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La rassegna stampa di dal primo al 31 maggio 2010 O blique «Legavamo la qualità del romanzo alla sua illeggibilità». Angelo Guglielmi a proposito del Gruppo 63 Ernesto Ferrero, «L’antisemitismo di Céline, genio contro tutti» il Riformista, primo maggio 2010 3 Stefano Bartezzaghi, «I libri della vita. Perché abbiamo ancora bisogno di un canone» la Repubblica, 3 maggio 2010 5 Alfonso Berardinelli, «La critica libera è quella inutile» Corriere della Sera, 4 maggio 2010 6 Antonio Gnoli, «Angelo Guglielmi: “L’errore del Gruppo 63? Elogiare solo i libri illeggibili”» la Repubblica, 5 maggio 2010 8 Laura Piccinini, «Chiamiamoli libri professionisti» D della Repubblica, 8 maggio 2010 10 Maria Antonietta Saracino, «Yates, vivere dunque fallire» Alias del manifesto, 8 maggio 2010 13 Anna Masera, «La prima grande guerra degli ebook» La Stampa, 12 maggio 2010 16 Paolo Di Stefano, «“Il mio Einaudi, manager lassista”» Corriere della Sera, 13 maggio 2010 17 Luca Ricci, «Il successo è tascabile» il manifesto, 14 maggio 2010 18 Paolo Bianchi, «“Sono diventato grande grazie a Ellis”» Libero, 15 maggio 2010 20 Federico Monga, «E sulle intercettazioni Marina non tradisce papà» La Stampa, 16 maggio 2010 21 rs_maggio2010:Layout 1 07/06/2010 17.09 Pagina 1

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La rassegnastampa di

dal primo al 31 maggio 2010Oblique

«Legava mo la qualità del romanzo alla sua illeggibilità».Angelo Guglielmi a proposito del Gruppo 63

– Ernesto Ferrero, «L’antisemitismo di Céline, genio contro tutti»il Riformista, primo maggio 2010 3

– Stefano Bartezzaghi, «I libri della vita. Perché abbiamo ancora bisogno di un canone»la Repubblica, 3 maggio 2010 5

– Alfonso Berardinelli, «La critica libera è quella inutile»Corriere della Sera, 4 maggio 2010 6

– Antonio Gnoli, «Angelo Guglielmi: “L’errore del Gruppo 63? Elogiare solo i libri illeggibili”»la Repubblica, 5 maggio 2010 8

– Laura Piccinini, «Chiamiamoli libri professionisti»D della Repubblica, 8 maggio 2010 10

– Maria Antonietta Saracino, «Yates, vivere dunque fallire»Alias del manifesto, 8 maggio 2010 13

– Anna Masera, «La prima grande guerra degli ebook»La Stampa, 12 maggio 2010 16

– Paolo Di Stefano, «“Il mio Einaudi, manager lassista”»Corriere della Sera, 13 maggio 2010 17

– Luca Ricci, «Il successo è tascabile»il manifesto, 14 maggio 2010 18

– Paolo Bianchi, «“Sono diventato grande grazie a Ellis”»Libero, 15 maggio 2010 20

– Federico Monga, «E sulle intercettazioni Marina non tradisce papà»La Stampa, 16 maggio 2010 21

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– Federico Monga, «Cavallero: “Vogliono sottrarci gli scrittori di maggior successo”»La Stampa, 17 maggio 2010 22

– Paolo Di Stefano, «Javier Marías: “Ho preso in prestito la vita di mio padre”»Corriere della Sera, 17 maggio 2010 24

– Stefano Mauri, «Non è marketing, noi difendiamo la libertà di stampa»Corriere della Sera, 18 maggio 2010 26

– Gilda Policastro, «Romanzi al mercato»il manifesto, 18 maggio 2010 27

– Ernesto Franco, «Einaudi: “Difendiamo la libertà di stampa”»la Repubblica, 19 maggio 2010 30

– Paolo Mauri, «Edoardo Sanguineti, il poeta della neoavanguardia che giocava col mondo»la Repubblica, 19 maggio 2010 31

– Marisa Fumagalli, «Quanto costava Stiegg Larson»Corriere della Sera, 10 maggio 2010 33

– Dino Messina, «L’imbarazzo degli autori Einaudi: “Quell’appello andava firmato”»Corriere della Sera, 20 maggio 2010 36

– Antonella Guerrera, «Paul Hardings. Il Pulitzer che l’America non voleva pubblicare»il Riformista, 21 maggio 2010 37

– Renato Gaita, «Il romanziere con la matita»Il Messaggero, 22 maggio 2010 39

– Alessandra Iadicicco, «Edmund White: “Erano più liberi i gay dell’800”»La Stampa, 23 maggio 2010 41

– Abraham B. Yehoshua (traduzione di Alessandra Shomroni), «Yehoshua e il cane»L’espresso, 27 maggio 2010 43

– Stenio Solinas, «Il vecchio e il fare»il Giornale, 31 maggio 2010 46

Raccolta di articoli pubblicati da quotidiani e periodici nazionali tra il primo e il 31 maggio 2010. Impaginazione a cura di Oblique Studio.

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L’ANTISEMITISMO DI CÉLINE, GENIO CONTRO TUTTIErnesto Ferrero, il Riformista, primo maggio 2010

Riletture. Il caso spinoso e complesso di uno scrittore diventato bersaglio idealedei fascisti e dei comunisti perché irriducibile bastian contrario. Dal Voyage aBagatelles, ce l’aveva con molti: gli ebrei, ma anche i francesi, la Chiesa, i nazisti.Perché le tinte livide che sono state rimproverate a “Ferdinando il furioso” nonsono altro che l’amarezza di un amore deluso nei confronti del genere umano

Ma che cosa è stato esattamente iltanto discusso antisemitismo diCéline, la colpa irredimibile per moltidei suoi giudici più intransigenti?Torniamo ogni volta a interrogarci

sulle scissioni che possono mettere l’uomo contro loscrittore. Si sa: le qualità di un artista non produco-no per ciò stesso una corretta lettura della realtà edella Storia, e men che mai della politica. Pounddocet. Ma qui il caso si presenta particolarmente spi-noso e complesso, e di recente ha cercato di darenuove spiegazioni la francesista fiorentina MarinaAlberghini in quella che è la prima biografia tutta ita-liana, una appassionata arringa difensiva (Célinegusto randagio, Mursia 2008).

Bastian contrario sempre controcorrente e contro-tempo, nel dopoguerra Céline era diventato il bersaglioideale: per quanti s’erano compromessi con Vichy (lostesso Sartre, il più virulento degli accusatori, durantel’occupazione era legato a una ri vista collaborazioni-sta) e per i molti che avevano aderito acriticamente alcomunismo sovietico, con tro cui Céline, che era statoin Russia nel 1936, ave va scagliato una feroce requisi-toria, Mea culpa. Ha scritto all’amica Karen Jensen:«Tutta quella roba è abietta, spaventevole, incredibil-mente fetida. Vede re per credere. Un orrore. Sporco,povero – ripugnante. Una prigione di larve. Tutta poli-zia, buro crazia e caos fetido. Tutto bluff e tirannia. Èpolizia, burocrazia e caos infetto». Tutto bluff e tiran-nia…». Il «socialismo reale» diventa per lui un’ennesimametafora dell’eterna difettività dell’uomo. «Quelli disinistra sono così certi delle loro verità rivolu zionarie,che non gli si può insegnare niente».

E dire che quando il Voyage esce alla cheti chellanell’autunno del 1932 in cinquemila copie, sembra unlibro di sinistra. Solo gli anarchici, gli an timilitaristi egli anticolonialisti sentono che Céline è uno dei loro:un «refrattario», lo definiscono. I comunisti sono divi-si tra apprezzamento e rim provero, quello che sono

tenuti a muovere per una desolazione senza sbocco,una filosofia nichilista (così Gor’kij), il non sapervedere nel proletariato la forza nuova che raccoglie-ra dalle mani della borghesia corrotta la fiaccola dellaciviltà. No, Céline non idealizza i poveri (li conoscetroppo bene), ma va bene lo stesso, dice Trockij. Il suopessimismo contiene in sé il proprio antidoto. La verarivoluzione di Céline è di tipo espressivo, perché rivi -talizza la ricchezza e la complessità di una grandecultura quale è quella francese. Sulla rivista degli stu-denti socialisti, un giovane professore di filosofia,Claude Lévi-Strauss, il fu turo grande etnologo, diceche se an che Céline non fosse dei loro, c’è da esserelieti che un libro del genere sia nato accanto a loro:per il suo valere profondo, e per la formula delibe -ratamente estremista e aggressiva che le conferisceun andamento di manifesto, e di manifesto liberato-rio. Sono d’accordo anche i cattolici, che colgonobenissimo il nocciolo etico del lavoro di Céline, il suo

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grido di dolore per l’uomo. Per Renè Schwob nelromanzo c’è Dio sotto forma di un’aspirazione incon-fessata all’a more per il prossimo.

È davvero così. Le tinte livide che sono state rim-proverate a Céline nascono dall’amarezza di unamore deluso per l’uomo. Griderà: «Sono del partitodella vita, io!». Come in Gadda, gli uomini non sonoquello che Céline vorrebbe: generosi, disinteressati,pacifici, creativi. Sono anzi delle scimmie dotate diuno spaventevole istinto distruttivo. Sullo spettacolodelle bassezze umane Céline costruisce una comicitàpotente fatta di riso liberatorio, di satira, di grottesco,di humour nero. Se grida, se carica le tinte è per sol-lecitare il coinvolgimento nella difesa dell’umano. Manel romanzo ci sono momenti di tenerezza struggen-te, soprattutto per le donne, i bambini e gli animali.Dirà del Voyage: «Il mio libro non è lette ratura, e lavita com’è. La miseria umana mi scon volge, sia essafisica o morale. L’uomo è nudo, spo gliato di tutto,perfino della fede in sé stesso. Que sto è il mio libro».

Strano antisemita, Céline. Con amici e fidanzateebree, difeso ancora nel 1944 dal mensile delMovimento Nazionale Ebraico: «Il suo individualismo,la sua solitudine intellettuale lo fanno fratello degliebrei». Nei tre libri «maledetti» ne ha per tutti, nonsolo per gli ebrei (o per meglio dire per quelle lobbyebraiche che a suo parere soffiano sul fuoco dellaguerra imminente). Ha sarcasmi non meno taglientiper i comunisti, gli ariani, gli stessi francesi deboscia-ti, i giornali, gli odiatissimi capitalisti («Crepino i pa -droni! E subito! Questi putridi rifiu ti!»), la Chiesa, laborghesia crapu lona, i colleghi imbolsiti, la cultura dimassa che presto sommergerà il mondo sotto unacoltre di banalità. Chiama Petain «Bedain», cioè trip-pa, e Hitler «Dudule», famoso clown dell’epoca. Siproclama «il meno tedescofilo dei francesi», ripeteche le «fesserie di Hitler, con il suo satani smo wagne-riano», gli sono sempre sembrate futili.

Finché si sente l’unico a denunciare le cospirazionidegli ebrei guer rafondai, si sfrena in un delirio accu-satorio che finisce per risultare co mico-grottesco, lacaricatura di sé stesso: «Essenzialmente metaforico eviolentemente iperbolico», come ha giustamentescritto Raboni, per cui il lettore si ritrova scisso traconsenso estetico e dissenso etico. Al processo pari-gino del 1950, quando in aula vengono letti alcunibrani delle Ba gatelle, il pubblico si mette a ridere. Lostesso titolo di Bagatelle per un massacro nonrimanda allo stermi nio degli ebrei, che Céline non hamai nemmeno immaginato, ma a quello dei francesitutti, se non si fos sero accorti per tempo del forte

ven to bellicista che soffiava sulle loro te ste, alimen-tato da lobby capitaliste che estendevano le lorotrame da New York a Mosca. Si potrebbe dire delleBagatelle (da intendersi come composizione musica-le scherzosa, di poche pretese) quel che ha scrittoGianni Celati a proposito di Guignol’s Band, rilevan-do come in quel romanzo d’ambiente londinese ilMacbeth shakespeariano sia tanto citato: «Teatro disangue e di colpa, ambivalenza continua delle os -sessioni, confusione allucinatoria tra il corpo pro prioe il fantasma che lo insidia».

Spiega Céline allo studente americano (ebreo)Milton Hindus, che nel 1947 voleva restituirlo allacomunità letteraria e insieme redimerlo dal suo an -tisemitismo: «Chi non ha imprecato contro gli ebrei!Essi sono i padri della nostra civiltà – si ma ledice sem-pre il proprio padre a un certo punto». E all’amicoAlbert Paraz: «Ero fatto per intendermi con i semiti.Solo loro sono curiosi, mistici, mes sianici come me».

Ma quando i tedeschi arrivano a Parigi e la perse-cuzione diventa una pratica effettiva, Céline si tienein disparte, rifiuta le offerte di collaborazioni giorna-listiche e radiofoniche, non entra in associa zioni filo-tedesche. Ha sempre corso da solo, e detestaimbrancarsi, ove che sia. Il grande anarchico si ritirasull’Aventino di Montmartre aspettando il peggio ches’è costruito con le sue mani. Al piano di sotto si riu-niscono degli esponenti della Resistenza, ma lui nondenuncia, anzi. Quando ascoltano Radio Londra, liprega di aumentare il volume, perché lui da sopranon sente bene. Amava così poco i «frit zi» che quan-do scoppia la guerra a cinquant’anni l’invalido siarruola volontario.

In Germania il Voyage era stato bollato come artedegenerata, e l’autore come un personaggio imba-razzante. Lui ricambiava, profetando sin dal 1933 chelà si stavano preparando «immonde intraprese sadi-che e mostruose», e che l’Europa in tera sarebbe statafascista per parecchio. L’invasa to sapeva anche vederbene. Al giovane Arbasino che va a trovarlo nel 1959predice che gli stati co munisti si sarebbero apertiprima o poi al capitali smo. Aveva ragione Gide quan-do spiegava che non è la realta che Céline dipinge,ma l’allucinazione che la realtà gli provoca. Chi lo fre-quentò ricorda che non guardava negli occhi l’inter-locutore, come obbedisse soltanto alle visionioltranziste che tanto lo agitavano. I suoi sono sem-pre stati monologhi, non dialoghi. Il «Ferdinandfurieux» ha vissuto tut ta la vita murato nella solitu-dine disperata del suo amore deluso per gli uomini.

Oblique Studio

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Pochi nuovi testi in cata logo, poche ristam-pe dei classici e quando, infine, si arriva inlibreria, la lussureggiante varietà di scaffa-li su lingua, linguistica e cri tica letterariache si fronteggiava ancora un paio di

decenni fa, oggi è mortificata in succinti palchettibassi o nascosti dietro a colonne, dove i libri di teoriae di critica sono mescolati con biografie e ma nuali difai da te editoriale. La cri tica letteraria ha insommacessa to di essere un settore di impegno continuativoper una grande par te della produzione e distribuzio -ne editoriale. Quando avremo be ne imparato tutti ascrivere e a pubblicare, forse ci renderemo conto cheavremo omesso di im parare a leggere.

Una soluzione classica è l’indi cazione di un cano-ne. Dal Canone occidentale di Harold Bloom ai Librida leggere a vent’anni di cui si sono occupati GiulioVan nucci e Nicola Villa (tema poi ri preso anche daGoffredo Fofi) i tentativi di trovare fili d’Arianna perla Babele delle nostre bibliote che sono incessanti. Ilibri più im portanti, i libri migliori, i libri che non pos-sono mancare, i libri da isola deserta, i libri che hannoinfluenzato la vita di questo o quel lettore: l’espe-diente della lista, già messo a frutto da Nick Hornby,si adatta oltretutto benissimo al for mato dei blog (ese ne è occupato recentemente il New York Times).

Poi c’è un’altra soluzione: più narrativa, avvolgen-te, meditata. Uno scrittore che è anche uno storicodella letteratura, Michele Mari, anni fa ha pubblicatoil raccon to Otto scrittori: «C’erano una volta ottoscrittori che erano lo stesso scrittore». Joseph Conrad,Daniel Defoe, Jack London, Herman Melville, EdgarAllan Poe, Emilio Salgari, Robert Louis Stevenson,Giulio Verne compongono la squadra del cuore perun ragazzo-lettore che, con il tempo, incomincia adistinguere tra i loro rispettivi valori, sino a far gioca-re una sorta di girone finale a tre di essi, Conrad,

Melville, Ste venson (forse qui è il caso di ripetere cheil cognome dell’autore del racconto è «Mari»).

Proprio dalla ricezione nella cultura italiana di unodi loro, Ste venson, e da questo, splendido, «raccontodi critica vissuta» si di pana la successione di studi cheDomenico Scarpa ha ora raccolto sotto il titolo Storieavventurose di libri necessari (Gaffi editore, pagg.490, euro 16). La forza emblematica della scelta inau-gurale non potrebbe essere maggiore: gli scrittorisono innanzitutto lettori, si leggono tra loro, si scri-vono l’un l’altro, e così fanno anche i loro stessi libri,la cui storia esteriore può essere anche molto piùavventurosa di quella che raccontano una volta aper-ti. È inseguendo tali piste che il critico letterario, nau-fragato sulla zattera dell’umanismo ma pur semprevivo, può dunque costruirsi un linguaggio, una prati-ca e una deontologia almeno relativamente nuovi,mantenendo dei canoni del passato solo pochi stru-menti essenziali: la connessione, la detection docu-mentale, l’orecchio.

Al resto – la zavorra composta da paradigmi, astra-zioni, rigidità, agonismo di poetiche concorrenti – sipuò lietamente rinunciare.

Carlo Fruttero e Franco Lucentini sono entrambigiovani, en trambi aspiranti scrittori, talen tuosi tra-duttori, lettori espertissi mi; si incontrano propiziandoper conto dell’editore Einaudi l’intro duzione in Italiadelle prime ope re di Samuel Beckett e di Jorge LuisBorges. Scarpa prende da una delle loro ultime tradu-zioni da Beckett la frase che li può definire: «Essi coltempo divennero come uno». Giorgio Manganelli ePrimo Levi discutono della chiarezza e dell’oscuritàdella scrittura da posizioni antitetiche, ma i loro let-tori troveranno piu affinità del sospettabile tra i duescrittori nei rispettivi impieghi dell’ossimoro e neimodi in cui le due scritture bordeggiano il silen zio el’indicibile. Il caso di Luigi Meneghello si inserisce,con la sua propria personalissima tonalità, nel pano-

I LIBRI DELLA VITAPERCHÉ ABBIAMO ANCORA BISOGNO DI UN CANONE

— Borges o Gadda, Salgari o Conrad: critici, scrittori e riviste rilanciano con saggi e sondaggi la vocazione a scegliere le opere necessarie per costruire biblioteche ideali —

Stefano Bartezzaghi, la Repubblica, 3 maggio 2010

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rama dei romanzi di formazione resistenziale, conItalo Calvino e Beppe Fenoglio. Elio Vittorini fa vince-re un premio a Carlo Emilio Gadda, convincendo lagiuria che quella di Gadda è «let teratura arteriosa»,mentre l’altro concorrente, Vladimir Nabokov, fa «let-teratura venosa».

Domenico Scarpa è un ricerca tore, documentaristaletterario, scansionatore di intere biblioteche, docen-te, traduttore e critico free-lance. La sua fantasia e lasua acribia critica si incendiano simultaneamentequando, in una rivista letteraria del passato o in unacarta appena dissepolta da un archivio, intercetta leprove di un incontro. Le analo gie tra i protagonistidella lettera tura italiana del Novecento si rile vanonelle predilezioni letterarie; le differenze, nelle rea-zioni ai mo menti storici e culturali: accade così, peresempio, nel parallelo fra il primo Domenico Rea e ilprimo Italo Calvino. Gli accostamenti possono esseresorprendenti («Goffredo Parise tra Darwin eMontale»), ma non c’è aneddotica che per Scarpa nonsi rovesci in un’occasione di intelligenza dei testi e,contemporaneamente, di racconto della loro compo-sizio ne. Se oggi, anche incoraggiati dalle iattanticarenze filologiche degli editori, si legge per fram-menti senza avere però la coscien za del frammento –ogni libro è degustato come piatto unico – le avven-ture dei libri che hanno fatto il nostro passato recen-

te dimostrano come in ognuno di loro la casualitàoccasionale convive con il movimento tellurico einvisibile della situazione storica e culturale. Per que-sto Scarpa non mette al centro della sua attenzio -nene né le opere maggiori né il sentito dire che leaccompagna; predilige le testimonianze di ciò che hapreceduto e seguito l’opera. Ai racconti dei suoi capi-toli fa così seguire un «thesaurus» che mon ta i riferi-menti bibliografici, ghiot to e prezioso come le scenedi backstage e di the snaking of che arricchisconol’offerta nei dvd.

In fondo è lì che il suo libro vuole andare a parare.Non trasmette tanto un sapere quanto un leggere,che poi diventa certo un saper leggere ma lo fa nelmodo naturale in cui l’esperienza si traduce insapienza. Scrivere di leggere è una forma dell’ironia,ma contiene anche una commovente pietas verso inostri vecchi, cortesemente scomo dati dalle poltronein cui potrebbero e forse vorrebbero vegetare, perraccontarcela un’altra volta.

