lusso che noi italiani non ci possiamo consentire per intiero. Crescenzo Mazza, deputato DC di Torre del Greco (Napoli), discorso alla Commissione Marina mercantile della Camera dei deputati, 26 ottobre 1948.

Si è già accennato in Introduzione alle obiezioni e alle contrarietà che il nuovo Regolamento ha suscitato in molte delle parti del mondo marittimo e come tuttavia il Ministero del Lavoro abbia manifestato la volontà di procedere alla sua applicazione senza tornare indietro né per abrogarlo per tornare al vecchio Regolamento, né per riscriverlo ex novo né per emendarlo. Valga per tutte le risposte che il Ministero ha rivolto alle parti sociali che lo hanno interpellato più o meno formalmente e ufficialmente in questo senso, quella che tempestivamente – era appena il 20 settembre 2006 - il sottosegretario Antonio Montagnino ha dato all’interrogazione che i deputati di Rifondazione comunista–Sinistra europea, Augusto Rocchi e Mario Ricci avevano fatto all’indomani della pubblicazione del DPR il 31 luglio 2006. I due deputati nel chiedere urgentemente il ripristino della normativa precedente, avevano rimarcato i giudizi, che peraltro erano giunti dal mondo dei sindacati confederali già al Governo Berlusconi, circa il fatto che il decreto sanciva una sorta di caporalato che si poneva in antitesi rispetto al superamento del precariato, e che lo stesso insinuava un rapporto di forza impari fra i lavoratori marittimi e la parte amatoriale, che annullava le relazioni sindacali e ogni azione orientata alla tutela dei diritti. La parte armatoriale, secondo gli interroganti, si sarebbe trovata infatti nelle condizioni di scegliere, a propria discrezione, i lavoratori da impiegare nelle unità della flotta e operare una selezione che oltre a tener conto delle qualità professionali del lavoratore avrebbe potuto essere liberamente usata per esercitare pressioni pretestuose sullo stesso. In estrema sintesi, il giudizio era che il decreto infrangeva il sistema vigente di collocamento marittimo che valutava esclusivamente l'anzianità di disoccupazione, unico requisito inconfutabile che spartisce equamente le offerte di lavoro e non è soggetto ad eventuali giudizi tendenziosi73.

73 Le organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL si erano fatte sentire già in fase di elaborazione del decreto: in occasione dello sciopero del 25 novembre 2005, avevano indicato tra i motivi della lotta anche la riforma del collocamento che non offriva sufficienti garanzie ai lavoratori. Un comunicato stampa dei tre sindacati diceva allora che “il progetto approvato dal Consiglio dei ministri è una applicazione poco ragionata della legge Biagi al comparto marittimo con il rischio del rilancio della senseria di vecchia memoria. Dal testo è sparita la figura del raccomandatario”. Su posizioni opposte invece il sindacato autonomo FEDERMAR-CISAL che in un comunicato del 23 aprile 2007 ribadisce il suo giudizio positivo sulla riforma del collocamento della gente di mare, sollecitando il Ministero a metterla quanto prima in attuazione. Per la FEDERMAR-CISAL il nuovo regolamento consentirà finalmente di mettere in ordine e di gestire il mercato del lavoro marittimo, divenuto “un territorio completamente sconosciuto proprio per la mancanza di strumenti in grado di monitorarlo sia sotto il profilo della quantità che della qualità. Non è un caso che la CONFITARMA e gli armatori privati cerchino di ostacolare con tutte le loro forze tale riforma in quanto a loro fa estremamente comodo che il mercato del lavoro marittimo rimanga allo stato attuale, cioè una specie di Far-West, per potere sostenere che in Italia non esistono marittimi disponibili ad imbarcare e quindi avere la possibilità di ricorrere all’impiego dei lavoratori extracomunitari, i quali contrattualmente costano meno”.

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Il Sottosegretario Montagnino aveva risposto inquadrando il nuovo Regolamento nel contesto del processo di generale modernizzazione e unificazione delle discipline dei vari mercati del lavoro, con ciò estendendo anche al lavoro marittimo i principi e le linee guida della riforma generate del collocamento ordinario. Inoltre affermava che all'interno di un processo di tendenziale omologazione la nuova disciplina aveva conservato, per la particolarità del settore, importanti aspetti di specialità, con particolare riguardo agli organismi preposti alla funzione collocativa ed ai requisiti soggettivi richiesti ai lavoratori per l'arruolamento. Se da un lato, si era ritenuto di estendere al settore i principali istituti innovativi su cui si fonda il nuovo collocamento in senso generale (anagrafe, scheda professionale, disponibilità borsa lavoro, assunzioni dirette), dall'altro si era inteso mantenere una gestione separata della funzione collocativa e ribadire la necessità di più stringenti regole di reclutamento. Nel respingere l’accusa di reintrodurre una qualsiasi sorta di «caporalato», il Governo Prodi – che pure non era stato l’autore del DPR - per bocca del suo Sottosegretario Montagnino, concludeva che il superamento del collocamento numerico, come è avvenuto per il collocamento ordinario, significava libero incontro tra domanda e offerta di lavoro e quindi trasparenza del mercato a beneficio sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro. In particolare, si faceva notare come il regolamento, in sintonia con la riforma più complessiva del collocamento ordinario e nel rispetto della delega, prevedesse un iter procedurale più funzionale alla nuova missione del servizio, che non era più quella di gestire burocraticamente turni di imbarco, bensì di favorire il migliore incontro tra domanda e offerta di lavoro mediante azioni positive. Il deputato Rocchi, replicando nella stessa seduta, si era dichiarato insoddisfatto della risposta del Governo, evidenziando come diverse forze politiche e sociali giudicassero dubbia l'effettiva capacità dei processi di liberalizzazione del mercato del lavoro di favorire un soddisfacente incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Inoltre aveva sottolineato come le specificità del lavoro marittimo, fra cui un indubbio squilibrio a favore della parte armatoriale in assenza di adeguate normative a tutela dei lavoratori, avrebbero dovuto indurre ad opportune modifiche del decreto che aveva permesso il superamento di una norma di trasparenza quale l’assunzione del lavoratore in base all'anzianità di disoccupazione. In conclusione il deputato Rocchi ribadiva l'esigenza di adeguate modifiche normative. Sebbene la posizione del Governo apparisse chiara e ferma nel riconoscere la validità non solo normativa ma anche politica del nuovo Regolamento, esso è tuttavia rimasto fermo al palo della sua emanazione in quanto per la sua effettiva entrata in vigore e per l’applicazione delle novità recate occorre emanare una serie di decreti attuativi, tant’è che a un anno dalla sua pubblicazione, vige tuttora nei fatti la normativa del vecchio regolamento abrogato. Va però dato atto che gli uffici del ministero del Lavoro sono impegnati ai massimi livelli delle strutture competenti a raggiungere rapidamente l’obiettivo della sua piena applicazione, in un quadro, se possibile, di ritrovato consenso di tutte le parti sociali e istituzionali. Nell’articolato del DPR231 per sette volte si annuncia uno specifico decreto che dovrà essere emanato per permettere la piena e organica attuazione del nuovo regolamento. Cinque dei decreti dovranno essere emanati dal Ministero del lavoro: da solo o di concerto o su proposta del Ministero dei trasporti e in un caso di concerto anche con il Ministero dell’Innovazione, oltre che d’intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni. Uno dei decreti dovrà essere un Decreto del Presidente della Repubblica su proposta sia del Ministero del Lavoro che dei Trasporti. Un altro su proposta del Ministero dei Trasporti di concerto con il Ministero del Lavoro e dell’Istruzione. Rispetto alle scadenze, quattro dei decreti avrebbero dovuto essere emanati entro 60 giorni dalla pubblicazione del nuovo regolamento, avvenuta il 13 luglio 2006, uno entro 180 giorni, e due infine senza scadenze predeterminate. Il quadro che emerge, riassunto e schematizzato nella figura che segue, è dunque di una vasta e complessa attività di decretazione che avrà nel Ministero del Lavoro il soggetto istituzionale più impegnato, ma che prevede altresì l’iniziativa del Ministero dei Trasporti e in ogni caso

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un’intensa azione di produzione normativa e di confronto tra tutti i ministeri competenti, oltre che con le regioni nell’ambito della Conferenza permanente:

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C’è dunque modo e tempo per intervenire affinché il nuovo regolamento possa, salvaguardando i principi e le finalità a cui non può derogare, soddisfare le istanze delle parti sociali e restituire quegli elementi di specificità che obiettivamente devono caratterizzare il collocamento per una categoria di lavoratori così peculiare. La formulazione dei decreti, per l’ampiezza e l’importanza degli aspetti attuativi che essi dovranno specificare, offre l’opportunità di affrontare le questioni interpretative emerse dopo la pubblicazione del nuovo Regolamento e quelle sollevate dalle parti sociali, per comprenderle e risolverle in un quadro di maggiore chiarezza e di più esteso consenso sindacale e politico. Prima di procedere pertanto ad esaminare i sette decreti da emanare, ricapitoliamo le principali questioni poste dalle parti sociali distinguendo le diverse posizioni che distinguono in particolare il mondo del trasporto da quello della pesca, mentre quello del diporto, anche per i motivi detti nel capitolo sul mercato del lavoro, non hanno ancora una loro formale rappresentanza in seno alla discussione sulla riforma del collocamento della gente di mare. Si è già detto che, se sul piano del metodo la critica delle parti sociali al nuovo Regolamento era parsa unanime, era però emersa nel merito un’importante distinzione tra i rappresentanti del settore del trasporto e quelli della pesca, che ha visto i primi su posizioni di opposizione pressoché intransigente, mentre i secondi hanno manifestato sostanziale favore ai principi e alla finalità della riforma e quindi disponibilità a completarne il processo con i decreti attuativi. Del resto le principali contrarietà e preoccupazioni raccolte hanno riguardato principalmente aspetti del collocamento che interessano i marittimi del trasporto. In particolare, sono state quattro le questioni sollevate a questo riguardo: - l’abrogazione del “turno particolare” (per effetto dell’introduzione del principio dell’abolizione del collocamento obbligatorio e quindi del “turno generale”); - l’indebolimento del ruolo e delle funzioni delle Capitanerie di porto (per effetto del passaggio alle dipendenze funzionali al Ministero del lavoro e della liberalizzazione del collocamento); - la scelta di mantenere, se non addirittura di incrementare, il decentramento amministrativo del collocamento della gente di mare, invece di istituire il “turno generale unico” già previsto dalla legge 30/1998; - l’avvento delle agenzie private di intermediazione (per effetto della fine del monopolio pubblico), l’ambiguità della posizione dei raccomandatari marittimi (per effetto della loro non menzione tra i soggetti autorizzati) e la questione del ruolo degli enti bilaterali. Diverse le posizioni da parte del settore della pesca, per una serie di motivi: perché in primo luogo per esso, per la struttura dello specifico mercato del lavoro, non funzionano i turni né operano i raccomandatari, poi perché le parti sociali sono orientate a rafforzare i collocamenti della gente di mare con servizi all’offerta collegati ai servizi per l’impiego territoriali gestiti dalle province nel quadro dei sistemi regionali del lavoro, e infine perché ad un orizzonte nazionale del mercato del lavoro si preferisce il quadro regionale o provinciale e uno stretto rapporto con l’occupazione e lo sviluppo locale. Alla pesca gli aspetti che interessano tra quelli previsti dal nuovo regolamento sono l’adozione dei principi generali e non più differibili della fine del monopolio pubblico e del collocamento obbligatorio, la valorizzazione del ruolo della bilateralità, la semplificazione dei processi amministrativi a condizione della loro implementazione in un sistema informatico/informativo efficiente (che l’Osservatorio nazionale della Pesca ha peraltro già sperimentato), l’idea della circolarità del mercato del lavoro tra terra e mare e dell’assimilazione del lavoro marittimo nell’ambito delle politiche pubbliche e attive del lavoro e della formazione per l’inserimento lavorativo dei giovani e per l’aggiornamento e la riqualificazione degli adulti.

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1) Decreto che istituisce nell’ambito della Direzione generale del Mercato del lavoro del Ministero del lavoro un apposito “Comitato centrale per il coordinamento del collocamento della gente di mare”. (Decreto del Ministro del Lavoro da adottarsi, di concerto con il Ministro dei Trasporti, ai sensi dell’art.17, c.3 della lege 23 agosto 1988, n.400, e sentita la Conferenza permanente per i rapporto tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento.) Questo è un decreto chiave nel disegno della riforma in quanto il “Comitato centrale” esercita le funzioni di indirizzo, promozione e coordinamento delle politiche dell'impiego nel settore marittimo, con particolare riferimento: - al coordinamento dei servizi di collocamento della gente di mare; - alla cooperazione internazionale e alle attività di prevenzione e studio sulle emergenze occupazionali e sociali; - alla partecipazione all'elaborazione in sede internazionale della normativa di competenza; - alle iniziative di contrasto al lavoro sommerso; - alle azioni rivolte all'integrazione dei sistemi della formazione, della scuola e del lavoro nel settore marittimo; - all’osservatorio del mercato del lavoro marittimo. Nonostante l’ampiezza di competenze e di funzioni assegnate al Comitato, la norma è però molto restrittiva nella previsione della sua composizione, perché indica solamente “una adeguata rappresentanza delle regioni e la partecipazione di un rappresentante del Ministero dell'istruzione, università e ricerca”, con nessun riferimento alle parti sociali o ad altri attori pubblici e privati del mercato del lavoro marittimo. La composizione prevista manca talmente di organicità che si può ritenere implicito che essa dovrà essere compensata in sede di emanazione del decreto di istituzione, quantomeno per recuperare la composizione del “Comitato centrale per il collocamento della gente di mare” previsto dal regolamento del 1992 che aveva rinnovato in chiave consultiva il Comitato istituito nel 1968, prevedendo anche la presenza dei rappresentanti delle associazioni armatoriali e delle associazioni sindacali. È pur vero che i precedenti Comitati centrali non hanno mai funzionato, ma di certo non per la presenza delle parti sociali. Inoltre, la loro esclusione nel nuovo Comitato centrale potrebbe aggravarne la posizione critica che è bene ricordare origina prima che nel merito del provvedimento nel metodo con cui è stato assunto trascurando il confronto con le parti sociali. Sotto il profilo delle rappresentanze istituzionali occorrerà prevedere anche la presenza, oltre che ovviamente del Ministero dei Trasporti e del Corpo delle Capitanerie di porto, anche della Direzione Formazione e Orientamento professionale del Ministero del Lavoro, del Ministero delle Pari Opportunità (il settore marittimo è un settore con presenza femminile assolutamente inadeguata e con notevoli esigenze di “parificazione” delle opportunità occupazionali e delle condizioni di lavoro), del Ministero degli Esteri (quello marittimo è il settore più “globalizzato” in assoluto, anche per il mercato del lavoro) e delle Province (per le competenze in materia di servizi per l’impiego), mentre sotto il profilo delle rappresentanze sociali occorrerà prevedere anche i “Raccomandatari marittimi”, la rappresentanza dei sindacati articolata nel settore della pesca e in quello del trasporto e la presenza della Federazione del mare in rappresentanza dell’intero cluster marittimo. È essenziale invece per raggiungere le finalità della riforma che questo nuovo Comitato centrale operi e che abbia come orizzonte l’ampiezza delle competenze che il regolamento gli assegna. Se costituito tempestivamente (avrebbe dovuto esserlo entro 60 giorni dalla pubblicazione in G.U. del DPR) esso potrebbe assumere il ruolo di cabina di regia che in una prima fase potrà indirizzare la formazione dei decreti attuativi, ricreando quegli equilibri e procurando quel consenso che il regolamento non ha suscitato, puntando nella fase successiva ad assumere il ruolo di sede istituzionale della “governance” del mercato del lavoro marittimo inteso nella sua completezza sostanziale e funzionale, al di là della sua delimitazione amministrativa.

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Sia in sede di decreti attuativi che di organizzazione degli uffici periferici che di definizione delle procedure amministrative, è evidente infatti che occorre avere presente che il mercato del lavoro marittimo si presenta tutt’altro che uniforme: ci sono differenze non solo tra trasporto e pesca e diporto, ma nell’ambito dello stesso trasporto, per esempio tra traffico internazionale e cabotaggio nazionale. Tutte queste componenti configurano in buona sostanza dei sottomercati del lavoro marittimo distinti e separati, con dimensioni geografiche e numeriche molto diverse, e che tuttavia presentano anche elementi di contatto, porte di comunicazione e flussi di circolazione tra gli uni e gli altri. Parimenti ciascuno di essi comunica a sua volta con segmenti di mercati del lavoro a terra. È quest’ultima in particolare la prospettiva in cui si pone la visione “europeista” del lavoro marittimo, non più visto come una occupazione necessariamente per tutto l’arco della vita ma che può riconvertirsi verso settori produttivi “di terra”, ai quali porta in dote l’esperienza e la professionalità acquisita a bordo. Inoltre, va considerato che il collocamento della gente di mare non riguarda sotto il profilo amministrativo i marittimi non comunitari e il personale delle imprese in appalto, sebbene anch’essi compongano gli equipaggi e quindi rientrino nella più generale accezione di mercato del lavoro marittimo. È evidente che di essi occorre avere riguardo in una visione ampia e sostanziale del mercato perché essi sono complementari ai marittimi comunitari, per cui le rispettive dinamiche quantitative e qualitative sono strettamente interdipendenti: gli extracomunitari sostituiscono comunitari, il personale in appalto e privo di libretto di navigazione sostituisce personale dipendente e immatricolato come gente di mare. Per esempio, con riguardo all’internazionalizzazione degli equipaggi, si potranno promuovere politiche per la ottimizzazione di mix di equipaggi in cui lo stato maggiore principalmente italiano sia affiancato da sottoufficiali e marinai principalmente stranieri, nell’ottica di ottimizzare la composizione degli equipaggi nel rispetto delle norme, degli accordi sindacali, delle esigenze di sicurezza della navigazione, del benessere e della qualità di vita a bordo, della produttività del trasporto. Oltre a mirare allo scopo di mantenere una tradizione professionale antica come quella della marineria italiana e incrementare l’occupabilità e l’occupazione dei giovani aspiranti marittimi, ancora presenti soprattutto nel sud Italia dove i tassi di disoccupazione giovanile permangono alti. In questo senso, le politiche della formazione e del lavoro già sperimentate in anni recenti con i servizi per l’impiego costituiscono un riferimento essenziale per avviare una collaborazione finalizzata a offrire a questa visione ampia e organica del mercato del lavoro marittimo una prospettiva moderna e efficace di governo e di gestione. C’è infine un altro aspetto da tenere in considerazione per comporre un quadro esauriente del mercato del lavoro marittimo nazionale e per mirare a una “governance” complessiva dello stesso, a partire dall’osservatorio che ne rilevi l’esatta consistenza quali-quantitativa. Esso riguarda l’altissimo numero di marittimi italiani (si stima pari a circa 10.000), iscritti per lo più nelle matricole della gente di mare, che però lavorano stabilmente o temporaneamente su navi battenti bandiere estere, una parte cospicua delle quali appartenenti ad armatori italiani (per esempio SAIPEM del Gruppo ENI che ha una flotta di una quarantina di unità specializzate nelle attività off-shore). A quest’ultimo proposito basti citare il caso della compagnia MSC (Mediterranean Shipping Company) di proprietà di un armatore italiano, Gianluigi Aponte di Sorrento, che ha una flotta imponente di quasi 350 portacontainer che ne fa la seconda compagnia al mondo in questo tipo di trasporto, e una quarantina in costruzione, e una decina di navi da crociera più un paio in cantiere con cui ha ingaggiato una competizione con Costa Crociere per la supremazia nel mercato crocieristico europeo. Tutte queste navi battono bandiera estera, cosiddetta “di comodo” ma, dalle stime che circolano nella stampa specializzata, dei circa 23.000 dipendenti della MSC nel mondo circa un terzo sarebbero italiani, la maggior parte dei quali marittimi imbarcati di cui il collocamento non ha la competenza amministrativa per registrarne alcuna traccia. Ma vi sono anche coloro che navigano con armatori esteri, e sono per lo più dei comandanti e dei primi ufficiali. In compagnie crocieristiche come Carnival o Silversea o Royal Carribean sono migliaia i componenti italiani dello stato maggiore. Le stesse

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compagnie indicano addirittura nel materiale pubblicitario la presenza di ufficiali italiani negli equipaggi quale marchio di qualità professionale sia dal punto di vista tecnico che relazionale. Come centinaia sono i comandanti e i primi ufficiali a bordo delle navi petroliere delle grandi compagnie internazionali (Chevron, Amoco ecc.). Verso costoro, per esempio, in un logica di politica nazionale del mercato del lavoro marittimo e di sperimentazione di misure rivolte a recuperare le figure di ufficiali italiani alle flotte nazionali, si potrebbero introdurre incentivi finalizzati al ritorno di queste figure al servizio di navi battenti la nostra bandiera. 2) Decreto che definisce la struttura, l'organizzazione degli uffici, la dotazione organica e le modalità di funzionamento degli uffici di collocamento della gente di mare, ubicati presso le autorità marittime ma funzionalmente dipendenti dal Ministero del lavoro in relazione alle finalità previste dal presente regolamento. (Decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi ai sensi dell’art.17, c.1, lett. d) della legge 23 agosto 1988, n.400, su proposta del Ministro del Lavoro e del Ministro dei Trasporti, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento.) Questo è il decreto sicuramente più difficile da elaborare perché presuppone che vi si trovino le soluzioni a tre delle quattro questioni poste dai rappresentanti del trasporto (salvaguardia del turno particolare, dipendenza funzionale delle Capitanerie dal Ministero del Lavoro, grado di decentramento territoriale del collocamento), conciliandole inoltre con le istanze dei rappresentanti della pesca. Oltre al resto, per assicurare un funzionamento efficiente degli uffici e dell’intero sistema nazionale di cui gli uffici sono parte, occorre disporre di un sistema informativo adeguato e operante con tecnologie informatiche e telematiche efficienti. Da questo sistema dipendono altri tre decreti attuativi (anagrafe, comunicazione dell’avvio e della cessazione dei rapporti di lavoro, borsa lavoro) che concorrono per parte loro a determinare il contenuto del lavoro dei nuovi uffici di collocamento della gente di mare. Esaminiamo in primo luogo le prospettive di soluzione delle tre questioni poste dai rappresentanti del trasporto, per poi occuparci della questione del sistema informativo e delle risorse umane. La salvaguardia dei turni particolari Gli istituti di legge dei turni di imbarco, generale e particolare, hanno costituito gli strumenti fondamentali con cui si è gestito (e tuttora si gestisce nelle more dell’applicazione del nuovo regolamento) il collocamento della gente di mare per quanto riguarda i marittimi del trasporto. L’abolizione dei turni in quanto istituti giuridici non comporta l’abolizione degli stessi in quanto istituti contrattuali, previsti tuttora dai CCNL, ma è evidente che ne modifica la natura normativa ne indebolisce oggettivamente il grado di “certezza del diritto”. La certezza, oltre che sulla natura dispositiva della norma di legge, si è fondata sinora anche sull’affidabilità della gestione pubblica dei turni di imbarco, affidata al Corpo delle Capitanerie di porto presso i locali uffici di collocamento della gente di mare. Per comprendere appieno la questione e soprattutto la preoccupazione dei sindacati dei lavoratori occorre tracciare un profilo storico ancorché brevissimo. “Il turno generale”, che opera attraverso il dispositivo delle chiamate pubbliche numeriche sulla base di graduatorie ordinate per anzianità di iscrizione, rappresenta lo strumento che garantendo l’impersonalità (anonimato) degli arruolati, favorisce il massimo di pari opportunità per i marittimi disoccupati e il minimo di discrezionalità degli armatori. Esso ricalca le chiamate numeriche e le liste di disoccupazione che erano previste per il collocamento generale dalla legge 264/1949 e successivamente abolite. Nel caso del lavoro marittimo, però, vigeva un particolare meccanismo di avvicendamento, regolato da accordi sindacali, per consentire una regolata rotazione: il disoccupato in cima alla lista del turno generale sapeva che sarebbe stato imbarcato al posto di un altro marittimo che dopo un periodo convenuto tra le parti sociali, per

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esempio di nove mesi, sarebbe sbarcato, lasciandogli il suo posto e tornando a sua volta a iscriversi in fondo al turno generale in attesa di risalire la lista e di beneficiare nuovamente dell’“avvicendamento” a suo favore. Sulla falsariga dell’evoluzione del collocamento generale, il regolamento del collocamento marittimo del 1992, che pure mirava a codificare l’obbligatorietà del turno generale e della chiamata pubblica a seguito di richiesta numerica da parte degli armatori, aveva però introdotto già ampie deroghe e consentito agli armatori le richieste nominative di imbarco per la gran parte del personale necessario per formare gli equipaggi. Il “turno particolare” è una sorta di regime di favore concesso ai marittimi nell’avviamento al lavoro con un determinato armatore per un successivo imbarco, ma è anche un regime che lascia libertà all’armatore di selezionare i marittimi dal turno generale per riservarli all’arruolamento sulle proprie navi. Si tratta di un istituto che non ha un corrispondente nel collocamento generale. In base ad esso, l’armatore si obbliga ad attivare chiamate di imbarco dal “turno particolare” in cui lui stesso liberamente, e quindi discrezionalmente, ha iscritto dei marittimi disoccupati, presi dal turno generale, per formare l’organico della sua flotta in numero tale da coprire per intero gli equipaggi e i periodi di imbarco sulle sue navi, avvicendando periodicamente e continuativamente i marittimi iscritti. In questo modo i lavoratori godono di una sostanziale stabilità di rapporto con lo stesso armatore e questi ha il vantaggio di arruolare i marittimi che ha fidelizzato nel tempo e che considera parte integrante del suo organico, senza con ciò dovere stipulare contratti di lavoro a tempo indeterminato. Il turno particolare è stato l’espressione di un conflitto storicamente sviluppatosi tra imprese e lavoratori intorno alla facoltà della “libera scelta” sostenuta dagli armatori, ossia la chiamata nominativa rinnovata ad ogni viaggio della nave, senza alcuna garanzia di reimbarco per i marittimi. Un conflitto che si è sviluppato dal secondo dopoguerra in avanti, sino agli anni ’90, passando da fasi drammatiche caratterizzate da atti unilaterali degli armatori che arrivarono ad imporre la “libera scelta” a danno del turno generale, sino a fasi di progressiva negoziazione che hanno portato ad accordi sindacali per regolare la “libera scelta” degli armatori contemperandola con le esigenze di stabilità e continuità del rapporto di lavoro dei marittimi. C’è stato un periodo nel secondo dopoguerra in cui si è cercato di mantenere in equilibrio le esigenze di entrambe le parti, quelle dei sindacati orientati al turno generale, e quelle degli armatori al turno particolare, come è testimoniato da questo intervento del deputato Crescenzo Mazza in una commissione parlamentare nel 1948, da cui è tratta l’epigrafe che sta in cima al capitolo: “Sono stati istituiti i turni particolari d’imbarco. I turni particolari sono i turni che ogni compagnia fa per mettere a bordo delle proprie navi personale tecnico di proprio gradimento. Dal punto di vista logico della economia delle società di navigazioni e della necessità che questo personale sia corrispondente ai bisogni e alle necessità tecniche, è senza dubbio che il turno particolare costituisce la base essenziale per il miglioramento dei servizi. Ma il turno particolare, in questo momento di grave disoccupazione, è un lusso che noi italiani non ci possiamo consentire per intiero. Quindi, io ritengo che mentre per il personale tecnico specializzato sia un assoluto bisogno l’esistenza del turno particolare, viceversa per il personale non specializzato si possa e si debba addivenire ad un modus vivendi, in maniera che i posti vacanti siano coperti in una percentua1e da stabilire dal turno particolare e per i restanti posti dal turno generale, perché, essendo ormai generalizzata un po’ l’esistenza dei turni particolari, succede che i marittimi iscritti al turno generale che hanno la fortuna di navigare sono pochissimi e moltissimi invece sono condannati ad anni di disoccupazione in attesa che 1’avvicendamento li riporti a bordo”1. Il turno particolare era dunque entrato a fare parte degli istituti contrattuali e delle prassi di collocamento da diversi decenni prima del 1992 ed era affidato alla gestione, oltre che delle parti

1 C.Mazza, deputato democristiano di Torre del Greco (Napoli), intervento alla Commissione parlamentare durante la discussione sul bilancio previsionale del Ministero della Marina mercantile, 26 ottobre 1948, in Atti parlamentari, Prima legislatura, Camera dei deputati.

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contrattuali, degli uffici di collocamento delle diverse Capitanerie che funzionavano in maniera autonoma e talora differente gli uni dagli altri. Il regolamento del 1992 fu emanato principalmente per darne una codifica unica a livello nazionale, come è detto nelle premesse: “per dettare una nuova normativa generale sostitutiva delle norme particolari che allora regolavano il funzionamento degli uffici di collocamento”. Per comprendere appieno la tensione sociale e sindacale che la questione dei turni provocava allora e per comprendere quindi anche le parole dell’onorevole Mazza prima citate, occorre ricordare come il mercato del lavoro marittimo registrasse nel secondo dopoguerra una situazione largamente a favore della domanda degli armatori, con un numerosissimo “esercito di riserva” di disoccupati marittimi in attesa di imbarco a comporre una offerta decisamente sovrabbondante1. In questo contesto la tensione era inevitabile e molto forte: da una parte perché il turno generale e la chiamata numerica rappresentavano per la maggior parte dei marittimi disoccupati l’unica speranza di essere imbarcati; dall’altra, perché la libera scelta, magari con lo sbarco a fine viaggio, e i turni particolari come eserciti di riserva “privati”, rappresentavano per gli armatori la maniera per avere mano libera nella gestione del mercato del lavoro. Venendo agli ultimi decenni la situazione è però profondamente cambiata e così è stato per il rapporto tra domanda e offerta, come abbiamo potuto vedere nel capitolo sul mercato del lavoro. Infatti nei posti di lavoro più qualificati, come gli ufficiali, i sottoufficiali e altro personale comunque qualificato, i marittimi italiani disponibili all’imbarco sono pressoché tutti inseriti o con il contratto di continuità del rapporto di lavoro (CRL), equivalente al tempo indeterminato, o nei “turni particolari” dei vari armatori e non ci sono quindi in pratica iscritti nei turni generali. Alle chiamate del turno generale ci si rivolge, o per figure senza qualifica allorché è obbligatorio farlo, o perché ci sono picchi stagionali e non ci si può rivolgere ai marittimi extracomunitari come può accadere ancora nel cabotaggio nazionale, o perché si è obbligati a farlo in maniera convenzionale dalle norme del RI, ma solo per dimostrare che, per esempio, non ci sono ufficiali italiani disponibili e pertanto si é liberi di arruolare ufficiali stranieri. Pur tuttavia ci sono anche sacche di disoccupazione, soprattutto al sud, composte da marittimi all’ingresso del turno generale in attesa di una “stabilizzazione” nei turni particolari e da marittimi che attendono le chiamate per i lavori stagionali (anche se esistono anche dei turni particolari speciali per soddisfare i fabbisogni stagionali, per esempio quelli estivi dei traghetti per le vacanze). Infine c’è lo spostamento dell’asse di reclutamento dei marittimi dall’Italia ai paesi extracomunitari, ormai reso legale in tutto il settore, che è in parte causa e in parte effetto della scarsità di offerta di lavoratori italiani, una situazione ambigua che l’attuale gestione del collocamento non è stato in grado di chiarire e di risolvere. Anche se il regolamento del 1992 non lo indicava esplicitamente la sua emanazione aveva un precedente legislativo essenziale per comprendere il valore del turno particolare allora ed oggi: la legge 10 aprile 1981, n.159 di ratifica da parte dello Stato Italiano della Convenzione n.145 dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) adottata a Ginevra il 29 ottobre 1976 concernente “la continuità dell’occupazione della gente di mare”2. In particolare gli artt.2, 3 e 4 della Convenzione riportata nell’articolato della legge, contengono alcuni elementi essenziali per comprendere la ratio del regolamento del 1992 e in generale la funzione regolatrice del turno particolare:

1 Da una fonte memorialistica si apprende che per esempio nel 1959, all’epoca dello storico “sciopero dei 40 giorni”, c’erano 150.000 marittimi iscritti a fronte di 50.000 posti di lavoro a bordo; cfr.: Giordano Bruschi, La sfida dei marittimi ai padroni del vapore, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2006. 2 La convenzione è stata inserita di recente anche nella “Convenzione consolidata del lavoro marittimo” pubblicata nel 2006 dall’ILO (International Labour Organisation) a Ginevra e che costituisce una sorta di Testo Unico mondiale sulla materia.

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Articolo 2 1. In ogni Stato membro ove esista una attività marittima spetta alla politica nazionale incoraggiare tutti gli ambienti interessati ad assicurare alla gente di mare qualificata, nella misura del possibile, un impiego continuo o regolare e, così facendo, di fornire agli armatori una manodopera stabile e competente. 2. Deve essere compiuto ogni sforzo per assicurare alla gente di mare, sia un minimo di periodi di impiego, che un minimo di reddito o una indennità pecuniaria la cui entità e natura dipenderanno dalla situazione economica e sociale del paese in questione. Articolo 3 1. Fra le misure che permettono di raggiungere gli obiettivi di cui all’articolo 2 della presente convenzione potranno figurare : a. sia dei contratti che degli accordi che prevedano l’impiego continuo o regolare al servizio di una impresa di navigazione o di una società di armatori. b. sia delle disposizioni tendenti ad assicurare la regolarizzazione dell’impiego grazie alla redazione ed alla tenuta di registri per categoria di gente di mare qualificata. Articolo 4 1. Quando la continuità dell’impiego della gente di mare non dipende che dalla redazione e dalla tenuta di registri o di liste, tali registri e tali liste devono comprendere tutte le categorie professionali di gente di mare secondo le modalità che la legislazione o le pratiche nazionali e le convenzioni collettive determineranno. 2. La gente di mare iscritta su di un tale registro o su di una tale lista avrà priorità d’ingaggio per la navigazione. 3. La gente di mare iscritta su di un tale registro o su di una tale lista dovrà tenersi pronta a lavorare secondo le modalità che la legislazione o le pratiche nazionali o le convenzioni collettive determineranno.