Sarà possibile un libro futuro così sui libri che sistanno scriven do nei nostri decenni? Ci sarannoarchivi che conserveranno le email e gli sms con cuici si consul ta febbrilmente su copertine, punti e vir-gola e orizzonti globali di poetica? Dove sta conti-nuando l’avventura dei libri, ammesso che possanoancora essere detti ne cessari?

Oblique Studio

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LA CRITICA LIBERA È QUELLA «INUTILE»«BISOGNA POTER DIRE CHE IL BESTSELLER ÈSPAZZATURA, ANCHE SE NON SERVE»

Alfonso Berardinelli, Corriere della Sera, 4 maggio 2010

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Questa discussione sui rapporti attuali fracritica e letteratura si è aperta con i nomidi Adorno e Benjamin e con l’idea che chine è stato influenzato negli anniSessanta non sarebbe in grado di capire il

presente. Questo può valere per Benjamin (morto nel1940) e per il suo mes sianismo rivoluzionario, manon vale per Adorno (morto nel 1969), che ha cono-sciuto e analizzato l’american way of life, l’industriaculturale, il fallimento marxista nel rapporto fra teo-ria e prassi e le degenerazioni del comunismo. Maimpostata in questi ter mini la discussione non sta inpiedi. Se Benjamin ha tuttora i suoi devoti, che meri -ta più come critico letterario che come filo sofo poli-tico, Adorno negli anni Sessanta, salvo eccezioni(Fortini, Cases, Calasso, Bel locchio), è stato pochissi-mo letto e subito scavalcato: sia a sinistra, dagliintellettuali militanti e d’avanguardia, sia a destra,dagli heideggeriani, dai mistici e dai mitologi. Ma èdifficile negare che l’analisi dell’industria culturalecompiuta da lui e Horkheimer (ma gari con la corre-zione sostanziale di Enzen sberger, che la definì «indu-stria della co scienza») è un’analisi non superata: diindu stria culturale non si parla più non perché siasparita, ma perché è dovunque, tutti ne sono model-lati e si può dire che non c’è al tro: l’alta cultura, conUmberto Eco, è diven tata bassa.

Eco in quanto scrittore di bestseller enci clopedicinon ha avuto veri seguaci in Italia, ma in quantodemiurgo intellettuale può essere considerato il pre-supposto, il «motore immobile», il dio-padre dellanuova cultura letteraria. In un interessante dialogocon Calasso, pubblicato qualche anno fa su laRepubblica, Eco disse mirabilmente la cosa ve ra: rico-nobbe che non era interessato alla contrapposizione(idealistica, donchisciotte sca) tra vero e falso, ma chesemplicemente gli piaceva il falso perché falso (e ilkitsch perché umiliava e sbaragliava le pretese ari -stocratiche dell’alta cultura). Si trattava di re alismo: elo scrittore di successo è un realista sociologico,soprattutto quando racconta il tipo di favole che ilgrande pubblico vuole.

Per quanto mi riguarda, e da più di trent’anni cheBenjamin e Adorno non sono la mia stella polare:meglio Karl Kraus, Orwell, Auden e come critici lette-rari Ed mund Wilson ed Erich Auerbach, che del re stoho sempre letto. Alla teoria socio-utopi stica e allateologia della rivoluzione, oggi in servibili, preferiscoun diverso empirismo, la satira culturale, l’osservazio-ne dal vero e quella specie di radicalismo anarco-liberale che nei fatti di cultura non sopporta la

retorica democratica del «vogliamo tutto» e «siamotutti creativi».

La critica letteraria deperisce facilmente se non ècritica della cultura. Per questo credo che non sipossa dimenticare la vecchia massima di Kraussecondo cui: «Esistono due specie di scrittori, quelliche lo sono e quelli che non lo sono»; sta al criticonon so lo distinguere tra le due specie (critici inclu si),ma anche spiegare nei diversi casi come e perché ladistinzione, oltre che possibile, è reale.

Ma oltre che critica della cultura, delle idee, dei lin-guaggi e delle istituzioni sociali, la critica è un’impre-sa letteraria individuale. Per essere praticata richiedeun certo grado di ispirazione (amore e odio, ammira-zione e aggressività) e una serie di carte da giocare (ipropri autori preferiti). Vista in questi termi ni la que-stione, credo che il crollo della teo ria della letteraturasia più un bene che un male. La teoria anni Sessanta-Settanta pre tendeva di definire in essenza, in linea diprincipio che cos’è la letteratura da Omero a Zanzottoe di prescrivere anche che cosa de ve fare lo scrittoreper essere davvero moder no. Questa soluzione solen-ne di tutti i proble mi sembrava fatta apposta per farea meno dell’attività critica e per risparmiare le fati cherichieste dall’esame dei casi singoli.

Infine, la critica è impotente, deve esserlo, guai sesi illude di cambiare le cose. La sua libertà di giudizioè complementare alla sua inefficacia pratica. Il cele-brato bestseller de ve restare in vetta alle classifiche,ma sarà be ne che qualcuno possa dire che è spazza-tura, anche se dirlo è inutile.

Ho l’impressione che oggi in Italia narrati va e poe-sia non siano più un oggetto interessante per eserci-tare la critica. Se escono tre romanzi al giorno e quasialtrettanti libri di versi, la partita è persa in partenza.Il recenso re che provasse a esaminare sistematica-men te una tale materia sarebbe spinto al suici dio.Ogni tanto potrà trovare un libro che lo attira. Ma sitratterà comunque di scelte di scutibili, più suggesti-ve che autorevoli. La saggistica mi sembra un genereletterario più interessante. Provare a discutere laqualità di un libro di Calasso e Magris lo trovo piùproficuo che misurarsi con Tabucchi o Cela ti. È signi-ficativo che il nostro Novecento si sia chiuso con trescrittori che hanno portato la narrativa dentro lasaggistica: Garboli, La Capria e Piergiorgio Bellocchiocon Dalla parte del torto e Al di sotto della mischia.Chi non ha letto o ha dimenticato i loro libri ri schiadi non capire quali eredità ci ha lascia to l’ultimosecolo e a che punto siamo. In loro, letteratura e cri-tica sono una cosa sola.

Rassegna stampa, maggio 2010

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ANGELO GUGLIELMI«L’ERRORE DEL GRUPPO 63? ELOGIARE SOLO I LIBRI ILLEGGIBILI»

Esce una raccolta di scritti della militanza critica dell’ex direttore di Rai Tre: «Liquidammo Tondellisenza coglierne le novità. E oggi farei anche un’altra televisione con meno sbeffeggiamento»

Antonio Gnoli, la Repubblica, 5 maggio 2010

Negli ottant’anni di Angelo Guglielmi sinascondono almeno quattro vite:quella del critico letterario, del diretto-re della terza rete televisiva, del presi-dente dell’Istituto Luce e infine

dell’assessore alla Cultura per il comune diBologna. Non male, si potrebbe aggiungere, maga-ri pensando ai destini di certi uomini di potere chein qual che modo cadono sempre in piedi. Ma poi,pensandoci bene, si ha l’impressione che Guglielminon appartenga a una vera e propria nomenclatu-ra culturale: non ha barattato potere contro servi-tù. Si ha l’impressione che sessant’anni fa quelsignore dalla testa magra, il volto affilato e gliocchiali che incessantemente vanno su e giù tra ilnaso e la fronte era lo stesso di quello che oggiincontro nella sua casa romana. E sessant’annisono anche l’arco di tempo nel quale Guglielmi hadato vita alla sua militanza di critico. Alcuni deisuoi contributi sono stati raccolti nel libro Ilromanzo e la realtà (esce oggi da Bompiani, pagg.384, euro 21).

Impegnativo Il romanzo e realtà, un titolo quasi d’al-tri tempi.«Si tratta di un filo che corre lun go tutto il libro e si

basa sulla con vinzione che la realtà non è un fattoma un concetto. Negli anni Cin quanta gli scrittoricome Pratolini raccontavano la realtà sociale e poli-tica, negli anni Sessanta Arba sino e Sanguineti solle-citati dal grande Gadda, guardavano alla realtà comeinvenzione linguisti ca, negli anni Ottanta, con Ton -delli per esempio, si annuncia il ri torno alla realtàdell’esperienza».

Prima che vada avanti che ne è di Moravia? È statolo scrittore per eccellenza. Ma per lei è come se fosseinvisibile.«Non è vero. Era un uomo al quale non sfuggiva ilnuovo ma aveva il torto di adoperare, come dicevaGianfranco Contini, una lingua grigia. Prenda Lanoia, un romanzo molto sopravvalutato. Lì Moraviaavverte l’irrompere della crisi delle ideologie, ma lemetafore che adopera per raccon tarla sono ridicole. Èstato lo scrit tore più intelligente che io abbia maiconosciuto. Ma non si rende va conto che l’intelligen-za va tra dotta in termini di lingua e di strut tura».

Però anche voi del Grup po63 – oltre a lei, Eco,Giuliani, Arbasino, Sanguineti e altri – ve la prende-vate con il romanzo tout court, ne dichiaravate unpo’ troppo affrettatamente la fine.

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«Quando ne sostenemmo la scomparsa, intendevamoche era morto il romanzo ottocentesco. E volevamoessere conseguenti, au spicando un romanzo senzatra ma, che non raccontasse, scritto di parole che nondicono ma fan no».

Diciamo la verità, pretendeva te romanzi con pochis-simi letto ri, il contrario di quello a cui ogni scrittorenormale aspira.«Non nego che sia così. Legava mo la qualità delromanzo alla sua illeggibilità. Pensavamo che esse releggibili voleva dire cedere al fa cile, al consolatorio».

A forza di guardarvi le spalle da Cassola, vi siete persiTondelli sul quale non ci siete andati leggeri.«Apparve improvvisamente, come quei ciclisti cheescono dalla curva. A noi interessavano i non roman-zi. Tondelli, invece, scrisse un romanzo con unatrama. Lo li quidammo senza coglierne le novità».

Che cosa esattamente vi sfuggì?«Ci chiedevamo come si poteva scrivere un roman-zo che avesse un senso. Avevamo accolto concuriosità Altri libertini, dove c’era una storia masfasciata e con tanti buchi. Poi arrivò Rimini, che ciparve il classico romanzo da spiaggia. Solo coltempo ne sco prii le ragioni più nascoste che sonopoi quelle formali. Rimini oggi mi appare come unromanzo strutturalmente animato da un grandesforzo narrativo».

Fino a dove può spingersi il ri pensamento o l’autocri-tica di un critico?«Non ci sono limiti. L’errore, la sottovalutazionecome pure la so pravvalutazione, fanno parte del-l’azione di un critico. Ancora oggi sono convinto cheMoravia fosse un grande scrittore ma senza una lin-gua adeguata».

E Pasolini?Con lui c’era una forte inimici zia. A mente fredda,posso dire che i suoi romanzi erano scadenti. Salvereisolo Petrolio per il suo ca rattere inconcluso. Ma sonocerto che se lo avesse portato a termine sarebbestato brutto come gli altri. Non saprei cos’altro salva-re di Pa solini. Anche Le ceneri di Gramsci soffrono dilarghi margini di reto rica. E stato però un grande co -municatore, un moralista estra neo alla tradizionelaica dei mora listi francesi, ma appartenente allaschiera, diffusa in Italia, dei pre dicatori allaSavonarola, i cupi ammonitori».

Un altro cupo ammonitore fu Fortini. Com’erano ivostri rap porti?«Inesistenti. Mentre con Mora via e Pasolini ci scon-travamo, For tini era un estraneo che ogni tanto citirava addosso delle palate di cacca».

Non andavate d’accordo neanche con Citati eGarboli.«Non ci frequentavamo. Citati ebbe il merito, comenoi del resto, di sdoganare Gadda, di farlo usci re dallabanalità che fosse un ron dista. Quanto al resto pen-savamo che scrivesse aspirando a un’idea di alto, disublime».

È una semplificazione. E Gar boli?«Ci sembrava che entrasse nel romanzo senza pregiu-diziali. E se amava La storia della Morante che noidetestavamo, però sapeva leg gere i testi, sapevaentrarci dentro. Però se devo dire quale fosse l’imma-gine che Garboli aveva della letteratura non sapreicosa ri spondere».

Era l’immagine di sé stesso. «Infatti si dice che non fosse un critico ma uno scrit-tore senza romanzo».

Ha ancora senso la difesa del critico che analizza,squarta, ri cuce e poi stila il referto?«Finché esiste gente che scrive romanzi esisterannocritici pron ti a giudicarli. Siamo figure mino ri, servili,legate alla sorte del ro manzo».

Qual è l’ultimo grande roman zo che ha letto?«Se parliamo di grandi romanzi e non dei brodini coni quali di re gola ci nutriamo direi Fratelli d’I talia. Conquell’opera Arbasino inventa una lingua stracciata,flessibile e che si conforma al di sordine, al non sensoche ha inva so i comportamenti e le ideologie. Timbracosì la modernità».

Per essere così sofisticato, qualcuno si può sorpren-dere de gli anni che ha trascorso in televi sione.«È un mezzo diverso. Non ho mai rifiutato di fare latelevisione. Ma ho avuto l’accortezza, o forse la fur-bizia, di fare grandi ascolti che non comunicasserosgrade volezza e volgarità. Diciamo che l’ironia fu lamia compagna di banco. Quando nel 1994 la sinistra,convinta di vincerle, perse le elezioni, noi della terzarete fum mo accusati, insieme a Mani puli te, di esse-re gli artefici di quel tonfo. Dovevamo fare una reteri verente?».

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Pensa alla odierna televisione?«Non lo so, ma so che rispetto ad allora oggi fareiun’altra televi sione. Forse quel tasso di sbeffeggia-mento non avrebbe più senso, anche perché non c’ègiornalino che non pratichi questo genere. Alloralavoravamo in un periodo in cui stava finendo uncerto tipo di mondo: via la guerra fredda, via l’UnioneSovietica, via il centro si nistra. Una grande trasfor-mazio ne stava cancellando il vecchio».

E voi eravate lì a dare una mano al nuovo?«Una mano a modo nostro. Non credo che la culturapossa aiutare direttamente la società, come haimmaginato il neoreali smo contro cui, a un certopunto, lo stesso Calvino si è ribellato. Lui ebbe la feli-ce idea di scegliere il te ma fiabesco, l’inesistente perrac contare l’esistente. E questo ne ha fatto uno scrit-tore europeo».

Da come parla sembrerebbe che per lei esistono let-tori di serie A e di serie B.«Ci sono diversi gradi di assor bimento di un libro, diun autore. La lettura è anche aiutata da ciò che cir-cola nell’aria. Non esistono i fatti, ci sono le interpre-tazioni, le atmosfere che vanno captate. PrendaDante: quante persone crede che l’abbiano veramen-te letto? Pochissime, però tutti han no una qualchepercezione della sua grandezza».

Quei “tutti” amano scrittori meno sofisticati, menoilleggibi li. Lei che rapporto ha con il bas so dellaletteratura?«Non ho pregiudizi. Dipende dall’offerta. Per esem-pio Camilleri o Carofiglio sono realmente interes-santi, anche se coprono una domanda moltoallargata di lettu ra. Di altri non saprei. Ci vuole unminimo di ragione per leggere un libro. Qualcosa, sepur piccola, deve spostare. Altrimenti non ne vale lapena».

Ma il romanzo, come se lo im magina lei, è morto o no?«Il romanzo è un genere obiet tivamente in crisi.Yehoshua so stiene che il responsabile della crisi delromanzo europeo è la demo crazia la quale, con la suavocazio ne egualitaria, ha reso impossibi le la figuradell’eroe. Quando si uscirà da questa crisi? Quandoin venteremo, lo dice Eco, una nuo va mitologia, giac-ché quella della partenza e del ritorno è stata vis sutadall’intera civiltà occidentale ed è ormai definitiva-mente con sumata».

CHIAMIAMOLI LIBRIPROFESSIONISTI

Laura Piccinini, D della Repubblica, 8 maggio 2010

1. L’EDITOR (SENZA LA -E) È IL PIÙ INTRADUCIBILE, NON PER LA LINGUA MA PERCHÉ,

A SECONDA DI DOVE STA, FA COSEDIVERSE, E MAI UNA PER VOLTA: LO

SCOUTING, IL CARING, GLI PSICODRAM-MI CON L’AUTORE; TALVOLTA SCRIVE.

2. IL TRADUTTORE/TRICE ENTRANELLA MENTE DEL TRADOTTO PER MESI, E SE LUI HA CASA A BROOKLYN GLIELA PRESTA;

SI SVEGLIA IN UN BAGNO DI SUDORENELLA NOTTE SENZA SAPERE

IN CHE LINGUA URLARE PER USCIREDALL’INCUBO.

3. UFF. STAMPA È CHI SI DIVERTE DA PAZZI (IRONICAMENTE, O NO)

AGLI STAND DEL SALONE DEL LIBROA TORINO (13-17 MAGGIO),

O A SCARROZZARE L’AUTORE CHE A 70 ANNI E DOPO 10 ORE DI AEREO

NON VUOLE TORNARE IN HOTEL.

4. NON È VERO CHE IL LIBRAIOÈ MORTO: OGGI FA L’MC, MASTER

OF CEREMONIES, ALLA FNAC O ALLA FELTRINELLI GENOVA, DETTA

“IL MOMA DELLA CATEGORIA”. E POI AGENTI, CORRETTORI, LETTORI

(PAGATI PER FARLO, NON VOI)

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Per scrivere questo pezzo abbiamo provato aintervi stare le tipologie di cui so pra, rica-vandone una prima lezione: specialmentein questo campo nessu no si fa mai solo ilavori suoi. Prima o poi mette il naso nelle

mansioni degli altri, e non solo nel senso verticale dellacarriera, da correttore di bozze a direttore editorialeper dire, ma per la tentazione – possibilità, o necessità– di sconfinamento parallelo. Un ufficio stampa leggequalche manoscritto e fa la scheda, se serve, un tra-duttore svi luppa un’app per leggere il Devoto-Olisull’iPhone. Si fa perché la casa editri ce è piccola, per-ché non sempre si campa di sole traduzioni, per usciredalla folla se, in quanto ufficio eventi, si organizzanofiere, saloni del libro. Ma anche per uscire dalla solitu-dine del computer. Proponiamo quindi un nuo vo ter-mine per ridefinire la categoria: “libri professionisti”, eci stanno dentro tutti. Le oltre 500 case editrici in Italiapiù gli agenti indipendenti e i traduttori freelance, isoliti stagisti, quelli usciti dai Master di Eco e le 1500librerie ca talogate su Facebook: moltiplicate (riman-diamo la parte visuale, dagli illu stratori di copertine airegisti di booktrailer, a una prossima puntata).

Cercheranno di scoraggiarvi con un: «peggio chefare il filosofo!», ma lo dicevano anche a loro e non sisono fermati. E poi «non è vero che non si assume, lepiccole case editrici si stanno accorgendo che avereperso nale stabile alla lunga rende», ci ha dettoLeonardo Luccone, traduttore- autore-insegnante ditecniche editoria li: e ci crede tanto che ha messo suuna struttura che tiene tutte queste cose insieme(vedi box). Seguono casi di editor che ce l’hanno tal-mente fatta da avere bisogno di assistenti, freelan ceche cercano soci per mettere su una società di lette-ratura crossmedia le, agenti indipendenti a 36 anni.L’editor di Saviano-Piperno-Giorda no è AntonioFranchini della Narrativa Mondadori: viene conside-rato una star. È quasi rassegnato a esserlo: «Non c’èfacolta di Lettere che non abbia un corso di editoriao ipotesi di seminario, io ho perso il conto». E lo invi-tano. Lavorare con i libri è diventa to cool. Pensa che«la colpa o il merito sia dei corsi di scrittura creativada meta anni ’80 (prima delle Holden, i corsi diPontiggia e Crovi, o la scuola di Radiopopolare chec’è ancora). Poi, per ragioni dietrologiche, i mediahan no cominciato a occuparsi di cosa fa cevano glieditor. La leggenda che die tro i libri ci fosse il «mano-vratore», e la popolarità saliva. Franchini invita a pen-sarci bene, prima di volerlo fare da grande: ma poi,quando parla dei gio vani con cui lavora, gli si illumi-na la voce. Tra l’altro, anche lui scrive, ma precisa: «I

miei sono saggi-inchiesta e non narrativa pura, cosache non pen serei conciliabile con il mio ruolo». Nonsi possono giudicare i romanzi degli altri e scrivere ipropri: conflitto d’interessi. Uno che invece pensa che«chi meglio di uno che scrive può ca pire chi vuolefare la stessa cosa» è Mario Desiati, direttore editoria-le Fan dango libri e a sua volta scrittore (per un’altracasa editrice, però). A 33 anni si sente un vecchio del-l’editoria, «in America lo sarei, solo qui si debutta a 30an ni», ma usa una serie di neologismi manage rial-letterari: «Il caring. O l’editor come spar ring partneremotivo che convive e combat te con il demone ego -centrico che porta un autore a non voler cambiarenulla di quel lo che ha scritto. Che lavoro, però, conLorenzo Pavolini per Accanto alla tigre: uno che sco-pre di avere un nonno che fu tra i più spietati gerar-chi fascisti. Seguirlo, rassicurarlo. Incontrarlo nei bar,o in casa editrice: rito che dà stabilità agli scrittori».Cer to, «capita di dover seguire un autore che non è iltuo tipo, ma come un av vocato lo fai, turandoti ilnaso e con la stessa cura». A volte funziona fare l’edi-tor di generi cui non penseresti. C’e chi per farlo hacambiato casa e città: Martina Donati era ufficiostampa per Fazi a Roma, un giorno telefona alleredazioni e informa che ha mollato tutto e adesso èa Firenze a curare per Giunti le pubblicazioni youngadults, tra le più monitorate per gli sviluppi nel mul-timediale (dvd, videogames).