Parafrasando per riassumere. La Convenzione impegna gli Stati ad adottare misure per contemperare la continuità e la regolarità del lavoro marittimo qualificato con la disponibilità per gli armatori di manodopera stabile e competente (Art.2). Tali misure possono essere adottate sia nell’ambito dei contratti di lavoro, sia dei regolamenti del collocamento, grazie alla redazione ed alla tenuta di registri per categoria di gente di mare qualificata (Art.3). Tali registri o liste, gestiti secondo modalità determinate da norme o accordi collettivi, consentiranno ai marittimi iscritti la continuità dell’impiego della gente di mare grazie alla priorità di ingaggio (Art.4). Di fronte a questi articoli, il regolamento del 1992 mostra una perfetta coerenza con gli obiettivi della Convenzione. Non sfugge peraltro il fatto che il regolamento del 1992 viene emanato 11 anni dopo la ratifica della Convenzione (1981). Nel frattempo però, nell’ambito del C.C.N.L. del luglio 1981, proprio in attuazione della Convenzione OIL 145, gli armatori in accordo con i sindacati avevano costituito il Fondo Nazionale Marittimi per corrispondere una indennità ai lavoratori nel periodo di disoccupazione che non beneficiano dei trattamento di continuità o di altro compenso. Alla luce di queste considerazioni “storiche”, si comprende come l’abrogazione del turno generale non dovrebbe produrre sostanziali cambiamenti in quanto il ricorso ad esso è divenuto una pratica residuale nelle attuali condizioni del mercato del lavoro. D’altro canto, un elenco anagrafico, a scala nazionale, informatizzato e efficiente, aggiornato in tempo reale con le effettive disponibilità agli imbarchi, offrirà in ogni caso maggiori opportunità di occupazione a coloro che non siano già inseriti nei turni particolari di qualche armatore o che inizino la carriera marittima.

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Molto più complicata è invece la questione del turno particolare, che scompare forzatamente in quanto derivato del turno generale, perché esso non ha alcun corrispondente nel DPR231. Stante tuttavia il comune avviso delle parti sociali circa la necessità di cercare di conservarne almeno la funzione nel rinnovato quadro normativo per i motivi che abbiamo prima argomentato, è prevedibile che i Ministeri dei Trasporti e del Lavoro ai quali compete predisporre il Decreto del Presidente della Repubblica che definisce l'organizzazione e le modalità di funzionamento dei nuovi uffici di collocamento della gente di mare, dovranno escogitare una soluzione che compensi la scomparsa del turno particolare. A questo scopo, affinché il turno particolare non perda l’incardinamento nella norma di legge e non si riduca pertanto a solo istituto contrattuale, potrebbero essere tenuti in considerazione due elementi: 1) la forza della legge 159/1981 di ratifica della Convenzione n.145 dell’OIL sulla continuità dell’occupazione della gente di mare; 2) il ruolo rinnovato, autorevole e non autoritativo, dell’ufficio di collocamento presso la Capitaneria: un ruolo che non sia più di mera gestione bensì di pubblicità e di trasparenza, di garanzia e di arbitrato. A questo fine potrebbe essere destinato un organo che è già previsto nel CCNL ma finora non è mai stato reso funzionante, il “Comitato paritetico di vigilanza dei turni particolari”, presieduto dal Comandante del Porto e composto pariteticamente da membri delle parti firmatarie dei CCNL. Occorrerà pertanto collegare le nuove norme di funzionamento degli uffici di collocamento alle norme contrattuali. La questione dei turni particolari fa emergere un altro aspetto problematico dell’applicazione del nuovo regolamento. Abbiamo detto che oggi i marittimi si iscrivono a loro scelta negli uffici di collocamento, per cui optano per le Capitanerie dove gli armatori hanno istituito i turni particolari delle loro navi. Di conseguenza c’è una concentrazione delle iscrizioni in uffici come Genova, Napoli, Palermo, Venezia ecc. dove hanno sede le compagnie, ma non necessariamente dove vivono i marittimi. Il nuovo regolamento invece obbliga i marittimi a iscriversi nell’ufficio presso il loro domicilio. D’altro canto l’informatizzazione delle anagrafi e il collegamento via internet di tutti gli uffici in un’unica rete nazionale può eliminare qualsiasi problema, perché permetterà sia la gestione dell’incontro tra domanda e offerta da qualsiasi punto e verso qualsiasi punto della rete (il lavoro che dovrà fare la Borsa lavoro) sia la gestione anche remota dei “turni particolari”, fatto salvo che nella Capitaneria dove è istituito il turno di norma si sottoscrive anche il contratto di imbarco in forma pubblica, per cui il marittimo in ogni caso deve poi recarsi fisicamente in quell’ufficio. La dipendenza funzionale degli uffici di collocamento della gente di mare dal Ministero del Lavoro Il Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera è un Corpo della Marina Militare che svolge compiti e funzioni collegate in prevalenza con l'uso del mare per i fini civili e ha già una dipendenza funzionale da vari ministeri che si avvalgono della sua opera: primo fra tutti il Ministero dei Trasporti che ha “ereditato” nel 1994, dal Ministero della Marina mercantile, la maggior parte delle funzioni collegate all'uso del mare per attività connesse con la navigazione commerciale e da diporto e sul cui bilancio gravano le spese di funzionamento del Corpo. Le principali linee di attività del Corpo sono la ricerca e soccorso in mare e la sicurezza della navigazione; la protezione dell’ambiente marino, in rapporto di dipendenza funzionale dal Ministero dell’ambiente; il controllo della pesca marittima, in rapporto di dipendenza funzionale dal Ministero delle politiche agricole; la polizia marittima; l’amministrazione periferica di funzioni statali varie, dalla gestione del lavoro marittimo (registrazioni matricolari, arruolamenti, collocamento, titoli e qualifiche professionali) all’iscrizione del naviglio, alla gestione amministrativa della pesca e del diporto nautico.

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Per quanto riguarda l’attività delle Capitanerie a favore del lavoro marittimo, oltre agli uffici di collocamento, deputati sinora a gestire i turni e a controllare i movimenti di imbarco e sbarco dei marittimi italiani e comunitari sulle navi nazionali, nonché al rilascio dei nulla osta per l’imbarco su navi estere, operano altri tre uffici. Anch’essi sono interessati alla riforma perché proceduralmente collegati a quelli del collocamento, pur non passando alle dipendenze funzionali del Ministero del Lavoro: - l’ufficio Gente di mare che provvede all’iscrizione dei marittimi negli appositi registri matricolari, al rilascio dei titoli professionali marittimi, presso l’ufficio è costituita la commissione medica per l’accertamento dell’idoneità ai servizi della navigazione dei marittimi; - l’ufficio Armamento, che provvede al rilascio dei ruoli equipaggio alle navi mercantili nazionali, a formare le relative tabelle d’armamento, a archiviare i giornali nautici e a espletare le inchieste sommarie sugli infortuni occorsi ai marittimi; inoltre, presso questo ufficio le parti, armatore e marittimo, sottoscrivono i contratti pubblici di arruolamento; - la Direzione marittima, presso cui si tengono le Commissioni di esame per i titoli professionali. Rispetto al passaggio degli uffici di collocamento alle dipendenze funzionali del Ministero del Lavoro il timore è che il cambiamento riduca il grado di controllo del lavoro marittimo. La preoccupazione appare ingiustificata perché non toccando la riforma gli uffici Gente di mare e Armamento, si mantengono in capo al Ministero dei Trasporti le funzioni tecnico-amministrative essenziali per la gestione e il controllo dell’attività di arruolamento, così come peraltro non cambia la forma pubblica del contratto di arruolamento. Certo è che cambiando la logica e i contenuti del funzionamento dell’ufficio di collocamento occorrerà ridefinire sul piano organizzativo i suoi rapporti con gli altri uffici. Gli assi di collaborazione resteranno invece sostanzialmente invariati: con l’ufficio Gente di mare il tema della collaborazione verte principalmente sui requisiti e i contenuti professionali dei lavoratori inseriti nell’anagrafe; con l’ufficio Armamento, sui profili e sui movimenti occupazionali. Si tenga in ogni caso presente che solo le sedi più grandi, come Genova, Napoli e poche altre, hanno uffici di collocamento distinti, oltre che organizzativamente, anche fisicamente dagli altri, mentre in genere, negli stessi locali e con le stesse risorse strumentali e con lo stesso personale si svolge ora la funzione del collocamento, ora quello della gente di mare ora quello dell’armamento. Più in generale, un rapporto di dipendenza funzionale di un ufficio presuppone innanzitutto che le due amministrazioni da cui dipende, da una funzionalmente e dall’altra gerarchicamente, si coordinino per assolvere ai rispettivi ruoli. In questo senso è essenziale il rapporto che si verrà a definire tra i ministeri dei Trasporti e del Lavoro, che peraltro devono elaborare di concerto la proposta del Decreto del Presidente della Repubblica che conterrà il relativo decreto attuativo. Entro un quadro di coordinamento ben definito, nella chiarezza della distinzione dei ruoli ministeriali e delle rispettive competenze direttive, occorrerà poi procedere a definire la struttura dell’ufficio in relazione alle funzioni da svolgere e scrivere le procedure operative in maniera da assicurare uniformità ed efficienza di comportamento a tutta la rete di uffici che saranno istituiti. Al Ministero del Lavoro spetta mettere in grado le strutture di funzionare fornendo le risorse strumentali e formando le risorse umane. Sotto questo profilo esiste un problema di risorse finanziarie, nel senso che per l’attuazione del nuovo regolamento si dovrà provvedere nell’ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio e con le dotazioni umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Che vuole dire che non ci sono risorse aggiuntive, né professionali, né strumentali, né economiche. Anzi, il nuovo regolamento ha abrogato anche quel gettito di denaro da parte degli armatori che sin dal regolamento del 1925 andava agli uffici per ogni imbarco eseguito e che nel caso degli uffici più grandi costituiva un fondo autonomo utile per le spese di funzionamento. Se però si vuole rendere la riforma operante e efficiente, occorre ammettere che questo comporta

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investimenti in attrezzature e spese in risorse professionali, oltre che in formazione degli addetti e in pubblicizzazione delle nuove norme e delle nuove strutture. Per cui, se non si vuole tradire la promessa di rinnovamento, il Ministero del Lavoro dovrà ovviare con fondi già esistenti a favore dell’occupazione e dei servizi per l’impiego in generale. Su questa linea ci sono segnali positivi per soccorrere sotto il profilo economico e funzionale i nuovi uffici di collocamento della gente di mare. Il Ministero del Lavoro infatti, anche in virtù dello stretto rapporto di collaborazione che si è instaurato con l’Unione Province Italiane, intende promuovere una alleanza istituzionale e operativa delle Capitanerie di porto con i servizi per l’impiego provinciali, ai quali compete la gestione territoriale pubblica del mercato del lavoro in generale. L’iniziativa trova una sua perfetta coerenza nel fatto che le nuove funzioni e relativi compiti assegnati agli uffici di collocamento della gente di mare riformati sono omologhi a quelli previsti per i Centri per l’impiego gestiti dalle Province: - l’anagrafe dei lavoratori marittimi nasce come sezione speciale dell’elenco anagrafico gestito dai Centri per l’impiego; - la Borsa lavoro del lavoro marittimo è anch’essa una sezione speciale della Borsa Continua nazionale del Lavoro a cui i Centri per l’impiego concorrono; - inoltre la permanenza nella condizione di disoccupazione del marittimo e la sua dichiarazione di disponibilità dovranno essere verificate sulla base di colloqui periodici da parte degli uffici di collocamento della gente di mare, analoghi ai colloqui che si fanno nei Centri per l’impiego con personale dedicato, mentre gli uffici presso le autorità marittime non dispongono di tali figure; - infine, dovrà essere fatta un’attività di preselezione e incontro tra domanda e offerta di lavoro, analoga a quella che si fa nei Centri per l’impiego con personale dedicato, mentre anche in questo caso gli uffici presso le autorità marittime non dispongono di tali figure. La riforma porterà dunque alla fine della separazione che c’è sempre stata tra i “due” collocamenti, quello di terra e quello di mare, aprendo prospettive non solo di circolarità amministrativa e statistica dei dati dell’uno con quelli dell’altro, ma anche di coordinamento e integrazione delle rispettive funzioni di promozione del lavoro. Alla luce di queste considerazioni, nell’ambito dei finanziamenti ministeriali destinati alle Province per lo svolgimento delle funzioni in materia di servizi per l’impiego, il Ministero del Lavoro sta lavorando a una proposta concertata con l’UPI e con le Regioni di indirizzare una quota di finanziamento per costruire e mantenere un sistema di rapporti funzionali, su base provinciale, tra gli uffici di collocamento della gente di mare e i Centri per l’impiego di quei territori provinciali che sono sedi di autorità marittime1. La cornice può essere fornita da una Convenzione-quadro da sottoscrivere tra Ministero del lavoro, Unione Province Italiane, Ministero dei Trasporti e Corpo generale delle Capitanerie di porto, in cui le Province si rendono disponibili a stipulare convenzioni con gli Uffici di collocamento della gente di mare presenti sul loro territorio sulla base delle seguenti reciproche convenienze: - i Centri per l’impiego provinciali e gli Uffici di collocamento della gente di mare potranno condividere banche dati, servizi, progetti e iniziative; - i Centri per l’impiego, in particolare, potranno mettere a disposizione degli uffici marittimi le competenze e l’esperienza pluriennale in materia di gestione di moderni servizi per l’impiego, ottenendo in cambio l’accesso alla conoscenza del mercato del lavoro marittimo oggi per essi

1 Nella Finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006, n.296), all’art.1 c. 1165, è previsto un finanziamento a favore delle province di euro 27.000.000 per l'anno 2007 e di euro 51.645.690 per l'anno 2008 a valere sul Fondo per l'occupazione, per le finalità di cui all'articolo 117, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388: “al fine di potenziare lo sviluppo dei servizi per l'impiego assicurando l’esercizio delle funzioni esplicitate nell’Accordo in materia di standard minimi di funzionamento dei servizi per l'impiego tra il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, le regioni, le province, le province autonome, i comuni e le comunità montane sancito il 16 dicembre 1999 dalla Conferenza unificata”.

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sconosciuto e tuttavia comunicante con quello generale, oltre che passibile di interessanti sviluppi proprio nel senso dell’integrazione e della circolarità dei rispettivi percorsi professionali. La collaborazione potrà fare emergere e contribuire a governare in modo unitario quelle aree del mercato del lavoro in cui gli stessi lavoratori circolano, anche stagionalmente, ora con l’identità della gente di mare ora con quella del lavoratore ordinario, oppure quelle aree professionali a terra in cui possono pensare di proseguire la loro carriera marittimi che non intendano più lavorare a bordo. A questo proposito va ricordato come una delle principali raccomandazioni dell’Unione Europea, per combattere l’abbandono delle professioni marittime e riportare i giovani comunitari a bordo delle navi mercantili e da pesca, riguarda la promozione di alternative lavorative a terra durante o alla fine della carriera a bordo, in cui valorizzare l’esperienza professionale acquisita durante i periodi di imbarco. - a livello istituzionale, infine, si potrà rafforzare il rapporto tra la Provincia e il Comando del Porto locale, oggi oggettivamente debole per la distanza delle rispettive competenze. Le Province potranno portare a favore di questo rapporto anche una parte delle risorse che esse ricevono dal Ministero del lavoro, o anche dalle Regioni sotto forma di Fondo Sociale Europeo, o dal proprio bilancio, offrendo strutture, strumentazioni e risorse professionali sulla base di intenti e obiettivi comuni e concordati, stipulando convenzioni organizzative e operative con le rispettive autorità marittime. Centralizzazione o decentramento Considerati i numeri del mercato del lavoro marittimo, che abbiamo provato ad approssimare, se rapportati a quelli con cui normalmente operano i Centri per l’impiego, essi appaiono obiettivamente risibili. Si consideri anche che la gran parte dei marittimi, seppure non abbiano contratti a tempo indeterminato, sono inquadrati di fatto in un regime di pseudocontinuità (i cosiddetti turni particolari) che consente loro di attraversare solo formalmente lo stato di disoccupazione tra un imbarco e un altro, senza cioè avere nel frattempo necessità di colloqui di accertamento e di orientamento. Inoltre i marittimi sono distribuiti in maniera abbastanza disomogenea e concentrati in alcuni territori, mentre in altri rappresentano gruppi molto piccoli che richiedono quindi un’operatività molto ridotta e probabilmente non quotidiana. L’attività dei nuovi uffici potrebbe dunque essere concentrata in uno sportello abbastanza semplice, dotato di una apparecchiatura informatica con cui gestire localmente l’anagrafe e i movimenti da e verso lo stato occupazionale (imbarchi e sbarchi) dei marittimi iscritti, apparecchiatura che servirà anche a connettersi remotamente con la rete degli altri uffici sparsi in Italia per scambiare dati in funzione statistica e di ricerca di personale a seguito di richieste da parte delle imprese. A fianco di questa attività di sportello informatizzato, si affiancherà l’attività di accertamento della disoccupazione, dei colloqui informativi e orientativi, e di programmazione e realizzazione di iniziative di comunicazione all’esterno. Pertanto è indispensabile che ci si doti di un adeguato sistema informatico che oggi manca del tutto, che permetta anche l’interoperabilità e la condivisione degli archivi con gli altri sistemi informativi funzionalmente connessi. La legge 30 del 1998 aveva previsto l’istituzione di un “Turno generale unico di collocamento della gente di mare”, che presupponeva necessariamente l’adozione di un sistema informatico adeguato per la gestione di archivi unificati a scala nazionale e l’interoperabilità per via telematica degli uffici periferici. A questo scopo, nell’estate del 2005 finalmente, il Ministero dei Trasporti ha bandito una gara per l’“informatizzazione della gestione della gente di mare”, un appalto che prevede la realizzazione di un sistema per la gestione dei dati dei marittimi, denominato “SIGEMAR”, finalizzato al funzionamento dell’Osservatorio del lavoro marittimo e all’istituzione del Turno generale unico di collocamento della Gente di mare, di cui all’art.9-ter della legge 30/1998. L’appalto è stato successivamente affidato e pertanto costituisce una risorsa già finanziata, per cui è lecito pensare che esso potrà risolvere la cronica mancanza e completezza di dati sul lavoro marittimo, oltre che essere messo

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al servizio della gestione del nuovo collocamento riformato1. In questo contesto può trovare posto anche la Borsa continua nazionale del lavoro marittimo, prevista dalla riforma, che potrebbe assolvere in maniera rinnovata alla funzione che ci si attendeva dal turno generale unico a livello nazionale. C’è inoltre la questione che il modello del collocamento fortemente decentrato e collegato ai territori e ai contesti economico-sociali locali, introdotto dal nuovo regolamento, male si addice, a detta delle parti del trasporto, al mercato del lavoro marittimo. Queste ultime invece attendono dal 1998 l’attuazione di quel collocamento unico nazionale che almeno per il segmento del traffico e della pesca internazionale, e probabilmente del diporto, appare la soluzione più razionale considerato che la domanda degli armatori è unificabile a livello nazionale e non guarda ad una particolare localizzazione dell’offerta. Diverso è invece il discorso del cabotaggio, quello interno in particolare, e – come abbiamo già detto in precedenza - della pesca costiera o mediterranea, dove il rapporto tra porto di imbarco e territorio sede del porto dove reclutare il personale ha una tradizione e mantiene un significato. Anche in relazione alla stagionalità di certe linee di navigazione e ai picchi di traffico che si determinano. Alla relazione con il territorio si ricollega anche la questione dei fenomeni di circolarità tra lavoro marittimo e lavoro non marittimo che interessa una parte di lavoratori impegnati o nel cabotaggio interno o nella pesca costiera o nel diporto locale. Per fare fronte a questa circolarità, come per la promozione del lavoro marittimo tra i giovani e tra le donne, e per tenere assieme tutte le componenti del mercato del lavoro marittimo, anche quelle fuori della giurisdizione della gente di mare e del suo collocamento, ossia i lavoratori delle imprese appaltatrici e gli stranieri, il raccordo con i servizi per l’impiego appare non solo una necessità ma anche un grande opportunità. D’altro canto la concentrazione geografica dei lavoratori è molto marcata, come abbiamo visto analizzando l’offerta, e ciò fa pensare ad un sistema che può selezionare e dimensionare con buona precisione le proprie strutture territoriali. Oggi sono operanti 28 uffici di collocamento della gente di mare (la riforma prevede che tutti questi inizialmente si trasformino nei nuovi uffici), distribuiti in 24 province: Ancona, Augusta (SR), Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Civitavecchia (RM), Crotone, Gela (CL), Genova, La Maddalena (SS), La Spezia, Livorno, Mazara del Vallo (TP), Messina, Molfetta (BA), Napoli, Palermo, Porto Empedocle (AG), Portoferraio (LI), Porto Torres (SS), Ravenna, Reggio Calabria, Savona, Taranto, Trapani, Trieste, Venezia. Il nuovo regolamento, che prescrive che i marittimi si iscrivano nell’ufficio nel cui territorio di competenza il marittimo ha il suo domicilio, sposta il criterio di individuazione delle sedi dalla presenza della localizzazione della domanda di lavoro da parte degli armatori, alla localizzazione dell’offerta di lavoro da parte dei marittimi. Localizzazioni della domanda e dell’offerta che coincidono poco nel trasporto marittimo, di più invece nella pesca. In questo senso, si può ipotizzare di estendere la presenza degli uffici di collocamento della gente di mare dalle attuali 24 province, per avvicinare maggiormente gli uffici ai lavoratori. Secondo una logica di decentramento amministrativo che avrebbe i suoi costi, che potrebbero però venire affrontati dalle Province in quanto interessate ad avere un ufficio di collocamento della gente di mare sul loro territorio, e potrebbero venire perciò compensati dall’arricchimento di servizi. Vediamo come e dove. Ci sono 17 Capitanerie poste in altrettante Province di mare (Imperia, Marina di

1 È prevista, anche, l’informatizzazione del libretto di navigazione su carta elettronica e la gestione del documento identificativo. Allo stato attuale, espletate le procedure di gara, è stato stipulato un protocollo d’intesa con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali per acquisire il software sviluppato da tale amministrazione, per la gestione dei pescatori (particolare categoria di marittimi) ed estenderne le funzionalità per soddisfare le esigenze di entrambe le Amministrazioni. Il progetto prevede, anche, il popolamento (tramite data entry) della banca dati con le informazioni esistenti in tutti gli Uffici di collocamento della Gente di mare (fonte CNIPA - Piano triennale per l’informatica della Pubblica Amministrazione 2007-2009. Il progetto ha durata triennale, per un valore complessivo di 1.200.000 euro, di cui però la prima tranche 2007 di 200.000 euro non risulta coperta da finanziamento).

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Carrara (MS), Viareggio (LU), Gaeta (LT), Salerno, Vibo Valentia, Pozzallo (RG), Siracusa, Oristano, Gallipoli (LE), Manfredonia (FG), Termoli (CB), Ortona (CH), San Benedetto del Tronto (AP), Pesaro, Rimini, Monfalcone (GO)) attualmente prive di ufficio di collocamento della gente di mare, che potrebbero con la riforma essere dotate di questo ufficio in favore dei marittimi che vi abitano (a Foggia sono circa 2000, a Siracusa e Ragusa circa 1500, a Lecce circa 1200, a Vibo circa 900 ecc.) o di coloro tra i giovani che potrebbero essere interessati lavorare sul mare. Resterebbero fuori e prive di ufficio di collocamento della gente di mare, ancora 13 Province di mare, che pure hanno sul loro territorio delle sedi di autorità marittima (Marina di Pisa (PI), Porto S.Stefano (GR), Montalto di Castro o Porto Clementino (VT), Soverato (CZ), Mondragone o Castel Volturno (CE), Cetraro o Corigliano Calabro (CS), Arbatax o Bosa (NU), Giulianova (TE), Civitanova Marche (MC), Cesenatico (FO), Porto Garibaldi (FE), Porto Levante (RO), Porto Nogaro (UD)), ma di rango inferiore delle Capitanerie di porto: Uffici circondariali marittimi o Delegazioni di Spiaggia. Tuttavia, se anche queste Province volessero con l’occasione aprire una finestra di interesse verso il lavoro marittimo, di intesa con le autorità marittime potrebbero avanzare una loro candidatura (per esempio, a Ferrara sono più di 1700 i marittimi residenti, a Teramo più di 1100, a Nuoro e Macerata più di 500, a Forlì e Udine più di 400 ecc.) e aprire un piccolo ufficio di collocamento della gente di mare, anche se più orientato più a promuovere il lavoro marittimo tra i giovani in quel territorio che a gestirlo amministrativamente. 3) Decreto che determina i requisiti e le modalità del rilascio dell’autorizzazione per svolgere attività di intermediazione per il collocamento della gente di mare alle agenzie per il lavoro di cui all’art.4 del DLvo 10 settembre 2003, n.276. (Decreto del Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministro dei Trasporti.) Il decreto per l’autorizzazione delle agenzie private risulta ugualmente complesso. Esse sono definite all’4 del DLvo 10 settembre 2003, n.276, che è il decreto attuativo della legge delega 30/2003 di riforma del mercato del lavoro che definisce 5 tipi di agenzie a seconda dell’attività svolta: 1. somministrazione (già nota come “lavoro temporaneo” o “interinale”), 2. somministrazione a tempo indeterminato (nota anche come “staff leasing”), 3. intermediazione, 4. ricerca e selezione del personale, 5. ricollocazione (nota anche come “outplacement”). Per tutti è stabilito un unico regime di autorizzazione, che fa capo ad un apposito albo nazionale informatico istituito presso il Ministero del lavoro, articolato in altrettante sezioni. Il decreto stabilisce i requisiti generali per l’iscrizione all’albo, che riguardano: - il profilo giuridico della società di gestione dell’agenzia: società di capitali o cooperativa o consorzio di cooperative, - la sede: nel territorio italiano o comunitario, - la logistica delle sedi: in idonei locali, - la professionalità degli addetti: con adeguate competenze, dimostrabili per titoli o per specifiche esperienze nel settore delle risorse umane o nelle relazioni industriali - l’adozione di distinte divisioni operative per i soggetti polifunzionali, gestite con strumenti di contabilità analitica - il rispetto delle disposizioni sulla tutela dei diritti dei lavoratori in relazione alla diffusione dei propri dati, - l’assenza di condanne penali per gli amministratori e dirigenti, - l’interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro, - l’impegno all’invio alle autorità competenti delle informazioni rilevanti per il mercato del lavoro.

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Per ciascun tipo di agenzia sono poi indicati dei requisiti specifici. L’iscrizione all’Albo come agenzia di somministrazione comporta automaticamente anche l’iscrizione come agenzia di intermediazione, di ricerca e selezione del personale e di ricollocazione professionale. Il DPR231 per quanto concerne il collocamento della gente di mare si riferisce alle sole agenzie di intermediazione. Che significa una attività assolutamente diversa dalla somministrazione o lavoro interinale, prospettiva quest’ultima che in una prima interpretazione sommaria e errata del DPR aveva fortemente allarmato i sindacati dei lavoratori1. L’intermediazione, così come è definita nel DLvo276/2003, consiste nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro, rivolta anche a persone disabili e lavoratori svantaggiati e viene realizzata mediante: - raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori, - preselezione e costituzione di una banca dati, - promozione e gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, - effettuazione su richiesta del committente di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito dell’attività di intermediazione, - orientamento professionale, - progettazione e erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo. I requisiti specifici previsti per le agenzie di intermediazione sono i seguenti: - l’acquisizione di un capitale versato non inferiore a 50.000 euro, - la garanzia che l’attività interessi un ambito distributivo sull’intero territorio nazionale e comunque non inferiore a 4 regioni; - l’indicazione dell’attività di intermediazione come oggetto sociale prevalente, anche se non esclusivo. Con decreto del 5 maggio 2004, il Ministero del lavoro ha ulteriormente specificato i requisiti per l’autorizzazione delle agenzie di intermediazione per quanto riguarda il personale, le sedi di lavoro, la pubblicità e la trasparenza circa il gestore e la gestione. Da queste note emerge un quadro sufficientemente chiaro circa le agenzie alle quali il DPR231 consente l’autorizzazione a svolgere le funzioni di intermediazione nel mercato del lavoro marittimo. Il decreto attuativo dovrà servire a determinare i requisiti e le modalità del rilascio di questa specifica autorizzazione. Essi tuttavia non si discosteranno molto dai requisiti già stabiliti per l’intermediazione nel mercato del lavoro in generale, anzi, semmai dovrebbero essere più semplici: come nel caso del requisito delle 4 sedi in altrettante regioni, visto e considerato che il lavoro marittimo riguarda solo una parte del territorio nazionale, per cui quel parametro potrebbe essere essere riproporzionato e quindi ridotto. Sulla base di questi presupposti, che cosa succederà? Scenderanno in campo le agenzie? Si aprirà effettivamente un mercato del lavoro privato, a parte il fatto che il lavoro marittimo ha già delle agenzie private nei Raccomandatari marittimi, regolati da una legge propria? La risposta a queste domande va ricercata nell’analisi delle potenzialità del mercato, ossia nella verifica se esista una sufficiente mole di attività di incontro tra domanda e offerta che giustifichi l’entrata in campo di nuovi soggetti privati, i loro investimenti, le previsioni di utili. Considerato anche che alle agenzie sarebbe vietata l’intermediazione di marittimi stranieri su navi italiane e di marittimi italiani su navi straniere, che la legge riserva ai Raccomandatari. Sotto questo profilo assai ristretto, i numeri in gioco (alcune decine di migliaia di arruolamenti all’anno in tutta Italia), la relativa autonomia dei marittimi nel trovarsi l’imbarco da soli (basti pensare ai turni particolari che già legano in modo stabile marittimo e compagnia di navigazione) o dei pescatori nel recarsi direttamente sui moli a trattare l’imbarco con gli armatori dei pescherecci, la persistenza di forti reti parentali e amicali soprattutto nei porti di più alta tradizione marinara al sud a cui ci si affida per trovare il lavoro a bordo, tutti questi motivi già bastano a ipotizzare che le possibilità di intermediazione commerciale che offre il mercato e

1 I punti nel DPR in cui si parla esplicitamente di “intermediazione” sono all’art.2 c.1 lett.i) e all’art.3 c.1 lett. d).

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che non siano già gestite dai Raccomandatari sono minime e non giustificano probabilmente il rischio di impresa di chi voglia avviare ex novo l’agenzia. Inoltre, l’attività di intermediazione è oggi polarizzata in pochissimi porti, dove si concentra la domanda degli armatori (nella forma attuale della istituzione dei “turni particolari”), ma di riflesso anche l’offerta dei lavoratori marittimi, aggregata negli stessi porti e iscritta negli stessi turni particolari. Sulla base di una stima corrente circa il 40% del personale italiano che imbarca su navi italiane, ossia del target del collocamento della gente di mare, transita attualmente attraverso un raccomandatario marittimo. I raccomandatari operanti attualmente in Italia nell’intermediazione del personale marittimo sono una quindicina, distribuiti per 1/3 a Genova, 1/3 a Napoli, e l’altro terzo tra Trieste, Venezia e qualche altro porto. Diverso può essere il caso delle agenzie già autorizzate per il mercato del lavoro in generale che potrebbero, estendendo semplicemente l’autorizzazione, cimentarsi in questo mercato, magari acquisendo anche l’abilitazione da Raccomandatario. Tuttavia si tratta di un mestiere molto specializzato, che abbisogna di un know-how consolidato, che difficilmente può essere improvvisato con profitto, per cui prevale lo scetticismo rispetto alla prospettiva che l’apertura alle agenzie dia luogo ad una loro effettiva entrata sulla scena del mercato del lavoro marittimo. Saranno invece certamente i Raccomandatari a convergere verso il modello dell’agenzia attraverso i criteri di autorizzazione e l’inserimento nell’albo informatico nazionale e a occupare il ruolo dell’intermediazione privata che peraltro già svolgono efficacemente. A questo scopo, per raggiungere una opportuna coerenza tra il nuovo regolamento e la disciplina dei raccomandatari, occorrerà che nel decreto che determina i requisiti e le modalità del rilascio alle agenzie per il lavoro dell’autorizzazione per il collocamento della gente di mare, si introduca un articolo di raccordo tra l’una e l’altra normativa. Tale articolo dovrebbe prevedere la possibilità per i raccomandatari di essere iscritti nell’albo nazionale informatico delle agenzie di intermediazione. Essi possiedono già la gran parte dei requisiti generali. I raccomandatari infatti per ottenere l’abilitazione professionale hanno sostenuto un esame pubblico sulla base dei seguenti requisiti, analoghi a quelli previsti dal D.Lgs.276/2003: a) godimento del pieno esercizio dei diritti civili; b) conseguimento del diploma di scuola media superiore; c) residenza nella località in cui si intende svolgere l'attività del raccomandatario; d) non avere subito condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, contro l'amministrazione della giustizia, contro la fede pubblica, contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio e contro il patrimonio, per contrabbando oppure per ogni altro delitto non colposo, per il quale la legge commini la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per reati in materia valutaria per i quali la legge commini la pena della reclusione; e) non trovarsi in stato di fallimento; f) avere svolto almeno due anni di tirocinio professionale; g) sostenere un esame orale davanti a una commissione pubblica. Tale esame tende ad accertare la conoscenza degli usuali documenti del commercio marittimo, delle cognizioni giuridiche attinenti all'esercizio della professione nonché della lingua inglese. A questi requisiti già posseduti, nelle stesse disposizioni di raccordo si può aggiungere a carico dei raccomandatari l’impegno a possedere alcuni requisiti logistici e professionali generali e l’obbligo di interconnessione alla borsa nazionale del lavoro marittimo e di invio alle autorità competenti delle informazioni rilevanti per il mercato del lavoro. Per quanto riguarda i requisiti specifici, inoltre, potrebbero essere estesi ai raccomandatari quello relativo al capitale sociale e all’oggetto sociale prevalente, che sono compatibili con le strutture societarie dei raccomandatari. Dovrebbe invece essere omesso il requisito relativo alla disponibilità di unità organizzative in 4 regioni per i seguenti motivi: - il mercato del lavoro marittimo non interessa omogeneamente tutto il territorio nazionale;