È diventata direttore editoriale (per mi nimum fax)anche Martina Testa, ma rimarrà sempre la traduttri-ce culto del fu David Foster Wallace, e non venderàmai all’asta il biglietto che lui le inviò per la prefazio-ne che lei aveva scritto, e annesso alla traduzio ne diun suo libro: «C’era l’adesivo di una faccina che ride eun “Grazie, il mio racconto non meritava un’introdu -zione così… figa”», sintetizza, «e quando mi seppelli-scono quel pezzo di carta deve essere nella bara conme. Entri nelle loro teste. In quella di Zadie Smith cibazzico abbastanza, mentre traducevo il saggio dovestronca il film su un sessantenne che abborda unaragazza, riconoscevo il trauma di Zadie che è statosoffrire pazzescamente l’avere avuto un padre-nonno. Ma nei pertugi della mente di un CormacMcCar thy non mi ci sono fermata, che a tra durlo miha messo un’ansia». Come si comincia: «Alla facoltà diArcheologia arrivava il New Yorker con i suoi rac -conti, da lì la voglia di importarli. Poi noi, banda ditrentenni, avevamo fon dato la nostra rivistina: espe-rienza che consiglio (guardate le partecipanti a Birra,il festival delle indipendenti: Ca trame Letterario, FaM– Frenulo a Mano, Eleanor Rigby).

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Invece Elena Dal Pra voleva fare la scrittrice, ma«non avendo la potenza fantastica di immaginaremondi, mi bastava lavorare sulle parole». Su 1400curriculum inviati mi rispose Lorenzo Enriques diZanichelli: non romanzi, ma dizionari. Quando holavo rato a quello dei Sinonimi e Contrari, mia sorellami usava come sputasinonimi alle cene: lei diceva“cavallo” e io “ronzino, purosangue, palafreno”».Consigli per principianti: «Farsi qua drati per supplireal fatto che non esi ste un percorso determinato equadra to. Precarietà a 25 anni è un’avventu ra, a 40un’ansia: se si vuole tradurre buona letteratura, biso-gna procurarsi altre fonti di reddito. Poi il Manualedell’Angelo custode, sarà una boiata ma rende». Lei,tra una traduzione e l’altra e quat tro anni da editor,sta «anche» metten do su un progetto per devicemobili.

E poi c’è chi «fare l’ufficio stampa è più sexy», PaoloSoraci, che ha fatto il paragiornalista e il correggi-bozze pri ma degli anni del convivere «promi scuo» congli autori. «Per il Saggiatore in auto con DanielChavarria ci scop piano due gomme verso il Festivaldel l’Unità. In Baldini & Castoldi mi arriva Evtushenkoda Tulsa, Oklahoma, a ce na dall’editore fa le imitazio-ni di Maja kovsky e Lenin, alla fine io pronto a ri -portarlo all’hotel e lui “avrei ancora un pochino sete”.E guardate che più si passerà agli ebook, più ci saràbiso gno di portare gli scrittori in giro a in contrare ilettori. Fisicità compensati va, come per i concerti daquando si scarica musica». Così Soraci è diven tatoresponsabile coordina mento librerie Feltrinelli: «Il ca -lendario eventi, i librai-animatori». Purché noninghiottano i piccoli: Desiati ci aveva detto che la sualibraia di Martina Franca gli ha insegnato sull’editingcose che non ti dicono ai corsi.

Senza dimenticare il caso (o parabola) dell’exmagazziniere ora responsabile di produzione chesuggerisce il nuovo formato di un libro che diventaun bestseller (la saga di Twilight di Stephanie Meyer):non sa ranno le misure, ma aiuta. «Lo stan dard era 14per 21 cm, io dico faccia mo 15 per 22, quei 6-7 cmche non lo rendono così fuori formato da non rien-trare nelle pile delle librerie, ma ot ticamente piùvistoso sì», racconta Francesco Pedicini, “il perfezioni-sta” che ha fatto le prove con 50 libri del formatoamericano “da aeroporto”. Aveva cominciato ragio-niere disoccupato a fare il magazziniere per Fanucci,editore di culti horror e di Philip Dick. «Se la casa edi-trice è piccola, è facile finire a fare la contabilità, lacorrezione bozze, a guidarti è sempre la cura mania-cale per i libri». Anni dopo è da Fazi per l’emergenza

Melissa P.: «Il boom richiedeva carta, gli ho procura-to tipografie e parco fornitori».

C’è chi fa l’agente a 36 anni, in pro prio, comeKylee Doust, che tutti chia mano “kailidà”. Ma leipreferisce para gonarsi al collega più temuto delmon do, la “tigre nella giungla dell’editoria” AndrewWylie. «Mettete un K al posto della W e avrete Kylie,lo ricordo sem pre a chi ho davanti prima di ognitrattativa», dice. Australiana ma da anni in Italia, hacominciato alla storica Ali (Agenzia letteraria inter-nazionale) dove hanno fatto pratica i tre miti dioggi Santachiara-Barnabò-Vigevani. Finché si èaperta la partità Iva e in un colpo solo è diventatal’agente di Ammaniti e Moccia. «Io sono libera didare consigli al cliente – lo scrittore – senza sot -tostare a linee editoriali».

Si può perfino aprire una casa editrice, casetta, ingruppo, raccon ta l’ex ufficio stampa Loretta Santinidi Elliot: «Centomila euro di base, l’ap poggio diVivalibri (del marito, ci si in namora pure qui), tre suun pianerot tolo con Castelvecchi e Arcana, ho usatola lezione di Sandro Fer ri della e/o, dove ho comin-ciato». Se inve ce la casa editrice si chiama Add, acro-nimo di Agnelli (An drea), Dalai (Michele), DiLeo(Davide “Boo sta”, della band dei Subsonica) la gentemormora: sai che sforzo. Dalai risponde con unacitazio ne dello scrittore Giuseppe Genna: «Il cogno-me è un carapace, ci sono tanti modi di portarlo, inquesto paese». Co munque, aggiunge, «ci occupere-mo di generi diversi da quelli di mio padre in parti-colare, e dell’editoria italiana in generale. Leinterviste-inchiesta, per esempio. Si parte con il con-fronto in crociato Caselli-Scalfaro (magistrato esenatore, 70 e 90): Di sana e robusta Costituzione.Se lo siamo noi, lo diran no i libri contabili e i lettorisul blog».

(Ps: Non abbiamo parlato di: Adelphi, Einaudi [ènel box], Guanda, ecc: solo citare tutti avrebbe occu-pato metà del pezzo. Ma questo è confortante).

Morale. Fare solo una cosa è difficile. C’è chi scrivee per non rimuginarci su fa le pizze. «Gli editor sonosimpatici» dice Cristiano Cavina «quando sono venu-ti in due della concorrenza a pro vare a “scipparmi” liho portati in trat toria: abbiamo riso per ore, poi hodetto no. Torno sempre da Claudia (mia edi tor dimarcos y marcos), una che se mi dice “taglia” io lofaccio, che pro blema c’è. Lei sa tagliare, io regolare ilforno perché la pizza non venga male». Questo mesepure lui ha una fiera nel suo paese. «Dopo la loro (ilSalone), gli editor e gli altri vengano da me. Si man-gia, saranno tutti stressati».

Oblique Studio

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YATESVIVERE DUNQUE FALLIRE

Francesca Borrelli, Alias del manifesto, 8 maggio 2010

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Nemmeno violentandoli i romanzi diRichard Yates potrebbero rivelare veritànascoste. Le sue trame non imprigiona-no indizi di patologie latenti, né deside-ri mascherati, né autoindulgenti

anamorfosi che lo sguardo avvertito di un lettorepotrebbe rimettere in squadra; e i caratteri dei perso-naggi non manifestano sintomi che i grimaldelliinterpretativi del critico potrebbero rivelare per altroda ciò che sembrano. Inutile cercare di fare uscire dalloro solco i testi di Yates, pretendere di covare dietrole sua frasi piane il delirio di una loro autenticità piùprofonda, come se ci fosse altro da scoprire che nonsi limiti agli echi manifesti di un disagio proiettatodalla biografia dell’autore a quella dei personaggi. Lestesse ricorrenze caratteriali, mentre si spostano di fi -gura in figura, ripropongono la fisionomia psi chica diYates con una insistenza tale da sugge rire che eglisia, in fondo, autore di una unica opera, e che i suoiotto romanzi e gli undici rac conti non rappresentinose non le variazioni necessarie alla articolazione di untema principa le. Lo si potrebbe chiamare il tema dellasolitu dine, o quello del fallimento esistenziale, en -trambi ampiamente sperimentati dall’autore ameri-cano, che infatti ha giocato la sua forma sullapossibilità di far coincidere almeno alcuni dei suoivizi con quelli dei personaggi cui dava vita: il bere,innanzitutto, un rimedio allo scon forto che nei suoilibri non manca mai; l’eccessi va propensione alla ver-bosità, e una certa angu stia di orizzonti, traversata daquella violenza domestica che rientra nelle rispostepreviste dalla frustrazione, anch’essa un motivodomi nate nella narrativa di Yates.

La sua voce, riconoscibile dopo poche battu te, haun che di altalenante tra quanto osserva l’occhiodella voce narrante e ciò che i perso naggi intravedo-no di loro stessi: non proprio una cantilena ma cer-tamente una sorta di mo notonia accordata alregistro della rassegnazio ne; e però, questo – lungidal costituire un difet to – finisce con l’essere un pre-gevole marchio identitario, una sorta di riuscita

costruzione difensiva per arginare la desolazione.Dentro queste gabbie innalzate da Yates i perso-

naggi si muovono quel tanto che consentono le loroproiezioni mentali, le quali dipen dono dagli strumen-ti messi a di sposizione dalla loro estrazione so ciale dimedio-piccolo borghesi, per giunta isolati in sobbor-ghi resi denziali dove le possibili evasioni dalla routi-ne si trovano a una distanza scoraggiante.

Ormai in molti, grazie al film di Sam Mendes, sisaranno familiariz zati con le atmosfere e le aspirazio -ni dei Wheeler, la coppia di venti novenni protagoni-sta di Revolutio nary Road, dove si consuma l’epo peaanni ’50 di giovani insoddisfat ti e litigiosi in fugadallo stereotipo che immaginano (non senza ragio ne)di incarnare, insofferenti dei propri condizionamentima incapaci di superarli, avviati alla catastrofe trapagine che rimangono le migliore di Yates, primo tratutti a rammaricarsi di questo suo esordio al roman-zo divenuto via via più ingombrante; perché nessunadelle sue successive prove narrative è mai più riusci-ta a restituire le vibrazioni di casa Wheeler.

Ora che l’ultimo dei romanzi portati a compimen-to da Yates è stato pubblicato per minimum fax conil suo titolo originale, Cold Spring Harbor (collanaClassics, traduzione di Andreina Lombardi Bom, pre-fazione di Luca Rastello, pagg. 243, euro 13) anche ilettori italiani potranno apprezzare tutta la parabolanarrativa di un autore tardivamente scoperto, edivertirsi a ritracciarne i motivi dominanti. Nel titolointanto, la prima ricorrenza: Cold Spring Harbor èuna area suburbana dello stretto di Long Island, dun-que rimanda a orizzonti non molto più estesi di ciòche lascia intravedere la siepe del vicino, e al tempostesso la scelta di abitarvi dice qualcosa sul confron-to con la realtà che si è disposti a tollerare. Anche quiil protagonista è un ragazzo di modeste fantasie eancora più modeste realizzazioni, che dopo un’adole-scenza a rischio di prigionie finalmente individuanelle macchine la sua passione, e nella intimità con leloro parti meccaniche un sostituto della mancatadimesti chezza con le sue compagne di scuola. Una di

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— Ambientato in un’area suburbana dello stretto di Long Island, anche quest’ultimo romanzo di Richard Yates, del 1986,

si nutre di solitudine e orizzonti limitati —

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loro, tuttavia, di venterà sua moglie, non prima diessere rimasta incinta e avere con ciò messo la paro-la fine ai sogni di entrambi. Evan e Mary si avvianodunque a una tanto immatura quanto improbabileconvivenza, che naufragherà senza troppi dramminel giro di pochissimo tempo, lasciando dietro di lorouna bambina, pochi ricordi, nessun senso di colpa euna non del tutto consumata passione giovanile.Non a caso, infatti, ormai rispo sato e nuovamentepadre, Evan tornerà a innamorarsi della sua primamoglie rincontrata dopo molti anni, che lo ripagheràesplicitandogli la sua intenzione di frequentarlo, sì,purché i loro incontri non diventino «una abitudine».Potrebbe sembrare lo scongiuro di una routine a peri-colosa portata di mano, invece è solo la esplicitazio-ne della misura che la donna è disposta a accordareal proprio coinvolgimento. Non che non circolinopassioni, in questo come negli altri romanzi di Yates,ma sono senza costrutto, senza riverberi di impreve-dibilità, senza proiezioni capaci di varcare la contin-genza. Sullo sfondo della vita di Evan, e talvolta inprimo piano, la figura del padre è la sola investita diuna qualche positività: Charles occupa non pochepagine del romanzo esibendo una certa dignità allaquale non è estranea la sua identificazione con lapassata carriera militare. Alla fine della prima guerramondiale aveva firmato per rimanere sotto le armi eall’inizio della seconda si era rammaricato di nonpotere servire l’esercito a causa della sua debole vista.

Ma molto di più gli duole il fatto che il figlio nonvenga giudicato idoneo all’arruolamento, e bastanopoche parole scambiate con lui per evocare le atmo-sfere di una guerra immaginata come opportunitàsfuggita, fonte di identificazione in un ruolo rispet-tabile: non necessariamente quello dell’eroe maquello del combattente sì, che la vita di tutti i giornisuggerisce di evitare.

La guerra era stata per Richard Yates il teatro nelquale aveva cercato «in ogni modo – ha scrit to luistesso – di farsi onore»: era stato spedito in Francia,poi trasferito in Germania con le for ze di occupazio-ne, e in quel lasso di tempo ave va contratto una lieveforma di tubercolosi che gli sarebbe valsa una picco-la pensione dell’eser cito, sufficiente però a tornareper due anni in Europa, dove non aveva fatto altroche scrivere. Qui, tra le pagine di Cold Spring Harbor,recupe ra le lusinghe che la guerra offre allacostruzio ne della personalità di un ragazzo e le con-segna a Evan per negargliele subito dopo, tanto per-ché sia chiaro che anche lui, come tutti i suoipersonaggi principali, è un candidato al falli mento.

Ma molto più calata nel ruolo è la prota gonista fem-minile del romanzo, Gloria Drake, madre della secon-da moglie di Evan e spettro materno di Yates, che lavede attaccare bottone con tutti, soffrire di patologi-ca insicurezza, dare manifestazioni di instabilitàmentale incorag giate dal molto alcol tracannato.

Già la madre delle due sorelle protagoniste diEaster Parade, il quarto romanzo dello scrittore ame-ricano, aveva impersonato un ruolo simile, anche leievocando i fantasmi dello scrittore americano, anchelei facendosi detestare per la troppa verbosità, ilmolto alcol, le strette vedute provinciali e le aspira-zioni alla scalata sociale: difetti meritevoli, in fondo,di una certa indulgenza, che infatti Yates non rispar-mia alle reincarnazioni romanzesche della propriamadre.

Cold Spring Harbor si conclude con una fraseambigua, fatta apposta per sollecitare le fantasie dellettore: è la seconda moglie di Evan a pronunciarla,rivolta al loro neonato: «Ah, sei un prodigio, eccocosa sei. Sei un miracolo. Perché lo sai che cosadiventerai? Diventerai un uomo». Certo, come notaLuca Rastello nella introduzione, questa frase nel-l’universo di Yates suona come una condanna. Mal’abilità dello scrittore sta appunto nel non esplicitar-la in quanto tale, perché molto più evidente è la con-sequenzialità dei pensieri della madre, quasi ilsillogistico ragionamento di una ragazza non troppointelligente e non troppo infelice, le cui parole stan-no alla giusta distanza tra le sue speranze e i sinistripresagi dell’autore.

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Page 16: La rassegna stampa diObliquein Russia nel 1936, ave va scagliato una feroce requisi-toria, Mea culpa. Ha scritto all’amica Karen Jensen: «Tutta quella roba è abietta, spaventevole,

Alla vigilia del Salone del Libro 2010, arri-vano le nuove piattaforme digi tali per ladistribuzione di libri in formato ebook. Sefino all’an no scorso l’ebook era solo unte ma di dibattito tra futurologi, oggi è

diventato una realtà con cui tutti gli editori fanno iconti alla svelta, per non rimanere ta gliati fuori.

Così ieri sono state annuncia te due nuove piatta-forme italia ne per la distribuzione degli ebook:«Edigita» (Editoria digi tale italiana), promossa daigruppi editoriali Feltrinelli, Messaggerie Italiane conGeMS e Rcs Libri ma a cui hanno già aderito 40 sigleeditoriali, e «Stealth», la piattaforma di E-motion/ -Simplicissimus (pioniere sul mercato degli ebook inItalia) a cui hanno aderito già 30 editori piccoli emedi (tra cui Apogeo, De Vecchi, Giunti e ilViaggiatore). Piattaforme che si sono aggiunte aBookrepu blic, partita ad aprile e a cui han no aderitofinora 15 piccoli edito ri (tra cui Il Saggiatore,minimu m fax, Morellini). A ruota non poteva manca-re l’annuncio della Mondadori, che ha scelto di cor-rere da sola sul mercato de gli ebook, forte della suaposizio ne dominante sul mercato dei li bri.

«Abbiamo un approccio aperto alla nuova frontie-ra del digitale, per cui non possiamo che valutare inmaniere positi ve la nascita di nuovi operatori sulmercato degli ebook, siano essi un consorzio di edi-tori co me Edigita che altre piattafor me indipenden-ti come Simpli cissimus o la neonata Bookrepublic.it»commenta Riccardo Ca vallero, direttore generaleLibri Trade della Mondadori. «Nel l’autunno di que-st’anno lancere mo i nuovi ebook di Einaudi,Mondadori, Piemme e Sperling&Kupfer, partendo

con un’offerta di 1.400 titoli di cui 400 novità asso-lute» dichiara Cavallero. «La scelta è per un’architet-tura aperta sia come strumenti di let tura, rendendofruibili i nostri ebook su tutti i device, sia comedistribuzione, infatti non vende remo direttamentema attraver so gli operatori e-commerce ita liani estranieri».

Edigita, l’iniziativa di Feltri nelli, Rizzoli e Messag -gerie – che si sono avvalsi delle competenze tecno-logiche di Cefriel/Politecni co di Milano – è aperta atutte le ca se editrici interessate a uno svi luppodigitale parallelo alla distri buzione fisica dei libri. «Èuna svolta importante perché questo segmento dimercato è ancora piccolo ma promettente, siamomolto soddisfatti» commenta Carlo Feltrinelli. Laquota di mer cato dell’ebook negli Stati Uniti è statanel 2009 inferiore al 2 per cento, ma secondo leprevisioni crescerà fino al 15-20 per cento entro il2015. Edigita prevede che il mercato italiano degliebook possa raggiungere almeno i 60-70 milioni dieuro nel 2015 con una quota non inferiore al 4-5per cento. La parole d’ordine è esse re «aperti», perfacilitare la distri buzione dei libri digitali in qualsi -asi formato e su qualsiasi appa recchio. «La nostrainiziativa na sce della volontà di realizzare un’unicainfrastruttura comune per la distribuzione onlinedei te sti digitali e condividere lo sforzo economico»spiega Feltrinelli. I soci fondatori di Edigita preve-dono di rendere disponibili dall’au tunno di que-st’anno più di duemi la titoli fra saggistica,narrativa e novità in catalogo. Insomma, chi perNatale vorrà regalarsi o rega lare un e-reader potràfinalmente trovare nelle librerie online una gammadi ebook in italiano.

LA PRIMA GRANDE GUERRA DEGLI EBOOKFELTRINELLI, RIZZOLI, GEMS E MESSAGGERIESFIDANO LA CORAZZATA MONDADORI

Anna Masera, La Stampa, 12 maggio 2010

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«IL MIO EINAUDI, MANAGER LASSISTA»Vassalli racconta i conflitti con il suo editore. E risponde a Ferrari

Paolo Di Stefano, Corriere della Sera, 13 maggio 2010

Sono stato un autore invisibile per diciasset-te anni». Così co mincia Sebastiano Vassalliri cordando la sua lunga espe rienza in casaEinaudi. Dall’esordio, avvenu to nel 1968con le prose sperimentali di Narcisso, all’85,

Vassalli semplicemente per il suo editore non esiste-va. Ora che invece è uno dei decani del catalogo (èappena uscito il suo nuovo romanzo, Le due chiese),è giu sto che sia testimone del suo rapporto conGiulio nella presentazione (domani al Salo ne) di unprezioso volume di studi, Libri e scrittori di viaBiancamano, a cura di Rober to Cicala e Velania LaMendola, (Quaderni del Laboratorio di Editoria dellaCattolica di Milano). Dove si ricostruiscono i casi piùsi gnificativi e le relazioni più importanti in 75 anni divita einaudiana.

«Le rare volte che lo incrociavo nei corri doi di viaBiancamano, passavo assolutamen te ignorato:Einaudi non mi vedeva neanche. Nella cultura italia-na era allora un personag gio quasi intoccabile einavvicinabile. Appari va poche volte in pubblico edera una presen za incorporea, avvolta in un’aura lon-tana: lo ricordo in una fotografia scattata durante ifunerali di Giangiacomo Feltrinelli. Teneva per manoil piccolo Carlo e rappresentava quanto di megliopotesse esprimere la no stra cultura del dopoguerra».Poi le cose cambiarono di colpo nel 1984, con la crisifi nanziaria e con il sesto libro di Vassalli: «Mi scoprìquando uscì La notte della cometa e quando lui noncontava più niente, perché la casa editrice era com-missariata. Venne a tro varmi nel postaccio terrifi-cante in cui abita vo, a Pisnengo: lì nacque unrapporto pieno, vero. Del resto, Einaudi non erauomo di mezze misure con nessuno, figurarsi con isuoi autori: o li accettava davvero o non esi stevano.Mi accettò e la cosa mi procurò diversi nemici». Peresempio? «Tentò di farmi vincere dei premi, maentrava senza diplo mazia e il suo intervento si rive-lò contropro ducente. Fui estromesso dalla casa edi-trice commissariata: andai a Torino con ilmano scritto dell’Oro del mondo, ma fu rifiutato conl’invito a trovarmi un altro editore».

A quel punto, il vecchio Principe decadu to ebbeuno scatto d’orgoglio: «La caduta ne fece un perso-

naggio reale e in quell’occasio ne dimostrò la suagrandezza. Fece una mat tana indimenticabile: in 48ore mobilitò in mio favore i maggiori autori e con-sulenti della casa editrice, da Zeri a Manganelli aNata lia Ginzburg. Ricordo che una mattina mi te -lefonò Natalia e mi disse: “Vassalli, io non la cono-sco, ma ho appena finito di leggere il suo romanzo,che Giulio mi ha dato ieri sera chiedendomi di farneuna scheda, ho subito un atto di forza ma ne sonocontenta”». Ri sultato: nell’87 il romanzo esce nellacollana dei Supercoralli, in copertina un Sironi gio -vanile scelto dallo stesso Einaudi: «Quando si parlòdel film, che poi non sarebbe stato realizzato acausa del fallimento del produt tore Rizzoli, Giulioaccettò pure di interpreta re il ruolo di sé stesso, ecioè l’Editore, un personaggio che nel libro non eraproprio positivo».

Erano anni in cui lo scrittore incontrava spessol’editore, che nel frattempo avrebbe risalito la chinafino a ritornare presidente dello Struzzo: «Ho unricordo nettissimo: ve niva spesso al Mulino di Zeme,

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nella Lomelli na, in una casa acquistata dalla vedovadel fotografo Mulas. Gli piaceva curare gli arre -damenti e il giardino: mi telefonava per chie dermi diandare a mangiare in una trattoria del paese. Ungiorno mi parlò di Pavese: mi fece capire che glisarebbe piaciuto che gli dedicassi un libro un po’come avevo fatto con Campana. Lo disse con moltecautele e sfumature, ma per lui Pavese era un perso -naggio irrisolto: non capiva perché, durante la guer-ra civile, non avesse fatto una scelta di campo decisa,gli sfuggiva il motivo per cui venne allo scoperto solodopo la guer ra».

Intanto Vassalli, con La chimera, avrebbe conqui-stato lo Strega e le classifiche, ma l’amicizia conl’editore era destinata a subire un duro colpo. Nel ’91il presidente Einaudi favorì la fuoriuscita dall’Einaudidell’ammini stratore delegato Alessandro Dalai e deldiret tore Piero Gelli, e Vassalli non esitò a dichia rarepubblicamente il suo dispiacere: «Per me eranodegnissime persone, di cui avevo e ho molta stima,lo dissi in un’intervista. Con Giulio cadde il gelo, peranni. Nel ’96, quan do uscì il mio Cuore di pietra,Einaudi intervi stato da Panorama mi tirò una stoc-cata: dis se che il mio libro era brutto e non merita-va di essere letto. Mi arrabbiai e risposi, dicen do cheEinaudi era un padre-padrone responsabile del suici-dio di Pavese. Volarono i piatti, mandai una lettera aicapi della Mondado ri». Poi, l’imprevedibile: «La mat-tina del 31 dicembre 1998, una mattina tristissima(mia moglie in ospedale e io con 39 di febbre), suonòil telefono e sentii la sua voce. Senza pronunciare ilsuo nome, disse: “Ti dispiace che ti abbia chiamato?”.Non sapevo se ridere o piangere. Risposi che mifaceva un grandissimo piacere. Morì quattro mesidopo, ma quello fu il suo ultimo regalo, il più bello».Un megalomane, come ha detto di recen te GianArturo Ferrari? «In tutta sincerità, c’era in lui un po’di megalomania (ed era il primo ad ammetterlo)nella conduzione aziendale. La casa editrice era sicu-ramente sovradimensionata ed Einaudi era al centro,più che di un’azienda, di una specie di corte rinasci-mentale fondata sui rapporti conflit tuali interni.Giulio si definiva un manager lassista. Ma il catalo-go che ha costruito, an che con le sue piccole lacune,è una presen za centrale nella nostra cultura. Ferrariè una persona intelligente, è quel che deve essereoggi un manager non lassista, ma Giulio Einaudi èstato un protagonista della cultura italiana, cheodiava l’aziendalismo. Oggi, i manager non lassistisaranno buoni mana ger ma non saranno mai grandiprotagoni sti».

Se pensate che a turbare le notti degli scrit-tori siano plot, psicologie dei personaggi oscelte linguistiche, probabil mente sietesulla cattiva stra da. Oggigiorno la verapreoccu pazione di un autore è se il suo

ultimo libro diventerà o meno un tascabile. Se infat-ti esordire tutto sommato in Italia non è difficile, lavera impresa per la maggioranza degli scrittori è arri-vare al secondo o al terzo libro. Le novità hanno unavita media in libreria di tre mesi, dopodiché sparisco-no, e con loro anche la visibilità de gli autori. In que-sto quadro, la conversione della novità in un tascabilenon solo allunga la vita del libro in questione, madiventa una sorta di assicura zione sulla propria car-riera let teraria. Da anni ormai i cosid detti tascabilisono sempre più sinonimo di catalogo. O si acce de almondo dei libri mignon o si rimane soltanto letteramor ta dentro a una database – quel lo del libraio, tral’altro sempre meno disposto a ordinazioni ad perso-nam. In Italia il tasca bile comparve nel 1949 conl’inaugurazione della collana Bur (BibliotecaUniversale Rizzoli) che pubblicava per lo più classicidella letteratura. Ma la vera e propria rivoluzio ne delpiccolo formato si ebbe solo nel 1965 ad opera diMondadori e dei suoi Oscar: prezzi stracciati, altissi-

IL SUCCESSO È TASCABILE

Formato ridotto, prezzi contenuti, vendita anche in edicola.

Il “paperback” è oggi la più grande aspirazione

degli scrittori. E il solo modo per allungare la vita del libro

Luca Ricci, Il Messaggero, 14 maggio 2010

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me tirature e uscita in edicola. Da allora il mondoeditoriale non fu più lo stesso. Ci volle ancora qual-che decennio prima che il tascabile di ventasse il rico-vero di quanto valeva la pena di essere conservatodall’oblio: una sorta di pantheon in miniatura. Perdirla all’inglese, il cosiddetto har dcover-book (lanovità a coper tina rigida) si trasforma nel paperback(il libro meritorio di essere riproposto in versio ne piùagile ed economica). In breve tempo molte iniziativecorrelate si sono sviluppate at torno al nuovo trantran edito riale: libri pocket (una sorta di tascabile deltascabile), intere case editrici specializzate in libri abasso costo come la Newton Compton o StampaAlternativa e intere collane delle major che sfornanonovità direttamente tascabili come “L’arcipelagoEinaudi” o “La piccola Biblioteca Adelphi”.

Tornando alla concezione di tascabile come cata-logo dei libri che vale la pena salvare dal maelströmdelle nuove uscite (nel 2009 i titoli pubbli cati sonostati 59mila secondo la Aie, Associazione ItalianaEditori), viene da chiedersi quale sia il criterio per lacerni ta. Perché quel libro sì e quel l’altro no?Mondadori ha da poco stampato il catalogo 2010degli Oscar. Su 27 sezioni le prime 4 sono dedicate ailibri di maggior successo: Be stsellers, GrandiBestsellers, Bestsellers Fumetti, Bestsel lers Emozioni.Se si considera che molte delle sezioni sono dedicateai classici (Moderni, Greci e Latini, Opere diD’Annunzio, Pirandello e Calvino, Poesia del ’900), pergli autori contemporanei il pertugio sem bra farsistrettissimo. La quali tà è davvero tutelata? O peraccedere ai tascabili conta sol tanto vendere in primabattu ta?

Il direttore editoriale sezio ne catalogo dellaMondadori Antonio Riccardi è categorico: «Per queilibri d’intratteni mento nati per vendere il crite rio diselezione e chiaramente commerciale. Ma la respon-sabilità si misura proprio nelle scelte legate allacosiddetta letteratura di qualità. In questo caso inballo c’è la fisionomia della casa editrice e anche ilfuturo dei libri e dei lettori. Valutiamo libro per libro,non esiste un metodo univoco».

E l’editoria indipendente come se la cava?Minimum fax sembra sparigliare le carte in tavola. Afronte di pubblica zioni semi tascabili delle novi tà, perfesteggiare i suoi primi quindici anni ha inauguratola collana “I quindici”, offrendo ai lettori i suoi titolipiù rappre sentativi in edizione lusso, con tanto dicontenuti extra. Ma il direttore commerciale MarcoCassini ci tiene a precisare che «noi non dimentichia-mo nes suno dei nostri titoli. Di anno in anno faccia-

mo rilanci mirati». Essere piccoli è un vantag gio. Lacollana Minimum Clas sics è nata proprio recuperan -do ciò che la grande editoria aveva buttato. Autoricome Richard Yates, Walter Tevis, Bernard Malamud.Lo stesso Raymond Carver era uno scarto dellaGarzanti».

Un tempo l’opera di filtrag gio tra ciò che era depe-ribile e ciò che era giusto preservare spettava anchealla critica. Come tanti grilli parlanti, gli intel lettualiricordavano costante mente agli editori che il lororuolo doveva essere duplice: impresa industriale maanche guida culturale. Oggi la categoria per lo più èstata retrocessa a scrivere recensioni che sono esten-sioni delle schede promozionali degli uffici stampa. Aquesto andazzo si ribella Andrea Cortellessa: «Neitascabili si trovano praticamente tutti i classici, e inquesto senso svolgono un lavoro meritorio. Purtroppole cose cambiano con gli scrittori viventi. Non sonocosì sicuro che per loro valga un criterio di qualità,altrimenti non mi spiegherei perché auto ri moltobravi siano (o siano stati a lungo) irreperibili, ad esem-pio Michele Mari o Fran co Cordelli. La scrematura èsempre a favore di quegli auto ri più facilmente spen-dibili sul mercato, e quindi il tascabile diventa un’oc-casione di vendi ta ulteriore e non il riconosci mento diun valore letterario».

«Da anni ormai i cosid detti tascabili sonosempre più sinonimo di catalogo.

O si acce de al mondo dei libri mignon o si rimane soltanto lettera mor ta

dentro a una database – quel lo del libraio,tra l’altro sempre meno disposto

a ordinazioni ad personam»

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«SONO DIVENTATO GRANDE GRAZIE A ELLIS»

Lo scrittore americano racconta gli anni universitari con l’autore di Meno di zero («Un modello per tutti noi»)

e l’importanza degli eroi Marvel per la sua formazione

Paolo Bianchi, Libero, 15 maggio 2010

Chronic City è il nuovo romanzo diJonathan Lethem, scrittore americanonato a Brooklyn 46 anni fa. Suo padreera un pittore, sua madre una militan-te della sinistra radica le. Lui ha studia-

to nelle migliori scuole e nei college dell’IvyLeague. È un autore in appa renza simile a decine dialtri che hanno colonizzato l’Occi dente con libriintelligenti, intellettuali, venati di sfumature radi-cal chic. Le case editrici ita liane, in questo caso IlSaggia tore, li comprano volentieri anche a scatolachiusa, attra verso i buoni uffici delle agenzie lette-rarie e poi li rivendono, tradotti, a un pubblico chesi infarina di cosmopolitismo ol treoceanico. Nientedi male. In questo nuovo libro (pp. 457, euro 17,traduzione di Gianni Pannofino), Lethem inscenauna triangolazione di questo tipo: un ex bambinoprodigio della tv, residente a Manhat tan, unaastronauta bloccata nello spazio e un critico musi -cale fallito. Il cuore della città di New York è messoa nudo e fla gellato attraverso una serie di metafo-re estreme. Tutte conducono a pensare: poveri noi,che decadenza.

È appena sbarcato al Salone del libro di Torino.Lethem ha la studiata espressione del ra gazzo dimezza età, un po’ nerd, finto ingenuo ma scaltroquando si tratta di offrire un’interpretazione di sé.

Quanto della sua formazione viene dalla cultura pop,quella della sua (e della nostra) gene razione, peresempio dai fu metti?Mi sono nutrito di cultura pop, è ancora inseparabileda me. Non l’ho mai nemmeno messa in discussione.L’Uomo Ragno e i personaggi dei fu metti Marvelhanno fatto parte dell’immaginario mio e della miacittà. Allo stesso modo non posso prescindere dacerte se rie televisive di film western o polizieschi. Ilche non mi ha impedito di studiare a fondo e di ispi-rarmi a Giorgio De Chiri co, ma anche a pittori con-tem poranei come Philip Guston. I generi si sonomescolati. Kirby, il disegnatore dei fumetti Marvel, eStan Lee il loro autore, sono come la coppia Lennon-

McCartney: la loro somma è superiore all’insiemedelle par ti».

In sue opere precedenti si tro vano tracce di temi fan-tascien tifici.«Sì, in Concerto per archi e can guro si trova un ten-tativo di sa tira distopica che risente delle mie letturedi Ballard o di Philip K. Dick. Però in mezzo c’homesso anche la passione per l’hard boiled: Crumley,Ross McDonald, Raymond Chan dler. Io non mi riferi-sco a studi accademici, non tengo diari, uso il lin-guaggio come un mez zo per arrivare a un’operad’ar te. In questo senso, uso tutto quello che ritengointeressan te».

Ha mai tentato la carriera di pittore?«Da adolescente dipingevo, poi ho smesso. Ho punta-to tutto sulla scrittura».

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Usa lo strumento della satira? «No, resisto all’idea della satira. La uso solo se è stru-mentale a quello che scrivo. Ma preferi sco attingerea elementi della vita quotidiana e poi eventual menteusarli come metafore estese. Come quella dell’astro -nauta che non riesce a tornare sulla Terra, e degli abi-tanti di Manhattan che negano qua lunqueriferimento all’11 set tembre 2001, come volesserorimuoverlo».

È interessato alla scienza? Molti suoi colleghi dichia-rano di leg gere saggi scientifici.«Non è che non mi interessi, ma non è il mio campod’ispi razione principale. Io sono in cline agli impul-si, alle perce zioni e alle intuizioni. Certo però chese decido di parlare di un personaggio intrappola-to nello spazio, leggo materiale sull’esperienzadella navicella Mir, con il suo equipaggio che èstato un miscrocosmo di umanità in provetta,magari perfino con le sue degenera zioni. Preferiscocomunque leggere filosofi contemporanei, comeSlavoj Zizek».

Che alcuni definiscono «il filosofo più pericoloso delmondo» per certe sue posizioni radicali comuniste…«Non m’interessa quello che lui desidera politicamen-te per la società, ma la sua abilità nel descrivere l’in-terazione tra il commercio e la psicologia. Più la parteesistenziale che quella marxista».

Che altro assimila da culture non americane?«In America resistiamo pur troppo alla traduzione delpen siero altrui. Fra gli italiani ho letto Calvino, fra gliscrittori di lingua spagnola l’argentino RodrigoFresan e il cileno Ro berto Bolaño».

Com’è la comunità di scrittori di Manhattan? Ci sonocricche e conventicole anche fra di voi, come in moltialtri Paesi, Italia compresa?«In generale io sono socievole. Mi piacciono gli scrit-tori. Fre quento Safran Foer, anche se è più giovane dime. Colson Whitehead è un altro giovane cheapprezzo. Dave Eggers lo vedo quando è a New York,ma lui in realtà sta quasi sempre a San Francisco.Sono andato all’Università con Bret Easton Ellis. A18-19 anni aveva già la maturità di un adulto.Sembra va molto più grande di noi, e noi lo imitava-mo. In un certo senso aveva fatto suo il consi glio diAndy Warhol: “Se co minci a vestirti da vecchio quan-do hai vent’anni, quando invecchi davvero nessunose ne accorge più”».

Contro il disegno di legge sulle intercetta-zioni del ministro Angelino Alfano ci sonotutti gli editori, grandi e piccoli. Tuttitran ne uno, forse quello più,politicamen te parlando, ingombrante: la

Monda dori e, scendendo per la catena di controllo,l’Einaudi che appartengo no alla famiglia del premierSilvio Berlusconi e sono guidate dalla figlia Marina.L’iniziativa, partita da un’idea di Stefano Mauri eAlessandro Laterza, è stata annunciata ieri all’ora dipranzo al Salone del Libro di Torino. «Non solo i gior-nalisti ma anche gli scrittori» è il ragionamento diMauri, a capo del GeMS, il terzo gruppo editorialeitaliano «hanno l’importante e civile compito di con -trollare l’operato della magistratura. Con il decretoAlfano questo ruolo verrebbe pregiudicato».

Dopo un lungo tira e molla durato tutta la giorna-ta, alle 8 di sera l’uffi cio stampa ha prodotto la posi-zione ufficiale: «La casa editrice Mondado ri fa partedell’Aie che ha già espres so la sua opinione a nome ditutti gli editori italiani. Nei nostri libri ogni giornodifendiamo la libertà di espres sione di tutti gli auto-ri». Volendo tra durre queste poche righe scritte conun equilibrismo un po’ bizantino, in somma laMondadori non firma in pri ma persona ma si mette

E SULLE INTERCETTAZIONI

La Mondadori non firma il documento controil disegno di legge

MARINA NON TRADISCE PAPÀ

Federico Monga, La Stampa, 16 maggio 2010

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sotto il cappel lo dell’associazione di categoria. Forse,il dubitativo è d’obbligo, cercando di non rinnegarel’iniziativa.

Se si vuole fare il gioco di associare ad ogni casaeditrice una vena politica, scorrendo la lista dei firma-tari si copre tutto l’arco parlamentare: da LuigiBrioschi di Guanda a Carmine Donzel li, da MarcoCassini di minimum fax a Luca Formenton per ilSaggiatore, pas sando per Paolo Mieli, (Rcs-Libri),Lorenzo Fazio di Chiarelettere, Stefano Mauri(Garzanti) fino a Carlo Feltrinel li, Luigi Spagnol (Pontealle Grazie) e Marco Zapparoli (marcos y marcos).

La lettera è molto netta nei toni e nei contenuti:«Riteniamo» recita il te sto «che il nostro paese corra ilrischio di una grave limitazione della libertà di stam-pa, parte essenziale di uno Stato di diritto liberale edemocratico. Ancor più grave sarebbe poi l’effettosulla società civile. Come chiarito dalla Corte europeadei diritti dell’uomo, la crona ca giudiziaria è essen-ziale in democra zia per consentire ai cittadini diverifi care il corretto funzionamento della macchinadella giustizia. Privati delle informazioni necessarienon potrebbe ro formarsi una opinione equilibratasulla legittimità delle azioni intraprese dalla magi-stratura, come invece nei re centi casi sopra citati lacronaca giudi ziaria ha consentito loro di fare».