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- è un mercato in cui la domanda è molto concentrata: nel caso del trasporto essa tende ad aggregarsi a livello nazionale, nel caso della pesca è più distribuita a carattere locale, ma pur sempre presso pochi porti; - l’offerta è più distribuita geograficamente ma pur sempre in un numero limitato di regioni e province; - le agenzie private, per logica di mercato, si localizzano in prossimità della domanda di lavoro, diversamente dalle agenzie pubbliche che si distribuiscono in prossimità dell’offerta. Un ulteriore raccordo va fatto con riguardo all’attività di vigilanza, che nel caso delle agenzie di lavoro è affidata al Ministero del lavoro e nel caso della professione di raccomandatario marittimo invece è affidata al Ministero dei trasporti. I Raccomandatari marittimi Quello che ha sconcertato le parti sociali, come già detto, è che il legislatore abbia omesso di comprendere nel nuovo regolamento i Raccomandatari marittimi, quantunque nelle premesse del DPR ci sia un richiamo esplicito alla legge 135 del 1977 che ne regola l’attività e d’altro canto questa stessa legge non sia stata inserita tra le norme abrogate, mentre sono state previste le agenzie, soggetti non regolati in origine per il lavoro marittimo1. Lo spettro delle agenzie, interpretate dai sindacati come cavalli di troia per introdurre nel lavoro marittimo il contratto di somministrazione (o interinale) e il combinato “fatale” della sparizione contestuale del turno particolare, unitamente all’indebolimento del ruolo di gestione e controllo pubblico delle Capitanerie, hanno accresciuto enormemente l’allarme per la sorte dei Raccomandatari nel nuovo collocamento. Per comprendere un tale allarme occorre conoscere un episodio tragico di storia della nostra marineria. Il 17 febbraio 1974 la motonave “Seagull”, una vecchia imbarcazione del 1947 di proprietà di armatori “ombra” italiani battente bandiera liberiana, naufragò nel canale di Sicilia a sette miglia da Licata, inabissandosi con trenta uomini di equipaggio, tra cui alcuni ufficiali europei, di cui due italiani, il resto dell’equipaggio composto da giovani africani. La nave, una fatiscente “carretta” acquistata per 100 milioni di lire e assicurata per 450 milioni, proveniva da Casablanca carica di fosfato ed era diretta ad Augusta dove doveva arrivare la notte stessa del giorno del naufragio. Nel pomeriggio fu investita da una tempesta che l’affondò. Per dieci giorni nessuno la cercò, né gli armatori che – come poi risultò - avevano più convenienza economica al naufragio che al recupero della nave alla deriva, visto il premio di assicurazione, né la Capitaneria di porto che gli armatori non avevano avvertito. Quando iniziarono le ricerche, il 27 febbraio, fu ritrovata solo la salma di un marinaio che, secondo i medici legali, era vissuto almeno 4 giorni su uno zatterino in attesa di aiuto. Probabilmente molti altri subirono la stessa sorte. La società armatoriale, camuffata dietro la veste di agenti marittimi, cercò di liquidare l'accaduto indennizzando i familiari degli scomparsi, i quali invece, guidati dalla vedova del marconista della “Seagull”, la signora Raina Junakovic di nazionalità bulgara, ricorsero alla Magistratura denunciando l'omissione di soccorso e la mancata assicurazione previdenziale dell'equipaggio, ottenendo alla fine la condanna dei proprietari della nave e il risarcimento economico per “naufragio colposo e omicidio colposo plurimo, con l’aggravante dell’omissione di soccorso”. Il fatto, grazie alla stampa, divenne di rilevanza nazionale, al punto che fu costituito un Comitato Nazionale “Seagull” per la salvaguardia della vita umana in mare. Su iniziativa del comitato furono modificati alcuni articoli del Codice di Navigazione e nel 1977 fu varata la legge 135 per la responsabilità civile e penale degli agenti marittimi raccomandatari quando ingaggiano personale per navi estere. Per questo, la 135 e la professione dei Raccomandatari marittimi da essa disciplinata hanno un riguardo particolare nel mondo marittimo, non solo dal lato commerciale dei servizi che essi prestano, ma anche della tutela che

1 Legge 4 aprile 1977, n. 135 Disciplina della professione di raccomandatario marittimo.

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essi assicurano ai marittimi, italiani o stranieri, imbarcati su navi di nazionalità diversa da quella del lavoratore1. Quella legge infatti è stata la prima al mondo che, per eliminare ogni raggiro, attribuisce piena responsabilità penale e civile (compreso l’obbligo di garanzie bancarie per stipendi, previdenza, assicurazioni, che prima non c’erano) agli agenti marittimi raccomandatari che ingaggiano equipaggi italiani o stranieri. A norma della legge 135, il raccomandatario marittimo è colui che svolge attività di raccomandazione di navi, ossia di rappresentanza dell’armatore fuori della sua sede, quali l’assistenza al comandante nei confronti delle autorità locali o dei terzi, la ricezione o consegna delle merci, le operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri, l’acquisizione di noli, la conclusione di contratti di trasporto per merci e passeggeri con rilascio dei relativi documenti, nonché qualsiasi altra analoga attività per la tutela degli interessi a lui affidati, compreso l’ingaggio di lavoratori italiani o stranieri per imbarco. Il raccomandatario, per esempio, prima della partenza della nave straniera dal porto in cui egli opera, deve ottenere, dal suo mandante-armatore, la disponibilità nel territorio italiano della somma in valuta sufficiente a garantire l'adempimento delle obbligazioni assunte suo tramite in occasione dell'approdo della nave nel porto stesso. In particolare, nel caso dell’ingaggio di lavoratori il raccomandatario è tenuto ad accertare e attestare prima dell'imbarco alle locali autorità marittime, sotto la sua responsabilità, che i lavoratori siano stati assicurati, per il previsto periodo di imbarco, contro l'invalidità e la vecchiaia, presso il fondo di previdenza marinara e contro le malattie e gli infortuni presso enti o società di assicurazione, italiani o stranieri, che garantiscano una tutela assicurativa non inferiore a quella obbligatoria secondo la legge italiana. Inoltre il raccomandatario, prima dell'ingaggio, deve fornire alla Capitaneria di porto la prova che l'armatore ha prestato una idonea garanzia bancaria o assicurativa per il pagamento degli stipendi dei marittimi relativi al previsto periodo di imbarco. L'imbarco dei predetti lavoratori è subordinato al rilascio di apposito nulla-osta da parte della competente autorità marittima, previo accertamento che i lavoratori siano stati assicurati e che il contratto di arruolamento, sia dal punto di vista normativo che da quello economico, non contenga clausole che contrastino con i principi fondamentali contenuti nei vigenti contratti collettivi di lavoro nazionali. Il predetto nulla-osta viene negato quando l'autorità marittima in qualunque modo accerti, anche avvalendosi della collaborazione tecnica del R.I.Na. (Registro Italiano Navale), che i requisiti di sicurezza, igiene ed abitabilità della nave estera sulla quale il lavoratore intende imbarcarsi non sono almeno equivalenti a quelli stabiliti per le navi della marina mercantile italiana, di tipo e caratteristiche analoghe2. I raccomandatari sono dunque degli intermediari privati legalizzati la cui azione è stata consentita anche nella vigenza del monopolio pubblico, grazie al fatto di esercitarla nella veste giuridica di mandatari dell’armatore. Infatti, l’art.4 della legge 135/1977 non conferisce al raccomandatario il potere di stipulare l’ingaggio, ma si limita a stabilire a quali condizioni minime per la tutela del lavoratore i relativi contratti debbano essere stipulati nel presupposto che l’armatore abbia conferito al raccomandatario espressa procura sulla materia. La professione dei Raccomandatari trae origine dal fatto che la figura dell’armatore tradizionale che gestiva la

1 I Raccomandatari marittimi italiani sono rappresentati dalla Federazione nazionale agenti marittimi raccomandatari, agenti aerei e mediatori marittimi (FEDERAGENTI). Alla Federazione aderiscono 27 associazioni che coprono tutti i porti italiani. Le imprese iscritte alle associazioni federate sono attualmente 635, con circa 6500 dipendenti, cioè la quasi totalità delle agenzie marittime, agenzie aeree e mediatori marittimi operanti sul settore nazionale. 2 R.I.Na Registro Italiano Navale, è una società di classificazione delle navi. Il certificato di classificazione è il documento che attesta che una nave è stata progettata e costruita in conformità con i regolamenti/criteri previsti e pertanto è autorizzata all'attività per la quale è stata concepita. Per mantenere la sua classe mentre è in servizio, la nave deve essere sottoposta ad ispezioni periodiche e a verifiche più approfondite e dettagliate con periodi più lunghi. Tali ispezioni diventano sempre più severe con l'invecchiamento delle navi. Il mancato rispetto delle normative previste o la mancata osservanza delle raccomandazioni in seguito ad un'ispezione per la classificazione, può provocare la sospensione o il ritiro della classe, la cosiddetta declassificazione.

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nave e che provvedeva al reperimento dell’equipaggio da arruolare è stata superata dalle attuali imprese marittime che operano nel mercato mondiale1. Per far fronte alla maggiore competitività, esse incaricano agenzie specializzate per la gestione tecnica e commerciale della nave, e talvolta anche per la gestione dell’equipaggio. Queste agenzie si chiamano nel mondo marittimo “manning agency” e la loro attività primaria è di reclutare, selezionare e amministrare equipaggi preparati, dotati delle certificazioni richieste e idonei alle specifiche tipologie navali, per quegli armatori con i quali viene stipulato un rapporto di tipo contrattuale e/o, a seconda dei casi e dei Paesi, di mandato di rappresentanza2. In quest’ultimo caso, a seconda del tipo di contratto stipulato con l’armatore, le “manning agency” svolgono sia attività di reperimento del personale, sia di gestione di tutte le fasi precontrattuali e contrattuali che vanno dal procacciamento fino all’imbarco del marittimo. Mentre in un caso siamo in presenza di un contratto di mandato e pertanto il contratto di arruolamento sarà stipulato tra armatore e marittimo, nell’altro vi sono due distinti contratti: un contratto di lavoro ed uno di fornitura di manodopera. Nel caso della prima tipologia contrattuale l’agenzia che gestisce il personale è inquadrabile nella figura del raccomandatario marittimo, che opera per conto e nell’interesse dell’armatore, mentre nel caso della seconda si opera una separazione tra datore di lavoro e utilizzatore della prestazione lavorativa in quanto l’agenzia arruola l’equipaggio agendo a proprio nome: l’agenzia (crew manager) “somministra” manodopera all’armatore, per usare il termine entrato nella nostra legislazione del lavoro con il DLgs276/1003. Questo secondo schema contrattuale non è però compatibile con il Codice della navigazione né il DPR231 lo prevede in alcun modo, prevedendo invece solo l’attività di intermediazione. Esistono in realtà alcune situazioni, ritenute speciali nell’ambito dell’organizzazione dei servizi prestati a bordo, in cui si ammette che sulla nave prestino la loro attività lavorativa soggetti non legati da vincoli di subordinazione con l’armatore, ma sono quei lavoratori che non operano nella gestione tecnica della nave bensì in servizi complementari di bordo che possono essere dati in appalto a terzi che forniscono del personale non legato da un contratto di arruolamento con l’armatore. Si tratta nello specifico di lavoratori che stipulano un contratto di lavoro dipendente di diritto comune con l’appaltatore, ma che al contempo sono in possesso di un semplice atto (non contratto) d’arruolamento che consente l’iscrizione nel ruolo d’equipaggio con la conseguente sottoposizione alla gerarchia di bordo ai fini della sicurezza della navigazione. Questi lavoratori sono inquadrati con qualifiche corrispondenti a quelle dei marittimi pur non facendo parte della gente di mare, e non essendo iscritti nel ruolo d’equipaggio non sono annoverati nelle tabella minime di armamento. Tutto ciò si collega a una definizione giuridica di equipaggio che comprende soggetti al servizio della nave anche se non legati all’armatore da un contratto d’arruolamento. Essi restano tuttavia al di fuori del campo di applicazione del nuovo collocamento. Questo tipo di contratti ha riguardato in origine le navi da crociera sulle quali l’offerta dei servizi alberghieri e di intrattenimento, che impegna la maggior parte dell’equipaggio, è appaltata a società terze, grazie a una norma del 1986 che ha previsto una deroga alla disciplina di legge a favore del personale imbarcato segnatamente sulle navi adibite a crociera3. Da allora questa possibilità è stata oggetto di interpretazioni estensive, per esempio alle navi traghetto, non senza conflitti interpretativi tra le parti sociali1.

1 Cfr. Stefania Bevilacqua, Liberalizzazione e flessibilità del mercato del lavoro marittimo: le agenzie di lavoro e l’arruolamento dell’equipaggio, in Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, 2/2004. 2 Cfr. Gian Enzo Duci, Il Manning Agent, dispensa per il corso di formazione per agenti marittimi, Assagenti marittimi, Genova. 3 Legge 5 dicembre 1986, n.856 “Norme per la ristrutturazione della flotta pubblica (gruppo Finmare) e interventi per l'armamento privato”. All’art. 17 si dispone che, in deroga all’art.316 e sgg. del Codice della Navigazione, si possa autorizzare l'armatore ad appaltare ad imprese nazionali o straniere che abbiano un raccomandatario o un rappresentante in Italia, servizi complementari di camera, servizi di cucina, servizi generali (quelli destinati all’assistenza turistica, intrattenimento ed attività ricreative varie, compresi casinò, estetica, musicanti) e servizi

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Questi contratti in quanto inquadrati nell’appalto di servizi differiscono in ogni caso dal crew manager che “somministra” all’armatore mera manodopera. Il nostro diritto del lavoro comune conosce questa forma contrattuale, introdotta dalla legge 24 giugno 1997 n.196 sul lavoro interinale, norma poi in parte rivista dal DLgs276/2003. In maniera analoga alle agenzie per il lavoro, il crew manager stipula un contratto di lavoro con il marittimo ed un contratto di fornitura di manodopera con l’armatore che di fatto utilizza la prestazione lavorativa del marittimo. Occorrerà verificare se la previsione introdotta nel nuovo regolamento circa le agenzie del lavoro come previste dal Dlgs276 apra una prospettiva di ammissione di questa seconda tipologia contrattuale. Ma è la specialità del lavoro marittimo che allo stato attuale della legislazione spiega le diverse e negative conclusioni cui si perviene in relazione all’ammissibilità del crew management. Gli aspetti di rilevanza pubblicistica del lavoro a bordo rispetto al diritto del lavoro generale, con riferimento in particolare all’ambiente nel quale si presta l’attività lavorativa, rendono allo stato attuale inammissibile il ricorso a un contratto di somministrazione di manodopera così specializzata come quella marittima2. Va tuttavia segnalato che il 14 giugno scorso l’ILO (International Labour Organisation) ha adottato nuovi standard di lavoro per migliorare le condizioni dei lavoratori della pesca che sono stati definiti nella Convenzione n.188/2007 che ora attende la ratifica degli stati3. Nel testo della convenzione, all’art.22 comma 4, dedicato alle agenzie private del lavoro, si apre alla possibilità della somministrazione di lavoro a bordo delle navi da pesca a condizione che l’armatore resti responsabile nei confronti del lavoratore nel caso in cui l’agenzia privata manchi ai suoi obblighi. Gli enti bilaterali Il nuovo regolamento, nell’aprire le porte del collocamento della gente di mare ai soggetti privati, ha un particolare riguardo per gli enti bilaterali del lavoro marittimo, a cui offre la possibilità di essere autorizzati a svolgere attività di intermediazione a favore dei propri associati, nonché a gestire, mediante convenzione con il Ministero del lavoro, tutti gli adempimenti e le certificazioni affidate ai competenti uffici, a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione con la borsa del lavoro marittimo. Insomma una sorta di concessione globale della gestione del nuovo collocamento, una possibilità prevista anche alle origini e che ha comunque improntato alla

relativi ad attività commerciali, a bordo delle navi adibite a crociera e che il personale che opera alle dipendenze dell’appaltatore per svolgere tali servizi, con gestione ed organizzazione propria, non fa parte dell’equipaggio, ancorché soggetto alla gerarchia di bordo. Tale possibilità viene data in deroga ai vincoli di trattamento retributivo e normativo posti in capo alla società appaltante, previsti all’art.3 della Legge 23 ottobre 1960, n.1369 “Divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell’impiego di manodopera”. Secondo questa norma, gli imprenditori che appaltano opere o servizi, compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti, da eseguirsi nell'interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore, sono tenuti in solido con quest'ultimo a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo, non inferiori a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti. Gli imprenditori sono altresì tenuti in solido con l'appaltatore, relativamente ai lavoratori da questi dipendenti, all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza ed assistenza. 1 Nel 2005 c’è stata l’ultima rilevante vertenza in ordine di tempo a questo proposito, che si è risolta con l’emanazione da parte del Ministero dei trasporti di una Circolare, la n.12 del 21 ottobre 2005, richiesta con forza dai sindacati dei lavoratori, che ha escluso l’assimilazione delle navi traghetto in servizio di cabotaggio nazionale alle navi da crociera, con l’esclusione pertanto dell’applicabilità della L856/1986 anche alle prime nei casi di personale addetto al servizio bar e self-service, all’accoglienza a bordo e alla pulizia di bordo. 2 Cfr. Stefania Bevilacqua, op.cit. 3 International Labour Conference, Testo della convenzione concernente il lavoro nel settore della pesca sottoposto al comitato istruttorio, 96ª sessione, Ginevra, 2007

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partecipazione delle parti sociali tutta la storia del collocamento marittimo1. Salvo che all’art.6 sembra che tale possibilità sia preclusa oltre i 120 giorni dall’entrata in vigore del nuovo regolamento che sono quindi già passati. Ma siccome tutti i termini previsti nel decreto paiono sospesi in attesa che si definisca il percorso attuativo del nuovo regolamento, anche questa scadenza si può ragionevolmente ritenere sospesa. Chi siano gli “enti bilaterali del lavoro marittimo” è spiegato, anzi definito all’art.2. Essi sono “gli organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni nazionali degli armatori e dei lavoratori marittimi quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro marittimo attraverso: l'intermediazione nell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro marittimo; la gestione delle procedure di collocamento; il monitoraggio delle attività e dei servizi di cui al presente regolamento”. Il fatto è che non esistono oggi enti bilaterali costituiti dalle parti sociali rappresentanti dell’intero mondo marittimo, in particolare non esiste un ente bilaterale dei marittimi del trasporto. Ne esiste invece uno della pesca, di cui si parlerà più avanti. Tuttavia niente vieta di pensare che enti bilaterali marittimi possano formarsi nel frattempo, magari per raccogliere la possibilità offerta dal decreto. Anche perché se si guarda a questi ultimi anni di relazioni industriali tra le associazioni nazionali degli armatori e dei lavoratori marittimi si scoprono numerose “prove di ente bilaterale”. Nel 1999 nell'ambito del rinnovo del contratto nazionale dei marittimi, le parti rappresentate da CONFITARMA e FEDARLINEA per i datori di lavoro rispettivamente pubblici e privati, e FILT-CGIL, FIT-CISL e UILTRASPORTI, al fine di tutelare e sviluppare l’occupazione marittima nazionale crearono tre strutture paritetiche, di tipo snello ed operativo, con la funzione di orientamento per il mercato del lavoro marittimo, di "banca dati" per individuare le disponibilità dei lavoratori all’imbarco e le professionalità disponibili sul mercato, di coordinare e sviluppare iniziative inerenti la formazione professionale. Nel dettaglio questa parte del contratto, che opportunamente fu intitolata “Politiche attive dei lavoro marittimo”, prevedeva la costituzione di un “Comitato Nazionale Paritetico per il Lavoro Marittimo”, allo scopo di individuare strumenti e programmi idonei a gestire politiche inerenti il governo del mercato dei lavoro e la formazione professionale. Il Comitato era composto da tre membri nominati dalle associazioni datoriali e da altrettanti nominati dalle organizzazioni sindacali, e aveva il compito di sovrintendere e programmare l'attività delle strutture di cui ai successivi tre punti, oltre che di valutare l'utilizzo di tutta la strumentazione legislativa di incentivazione all'occupazione e la sua applicabilità al settore marittimo: 1) Mercato del lavoro - Si sarebbe costituito, individuandone di comune accordo la sede, l’“Ufficio di orientamento per il lavoro marittimo” con il compito di monitorare l'offerta e la domanda di lavoro marittimo nonché di agevolare l'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro, ferma restando la competenza degli uffici di collocamento della gente di mare in materia di imbarco dei personale marittimo. L'ufficio si sarebbe avvalso dei dati destinati poi a confluire in un apposito Elenco (da denominarsi "Banca dati del mercato dei lavoro marittimo"). A tal fine le società armatrici avrebbero fornito periodicamente, alla “Banca” i dati numerici e professionali del proprio personale in forza. L’ufficio a sua volta avrebbe adottato idonee iniziative allo scopo di dare pubblica informazione della propria attività e strumenti per agevolare il rapporto tra offerta e domanda di lavoro. 2) “Banca dati del mercato del lavoro marittimo” - La “Banca” avrebbe avuto lo scopo di monitorare e rendere trasparente la composizione dei mercato dei lavoro marittimo. Sarebbe

1 Regio Decreto 1031 del 1925 art.1 c 3 e 4: “quando associazioni di armatori e di gente di mare che agiscano di accordo ne facciano domanda, il ministro per le comunicazioni a suo insindacabile giudizio, potrà stabilire che il collocamento gratuito venga esercitato da uffici creati e mantenuti dalle associazioni stesse. A questi uffici è preposto un comitato costituito di un eguale numero di rappresentanti degli armatori e della gente di mare sotto la presidenza del comandante del porto”.

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stata tenuta da una struttura informatica a scelta di CONFITARMA e avrebbe contenuto i dati numerici, completati da quelli professionali e dalle classi di età, dei marittimi in forza secondo uno schema redatto dall'Ufficio di orientamento per il lavoro marittimo e trasmesso alle aziende. Queste avrebbero fornito i dati richiesti in forma anonima. La “Banca” avrebbe contenuto inoltre i dati relativi al personale in disponibilità di imbarco presso il Fondo Nazionale Marittimi. La Banca, quale strumento per facilitare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, avrebbe potuto essere liberamente consultata dalle aziende e dalle Organizzazioni Sindacali. 3) Formazione professionale - Le parti avrebbero costituito, individuandone di comune accordo la sede, un “Coordinamento per la formazione professionale”. Tale organismo, di natura paritetica, avrebbe avuto il compito di definire periodicamente, in raccordo con le istituzioni competenti, politiche e programmi per la formazione professionale per il settore, fornendo altresì informazioni ed orientamenti alle imprese, ai lavoratori, ed eventualmente al sistema scolastico. Presso la sede dei Coordinamento sarebbero state altresì istruite le pratiche inerenti i rimborsi dei corsi professionali di cui alla legge 343/95 curando inoltre i rapporti con l'amministrazione. Il Comitato avrebbe consultato la “Banca” qualora necessario per definire le linee della politica formativa Nel 2003, nell’ambito del rinnovo del CCNL del settore marittimo, in considerazione dell’obiettivo comune della formazione di nuovi ufficiali italiani e del fatto che i contributi per l’imbarco degli allievi erano cessati alla fine 2001; le parti firmatarie convennero di definire d’intesa i percorsi per la formazione degli Allievi ufficiali e sottufficiali. Inoltre, in considerazione della previsione della riforma del collocamento della gente di mare contenuta nel DLgs297/2002 e del conseguente superamento del sistema di collocamento obbligatorio, di cui le parti avevano già espresso in varie sedi l’urgente necessità dalla luce del mutato contesto socio-economico, le parti ribadivano l’esigenza di acquisire preliminarmente una esatta conoscenza delle dimensioni relative ai mercato del lavoro nel settore marittimo; che solo una volta note le predette caratteristiche dimensionali del mercato si sarebbe potuto dare seguito all’individuazione di strumenti idonei ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Di qui l’intesa per definire congiuntamente le modalità del loro coinvolgimento nella fase di predisposizione dell’emanando regolamento, concordando ogni utile contributo alla sua stesura. Nelle premesse del contratto veniva inoltre richiamato quanto già era stato previsto nel “Protocollo di intesa sulle politiche attive del lavoro marittimo e sulla formazione professionale” di cui al rinnovo precedente di contratto, sulla necessità di ricercare tutte le opportunità offerte dalle normative europee, nazionali e regionali per lo sviluppo di attività formative per i marittimi italiani. In tale prospettiva fu deciso di aderire ai Fondi interprofessionali per la formazione e di utilizzare una parte delle risorse finanziarie del Fondo nazionale marittimi, per organizzare i corsi di formazione di base (basic training) previsti dalla Convenzione STCW per coloro che intendono iniziare la carriera nel settore marittimi e che hanno difficoltà nel finanziarsi i corsi di base, senza i quali non possono essere imbarcati. Dopo tante buone “prove di bilateralità” sembrava che si fosse giunti a fare il passo decisivo di costituzione di un ente. Nella piattaforma presentata dalle tre organizzazioni di categoria FILT CGIL, FIT CISL e UILTRASPORTI per il rinnovo del CCNL del settore marittimi, trattativa ancora in corso nel mentre andiamo in stampa con questo libro, i sindacati chiedevano l’istituzione dell’Ente Bilaterale per rispondere alle necessità del settore in materia di: - formazione, salute e sicurezza - promozione e ricerca - applicazione convenzioni OIL e accordi UE - sede per approfondire l’utilità di stipulare convenzioni per il settore in materie utili alla promozione del lavoro - elaborazione di progetti che possono usufruire di contributi UE e internazionali per i progetti

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del settore - elaborazione di proposte utili per eventuali gestioni di stato di crisi. Non appare dunque un riferimento esplicito alla riforma del collocamento della gente di mare e alla possibilità offerta di entrare nella gestione di una parte o di tutto il collocamento pubblico. C’è un riferimento assai sfumato a “convenzioni utili alla promozione del lavoro”. La ponderatezza dell’espressione va probabilmente messa in relazione alla posizione critica dei sindacati sul testo della riforma, richiamata in altro punto della stessa piattaforma in cui si conferma il giudizio negativo dei tre sindacati verso il testo del nuovo regolamento1. In ogni caso, alla sigla del contratto l’ente bilaterale non compare tra gli accordi raggiunti. Compare invece un’entità già nota perché già pattuita nei precedenti contratti ma mai attuata: il Comitato Nazionale Paritetico per il Lavoro marittimo. La premessa per questa decisione rievoca i tradizionali argomenti sulla grave crisi vocazionale, che interessa, in particolare, lo Stato maggiore e sugli effetti di tale crisi, che ha investito anche la flotta italiana, sia per quanto concerne i traffici internazionali sia, in assenza di adeguate misure di contrasto, per quanto concerne in futuro i collegamenti nazionali. Di qui la necessità di predisporre iniziative utili, anche attraverso il coinvolgimento dello Stato, che consentano un progressivo riavvicinamento dei giovani al lavoro marittimo. Vengono citate le iniziative di formazione assunte dalle istituzioni locali grazie al contributo delle parti sociali, rimarcando però che l’assenza di specifici provvedimenti di legge sulla materia ha sinora compromesso la possibilità di definire uno strumento di indirizzo generale, che tenga bisogno degli effettivi bisogni formativi, anche nell’ottica dell’impiego del personale navigante in alcuni settori rientranti nel cluster marittimo. - In particolare, con questo accordo si individuano dei comuni obiettivi di una attività congiunta, di armatori e sindacati, di promozione e sviluppo della formazione professionale dei lavoratori marittimi. Per il conseguimento di questi obiettivi verrà costituito un Comitato Nazionale Paritetico per il Lavoro marittimo. Tale comitato sarà composto da 6 membri effettivi e da 6 membri supplenti, nominati dalle Associazioni datoriali e da altrettanti nominati dalle Organizzazioni sindacali. Il Comitato avrà il compito di promuovere tra le altre iniziative al fine di: - analizzare i fabbisogni formativi del settore espressi dalle società armatoriali, anche utilizzando indagini di mercato allo scopo già effettuate; - favorire le rispondenze delle azioni formative alle domande di professionalità espresse dal mercato del lavoro, - favorire l’utilizzo di strumenti informatici per la formazione (e-learning, m-learning ecc.); - determinare strumenti di governo del mercato del lavoro marittimo e dell’aggiornamento professionale nell’ambito dell’armamento nazionale, verificando e promuovendo tale processo anche attraverso la riqualificazione e la mobilità del personale;

1Piattaforma per il rinnovo del CCNL Settore marittimi - Delegazioni FILT - FIT - UILTRASPORTI Settore Marittimi, 29 novembre 2006: “La situazione che è stata sin qui delineata, ovvero la convivenza nel comparto di aree a forte carenza con altre ove si verifica esubero di personale, trova difficoltà ad esser superata anche per l’assenza del collocamento centralizzato e, più in generale, di meccanismi funzionali che regolino la domanda e l’offerta occupazionale nel settore. La recente normativa varata in materia ha incontrato un giudizio fortemente negativo da parte delle OO.SS. e dell’armamento. Tra l’altro il provvedimento è risultato di difficile applicazione e pertanto i Ministeri preposti dovranno rapidamente proporre nuove regole che tengano presente la specificità del lavoro marittimo. Tenuto conto del quadro legislativo incerto l’adeguamento delle normative contrattuali in materia dovrà per forza essere spostato nel tempo. In riferimento al mercato del lavoro vi è una posizione ferma delle OO.SS. che risponde anche agli interessi degli armatori: la riforma non dovrà azzerare la Legge 135/77 ed in particolare, dovrà garantire pur a fronte della liberalizzazione del sistema, la presenza del raccomandatario marittimo per tutte le operazioni concernenti l’avvio a bordo del personale”. .

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- esaminare l’andamento complessivo di progetti, tesi ad avvicinare i giovani all’attività marittima; - promuovere programmi di formazione mirata, in particolare, sui temi della safety, security e della prevenzione; - favorire lo sviluppo della formazione scolastica e professionale coerente con la realtà e con gli indirizzi comunitari; - individuare idonei strumenti per garantire l’imbarco degli allievi; - favorire la predisposizione di percorsi formativi che alternino alla frequenza di corsi di istruzione, periodi di formazione a bordo; - verificare la possibilità di creare percorsi formativi anche per il personale extracomunitario, con specifico riferimento alle qualifiche nei confronti delle quali è comprovato lo scarso interesse del personale comunitario. Il Comitato inoltre opererà inoltre per una rapida riforma del collocamento della gente di mare che, nel rispetto delle peculiarità del settore, consenta la centralizzazione del collocamento stesso strumento utile al governo del mercato del lavoro. Il Comitato provvederà altresì a predisporre iniziative tese a promuovere il lavoro marittimo. In particolare, anche attraverso il coinvolgimento dei competenti Ministeri, avvierà, presso il sistema scolastico, incontri per fare conoscere gli aspetti della vita lavorativa a bordo. Al Comitato Nazionale spetterà, inoltre, predisporre tutte le iniziative utili per promuovere, presso le sedi competenti, la definizione di interventi normativi a sostegno della formazione professionale. L’ente bilaterale della pesca L'Osservatorio Nazionale della Pesca, nasce nel 1994 nell'ambito del rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il personale imbarcato sulle navi adibite alla pesca marittima. È un organismo bilaterale promosso e istituito da FEDERPESCA e dalle tre organizzazioni sindacali di categoria di FAI CISL - FLAI CGIL - UILA UIL. Le sue finalità sono: - monitorare sul territorio le esigenze di informazione/formazione del personale navigante sulle navi da pesca con particolare riguardo all’applicazione della recente normativa riguardante il settore della Pesca marittima; - elaborare le iniziative connesse alle rilevazioni emerse nel monitoraggio; - gestire i progetti relativi all'acquisizione di dati e notizie riferiti al settore attraverso la ricerca e la rilevazione di dati quantitativi e qualitativi; - promuovere indagini statistiche da utilizzare nei contesti economico-territoriali; - realizzare i progetti riferiti ad analisi specifiche relative al settore per rispondere a reali esigenze conoscitive necessarie alle parti costituenti l’osservatorio; - promuovere e realizzare corsi di formazione professionale per qualificare o riqualificare le figure professionali operanti all'interno del settore. In particolare, l’Osservatorio promuove un’importante attività di formazione per acquisire la certificazione richiesta in materia di sicurezza e l’idonea preparazione per sostenere gli esami per i Titoli Professionali Marittimi. La programmazione tiene conto nei contenuti dei nuovi strumenti tecnici e delle tecnologie di cui, nella maggior parte dei casi, sono dotate le imbarcazioni da pesca, delle moderne tecniche di pesca, delle raccomandazioni sempre più attente al rispetto delle risorse (Codice di Condotta della Pesca Responsabile), dell’implementazione di disposizioni a tutela dell’ambiente marino, della salute e sicurezza a bordo delle navi da pesca, della qualità e certificazione del prodotto. Un’altra importante sfera di attività è il programma di ricerca da cui sono scaturiti i dati riportati in precedenza circa la consistenza territoriale del mercato del lavoro marittimo. La ricerca è finalizzata al monitoraggio mercato del lavoro e alla creazione di un sistema informatizzato per la semplificazione delle procedure relative agli imbarchi e sbarchi della forza lavoro operante nel

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settore della pesca marittima italiana”. L’iniziativa si colloca nel piano di assistenza tecnica promosso dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. L'attività, programmata per il periodo 2002-2007, ha previsto la costituzione di un archivio della gente di mare ed il monitoraggio degli imbarchi e sbarchi. Tale attività comporta l’identificazione delle capacità occupazionali del settore, la segmentazione tecnico-territoriale di tali esigenze, le risorse disponibili e la definizione di criteri del turnover (posizioni lavorative, unità di lavoro), quali azioni di completamento ed accessori all'attività principale. L’Osservatorio della Pesca, attraverso il monitoraggio, potrà altresì specificare dati primari per l'occupazione come le tipologie, le modalità e i tassi di turnover, ecc.. La necessità generale cui è finalizzato il progetto è quella di procedere alla messa a punto di un sistema di semplificazione delle procedure di imbarco e sbarco dei circa 45 mila potenziali addetti alla pesca interessati al collocamento nel settore. I contratti di arruolamento, che rappresentano la costituzione del rapporto di lavoro fra l'impresa nave ed i membri di equipaggio sono esplicati attraverso le Capitanerie di porto, con le procedure previste dal codice della navigazione. Tali procedure costituiscono la centralità del sistema da semplificare. 4) Decreto che nell’ambito della Borsa Continua Nazionale del Lavoro di cui all’art.15 del Dlvo 10 settembre 2003, n.276, costituisce una sezione speciale per il lavoro marittimo, con lo scopo di realizzare un sistema aperto per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel settore marittimo su tutto il territorio nazionale. (Decreto del Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministro dei Trasporti, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento.) La Borsa Continua Nazionale del Lavoro assomiglia moltissimo a quel Turno unico generale previsto dalla legge 30/1998 e invocato a più riprese ma vanamente dai sindacati. Salvo che, diversamente dall’obbligatorietà del vecchio Turno, la Borsa è un sistema prescrittivo per gli armatori, le agenzie e gli uffici di collocamento solo per quanto concerne l’inserimento dei dati sia dalla parte della domanda che dell’offerta, mentre l’incrocio tra gli uni e gli altri ossia l’attività di preselezione è lasciata all’iniziativa dei datori di lavoro che scelgono di rivolgersi a questo servizio. Il modello di Borsa adottato dal nuovo regolamento è quello in uso per il mercato del lavoro in generale, di cui costituisce una sezione speciale, che però si è rivelato troppo ambizioso finendo sostanzialmente per fallire. L’ambizione era di costruire un luogo virtuale sulla rete internet in cui in tempo reale tutta la domanda nazionale e tutta l’offerta nazionale si incontrassero, una sorta di “mercato perfetto” immaginabile solo sulla carta ma impraticabile a scala così estesa: per il numero di operatori pubblici e privati coinvolti, per il numero e la varietà delle classificazioni necessarie, per la rapidità della gestione funzionale e temporale, per la complessità della gestione tecnologica. L’idea stessa di approcciare il mercato del lavoro a scala nazionale è in larga parte sbagliata, perché la stragrande maggioranza delle transazioni occupazionali avviene a livello locale e sublocale e solo segmenti fortemente minoritari di domanda e offerta si cercano e si trovano sulla “piazza” nazionale. Tant’è che attualmente funzionano bene in internet molte Borse lavoro regionali o provinciali, oppure di singole agenzie del lavoro o di singoli portali internet specializzati, al contrario della Borsa nazionale. Il lavoro marittimo, tuttavia, ha delle peculiarità che potrebbero farne uno dei pochi casi di applicazione efficace della Borsa. Intanto per i numeri in campo, che abbiamo visto essere contenuti rispetto a quelli del mercato del lavoro in generale, per quanto riguarda sia le transazioni, sia le richieste, sia le iscrizioni. Una circostanza favorevole è anche la forte concentrazione della domanda e la sua caratteristica delocalizzazione, che ne favorisce la gestione in chiave di Borsa nazionale. Anche l’offerta comunque è abbastanza concentrata e soprattutto è già chiaramente segmentata per qualifiche in funzione della domanda.