Il documento, che è stato sottoscritto, alcuni dico-no con qualche freddez za causa proprio i tentenna-menti di Mondadori, anche dall’Associazione editoriitaliani, mette le mani nel piatto dell’attualità: «Se lalegge fosse appro vata, per far solo un esempio, oggipro babilmente l’opinione pubblica nulla saprebbedella vicenda che ha portato alle dimissioni del mini-stro Scajola».

Oggi, al Salone, con l’arrivo di Ro berto Saviano e ilsuo travagliato rap porto con Mondadori, pare scon-tato che si discuterà ancora di «quotidiana libertà diespressione».

La Mondadori si difende provando a passareal contrattacco. Riccardo Cavallero, il diret-tore generale libri e trade: «Contro il nostrogruppo da qualche tempo è in atto unattacco commerciale e la lettera-manifesto

sulle intercet tazioni non è altro che il tentati vo daparte di qualche concorren te di portarci via alcuninostri au tori di successo». Sul manifesto contro ildisegno di legge Alfano la posizione del manager èmolto chiara e sgombra il campo anche dall’equivo-co di aver dato un mezzo assenso sotto il cappellodell’Associazione Editori Italia ni. Il gruppo controlla-to dalla fa miglia Berlusconi non condivide quellapagina che da ieri sta fa cendo il giro delle case edi-trici italiane. Punto e basta.

Perché non avete firmato?«Perché non ci stiamo a questa pantomima. Le cosedevono essere chiamate con il loro nome. Questa let-tera è un’operazione di business che nulla c’entra conl’etica. Per noi che lavoriamo con i libri le parole sonoimportanti e le cose vanno chiamate con il loronome».

Quando siete stati contattati?«Abbiamo ricevuto un messaggio di posta elettronicaa metà pomerig gio di sabato. Lo abbiamo letto e nonsapevamo di cosa si trattasse».

Gli editori-promotori non hanno cercato di coinvol-gervi prima?

CAVALLERO: «VOGLIONOSOTTRARCI GLI AUTORI DI

MAGGIOR SUCCESSO»IL DIRETTORE MONDADORI:«L’APPELLO DEGLI EDITORI

SULLE INTERCETTAZIONI È UN’OPERAZIONE COM-MERCIALE CAMUFFATA»

Federico Monga, La Stampa, 17 maggio 2010

«La casa editrice Mondado ri fa parte dell’Aie che ha già espres so la sua opinione

a nome di tutti gli editori italiani. Nei nostri libri ogni giorno difendiamo

la libertà di espres sione di tutti gli autori»

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«No. Ed è molto strano perché per tante altre inizia-tive mi trovano sempre con il telefono cellulare».

Quale sarebbe il vero intento di questo manifesto fir-mato, tra gli altri, anche da Stefano Mauri di GeMS,Alessandro e Giuseppe Later za e Paolo Mieli di Rcs?«Portare via i nostri autori di mag giore successo e mipare che nel no stro catalogo ce ne siano molti».

Questo è il libero mercato…«E noi crediamo nel libero mercato. E sappiamo cheda mesi c’è una for te pressione. Ce lo dicono anche inostri agenti. Ma questa lettera ma nifesto è un’ope-razione camuffata. Noi editori tutti i giorni cerchia-mo nuovi autori di successo e cerchia mo di soffiarealla concorrenza i no mi migliori. Ma le cose vannochia mate con il loro nome».

Ci sono state pressioni di Silvio Berlusconi a non firmare?«Questo è quello che vuol far credere chi ha organiz-zato questa lettera».

Se aveste aderito, quale sarebbe stata la reazione delpremier?«Questo non è il punto della storia».

Essendo un manifesto di principio, non sarebbe statopiù facile firmare? Così, se è vero che siete sottoattacco, avreste anche di sinnescato l’operazione.«Un editore non fa attività politi ca. E poi, ripeto, conquesta storia la politica con la P maiuscola non c’en-tra nulla. Noi certo non ci fac ciamo mettere in unangolo da chi ci attacca».

Il caso Saviano è un altro capitolo di questa guerrasporca contro di voi?«C’è la fila di editori pronti ad acco gliere Robertodopo la battuta di Berlusconi. Ma poi mi spiace par-lare solo di Saviano perché ci sono tanti nostri auto-ri che fanno gola ai concorrenti».

Saviano resta con la Mondadori? «Al Salone è venuto a presentare i libri allo standdell’Einaudi e ha partecipato a iniziative del no strogruppo. Oggi è saldamente con noi. Del domani nonc’è mai certezza».

Se ci fosse stata la legge sulle inter cettazioniSaviano avrebbe potuto scrivere Gomorra?«Mi pare che in quel libro non ci sia nulla di illegale.Non è stato fatto con le intercettazioni».

Secondo lei il disegno di legge Alfano passerà?«No».

Se quella legge passerà, comunque ci sarà una cen-sura?«Sono vent’anni che la Mondadori è di Berlusconi enon abbiamo mai censurato nulla. Lo sta a dimostra -re non solo Saviano, ma anche tanti altri autori nonvicini politicamente a Berlusconi, penso ad Ayala,Cantone o Gratteri, per dir ne altri che si occupano dicrimina lità organizzata».

Il filone delle intercettazioni ha portato a libri di suc-cesso anche per editori più piccoli. Bloccarle nonsarebbe un impoverimento culturale?«Il punto, ripeto, non è questo. E poi non mi metto afare lo spot per i no stri concorrenti».

La saggistica di inchiesta è sempre di più un settoretrainante.«Nel mondo anglosassone ma anche sul mercatoispanico si fanno libri to sti, inchieste vere, ma senzapubblica re intercettazioni che là sono illegali. Il pro-blema è fare i libri giusti e non sensazionalismo».

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JAVIER MARÍAS:«HO PRESO IN PRESTITO LA VITA DI MIO PADRE»

Il tuo volto domani: esce il terzo romanzo

Paolo Lepri, Corriere della Sera, 17 maggio 2010

Èun’occhialuta custode in tailleur blu, comese fossimo in un liceo femminile dell’O pusDei, quella che chiude la porta a vetri delsuo posto di osservazione (collega onorariadel vecchio Will, lo smemorato usciere

dell’Institutio Tayloria na in Tutte le anime) e si inca-rica, dopo un sospetto so viaggio in ascensore, di suo-nare con tocco sicuro il campanello di Javier Maríasin una casa nella quale le finestre erano sempre illu-minate, anche la not te precedente, durante la solita-ria prova generale di questa intervista. Le si vedevanobene, quelle fine stre, camminando sotto la pioggia inCalle Major, la strada dove il protagonista di Il tuovolto domani 3. Veleno e ombra e addio (Einaudi)Jaime, o Jacobo, o Jack, o Yago Deza, «interprete divite», si apposta dopo aver pedinato Custardoy,

l’amante di Luisa, moglie o ex moglie, la donna cheda un giorno in poi, come a volte succede, gli ha«negato la sua risa ta».

Per arrivare in questa piazza della zona più ma -gniloquente della città, in una giornata invernale diprimavera, si sarebbe potuto fare quasi tutto il per -corso di Deza e di Custardoy. Magari fermandosi abere un bicchiere da El Anciano Rey de los Vinos.Partenza dal Museo del Prado, quindi, nelle cui sale ilmalefico amante lavora alla copia di un quadro delParmigianino, Camilla Gonzaga, Contessa di SanSecondo, e i suoi figli, fino alla casa grigia e rossa, alnumero 81 di Calle Mayor, dove succede quello chedeve succedere («perché non ci conoscia mo e nessu-no sa di cosa è capace») e accade quello che non varaccontato («anche se nei miei libri c’è molta rifles-

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sione, ci sono molte digressioni, tento di non dimen-ticare che sono dei romanzi: è meglio che ci sia unpo’ di sorpresa»). Ma, non temendo di lasciarsi sfug-gire l’inseguito, si potrebbe perdere un po’ di tempo,invece, a cercare di ricordare, davanti all’InstitutoCervantes, le forme delle bizzarre con chiglie di PabloNeruda (compresa quella regalata gli da Mao Zedong)e si potrebbe vedere se siano ancora al loro posto iportieri in livrea della Terraz za del Casinò, le sfaccen-date grassone che aspetta no i clienti in Calle de laMontera, i lustrascarpe messicani nella Gran Via, icompratori ambulanti di oro che si aggirano tra lafolla della Puerta del Sol. A respirare, insomma, l’odo-re dolciastro delle lacrime e delle risate. Ma anche laMadrid di Il tuo volto domani, intendiamoci, è unacittà reale, in contrasto con la Londra in cui si svolgegran parte della storia: un luogo, questo, dove «lageografia è più volonta riamente imprecisa, i contor-ni sono indefiniti» e nessuno sa dove si trovi quel«palazzo senza nome» in cui Deza si reca ogni matti-na – agli ordini del temibile Bertram Tupra, in unasorta di struttura pa rallela dei servizi segreti britan-nici – per capire quello che gli altri sono realmente,per indovinare le loro azioni future, per riferire le pro-prie intuizio ni ai superiori. Senza immaginare deltutto, inizial mente, la portata terribile delle parole egli usi per versi che ne verranno fatti. Come nel casodel can tante pop Dick Dearlove.

Lo ha finito nel 2007, ma Javier Marías vive anco racon i fantasmi di Il tuo volto domani, di questo libroin cui c’è tutto («quasi tutto», corregge lui sor ridendo):la violenza, il potere, l’inganno, il tradi mento, l’amore,la morte, la guerra. Deza, Tupra, Luisa, Custardoy, lagiovane Perez Nuix, Peter Whee ler (che nella realtàera il grande ispanista neozelan dese Sir Peter Russell,tenente-colonnello dell’Intel ligence Corps) e il grotte-sco diplomatico spagnolo De la Garza continuano adaffollargli la mente e gli sembra a volte strano, addi-rittura, non ritrovarli nel le nuove pagine che sta final-mente scrivendo.

«Sono rimasto otto anni in quel mondo e non sonostato capace di togliermelo del tutto di dosso. È statodifficile ricominciare. Non era civetteria aver pensatodi non voler scrivere più romanzi. Mi sembrava vera-mente di non avere più niente da dire». Nonostantetutto, gli fa piacere parlarne ancora, è felice che i let-tori italiani possano conoscerne la ter za parte, dopoFebbre e lancia e Ballo e sogno. «Il primo autenticocapolavoro letterario del XXI seco lo» (ha scritto, unofra tanti, James Lasdun sul Guardian). E può esserel’occasione, questa, per osservare – tra una sigaretta

e l’altra, un sorso di Coca-Cola, il raro suonare dellasegreteria telefoni ca sempre accesa – che «rimarreb-be deluso chi pensasse che questa sia una storia diagenti segre ti». «Qualcuno ha detto che è come seHenry James avesse riscritto una avventura di JamesBond. No, non credo che sia così. Lo spionaggio èsemplice mente un pretesto. La spia che deve antici-pare le intenzioni degli altri, che deve interpretare leperso ne, è un riflesso della condizione stessa delroman ziere. Il romanziere rischia, perché anche luinon può giustificare la conoscenza di quello che sa».

Uno scrittore, quindi, deve indovinare, intuire, in -terpretare e «accettare di vedere quello che vede». Alcontrario di tutti gli altri, che invece non sanno o nonvogliono farlo. Uno dei tanti elementi di forza di que-sto libro è che Marías, proprio come Deza, rie sce acapire che i suoi personaggi diventeranno, con l’an-dare del tempo, «torbidi, macchiati, poco affidabili» enon solo per il veleno che viene loro inoculato dalmondo. Nessuno si salva, nemmeno la tanto amataLuisa che «ha molte cose da nascon dere», compresoquelle che Custardoy decide di in sinuare. E tutti noi,come ha notato Stacey D’Era smo sul New York Times,«ci guardiamo final mente nello specchio di questoromanzo tanto terri ficante quanto bello». C’è solo unpersonaggio lim pido, limpido come i suoi occhi stan-chi. È Juan De za, padre del protagonista, la cui figu-ra è ispirata da Julian Marías, eminente filosofo eintellettuale anti franchista, padre di Javier, morto neldicembre 2005 mentre il figlio scriveva Veleno eombra e ad dio: un uomo che non ha mai voluto par-lare di chi lo aveva vigliaccamente tradito, in primoluogo il suo migliore amico dopo la fine della guerracivile. «Ho chiesto il suo permesso. Sono andato acasa sua» racconta «per leggergli quello che avevoscritto. Gli è piaciuto, ma mi ha ricordato di non avermai fatto pubblicamente i nomi delle due per soneche firmarono la denuncia contro di lui nel 1939. Horeplicato che adesso ero io a raccontarlo, che si trat-tava di un romanzo, e che in un romanzo anche inomi veri diventano fittizi. Mi ha detto che era unarisposta “sofistica”, ma che da un punto di vista logi-co avevo ragione».

Questo insostituibile rapporto che lega il figlio alpadre, «senza la cui vita presa in prestito», annotaMarías nei ringraziamenti conclusivi, Il tuo volto do -mani «non sarebbe esistito», è la ragione per cui chilegge questo libro di cattivi può invece diventa re piùbuono. È un rapporto che supera indenne, diventan-do incredibilmente grandioso, l’intreccio tra la fanta-sia e la realtà.

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Pensiamo per esempio al momento del commia -to, una pagina che Marías ha scritto, probabilmen -te, poco dopo la morte del padre. «Mentre lui anco rarecitava assorto» racconta Deza «mi chinai e lobaciai di nuovo prima di andarmene, questa voltasulla guancia come fossimo toreri, e tornai ametter gli la mano sulla spalla un istante, come unaddio silenzioso, mentre lui si incamminava ormaiverso la nebbia che il vento mette in fuga, o versoquel l’esilio in cui non ci si deve ancora staccare dalpro prio nome». È singolare quanto, proprio in questianni, altri scrittori abbiano raccontato il rapportofi glio-padre in termini esattamente opposti, di con -flitto inguaribile o di sopportazione umiliata: sipen si per esempio a C’è silenzio lassù dell’olandeseGer brand Bakker o a Tempo d’estate di J.M. Coetzee,Duke of Deshonra di Redonda, il regno di cui Maríasè diventato il sovrano.

L’ascensore torna a salire in questo palazzo auste -ro, silenzioso. È probabilmente la stessa mano che

aveva suonato il campanello a fare scivolare la postanella fessura tra la porta e il pavimento. I libri chearrivano rimangono fuori, per terra. Certo, se nestampano troppi, dice Marías. Lui, dicevamo, stalavorando a qualcosa di nuovo. Ma, come è suaabitu dine, si sente molto insicuro di quello che scri-ve. «Preferisco non dire molto. Il narratore» si sforzadi aggiungere, ma le parole adesso non gli esconocon facilità «questa volta è una donna. È una cosache non mi fa paura. Penso che nell’insieme le diffe -renze tra la mente maschile e quella femminile nonsiano così grandi. Quello che vedo è che è un libromolto pessimista. Non l’ho ancora “approvato”. Sesarò scontento potrei non pubblicarlo, ma forse nonaccadrà». Sì, di libri ne escono troppi. Forse è ilmomento di ignorarli, almeno per un po’. Vale la penadi prendere questo e di leggerlo alzando spes so latesta, come diceva Roland Barthes in Il piacere deltesto. Ricominciarlo appena è finito, poi rileg gerlo, erileggerlo ancora.

«NON È MARKETING, NOI DIFENDIAMO LA LIBERTÀ DI STAMPA»Stefano Mauri, Corriere della Sera, 18 maggio 2010

Caro direttore, alla fine degli anni Ottanta studiavo negli Usa i princìpi liberali dell’editoria moderna. Il giudiceHugo Black, strenuo difensore del Primo Emendamento, era il mio mito. Studiavo anche marketing ma credo chefinisse in un’altra parte, meno passionale, del mio cervello. Sono intervenuto più volte all’interno dell’Associazioneeditori sul tema della libertà di stampa, connaturato a tutte le associazioni editori che conosco nel mondo, i col-leghi lo sanno. Amo la libertà che si respira in libreria. Ho dunque sposato l’idea di Giuseppe Laterza di scrivereinsieme un testo equilibrato e rispettoso e lanciare un nuovo appello degli editori di saggistica, i più interessatidal problema del disegno di legge sulla cronaca giudiziaria. Un appello coerente con quanto già espresso dall’Aiema firmato con i nostri nomi. Se una persona nota viene inquisita da un magistrato altrettanto potente nei suoiconfronti, a maggior ragione è bene che l’opinione pubblica sia informata per giudicare la fondatezza delle ragio-ni dell’uno e dell’altro. O vogliamo una Repubblica di desaparecidos? Sono anche d’accordo sulla tutela della pri-vacy ma qui il tema è un altro. Laterza ha via via informato tutti gli editori che conosce, Mondadori inclusa, mala riposta di Segrate è stata sibillina. Come ho capito solo ieri leggendo i giornali la Mondadori, che mi ha soloinformato di non averla firmata ma non mi ha detto perché, ci ha visto una operazione di marketing contro diloro o un’iniziativa politica. Mi ha davvero colpito questa lettura. Protestare contro sanzioni inaudite nei confron-ti degli editori o contro l’inclusione del diritto di cronaca tra le attività criminali che la 231 si propone di sconfig-gere che c’entra con fare politica o marketing contro Mondadori? L’editoria deve opporsi a leggi che restringendola libertà di espressione privino l’opinione pubblica della possibilità di essere informata. Conosco diversi colleghidella Mondadori e li stimo. E mi è sinceramente spiaciuto vedere che domenica, proprio mentre erano impegna-ti a gestire la presenza di un loro autore quale Roberto Saviano, proprio in un momento alto e impegnativo didifesa civile della libertà di espressione, la stessa Mondadori sia stata oggetto di tante critiche. C’era qualcosa diingiusto. Ma li inviterei a una riflessione più approfondita perché mi attribuiscono un pensiero davvero riduttivo.Mentre le critiche non provenivano da me. Davvero pensano che io sia in conflitto di interessi? Che confonda ilmarketing con gli ideali civili? «Vendo dunque sono»? L’editoria deve coltivare uno spazio ideale, nella difesa dellalibertà di stampa, che è un principio non negoziabile. Peraltro ben presente nel codice etico del gruppo che rap-presento. Discutiamo invece civilmente del ddl da editori. Non spostiamo il discorso dal contenuto all’ambascia-tore. Va a finire se no che nessuno ha più diritto di parola. Cosa non va nel nostro comunicato?

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Silvia Avallone è la candidata di Rizzoli, ilsecondo gruppo editoriale italia no, al PremioStrega di quest’anno. Il premio che fu diLandolfi, di Pavese, di Moravia, di ElsaMorante: scrittori diversi tra loro, ma che,

incontrino o meno il favo re personale dei singoli, sonopassati alla storia letteraria come autori di indubitabi levalore. La questione si ripropone ogni anno all’uscitadelle candidature, e par rebbe questione di cronacatout court, più che di cronaca letteraria, dal momen toche da tempo immemore i premi in Ita lia non fungo-no né da fucina di ricerca né da olimpo di consacrazio-ne del merito, ma solo da conferma e input, insieme,alle tendenze di mercato. Ciò che quest’an no riesceancora a stupire è come Avallo ne venga portata da uneditore che ha in forza anche il buon libro di EmanueleTre vi, Il libro della gioia perpetua, peraltro pri mo nellarecente classifica di qualità Por denonelegge-Dedalus (icui circa cento quaranta giurati sono critici e scrittori,in prevalenza). Il romanzo di Trevi è un libro comples-so, a partire dalla struttura: si trat ta di un’avventuragnoseologica del prota gonista, incentrata sull’espe-diente lettera rio del manoscritto ritrovato (pazienza sepoi il manoscritto è solo un quaderno d’in fanzia). Illibro di Trevi è comunque scrit to, il libro di SilviaAvallone no. Avallone va allo Strega, Trevi no.

La misura breveIl problema può essere affrontato da una dupliceottica: a parte obiecti e a parte su biecti, ovvero con-siderando la ricezione, il mercato, le aspettative deilettori, ma dal l’altro anche i soggetti principali delpano rama letterario, che dovrebbero essere an coragli scrittori. Perché, in Italia, si scrivo no romanzi (pergiunta romanzi come Acciaio di Silvia Avallone,romanzi di genere, cioè, e di genere prevalentementeado lescenziale)? È questa la domanda, prima ancoradell’interrogazione sul loro peso nel mercato e nel-l’editoria, dunque nei meccanismi contorti che porta-no certi libri e non altri (perché, ad esempio, nonl’ultimo, più che apprezzabile, Lagioia?) ai premi. AsorRosa definì qualche anno fa la storia del romanzonostrano una storia «anomala», esaminando nello

specifico le ragioni dell’assenza di una grande tradi -zione romanzesca in Italia, a differenza che inInghilterra, in Francia, Russia e così via. Queste ragio-ni venivano individuate all’intemo del quadro stori-co-politico, nel la formazione tarda di una coscienzana zionale unitaria e soprattutto di una bor ghesia,che è poi la classe da cui nasce storicamente il gran-de romanzo europeo.

Vi sono poi però (come detto in parte dallo stessoAsor Rosa) anche delle ragio ni storico-letterarie, e inquesta ottica quell’anomalia si risolve in un dato spe-cifi co della tradizione italiana, che ha visto sviluppar-si, consolidarsi e prevalere for me brevi di narrazione,a partire dalla no vella, la più ricca di tradizione nellanostra letteratura, da Boccaccio agli anni Trenta delNovecento (fino a Pirandello, cioè, pas sando per Tozzie Svevo), e arrivando al racconto contemporaneo(sempre più ra ro) attraverso forme ibride come le leo-par diane Operette morali.

Tanto più singolare parrà allora l’avversione al rac-conto degli editori, un dato già evidenziato daPirandello, in uno scritto del 1906: «I giornali lettera-ri e le riviste hanno bisogno di novelle; gli editori,all’in contro, possono permettersi il gusto di leg gerlenei giornali, e non comprano poi il li bro dov’esse sonraccolte». E, più avanti: «Una buona novella può dare,alla lettura, più squisita e più intensa soddisfazioneanche d’un buon romanzo: oltre che per la sua brevi-tà succosa, essa risponde me glio alle necessità dellavita nostra così af frettata e premuta da tante cure».

La misura breve sarà poi dal Benjamin di un notosaggio dedicato al narratore ri tenuta la forma di nar-razione più tipica mente moderna, per la capacità dimag gior e miglior rispecchiainento di una real tà incui i valori non sono più indiscutibili e unanimemen-te condivisi, e la stessa co scienza dei singoli si vienefrantumando.

Non sarà un caso se a sabotare il ro manzo tradizio-nale è stata qui da noi la neoavanguardia, rifiutando-lo tranne che per casi particolari, difformi, nonclassifi cabili, ludici, ma in un senso del gioco nient’af-fatto frivolo e invece inteso come attività «sociale»,ovvero condivisa, come diceva Edoardo Sanguineti dei

ROMANZI AL MERCATOIN CRISI L’EDITORIA DI QUALITÀGilda Policastro, il manifesto, 18 maggio 2010

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suoi ro manzi certo atipici (Capriccio italiano e Il giuo-co dell’oca, entrambi costruiti con le tecniche combi-natorie dei sogni o del gio co). E così fu per il Tristandi Nanni Bale strini, il primo romanzo ad essere assem -blato da un programma elettronico. Ed è ancoraSanguineti a etichettare come «Lia le» i romanzierinegli anni Sessanta (ma an cora oggi) consideratiesemplari, come Bassani e Cassola. D’altro canto oggiro manzi come Capriccio italiano o Hilaro tragoedianon si possono non dico pubbli care ma nemmenoscrivere. Mi doman do: perché?

La prima controspinta viene senz’altro dal merca-to, sebbene la scrittrice (ma so prattutto editorMonda dori) Federica Manzon abbia qualche mese fa,in uno scritto destinato alla rivista Nuovi Argomentie anticipato dal «Domenicale» del Sole 24ore, tentatodi riabilitarne la fun zione, provando a identificarlocol pubbli co dei lettori sic et simpliciter, e a sconfes -sare, insieme, la tradizionale (e purtroppo però attua-lissima, stando alle classifiche di vendita settimanali)contrapposizione tra un consenso di solito espressodai nu meri e una qualità difesa invece dai giudi zi cri-tici: una contrapposizione che Manzon ritiene nonpiù effettuale.

Titoli clandestiniSe tale identificazione fosse però verifica bile, il mer-cato sarebbe altro da quello che è già in Marx e Engels(luogo di smista mento del capitale), e l’editoria (che èun’industria, dunque inevitabilmente connessa aun’economia di mercato) pu re. Viceversa, stanno cre-scendo e raffor zandosi holding che tendono ad assor-bire o a miniaturizzare i piccoli editori, i quali, a lorovolta, provano a consociarsi per so pravvivere, comeda iniziativa lanciata un paio d’anni fa al Critical book& wine di Roma (in concomitanza con l’uscita di unnumero del «verri» dedicato alla Bibliodiversità), e par-zialmente incarnata nel sito www.isbf.it (InternetSlowbookfarm), con esiti peraltro ancora tutti da veri-ficare. L’editoria di qualità che Manzon dichiara occu-pare un quarto del mercato («il che è decisamentemolto»: sic), si candida per il momento a soccombere,in un sistema de terminato, orientato e fagocitatodalle priorità commerciali.

Dove si trovano, ad esempio, i libri de gli editori cheoccuperebbero questo quar to di mercato? Penso aivariamente prege voli libri di DeriveApprodi, Lavieri,Le Let tere, Manni, Zona e così via. Risposta, brutale eautoevidente: non ci sono. Non so no in libreria, nonci arrivano, non vi resi stono: non possono, soffocatiin partenza dalla presenza dei cosiddetti bestseller. Il

discorso sull’editoria di qualità deve forzatamentearrestarsi dinanzi a quel la barriera ancora invalicabi-le tra il prodot to confezionato per essere venduto(che, per tornare a bomba sul discorso iniziale, è disolito un romanzo tradizionale, se non di genere) e illibro di ricerca dell’au tore che l’editore di nicchia sco-pre o riscopre e pubblica, ma che non può nemme nosognarsi di promuovere nei modi ga rantiti dai grandigruppi editoriali.

Ed eccoci tornare allora anche a Silvia Avallone,candidata (peraltro favorita) al premio Strega di que-st’anno: il suo libro l’ho visto inondare tutti i canali didiffusio ne a partire dalle vetrine di Feltrinelli fino aglischermi televisivi, nello stesso perio do in cui usciva,in punta di piedi e senza nessun tipo di clamore,Adorazione, il se miclandestino libro di Raffella D’Elia.Un’autrice che sconta anzitutto di esordi re a tren-t’anni anni e non a venticinque, e dunque di nonpoter giustificare anagrafi camente, come ho lettoinsistentemente in questi mesi per Avallone, le inevi-tabili mende di un esordio; in secondo luogo di pub-blicare con EdiLet e non con Rizzoli. Pazienza seAdorazione ha una forma ori ginale, una scritturamatura, una capacità solida di reinventare un genereo di uscire del tutto dalla gabbia dei generi; e pazien -za pure se in qualche modo un piccolo li bro semi-clandestino riesce a entrare nelle classifiche diqualità: Raffaella D’Elia scri ve e qualcuno (i pochi acui l’editore man da il libro) la legge, Silvia Avallonepubbli ca e tutti ne parlano (un mese o due, al massi-mo, peraltro, poi finirà dimenticata come il giàbestseller Paolo Giordano).

Il problema che si trascura spesso di considerare ècome il mercato agisca non solo sulle scelte editoria-li coeve, imponendo un gusto che asseconda ladomanda prevenendola con un’offerta solo apparen-temente innovativa (così Gomorra, che sempre si citacome esempio di un successo imprevedibile, non hain realtà creato un nuovo pubblico di lettori ma haintercettato quelle masse di consumatori di fiction,meglio se polizieschi, come atte stano altri successiremoti e recenti, dalla Piovra a Romanzo criminale),per cui i li bri che trovo oggi sul banco di Feltrinelli inmaggior numero di copie (da D’Avenia ad Avallone)sono prodotti confezionati per essere venduti in basea canoni noti (e il romanzo, si è detto, vende).

C’è di più: Silvia Avallone o Alessandro D’Aveniaoggi scrivono (cioè gli editori li pubblicano) perchéGiordano ha venduto ieri. E dunque domani ci saran-no sempre meno Raffaelle D’Elia desiderose di speri -mentare e sempre più Silvie Avallone mes se in

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condizione di pubblicare. Dunque il mercato è anco-ra e sempre il luogo in cui si programmano i massimiprofitti con i minimi rischi, con un margine di erroree di imprevedibilità che vale per il libro, co me perqualunque prodotto, e non si è an cora mutato, conbuona pace di Manzon, in quella specie di bazarmagico in cui le inclinazioni particolari si incontre-rebbero con gli interessi economici.

Lontano dai diktatUn equivoco immediatamente connesso alla pervica-ce resistenza del romanzo tra dizionale è poi quellodella lingua. I ro manzieri nostrani tendono a usareuna lingua impostata, da romanziere, per l’ap punto,che lo è tanto di meno, quanto più vuole imitare unatradizione. Il che peral tro non è meno goffo che scri-vere un ro manzo in una lingua sciatta o banale, apartire dalla sintassi (come ad esempio Al tai dei WuMing che è non solo un roman zo quasi completa-mente privo di subordi nate, ma i cui personaggi,soprattutto, par lano come se fossero a un qualsiasibar di qualunque città italiana di oggi, e non nel laVenezia del ’500, che il libro sceglie co me location).

Penso, per contrasto, ancora una volta a librinascosti, marginali, derubricati co me illeggibili, daSanta Mira di Gabriele Frasca a Crema acida diTommaso Otto nieri ai Cristi polverizzati di Luigi DiRu scio. E lo saranno pure, illeggibili, ma la fa ticosalettura di una sola delle loro pagine vale una mezza

dozzina dei romanzi di quegli altri, per qualità, pro-fondità di sguardo, ampiezza dello spettro linguisticoe conoscitivo (e come lo si conosce il mondo, attra-verso la scrittura, se non con il linguaggio e le suepossibilità di adatta mento/contrasto/straniamento?).Non per caso si tratta in tutti e tre i casi di narrazio-ni che poco o nulla hanno a che spartire con i diktateditorial-commerciali, ov vero la trama plausibile, unastruttura lineare e compatta, la storia (come si racco -manda nelle scuole di scrittura creativa) e i perso-naggi ritratti ad arte.

Figurarsi cosa ne sarebbe stato, nelle mani di uneditore meno disposto a rischiare di quanto non lofosse il piccolo edito re Manni, di un personaggiocome la Nunzia Orfi ca di Ottonieri, un personaggiocomplesso e sfac cettato e, per certi versi, frutto di unautentico de lirio. Siamo in un àmbito, sostengono inmolti, di nicchia, ostile in partenza al lettore. Ma osti-le al lettore sarà chi vuol tenerlo in uno stato dimino rità perenne e condurlo tutta la vita per manosul la via più facile.

La ricerca della profondità e della complessità èuna ricerca forzatamente ardua, impervia. E co -munque l’approdo sarà una verità monca, parzia le(così come quei libri che citavo sono necessa riamen-te libri imperfetti, e non i soli possibili, cer tamente),ma quanto più consapevole di tale par zialità tantopiù autentica e credibile, e non un bluff. Un bluffcome un romanzo tradizionale contemporaneo.

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Caro Direttore, no, un momento. Calma. Siamo tuttifuori registro. Proviamo a parla re, anche se è così dif-ficile parlare in questo tormentato paese dove l’urlo,che è il contrario della paro la, tende a prevalereanche in chi della parola dovrebbe essere il cu stode,perfino il sacerdote. Provia mo, anzi, anche a disputa-re, ma come Socrate suggeriva a Protar co, non «peramor di prevalere sul la suddetta questione, perchésia vincitrice la tesi che io sostengo o la tua», ma«come alleati dell’assolu ta verità». Ecco, dunque.

Einaudi, da più di quindici anni, è come tutti sannoproprietà della Mondadori, che appartiene alla famigliaBerlusconi. In questi quin dici anni la linea di politicadella cultura della casa editrice è quella che tutti i let-tori hanno avuto e hanno sotto gli occhi: condivisibi leo no, ma libera da ogni condizionamento. Non spetta ame, come direttore editoriale, rispondere delle decisio-ni della proprietà. Spetta a me, come direttore edito -riale, e quindi come rappresentan te del lavoro di tuttigli editor, garantire la coerenza e la libertà della politi-ca della cultura della casa editrice. Uso questo termine,politica della cultura, prendendolo a prestito daNorberto Bobbio, autore che sembra così caro ancheagli editori Laterza. Bobbio, lo ricordo anche se sonoparole ben note, so steneva che da politica della cultu -ra, come politica degli uomini di cultura in difesa dellecondizioni di esistenza e di sviluppo della cultu ra, sicontrappone alla politica cul turale, cioè alla pianifica-zione della cultura da parte dei politici».

È ciò che in casa editrice faccia mo quotidianamen-te, prenden doci cura dei libri dei nostri autori, garan-tendo loro la più completa li bertà di espressione,discutendo con loro progetti e idee, investen do capita-li e forze concrete di pro mozione per diffonderle quel-le idee, per renderle efficaci, come devono essere ivalori che trasmet tono. Ho fatto, a mero titolo di esem-pio, i nomi di Gustavo Zagre belsky, Sebastiano Vassalli,Paul Ginsborg e Adriano Prosperi, ma potrei citare molti

altri narratori e saggisti. Molti autori di Stile libe ro.Nessuno di loro è arruolabile in alcun partito. Le loroopere valgo no per sé stesse come valori della cultura.

Spetta alla casa editrice e a me garantire il liberomovimento di quell’altra “proprietà” della casa editrice,costituita per Einaudi co me per ogni altro editore, dagliau tori e dal catalogo. Essi non “sono” proprietà dellacasa editrice, ma “hanno” proprietà della casa edi trice,perché sono proprietari delle loro idee e dei loro libri nelsenso più concreto (la cessione tempo ranea dei diritti)e nel senso che ne hanno piena responsabilità.

Spetta a me, a nome di tutti gli editor e di tutti icolleghi, garantire la “concordia discorde”, come dice-va Pavese, di tutto ciò. Senza di essa un editore siperde e con l’edi tore va perduto tutto il patrimonio diidee e valori che ne costituisce l’essenza. Tradendocosì per primi i lettori.

Ho detto che chiedere a un di rettore editoriale checosa ne pen si della libertà di stampa è come chiede-re a un armatore che cosa ne pensi del mare. Housato una metafora. Errore. Sono evidente mente,personalmente, contrario come tutti gli autoriEinaudi a re strizioni gravi di questo principio fonda-mentale per ogni democra zia. E di conseguenza sonocontrario a ogni progetto che ne adombri il pericolo.Ecco, senza metafore.

Ho detto anche che i modi, le forme, i primi pro-motori e il luogo, in cui l’appello degli editori al Salo -ne del Libro è stato promosso, al l’indomani di unanetta presa di posizione dell’Aie di cui l’Einaudi faparte, mi sembravano oltre che inefficaci anchesospetti di inten zioni secondarie, come a volte ac -cade anche alle dichiarazioni ap parentemente piùnobili. L’ho det to non con una metafora, ma conparole dure, chiare, e impopolari. Questo sospetto,venendo io, co me molti colleghi e molti autori, damesi di continua, monocorde ag gressione (che è altracosa dalla li bera concorrenza), lo confermo.

EINAUDI: «DIFENDIAMO LA LIBERTÀ DI STAMPA»Ernesto Franco, la Repubblica, 19 maggio 2010

Lanciato dai Laterza e da Stefano Mauri al Salone del Libro di Torino, l’appello contro il disegno di legge sulle intercettazioni è stato definito una «operazione di marketing» daErnesto Franco, direttore editoriale dell’Einaudi. Lo Struzzo e la Mondadori non hanno sottoscritto il documento pur avendo sostenuto quello dell’Aie. Ora, però, sulla spinta degliautori della casa editrice torinese, che parlano di «perdita dell’autonomia», Franco chiariscela sua posizione, dichiarandosi personalmente contrario all’iniziativa del centrodestra. Sono saliti a 55, nel frattempo, gli editori che hanno aderito alla protesta. Numerose le firme,poi, di cittadini e cittadine. Si susseguono pure le dichiarazioni degli intellettuali.

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EDOARDO SANGUINETIIL POETA DELLA NEOAVANGUARDIA CHE GIOCAVA COL MONDO

Dicesi testo letterario un testo che si pre-senta nella forma dell’enigma. Dove c’è lapoesia, lì c’è un indovinello» scrisse unavolta Edoardo Sanguineti, giocando (unverbo che gli ap partiene tutto) con la

missione e la di-missione del critico. È scomparso ieri,stava per com piere ottant’anni, il prossimo 9 dicem-bre, il professor Sangui neti e a me, pensando alprossi mo compleanno, era tornata in mente una suapoesia d’occa sione (mi accorgo, scrivendolo, cheerano felicemente d’occa sione, innervate cioè nellecose che accadono, che si dicono o si pensano, tuttele sue poesie) per gli ottant’anni di Montale. Si intito-la Quasi una variante, giacché prende le mosse dall’E -sterina montaliana e così comincia: «Raccomando aimiei posteri un giudizio distratto, per i poeti del miotempo: / (perché fu il tempo, dicono, della distrattapercezione)…». Va citata la conclusione: «L’al tra serapotevo concludere all’Italsider, / confessandomi chie-rico: / sono un chierico ros so, e me ne vanto: / (e oggi,guar da, mi sorprendo che cantic chio, / facendomi labarba, al l’improvviso: Montale, gli ot tant’anni timinacciano…»).

In pochi versi, giocosi e ben giocati, c’è dentro,come spes so accade a Sanguineti, un au toritratto

perfetto. A comin ciare dalla passione politica, com-ponente tutt’altro che se condaria dell’uomo e dellostudioso, convinto, non so ne gli ultimi tempi, macerto an cora in stagioni recenti, che solo adesso ilmarxismo fosse veramente la carta da giocare per ilfuturo. Nato nel ’30, Sanguineti esordì come poetanel ’56 con Laborintus e fu un esordio di lusso, pro-piziato da Luciano Anceschi, che lo ac colse nella col-lana da lui diret ta per l’editore Magenta di Va rese. MaLaborintus da dove veniva fuori? Intanto il titolodoveva essere (lo disse San guineti a Fabio Gambaroin una intervista) Laszo Varga, ma poi divenneLaborintus, che è il titolo, ci ricorda Erminio Risso,dell’Arte poetica di Everardo Alemanno, così co mesono titoli presi a prestito Erotopaegnia, cioè Scherziamorosi che è il titolo di un’o pera perduta di Laevius,mentre Triperuno deriva dal Caos del Triperuno diFolengo… Il professor Sanguineti e il poetaSanguineti vanno dunque a braccetto e il primoregala al secondo suggestivi carotaggi nel mondoinfinito dell’erudi zione letteraria perché se li porti alivello del parlato quo tidiano, del pastiche linguistico,del gorgoglio semantico…

Non è qui il momento di ri percorrere la poesia san-guinetiana per stabilirne una eventuale linea evolutiva

Paolo Mauri, la Repubblica, 19 maggio 2010

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o involutiva: ho sempre prati cato, con Sanguineti, ilcrite rio della lettura casuale, quasi ad apertura di libro,(un po’ seguendo la suggestione del Giuoco dell’oca ilsuo ro manzo sperimentale, insieme a Capriccio italia-no) perché la scrittura di Sanguineti è un continuum,interrotto solo dai titoli e dalle date e magari, con glianni, da una riduzione dell’enigma, nel senso di unapproccio più gentile e beffardo alle cose del mondo edunque meno aggrovigliato. Resta il fatto che affron-tare Laborintus non fu per i primi critici una cosa sem-plice e Zanzotto pensò si trattasse del resocontopoeti co di un esaurimento nervoso. Il poema fu inparte incluso nei Novissimi, l’antologia curata daAlfredo Giuliani che in pratica, all’ini zio degli anniSessanta, apriva il discorso della neoavanguar dia ita-liana poi Gruppo 63. Le poesie sono annotate e la pri -ma nota a Laborintus comin cia così: «Il poema si aprecon la descrizione di un paesaggio mentale in disfaci-mento». Giova ricordare, con Fausto Curi, che il termi-ne “novissi mi” in Cesare indica la retro guardiadell’esercito e dunque designa gli ultimi. Dunque laneoavanguardia recupera l’avanguardia novecentescae intende distruggerla per creare una nuova libertà lin-guistica, opposta al linguaggio alienato e stereoti podella borghesia. Mio Dio, caro Edoardo, ci avviciniamoal cinquantesimo complean no del Gruppo 63, ma leneb bie ancora ci perseguitano…

Sebbene abbia prodotto moltissimi libri e di gene-re molto diverso, Sanguineti conobbe un exploit pro-prio negli anni Sessanta, quando, tra poesie, saggi,romanzi e partecipazio ne alle opere collettive delGruppo, la sua fisionomia ac quista quell’interezzamobile e plurale che conserverà poi sempre. Sul pianodella critica datano a quegli anni i saggi compresi inTra liberty e crepu scolarismo pubblicato da Mursia ei saggi gozzaniani usciti nel ’66 da Einaudi. Allievo diGio vanni Getto, Sanguineti esplo rava con grandefinezza l’opera del poeta piemontese, recupe rando alato anche il poemetto Un giorno di Carlo Vallini, chedi Gozzano era stato amico molto intimo. Quei testie que gli studi erano il frutto delle sue lezioni univer-sitarie, ma alle spalle Sanguineti aveva già la tesi dilaurea d’argomento dan tesco: come dire che la suavita era tutta scritta o se si preferisce era tutta scrit-tura. E la scrittura a tutto si apparentava: alla mu sicasperimentale di Cage e di Berio (per Berio elaboròLabo rintus II) al teatro. Già nel ’59 pubblica K e poiPassaggio (1961-’62) e poi… per farla bre ve, e atte-nersi al “giudizio di stratto” reso necessario dalla cir-costanza, lavora per Ronco ni riducendo per la scenal’Or lando Furioso. Se adesso, nel l’occasione della

scomparsa, qualcuno avesse voglia di dire cheSanguineti era stato il teori co principe del Gruppo 63stia attento: potrebbe incorrere nei rabbuffi diAlfredo Giuliani che già nelle sue Droghe di Marsi gliaavvertiva: «La neoavan guardia non ha avuto nessuncapo carismatico. Qualcuno, all’esterno, ha creduto diiden tificarlo in Sanguineti, quanto meno come“capofila”. In realtà Sanguineti non “capofilava” unbel niente, anche se aveva il suo bravo prestigio…C’era una specie di collettivo informale, tenuto insie-me, più che altro, dalla reciproca convinzione che, adispetto dei dissensi, si andava tutti contro laLettera tura Costituita». Le Droghe sono del ’77. Forseoggi bisogne rebbe ripensare cosa vuol dire andarecontro la «Letteratura Costituita». La neoavanguardiasi diverte e Sanguineti, in Cata letto, scrive «faccio ilpagliaccio in piazza, sopra un palco». Qualche annofa cenammo in sieme a Cetona, dove si tiene un belpremio di poesia. Sanguineti ce l’aveva col «poetese»,coi poeti pieni di ispirazione e birignao. Ricordammo,quella se ra, il viaggio in Cina che aveva mo fattoinsieme, con Malerba e Vanni Scheiwiller, nel 1989.La faccia di Sanguineti è inimitabi le, di una meravi-gliosa bruttez za. Mi ricordo che ridemmo fi no allelacrime, e voglio ripen sarlo così.