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Occorre però considerare un altro aspetto. Il mercato del lavoro marittimo, come abbiamo già visto, si svolge per lo più al di fuori degli uffici pubblici, o attraverso rapporti diretti tra armatori e lavoratori, o attraverso l’intermediazione dei raccomandatari e delle agenzie di manning. Nell’un caso e nell’altro, sovente i contatti e gli scambi di informazioni avvengono già tramite internet. Le compagnie di navigazione, come spesso fanno in generale le grandi imprese, hanno predisposto sui loro siti aziendali dei form per ricevere curriculum e candidature di imbarco, anche a fronte di espresse richieste di ricerca di personale. Anche perché l’orizzonte entro cui gli armatori cercano il personale non è necessariamente (anzi, quasi mai) limitato alla nazionalità italiana o comunitaria, che è il perimetro formale in cui opererà la Borsa, ma il mondo intero, tant’è che la lingua di descrizione delle figure professionali è quasi sempre in inglese, come mostrano la seguenti figure che riproducono le pagine dei siti di V.Ships un agenzia di manning e di Costa Crociere in cui sono descritti i profili professionali ricercati:

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Il nascente mercato del diporto nautico, che ha molte analogie con quello del trasporto per la continua ricerca di quadri di comando e personale specializzato e per l’orizzonte internazionale, si è dotato subito di siti dedicati alla gestione on line di funzioni di “borsa lavoro1. Per la pesca il discorso è diverso in quanto il mercato del lavoro assume più frequentemente i connotati locali, ma proprio per questo una borsa nazionale potrebbe risultare superflua, oppure le sue funzioni potrebbero essere fornite dall’ente bilaterale. È ovvio ritenere che come è accaduto per la Borsa generale, risulterà difficile sia indurre gli operatori privati ad affiancare alle loro procedure di ricerca di personale quella “obbligatoria” della Borsa ministeriale, sia conquistare gli utenti tra i lavoratori che già frequentano altri siti. Come in un libero mercato di servizi occorrerà che la Borsa marittima si guadagni i favori dell’utenza raggiungendo una tale efficienza e utilità da essere consultata al pari o più degli altri siti, altrimenti si tratterà di una iniziativa abortita. Il decreto per la creazione della Borsa continua nazionale del lavoro marittimo dovrà fare i conti con queste realtà e queste problematiche. Considerato che avrà molto più rilievo per il successo della riforma del collocamento l’informatizzazione della parte amministrativo-gestionale degli uffici della gente di mare e quella delle comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro circa i movimenti occupazionali, l’applicazione della Borsa lavoro potrebbe limitarsi inizialmente ad estrarre le posizioni dei marittimi privi di imbarco e ad evidenziarle a favore dei datori di lavoro oppure viceversa, sulla falsariga delle procedure oggi previste dalle leggi e dai contratti sulle verifiche di esistenza di personale italiano, ma inapplicate perché privi di una sistema informativo adeguato. Sicuramente interessante è la prospettiva di creare nell’ambito del sito internet della Borsa marittima un luogo di informazione e di diffusione di tutto ciò che concerne il lavoro marittimo, dagli aspetti occupazionali a quelli formativi, da quelli economici a quelli normativi a quelli sindacali ecc. per favorire una maggiore consapevolezza del mondo marittimo su questo tema e per offrire ai giovani e coloro che si occupano del loro orientamento un quadro di riferimento permanente e aggiornato. 5) Decreto che definisce il modello di comunicazione, il formato di trasmissione e il sistema di classificazione dei dati contenuti nell’elenco anagrafico della gente di mare, nonché le modalità di collegamento con le matricole della gente di mare di cui agli artt.118 e seguenti del Codice della navigazione e dei dati relativi ai lavoratori, e dei dati relativi ai lavoratori marittimi da inserire nella scheda professionale di cui all’art.5 del DPR 7 luglio 2000, n.442. (Decreto del Ministro del Lavoro, di concerto con il Ministro dei Trasporti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporto tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281.) È un decreto che dovrà tenere conto che le matricole della gente di mare contengono già tutti i dati utili per rilevare il profilo dei lavoratori dal punto di vista della professionalità e della carriera. D’altro canto l’anagrafe, sul modello di quella adottata per i lavoratori in generale, dovrà contenere anche informazioni che servano a delineare un profilo prospettico, circa i bisogni formativi, anche in relazione con i periodi di intervallo tra un imbarco e l’altro, e eventuali altri orientamenti professionali, anche relativi ad occupazioni a terra. 6) Decreto che definisce le qualifiche professionali del personale marittimo e i relativi requisiti minimi. (Decreto del Ministro dei Trasporti, di concerto con i Ministri del Lavoro e dell’Istruzione, Ricerca e Università, il Ministro dei Trasporti, sentita la Conferenza permanente per i rapporto tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano di cui al

1 Cfr. ad esempio: www.marineria.it, www.yachtlife.it.

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decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, da adottarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento.) Questo decreto rappresenta uno degli impegni principali che attendono i Ministeri. Si tratta di riscrivere l’elenco delle qualifiche che compongono il mondo del lavoro marittimo e di indicarne i requisiti minimi, sia scolastici che professionali. L’elenco attuale, allegato al regolamento ripete quello del 1992 in attesa di emanazione del nuovo1. Il lavoro sarà molto complesso perché occorrerà confermare una certa parte di qualifiche, eliminarne altre ormai desuete come il giovanotto frigorista o il garzone di seconda o l’allievo operaio polivalente o l’operatore cinematografico, sostituirne altre come il capitano d’armi (equivalente all’odierno addetto alla security), modificare i requisiti di altre ancora, come il tankista, il guardarobiere o il cuoco equipaggio, e infine introdurre qualifiche del tutto nuove, come l’“inventory officer” o il “food and beverage manager”. Occorrerà poi raccordare i requisiti scolastici con i nuovi ordinamenti della scuola e i requisiti formativi e di esperienza con le attuali pratiche di bordo. Accanto alle qualifiche ci sono i titoli professionali, che abilitano attraverso esami di stato allo svolgimento di ruoli chiave per la conduzione della nave. Essi sono definiti dal Codice della Navigazione e allineati periodicamente agli standard internazionali attraverso specifici interventi normativi. È il caso degli ufficiali di coperta e degli ufficiali di macchina, coloro che conducono la nave, gli uni dirigendola lungo la rotta di navigazione, gli altri dirigendo l’esercizio e la manutenzione dell'apparato motore e di tutte le apparecchiature di bordo. A mo’ di esempio vediamo come si diventa comandanti di una nave passeggeri, o direttore di macchina di una petroliera una volta completato il corso di studi dell'Istituto Nautico. Conseguito il Diploma (sia di Macchina che di Coperta) il neodiplomato si deve recare in Capitaneria e chiederne la registrazione sul Libretto. Questo è il primo atto formale che dà inizio alla sua carriera. La registrazione del diploma consente automaticamente l'acquisizione del titolo professionale marittimo di Allievo Capitano di Lungo Corso o di Macchina. Con questo titolo si può imbarcare con la qualifica Allievo Ufficiale. Il periodo di tirocinio dell'Allievo è costituito da un periodo di imbarco complessivo di almeno 18 mesi di cui almeno sei con la qualifica di Allievo Ufficiale. Trascorso questo periodo è possibile conseguire il titolo professionale successivo di Aspirante Capitano di Lungo Corso, in gergo noto come “patentino” sostenendo un apposito esame presso alcune Capitanerie di Porto appositamente abilitate. Il patentino abilita ad imbarcare in qualità di 3° e 2° Ufficiale e talvolta anche 1° Ufficiale. La qualifica di imbarco dipende solo dall'esperienza e dalla fiducia dell'armatore della nave nei confronti della persona. In genere il primo imbarco è da 3° Ufficiale e dopo due o tre imbarchi si viene promossi 2° Ufficiale. Per il successivo passaggio a 1° Ufficiale gli armatori in genere richiedono il conseguimento del titolo superiore. Dopo aver accumulato altri 30 mesi di navigazione effettiva (quindi complessivamente almeno 48 mesi) è possibile sostenere l'ultimo esame per conseguire il titolo professionale di Capitano di Lungo Corso (o come si usa dire, la “patente”). Questo titolo abilita ad imbarcare finalmente come Comandante ma, come al solito, tutto dipende dall'armatore, ed in genere per diventare Comandanti è richiesto un periodo discretamente lungo da 1° Ufficiale per acquisire la necessaria esperienza e competenza. A questo punto gli esami sono terminati e la carriera procede solo in funzione delle proprie capacità ed ambizioni. Oltre agli esami previsti dal Codice della Navigazione per il conseguimento delle abilitazioni è obbligatoria la partecipazione a corsi di specializzazione e di addestramento per specifiche attività in materia di sicurezza: Corso di antincendio, Corso di sopravvivenza in mare, Pronto Soccorso, Corso di osservatore RADAR ecc. Nel 2000 un decreto ministeriale ha stabilito nuovi requisiti e limiti delle abilitazioni e delle certificazioni dei principali titoli professionali del trasporto marittimo2. Vi si prevede tra l’altro la riduzione da 18 a 12 mesi del periodo di tirocinio per gli allievi ufficiali e l’apertura dei titoli 1 Vedi l’allegato al DPR231 in Appendice. 2 DM 5 ottobre 2000 come modificato dal DM 22 dicembre 2000.

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di ufficiale anche ai diplomati non nautici. Il decreto però non è ancora applicato perché manca da allora un successivo decreto del Ministero dei Trasporti che deve definire i programmi di esame e addestramento per ottenere le abilitazioni professionali aggiornate. Per l’aggiornamento dei titoli e delle qualifiche della pesca si è invece ancora in attesa del DPR regolamentare previsto dall’attuazione della legge di riforma della pesca del 20041. Per il diporto nautico invece è recente l’emanazione del regolamento sui nuovissimi titoli professionali definiti per la conduzione delle imbarcazioni da noleggio o charter nautico2. Mentre questa estate è stato siglato il primo CCNL della nautica da diporto con un accordo che tra l’altro definisce e inquadra organizzativamente e economicamente le qualifiche presenti a bordo. Le professioni sulle navi da crociera La nave da crociera è la combinazione delle funzioni di una nave spesso di grandissime dimensioni, che richiede perciò le competenze e i ruoli del personale di coperta e di macchina per la sua conduzione nautica, e di un’altra serie di funzioni tipiche dell’offerta turistico-ricreativa a terra riprodotte e concentrate nel particolare ambiente della nave: l’albergo, il ristorante, la palestra, il cinema, il teatro, il casinò, il centro commerciale, la discoteca, ecc., ciascuno dotato di un apparato organizzativo, amministrativo e tecnico di gestione. Nelle navi di ultima generazione, capaci di imbarcare anche 4.000 passeggeri e 1000 componenti dell’equipaggio, ciascuna delle funzioni indicate si moltiplica in più alberghi, ristoranti, teatri, di stili diversi che compongono un’offerta di ospitalità che non ha paragoni per dimensioni e varietà in nessuna struttura a terra. Se si considera inoltre che il rapporto tra personale nautico e personale non nautico è intorno a 1:4, 1:5, anche se il primo rappresenta la parte necessaria e insostituibile, si comprende come il lavoro marittimo a bordo di una nave da crociera comprenda un gran numero di qualifiche non propriamente nautiche. Per rendercene conto visitiamo un sito internet in cui si offre lavoro sulle navi da crociera. Il sito appartiene ad una società che offre servizi di reclutamento di personale per le navi da crociera, si chiama CruiseJobFinder.com e si rivolge prevalentemente al personale non nautico proponendo una prospettiva professionale caratterizzata dal piacere i lavorare in un ambiente avventuroso e socializzante. Si noti nella immagine che segue che riproduce una pagina del portale, il linguaggio accattivante dell’offerta, e l’elenco dei benefits: la cabina per dormire, il cibo gratuito, i biglietti aerei di andata e ritorno a casa, la lavanderia gratuita, l’assicurazione sanitaria, gli sconti negli acquisti a bordo e per invitare famigliari o amici a bordo. Sono argomenti che servono a rafforzare una bella immagine del lavoro sulle navi da crociera che beneficia dell’effetto alone della bellezza e prodigalità dell’offerta di servizi a bordo per i clienti della crociera e dell’atmosfera di spensieratezza che vi domina.

1 Dlvo 26 maggio 2004, n.153 Attuazione della legge 7 marzo 2003, n.158 in materia di pesca marittima. 2 DM 10 maggio 2005, n.121 Regolamento recante l'istituzione e la disciplina dei titoli professionali del diporto.

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Il sito propone un efficiente servizio di descrizione delle figure professionali presenti a bordo collegato ad un servizio di messa in contatto con domande di lavoro da parte di compagnie di navigazione e di agenzie di lavoro internazionali. Nella tabella che segue sono elencate le figure previste dal sito CruiseJobFinder.com, naturalmente in inglese non solo perché è la lingua del sito ma soprattutto perché è la lingua comune marittima. Molte delle figure presenti in questo elenco corrispondono a quelle già previste dal vecchio regolamento del collocamento, in attesa del suo aggiornamento, ma ovviamente nominate con espressioni che gli conferiscono un effetto esotico e sofisticato che contribuisce al fascino dell’ambiente delle crociere.

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Deck Department Able Seaman Bosun Captain Carpenter Chief Officer First Officer Quarter Master Safety Officer Security Officer Staff Captain Engineering Department Assistant Engineer Chief Engineer Chief Electrician Chief Radio Officer First Assistant Engineer Motorman Oiler Plumber Service/Hospitality Department: Food and Beverage Baker Bar Back Bar Manager Bartender Buffet Server Butcher Busboys Chef de Partie Cocktail Server Dining Room Head Waiter Dining Room Manager Executive Chef Food and Beverages Manager General Cook Maitre d' Hotel Pastry Chef Sous Chef Wine Steward Purser Chief Purser Purser Staff Housekeeping Cabin Steward/ess Chief Cabin Steward Chief Steward/Housekeeper Laundry Staff Hotel Administration Accountant Bellman Computer Systems Manager/IT Gift Shop Manager

Gift Shop Sales Assistant Hotel Manager IT Staff Program Coordinator Receptionist Personal Care Department: Salon/Spa/Fitness Beauty Therapist Fitness Instructor Hair Stylist Manicurist Massage Therapists Spa Attendant Medical Nurse Physician Activity Department: Art Auctioneer Assistant Cruise Director Assistant Shore Excursions Manager Casino staff Cruise Consultant Cruise Director Dance Instructor Disc Jockey Dive Instructor Gentlemen Host Lecturer/ Special Guest Speaker Naturalist Photographer Port Lecturer Shore Excursions Manager Social Host/Hostess Youth Counselors Entertainment Department: Audio Visual Coordinator Disc Jockey Entertainers Production Manager Office Positions Accounting Accounts Payable Staff Bookkeeper Operations Analyst Senior Business Analyst Senior Staff Accountant Staff Accountant Tour Accounting Administrative/Clerical

Administrative Assistant Administration Manager Customer Service Human Resources IT Lead Developer Manager Deployment & Itinerary Planning Operations Administrator Part-Time Data Entry Payroll Clerk Software Engineer Air Operations Airlines Reporting Corporation (ARC) Coordinator Pier/Airport Expediter Seasonal Air Operations Agent Seasonal Corporate Air Ticketing Agent Marketing/ Public Relations Account Executive Brand Manager Field Representative Marketing Research Analyst Media Relations Purchasing Agent Vice President of Marketing Reservations/ Sales Inside Sales Representative Outside Sales Representatives Reservations Sales & Service

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Per rendersi conto di quali profili professionali e con quali curriculum abbia necessità una grande compagnia di crociere, e per avere uno spaccato reale di un segmento molto importante di mercato del lavoro, gestito in questo caso direttamente dall’ufficio delle risorse umane di una grande compagnia, a titolo di esempio si riportano gli annunci di ricerca del personale presenti sul sito di Costa Crociere:

SAFETY OFFICERS (SO_CW) Patente C.L.C. (Capitano di Lungo Corso) e relativo Certificato IMO '95 (Arpa - GMDSS), significativa esperienza a bordo di navi passeggeri. Buona esperienza nella gestione S.M.S. (Safety Management System) di bordo. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 35 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. PRIMI E SECONDI UFFICIALI DI COPERTA (1-2UC_CW) Patente C.L.C. (Capitano di Lungo Corso) e relativo Certificato IMO '95 (Arpa - GMDSS),significativa esperienza di bordo. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 35 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. COMMUNICATION OFFICERS (CO_CW) Certificazione GMDSS/GOC, Basic Safety Training (STCW '95), consolidate conoscenze informatiche, significativa esperienza a bordo di navi passeggeri. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 35 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. DIRETTORI DI MACCHINA IN 2A (DM2_CW) Patente C.D.M.(Capitano Direttore di Macchina) e relativo Certificato IMO '95, significativa esperienza a bordo di navi passeggeri. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 40 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. HOTEL ENGINEERS (HE_CW) Patente C.D.M. (Capitano Direttore di Macchina) e relativo Certificato IMO '95, significativa esperienza a bordo di navi passeggeri. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 35 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. PRIMI E SECONDI UFFICIALI DI MACCHINA (1-2EN_CW) Patente C.D.M. (Capitano Direttore di Macchina) e relativo Certificato IMO '95, significativa esperienza di bordo. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 35 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. UFFICIALI ELETTRONICI (UET_CW) Diploma di Istituto Tecnico ad indirizzo Elettronico, Basic Safety Training (STCW '95), precedente occupazione nel settore navale o presso impianti di automazione. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 35 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. UFFICIALI ELETTRICISTI (UEL_CW) Diploma di Istituto Tecnico ad indirizzo Elettrotecnico, Basic Safety Training (STCW '95), precedente occupazione nel settore navale o presso impianti elettrotecnici. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 35 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. UFFICIALI FRIGORISTI (UFR_CW) Diploma di Istituto Tecnico ad indirizzo Meccanico, Basic Safety Training (STCW '95), precedente occupazione nel settore navale o presso impianti di condizionamento e refrigerazione. Il candidato ideale ha un'età indicativamente non superiore ai 35 anni. E' richiesta la buona conoscenza della lingua inglese, scritta e orale. La conoscenza di una seconda lingua costituirà titolo preferenziale. TOUR ESCORT (T_ES_CW) Reports directly to the Tour Manager, performs a different variety of duties from promoting and selling tours, to escorting guests while ashore. Candidate must have: - Diploma from tourism/language school; - Previous experience in escorting groups ashore; - Fluent English/Italian; - Conversational level of one other language among: French, German, Spanish; - Additional language preferencial; - Organisational skills; - Communicational skills; - Flexibility;

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- Outgoing personality; - Ability to work under stress; - Problem solving; - Elegant appearance. INVENTORY OFFICER (I0_CW) Reports directly to the Hotel Director, manages a team of 4/5 people and is responsible for the correct implementation of company procedures and the follow up of the on board cost controlling system. Accountable for both operational and administrative duties, she/he is also in charge of the accurate accomplishment of the Logistic Supervision and the management of the on board stores. Candidate must have: - 2/3 years work experience in the Logistic or Cost Control area of a multinational company - University Degree in Economics or Science - Good computer skills and fluent English (Spanish is a plus) - Good organisation and accounting skills and personal attributes of precision and problem solving - Hotel experience is considered a plus. RECEPTIONIST (R_CW) Works under the supervision of the Front Desk Manager and provides Guest Service Office assignments, including greeting visitors, answering general questions, operating multiple line telephone system, cash management, passenger embarkation and disembarkation procedures. Candidate must have: - High school Diploma, preferably in languages. A University Degree is considered a plus - Excellent fluency in English and Italian and two other languages among French, German, Spanish, at a conversational level - Communication and organisational attitude and good computer skills - Flexibility and ability to maintain a good working relationship with all colleagues. DIRECTOR OF SERVICES (DS_CW) Directly responding to the Hotel Director, responsibilities include the supervision of the Hotel Department on board a ship. Leading a team of Managers, he/she ensures the correct interpretation and implementation of strategic objectives in a healthy environment. He/she ensures good working relations amongst a multi ethnical team and is able to turn challenges into innovative opportunities. He/she will have: - 3/4 years work experience in a similar position or as a F&B Manager in hotel or on board. A vast service oriented experience in an International company together with documented HACCP/safe food handling training received. - University degree and/or graduate of Hotel/Tourism School - Good computer skills, fluency in English (Italian and/or other foreign languages is a plus) - Good interpersonal, communication and organisational skills and personal attributes of analytical thinking and problem solving. Strong motivation and team player skills are also necessary. EXECUTIVE CHEF (EC_CW) To be accountable for both operational duties and qualitative controls concerning the total Food Production on board a ship; he/she is responsible for the correct implementation of company procedures while ensuring that our international clientele is experiencing culinary delights in all of our Food outlets. Leading a multi ethnical team, he/she is in charge of training and actively taking part in the technical development of the Kitchen brigade. He/she will have: - 2/3 years work experience as an Executive Chef in an International Company preferably with some ship’s experience. World Cuisine knowledge combined with advanced USPH certificates - Hotel/Tourism school or University - Some computer skills and fluent English (other European languages are a plus) - Good organisation skills, interpersonal skills and personal attributes of problem solving Strong motivation and team player skills are also necessary. SOUS CHEF (SC_CW) Directly responding to the Executive Chef, responsibilities include administrative tasks of some sections of the Kitchen brigade on board a ship. He/she is responsible of the daily production of menus that are prepared according to the highest international quality standards. He/she ensures good working relations amongst a multi ethnical team. He/she will have: - 2/3 years work experience in a similar position in hotel or on board. A vast food knowledge together with an USPH certificate - University degree and/or graduate of Hotel/Tourism School - Good computer skills, fluency in English (other European languages are a plus) - Good interpersonal, communication and organisational skills and personal attributes of analytical thinking and problem solving Strong motivation and team player skills are also necessary.

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1° COOK (FC_CW) Directly responding to the Sous Chef, responsibilities include the organisation of a Galley section on board a ship. He/she is responsible of the daily production of the specific section and ensures highest international quality standards. He/she ensures good working relations amongst a multi ethnical team and ensures that the personnel working in the same section is properly trained. He/she will have: - 2/3 years work experience in a similar position in hotel or on board. Good food knowledge is a must, a USPH certificate is appreciated as well as experience in large scale preparation - Graduate of Hotel/Tourism School - Good computer skills, fluency in English (other European languages are a plus) - Good interpersonal, communication and organisational skills and personal attributes of flexibility and willingness to integrate Strong motivation and team player skills are also necessary. HEAD/ 1° BUTCHER (HB_CW) Directly responding to the Executive Chef, responsibilities include the organisation of the Butchery section on board a ship. He/she is responsible of receiving and ordering of goods. He/she runs the daily Butchery operation at the highest international quality standards. He/she ensures good working relations amongst a multi ethnical team and ensures that the personnel working in the same section is properly trained. He/she will have: - 2/3 years work experience in a similar position in hotel or on board. Fast knowledge in Butchery handling. A USPH certificate is appreciated as well as exposure to large-scale operations. - Graduate of Hotel/Tourism School - Good computer skills, fluency in English (other European languages are a plus) - Good interpersonal, communication and organisational skills and personal attributes of flexibility and willingness to integrate. Strong motivation and team player skills are also necessary.

7) Decreto che definisce le modalità di comunicazione dei dati degli avviamenti e delle cessazione dei rapporti di lavoro. (Decreto del Ministro del Lavoro, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento.) Questo decreto sarà certamente il primo ad essere emanato, si può che dire che alle porte e che sarà pubblicato prima della fine dell’autunno, per permettere anche al settore marittimo di allinearsi alla nuova disciplina che prevede l’obbligatorietà delle comunicazioni di assunzione e cessazione per via telematica.

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Capitolo 4 I MARITTIMI ITALIANI, UNA SPECIE IN ESTINZIONE: LA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA? Teorema di Thomas: Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze. William Thomas, sociologo, 1928

Nel dicembre 1996 la Commissione europea organizzò a Dublino una conferenza internazionale dal titolo “La gente di mare dell'Unione europea: una specie minacciata di estinzione”. Lo scopo era di animare il dibattito sulla situazione dell'occupazione tra la gente di mare della Comunità, studiando le cause e le conseguenze economiche della loro tendenziale scomparsa e progressiva sostituzione con marittimi extracomunitari, e cercando soluzioni a tali problemi. La conferenza si trovò d'accordo sulle cause, che riguardavano tanto la domanda di lavoro, per la situazione economica degli armatori, quanto l’offerta, in particolare quella qualificata, per i fattori sociali che scoraggiano i giovani comunitari dall’intraprendere una carriera in mare. Infatti, nonostante le richieste del mercato e il perdurare di tassi di disoccupazione giovanile, diminuiscono i giovani che scelgono il lavoro marittimo. Tra coloro che nominalmente lo scelgono come studi, solo una percentuale molto bassa (10-15%) arriva a imbarcarsi. I giovani sono meno disposti a lunghi periodi in mare, lontano da casa, in contesti lavorativi isolati, su navi che rispetto al passato sono più sicure e accoglienti ma allettano meno circa la possibilità di viaggiare, perché fanno brevi scali o svolgono la propria attività fuori dai porti. La conferenza si trovò d’accordo anche nel riconoscere che la gente di mare europea svolge un ruolo essenziale per il buon funzionamento del settore marittimo, sia quando naviga sia quando sbarca dopo una carriera a bordo e va a operare nelle imprese a terra. Perciò veniva sottolineata l'esigenza di intervenire a ricostituire una compagine di gente di mare dotata a tutti i livelli di un’elevata qualificazione. Per affrontare e risolvere il problema sul lato dell’offerta, la Commissione propose diverse misure concrete, in tema di formazione professionale, di miglioramento delle condizioni economiche e di lavoro a bordo e di avvicendamento con periodi di lavoro a terra, raccomandando ai responsabili del settore e delle amministrazioni pubbliche di tenerne conto nelle proprie decisioni. L’allarme dell’Unione si riferiva soprattutto alle figure degli ufficiali, vista l’esigenza di disporre di uno stato maggiore professionalmente affidabile al comando delle navi comunitarie, composte da unità sempre più sofisticate tecnologicamente, che navigano in contesti ambientali con difficili equilibri ecologici e fanno parte di lunghe e complesse catene logistiche. Le scuole e le marinerie europee garantivano ancora marittimi con questi standard professionali ma in numero sempre minore; l’età media degli ufficiali UE era alta e la durata della vita a bordo si stava accorciando con il trasferimento sempre più frequente a terra prima dei 40 anni; gli armatori d’altro canto si mostravano propensi sempre più spesso a rivolgersi a mercati extracomunitari dove è minore il costo del lavoro, anche per gli ufficiali, anche se a scapito della qualità professionale. Gli ufficiali UE ricoprivano per lo più i ruoli superiori di comando, con gli ufficiali extra UE ai livelli inferiori, ma questo avrebbe portato questi ultimi a subentrare nel giro di pochi anni ai primi quando questi andranno in pensione. La scarsità di gente di mare

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comunitaria avrebbe avuto riflessi negativi anche su diversi settori collegati. I porti, le società di navigazione, gli organismi di ispezione, le società di assicurazione, i cantieri di costruzione e di riparazione navale, le ditte produttrici di attrezzature marittime ecc. preferiscono infatti impiegare ex marittimi, per cui la scarsità di gente di mare comunitaria avrebbe finito col creare una scarsità di personale nelle attività paramarittime. Se il calo numerico della gente di mare dovesse continuare l’UE perderebbe un importante patrimonio storico e professionale, gli istituti nautici potrebbero chiudere e il know-how marittimi di tutta la Comunità europea andrebbe disperso, con conseguenze serie per la sicurezza dei commerci (il trasporto marittimo è vitale per l’UE: 90% del commercio estero e 35% di quello interno), la competitività dell’intero settore della navigazione e in generale per la sicurezza della navigazione. Sotto quest’ultimo profilo, gente di mare esperta significa sicurezza, efficienza operativa, manutenzione delle navi e riduzione di incidenti e di inquinamento, che nell’80% dei casi sono dovuti a errore umano. Le cifre dei posti vacanti che venivano fornite dall’UE erano addirittura iperboliche: nel 2001 nell’UE sarebbero mancati 15.000 ufficiali, nel 2006 36.000. Per i ruoli di sottoufficiali e di marinai, invece, l’Unione si mostrava sostanzialmente già rassegnata, ritenendo che l’offerta di marittimi non comunitari non fosse più arginabile, sia per la convenienza economica che assicurava agli armatori, sia perché ad essa non si opponeva comunque una sufficiente offerta interna che diversamente dal caso degli ufficiali non ha tra i ranghi inferiori le stesse prospettive né di status sociale e professionale, né di reddito economico, né di possibilità di riutilizzo dell’esperienza a terra, una volta sbarcati. Questa seconda previsione però valeva essenzialmente per i trasporti marittimi internazionali, mentre per il cabotaggio e per la pesca, così come per il personale alberghiero delle navi traghetti e da crociera, la questione poteva dirsi più articolata e tuttora aperta. Mentre il diporto doveva ancora affermarsi come mercato del lavoro. Il problema, in realtà, non era nato sul lato dell’offerta, ossia del lavoro marittimo, bensì su quello della domanda, per la competizione delle imprese armatoriali nel mercato dei noli internazionali, su cui gravava in particolare “l’unico costo non determinato internazionalmente”: quello degli equipaggi nazionali. Le grandi marinerie nordiche, in particolare quelle scandinave, avevano risolto il problema sin dagli anni ‘60 attraverso il ricorso a marittimi extracomunitari. Il loro costo si sarebbe determinato internazionalmente attraverso il mercato del lavoro globale; negli anni successivi, si sarebbe poi giunti alla definizione di salari minimi di tutela, in ogni caso uguali per tutto il mondo, da parte del sindacato internazionale. L’Unione Europea si era posta allora l’obiettivo di determinare regole per tutti gli stati membri e le rispettive marinerie al fine di creare le condizioni di un maggiore equilibrio nel mercato dei noli. Occorreva inoltre scongiurare il ricorso a comportamenti di dumping come quelli operati da armatori con navi battenti bandiere di comodo, che producevano da una parte l’effetto disastroso di espellere dal mercato le marinerie dei paesi più industrializzati, più rispettosi delle condizioni generali dei propri lavoratori, dall’altra l’abbattimento degli standard minimi di sicurezza nel delicato settore del trasporto marittimo1. Fu promossa pertanto una politica europea che, attraverso il finanziamento di aiuti di Stato ai Paesi membri, perseguisse l’obiettivo di mantenere le flotte sotto bandiera dei Paesi aderenti, per favorire la competitività e l’occupazione comunitaria e per contrastare le bandiere di comodo. La Commissione e il Parlamento europeo sono tornati a più riprese su questo tema attraverso comunicazioni, direttive, raccomandazioni, tutte rivolte a spingere gli Stati membri, le imprese armatoriali e le parti sociali ad accordarsi per adottare misure urgenti e incisive per invertire questa tendenza almeno per quanto riguarda gli ufficiali2.

1 Crf. Giuseppe Caronia, La crisi delle vocazioni al lavoro marittimo; Remo Di Fiore, in Nautes, Rivista di IPSEMA, 1/2003. 2 Cfr. i due principali documenti in questo senso: Commissione delle Comunità Europee - Comunicazione dalla Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo sulla Formazione Professionale e l’arruolamento della Gente di

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La misura più urgente venne individuata nella creazione di una nuova immagine del lavoro marittimo. Le autorità pubbliche e le parti sociali devono rendere le professioni marittime una carriera allettante, che attiri i giovani europei. Ciò va fatto innanzitutto promuovendo gli aspetti positivi del settore marittimo nella scuola e tra gli studenti, e incoraggiando la considerazione delle professioni marittime come opzione di carriera per i giovani per completare la loro scolarità secondaria o i loro studi superiori, una carriera da fare non necessariamente tutta sul mare, ma anche a terra. Inoltre, occorre superare il sistema frammentato dell’istruzione e della formazione professionale marittima, in favore di ordinamenti e strutture adeguati per rilanciare la formazione della gente di mare, tanto più necessaria quanto i cambiamenti normativi, tecnologici e operativi dell’industria dei trasporti marittimi impongono uno sforzo notevolissimo di adeguamento e di aggiornamento. L’ulteriore sfida consiste nel fornire gli strumenti necessari per prendere servizio a terra dopo un certo numero di anni. A tale scopo è importante che la formazione iniziale e l’aggiornamento degli ufficiali comprendano gli aspetti commerciali e logistici della navigazione (diritto, economia, tecniche di gestione nel settore marittimo) per fornire la cultura professionale per le mansioni di terra come un prolungamento della esperienza di bordo. Inoltre, occorre incoraggiare il personale a intraprendere percorsi di istruzione e di formazione continua e altre forme di formazione lungo l’arco della vita, facilitando l’avanzamento di carriera della gente di mare nel settore marittimo. Infine, ultima ma non minore misura, bisogna contribuire al miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei marittimi a bordo traendo vantaggio in particolare dalle tecnologie e dai mezzi di comunicazione moderni. A distanza di un decennio, che cosa è successo? Si sono davvero estinti i marittimi europei? Per rispondere a questa domanda basta chiedersi se esistono ancora i marittimi italiani, considerato che la flotta italiana occupa una posizione preminente, la quarta, nella classifica europea, dopo la Grecia, Malta e Cipro (ma queste ultime due sono “bandiere di comodo”) e la tredicesima a livello mondiale. Naturalmente si tratta di una domanda retorica. I marittimi italiani esistono ancora, anche se non è semplice dire quanti e quali siano esattamente, per i motivi che abbiamo illustrato nel primo capitolo. Così come non è dato sapere con sufficiente precisione quanti siano i marittimi extracomunitari, ossia in buona sostanza come si sia determinato quel processo di trasformazione nella composizione della gente di mare previsto dieci anni fa, non solo sotto il profilo degli esiti che ha dato e che promette di dare per il futuro, ma anche per mettere i risultati in relazione alle iniziative che si sono intraprese per contrastare la “minaccia di estinzione”. Riassumiamo prima gli esiti del processo, per poi esaminare in maniera comparata le iniziative che sono state intraprese sul lato della domanda e su quello dell’offerta a partire dal 1998, l’anno in cui con la legge 30 è stato introdotto il RI. Il grafico che segue mette a confronto l’andamento delle variabili quantitative sin qui considerate, nel periodo 1999-2006:

Mare- Com(2001)188 Definitivo – Bruxelles, 6 Aprile 2001. Conclusioni del Consiglio “Promuovere le prospettive di occupazione nel settore marittimo della Comunità e attrarre i giovani alle professioni del mare”, 2695° Consiglio dei Trasporti, Telecomunicazioni e Energia - Bruxelles, 5 Dicembre 2005.