Ieri a Genova la scomparsa dell’intellettuale: era stato tra

i fondatori del Gruppo 63. Una vita tra Dante e Marx

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Nel 2011 la casa editrice Marsilio compiràcinquant’anni. Attività culturale di lungocorso, il cui debutto fu di uno snobismoesemplare. «Facevamo libri perché erautile e necessario, senza alcun interes se

realmente commerciale», ricorda Cesare De Michelis,abbracciando con lo sguardo la sua Ve nezia, dalleZattere, in una mattinata di vento. Sorride, quasi bef-fardo, e insiste: «Fu un inizio assolutamente militante.Eravamo un gruppo di amici, neolaureati, che spinge-vano saggi di socio logia, architettura, cinema, psico-logia». Il profes sore/editore, quindi, cala l’asso: «C’èvoluto mez zo secolo per sentirmi finalmente arrivato.Con un genere di pubblicazioni che, allora, mi avreb -bero fatto inorridire. Comunque, è una sensazio nepiacevolissima».

Si chiama Stieg Larsson, l’autore che ha stravol to ladignitosa routine di una casa editrice, certa menteimportante, apprezzata, ma con un bilan cio (economi-co) non pirotecnico. Nel 2009, l’an no della crisi, con ibestseller della «Millennium Trilogy», Marsilio (che dal2000 fa parte del Gruppo Rcs Libri) ha triplicato il fattu-rato. Le avventu re del giornalista-investigatore MikaelBlomkvist e dell’irresistibile hacker Lisbeth Salander,spal mate in tre avvincenti romanzi (Uomini che odia nole donne, La ragazza che giocava con il fuoco, La regi-na dei castelli di carta), hanno venduto circa due milio-ni e mezzo di copie. Successo annuncia to? Non proprio.Larsson, giornalista d’inchiesta, impegnato a denuncia-re il neonazismo in Svezia e le sue coperture nelle altesfere, era ancora vivo quando Francesca Varotto, prezio-sa collaboratri ce di Marsilio, nell’ottobre del 2004, allaFiera di Francoforte, sentì raccontare da un agente dellaNorstedt, solida casa editrice di Stoccolma, di un nuovoautore, straordinario, ancora inedito. Cinquantenne,Larsson morirà, poco dopo, d’infarto.

«Il primo dicembre 2005 firmammo il contratto»racconta De Michelis. «Comprammo in blocco i tremanoscritti, da tradurre e pubblicare, dilu iti neltempo, per 37 mila euro. Una cifra spropo sitata, con-siderando i nostri standard. Va da sé che ora non lapenso più così». «D’altronde» riflette «la fortuna di unlibro si gioca come alla roulette. Se un editore sapes-se in anticipo quali sono i libri di successo non pub-blicherebbe gli altri».

Eppure, alle spalle del fenomeno Larsson, pri madel colpaccio editoriale, c’è un lavoro prope deutico,un filo rosso, anzi giallo, che si dipana nel corso diuna dozzina d’anni, attraverso altre pubblicazioni dialtri autori, connazionali dello scrittore di«Millennium». Il giacimento, la vena narrativa, infat-ti, conduce alla Svezia. E l’avventu ra di Marsiliocomincia, quasi per caso, con Hen ning Mankell. «Lointercettai, già affermato in pa tria ed emergente inGermania, acquistato da Hanser. Anche il fatto chefosse genero di Ingmar Bergmann, mi sembrò unbuon biglietto da visita» spiega De Michelis. «Affidatala traduzione a Giorgio Puleo, partimmo nel ’98 conLa falsa pista. Negli anni successivi, uscirono altrivolumi della serie, con protagonista il commissarioWallander. Che conquistò numerosi e fedeli lettori.Fu la scoperta per loro di un genere antico e nuo vo.Le trame erano intrise di violenze, omicidi, in trighi emisteri; ma si coglievano anche le tensio ni di unasocietà moderna, in trasformazione, permeata dacorruzione, decadente».

Mentre i libri di Mankell si avviavano a diventarelongseller, all’orizzonte si profilavano altri au tori.Nacque così il marchio Giallosvezia. E la Marsilo edi-tori diventò in Italia il punto di riferimen to fonda-mentale della scuola del giallo svedese, affermatacome una delle più significative e vitali del mondo.

QUANTO COSTAVA STIEG LARSSONCESARE DE MICHELIS E IL NOIR NORDICO: «HA RIVOLUZIONATO IL DESTINO DI MARSILIO»Marisa Fumagalli, Corriere della Sera, 10 maggio 2010

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Gil scrittori di thriller e polizie schi di quest’area delNord Europa s’impon gono sul mercato internaziona-le, scalano le classifiche. Sicché, dopo HenningMankell (un milione di copie vendute nel nostro Pae -se), nella scuderia della casa editrice venezia na («nonsolo a Milano ma anche in Laguna si può fare boom»,nota, orgoglioso, De Mi chelis), entrano Leif Persson,Arne Dahl, Asa Larsson, John Ajvide Lindqvist (defini-to lo «Stephen King svedese»), Kjell Eriksson, Li zaMarklund. «Il giallo che viene dalla Svezia rappresen-ta la coscienza morale dell’Europa, una delle pocheforme di letteratura che af fronta domande di carat-tere morale, politi co, sociale, ponendosi interrogativisulla complessità della società globalizzata», si sot -tolineava nel volumetto di presentazione della serieGiallosvezia, una sorta di catalogo ra gionato sugliautori, diffuso da Marsilio in 100 mila copie. Qui, tragli altri, veniva segna lato Stieg Larsson con il suoprimo libro della trilogia, Uomini che odiano ledonne, quale novità del novembre 2007. «L’autore

promet teva bene poiché era già un caso internazio -nale» dice De Michelis. «La nostra prima tiratura fu di14 mila copie. E mentre in Fran cia si attestava aiprimi posti delle classifi che, noi facevamo le primeristampe. Poi ven nero gli altri due libri e fu un rincor-rersi di copie vendute. Mentre la visibilità dei volumidiventava fortissima, nelle librerie ma soprat tutto suibanchi dei centri commerciali».

Cesare De Michelis, editore/lettore onni voro (incasa sua, ha una biblioteca di 60 mi la volumi), oggisostenitore dell’editoria di confine («basso e alto con-vivono, spesso si mischiano»), racconta di aver amatointensa mente Ippolito Nievo, di non sopportare Mac -chiavelli, di aver letto quasi tutto Muratori. ELarsson? «Per un anno ho lasciato perdere» ammette.«L’estate scorsa, ho letto i tre volumi e, anche se per-sonalmente non amo molto i gialli, mi sono resoconto che si tratta di una lettura appassionante. Congli ingre dienti giusti per piacere sia agli uomini chealle donne».

LE UNDICI STRANE RAGIONI DI UN SUCCESSO INATTESOQUELL’INTRECCIO DI REALTÀ PARALLELE E FUORI MODAAntonio D’Orrico, Corriere della Sera, 19 maggio 2010

La formula per scrivere un libro di successonon è mai stata trovata. Si sa solo che il suc-cesso non dipende dalla bellezza o dallabruttezza del libro. Ci sono libri belli chehanno successo ma ci sono libri belli che non

hanno succes so. Ci sono libri brutti che hanno suc-cesso ma ci sono libri brutti che non hanno succes so.Il successo è la cosa più democratica che c’è.

Ma il successo è anche un’altra cosa. «Il successo èun participio passato», diceva En nio Flaiano. Frasegeniale che ha un sacco di significati. Personalmente lainterpreto così: del successo ci si accorge sempre dopo.Le ra gioni di un successo si possono spiegare solo colsenno di poi. Col senno di prima è (quasi) impossibile.

Proviamo, col senno di poi naturalmente, a dire le11 ragioni che hanno portato al suc cesso mondiale la«Millennium Trilogy» di Stieg Larsson (Uomini cheodiano le donne, La ragazza che giocava con ilfuoco, La regina dei castelli di carta).

Ragione numero 1. La fortuna è cieca ma la sfigaci vede benissimo. Ogni volta che penso all’infelicedestino di Stieg Larsson mi viene in mente quella

vecchia, logora ma verissima battuta. Larsson scrivetre romanzi che vendo no più di una decina di milio-ni di copie e muore d’infarto, a 50 anni, ancora primache i libri siano stampati. La triste storia di uno chescrive un bestseller e muore prima di poterne godereanche il più piccolo frutto ha si curamente dato queltocco commovente che non dispiace mai al popolodei lettori.

Ragione n° 2. La questione dell’eredità con tesa. Ilgossip aiuta il successo. La lite, ancora in corso (neparlava anche l’ultimo numero di Time), tra la compa-gna di Larsson, Eva Gabrielsson, e il padre e il fratellodello scrit tore, ha dato il suo contributo alla leggendadella Trilogia. Eva Gabrielsson, non essendo sposatacon lo scrittore, è stata esclusa dal l’eredità. Per lalegge svedese gli unici che possono godere dei cospi-cui diritti d’autore sono il padre e il fratello di Stieg.

Ragione n° 3. Finora abbiamo considerato ragioniesterne ai romanzi della Trilogia, ra gioni che peròhanno avuto una grande im portanza nella formazio-ne della leggenda che ha cominciato a circolareattorno a Larsson. L’esistenza di una leggenda da rac-

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contare è fondamentale nel fenomeno del passapa-rola tra i lettori che è il motore di ogni successo.

Ma ora passiamo alla prima ragione interna delsuccesso: Lisbeth Salander. I personaggi sono decisiviin un successo (pensate al giova ne Holden Caulfielde al mito di Salinger). Il personaggio della protagoni-sta è il vero col po di genio di Larsson. Lisbeth è sexyanche se magrolina, è alta un metro e 54, è piena dipiercing e di tatuaggi, è un pirata informati co, è ungrande detective, è figlia di una spia sovietica, èlesbica militante ma anche inna morata di un uomo,è violenta come un teppi sta, è la figlia devota di unamadre dalla salu te devastata, è la vittima di uno stu-pro, è un genio della matematica. Mi fermo qui mapo trei continuare ancora a lungo.

Ragione n° 4. Il sesso. I personaggi di Larsson siaccoppiano nelle maniere più varie e spericolate. Cisono relazioni tra amanti (co me quella tra Mikael, ilprotagonista maschi le, e la sua collega Erika) cheresistono anche dopo che i due hanno contrattomatrimoni con altre persone. Nel mondo alla rovesciadi Larsson, le relazioni extraconiugali somiglia no a unmatrimonio e i matrimoni somiglia no a una relazio-ne extraconiugale.

Ragione n° 5. Il femminismo. La Trilogia è forse ilpiù grande romanzo popolare femmi nista mai scrittoe Lisbeth Salander è la prima eroina femminista atutto tondo nella storie del romanzo popolare. Anzi èuna supereroi na, nel senso dei supereroi dei fumetti,che si batte contro un mondo violento verso le don -ne, contro gli uomini che odiano le donne.

Ragione n° 6. Il maschilismo, cioè la fine delmaschilismo. Il protagonista maschile è dal punto divista sessuale un uomo oggetto. Le donne se lo por-tano a letto con una facilità irrisoria. Mikael è la ver-sione ma schile del ruolo della bambolona un po’ninfo mane dei romanzi gialli hard-boiled.

Ragione n° 7. Il socialismo se non, addirit tura, ilcomunismo. Lo so che non sono con cetti più dimoda, che il mondo va a destra. Ma nella Trilogia ilpunto di vista di Larsson è molto, molto di sinistra.Come ha giustamen te osservato Mario Vargas Llosa,Larsson de scrive la Svezia, capitale della socialdemo-crazia, come se fosse «una succursale dell’infer no». Sevogliamo trovare un riferimento politico italiano aLarsson il nome da fare è quel lo di Nichi Vendola,antico e modernissimo allo stesso tempo.

Ragione n° 8. La cattiva scrittura. Larsson non scri-ve bene, non scrive «letterario». Scri ve da cronista. Lagente parla sempre male dei giornalisti ma, sottosotto, pensa: «Maga ri i romanzi li scrivessero i giorna-listi invece degli scrittori!».

Ragione n° 9. La formula Dumas ovveros sia l’effet-to Vasco Rossi. Passano i secoli, si chiudono i millen-ni, ma il segreto della narra tiva resta quello di Dumase dei Tre Moschettieri. I lettori adorano i romanzidove i perso naggi passano da un agguato all’altro, daun tranello all’altro, nel volgere di pochissime pa gine.Così chi legge può vivere, indirettamen te (virtual-mente!), quella vita spericolata e piena di guai (effet-to Vasco Rossi, appunto) che ha sempre sognato manon si è mai potu to permettere.

Ragione n°10. A differenza di quasi tutti gli scrit-tori (o presunti tali) italiani, Larsson non scrive noir.Infatti, i noir non li legge nessuno, Larsson l’hannoletto tutti.

Ragione n°11. Lo stile di vita di Larsson die -teticamente e tabagisticamente scorretto. Larssondormiva pochissimo, beveva un sacco di caffè, sinutriva di pizzette congelate, fu mava come un turco.Tutte cose oggi proibi te. Nei suoi romanzi si sente chelo scrittore viveva così. E i lettori, oberati da diktat ditutti i tipi (non mangiare! non bere! non fuma re!),hanno apprezzato. Vivi e lascia morire.

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Alcuni, come Rosetta Loy, Christian Raimo,Alberto Asor Ro sa, hanno già firmatol’appello contro il ddl sulle intercettazio-ni telefoniche lanciato da GiuseppeLaterza e Stefano Mauri al Salone del

libro di Torino, ma definito da Ernesto Franco, diret-tore della loro casa editrice, un’operazione di «marke-ting editoriale», dove si pos sono intuire «intenzionisecondarie». Quelle cioè di sottrarre scrittori alla ca sadi Torino. Altri autori, come gli sto rici AdrianoProsperi e Antonio Gibel li, si accingono a firmare. C’èuna paro la che riassume il clima che si respira nelvariegato e decisamente orientato a sinistra mondodegli autori Einaudi: imbarazzo. Se il costituzionalistaGu stavo Zagrebelsky ieri sul Fatto Quoti diano dicevadi aspettarsi chiarimenti dall’Einaudi, anche se nonha firmato l’appello sul sito dell’editore Laterza (alprimo posto nell’elenco dei non editori figura però ilnome di sua mo glie, Cristina Trucco Zagrebelsky), eMarco Revelli accusava via Biancama no di aver persoun’occasione per manifestare la propria autonomia,lo sto rico Antonio Gibelli, che ha pubblica to con lacasa che ha come simbolo lo Struzzo Il popolo bam-bino, parla senza perifrasi di «imbarazzo». La situazio -ne, dice Gibelli, «è imbarazzante dal punto di vistaoggettivo, perché l’Ei naudi vive oggi una condizioneantite tica alla propria tradizione. Il fatto che la casaeditrice sia proprietà della fami glia Berlusconi qual-che problema lo pone. In questa situazione di “demo -crazia autoritaria”, come dice il sottoti tolo del miorecente libro Berlusconi passato alla storia, che mi èsembrato opportuno pubblicare da Donzelli, unafirma in più non avrebbe guasta to, anche se condivi-do l’opinione sul fatto che in genere gli appelli serva-no a poco».

Intendiamoci, il direttore editoriale Einaudi e idirigenti Mondadori non sono favorevoli al ddlAlfano, sempli cemente si riconoscono nella posizio -ne di condanna del disegno di legge espressa fin dagiovedì dall’Aie in un comunicato che però non ha

avuto eco sulla stampa. Franco ha definito l’appellolanciato sabato da Mauri e La terza un’operazione di«marketing edi toriale». Una posizione da cui dissen-te profondamente Rosetta Loy, che ha pubblicatomolti suoi romanzi con Ei naudi: «Non ho visto alcu-na operazione di marketing. La libertà di stampa èun bene supremo che non si difende appiattendosisulle posizioni della ca sa madre, cioè dellaMondadori».

In questa disputa politica tutti gli autori sottoli-neano, al primo punto delle proprie argomentazioni,la grande qualità del lavoro editoriale allo Struzzo el’assoluta mancanza di pres sioni politiche. Lo faanche Adriano Prosperi, autore per Einaudi tra glialtri del saggio Giustizia bendata: «Con Einaudi nonho mai avuto problemi», dice il grande storico cheaggiunge: «Mi collegherò subito con la pagina web diLaterza per firmare l’appello». Un appello che staricevendo centinaia di adesioni, individuali e dallecase editrici, da Feltrinelli a Rcs fino alle edizioni SanPaolo, che pubblicano Famiglia cristiana.

Tra i firmatari c’è anche il romanzie re ChristianRaimo, editor di mini mum fax e autore Einaudi: «Noncre do alla teoria delle intenzioni seconda rie» diceRaimo «e sulla difesa della libertà di stampa sonointransigen te. Il discorso di Franco vale come espres-sione delle sue contraddizioni, in quanto deve rispon-dere alla proprie tà, agli autori, ai lettori. Quel cheviene fuori in tutta questa vicenda è che gli editoristanno supplendo a una fun zione della politica: per-ché Walter Vel troni, invece di fare l’autore Einaudi,del modesto libro sullo stadio Heysel, non si impegnadi più in questo tipo di battaglie?».

Dice l’attore, musicista e scrittore Moni Ovadia,che testimonia di non aver ricevuto mai alcun tipo dipressione, nemmeno per libri molto critici con il cen-trodestra come Contro l’idolatria: «Personalmenteavrei aderito all’appello più radicale ma non mi per-metto di invadere l’autonomia dell’editore, che hasempre rispettato la mia».

L’IMBARAZZO DEGLI AUTORI EINAUDI«QUELL’APPELLO ANDAVA FIRMATO»Dino Messina, Corriere della Sera, 20 maggio 2010

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IL PULITZER CHE L’AMERICA NON VOLEVA PUBBLICAREPAUL HARDINGAntonello Guerrera, il Riformista, 21 maggio 2010

Non me lo sarei aspettato nemmeno traun mi lione di anni». Paul Harding, nono-stante il fresco (e clamoroso) Pulitzer perla letteratura vinto solo due mesi fa,tiene i piedi ancorati a terra. Del resto,

sino all’aprile 2010 era un (quasi) sconosciuto. Tantoche il New York Times, subito dopo l’annuncio deivincitori del prestigioso premio americano, si è pron-tamente scusato con i lettori per non aver preceden-temente recensito quello che sarebbe diven tatol’erede di Faulkner, Roth, Updike, Bellow, Har per Lee,McCarthy eccetera. Harding, padre di due figli, nato ecresciuto a Wenham, borgo di 4 mila anime nelMassachusetts, è l’ex batterista dei Cold Water Flat,band americana dei prima anni Novanta che haavuto quel (poco) successo che ancora oggi fa girareun paio di video su YouTube.

«Oh mio Dio, non mi dica!», implora Harding nelcolloquio in esclusiva con il Riformista. Obiezionerespinta. Perché ammirare su internet un futuroPulitzer sbarbatello, tra camicie “grunge” e musica didubbio gusto, è un altro lato nascosto di questo out-sider della lette ratura americana.

Ma outsider, nonostante la sua modestia, è unaparola che sta ora mai stretta ad Harding. Il suo

romanzo d’esordio Tinkers, vincitore del Pulitzer perla narrativa 2010 e prossimamente pubblicato inItalia da Neri Pozza, è un’opera meravi gliosa e terri-bile, un’onda visiona ria, quasi mistica, di un vecchioin punto di morte che, al ritmo di in cessanti orologi,ricorda la giovi nezza e il suo rapporto con il padre,venditore ambulante (“tinker”, ap punto), epilettico edi bassissimo profilo. «Non è una storia autobiografi-ca», sottolinea Harding, «anche se ho preso spunti dairacconti di mio nonno». Il romanzo è stato pub blica-to dalla minuscola Bellevue Li terary Press, casa editri-ce no-profit collegata alla facoltà di medicinadell’Università di New York.