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posti di lavoroextracomunitari

Il grafico mostra la lieve crescita del numero delle navi (+6,7%) che passano da 1387 a 1480. Crescono molto di più le navi dal punto di vista del tonnellaggio (+37,1%) dato che si spiega con l’alto tasso di rinnovamento della nostra flotta: il 57% del naviglio ha meno di 10 anni e il 33% ha meno di 5 anni, e che spiega l’aumento dell’occupazione per le maggiori dimensioni delle navi (tra cui quelle da crociera costituiscono dei fattori di crescita importanti, sia per tonnellaggio che per occupazione). Aumentano infatti secondo il grafico i posti di lavoro a bordo (+24,5%) ma quasi totalmente a vantaggio dei lavoratori extracomunitari, che beneficiano dell’87% dell’incremento di 6000 posti di lavoro, pari a 5200 unità, mentre i marittimi italiani (e comunitari) restano sostanzialmente al palo. I marittimi italiani del settore del trasporto dunque esistono ancora e sono anche cresciuti di numero, ma per quasi il 90% i nuovi occupati sono extracomunitari, per cui la quota totale di stranieri non comunitari a bordo delle nostre navi in otto anni è salita di quasi 13 punti, dal 21,6% al 34,4%. Non sappiamo purtroppo quanti siano in percentuale ufficiali e quanti no. La conclusione che se ne trae è che le misure intraprese hanno avuto un buon effetto generale sul sistema, premiando molto il lato della domanda, ossia delle imprese, che sono rientrate in gran numero sotto bandiera italiana e hanno rilanciato la crescita e il rinnovamento della flotta; premiando altresì l’offerta, ossia l’occupazione, sebbene in misura minore e penalizzando la componente italiana (o comunitaria) che costituiva il secondo fondamentale obiettivo della manovra legislativa avviata con il RI. I marittimi italiani dunque non sono in estinzione, ma certo non godono di buona salute per il futuro. Ma quale sarà il futuro continuando l’attuale tendenza? Continuerà a crescere e a rinnovarsi la nostra flotta. Se nel periodo 1997-2006 sono state consegnate 475 unità, alla fine del 2006 erano 43 le unità in costruzione in cantieri italiani o esteri e alcune altre decine di ordini di navi si sono aggiunti nel frattempo. Le previsioni di CONFITARMA riassunte nel grafico seguente indicano che l’aumento della flotta continuerà, con l’obiettivo, indicato dal Presidente di CONFITARMA Nicola Coccia all’Assemblea sociale del 2006, del raddoppio della flotta nei successivi 10 anni:

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(*) stime

In particolare, le navi in RI tenderanno a crescere sino a comprendere quasi l’intera flotta, almeno per il tonnellaggio. Del resto, al 31 dicembre 2006 il RI già contava 567 navi, che rappresentano il 38% del totale, equivalenti a 11.703.530 tsl che rappresentano l’89% del totale. Nel registro ordinario tenderà a rimanere solo il naviglio minore per tonnellaggio e quindi per raggio di navigazione, come mostra il grafico seguente di fonte CONFITARMA:

Questa prospettiva porta a prevedere che l’ulteriore estensione del naviglio in RI farà aumentare il profilo occupazionale “internazionale” caratterizzato dalla prevalenza, e talora totalità (se si esclude il comandante, tuttora vincolato dalle norme a essere comunitario), di equipaggi extracomunitari. Gli stessi sindacati dei lavoratori sembrano rassegnati in questo senso e non nutrono speranze di un esito diverso, visto che hanno dichiarato alla Commissione europea che

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prevedono che la crescita occupazionale prodotta dalla crescita della flotta sarà assorbita da marittimi stranieri1. È pur vero che il fenomeno italiano si accorda abbastanza con le tendenze mondiali, nel cui ambito resiste e per certi versi si aggrava il problema del progressivo declino delle marinerie europee, nonostante quindi il grido di allarme di 10 anni fa sul pericolo di estinzione. È opportuno tuttavia cercare di capire la grandezza e l’articolazione del fenomeno a livello mondiale per affrontarlo razionalmente a livello nazionale. Ci aiuta in questo senso l’osservatorio internazionale più accreditato sulla domanda e l’offerta di personale marittimo, il BIMCO/ISF Manpower Update. Nel suo più recente rapporto, aggiornato alla fine del 2005, esso stima la presenza sul mercato del lavoro mondiale di un’offerta di 466.000 ufficiali e di 721.000 sottoufficiali e marinai (al netto del personale alberghiero presente sulle navi passeggeri, non considerato dall’indagine)2. Nell’ambito di queste cifre, come mostra la figura che segue, i paesi sviluppati ossia i membri dell’OCSE (Nord America, Europa occidentale, Giappone ecc.) restano fonti importanti di lavoratori marittimi (con un calo però degli ufficiali rispetto alla precedente rilevazione del 2000: da 150.000 a 133.000), così come l’Europa orientale, in cui sono compresi stati nel frattempo divenuti comunitari (con gli ufficiali in forte aumento rispetto al 2000: da 60.000 a 95.000). L’Estremo oriente, con il Sud Est asiatico, e il Subcontinente indiano formano la più grande fonte di offerta di sottoufficiali e marinai, ma stanno rapidamente diventando anche una fonte importante per gli ufficiali (in aumento dal 2000 da 150.000 a 201.000):

Parallelamente, il rapporto stima una domanda mondiale di 476.000 ufficiali e di 586.000 sottoufficiali e marinai. Il saldo tra domanda e offerta indica quindi alla fine del 2005 una carenza di 10.000 ufficiali, pari al 2% del totale, e un surplus di offerta tra i ranghi inferiori di 135.000 unità, pari a circa il 20% del totale. Il rapporto rileva che la carenza di ufficiali è diminuita (nel 2000 era del 4%, pari a 16.000 ufficiali), ma spiega che questo è dovuto alla crescita dell’offerta proveniente dal Subcontinente

1 Cfr. ECOTEC Research & Consulting, An exhaustive analysis of employment trends in all sectors related to sea or using sea resources, op.cit. 2 BIMCO (The Baltic and International Maritime Council) / ISF (International Shipping Federation) - Manpower 2005 Update - The worldwide demand for and supply of seafarers – Warwick Institute for Employment Research – December 2005.

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indiano e dall’Estremo oriente in cui sono aumentati i livelli di formazione dei marittimi, oltre che per un fattore unico e non ripetibile che è stato l’ingresso massiccio nel mercato degli ufficiali dei paesi dell’Est europeo, dopo il progressivo declino delle loro flotte di stato a seguito del “crollo del muro di Berlino”. Ad un’analisi più profonda emerge il perdurare di carenze gravi in alcuni segmenti di mercato, come le navi per trasporti specializzati (chimichiere, gassiere ecc.), e per certi gradi e tipologie di comando. Inoltre per certi paesi si aggiunge l’aggravarsi del fenomeno dei ritiri precoci dalla carriera di bordo. I dati degli ufficiali rivelano anche che la domanda nei loro confronti è cresciuta in misura maggiore di quanto non si prevedesse nel 2000, grazie all’aumento costante del numero delle navi e delle loro dimensioni, ma anche l’offerta è cresciuta in maniera significativa. Inoltre, la carenza di ufficiali si mostra più problematica di quanto la stima del 2% non indichi, basti pensare alle difficoltà di fare incontrare domanda e offerta di lavoro dovendo incrociare diversi mercati nazionali o continentali. Basti inoltre pensare agli ostacoli delle differenze culturali e linguistiche, alla mancanza di esperienza internazionale dei nuovi gruppi emergenti e alle restrizioni imposte da parte di alcune bandiere. In particolare, come mostra la tabella seguente, per quanto riguarda i paesi dell’OCSE, tra cui l’Italia, il rapporto stima che in conseguenza dell’aumento della domanda (proveniente per lo più dai paesi più industrializzati proprietari delle flotte) contemporaneo all’aumento dell’offerta (proveniente per lo più dai paesi meno industrializzati fornitori di manodopera) ci sia un mismatch per gli ufficiali limitatamente ai paesi dell’OCSE molto più alto, pari a -35.000, del saldo mondiale che invece si attesta su – 10.000. Ancora più marcata e addirittura di segno opposto è la differenza tra il valore del saldo mondiale e quello riferito ai paesi dell’OCSE se si guarda ai marittimi comuni. Per questi ultimi, per i quali si stima un esubero dell’offerta di 135.000 unità a livello mondiale, nei paesi dell’OCSE tra cui l’Italia si stima invece una mancanza di 44.000 unità1:

Per quanto riguarda il futuro, il rapporto prevede che mantenendosi le attuali tendenze di crescita della domanda e dell’offerta, il saldo al 2015 per gli ufficiali sarà negativo per il 5,9%, pari a una mancanza di 27.000 unità, quindi con un peggioramento di più del doppio, mentre crescerà, solo relativamente di meno, il surplus di marinai che sale al 21,6% pari a 167.000 unità. Se per l’oggi quindi la situazione risulta meno grave di quello che si temeva, il futuro si annuncia comunque molto critico. Questo a livello mondiale, mentre per l’Europa, come per gli altri paesi OCSE, è evidente che la tendenza è la riduzione della loro quota di mercato, il cui baricentro pare spostarsi inesorabilmente verso oriente.

1 Tabella tratta da: Tecnologie & Trasporti mare, marzo-aprile 2007, su elaborazione di dati BIMCO-ISF 2005..

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Guardando in particolare all’Italia, il rapporto BIMCO/ISF stima che il nostro paese avrebbe contribuito nel 2005 all’offerta mondiale con 9.560 ufficiali, pari al 2,05% del totale dell’offerta degli ufficiali, e con 11.390 comuni, pari all’1,58% dell’offerta dei comuni, per un totale di 29.950 marittimi, pari all’1,71% dell’offerta totale1. La ricognizione che lo studio dell’UE fa in termini assoluti e percentuali del contributo delle diverse marinerie alla flotta mondiale, se messo a confronto con la composizione della stessa flotta mondiale secondo gli stati, e cioè le bandiere, di appartenenza, ci restituisce alcuni quadri comparativi molto efficaci per comprendere la globalizzazione del mercato del lavoro marittimo:

Flotte di bandiere Gross

Tonnage Panama 20,8

Liberia 8,5 Bahamas 5,6

Grecia 5,1 Hong Kong 4,1 Singapore 4,1

Isole Marshall 3,6 Malta 3,5 Cipro 3,4 Cina 3,2

Norvegia 3,0 Giappone 2,1

Italia 1,7 Stati Uniti 1,7

Regno Unito 1,6 Russia 1,4

Germania 1,3 Corea del Sud 1,2

Danimarca 1,2 India 1,2

Antigua/Barbados 1,1 Isola di Man 1,1

Bermuda 1,0 Malesia 1,0

Saint Vincent 1,0 Olanda 0,9

Filippine 0,8 Francia 0,8

Iran 0,8 Turchia 0,7

Belgio 0,6 Indonesia 0,6

Svezia 0,6 Taiwan 0,6 Spagna 0,5

Tailandia 0,5 Brasile 0,4

Canada 0,4 Isole Cayman 0,4

Kuwait 0,4 Totale 92,5

Totale Mondo 100,0

StatiMarittimioccupati

Cina 9,96Filippine 9,81Turchia 6,72

India 6,43Ucraina 5,30Russia 4,54

Indonesia 3,40Grecia 2,61

Birmania 2,36Egitto 1,79Italia 1,71

Stati Uniti 1,68Giappone 1,62Honduras 1,60

Croazia 1,59Regno Unito 1,51

Lettonia 1,43Vietnam 1,42

Brasile 1,36Sri Lanka 1,28Norvegia 1,26Canada 1,19Svezia 1,13

Corea del Sud 1,08Polonia 1,07

Romania 1,07Malesia 1,03

Pakistan 0,99Cile 0,86

Spagna 0,81Totale 68,65

Totale Mondo 100,00

Stati Ufficiali

occupati India 9,97

Filippine 9,94 Cina 9,15

Ucraina 6,20 Turchia 4,74 Russia 4,65 Grecia 3,64

Regno Unito 3,01 Giappone 2,78

Vietnam 2,25 Croazia 2,21

Italia 2,05 Polonia 1,81

Romania 1,81 Corea del Sud 1,76

Norvegia 1,74 Indonesia 1,66

Lettonia 1,61 Stati Uniti 1,38 Birmania 1,29

Svezia 1,05 Canada 0,98 Brasile 0,97

Honduras 0,91 Malesia 0,91 Spagna 0,86

Egitto 0,85 Pakistan 0,61

Cile 0,51 Sri Lanka 0,32

Totale 71,65 Totale Mondo 100,00

1 Cfr. Appendix V, in ILO –Subcommittee of the Joint Maritime Commission, op. cit.

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Nella prima colonna sono elencate le flotte di bandiera in ordine decrescente di tonnellaggio (flotte con almeno 2 milioni di tonnellaggio complessivo, dati 2004). Sono 40 bandiere, che totalizzano il 92,5% del tonnellaggio mondiale. Più di un terzo di tale tonnellaggio è in bandiera di paesi (Panama, Liberia e Bahamas) che non sono quelli di nazionalità degli armatori. Se ai tre paesi più noti, e per questo anche in cima alla classifica, si aggiungono i valori di Malta, Cipro, Isole Marshall ecc., anch’esse bandiere di comodo, si supera abbondantemente la metà del tonnellaggio mondiale. La bandiera della Grecia è la prima autentica, dotata di quel “genuine link” (legame sostanziale tra proprietà e bandiera) che attraverso il diritto marittimo internazionale si cerca di fare rispettare per evitare i fenomeni delle bandiere di comodo. L’Italia è in 13ª posizione, terza delle europee, escluse Malta e Cipro, con l’1,7%. Nella seconda colonna sono elencate gli stati in ordine decrescente di marittimi nazionali occupati a bordo delle flotte mondiali (marinerie con almeno 10.000 marittimi, dati 2005). Sono 30 stati, che totalizzano il 68,65% della gente di mare mondiale. Si noti che non sono presenti 22 degli stati rappresentanti con la loro bandiera nella prima graduatoria: Antigua, Bahamas, Belgio, Bermuda, Cipro, Danimarca, Francia, Germania, Hong Kong, Iran, Man, Cayman, Marshall, Kuwait, Liberia, Malta, Olanda, Panama, Saint Vincent, Singapore, Tailandia, Taiwan. Non solo quindi le bandiere di comodo, che si confermano tali prive di marinerie nazionali, ma anche di converso importanti pesi marittimi europei, come Francia, Germania, Danimarca, Olanda, le cui marinerie sono state evidentemente già abbattute dall’internazionalizzazione. Sono invece presenti 8 stati con le rispettive marinerie le cui flotte non erano rappresentate nella prima graduatoria: Birmania, Cile, Croazia, Egitto, Honduras, Lettonia, Pakistan, Polonia, Romania, Sri Lanka, Ucraina, Vietnam. Guidano la graduatoria Cina e Filippine, seguiti da Turchia, Ucraina, Russia ecc. L’Italia è all’11° posto, due posti più in alto rispetto alla graduatoria del tonnellaggio, seconda tra gli stati comunitari dopo la Grecia e terza tra gli europei dopo anche l’Ucraina. Nella terza colonna sono elencati gli stati in ordine decrescente di ufficiali nazionali occupati a bordo delle flotte mondiali (marinerie con almeno 10.000 marittimi, dati 2005). Sono i 30 stati già inclusi nella precedente graduatoria (gli ufficiali sono un di cui), che totalizzano il 71,65% degli stati maggiori mondiali. Si noti la performance dell’India, prima in graduatoria, delle Filippine e della Cina. L’Italia è all’12° posto, in una posizione intermedia rispetto alle due graduatorie precedenti. Si osservi il seguente grafico che, selezionando un campione di 8 stati tra quelli considerati dalle graduatorie, permette di evidenziare la posizione dei paesi primi in graduatoria, quella dell’Italia e quella di alcuni altri paesi europei interessanti con cui fare un confronto.

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Cina

Cina

Cina

Cina

Filippine

Filippine Filippine

India

India

India

IndiaUcraina

UcrainaUcrainaGrecia

Grecia

GreciaGrecia

ItaliaItalia

Italia ItaliaRegno Unito

Regno Unito

Regno Unito

Regno Unito

Norvegia

Norvegia

NorvegiaNorvegia

Filippine

0,0

2,0

4,0

6,0

8,0

10,0

12,0

GT ufficiali comuni totale

I paesi come la Cina, le Filippine, l’India, l’Ucraina, perché la quantità dei loro marittimi esorbita le dimensioni delle rispettive flotte (nel caso dell’Ucraina, addirittura, la flotta non è rappresentata perché al di sotto della soglia considerata), contribuiscono in misura determinante al mercato del lavoro delle altre bandiere prevalentemente quelle di comodo che non hanno proprie marinerie. La Grecia e la Norvegia, invece, costituiscono un esempio diverso: hanno flotte importanti a livello mondiale, con equipaggi mediamente composti in misura ridotta da marittimi nazionali (soprattutto tra i comuni) e per la maggioranza da marittimi di altri paesi. Il Regno Unito costituisce un esempio ancora diverso: presenta un numero esuberante di ufficiali rispetto alle dimensioni flotta, segno che contribuiscono agli equipaggi di navi di altra bandiera, mentre presenta un numero molto inferiore di comuni per coprire i cui posti si utilizzano evidentemente marittimi non britannici. L’Italia, infine, appare lo stato con valori più equilibrati, come mostra anche la disposizione della linea nel grafico: flotta e marittimi nazionali sono abbastanza vicini come percentuali, con un certo eccesso di ufficiali, segno del fatto che ne esportiamo un certo numero, e una lieve deficienza di comuni, segno del fatto che ne importiamo. La situazione italiana non appare ancora compromessa sotto il profilo dell’internazionalizzazione degli equipaggi della sua flotta, con una tenuta abbastanza positiva dell’occupazione nazionale, soprattutto se comparata con le realtà e le tendenze a livello

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mondiale. Rapportando infatti l’attuale quota di partecipazione di ufficiali italiani alla previsione complessiva degli ufficiali mancanti, si ottiene secondo il rapporto BIMCO-ISF il numero di circa 200 ufficiali italiani che mancherebbero all’appello dell’attuale mercato del lavoro mondiale. Un numero obiettivamente contenuto. Proiettato sul 2015, se l’Italia vorrà contribuire al mercato del lavoro mondiale mantenendo almeno la stessa quota percentuale attuale, il dato prefigura 540 ufficiali italiani mancanti. Opposto invece il discorso per quanto concerne i gradi inferiori, dove si riscontra a livello mondiale un surplus di offerta dovuto all’ingresso massiccio nel mercato di un numero eccessivo di marittimi dai paesi meno sviluppati, fenomeno che ha già riflessi, e probabilmente ne avrà ancora più in futuro, sull’occupazione italiana che ancora resiste in quei ranghi. Facendo il rapporto tra la domanda prevista e l’offerta italiana di sottoufficiali e marinai si ottiene un surplus in quei ranghi di circa 2000 marittimi italiani. Proiettato al 2015, secondo la previsione BIMCO, il surplus salirebbe a circa 2500. La “profezia che si autoavvera”? Di fronte a queste minacce, a questi dati, a queste proiezioni e tendenze, che cosa si è fatto in Italia? Che effetti hanno avuto le risposte italiane alle “minacce” del mercato del lavoro internazionale? Nel corso del libro abbiamo già avuto modo di rilevare molte delle misure adottate dall’Italia ai vari livelli, istituzionali e sociali, e di evidenziare alcune contraddizioni. In questo paragrafo cercheremo di offrire un quadro sistematico e il più possibile esauriente degli interventi normativi, contrattuali, economici messi in campo e delle volontà politiche manifestate e verificate. L’ipotesi che si avanza, a mo’ di provocazione intellettuale, è che ci si trovi di fronte ad un clamoroso caso di “profezia che si autoavvera”, in altre parole, di un’opinione che, pur essendo originariamente falsa, per il fatto di essere creduta, conduce ad un comportamento che la fa avverare1. Quello che si intende dimostrare non è tuttavia la “falsità” della affermazione sulla minaccia di estinzione, la quale ovviamente ha molti dati e argomenti a suo favore che peraltro abbiamo anche condiviso nella presente trattazione, quanto la mancanza di comportamenti conseguenti rivolti a verificarne il grado di assoluta o meno veridicità e a cercare di contrastarne efficacemente le conseguenze. La nostra ricostruzione parte dal 1998, anno di istituzione del RI grazie alla legge 30, e arriva ad oggi:

Misure di tutela dell’occupazione italiana e/o di promozione del lavoro marittimo italiano

Condizioni/comportamenti per l’efficacia delle misure

Azioni conseguenti per rendere effettive le misure e stato dell’arte

OBBLIGHI DEGLI ARMATORI & INCENTIVI PER L’IMBARCO DEGLI ALLIEVI UFFICIALI

La legge 30 del 1998 ammette marittimi stranieri a bordo di navi italiane iscritte nel RI, purché si conservino almeno 6 posti agli italiani/comunitari, tra cui due allievi ufficiali.

L’obbligo degli armatori nei confronti degli allievi è legato alla vigenza dei benefici economici derivanti dall’ap-plicazione di alcune norme di legge.

PARLAMENTO: FATTO. La legge 522 del 1999 ha differito alla fine del 2001 la vigenza dei benefici previsti dalla legge 343 del 1995 per l’imbarco degli allievi ufficiali. PARLAMENTO: NON

1 Il concetto di profezia che si autoavvera fu introdotto per la prima volta nelle scienze sociali nel 1948 dal sociologo Robert K. Merton (1910-2003) e descrive “una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”.

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Misure di tutela dell’occupazione italiana e/o di promozione del lavoro marittimo italiano

Condizioni/comportamenti per l’efficacia delle misure

Azioni conseguenti per rendere effettive le misure e stato dell’arte

FATTO. Dalla fine del 2001 i benefici economici sono cessati, non sono stati rinnovati dal Parlamento né è stata modificata la legge 30 sotto il profilo di questo specifico vincolo, per cui la misura a favore degli allievi è vanificata.

ISTITUZIONE DELL’OSSERVATORIO DEL MERCATO DEL LAVORO E DEL TURNO GENERALE UNICO

La legge 30 del 1998 stabilisce la creazione dell'Osservatorio del mercato del lavoro marittimo e l’istituzione del “Turno generale unico di collocamento della gente di mare”, strumenti ritenuti essenziali per salvaguardare e gestire l'occupazione dei marittimi italiani e per promuovere le necessarie misure promozionali e formative: il primo strumento, finalizzato alla continua verifica dello stato della categoria e di gestione del fabbisogno di manodopera occorrente alla flotta nazionale; il secondo per allargare le chiamate d'imbarco a tutti i compartimenti marittimi nazionali, accertando in tale modo con sicurezza la presenza o meno di marittimi disponibili all'imbarco prima di ricorrere all'utilizzazione di personale straniero.

Le modalità di funzionamento dell’Osservatorio e quelle del Turno unico sono determinate da altrettanti decreti del Ministero dei Trasporti.

MINISTERO DEI TRASPORTI: NON FATTO. I decreti ministeriali non sono stati emanati, nonostante i reiterati richiami da parte dei sindacati. Nel 2005, a 7 anni di distanza dalla legge 30 il Ministero dei Trasporti ha bandito e affidato un incarico per la realizzazione di un sistema per la gestione dei dati dei marittimi, finalizzato al funzionamento dell’Osserva-torio del lavoro marittimo e all’istituzione del Turno generale unico di collocamento della Gente di mare. Non si conosce la data di consegna (il piano finanziario va al 2009). Per quanto ci è noto si è ancora alla fase dell’analisi. In conseguenza del DPR231/2006 il Ministero dei Trasporti ha tolto dall’incarico alla società affidataria la parte relativa alle funzioni del collocamento, mantenendo la parte dell’informa-tizzazione delle matricole ma vanificando così l’obiettivo sia dell’Osservatorio che del Turno.

INIZIATIVE DELLE PARTI SOCIALI PER LA PROMOZIONE DEL LAVORO MARITTIMO

Nel verbale di accordo per il rinnovo contrattuale dei marittimi, sottoscritto da CONFITARMA, FILT-CGIL,

Va istituito “l’'Ufficio di orientamento per il lavoro marittimo"con il compito di monitorare l'offerta e la

CONFITARMA-FEDARLINEA-CGIL-CISL-UIL: NON FATTO. Né il Comitato paritetico e di

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Misure di tutela dell’occupazione italiana e/o di promozione del lavoro marittimo italiano

Condizioni/comportamenti per l’efficacia delle misure

Azioni conseguenti per rendere effettive le misure e stato dell’arte

FIT-CISL e UILTRASPORTI, il 5 agosto 1999, sotto il titolo di “Politiche attive dei lavoro marittimo”, le parti, allo scopo di individuare strumenti e programmi idonei a gestire politiche inerenti il governo del mercato dei lavoro e la formazione professionale, convengono di costituire un “Comitato Nazionale Paritetico per il Lavoro Marittimo” con il compito di sovraintendere e programmare l'attività delle strutture dedicate al Mercato del lavoro e alla Formazione professionale.

domanda di lavoro marittimo nonché di agevolare l'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro. L'ufficio si avvale dei dati di una costituenda “Banca dati del mercato dei lavoro marittimo”. Le parti costituiscono inoltre un "Coordinamento per la formazione professionale", di natura paritetica, con il compito di definire periodicamente, in raccordo con le istituzioni competenti, politiche e programmi per la formazione professionale per il settore, fornendo altresì informazioni ed orientamenti alle imprese, ai lavoratori, ed eventualmente al sistema scolastico.

conseguenza nessuna delle strutture previste hanno visto la luce. Pertanto non è stato nemmeno avviato alcuno dei compiti indicati.

AGGIORNAMENTO DEI REQUISITI PER I TITOLI PROFESSIONALI & AMPLIAMENTO DEL BACINO DI OFFERTA DI ALLIEVI UFFICIALI

Il decreto 5 ottobre 2000 del Ministero dei Trasporti nell’indicare i requisiti e i limiti delle abilitazioni, nonché le modalità di rilascio delle certificazioni della gente di mare di cui alla convenzione STCW/78, come emendata nel 1995, amplia il bacino di reclutamento degli ufficiali ammettendo qualsiasi tipo di diploma medio superiore al posto del solo diploma nautico e accorcia il periodo di tirocinio da 18 a 12 mesi di imbarco.

Per rendere operante il decreto occorre un ulteriore decreto del Ministero dei Trasporti contenente i nuovi programmi di esame da sostenere per ottenere i nuovi titoli professionali aggiornati.

MINISTERO DEI TRASPORTI: NON FATTO. Da 7 anni si aspetta il decreto che amplierebbe la platea dei potenziali allievi ufficiali e accorcerebbe il periodo di transizione tra la formazione e l’impiego dei nuovi ufficiali. Da alcuni anni, tutti i rappresentanti del mondo marittimo hanno chiesto inutilmente in tutte le sedi al Ministero di emanare il decreto. Il testo del decreto è entrato finalmente nel 2007 tra gli obiettivi degli uffici ministeriali competenti, ma il completamento dell’obiettivo è previsto non prima del 2008.

FONDO MINISTERIALE PER LA PROMOZIONE DEI TRASPORTI MARITTIMI SICURI ATTRAVERSO ATTIVITÀ DI RICERCA E FORMAZIONE

ATTO I La legge 388 del 2000, “Finanziaria” del 2001, all’art.145, comma 40 istituisce un fondo straordinario di L.1,5

Il decreto 17 aprile 2003 del Ministero dell’economia e delle finanze contiene le modalità di attuazione per la parte del fondo annuale (80%, pari a

PARLAMENTO: FATTO 4 NORME DI LEGGE. MINISTERO

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Misure di tutela dell’occupazione italiana e/o di promozione del lavoro marittimo italiano

Condizioni/comportamenti per l’efficacia delle misure

Azioni conseguenti per rendere effettive le misure e stato dell’arte

miliardi per il 2001 e per il 2002, per la promozione dei trasporti marittimi sicuri, anche mediante il finanziamento di studi e ricerche. Per la prima volta si crea uno stanziamento sul bilancio statale dedicato alla sicurezza marittima sotto il profilo della ricerca E della formazione. La norma è tuttavia molto laconica e per un anno non succede nulla. ATTO II La successiva “Finanziaria” 2002 (L.488/2001, art.22, c.14) modifica la norma: lo stanziamento viene innalzato a € 5.164.589,99 e reso permanente con un fine specifico: «… le risorse del fondo, in misura non inferiore al 70% delle dotazioni complessive, sono destinate a misure di sostegno e incentivazione per la formazione professionale permanente realizzate dagli istituti per la professionalità nautica. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni del presente comma». Un’ottima notizia: lo stanziamento entra nel bilancio ordinario! Si moltiplica: da 1,5 miliardi di lire a più di 5 milioni di euro! Si specifica la missione della formazione nautica a cui vengono destinati i fondi almeno per il 70%! Si entra infine nella fase operativa: si annuncia un decreto del Ministro dell’economia e finanze! ATTO III La successiva “Finanziaria” 2003 (L.289/2002, art.80, comma 13) modifica ulteriormente la norma, innalzando all’80% la quota

€4.131.680,00) relativa alla formazione professionale: «Il finanziamento… è riservato agli istituti per le professionalità nautiche costituiti sotto forma di ONLUS, partecipati direttamente da o convenzionati con istituti di istruzione universitaria che, alla data di pubblicazione del presente decreto, abbiano istituito un forum permanente per la formazione e l'alta formazione professionale. …. tenuto conto dell'esigenza di attivare tempestivamente l'iniziativa per il sostegno e l'incentivazione dell'alta formazione professionale, le istanze di finanziamento devono essere presentate, entro 30 giorni dalla pubblicazione del presente decreto in GU ». A quella data esisteva un solo ente in Italia che avesse tutti i requisiti, tra cui il “forum permanente per la formazione e l'alta formazione professionale” indecifrabile entità assunta come requisito di legge! Questo istituto il cui “biglietto da visita”, salvo nome e cognome, è iscritto in legge dello stato, è l’ISMEF (Istituto Mediterraneo di Formazione per le Professionalità nautiche) con sede a Minturno (Latina).

DELL’ECONOMIA E FINANZE: FATTO DECRETO ATTUATIVO. MINISTERO DEI TRASPORTI: FATTA COMMISSIONE AGGIUDICATRICE E FINANZIATO L’ISMEF DI MINTURNO (LT) PER QUASI 10 MILIONI EURO DESTINATI ESCLUSIVAMENTE ALLA NAUTICA DA DIPORTO. L’unica fonte di finanziamento statale iscritta a bilancio ordinario a favore della formazione marittima, la cui entità è tale che permetterebbe il finanziamento di molteplici iniziative, attraverso una sapiente regia parlamentare condotta dal 2000 in avanti, diventa un fondo esclusivo per un ente impegnato nella nautica da diporto, di cui la metà (diversi milioni di euro) è destinato alla ristrutturazione della sede, ovvero ad un’operazione immobiliare.

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Misure di tutela dell’occupazione italiana e/o di promozione del lavoro marittimo italiano

Condizioni/comportamenti per l’efficacia delle misure

Azioni conseguenti per rendere effettive le misure e stato dell’arte

destinata alla formazione professionale e modificandone le finalità: «…a misure di sostegno e incentivazione per l’alta formazione professionale tramite l’istituzione di un forum permanente realizzato da una o più ONLUS per la professionalità nautica partecipate da istituti di istruzione universitaria o convenzionate con gli stessi. Tali misure, in una percentuale non superiore al 50%, possono essere destinate dai citati enti alla realizzazione, tramite il recupero di beni pubblici, di idonee infrastrutture». ATTO IV La “Finanziaria” 2005 (L.311/2004, art.1, comma 236) precisa che il fondo «deve intendersi destinato al settore della nautica da diporto». A scanso di equivoci, si stabilisce che la totalità dello stanziamento, unico previsto in tutto il bilancio statale, vada alla nautica da diporto e quindi né alla pesca né ai trasporti, nonostante la norma originaria disponesse i fondi per “la sicurezza dei trasporti marittimi”!

TONNAGE TAX & OBBLIGO DI IMBARCO DI ALLIEVI UFFICIALI

Gli artt. 155 e sgg. del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), introdotti dal Dlvo n.344 del 2003, prevedono che le imprese di navigazione possono scegliere di determinare il reddito imponibile in via forfetaria. Si tratta della versione italiana della Tonnage Tax, un regime fiscale opzionale introdotto da alcuni stati marittimi per incentivare la permanenza delle flotte sotto la loro bandiera, che

Il decreto emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze il 23 giugno 2005 stabilisce che “l'obbligo di formazione si ritiene assolto laddove l’armatore provveda ad imbarcare un allievo ufficiale per ciascuna delle navi, o in alternativa, provveda, al fine di assicurare tale addestramento, a versare al Fondo nazionale marittimi ovvero ad istituzioni aventi analoghe finalità, un importo annuo, da determinarsi

MINISTERO DEI TRASPORTI: NON FATTO. Si è tuttora in attesa del decreto del ministero dei Trasporti che determini l’importo annuo previsto in alternativa all’imbarco dell’allievo ufficiale, in base al numero delle unità navali interessate e ai costi medi connessi all'attività formativa e stabilisca a quale istituzione formativa debbano essere riversati tali importi.

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Misure di tutela dell’occupazione italiana e/o di promozione del lavoro marittimo italiano

Condizioni/comportamenti per l’efficacia delle misure

Azioni conseguenti per rendere effettive le misure e stato dell’arte

chiede in cambio agli armatori l’impegno a formare a bordo delle loro navi gli allievi ufficiali o in alternativa a pagarne la formazione altrove. Le modalità di tale adempimento sono inserite in un decreto emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze. Il mancato rispetto di tale condizione determina la perdita di efficacia dell'opzione.

con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti”.

Senza tale decreto, atteso da 2 anni dal precedente decreto, la Tonnage Tax non può essere operativa perché resta in sospeso l’aspetto di promozione degli imbarchi degli allievi.

INIZIATIVE DELLE PARTI SOCIALI PER LA FORMAZIONE DEGLI ALLIEVI UFFICIALI E DEL PERSONALE IN SERVIZIO

Nel verbale di accordo per il rinnovo contrattuale dei marittimi, sottoscritto da CONFITARMA, FILT-CGIL, FIT-CISL e UILTRASPORTI, l’11 giugno 2003, le parti convengono di definire insieme dei percorsi formativi per gli allievi ufficiali e di incentivare l’imbarco degli allievi riducendo al 70% la loro paga a bordo durante il periodo di formazione (del 50% quella degli allievi non ufficiali). Inoltre, convengono che le aziende pubbliche e private aderiranno ai Fondi interprofessionali per la formazione continua dei marittimi già in servizio. Infine, per le aziende private convengono di utilizzare risorse del Fondo nazionale marittimi per organizzare corsi sulla sicurezza per favorire l’accesso alla carreiera marittima di coloro che non sarebbero in grado di finanziarseli.

CONFITARMA-FEDARLINEA-CGIL-CISL-UIL: FATTO IN PARTE. La riduzione della paga al 70% è stata applicata agli allievi dell’Accademia Italiana della Marina Mercantile. tuttavia gli armatori associati a CONFITARMA quando imbarcano allievi non dell’Accademia applicano il 100% creando una situazione di sfavore ai danni dell’Accademia e incentivando di fatto gli allievi a evitare il percorso formativo a terra. FEDARLINEA ha aderito a FORTE, fondo inteprofessionale del commercio con cui ha sviluppato attività di formazione per i marittimi della Tirrenia. CONFITARMA ha aderito a FONDIMPRESA, fondo dell’industria, ma solo una parte delle imprese hanno poi aderito effettivamente e nessuna attività è stata avviata. Il Fondo nazionale Marittimi non ha promosso autonomamente alcuna attività, ma versa una quota di finanziamento annuale di euro 50.000 all’Accademia Italiana

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Misure di tutela dell’occupazione italiana e/o di promozione del lavoro marittimo italiano

Condizioni/comportamenti per l’efficacia delle misure

Azioni conseguenti per rendere effettive le misure e stato dell’arte

della Marina Mercantile.

INIZIATIVE DELLE PARTI SOCIALI PER LA PROMOZIONE DEL LAVORO MARITTIMO

Nel verbale di accordo per il rinnovo contrattuale dei marittimi, sottoscritto da CONFITARMA, FILT-CGIL, FIT-CISL e UILTRASPORTI, il 5 giugno 2007, le parti convengono sulla costituzione di un Comitato Nazionale Paritetico per il Lavoro marittimo, con il compito di promuovere iniziative di formazione e di promozione del lavoro marittimo.

CONFITARMA-FEDARLINEA-CGIL-CISL-UIL: NON FATTO. È passato un paio di mesi e quindi è obiettivamente troppo poco per pretendere che siano state fatte già delle cose. Tuttavia è giustificato nutrire dubbi per il fatto che si tratta della riedizione di un Comitato di 4 anni addietro che non si era nemmeno mai costituito. Inoltre, pesa sul dubbio anche che le parti sociali, dopo avere sottoscritto l’accordo non hanno più prospettato l’avvento del Comitato. Anzi, in un’occa-sione pubblica in cui si parlava di formazione e occupazione marittima, il Presidente di CONFITARMA invece di promuovere il Comitato, ha annunciato la partecipazione degli armatori italiani alla creazione di una scuola a Manila nelle Filippine, insieme a RINA, per formare e reclutare quelle risorse professionali che in Italia non si troverebbero più, compresi gli ufficiali.

INIZIATIVE LOCALI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE E POLITICHE DEL LAVORO

Iniziative locali (regionali, provinciali …) di formazione professionale e di politiche del lavoro, nel quadro di piani finanziati con fondi pubblici. regionali, FSE, quote di finanziamenti statali ecc. Partenariati locali (istituzioni, parti sociali, imprese ecc.) per promuovere tali iniziative.

Istituzione di strutture formative permanenti. Patti / Poli / Protocolli per la formazione dell’economia del mare. Promozione di singoli corsi di formazione per inserimento lavorativo per allievi ufficiali e di altre figure professionali (cuochi, commissari di bordo, frigoristi, elettricisti, piccoli di camera, skipper, motoristi,

PROVINCIA DI GENOVA con REGIONE LIGURIA, MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, CAPITANERIA DI PORTO, PORTO DI GENOVA, CONFITARMA, FEDARLINEA, CGIL, CISL, UIL, RINA, FINCANTIERI, AGENTI MARITIMI, CONFINDUSTRIA, FINCANTIERI e altri:

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Misure di tutela dell’occupazione italiana e/o di promozione del lavoro marittimo italiano

Condizioni/comportamenti per l’efficacia delle misure

Azioni conseguenti per rendere effettive le misure e stato dell’arte

marinai ecc.). Emissione di voucher formativi individuali da parte dei Centri per l’impiego per finanziare la partecipazione ai corsi per ottenere le certificazioni in materia di sicurezza indispensabili per lavorare a bordo.

ACCADEMIA ITALIANA DELLA MARINA MERCANTILE (scuola permanente nazionale degli allievi ufficiali a Genova): FATTO REGIONE VENETO, PROVINCIA DI VENEZIA, PORTO DI VENEZIA, CONFITARMA: ACCADEMIA DEL MARE (scuola allievi ufficiali a Venezia): FATTO CONFITARMA, CGIL, CISL, UIL, RINA, PROVINCIA DI GENOVA, REGIONE CAMPANIA: “FORMARE” POLO NAZIONALE (scuola di hotellerie di bordo a Napoli): FATTO UCINA, PROVINCIA DI LUCCA: FUCINA (scuola di Viareggio per la nautica da diporto): FATTO OSSERVATORIO NAZIONALE DELLA PESCA (FEDERPESCA, CGIL, CISL, UIL) in collaborazione con ISTITUTI PROFESSIONALI DEL MARE. CORSI DI FORMAZIONE E RIQUALIFICAZIONE: FATTO PROVINCE E REGIONI VARIE, ITNAUTICI, MINSIETRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, UNIVERSITà VARIE, COMPAGNIE DI NAVIGAZIONE VARIE: COSRI IFTS ecc. post diploma: FATTO

La quasi totalità delle misure intraprese a livello nazionale, sia dalle istituzioni che dalle parti sociali non è stata realizzata, per cui non c’è nemmeno la possibilità di verificarne l’efficacia. Più positivo è invece il bilancio delle iniziative assunte a livello locale, sotto la spinta e grazie alle risorse finanziarie pubbliche messe in campo o mobilitate dagli enti locali, regioni e province in testa, ma anche con un essenziale contributo dei Ministeri della Pubblica Istruzione e del Lavoro, anche in virtù delle competenze in materia di formazione professionale e politiche

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del lavoro decentrate alle regioni e alle province che hanno avuto il merito di coinvolgere positivamente anche le parti sociali e le imprese. Resta il fatto che se ci si limitasse a leggere solo la prima colonna a sinistra del quadro precedente se ne ricaverebbe l’idea di una ampia e incisiva politica nazionale a favore dell’occupazione marittima e di una puntuale e coerente azione condotta contestualmente alle misure a favore delle imprese. È l’impressione ingannevole che ha indotto probabilmente gli autori del recente rapporto commissionato dall’Unione Europea sul tema dell’occupazione marittima a evidenziare la buona performance dell’Italia nel quadro che registra in che misura i singoli stati membri hanno applicato le linee guida comunitarie per migliorare la competitività delle imprese marittime e l’occupazione, come mostra la tabella seguente tratta dallo stesso rapporto1:

Queste misure sono servite, come abbiamo notato a più riprese, al ritorno delle navi sotto le bandiere nazionali e alla crescita del tonnellaggio con l’immissione di nuove unità, ma non sono servite a impedire il declino dell’occupazione marittima comunitaria. Il rapporto invece non evidenzia l’incompiutezza e le contraddizioni delle iniziative assunte dall’Italia, limitandosi a segnalare la difficoltà creatasi per l’interruzione del finanziamento pubblico delle attività formative2, dando così a intendere che nonostante gli sforzi la battaglia per attrarre i giovani comunitari alle carriere di bordo non ha ormai molte speranze di riuscita. La diversa efficienza dell’approccio del Ministero dei Trasporti e di quello delle Regioni e degli enti locali emerge anche nelle posizioni rispettivamente assunte nella discussione pubblica aperta dalla Commissione europea sul Libro verde, pubblicato nel giugno 2006, “Verso la futura politica marittima dell’Unione: oceani e mari nella visione europea”, che rappresenta il primo passo verso una strategia nuova di approccio alle problematiche e alle potenzialità di sviluppo del settore. Grazie a questo “green paper” per la prima volta nella storia dell’Unione si riconosce al comparto marittimo un ruolo strategico per garantire lo sviluppo del mercato comunitario, ma specialmente si afferma la necessità di un approccio “olistico” che tenga conto delle necessità e delle prospettive di tutti i protagonisti delle attività connesse con il mare (dai traffici alla portualità, dalla pesca al turismo nautico), garantendo una compenetrazione continua tra gli obiettivi di crescita3. Per quanto riguarda l’importanza economica e le prospettive di crescita del comparto marittimo, il Libro verde affronta tra gli altri il tema dello sviluppo delle competenze professionali in campo marittimo dell’Europa e l’esigenza di promuovere l’occupazione sostenibile. Il settore marittimo ha bisogno di personale altamente qualificato. Inoltre, le imprese che formano il cosiddetto

1 ECOTEC Research & Consulting, An exhaustive analysis of employment trends in all sectors related to sea or using sea resources, op. cit. 2 Sjöfartens Analys Institut Research, European Shipping Policy 2004 – A Maritime Information & Analysis Report - Community guidelines on state aid to maritime transport and their implementation in EU countries, Goteborg, 2004. 3 Green Paper - Verso la futura politica marittima dell’Unione: Oceani e mari nella visione europea – “How inappropriate to call this planet Earth when it is quite clearly Ocean” (“È assurdo definire ‘Terra’ un pianeta composto per lo più da oceani”) citazione attribuita a Arthur C. Clarke - Bruxelles, 7.6.2006, COM(2006) 275 finale.

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“cluster marittimo”, ossia la complessa filiera dei settori che operano nel vasto campo dell’economia collegata al mare, necessitano dell’apporto costante della professionalità e della competenza di ex marittimi. Per questo occorre che i “cluster” dei diversi Stati membri si mobilitino per favorire il crearsi di queste nuove condizioni. Per invertire il trend negativo dell'occupazione marittima è infatti indispensabile incoraggiare la mobilità professionale tra i vari settori all’interno del “cluster”. Occorre inoltre garantire in tutta Europa una formazione conforme a standard internazionali come quelli prescritti dalla Convenzione internazionale sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio dei titoli e dei certificati, atta a fornire una serie di competenze supplementari che rispondano alle esigenze dell'industria, così da offrire maggiori sbocchi occupazionali e rafforzare la competitività della flotta europea. Occorre per questo scopo in particolare identificare le migliori pratiche e promuoverne l'attuazione. L'industria marittima potrà contare su un apporto di personale altamente qualificato solo se saprà attrarre nei propri centri di insegnamento e formazione i soggetti più brillanti e saprà offrire loro delle opportunità interessanti di apprendimento e di carriera. È in questa prospettiva che occorre restaurare l'immagine poco lusinghiera del settore. È essenziale offrire alla gente di mare, uomini e donne, condizioni di vita e di lavoro adeguate e consone agli standard legittimamente pretesi dai lavoratori europei. Determinante a questo riguardo è la ratifica della Convenzione consolidata sul lavoro marittimo adottata dall'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nel febbraio 20061. Nella circostanza, il Ministero dei Trasporti è intervenuto nella discussione, con un contributo che nominalmente accoglie gli apporti anche della quasi totalità del cluster marittimo, istituzionale, economico e sociale2. Vi si rileva che la mancanza di adeguate competenze marittime rappresenta un problema crescente anche in Italia, che spesso porta gli imprenditori a reclutare lavoratori stranieri. Di conseguenza c’è la necessità di implementare la formazione e la riqualificazione degli occupati, specialmente per mansioni specifiche, cercando anche di promuovere ulteriori iniziative per avvicinare i giovani a questo settore. Il Ministero osserva inoltre l’emergere dell’esigenza di una legislazione del lavoro nel settore marittimo che sia più convergente con le regole generali che si applicano all’intera classe lavoratrice, sia dal lato della protezione dei lavoratori, sia da quello dei diritti della formazione professionale. Sotto quest’ultimo profilo si ritiene essenziale includere le iniziative finalizzate alla qualificazione professionale dei marittimi nel quadro generale nazionale e europeo (nell’EQF (European Qualification Framework) e nell’ECVET (European Credit System forVocational Education and Training)) favorendo altresì la mobilità interregionale e intersettoriale prevista dal Libro verde per andare incontro ai fabbisogni del mercato. Rispetto allo scopo di rendere il settore più trasparente e di implementare azioni di supporto ai lavoratori, il Ministero segnala la riforma avviata con il DPR231. 1 La Convenzione consolidata sul lavoro marittimo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro è stata adottata il 23 febbraio 2006 dalla sessione marittima della Conferenza internazionale del lavoro dell’OIL riunitasi a Ginevra. Si tratta di una sorta di Testo Unico che consolida e aggiorna le norme marittime contenute nelle attuali convenzioni e raccomandazioni per consentire l’adozione di un unico strumento. Obiettivo della convenzione è stabilire norme minime internazionali per l’intero settore che siano semplici, chiare, coerenti, accettabili e applicabili in modo da predisporre un codice del lavoro marittimo. La Convenzione disciplina materie fondamentali come le condizioni di lavoro dei marittimi, cioè salute, sicurezza, età minima, modalità di assunzione, orari di lavoro, come pure la sistemazione a bordo e le tutele sociali ed è finalizzata a garantire condizioni di vita e di lavoro decenti a bordo delle navi. 2 Ministero dei Trasporti, Italian Contribution to the Public Consultation on European Marittime Policy, giugno 2007. Con il contributo di: Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dip. Politiche comunitarie - Ufficio di Segreteria del CIACE (Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei); Ministero degli Esteri; Ministero della Difesa - Stato Maggiore della Marina Militare, Comando Generale delle Capitanerie di Porto; Ministero dell’Interno; Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; Ministero delle Politiche Agricole; Ministero del Lavoro; Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome; Agenzia delle Dogane; IPSEMA; ASSITERMINAL; ASSOLOGISTICA; ASSONAVE; ASSOPORTI; CONFITARMA; FEDARLINEA; FEDERAZIONE DEL MARE; OGS; ICRAM; RINA; UCINA; RAM, Short Sea Shipping Ufficio Promozione Italia.

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Rispetto al problema centrale della discussione, ossia al forte decremento dell’occupazione marittima comunitaria, il Ministero rileva che il lavoro marittimo non attrae i giovani perché è rischioso, pesante e non gratificante, e che questa carenza diventa sempre più drammaticamente seria per la crescente complessità della navigazione e dei processi produttivi che avvengono a bordo della nave. Cresce in particolare la necessità di competenze nell’utilizzo dell’alta tecnologia, che richiedono un alto livello di professionalità e specializzazione anche nel caso di addetti meno qualificati. Questa tendenza può condurre, nel tempo, a una minore qualità del lavoro e a incrementare i rischi di incidenti e a considerevoli costi economici e sociali. Le stesse prospettive di sviluppo nel settore marittimo dipendono dalla difficoltà di assumere lavoratori; perciò è necessario offrire ai giovani e ai meno giovani i vantaggi di un lavoro attraente che dia prestigio nella società e nella famiglia, ma soprattutto un lavoro sicuro. Non ci può essere infatti sviluppo del settore se non si accompagna con lo sviluppo della sicurezza sul lavoro dei marittimi. L’interesse dei giovani verso il lavoro marittimo non cresce se l’intero settore non si mostra attraente ai potenziali lavoratori, come un’area dove si svolgono attività interessanti e di alto livello professionale. Lavori anche ben pagati, soprattutto, dove la qualità della vita e delle condizioni di lavoro sono offerte prima di ogni altra cosa, meglio di quello che viene offerto oggi alle occupazioni di terra. È necessario dunque, secondo la nota del Ministero dei Trasporti, creare un sistema di orientamento, corsi di formazione (professionali e sulla sicurezza), motivazione e incentivi per aumentare il livello di interesse e l’occupazione, investendo nella comunità, creando scuole e accademie. Questi corsi di formazione devono creare professionisti altamente professionalizzati. Riguardo alla competitività della flotta e alla sicurezza delle navi, sarebbe utile scambiare conoscenza e esperienza, creando per esempio una rete di uffici di orientamento in Europa, capace di trasmettere agli operatori dell’area un bagaglio di conoscenza sui problemi, le soluzioni trovate e le relazioni costi/benefici. Anche il concetto di cluster marittimo deve essere tenuto in grande considerazione. Con la spinta a un approccio meglio integrato, il settore privato potrebbe organizzarsi in una rete proficua attorno a progetti comuni (come l’insegnamento, per esempio). Il cluster può contribuire a rinforzare la competizione dell’intero settore o di gruppi di settori, condividendo conoscenza, intraprendendo azioni in progetti comuni, con riguardo alla ricerca e all’innovazione, la sinergia degli sforzi nell’insegnamento e nei settori della formazione, adottando pratiche comuni innovative entro gruppi di imprese o creando azioni di promozione condivise. Dunque, il Ministero dei Trasporti delinea nel suo contributo al “green paper” un orizzonte ampio di politiche da intraprendere, che peraltro ricalcano quelle già auspicate dieci anni fa salvo la novità del cluster come perimetro esteso dell’economia marittima in cui cercare nuovi equilibri e nuove soluzioni. Purtroppo sinora, come abbiamo potuto verificare, sono mancati proprio gli interventi concreti e operativi a dare seguito a queste politiche ministeriali, oltre all’assunzione di un ruolo effettivo di coordinamento e di promozione da parte dello stesso Ministero. Con l’aggravante che quando il Parlamento ha assunto una misura assolutamente rilevante sul piano finanziario, come quell’unico stanziamento a favore della sicurezza dei trasporti marittimi di 1,5 miliardi di lire straordinari poi cresciuti a 5 milioni di euro annuali, essa si è trasformata anche grazie alle decisioni del Ministero in un fondo “privatistico” nell’interesse di un solo ente di formazione della nautica da diporto, come abbiamo segnalato nello schema delle pagine precedenti. Inoltre, ponendo in maniera perentoria l’accento sulla qualità del lavoro marittimo che deve essere superiore a quella del lavoro a terra pena l’abbandono delle carriere marittime da parte dei nostri giovani, la posizione ministeriale per un verso interpreta le aspirazioni dei marittimi per una esigenza avvertita di risarcimento sociale1, per l’altro rischia di perdere di vista il nesso

1 Cfr. Dino Ribaldi, Al più presto una politica risarcitoria per il lavoro marittimo, in Nautes, Rivista IPSEMA, 1/2003.

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cruciale tra occupazione e condizioni di lavoro a bordo. È infatti la presenza di marittimi comunitari che rende possibile migliorare la qualità del lavoro a bordo e non viceversa, per cui occorre innanzitutto perseguire effettivamente, e non solo a parole, gli obiettivi di formazione e di promozione del lavoro marittimo tra i giovani italiani. Saranno poi loro infatti, in quanto lavoratori con il sindacato nella dialettica delle relazioni industriali, a esprimere l’esigenza di qualità. Solo i marittimi comunitari ne hanno la forza contrattuale, perché costituiscono il “premio”, ancorché molto ridotto e per lo più purtroppo abbuonato come abbiamo constatato, che assicura agli armatori la ricca “garanzia” dei vantaggi offerti dalle legislazioni dei paesi di appartenenza. Se non si interviene in primo luogo a sostegno dell’esigibilità del “premio” diventerà persino superfluo parlare di migliori condizioni di lavoro visto che a lavorare sono “altri”, gli extracomunitari, che non sono neppure nella condizione di aspirarvi. Nella stessa circostanza del dibattito pubblico sul Libro Verde, le regioni italiane hanno focalizzato in un contributo autonomo i seguenti temi e obiettivi che esse ritengono importante che si promuova per sostenere la formazione e l’occupazione marittima: - organizzare corsi di formazione pilota sul modello delle scuole internazionali per alzare il livello di competitività del mondo marittimo europeo; - definire le procedure per promuovere il riconoscimento dei diplomi a livello europeo così da permettere la mobilità dei lavoratori del settore con facilità; - contribuire alla realizzazione di cluster marittimi all’interno dei quali sviluppare percorsi di carriera soddisfacenti per la gente di mare; - promuovere attraverso la festa del mare azioni di comunicazione e sensibilizzazione sul ruolo che la gente di mare svolge nel contesto economico locale; - continuare a supportare economicamente l’ingaggio di personale europeo fin quando nuove regole internazionali cambieranno l’attuale stato dei fatti. Si tratta di misure che possono essere incisive, rispetto a quanto è stato fatto sinora, a condizione che le regioni sappiano darsi un coordinamento organizzativo tra di loro e con i Ministeri interessati. Esso consiste nello sviluppo di una rete organizzativa che permetta ai “poli formativi regionali” che stanno nascendo in molte parti d’Italia di collegarsi e di coordinarsi, favorendo la ricomposizione dell’offerta formativa entro un quadro nazionale coerente con le prerogative regionali ma anche funzionale ai fabbisogni formativi nazionali, alla qualità dei processi e alla razionalizzazione, anche economica e finanziaria, del sistema. A prescindere dalla localizzazione della domanda, l’offerta formativa infatti (analogamente a quella produttiva) può scegliere oggi di realizzarsi nei luoghi e nei modi più convenienti e efficaci. La rete organizzativa si presenta per sua natura come un modello scarsamente gerarchizzato, notevolmente partecipativo e, quindi, basato largamente su “visioni condivise”, in cui i processi decisionali sono di tipo consensuale, tipicamente “orientati alla mission” e presentano l’importante caratteristica del collegamento orizzontale (di collaborazione). Inoltre, una rete organizzativa consente, a livello di costi transazionali, una maggiore efficienza, come per esempio minori costi di produzione e di coordinamento grazie alle economie di scala accompagnate alla flessibilità produttiva in relazione alla domanda. In questo senso, anche con riguardo alle valutazioni e alle intenzioni contenute nel contributo del Ministero dei Trasporti, emerge in tutta la sua evidenza la necessità di dotare il sistema del lavoro marittimo di una sede di governo che non può non essere, in cogenza della riforma del collocamento, il Comitato centrale previsto dal nuovo regolamento. A condizione naturalmente che i Ministeri del Lavoro e dei Trasporti, con il decreto attuativo, scelgano di assicurarne una composizione adeguata a svolgere questo ruolo. Il “mito” del disinteresse per il lavoro sul mare Tra le misure indicate dagli orientamenti europei in materia di aiuti di stato alle flotte comunitarie per contrastare la diffusione del fenomeno del passaggio dalla bandiera nazionale ai

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registri stranieri a più basso costo (flagging out) la “tonnage Tax (TT) è indicata come la più interessante grazie al regime fiscale favorevole che offre. La TT adottata nei decenni scorsi in molti paesi europei, è stata introdotta anche in Italia apportando una serie di modifiche al TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) con l'individuazione di una tassa basata sulla forfetizzazione dell'imponibile1. In particolare, la TT deve il suo nome al fatto che è basata sul tonnellaggio delle navi, con cui si misurano forfetariamente i proventi che ogni singola nave in grado di produrre al posto dei profitti realmente conseguiti. La TT è un regime fiscale opzionale e, al fine di evitare comportamenti elusivi o strumentali sotto il profilo fiscale, l’opzione è irrevocabile per dieci esercizi sociali e può essere rinnovata. La TT italiana si ispira in particolare alla TT britannica per lo scopo di perseguire anche un altro obiettivo: salvaguardare l’impiego di personale ufficiale nazionale e comunitario a bordo delle navi. La TT italiana prevede infatti che all’opzione per il regime fiscale favorevole sia collegato l’obbligo degli armatori di imbarcare gli allievi ufficiali, per consentire loro di svolgere il periodo di tirocinio necessario per ottenere il titolo professionale ed essere quindi avviati alla carriera di ufficiali a bordo. Le modalità di tale adempimento sono state stabilite in un decreto secondo cui l'obbligo di formazione si ritiene assolto se l’armatore provvede ad imbarcare un allievo ufficiale per ciascuna delle navi in relazione alle quali sia stata esercitata l'opzione oppure a monetizzare tale obbligo come prescrive il decreto: “in alternativa, (l’armatore) provveda, al fine di assicurare tale addestramento, a versare al Fondo nazionale marittimi, ovvero ad istituzioni aventi analoghe finalità, un importo annuo, da determinarsi con decreto del Ministro dei trasporti in base al numero delle unità navali interessate e ai costi medi connessi all'attività formativa”. Il mancato rispetto di tale condizione determina la perdita di efficacia dell'opzione, con effetto dal periodo d'imposta in corso2. Purtroppo, in questa lunga successione di decreti, manca ancora quest’ultimo per determinare l’importo annuo previsto in alternativa all’imbarco dell’allievo ufficiale. Senza questo decreto, la TT italiana non può essere completamente operativa, soprattutto resta in sospeso l’aspetto di promozione degli imbarchi degli allievi, ossia la parte a favore dell’occupazione del personale ufficiale italiano. Per tutto ciò, non è ancora possibile nemmeno avanzare un giudizio sulla sua efficacia sotto questo profilo, salvo constatare l’ennesima prova della politica strabica del governo italiano: che di ogni provvedimento che assume, applica la parte che riguarda i benefici dell’impresa, e non quella che riguarda i benefici dei lavoratori. Una valutazione degli effetti della TT sulla formazione e l’occupazione si può intanto già trarre dal Regno Unito, dove cinque anni di esperienza mostrando i primi risultati ci offrono molti spunti e chiavi interpretative di quello che avviene e di quello che potrà avvenire in Italia nei confronti della questione degli allievi ufficiali3, soprattutto per quanto riguarda una effettiva verifica del “mito” della mancanza di vocazioni giovanili per il mare. Osservando dunque il Regno Unito, gli studi ufficiali promossi per verificarne gli effetti occupazionali indicano che grazie alla TT ci sono stati in generale buoni incrementi. Infatti, quando la TT ha cominciato a funzionare, nel 2000, c’erano 896 ufficiali britannici impiegati sulle navi beneficiarie della TT, che nel 2005 sono saliti a 2888, mentre il numero dei marinai è salito nello stesso periodo da 449 a 1460. Questi incrementi risultano però correlati direttamente all’aumento del numero delle navi in regime di TT nello stesso periodo. I sindacati infatti

1 DLvo 12 dicembre 2003, n.344 di modifica delle parti riguardanti le imprese marittime (artt.155-161) del TUIR: D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. 2 Decreto 23 giugno 2005 del Ministro dell'economia e delle finanze e recante “Disposizioni applicative del regime di determinazione della base imponibile delle imprese marittime, di cui agli articoli da 155 a 161 del TUIR”. 3 Cfr. ECOTEC, An exhaustive analysis of employment trends in all sectors related to sea or using sea resources, op.cit.

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contestano questi risultati sostenendo che se si guarda ai rapporti percentuali, la legge ha portato invece a un aumento dei marittimi stranieri e a un declino del numero dei marittimi britannici. In effetti, nel 2000 gli ufficiali britannici erano circa l’80% del totale degli ufficiali, nel 2005 pur essendo aumentati in assoluto di quasi 2000 unità, sono scesi a meno del 50%. Parallelamente i marinai, che erano circa il 50% di tutti i marinai, sono scesi nel 2005 al 20% pur essendo aumentati di un migliaio di unità. Inoltre, essi si domandano quanto a lungo si manterrà questa occupazione, considerato che per gli armatori è abbastanza facile trasferirsi da un regime nazionale di TT a un altro e che anche i paesi extraeuropei come l’India la stanno introducendo nel loro ordinamento. Ciò nondimeno, il mondo marittimo britannico ha valutato favorevolmente sul piano dell’occupazione gli effetti della TT, considerando che esiste anche un problema di offerta di lavoro, ossia che i giovani britannici non sono attratti dal lavoro marittimo e quindi soddisfano in misura ridotta la domanda che quindi è indotta a rivolgersi agli stranieri, la cui crescita in termini di occupazione sarebbe per questi motivi scontata. Venendo in particolare alla questione degli allievi ufficiali, l’obbligo di formazione associato alla TT è considerato come una buona pratica dai sindacati britannici ma si sostiene che essa non può essere l’unico mezzo per incrementarne la formazione. Sebbene infatti il numero degli allievi ufficiali sia cresciuto, esso non ha raggiunto il livello atteso. Gli allievi sono cresciuti in percentuale ma in cifra assoluta il loro numero è appena vicino a quello stimato, circa 1000 all’anno, che occorre almeno per mantenere stabile il numero degli ufficiali. La domanda complessiva di formazione per il 2005 da parte degli armatori era di 1371 allievi per ciascuno dei tre anni di addestramento previsti dalle norme britanniche. Il numero medio degli allievi che iniziavano la formazione prima della TT era meno di 500, dopo la TT esso ha superato i 500 e qualche anno ha raggiunto i 600, numero che rimane però al di sotto della domanda degli armatori. Da una indagine commissionata dai sindacati è emerso che 2/3 delle imprese di navigazione intervistate avevano allievi in formazione. La maggioranza aveva a bordo allievi britannici ma una parte ne aveva sia britannici che stranieri. In totale, di 1298 allievi, solo 763, pari al 59%, erano britannici. Gli obiettivi di formazione potrebbero non essere stati raggiunti perché è stata sfruttata l’alternativa all’obbligo di formazione che consente alle imprese di versare una somma di denaro in un Fondo per la formazione, il “PILOT Fund”. I sindacati sostengono a sostegno di questa tesi che sono cresciuti i versamenti non programmati al Fondo, con un aumento nel 2005 dal 16% al 23%. Tra le ragioni ipotizzate c’è l’incapacità dell’armamento di fare fronte al numero crescente di giovani ufficiali al termine del periodo di addestramento. La decisione delle compagnie di navigazione di ridurre il livello di formazione potrebbe essere così una reazione alla scarsità di incentivi economici per i giovani ufficiali britannici alla fine della loro formazione. Tuttavia i sindacati contestano la rivendicazione degli imprenditori che essi non possono prendere più allievi dei posti di lavoro che ci sono. Essi sostengono che le principali barriere poste dagli imprenditori all’arruolamento di personale britannico sono i costi che essi non intendono sostenere di fronte alla disponibilità di lavoro extracomunitari a minor costo. La tendenza a impiegare giovani ufficiali stranieri emerge da un’altra ricerca fatta dai sindacati: un terzo degli intervistati si aspettava un cambiamento significativo nella politica della loro compagnia verso i giovani ufficiali, ma si aspettava anche di reclutare giovani ufficiali da altri paesi: le compagnie, in realtà, si aspettavano di reclutare nel 2005-07 meno della metà degli allievi neoqualificati che fossero britannici. Alcuni hanno anche visto un ostacolo alla formazione e all’impiego di giovani ufficiali nella cultura della “caccia di frodo”, quella cioè di rubare gli allievi alle compagnie che li hanno formati, una volta che essi si sono qualificati. Si sostiene che una parte delle compagnie che aderiscono all’obbligo della formazione da TT sono spesso scalzate dalle altre compagnie che “cacciano di frodo” gli allievi dopo che sono stati formati. Questo effettivamente può essere un colpo duro per le compagnie che in media spendono 10.000 sterline/anno nella formazione degli allievi per tre anni.

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Le ricerche hanno dunque mostrato le questioni che vanno affrontate principalmente in relazione a due aspetti: l’implementazione della formazione iniziale e il reclutamento di marittimi stranieri. Come soluzione a questi problemi, per migliorare quindi l’impatto sull’occupazione nazionale della TT, i sindacati hanno proposto un nesso tra eleggibilità della TT e la formazione e l’effettiva occupazione dei marittimi britannici. Questo nesso richiederebbe agli imprenditori di assumere un impegno per l’occupazione degli allievi che hanno imbarcato in tirocinio. Ma gli armatori si sono opposti seccamente, affermando che questo vincolo li spingerebbe fuori dalla bandiera del Regno Unito. Insomma, anche nel caso della TT britannica emerge la solita disputa se a determinare la carenza di allievi ufficiali e conseguentemente di giovani ufficiali a bordo, sia l’elusione della domanda da parte degli armatori, che al di là degli impegni che assumono in cambio di essenziali benefici economici, essi continuano a perseguire una politica opportunistica a favore dei marittimi extracomunitari, oppure sia la carenza di offerta da parte dei giovani britannici. A cercare di risolvere questa disputa è stata pubblicata di recente una ricerca qualititativa che ha indagato i motivi dell’insuccesso finora della TT britannica nell’incrementare la quota di ufficiali britannici, prendendo in considerazione i diversi punti di vista: degli armatori, dei responsabili delle scuole di formazione e degli stessi allievi ufficiali1. La maggior parte dei dirigenti delle compagnie di navigazione e delle agenzie di formazione che accompagnano gli allievi a bordo sostengono che il motivo dell’insufficiente risultato formativo e del fallimento dell’aumento di ufficiali sta nel calo di interesse dei giovani britannici nel lavoro marittimo, che essi reputano privo di prospettive interessanti in termini di carriera, ancora di più se si fa il confronto con le carriere a terra. In generale, l’argomento delle società amatoriali è che il numero di coloro che sono interessati a lavorare a bordo è diminuito drasticamente così che non è facile reclutare abbastanza cadetti per soddisfare anche al minimo gli obblighi di formazione e inoltre i pochi che sono disponibili non sono della qualità adeguata e quindi finiscono per abbandonare la formazione prima di averla completata. Non tutte le compagnie e le agenzie tuttavia sostengono questo argomento. Alcuni hanno spiegato che sono stati in grado di trovare abbastanza allievi attraverso la pubblicizzazione e la promozione presso i giovani dei loro programmi di formazione. Alcuni aggiungono che occorre soprattutto crederci e applicarsi con impegno e costanza per raggiungere questo risultato, che però è possibile. Altri aggiungono che non c’è prova che gli allievi manchino: una delle agenzie intervistate ha affermato di ricevere da sola in media ogni anno 3000 domande da parte di aspiranti, che dimostrano evidentemente che l’interesse tra i giovani non manca. Anche tra i responsabili degli istituti scolastici nautici si sostiene che il problema non sta nell’attrarre i giovani, che continuano ad esserci in gran numero, specialmente nelle aree di tradizione marittima, come Liverpool, Glasgow e Southampton. C’è invece un problema di qualità della formazione scolastica e di acquisizione di consapevolezza professionale da parte degli allievi che contribuiscono ad alti tassi di dispersione scolastica e che abbassano alla fine anche la qualità degli ufficiali formati. Ma secondo i responsabili di questi istituti le cause stanno soprattutto nell’abbandono delle compagnie, per molti anni, della formazione degli allievi britannici e dell’attuale insufficiente disponibilità delle compagnie ad affrontare positivamente questo problema, senza il pregiudizio che si tratti di una caratteristica irreversibile dei giovani. Di fronte a questo contrasto di opinioni, la ricerca ha cercato di vederci più chiaro ponendosi la domanda sul perché fossero così alti i tassi di abbandono durante la formazione degli allievi che pure decidevano in buon numero di rivolgersi alla carriera marittima. La risposta raccolta tra i responsabili della formazione è che le compagnie di navigazione che imbarcano gli allievi non

1 Cfr. Victor Gekara, Increasing shipping skills in the UK; “bursting” the industry “mith” of “diminishing interest, in SIRC (Seafarers International Reasearch Centre), Symposium 2007 Proceedings, 4-5 luglio 2007.

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danno loro il supporto necessario, materiale e psicologico. Le compagnie, d’altro canto, ribadiscono che i motivi stanno nella inadeguatezza personale e professionale degli allievi. Per sciogliere questo nodo, la ricerca si è rivolta allora direttamente agli allievi, allo scopo di indagare i motivi all’origine della loro decisione di ritirarsi dalla formazione. Nelle loro risposte molti hanno evidenziato lo scarso supporto nei momenti di difficoltà con i contenuti del corso e con la durezza della vita a bordo, una mancanza di adeguate attrezzature nelle scuole, un insufficiente formazione a bordo, ufficiali scontrosi e insensibili durante l’imbarco, e una loro inappropriata preparazione durante il tirocinio a bordo. Le esperienze a bordo vengono descritte come particolarmente influenti nelle decisioni di abbandonare la formazione. Molte delle risposte degli allievi hanno indicato un’insopportabile e insensibile atmosfera a bordo delle navi. Essi hanno descritto casi in cui gli ufficiali e altro personale in servizio li hanno trattati con impazienza e intolleranza , con il pregiudizio che i giovani sono pigri quando si lamentano di essere costretti a lavori sporchi e duri, e arroganti se chiedono un qualsiasi miglioramento della loro condizione. Un altro problema evidenziato dagli allievi ha riguardato lo stato della nave su cui hanno fatto il tirocinio. In alcune interviste gli allievi hanno lamentato l’obsolescenza della nave priva di adeguati e decenti attrezzature per favorire la vita a bordo e persino di cuccette per gli allievi. Tuttavia non tutti gli allievi intervistati hanno avuto esperienze a bordo negative. Alcuni allievi hanno descritto le loro compagnie come molto vicine e incoraggianti con il risultato che le loro esperienze sono state piacevoli. Sono queste le compagnie di navigazione che hanno strutture formative consolidate, che prevedono un elaborato meccanismo di sostegno per gli allievi quando questi prendono contatto con gli ufficiali di riferimento. Sono le stesse compagnie che hanno previsto a bordo delle loro navi accessibili e confortevoli alloggiamenti per gli allievi. Oltre a questi aspetti riguardanti la vita a bordo, le interviste agli allievi hanno rivelato un altro problema: l’ansietà e l’incertezza per il proprio futuro lavorativo. Molti allievi infatti sono preoccupati nel vedere diminuire le opportunità di impiego per gli allievi ufficiali britannici. Sebbene questo non sia il problema indicato come il principale motivo dell’abbandono, molti allievi hanno detto che è una cosa alla quale essi pensano seriamente. In ogni caso, sembra che la decisione di abbandonare sia influenzata da una combinazione di fattori e dai dati pare di poter affermare che tutti gli allievi, a parte coloro che avevano ricevuto garanzie certe di lavoro dai loro armatori, consideravano le opportunità di lavoro con ansietà. Insomma, la maggiore questione dietro i tassi di abbandono sarebbe la mancanza di un impegno da parte delle compagnie e delle loro agenzie formative a sostenere positivamente e a incoraggiare le scelte degli allievi. E dunque la questione diventa: perché le compagnie non provvedono il necessario supporto agli allievi quando invece essi sono impegnati, in virtù della TT, a reclutare e formare gli allievi? È emersa, secondo l’autore nel corso dello studio, una schiacciante evidenza sul fatto che le compagnie britanniche non sono sinceramente impegnate a formare gli allievi nazionali e che questo è legato alla mancanza di un genuino interesse all’occupazione di ufficiali britannici, in particolare giovani ufficiali. Perché costano di più di tutte le altre nazionalità e le compagnie non sono in grado di permettersi i loro servizi: “noi li formiamo ma questo non significa gran che… con o senza ufficiali britannici, le navi navigheranno e le merci saranno trasportate… non voglio essere frainteso… io non ho nulla contro gli ufficiali britannici ma chi li arruolerà? Se li formiamo poi ci tocca a assumerli e sono così cari…. Non voglio dare ai giovani false speranze… è una situazione triste. Lo comprendo, ma questa è la maniera del libero mercato e noi dobbiamo viverci…. Le altre nazionalità sono più economiche e fanno lo stesso lavoro… è per noi il solo modo di fare profitto e di rimanere sul mercato”. L’occupazione finale è dunque l’elemento chiave mancante nel disegno della TT che sembra avviare una reazione a catena che alla fine produce un’atmosfera che scoraggia la formazione degli allievi e di conseguenza un alto tasso di dispersione. Gli armatori non sono in grado e

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quindi non si sentono impegnati a promettere il futuro, in previsione magari di cambiamenti del quadro di riferimento, perché resta solo l’esigenza di fare profitti, per cui “una volta assunta questa posizione…. poi non c’è neppure bisogno della formazione perché … a che ci serve?”. Il problema delle competenze è dunque ridotto ad essere guidato solo dalle forze della domanda e dell’offerta. Sfortunatamente la strategia della TT è focalizzata solo sul lato dell’offerta, per esempio nel cercare di fare crescere il reclutamento e la formazione degli allievi, senza orientare invece anche i problemi della domanda. A meno che gli armatori non comincino realmente a contare sui giovani ufficiali britannici essi non hanno motivo di formarli e quindi continueranno a mostrare un impegno minimo nel sostenere i programmi di formazione. La TT rimarrà dunque inadeguata come strategia per aumentare la quota di marittimi britannici. La conclusione a cui giunge lo studio è chiara e pessimista. L’idea che i giovani britannici non vogliono lavorare sul mare è un “mito” che serve a giustificare la riluttanza a formare e a impiegare i giovani ufficiali britannici. La prova sta nella generale mancanza di supporto e di attenzione verso gli allievi da parte degli armatori che li ospitano a bordo, che rende sgradevole l’esperienza formativa per molti allievi e provoca alti tassi di abbandono. Non c’è invece prova che non ci siano persone interessate al lavoro marittimo, anzi negli ultimi anni cresce l’interesse verso la “cadetteria” e si forniscono cifre che contraddicono il “ritornello” del “decrescente interesse”. Le interviste agli armatori, d’altro canto, poiché guardano al costo dei giovani ufficiali britannici e hanno accesso ad alternative altrove più economiche, provano chiaramente che essi non considerano seriamente l’impegno della formazione associato alla TT. La conclusione generale quindi è che affinché il governo affronti efficacemente il problema del declino degli ufficiali e aumenti i livelli di formazione e di occupazione, è necessario trovare modi di premere sulla domanda, piuttosto che agire solo sull’offerta come si è fatto sinora, allo scopo di dare alle compagnie di navigazione una ragione commerciale per formare allievi ufficiali britannici. In buona sostanza, incentivare economicamente gli armatori a formare e impiegare personale nazionale. La situazione italiana L’esperienza britannica ci ha mostrato quanto resti complessa la questione di fare tornare gli ufficiali nazionali a bordo di una flotta comunitaria anche dopo l’introduzione di un’importante misura di incentivazione a favore come la TT. Da parte degli armatori si sostiene che il motivo principale starebbe nella scarsa disponibilità dei giovani britannici ad avviarsi alle carriere marittime. I sindacati invece imputano alla scarsa linearità e trasparenza di comportamenti degli armatori gli insufficienti risultati. In particolare, non tutti gli armatori avrebbero una chiara intenzione di assumere agli allievi britannici alla fine del periodo di formazione favorendo invece gli allievi stranieri per il loro minore costo di arruolamento, oppure ci sarebbero armatori che preferiscono “rubare” gli allievi, una volta che sono diventati ufficiali, alle compagnie che hanno speso tempo e denaro per la loro formazione. Con il risultato di disincentivare anche queste ultime dal proseguire in questa esperienza. Tuttavia, la richiesta avanzata dai sindacati di vincolare gli armatori all’assunzione degli allievi formati ha prodotto la loro brusca reazione con la minaccia di addirittura di cambiare registro navale. In Italia, come abbiamo detto, la TT non è ancora operativa per quanto riguarda l’obbligo di imbarco degli allievi in quanto non sono ancora stati stabiliti gli importi economici da versare in alternativa. Tuttavia cerchiamo di avviare un ragionamento in previsione di quello che potrà accadere, sebbene anche in questo caso le informazioni disponibili siano abbastanza scarse e incerte e si possa affermare che non c’è assolutamente un governo pubblico della questione, nonostante la sua importanza. Come abbiamo già illustrato nel capitolo dedicato al mercato, non si conosce con un minimo di attendibilità il numero di allievi imbarcati, il numero di allievi non comunitari imbarcati, il numero di allievi italiani imbarcati su navi straniere, le compagnie di navigazione che imbarcano allievi, le compagnie e le relative navi che hanno optato per la TT, gli esiti di

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queste esperienze di imbarco da parte degli allievi (tassi di abbandono, di successo ecc.), i canali di reclutamento degli allievi. Non esiste insomma una cabina di monitoraggio e di regia di questo cruciale aspetto della questione, a cui si ricollega buona parte della legislazione e delle politiche per la competitività e per occupazione marittima nel nostro paese. Tra il 1980 e il 1995 le compagnie di navigazione italiane non hanno arruolato sostanzialmente nessun allievo ufficiale, perché determinati a sostituire gli equipaggi italiani con marittimi stranieri a condizioni economiche più convenienti. Prova ne è che quando ora gli allievi si imbarcano su navi italiane essi trovano che i soli altri italiani a bordo sono per lo più il Comandante e il Direttore di macchina, quasi tutti gli altri ufficiali essendo stranieri. Questa peraltro è secondo alcuni un’altra ragione del basso tasso di permanenza degli allievi e dei giovani ufficiali italiani. Poi, dalla seconda metà degli anni ’90 i richiami dell’Unione Europea hanno cominciato ad avere il loro effetto. Lo Stato è intervenuto con misure di rimborso a favore degli armatori del costo di imbarco degli allievi italiani, e successivamente, grazie al Registro internazionale con una politica di apertura all’arruolamento di marittimi non comunitari in cambio di una composizione dello stato maggiore tutta o quasi italiana, compresi gli allievi ufficiali. Inoltre ha contribuito alla rinnovata domanda di allievi italiani il varo di un numero crescente di navi moderne, costruite per corrispondere all’aumento dei traffici e ai requisiti sempre più stringenti in tema di sicurezza del trasporto marittimo, per cui ufficiali esperti come quelli formati alla scuola e alla tradizione italiana significano sicurezza della navigazione e riduzione di incidenti e inquinamenti (che per l’80% avvengono per errore umano). Infine, il cluster marittimo nazionale ha preso coscienza che la carenza di ufficiali ha riflessi negativi anche su diversi settori collegati: i porti, le società di navigazione e le agenzie marittime, gli organismi di ispezione, le società di assicurazione, i cantieri di costruzione e riparazione navale, le ditte produttrici di attrezzature navali ecc., tutte imprese che di norma impiegano ex marittimi per il loro valore professionale accresciuto dall’esperienza a bordo. Questi interventi hanno riaperto le porte agli allievi italiani, ma con grandi difficoltà, sia perché nel 2001 i rimborsi statali sono cessati, sia perché nel frattempo non potevano che diminuire i giovani intenzionati a lavorare in mare visto l’atteggiamento degli armatori e del governo nei loro confronti. Tuttavia i giovani che hanno continuato a scegliere l’istruzione nautica, peraltro scarsamente aggiornata per i noti problemi finanziari che affliggono la scuola pubblica, sarebbero più che sufficienti a fornire un bacino di reclutamento adeguato al mercato del lavoro (i diplomati si aggirano intorno a 1700 all’anno, di cui 2/3 capitani e 1/3 macchinisti), ma come abbiamo già visto nell’esaminare domanda e offerta nel primo capitolo, è molto alta la dispersione post diploma, dato che solo una percentuale ridotta (10- 15%) decide di utilizzare il titolo di studio per tentare la carriera di bordo. Tutto questo ha come conseguenza uno spreco di vocazioni (cinque anni di studi nautici), bacini di reclutamento scarsi per le compagnie di navigazione e quindi soglie di selezione basse con scadimento della qualità media degli allievi. Tra i motivi ci sono anche “modelli sociali” e fenomeni di concorrenza professionale sul mercato del lavoro: tra gli aspiranti ufficiali di macchina, che già sono in numero inferiore per la percezione sfavorevole di una professione “nel chiuso” della nave invece che “di fuori” sul ponte di comando, c’è il fenomeno del reclutamento da parte delle industrie a terra, affamate in generale di periti meccanici, di cui i diplomati macchinisti costituiscono una variante professionalmente valida. Tra i gli aspiranti ufficiali di coperta, invece, l’assorbimento esterno è minore, ma prevalgono orientamenti a proseguire gli studi all’università o comunque ad accontentarsi di un qualche lavoro a terra per evitare la vita a bordo. Neppure i bassi di indice di occupazione giovanile delle Regioni del Sud da cui provengono 2/3 dei diplomati nautici contribuiscono in misura significativa a convincere i giovani ad optare per una carriera che sebbene offra sicura occupabilità non gode di una immagine sociale positiva e non è sostenuta da campagne di promozione come altre opzioni formative e professionali. Il Decreto ministeriale del Ministero dei Trasporti del 2000 relativo ai nuovi titoli professionali ha aperto la possibilità di accedere all’abilitazione di ufficiale di navigazione e di macchina

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anche al diplomato di una qualsiasi scuola superiore, superando quindi l’esclusiva degli Istituti Nautici1. Con ciò si allarga il bacino potenziale di reclutamento, avendo ovviamente previsto per chi non ha fatto il Nautico requisiti integrativi in termini di preparazione teorica e di esperienza di imbarco. Tuttavia dal 2000 si attende un ulteriore decreto che dia effettiva attuazione a questa liberalizzazione, con l’approvazione di nuovi programmi di studio e di esame che consenta alle Capitanerie di porto di esaminare questi nuovi aspiranti. Fino al 2005 la situazione italiana presentava un’altra caratteristica che la distingueva da tutti gli altri paesi dell’UE: mancava una istituzione che raccordasse la formazione scolastica superiore e la carriera di ufficiali, offrendo un percorso programmato e qualificato di transizione dalla scuola all’inserimento professionale. Questo aveva come conseguenza che i diplomati nautici che pure volevano fare gli ufficiali, per giungere ad ottenere il titolo richiesto dalla legge dovevano procurarsi a proprie spese le certificazioni internazionali in materia di sicurezza previste dalla normativa internazionale (del costo di alcune migliaia di euro), cercarsi da soli gli imbarchi presso le compagnie e prepararsi privatamente all’esame di stato per l’abilitazione professionale, con il vantaggio di alcuni a discapito di altri non necessariamente fondato sul merito, e con una ulteriore dispersione di diplomati dovuta a fenomeni di rinuncia per mancanza di informazioni, contatti, risorse e quindi alla fine per demotivazione. D’altro canto, le compagnie di navigazione per lungo tempo come abbiamo detto hanno trascurato di affrontare questo problema: prima, coltivando l’idea di soddisfare le esigenze con personale straniero; dopo, legando la loro disponibilità a imbarcare gli allievi al beneficio di incentivi statali che però non hanno avuto seguito. Fino a che, avvedutisi della necessità di consegnare le proprie navi al comando di professionisti affidabili, quali sono tradizionalmente quelli italiani, hanno finalmente condiviso l’esigenza di un gestione più efficiente della transizione tra scuola e lavoro marittimo, mettendosi concretamente al servizio della ricerca di una soluzione. In questo quadro, nel 2005 la Provincia di Genova ha raccolto le istanze delle istituzioni come la Capitaneria di porto e delle organizzazioni datoriali private e pubbliche e delle organizzazioni sindacali di categoria, riunendo un gruppo di enti promotori di una nuova iniziativa che cercasse di dare soluzione al problema. Negli anni precedenti la Provincia di Genova aveva già sperimentato percorsi formativi rivolti a diplomati nautici. Queste iniziative avevano avuto il limite però dell’estemporaneità e del localismo, mentre era emersa dalle autorità marittime, dalle istituzioni scolastiche e dalle parti sociali rappresentanti degli interessi delle imprese e dei lavoratori, l’esigenza di una istituzione permanente che raccordasse in maniera stabile e efficace l’istruzione nautica all’occupazione degli ufficiali italiani a bordo delle navi mercantili. La dimensione nazionale doveva servire a comprendere tutta la domanda nazionale di nuovi ufficiali, i cui numeri non sono eccessivi in questo senso aggirandosi nell’ordine di alcune centinaia all’anno, e a concentrare pertanto gli investimenti e la gestione in un'unica struttura formativa tale da assicurare uno standard elevato e omogeneo di professionalizzazione. La decisione fu di creare a Genova l’“Accademia italiana della marina mercantile” sul modello delle migliori tra le analoghe istituzioni europee per contribuire in modo determinante a risolvere i problemi prima evidenziati prefiggendosi i seguenti obiettivi2:

1 Testo coordinato del D.M. 5 ottobre 2000 integrato con le modifiche del D.M. 22 dicembre 2000 concernente i requisiti, limiti delle abilitazioni e certificazioni della gente di mare. 2 L’Accademia è una società consortile a responsabilità limitata formata da Provincia di Genova, Confitarma, Fedarlinea, Autorità portuale di Genova, Istituto nautico San Giorgio di Genova, RINA, Fincantieri Associazione Agenti marittimi, Assindustria di Genova, FIT CISL. Nel Consiglio di Amministrazione siedono anche il MIUR, il Ministero dei Trasporti e il Comando generale delle capitanerie di porto. Nel Consiglio di indirizzo e valutazione siedono anche FILT CGIL e UilTrasporti, il Ministero del Lavoro, l’Università degli studi di Genova, la Regione Liguria, il Collegio nazionale dei capitani, la Consigliera di parità della Provincia di Genova, IPSEMA, WISTA (l’associazione internazionale delle donne impegnate nello shipping), l’Istituto Idrografico della Marina.

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− la qualificazione professionale e l’inserimento lavorativo degli allievi ufficiali secondo standard formativi certi e aggiornati sotto il profilo delle competenze tecniche, manageriali, relazionali e etiche, con la preparazione all’esame di stato; gettando altresì le basi di una formazione continua che, attraverso il partenariato con l’Università e il riconoscimento di crediti formativi, apra ad una cultura professionale utile ad un eventuale impiego successivo a terra dopo la carriera in mare; − il miglioramento presso i giovani e le famiglie dell’immagine della professione marittima, presentata nei suoi aspetti di modernità, di responsabilità, di internazionalità, di sicura occupabilità, foriera di successiva e importante carriera nei settori dello shipping a terra al termine del periodo di lavoro a bordo. L'offerta dei corsi proposti dall'Accademia si articola in corsi per allievi ufficiali di coperta, di macchina e commissari di bordo. I corsi si svolgono alternando periodi a terra con periodi di imbarco retribuiti come allievi ufficiali secondo le norme contrattuali del settore. I corsi sono gratuiti grazie ai finanziamenti di parte pubblica provenienti dalla Provincia, dalla Regione, dal Ministero della Pubblica Istruzione, e di parte privata dalle associazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori che contribuiscono economicamente attraverso istituti contrattuali e fondi bilaterali. Inoltre, l’Accademia gode dell’appoggio del Ministero dei Trasporti che siede nel Consiglio di Amministrazione della scuola accanto ai soggetti promotori. All’uscita dei bandi di ammissione alla prima edizione dei corsi nel 2005, con una previsione di 120 posti, target definito d’intesa con gli armatori (60 di coperta, 40 di macchina, 20 commissari), ci fu subito una positiva sorpresa: 441 iscrizioni: 236 per la sezione coperta; 58 per la sezione macchina; 147 per la sezione commissario. Il numero era decisamente incoraggiante in quanto dimostrava l’esistenza di un buon numero di giovani disposti a intraprendere la carriera di ufficiale marittimo, considerato che si trattava per lo più di neodiplomati. Confrontati questi numeri con l’universo dei neodiplomati, la percentuale che si ottiene non si discosta molto dalla norma del 10-15% di diplomati annui che intraprende la carriera a bordo, anche se un lieve aumento soprattutto per la coperta si poteva senz’altro rilevare. In ogni caso, il principale risultato di questo primo corso accademico è stato quello di avere aggregato da una parte l’offerta degli aspiranti ufficiali e dall’altra parte la domanda delle compagnie di bandiera italiana. Alla seconda edizione, nel 2006, si sono confermati sostanzialmente questi numeri e così probabilmente sarà nel 2007. Dopo due anni di corso, gli allievi raggiungono i requisiti di preparazione teorico-pratica e di mesi di tirocinio a bordo con cui possono presentarsi a sostenere l’esame di stato di fronte alla commissione presso la Capitaneria di porto, ottenendo il titolo professionale che gli consente di avviarsi nella carriera di ufficiali. Questi bandi hanno consentito, per la prima volta, di uscire dalla precarietà delle stime e di disporre di un quadro più preciso e analitico dell’offerta degli allievi ufficiali della marina mercantile. Per esempio, c’è l’evidenza della scarsità di offerta di allievi di macchina, che a malapena raggiungono il numero dei posti disponibili, e l’evidenza della provenienza geografica distribuita per circa 1/5 dalle regioni del nord e 1/5 da quelle centrali, e per 3/5 dal Sud e dalle Isole. C’è l’evidenza altresì di alcuni fenomeni, per esempio la scarsità di allievi campani in proporzione alla loro reale disponibilità, che ha permesso di gettare luce, oltre che sull’offerta, anche sulla domanda e quindi sull’atteggiamento assunto dall’armamento nei confronti dell’Accademia, al di là dell’adesione dell’associazione di rappresentanza CONFITARMA. Si ricorderà, in assenza di fonti ufficiali, che i dati che abbiamo a disposizione per valutare la domanda sono: - il numero di navi oltre le 1000 tsl, circa 700, di cui circa 500 iscritte nel RI, che hanno quindi dimensioni e classificazione che prevedono la presenza di allievi a bordo; - il numero di allievi imbarcati nel 2004, circa 350 (184 di coperta, 168 di macchina) secondo la fonte UE ricavata da stime sindacali, assunte anche da CONFITARMA .

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Considerato che a bordo di una nave dovrebbero esserci 2 allievi, uno di coperta e uno di macchina, avremmo una copertura del solo 25% dei posti allievo sull’intera flotta >1000 tsl, percentuale che sale a 35% sulla flotta in RI. La fonte da cui è tratta la stima dei 350 allievi non dice se si tratta di “teste” o di “posti a bordo”, considerato che nell’arco di un anno su una nave, per la ragione dei limiti temporali obbligatori di imbarco, su un posto a bordo passa 1,5 allievi. Prendiamo un altro dato a riferimento. CONFITARMA ha indicato come target dell’Accademia la formazione di circa 100/120 allievi all’anno, tra coperta e macchina. Tale numero è giustificato per il primo anno dal fatto che sulle navi già si trovano gli allievi che hanno cominciato il tirocinio l’anno precedente. Ma il secondo anno la domanda di CONFITARMA è rimasta la stessa. Da dove vengono allora gli altri allievi che mancano per raggiungere il totale di 350, posto che sia quello attuale? Sono coloro che non selezionati dall’Accademia si rivolgono direttamente agli armatori? Ma perché degli armatori dovrebbero preferire un allievo non formato dall’Accademia? Perché solo una parte delle compagnie di bandiera italiane imbarcano allievi dell’Accademia? La risposta che emerge dall’esperienza dei primi due anni di vita dell’Accademia è triplice: - ci sono armatori che preferiscono imbarcare allievi attraverso contattati attraverso canali propri e diretti, anche per questo rinunciando al valore della formazione accademica, sia perché la selezione e la gestione dell’allievo sono private e non pubbliche, sia perché pensano di fidelizzarli meglio, è questo per esempio il caso per cui pochi allievi provenienti dalla Campania si presentano alle selezioni; - ci sono armatori che per “sottrarre” al mercato a proprio favore allievi soprattutto di macchina, i più rari, li imbarcano direttamente e promettono loro il posto anche senza formazione; - ci sono armatori che sono convinti o pensano di avere convenienza a ritenere che è meglio rivolgersi ad allievi stranieri e a tagliare definitivamente con quelli italiani, per cui si rivolgono ad agenzie di manning internazionali. Per fortuna, ci sono le compagnie di navigazione di bandiera italiana, circa una ventina su un totale di più del doppio, che hanno aderito favorevolmente all’Accademia e ne sostengono l’attività, in primo luogo servendosene per procurarsi gli allievi, non tanto per osservare obblighi che al momento in realtà non sono cogenti, quanto per garantirsi in futuro degli ufficiali italiani selezionati e qualificati, in cui ripongono evidentemente ancora fiducia. La posizione dell’armamento italiano risulta quindi ancora abbastanza aperto verso la possibilità di mantenere stati maggiori italiani, ma le politiche di reclutamento delle singole compagnie sono tutt’altro che omogenee e salvo rare eccezioni l’atteggiamento diffuso è quello di impegnarsi da una parte ma anche quello di disimpegnarsi con molta facilità. Per cercare di capirne di più, la ricerca commissionata dalla Federazione del Mare e dall’UPI ha rilevato alcuni dati interessanti perché tratti direttamente alla fonte delle direzioni delle compagnie di navigazione.1 Alla domanda circa l’intenzione di continuare a dotarsi o meno di marittimi italiani per il futuro, gli armatori del campione hanno risposto, come mostra il grafico seguente, che solo nel 20,0% assumeranno un maggior numero di sottufficiali e nel 33,3% di personale di camera e cucina, ma nel 52% dei casi incrementeranno la quota di ufficiali italiani impiegati sulle loro navi.

1 Federazione del mare, Unione Province Italiane, Mutamenti strutturali e nuove esigenze formative nel cluster marittimo, a cura di ISFORT, op.cit.

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Allo stesso modo l’interesse a mantenere o incrementare la quota di personale italiano è molto più vivo per le alte professionalità (Stato maggiore 100%), piuttosto che per i ruoli tecnici e di servizio (Sottufficiali 44% e Personale camera e cucina 37,5%), come mostra il grafico seguente.

Le ragioni che limitano l’utilizzazione di personale italiano sono in primo luogo la reperibilità (86,7% dei casi), in secondo luogo la disaffezione al lavoro marittimo (63,3%), in terzo luogo le capacità professionali (40,0%), come mostra il grafico seguente. Tutte e tre le questioni sollevate in modo prioritario dalle imprese coinvolte sollecitano il mondo delle imprese e delle istituzioni.

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Sull’aspetto della reperibilità sorprende che di fronte a questa esigenza così sentita non si sia colto il valore della riforma del collocamento della gente di mare. In merito invece alla questione dell’offerta formativa, è importante segnalare che il 59,2% delle imprese consultate ha dichiarato che la provenienza da corsi di formazione post diploma come quelli dell’Accademia della Marina mercantile, costituisce un motivo di preferenza per la scelta degli allievi ufficiali. Insomma, luci e ombre. Si può forse concludere che ci sia una spaccatura tra una metà circa dell’armamento italiano ancora orientato positivamente verso l’impegno a mantenere e a incrementare se possibile la quota di ufficiali italiani e una metà orientata negativamente. Una metà che ci crede e una metà no. Tutti però si ritrovano d’accordo nella prospettiva di utilizzare nei loro uffici a terra del personale che abbia navigato, soprattutto nei ruoli manageriali: la totalità delle imprese consultate dichiara infatti che nel management aziendale vi sono dirigenti che provengono da personale navigante, ma anche per l’organizzazione del complesso delle attività terrestri il 92,8% delle imprese dichiara che prevede in futuro di utilizzare personale già navigante. Ma perché domani ci sia questo personale bisogna che oggi esso trovi la possibilità di imbarcarsi. La situazione italiana non è allora quella del Regno Unito. Resiste da noi un atteggiamento positivo, che l’Accademia ha risvegliato e fornito di risposte adeguate. Anche l’atteggiamento delle compagnie a bordo delle navi nei confronti degli allievi è generalmente più fiducioso e incoraggiante di quello registrato dagli allievi britannici, prova ne sia che il tasso di abbandono degli allievi si mantiene basso nei limiti fisiologici. Certo è che se si applicassero anche le altre misure già previste dalle norme e dagli accordi e invece inapplicate (incentivi alla domanda, finanziamento delle strutture e dei programmi formativi, nuovi titoli professionali con allargamento del bacino di reclutamento, riforma del collocamento, integrazione di politiche di orientamento, formazione e lavoro, obbligo di formazione conseguente a TT ecc.) è possibile immaginare che i risultati sarebbero molto più favorevoli e importanti. Occorrerebbe crederci (posto che sia una questione ideale e non puramente di interesse economico) e essere conseguenti e coerenti: quelle virtù che in questi anni sono mancate al mondo marittimo e che l’occasione della riforma del collocamento della gente di mare offre la possibilità di recuperare.

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Ma mentre si ragiona sull’attuazione del nuovo regolamento, mentre si attende l’applicazione piena della TT, mentre si attende che le parti sociali diano vita al Comitato paritetico per la formazione e il lavoro previsto dal CCNL, mentre l’Accademia coglie i suoi primi frutti, succede che ad inizio estate 2007 CONFITARMA e RINA annuncino il progetto di costituzione a Manila, nelle Filippine, di una scuola di formazione a cui affidare la missione perfezionare le competenze di allievi preselezionati da scuole marittime locali. Le figure oggetto del progetto previste sono comandanti, primi e secondi ufficiali, allievi ufficiali, elettricisti, sottoufficiali, sia tecnici che di cucina, ufficiali addetti alla safety e alla security. La motivazione di un tale progetto secondo i promotori è che occorre prendere atto con realismo che è diventato essenziale il contributo dei marittimi stranieri al funzionamento della nostra flotta, per cui conviene intervenire all’origine di questi flussi professionali per assicurarne la qualità. Non è una novità aprire o convenzionarsi con scuole all’estero. Per esempio, in considerazione dei grandi volumi di personale di cui le navi da crociera hanno bisogno e della loro obiettiva indisponibilità sul mercato nazionale, oltre che per i motivi di competitività, Costa Crociere si è dotata di centri di formazione nei principali paesi di reclutamento, non comunitari e in via di sviluppo, sia attraverso la costituzione di centri propri che attraverso accordi con prestigiose università di turismo locale. Ad oggi Costa dispone di tre centri di formazione a Manila, nelle Filippine, di cui uno dedicato al personale di Macchina e Coperta; due in Indonesia, a Jakarta e Bali; uno a Hyderabad in India e uno a La Romana in Repubblica Dominicana. I centri sono dedicati in particolare alla formazione del personale di cucina, ristorante, bar e housekeeping. Di fronte a questa iniziativa la reazione del sindacato è stata sinora contenuta seppure allarmata, lo stesso vale per la Provincia di Genova preoccupata per le sorti del progetto dell’Accademia. È stato chiesto pertanto a CONFITARMA e RINA di escludere a priori dalla missione della nuova scuola italiana di Manila la formazione degli allievi ufficiali e di altre figure sulle quali si sta investendo in Italia, come per esempio gli allievi cuochi1. La risposta di CONFITARMA non è stata però chiara e quindi resta forte il sospetto di essere di fronte all’ennesimo esempio di atteggiamento di chi si impegna da una parte e contemporaneamente si libera le mani impegnandosi nella direzione opposta, con il risultato di tenere il piede in due staffe. La giustificazione starebbe nella necessità di disporre tempestivamente di personale da arruolare e il mercato straniero assicura questa esigenza, mentre il mercato italiano non offre le stesse garanzie. Insomma, siamo di fronte al solito pregiudizio: non si può condizionare il futuro dell’impresa marittima italiana ai marittimi italiani, e non per tutti quei motivi economici che il RI e la TT hanno risolto brillantemente per ammissione degli stessi armatori, ma perché i nostri marittimi si stanno estinguendo non avendo più interesse a navigare. È la profezia minacciosa del 1996 che va dunque inesorabilmente ad avverarsi? Oppure è la profezia di un fenomeno, tutt’altro scontato, che “si autoavvera” a causa dei comportamenti degli stessi che affermano di volerlo impedire? Ai lettori, che sono arrivati pazientemente sino a quest’ultimo rigo, l’ardua sentenza.

1 A Napoli, nell’ambito del Patto Formativo Locale “Un mare di lavoro” finanziato dal Ministero del Lavoro, la Regione Campania ha avviato con CONFITARMA, l’ANPAN (Associazione Nazionale Provveditori e Appaltatori Navali), CGIL, CISL e UIL e l’Accademia Italiana della Marina Mercantile, una nuova esperienza di formazione di cuochi di bordo, con cui si cerca di verificare la possibilità di invertire la tendenza della progressiva scomparsa di queste figure professionali appannaggio di personale straniero.

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APPENDICE DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 18 aprile 2006, n. 231 Regolamento recante disciplina del collocamento della gente di mare, a norma dell'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297.

Titolo I DISPOSIZIONI GENERALI

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l'articolo 87 della Costituzione; Visto l'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400; Visto l'articolo 1-bis, comma 4, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come modificato dall'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297; Visti gli articoli 113-135 del codice della navigazione; Visto il regio decreto-legge 24 maggio 1925, n. 1031, convertito dalla legge 18 marzo 1926, n. 562; Vista la legge 16 dicembre 1928, n. 3042; Visto il decreto del Ministro della marina mercantile in data 22 novembre 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 22 del 27 gennaio 1969; Vista la legge 4 aprile 1977, n. 135; Vista la legge 21 novembre 1985, n. 739; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 2001, n.324; Vista la convenzione OIL n. 179 del 1996; Visto il decreto del Ministro della marina mercantile in data 13 ottobre 1992, n. 584; Visto il decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 2001, n. 176, concernente regolamento di organizzazione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 14 ottobre 2005; Acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281; Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 13 marzo 2006; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6 aprile 2006; Sulla proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

E m a n a il seguente regolamento: Art. 1. Finalità e campo di applicazione 1 Le disposizioni di cui al presente regolamento disciplinano il collocamento dei lavoratori marittimi appartenenti alla gente di mare e sono finalizzate, in attuazione dei principi stabiliti in materia dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, così come modificato dal decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, alla razionalizzazione delle procedure ed alla realizzazione di servizi in funzione del miglioramento dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, anche mediante l'impiego delle tecnologie informatiche. 2 Il presente regolamento disciplina l'arruolamento dei lavoratori marittimi appartenenti alla gente di mare disponibili a prestare servizio a bordo di navi italiane per conto di un armatore o società di armamento. 3 Lo stesso non si applica al personale delle imprese di appalto che non fa parte dell'equipaggio pur essendo soggetto alla gerarchia di bordo. 4 Per l'arruolamento dei lavoratori marittimi extracomunitari resta fermo quanto previsto dalla legislazione speciale vigente, con particolare riferimento alla disciplina delle navi iscritte nel registro internazionale italiano.

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Art. 2. Definizioni 1. Ai fini del presente regolamento si intende per: a) «gente di mare»: il personale marittimo di cui all'articolo 115 del codice della navigazione; b) «armatore»: la persona fisica o il soggetto giuridico che esercita l'impresa di navigazione ai sensi dell'articolo 265 del codice della navigazione; c) «servizi di collocamento della gente di mare»: gli uffici di collocamento di cui all'articolo 5, comma 1, nel prosieguo denominati «uffici di collocamento della gente di mare», ovvero gli organismi autorizzati all'esercizio dell'intermediazione nel lavoro marittimo, di cui alle lettere g) e h); d) «anagrafe della gente di mare»: l'elenco dei lavoratori marittimi con cittadinanza italiana o comunitaria disponibili ad arruolarsi per prestare servizio a bordo di navi italiane, costituito quale sezione speciale dell'elenco anagrafico dei lavoratori, di cui agli articoli 4 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442; e) «scheda professionale»: documento che contiene i dati anagrafici e professionali del personale marittimo di cui alla lettera a); f) «borsa del lavoro marittimo»: sistema aperto di incontro tra domanda ed offerta di lavoro del settore marittimo, finalizzato a favorire la maggiore efficienza e trasparenza del mercato del lavoro marittimo; g) «enti bilaterali del lavoro marittimo»: gli organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni nazionali degli armatori e dei lavoratori marittimi quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro marittimo attraverso: l'intermediazione nell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro marittimo; la gestione delle procedure di collocamento; il monitoraggio delle attività e dei servizi di cui al presente regolamento; h) «comitato centrale per il coordinamento in materia di collocamento della gente di mare»: Comitato istituito ai sensi dell'articolo 5; i) «autorizzazione»: provvedimento mediante il quale il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abilita gli enti bilaterali del lavoro marittimo e le agenzie per il lavoro di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, allo svolgimento dell'attività di intermediazione. Art. 3. Principi generali 1. Il fine di realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti per migliorare le opportunità di reclutamento degli inoccupati e disoccupati, come definiti dall'articolo 1 del decreto legislativo 21 aprile 2001, n. 181, è perseguito attraverso i principi e le iniziative di seguito elencati: a) viene istituita l'anagrafe nazionale della gente di mare, nella quale sono registrati i lavoratori marittimi in possesso dei requisiti prescritti dalla legge per prestare servizio di navigazione; b) viene costituita la Borsa nazionale del lavoro marittimo, nell'ambito della Borsa continua del lavoro di cui all'articolo15 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276; c) viene introdotto il principio dell'assunzione diretta con obbligo di comunicazione contestuale al servizio di collocamento marittimo, fatte salve le eccezioni espressamente previste; d) viene abolito il regime di collocamento obbligatorio e stabiliti i principi per l'individuazione degli operatori privati abilitati a fornire servizi di intermediazione nel settore marittimo; e) viene introdotto un sistema di monitoraggio per migliorare la conoscenza dei fenomeni specifici del settore ed a supporto di mirate politiche attive del lavoro; f) viene rivisto il regime sanzionatorio, in analogia con quantoprevisto agli articoli 18 e 19 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276; g) vengono abrogate le disposizioni incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento del lavoro marittimo. Titolo II ORGANISMI E PROCEDURE DEL COLLOCAMENTO DELLA GENTE DI MARE Capo I Organismi del collocamento della gente di mare Art. 4. Indirizzo e coordinamento 1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato centrale per il coordinamento in materia di collocamento della gente di mare, d'intesa con le regioni e province autonome nelle materie di loro competenza, esercita le funzioni di indirizzo, promozione e coordinamento delle politiche dell'impiego nel settore marittimo, con particolare riferimento: al coordinamento dei servizi di collocamento della gente di mare; alla cooperazione internazionale e alle attività di prevenzione e studio sulle emergenze occupazionali e sociali; alla partecipazione all'elaborazione in sede internazionale della normativa di competenza; alle iniziative di contrasto al lavoro sommerso; alle azioni rivolte all'integrazione dei sistemi della formazione, della scuola e del lavoro nel settore marittimo; all'osservatorio del mercato del lavoro marittimo. Art. 5. Servizi di collocamento 1 Il collocamento della gente di mare è esercitato dagli uffici di collocamento della gente di mare, già istituiti ai sensi dell'articolo 2 del regio decreto-legge 24 maggio 1925, n. 1031, che dalla data di entrata in vigore del presente

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regolamento saranno posti alle dipendenze funzionali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi del comma 5. 2 Possono inoltre essere autorizzati allo svolgimento dell'attività di intermediazione a favore dei propri associati, nonchè, mediante convenzione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, allo svolgimento di tutti gli adempimenti e le certificazioni affidati ai competenti uffici di collocamento della gente di mare, gli enti bilaterali del lavoro marittimo, a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione con la borsa del lavoro marittimo. 3 Con autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, possono svolgere attività di collocamento della gente di mare anche le agenzie per il lavoro di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono determinati i requisiti e le modalità per il rilascio della predetta autorizzazione. 4 Per l'esercizio delle funzioni consultive in ordine alla promozione, all'indirizzo e al coordinamento di cui al precedente articolo 4, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottarsi, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell'articolo 17, comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, viene istituito, all'interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito della Direzione generale del mercato del lavoro, un apposito comitato, denominato «Comitato centrale per il coordinamento in materia di collocamento della gente di mare». Nella composizione del Comitato dovrà essere assicurata una adeguata rappresentanza delle regioni e la partecipazione di un rappresentante del Ministero dell'istruzione, università e ricerca. Ai componenti del suddetto Comitato non spetta alcun rimborso spese o indennità di missione. Al funzionamento del Comitato si provvede con le risorse assegnate a normativa vigente sui pertinenti capitoli di bilancio. 5 Con decreto del Presidente della Repubblica, da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera d) della legge 23 agosto 1988, n. 400, sulla proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, vengono definite la struttura, l'organizzazione degli uffici, la dotazione organica e le modalità di funzionamento degli uffici di collocamento della gente di mare, ubicati presso le autorità marittime ma funzionalmente dipendenti che operano alle dipendenze funzionali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in relazione alle finalità previste dal presente regolamento. Articolo 6. Funzioni e competenze dei servizi di collocamento 1. Gli uffici di collocamento della gente di mare di cui all'articolo 5, comma 1, svolgono le seguenti funzioni: a) gestione degli elenchi anagrafici dei lavoratori marittimi disponibili all'arruolamento; b) gestione della scheda professionale dei lavoratori inseriti nell'elenco anagrafico; c) accertamento e verifica dello stato di disoccupazione e della disponibilità al lavoro marittimo; d) preselezione ed incontro tra domanda e offerta di lavoro; e) registrazione delle comunicazioni obbligatorie degli armatori in materia di arruolamento; f) monitoraggio statistico delle consistenze e dei flussi di lavoro marittimo. 2. Entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, e sempre che sia stata concessa l'autorizzazione di cui al comma 3 dell'articolo 5, il Comitato centrale per il coordinamento in materia di collocamento della gente di mare, può stipulare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con gli enti bilaterali del lavoro marittimo una convenzione avente per oggetto l'affidamento delle funzioni e dei compiti di cui al comma 1. La convenzione definisce, altresì, le modalità di raccordo tra gli enti bilaterali e gli uffici di collocamento della gente di mare, al fine di assicurare le caratteristiche unitarie dell'anagrafe e della scheda professionale e lo sviluppo della borsa nazionale del lavoro marittimo. Capo II Procedure del collocamento della gente di mare Art. 7. Anagrafe della gente di mare 1. I cittadini italiani o comunitari, di età non inferiore ai sedici anni, che abbiano adempiuto al diritto-dovere all'istruzione e alla formazione in base alle disposizioni di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, e che siano in possesso dei requisiti stabiliti dall'articolo 119 del codice della navigazione, che intendono avvalersi dei servizi di collocamento per l'arruolamento della gente di mare, sono inseriti a cura dell'ufficio di collocamento di cui all'articolo 5, comma 1, del luogo del loro domicilio, in una sezione speciale dell'elenco anagrafico dei lavoratori, di cui agli articoli 4 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442. 2. Possono altresì essere inseriti nel medesimo elenco di cui al comma 1 gli allievi degli Istituti tecnici nautici e degli Istituti professionali ad indirizzo marittimo. 3. Per l'iscrizione di minori degli anni diciotto è necessario il consenso di chi esercita la potestà genitoriale o la tutela. 4. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei

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trasporti e con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, viene definito il modello di comunicazione, il formato di trasmissione e il sistema di classificazione dei dati contenuti nell'elenco anagrafico della gente di mare, nonchè le modalità di collegamento con le matricole della gente di mare di cui agli articoli 118 e seguenti del codice della navigazione. 5. L'elenco anagrafico della gente di mare è aggiornato su istanza dell'interessato ovvero d'ufficio nei seguenti casi: a) per superamento dei limiti massimi di età, salvo i casi di deroga consentiti dalle disposizioni vigenti; b) per morte dell'interessato; c) nel caso di perdita dei requisiti e di cancellazione dalle matricole; d) per abbandono dell'attività marittima o per indisponibilità all'imbarco prolungata per oltre due anni; e) sulla base delle comunicazioni obbligatorie da parte degli armatori, di cui all'articolo 11. Art. 8. Scheda professionale e classificazione del personale 1. Con il decreto di cui al precedente articolo 7, comma 4, viene altresì definito il modello di comunicazione, il formato di trasmissione e il sistema di classificazione dei dati relativi ai lavoratori marittimi da inserire nella scheda professionale di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442. 2. Con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, vengono definite le qualifiche professionali del personale marittimo ed i relativi requisiti minimi. Fino all'emanazione del predetto decreto le qualifiche professionali del personale marittimo ed i relativi requisiti minimi sono indicati nell'allegato al presente regolamento. . Art. 9. Dichiarazione di disponibilità 1. Il lavoratore marittimo, registrato nell'elenco anagrafico, allorché sia privo di lavoro ed immediatamente disponibile all'imbarco, deve manifestare la propria disponibilità agli uffici di collocamento della gente di mare di cui all'articolo 5, comma 1, mediante la consegna o l'invio di una dichiarazione, resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che attesti i precedenti lavorativi, la qualifica professionale con la quale intende imbarcarsi, nonché l'immediata disponibilità a svolgere attività marittima. 2. A seguito della dichiarazione di disponibilità gli uffici di collocamento della gente di mare provvedono a darne diffusione in ambito nazionale, avvalendosi dei servizi della borsa continua del lavoro marittimo, di cui all'articolo 10. 3. La permanenza nella condizione di cui al comma 1 deve essere verificata dagli uffici di collocamento della gente di mare con le seguenti modalità: a) sulla base di colloqui periodici da attivarsi entro tre mesi dalla dichiarazione di disponibilità; b) sulla base delle comunicazioni degli armatori di cui all'articolo 11. 4. Entro trenta giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore marittimo rinnova la dichiarazione di disponibilità di cui al comma 1 ai servizi di collocamento. Art. 10. Borsa continua del lavoro marittimo 1. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, nell'ambito della Borsa continua del lavoro di cui all'articolo 15 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, viene costituita una sezione speciale per il lavoro marittimo, con lo scopo di realizzare un sistema aperto per favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro nel settore marittimo su tutto il territorio nazionale. 2. La Borsa del lavoro marittimo comprende: a) gli uffici di collocamento della gente di mare; b) gli enti bilaterali del lavoro marittimo; c) le università, gli istituti scolastici e gli enti di formazione e addestramento ad indirizzo marittimo e nautico. 3. La Borsa del lavoro marittimo è alimentata da tutte le informazioni degli operatori, di cui al comma 2, operanti nel diffondere e consultare le informazioni sulla domanda di lavoro non soddisfatta e sull'offerta di lavoro disponibile su tutto il territorio nazionale e dell'Unione europea. Essa in particolare persegue: a) lo scambio delle offerte e delle domande di lavoro; b) la trasparenza e la circolazione delle informazioni per quanto riguarda i mercati del lavoro locali; c) l'integrazione dei servizi pubblici e privati, autorizzati, presenti nel territorio; d) il monitoraggio del mercato del lavoro marittimo; e) la cooperazione per la definizione degli standard di interoperabilità e per la gestione delle relative infrastrutture. 4. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, può stipulare apposita convenzione con gli enti bilaterali del lavoro marittimo per l'affidamento della gestione della Borsa continua del lavoro, con oneri a carico degli enti medesimi. Con la convenzione vengono definiti: a) i requisiti e le modalità di adesione degli organismi di cui al comma 2;

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b) gli obiettivi operativi; c) le attività; d) i servizi erogati; e) gli organismi di direzione e coordinamento. Art. 11. Assunzione della gente di mare 1 Gli armatori e le società di armamento procedono all'arruolamento della gente di mare mediante assunzione diretta. Dell'avvenuta assunzione sono tenuti a dare comunicazione contestuale agli uffici di collocamento della gente di mare nel cui ambito territoriale si verifica l'imbarco. 2 La comunicazione di assunzione diretta deve contenere: a) le generalità dell'armatore e della società di armamento;b)il nome e il numero della nave sulla quale l'arruolato presta servizio; c) le generalità dell'arruolato e la sua posizione anagrafica; d) l'avvenuta registrazione nei documenti di bordo; e) la qualifica e le mansioni dell'arruolato; f) la tipologia di contratto stipulato, la decorrenza e la durata; g) la forma e la misura della retribuzione; h) il luogo e la data di conclusione del contratto; i) l'indicazione del contratto collettivo di lavoro qualora applicato; l) una dichiarazione del datore di lavoro che attesti il rispetto di tutte le clausole del CCNL di categoria in materia di assunzione dei lavoratori. 3 L' armatore e la società di armamento, inoltre, sono tenuti a comunicare agli uffici di collocamento della gente di mare, nel cui ambito territoriale si è verificato l'imbarco, entro cinque giorni la cessazione del rapporto di lavoro nel caso di rapporto a tempo indeterminato. 4 Restano ferme le norme del codice della navigazione e relativo regolamento di esecuzione in materia di procedure di arruolamento e di stipula del contratto di lavoro per il tramite delle Capitanerie di porto. 5 Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, vengono definiti le modalità di comunicazione dei dati di cui ai commi 2 e 3 agli altri uffici interessati. 6. Fermo restando quanto previsto dal comma 1,i contratti collettivi nazionali del settore marittimo possono prevedere che una quota delle assunzioni effettuate dagli armatori e dalle società di armamento, comunque non superiore al 12 per cento, sia riservata ai lavoratori svantaggiati, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera k), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, stabilendo i requisiti di accesso, le percentuali di riserva e le modalità di adempimento. È preclusa in ogni caso l'assunzione ai lavoratori non in possesso di tutti i requisiti previsti dalle leggi e dai contratti collettivi di lavoro per essere ammessi a prestare servizio di navigazione. Art. 12. Regime sanzionatorio 1. Restano ferme le disposizioni sanzionatorie di cui agli articoli 18, comma 1, e 19, commi 3 e 5, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Titolo III DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI Art. 13. Abrogazioni 1. Dalla data di entrata in vigore del presente regolamento sono abrogati: a) gli articoli 125 e 126 del codice della navigazione; b) il regio decreto-legge 24 maggio 1925, n. 1031, convertito dalla legge 18 marzo 1926, n. 562; c) la legge 16 dicembre 1928, n. 3042; d) il decreto del Ministro della marina mercantile 22 novembre 1968; e) il decreto del Ministro della marina mercantile 13 ottobre 1992, n. 584.

Art. 14. Disposizioni transitorie 1 In sede di prima applicazione del presente regolamento i lavoratori marittimi iscritti nelle matricole della gente di mare sono tenuti a presentarsi presso l'ufficio di collocamento competente per territorio entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento per rendere la dichiarazione di disponibilità di cui all'articolo 9. Le autorità marittime provvedono a garantire adeguate forme di pubblicità del predetto obbligo. La presentazione e la dichiarazione di disponibilità comportano la registrazione del lavoratore nell'elenco anagrafico e la compilazione della scheda professionale. La mancata presentazione e dichiarazione di disponibilità, senza giustificato motivo, comporta per il lavoratore marittimo l'obbligo di riacquisire i certificati di formazione necessari per l'imbarco prima di poter richiedere la registrazione nell'elenco anagrafico. 2 Dall'onere di presentazione di cui al comma precedente sono esentati i lavoratori che alla data di entrata in

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vigore del presente regolamento risultano in servizio di navigazione. Art. 15. Disposizioni finali 1. All'attuazione del presente regolamento si provvede, per ciascuna Amministrazione coinvolta, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio e con le dotazioni umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 18 aprile 2006 CIAMPI Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Maroni, Ministro del lavoro e delle politiche sociali Lunardi, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Visto, il Guardasigilli: Castelli Registrato alla Corte dei conti il 27 giugno 2006 Ufficio di controllo preventivo sui Ministeri per i servizi alla persona e dei beni culturali, registro n. 4, foglio n. 160 Allegato (previsto dall'articolo 8, comma 2) Qualifiche professionali del personale marittimo e requisiti minimi PERSONALE DI COPERTA - Mozzo: avere 15 anni di età. - Giovanotto di coperta: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da mozzo. - Marinaio: aver compiuto 18 anni di età ed avere effettuato almeno 24 mesi complessivi di navigazione, dei quali almeno 12 in servizio di coperta. - Tankista per petroliere: aver effettuato specifico corso di addestramento per petroliere. Aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione su navi petroliere, in coperta od in macchina almeno da marinaio o da comune; ovvero avere effettuato almeno 12 mesi di navigazione da allievo tankista. - Tankista per chimiche: aver effettuato specifico corso di addestramento per chimiche. Aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione su navi chimiche in coperta od in macchina almeno da marinaio o da comune; ovvero avere effettuato almeno 12 mesi di navigazione da allievo tankista. - Tankista per gasiere: aver effettuato specifico corso di addestramento per gasiere. Aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione su navi gasiere, in coperta od in macchina almeno da marinaio o da comune; ovvero avere effettuato almeno 12 mesi di navigazione da allievo tankista. - Operaio di coperta: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione con qualifica di operaio meccanico o di carpentiere o di operaio motorista - Trattorista: essere in possesso della patente di guida D/E e dimostrare con idonea documentazione rilasciata da un precedente datore di lavoro di aver prestato per almeno 24 mesi attività lavorativa con mansioni richiedenti il possesso della patente sopraindicata. - Stipettaio: aver lavorato almeno 3 anni presso imprese di costruzioni di mobili; oppure aver effettuato 24 mesi di navigazione in servizio di coperta, dei quali almeno 12 in aiuto allo stipettaio. - Carpentiere: aver prestato specifica attività lavorativa per almeno 3 anni in stabilimenti di costruzione, riparazione o allestimento di navi o galleggianti; ovvero possedere l'abilitazione di maestro d'ascia; oppure aver effettuato almeno 3 anni di navigazione di coperta e macchina; ovvero aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da allievo carpentiere. - Ottonaio: aver lavorato per almeno 4 anni come operaio in stabilimenti di costruzione, riparazione ed allestimento navi o in stabilimenti di installazione e riparazione di impianti idraulici; oppure aver acquisito la qualifica di operaio meccanico; ovvero aver effettuato 24 mesi di navigazione da allievo ottonaio o 36 mesi di navigazione come giovanotto. - Capitano d'armi: aver effettuato almeno 3 anni di navigazione da marinaio. - Nostromo/secondo nostromo: aver effettuato almeno 4 anni di navigazione da marinaio. Primo

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nostromo: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da nostromo. PERSONALE DI MACCHINA - Giovanotto di macchina: aver compiuto 18 anni di età. - Comune di macchina: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione di cui 12 in servizio di macchina. - Giovanotto frigorista: aver frequentato con esito favorevole un corso presso un centro di formazione professionale per frigoristi; ovvero dimostrare con idonea documentazione, rilasciata da un precedente datore di lavoro, di aver nozioni di impianti frigoriferi o di impianti di condizionamento d'aria. - Frigorista: essere in possesso del diploma di istituto professionale di Stato per le attività marinare, sezione frigoristi; oppure aver lavorato per almeno 4 anni con qualifica di operaio frigorista presso stabilimenti di produzione o di riparazione di impianti frigoriferi; oppure aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione con qualifica di comune di macchina su navi da carico dotate di impianti per la refrigerazione del carico; oppure aver effettuato almeno 24 mesi di servizio su navi passeggeri in aiuto al frigorista; oppure essere in possesso della qualifica di operaio motorista; ovvero aver effettuato 24 mesi di navigazione da allievo frigorista o 30 mesi di navigazione da giovanotto frigorista. - Giovanotto elettricista: aver frequentato con esito favorevole un corso presso un centro di formazione professionale per elettricisti;oppure aver lavorato almeno per 12 mesi presso una officina o stabilimento elettromeccanico. - Elettricista o secondo elettricista: essere in possesso del diploma di istituto professionale di Stato per le attività marinare, sezioni elettricisti o elettromeccanici. Oppure aver prestato almeno per 4 anni servizio in uno stabilimento elettrotecnico con qualifica di elettricista; oppure aver effettuato 24 mesi di navigazione da giovanotto elettricista o da allievo elettricista, o 24 mesi di navigazione in servizio di macchina con specifica destinazione ai servizi di categoria dopo frequenza di un corso professionale. - Primo elettricista: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da elettricista o da secondo elettricista. Operaio motorista: aver effettuato 12 mesi di lavoro in officina meccanica-navale e 12 mesi di navigazione al servizio di motori endotermici di potenza non inferiore a 50 HP/asse; oppure aver effettuato, prima o dopo la frequenza di un idoneo corso professionale, almeno 12 mesi di navigazione in servizio di macchina da comune di macchina; oppure aver effettuato 24 mesi di navigazione da allievo operaio motorista. - Operaio meccanico: essere in possesso del diploma di istituto professionale di Stato per le attività marinare, sezione meccanici, o della qualifica di operaio specializzato o qualificato con almeno 12 mesi di servizio in stabilimenti con tale qualifica;oppure aver effettuato 24 mesi di navigazione da allievo operaio meccanico. - Capo operaio: aver effettuato 24 mesi di navigazione da operaio meccanico o proveniente dalla qualifica di capo fuochista. PERSONALE POLIVALENTE - All. comune polivalente: aver compiuto 18 anni di età ed appartenere alle categorie iniziali di mozzo, di giovanotto o diplomati nautici di coperta e macchina ed essere in possesso del libretto sanitario qualora adibito a servizi di cucina o di mensa. - Comune polivalente: aver compiuto 18 anni ed aver effettuato 24 mesi complessivi di navigazione nelle qualifiche iniziali dei quali almeno 12 in servizio di coperta ed aver superato uno dei corsi per comuni polivalenti previsti dalla circolare n. 88 del 14 dicembre 1988 e sue successive integrazioni e modificazioni; ovvero aver effettuato 24 mesi di navigazione da allievo comune polivalente. - All'operaio polivalente: aver compiuto 18 anni di età ed aver conseguito il diploma dell'istituto professionale di Stato per le attività marinare, sezione macchina; oppure avere la licenza di scuola media con almeno 6 mesi di esperienza di lavoro a bordo nella categoria iniziale. - Operaio polivalente: aver effettuato 24 mesi di navigazione da allievo operaio polivalente oppure, dopo aver conseguito la qualifica di operaio meccanico, di operaio motorista, di operaio frigorista o di operaio di coperta, aver effettuato 36 mesi di navigazione (dei quali almeno 12 in servizio di coperta per partecipare alla guardia di navigazione in plancia) ed aver superato uno dei corsi per operai polivalenti previsti dalla circolare n. 88 del 14 dicembre 1988 e sue successive integrazioni e modificazioni. - Capo operaio polivalente: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da operaio polivalente ed aver superato uno dei corsi previsti dalla circolare n. 88 del 14 dicembre 1988 e sue successive integrazioni e modificazioni.

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PERSONALE SANITARIO Infermiere: essere in possesso della relativa abilitazione ai sensi della legge sanitaria. PERSONALE DI CAMERA - Piccolo di camera: avere 15 anni di età. - Garzone di seconda: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da piccolo di camera. - Garzone di camera: aver effettuato almeno 18 mesi di navigazione da piccolo di camera oppure almeno 6 mesi da piccolo di camera dopo aver frequentato un corso alberghiero riconosciuto. - Garzone di prima: aver effettuato almeno 6 mesi di effettiva navigazione da garzone di seconda. - Cameriere: aver compiuto 18 anni di età ed aver effettuato almeno 12 mesi di effettiva navigazione da garzone di prima o da garzone di camera oppure comprovare di aver prestato almeno un anno di servizio in albergo, o di aver maturato almeno 24 mesi di navigazione come allievo: commis, cabin steward, lounge steward e comune di camera. Cameriere (con buona conoscenza di lingue): aver compiuto 18 anni di età ed aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da garzone di prima con buona conoscenza di lingue; oppure comprovare di aver prestato servizio alberghiero per almeno 2 anni e aver buona conoscenza di lingue, o aver maturato 24 mesi di navigazione come allievo comune alberghiero, cabin steward, lounge steward, ecc. Cameriere ripostiere: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da cameriere. - Primo cameriere - Capo alloggi: aver effettuato almeno 48 mesi di navigazione da cameriere. - Aiuto guardarobiere: aver effettuato 18 mesi di navigazione da piccolo di camera. - Guardarobiere: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da cameriere; ovvero 48 mesi di navigazione da garzone di prima o da garzone di camera. Maggiordomo - Maitre d'hotel: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione in qualità di primo cameriere; ovvero aver svolto per almeno 48 mesi di servizio come maggiordomo in alberghi di lusso o di prima categoria. - Bambinaia: aver compiuto 18 anni di età, aver conseguito la licenza di scuola media inferiore. Barista: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione come cameriere o almeno 48 mesi di navigazione da garzone di camera o garzone di prima. Guardiano notturno alberghiero: aver effettuato 24 mesi di navigazione, dei quali almeno 6 nella sezione di camera ed aver frequentato, con esito positivo, un corso antincendio riconosciuto. PERSONALE DI CUCINA E FAMIGLIA - Piccolo di cucina: essere in possesso di libretto sanitario. Garzone di cucina: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da piccolo di cucina (tale requisito non è richiesto sulle navi da carico). Terzo cuoco: avere 18 anni di età ed aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da garzone di cucina; ovvero aver effettuato 24 mesi di navigazione come allievo cuoco. Secondo cuoco: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da terzo cuoco o 36 mesi da garzone di cucina. Primo cuoco/capo partita: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da secondo cuoco. Sottocapo cuoco - Sous chef: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da primo cuoco, ovvero aver effettuato almeno 36 mesi di servizio come cuoco in alberghi di prima categoria. - Capo cuoco/Chef: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da sottocapo cuoco o sous chef o 24 da primo cuoco, oppure dimostrare di aver esercitato le mansioni di capo cuoco in grandi alberghi. - Cuoco equipaggio: essere in possesso dell'abilitazione ad imbarcare quale cuoco di bordo ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 14 luglio 1957, n. 1065. - Dispensiere di equipaggio: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da cuoco di equipaggio. - Garzone pasticciere: avere la qualifica di garzone di cucina oppure aver effettuato 12 mesi di navigazione da piccolo di cucina, ovvero essere in possesso di un certificato comprovante l'esercizio delle mansioni di garzone pasticciere a terra. - Pasticciere: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da garzone pasticciere oppure essere in possesso di un certificato comprovante l'esercizio delle mansioni di pasticciere a terra, oppure aver effettuato 24 mesi di navigazione da allievo pasticciere. - Capo pasticciere: aver effettuato almeno 12 mesi di navigazione da pasticciere o dimostrare di aver svolto le mansioni di capo pasticciere in grandi alberghi. - Garzone di cambusa: possedere la licenza di scuola media inferiore ed avere effettuato almeno 12 mesi di navigazione da garzone di cucina, oppure 24 mesi di navigazione da piccolo di cucina. - Cambusiere: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da garzone di cambusa, oppure possedere

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la qualifica di secondo cuoco, ovvero aver effettuato 24 mesi di navigazione da allievo cambusiere. Primo cambusiere o cambusiere unico: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da cambusiere, oppure possedere la qualifica di primo cuoco o di dispensiere o avere effettuato almeno 48 mesi da garzone di cambusa. Bottigliere: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da garzone di cambusa ovvero 18 mesi di navigazione da cameriere in servizio di sala. - Maestro di casa: avere effettuato almeno 24 mesi di navigazione da dispensiere o da cambusiere ovvero aver effettuato almeno 5 anni di navigazione da cuoco o da primo cameriere. - Garzone panettiere: avere la qualifica di garzone di cucina oppure aver effettuato 12 mesi di navigazione da piccolo di cucina, oppure essere in possesso di un certificato comprovante l'esercizio delle mansioni di garzone panettiere a terra. - Panettiere: aver compiuto 18 anni di età ed essere in possesso di certificato comprovante l'esercizio delle mansioni di panettiere a terra ovvero aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione come allievo panettiere o avere la qualifica di cuoco di equipaggio. - Capo panettiere: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione come panettiere. - Garzone macellaio: essere in possesso della qualifica di garzone di cucina oppure di un certificato attestante 12 mesi di attività lavorativa in una macelleria con mansioni di garzone macellaio. - Macellaio: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione come garzone-macellaio, oppure essere in possesso di un certificato attestante la specifica capacità professionale ovvero aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione come allievo macellaio o avere la qualifica di cuoco di equipaggio. - Capo macellaio: aver effettuato 24 mesi di navigazione da macellaio. - Garzone lavandaio: possedere un certificato di capacità professionale. - Lavandaio/stiratore: aver compiuto 18 anni di età ed essere in possesso di un attestato di capacità professionale rilasciato da un precedente datore di lavoro. - Capo lavandaio: aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da lavandaio. PERSONALE ADDETTO AI SERVIZI VARI - Tipografo: avere 18 anni di età ed essere in possesso di un certificato di idoneità professionale ed aver prestato per almeno 12 mesi attività lavorativa presso una tipografia, ovvero aver effettuato almeno 24 mesi di navigazione da allievo tipografo. - Operatore cinematografico: avere 18 anni di età ed essere in possesso di attestato di idoneità professionale. - Assistente di ufficio: essere in possesso di licenza di scuola media inferiore ed aver lavorato per almeno due anni presso un ufficio specializzato nel settore turistico ed avere buona conoscenza di almeno una lingua estera; oppure aver conseguito la licenza di segretario d'azienda o l'abilitazione di segretario di amministrazione o il diploma di scuola superiore, ovvero aver effettuato 24 mesi di navigazione come allievo assistente d'ufficio. - Hostess: essere in possesso del libretto di idoneità professionale rilasciato dal centro italiano di cultura turistica, oppure aver conseguito, il diploma di liceo linguistico o di istituto commerciale per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere; oppure dimostrare con idonea documentazione di aver svolto per almeno 24 mesi compiti di assistenza turistica presso un'agenzia del settore ovvero aver navigato per 24 mesi come allieva hostess. Nota: Per alcune figure professionali, concernenti l'estetica della persona, l'intrattenimento sociale, l'attività ricreativa e lo shopping dei passeggeri quali ad esempio: estetica, manicure, parrucchiere, barbiere, ginnasta, orchestrale, intrattenitore sociale, venditore, ecc., è ammesso l'imbarco, per il tramite dell'ufficio di collocamento, a richiesta dell'armatore che ne valuta la professionalità. In relazione a quanto previsto dalla convenzione IMO STCW/78, recepita nell'ordinamento nazionale con legge 21 novembre 1985, n. 739, il personale di coperta e di macchina e personale polivalente interessato dovrà essere in possesso della certificazione prescritta dalla convenzione stessa. ALLIEVI SOTTUFFICIALI Sezione coperta: - Allievo tankista: aver effettuato 12 mesi di navigazione in servizio di coperta o macchina. - Allievo ottonaio: essere in possesso di idonea documentazione attestante di avere prestato per almeno 12 mesi attività lavorativa in qualità di idraulico presso una impresa; ovvero avere frequentato con esito positivo uno specifico corso professionale. - Allievo carpentiere: essere in possesso di idonea documentazione attestante di aver prestato per almeno 12 mesi specifica attività lavorativa presso uno stabilimento di costruzione, ripazione o

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allestimento di navi o galleggianti; ovvero avere frequentato con esito positivo uno specifico corso professionale. Sezione macchina: - Allievo frigorista: aver frequentato con esito favorevole un corso presso un centro di formazione professionale per frigoristi; ovvero dimostrare con idonea documentazione, rilasciata da un precedente datore di lavoro, di aver nozioni di impianti frigoriferi o di impianti di condizionamento d'aria. - Allievo operaio motorista: aver frequentato con esito favorevole un corso presso un centro di formazione professionale per motoristi; ovvero aver lavorato almeno 12 mesi presso una officina o stabilimento meccanico. Allievo operaio meccanico: aver frequentato con esito favorevole un corso presso un centro di formazione professionale per meccanici; ovvero aver lavorato almeno 12 mesi presso una officina o stabilimento meccanico. Allievo elettricista: aver frequentato con esito favorevole un corso presso un centro di formazione professionale per elettricisti; ovvero aver lavorato almeno 12 mesi presso una officina o stabilimento elettromeccanico. Sezione cucina: - Allievo cambusiere: possedere la licenza di scuola media inferiore. SEZIONE SERVIZI VARI - Allievo assistente d'ufficio: essere in possesso della licenza di scuola media inferiore ed avere una discreta conoscenza di una lingua estera. - Allievo tipografo: aver compiuto 18 anni di età ed avere prestato per almeno 12 mesi attività lavorativa presso una tipografia, ovvero aver frequentato con esito positivo uno specifico corso professionale. - Allieva hostess: essere in possesso di diploma di scuola media superiore. ALLIEVI COMUNI ALBERGHIERI Sezione camera: - Allievo comune di camera: aver compiuto 18 anni di età ed essere in possesso di diploma alberghiero o attestato di frequenza ad un istituto professionale alberghiero o avere la licenza di scuola media con almeno sei mesi di esperienza di lavoro a bordo nella categoria iniziale di piccolo di camera o garzone di camera. - Allievo commis - Allievo cabin steward - Allievo lounge steward: essere in possesso di diploma alberghiero o di attestato di frequenza ad un istituto professionale alberghiero. Sezione cucina: - Allievo cuoco: aver compiuto 18 anni di età ed essere in possesso di diploma alberghiero o avere la licenza di scuola media con almeno sei mesi di esperienza di lavoro a bordo nella categoria iniziale di piccolo di cucina o garzone di cucina. - Allievo pasticciere - Allievo panettiere: essere in possesso di diploma alberghiero o di attestato di frequenza ad un istituto professionale alberghiero. - Allievo macellaio: essere in possesso del libretto sanitario.