Ora Harding è ovviamente passato all’imponenteRandom House che pubblicherà il seguito Enon nel2012: «Loro hanno subi to creduto in me. Ho firmatoil contratto a dicembre, prima di ricevere il premio»,pre cisa lo scrittore. Eppure – il favoloso mondodell’e ditoria non finisce mai di stupire – il PulitzerTinkers era stato rifiutato da diverse case editriciamerica ne prima di passare alla storia. «Anche moltogran di», dice Harding. Qualche nome? «Preferisco nonfarne, altrimenti verrei discriminato (ride, ndr). E poi,sono stato fortunato, non porto rancore. Far piacereun libro a editori e lettori è sempre un grande sforzo.

Il suo Tinkers ha trionfato nel 2010. Ma prima del riconoscimento

era stato rifiutato da molti editori. «Anche grandi», dice l’autore al Riformista.

È un ex batterista, tifa Obama («anche se lo vorrei più progressista»),

scrive a ritmo di musica e, da ateo, ha riscoperto la religione:

«Sono contro i pregiudizi»

«

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Ma la situazione è peggiorata negli ul timi anni. Oggiè difficile far pubblicare qualcosa che non abbiasesso o violenza. È stato frustrante aspettare diversianni per trovare un editore». Quindi il Pulitzer è stataanche una vendetta nei confronti dell’editoria, dicia-molo: «No, no (ride ancora, ndr). È stata sicuramen-te una soddisfazio ne, ma oggi è incredibilmentedifficile gestire una casa editrice. Ogni anno inAmerica vengono pub blicati migliaia e migliaia diromanzi. Ci sono così tanti scrittori oggigiorno chesce gliere, e bene, per le case editrici è estremamen-te complicato».

Sarà anche per questo mondo letterario “troppodemocratico” che il Pulitzer Harding ci confida che laletteratura contemporanea («a parte mostri sacricome Toni Morrison e Cormac McCarthy») non lo hacon quistato affatto: «Le nuove uscite sono troppe, mici perdo, non ce la fac cio a tenere il passo. Preferiscoleg gere i maestri del diciannovesimo secolo e primoventesimo. Il tempo sa filtrare i migliori, lascio ilcompi to a lui». Qualche esempio? «Ho gu sti ampissi-mi ed eclettici. Amo gli americani Emerson, Theorau,Chee ver… Ma sono stato profondamente influenzatoanche dagli europei Thomas Mann, Proust, Cechov,Tol stoj, Maupassant e soprattutto Italo Calvino». Peròla contemporanea Marilynne Robinson, Pulitzer nel2005 con Gilead (Einaudi) e sua ex maestra letterariain un vecchio workshop dell’Iowa, l’avrà sicura menteletta. «Ma non e riuscita a tra mandarmi il segreto dicome si vin ce un Pulitzer», precisa Harding. «Non c’èuna strategia, si tratta solo di fatica e tanta fortuna.Sa come sono venuto a sapere della mia vitto ria? Lamattina del 12 aprile mi sve glio e controllo suInternet i nomi dei vincitori. “Pulitzer Prize forFiction: Paul Harding”. Mi son detto: “Oh, my God”. Estato uno shock. Un’ora dopo avevo una lezioneall’Universita dell’Iowa e i miei studenti hanno porta-to lo champagne per festeggiare».

Certo è che Harding ingrassa il filotto dei ro manziambientati nel Nord-Est americano che da qualcheanno domina il Pulitzer: ora il New England diTinkers, prima il Maine di Olive Kitteridge (Eli zabethStrout, 2009) e il New Jersey di La breve fa volosavita di Oscar Wao (Diaz Junot, 2008). Perché questolembo di terra a stelle e strisce è così ispira tore?«Penso siano coincidenze», riflette Harding. «Però èanche vero che nel Nord-Est, questa terra dallanatura meravigliosa, il pensiero e la letteraturacommerciale americana sono cresciuti enorme -mente. È una zona di “kindred spirits”, ricorda Tho -

reau o la stessa Emily Dickinson?». Anche in Tinkersc’è tanta poesia, nascosta tra le sbarre della prosa.Ma la narrazione rimane incredibilmente scorrevo leper la sua densità empatica, aneddotica e figurati -va. C’è qualcosa di musicalmente speciale nellascrittura di Harding. Il motivo si rintraccia nella suaimpolverata carriera musicale: «Da ex batterista,scrivo a ritmo di musica», ammette lo scrittore. «Laclassica ha influenzato tanto la mia letteratura. Lefrasi dei miei romanzi sono fraseggi musicali, i ca -poversi variazioni, i capitoli movimenti, i romanzisinfonie. Nello scrivere cerco sempre la tonalità giu -sta, in chiavi diverse».

Poi la domanda da un milione di dollari: le pia ceObama? Da confesso fan del partito democratico,Harding risponde: «Moltissimo, è bravo, carismati co,nulla a che vedere con l’ancien regime di quelloprima di lui (Bush, ndr). Sono così sollevato dall’a vereun presidente finalmente intelligente». Eppure tantiintellettuali e artisti sono già rimasti delusi da lui,ultimo Paul Auster: «Certo, magari fosse più progres-sista di quello che attualmente è. Ma è molto dif fici-le trovare un equilibrio tra sogni e realtà, soprat tuttoora che i repubblicani si stanno spostando sem pre piùa destra». L’America della paura però non sembracambiata neanche con l’effetto Barack: «Con la crisic’è molta più fame e aggressività, i Tea Party nasco-no anche da queste piaghe».

Un altro lato interessante di Paul Harding è il suoviscerale interesse per la religione, riscoperta moltoavanti con gli anni: «Sono nato e cresciuto in unafamiglia atea», ricorda l’autore, «a differenza dei noncredenti di oggi per i quali è una libera scel ta nonavere una fede. Ma piano piano mi sono ac corto chegli intellettuali che adoravo erano quasi tutti pensa-tori religiosi come Calvino, Barth e via di cendo. Hocapito che la religione non è quell’am masso di super-stizione e nonsense. Ho letto la Bib bia e non è asso-lutamente violenta o intollerante co me si dice. Èun’opera di enorme bellezza estetica e narrativa. C’ètanta cultura alla quale non sarei mai arrivato seavessi avuto pregiudizi nei confronti della fede». Oggivede la religione in pericolo? «Il pro blema è l’usoideologico che se ne fa, come con la scienza. Adesempio negli Stati Uniti da anni vige un pensieropseudoscientifico al punto che, per molti, ogni tradi-zione sta diventando un’attività disprez zabile». Ma leicrede nell’evoluzione, Mr Harding? «Ma certo che sì,è una cosa talmente ovvia. Per chi mi ha preso, perun fondamentalista?».

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IL ROMANZIERE CON LA MATITAA 5 anni dalla morte di Will Eisner, maestro della graphic novel, tre volumi riuni-scono la trilogia dei suoi titoli più celebri in una speciale edizione critica

Renato Gaita, Il Messaggero, 22 maggio 2010

Trentadue anni fa, nel 1978, Will Eisner dàvita al suo pionieristico Contratto conDio. Nelle prime scene, il protagonista,un ebreo del Bronx, Frimme Hersh, sottouna pioggia torrenziale ritorna a casa dal

funerale della giova ne figlia. Anni dopo Will Ei snerconfessa che tale premes sa si basava sulla prematu-ra scomparsa della sua unica figlia, Alice. Una trage-dia che aveva segnato profondamente la sua vita equella di sua moglie Ann. Quel libro a fumetti è ilprimo graphic novel della storia dei comics. Eisnerdiventa definitivamente una leggenda nel mondodei fumetti. Oggi i graphic novel vanno molto di mo -da. Non c’è casa editrice che non pubblichi opere delgenere. Sono molti gli autori affermati e di prestigioin questo campo: da Joe Sacco con i suoi autenticireportage giornalistici a fumetti come Palestina oGorazde area pro tetta a Marjane Satrapi conPersepolis. Bene, a 24 anni, cioè nel 1941, mortoprima che le strisce e le nuvolette venisse ro prese sulserio, Eisner dimo stra una preveggenza incredibi le,affermando in un articolo che i fumetti erano «l’em-brio ne di una nuova forma d’arte, il romanzo illu-strato». Per più di sessant’anni, una ventina digraphic novel e centinaia di storie all’attivo, l’autore

newyorchese (era nato nel 1917 a Brooklyn) ha con-cretiz zato questa visione, ispirando moltissimi artistie dimostran do che i comics sono un genere lettera-rio, «letteratura disegna ta» amava dire un altro gran-de maestro, Hugo Pratt, il creato redell’intramon tabile Corto Maltese.

A cinque anni dalla sua scomparsa, la Fandangolibri ripropone in una speciale edi zione critica in trevolumi la trilogia eisneriana, Contratto con Dio (192pagine, 14 euro), Dropsie Avenue (184 pagine, 14euro), La forza della vita (152 pagine, 14 euro). Sonolunghe storie corali, che hanno il respiro di grandiromanzi. Che mettono in evidenza, co me ha scritto uncritico, e «svi scerano il senso profondo del l’esistenza,arrivando a toccare questioni che rimangono general-mente senza risposta». Mentre per un altro «la forzanarrativa del suo tratto pone Eisner al fianco di scrit-tori come Bernard Malamud e Isaac Bashevis Singer».

Ma accanto ai romanzi di segnati, Will Eisneraffianca per anni una lunga attività d’insegnamento,che considera un’integrazione fondamen tale alla suaopera di autore. E così, tra il 1952, l’anno in cui siconcluse l’esperienza di The Spirit (il suo personaggiopiù conosciuto, il detective con la mascherina, diver-tente satira dei primi supereroi), e il 1978, in cui pub-

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blicò Contratto con Dio, il cartoonist insegna e stu diail suo linguaggio preferito. Dalle lezioni tenute nellaNew York’s School of visual arts ricava due saggi:Comics and sequential art (Fumetto e arte sequen-ziale), e Graphic storytelling and visual narrati ve(Narrare per immagini). Questi due fondamentalitesti sono ora pubblicati insieme in un pregevole librodella Bur Will Eisner. L’arte del fumetto (358 pagine,euro 25,90), a cura di due gio vani studiosi di comics,Fabio Gadducci e Mirko Tavosanis.

Eisner passa minuziosa mente in rassegna i molte-plici aspetti del fumetto. Lettura, immagini, ritmo,espressività, scrittura e arte sequenziale. E poi comeraccontare una sto ria, le immagini come strumen tidella narrazione, stile del disegno e del racconto, ideee pro cesso di scrittura. L’artista di New York svela iprocessi crea tivi, il dietro le quinte del fu metto emostra come i comics sono davvero una macchinacomplessa in cui si intrecciano lo spazio, il tempo, ilritmo, la storia, i personaggi, gli oggetti. Dove tutto èfrutto di scelte precise, motivate dalla narra zione.

È per questo che Will Ei sner era convinto che ilfumet to «ha tutto il diritto di essere considerato lette-ratura perché le immagini sono impiegate come un lin-guaggio. Quando questo linguaggio viene impie gato

per fornire idee e informa zioni non è più un intratteni -mento visivo privo di significa to. Diventa un mezzo dicomu nicazione che racconta sto rie». Come dimostra inContratto con Dio, una svolta rivoluzionaria.

Le quattro storie brevi che compongono il librooffrono una realistica descrizione della vita degli anniTrenta nel Bronx, affrontando con un taglio a volteautobiografico argomenti come il dolore, l’amore, lasolitudine e la fede che il fumetto raramente avevatoccato. Nello struggente Dropsie Avenue, invece,l’autore si cimenta nel racconto della nascita, dellavita e della morte di una strada del Bronx e dei suoiabitanti, dalla New Am sterdam coloniale alla GrandeDepressione fino al degrado urbano degli anniSettanta. Ec co, l’opera di Will Eisner spa zia dalleavventure fantastiche e fuori dell’ordinario di Spirit avere e proprie “commedie umane” sullo sfondo diNew York, confermandosi nello stesso tempo subli-me, profon do e ironico esploratore del l’anima e delmondo ebraici. Non stupisce, perciò, che fin dal 1988gli Oscar del fumetto americano si chiamino EisnerAwards. Un riconoscimento all’artista ancora vivo ein pie na attività, ma già considerato un maestro,testimonianza del suo fondamentale contributoall’arte del fumetto.

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EDMUND WHITEERANO PIÙ LIBERI I GAY DELL’800Alessandra Iadicicco, La Stampa, 23 maggio 2010

«Scrivo sempre ciò che ho voglia discrivere: quello in cui cre do»

A Palermo per ricevere il premio Mondello:«Riguardo a certe cose proibite ma taciute c’erano meno pregiudizi»

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Edmund White scrive per amore. Da ameri-cano innamorato della cultura europea. Daautore erotico e intellettuale, coltissimo esensuale. Da appassionato lettore diProust, Genet, Barthes, Foucault e del gio-

vanissimo enfant prodige cui è ispirata La doppia vitadi Rimbaud (minimum fax) che ha ricevuto ieri il pre-mio Mondello destinato al migliore scrittore stra -niero. Ormai settantenne, scrive da amante malato:impegnato a cerca re, per i propri sensi e sentimenti,una schietta e autentica espressione letteraria.«Scrivo sempre ciò che ho voglia di scrivere: quello incui cre do», racconta con serenità, incuran te del fattoche, arrivando a Palermo per ricevere il premio, haperso il bagaglio con tutti i medicinali a cui, sie -ropositivo, non può assolutamente ri nunciare. Chiscrive per amore lo fa da sempre per una segretapunta di dolore. Per White è così dai timidi inizi ado-lescenziali – quando cercava miti, modelli, fratelli inarte, alter ego con cui identificarsi – all’odierna ma -turità di incoronata icona gay che non può fare ameno di dichiarare la propria appartenenza, di ascri-versi a una minoranza.

Prosatore raffinato, romanziere dal passo ottocente-sco, finissimo lettore e sottilissimo umorista, esserepresentato come autore omosessuale non le pareriduttivo? «In Europa sembra più riduttivo che negli Usa. Vede,io ho vissuto in Fran cia sedici anni e mi sono resoconto che nel Vecchio Continente si è meno inclini apensare per categorie di questo tipo. Vent’anni fa inFrancia una letteratura gay non esisteva. In Americainvece non c’è scrittore che non appartenga a ungruppo minorita rio: ci sono autori neri, cino-ameri-cani, ebrei, omosessuali… Da noi è una politi ca edito-riale: è più facile farsi pubblica re se si sa sin dall’iniziocon chiarezza in che scaffale sistemare il libro in li -breria. Io che, soprattutto agli inizi, avevo il problemadi trovare un edito re, ho dovuto adeguarmi: persopravvi vere. Ma è vero che in passato la con -trapposizione autore omo/etero era molto più acce-sa».

Lei ha scritto tante biografie: di Proust e Jean Genet(Ladro di stile, Il Saggiatore), di Rimbaud e StephenCrane (Hotel de Dream, Play ground): sempre con unamotiva zione autobiografica. Perché tante autobio-grafie? E la sola vera si intitola al plurale My lives…«Per stringere sin dall’inizio con il lettore un espli-cito patto di verità. Chi scrive un romanzo, o una

biografia ro manzata, può inventare ciò che gli pa -re. Io per cercare la mia verità, attra verso il con-fronto – personale certo – con i “miei” autori, li hostudiati sul se rio e molto da vicino. Per scrivere diGenet ho svolto ricerche per sette an ni, ho fattosettecento interviste, ho estratto da tutte le infor-mazioni recuperate su di lui – tra l’altro gli scritti diSartre, che lo frequentava ogni giorno e non fu ingrado di offrirci alcuna te stimonianza attendibile –un ritratto veritiero e oggettivo».

Oggettivo anche il libro su Rim baud? Non era un pre-testo per par lare di sé? Al contrario di Proust e Genetla sua omosessualità non era poi conclamata: nonha forzato la mano?«Ha ragione. Definire l’identità sessua le di un autoreallora non era importan te come oggi. Oggi il concet-to di gay è, ahimè, molto rigido: chi è molto moti vatosente il bisogno di fare coming out. Nel XIX secolo,prima del processo a Wilde, era un’identità molto piufluida. Pensi a Verlaine: sposato, con un fi glio, dopola storia con Rimbaud ebbe molti ragazzi e ragazze ealla fine man tenne due amanti sempre in lite tra loro.Uno spartiacque è certo segnato da Freud che hainventato le parole per dire la sessualità. Prima dellapsicoa nalisi il lessico gay era molto più vario e crea-tivo. Per esempio c’è un sagget to proustiano di cin-que pagine in cui l’autore della Recherche usava per“omosessualità” cinque parole diverse: e descrivevacinque tipologie uma ne irriducibili tra loro!».

L’assenza di parole per dirlo signifi cava meno inter-dizioni? Il XIX seco lo era più permissivo del nostro?«Suona paradossale, ma è un po’ così. Tutto ruotavasu un non-dit e riguar do a cose proibite ma taciutec’erano meno pregiudizi e più libertà».

E la politica di Obama verso i gay? Che significano lesue «aperture», oggi che tutte le libertà sono staterivendicate e conquistate?«Obama è un animale politico. Deve fare i conti conla comunità nera, la base più solida del suo elettora-to, che è in larga parte omofoba. Per motivi religiosi.Va anche detto che la Chiesa evangelica negli Usa èmolto potente. C’è un buon terzo di americani cheparla quotidianamente e direttamen te con Dio, senzaintermediari. Tenen do conto di ciò, il presidente nonsi az zarda ad ammettere i matrimoni gay o il recluta-mento di omosessuali nel l’esercito. Ma forse anchevoi in Italia, con il potere del Vaticano, avete un pro-blema analogo».

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YEHOSHUA E IL CANEIl grande scrittore ha rimesso mano a il suo capolavoro, Il divorzio tardivo, dove parla della crisi del romanzo. E con una sorprendente invenzione ha ribaltato il finale del libro© Abraham B. Yehoshua (traduzione di Alessandra Shomroni), L’espresso, 27 maggio 2010

Il testo che pubblichiamo in queste pagine fa parte delcapitolo “L’ultima notte”, il nuovo finale del capolavorodi Abraham B. Yehoshua Il divorzio tardivo, pubblicatoper la prima volta in ebraico nel 1982 (in italiano daEinaudi). Poche settimane fa l’autore ha voluto invecedare alle stampe, sempre in ebraico, una versionenuova di quel libro, in cui tutto è rimasto uguale: tranne le ultime e conclusive pagine, quelle che poteteleggere qui. Il testo è il monologo di un cane. Un animale che è una citazione di un libro di ShmuelAgnon, Nobel per la letteratura e fondatore della lettera-tura ebraica moderna, un cane che forse assomigliaall’autore stesso, e che comunque si interroga sullestesse questioni che da tempo si pone Yehoshua: il senso ultimo della scrittura, dell’arte e della formanarrativa romanzo. Del resto, di questi problemi (e dicome concludere un libro) Yehoshua parlerà il 6 giu-gno a Novella (Cuneo) nel Corso del festival Collisioni,in una Lectio magistralis dal titolo «Perché si è suici-data Anna Karenina». La nuova versione del Divorziotardivo è la conferma di come tutti i narratori oggisiano arrivati a un punto critico per quanto riguarda lachiusa delle loro storie. Ieri c’era un codice condiviso acui fare riferimento per scegliere il finale “giusto”: una storia d’amore finiva con il matrimonio, il tradimento

comportava quasi sempre il suicidio purificatore delladonna – come ben sanno la Karenina e MadameBovary. Quello che nell’Ottocento era una certezza si èsgretolato nel Novecento, e oggi, dopo decenni di filme romanzi «a finale aperto», gli autori sembrano averscoperto che il finale migliore è quello che non c’è. Si spiegano così sequel, seconde parti, trilogie, roman-zi seriali. E non è solo una mania da blockbuster:vanno bene Harry Potter e Twilight, ma adesso ancheuno scrittore “alto” come Vikram Seth ha accettato didare un secondo tempo – La ragazza giusta – al suoromanzo fiume Il ragazzo giusto. Neanche con i gialli ei thriller (pure al cinema) si può stare tranquilli: il nuovo romanzo di Scott Turow, Innocente, ribalta latrama del suo maggiore successo, Presunto innocente.E mentre Gabriele Salvatores dedica metà del suoHappy family a mettere in crisi il concetto stesso difinale, lasciando che i personaggi si ribellino a quelloscelto dall’autore e ne inventino ognuno uno diverso,Scorsese e Polanski si concedono due guizzi da mae-stro: l’americano prendendo una posizione rispetto alfinale «aperto» del romanzo Shutter Island, il polaccoregalando a L’uomo nell’ombra un’ultima inquadraturada antologia.

Angiola Codacci-Pisanelli

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Di cosa parlerò? Dei cani che lasciano i kib-butz o del mutamenti d’odore dello Statodi Israele? Oppure dirò qualcosa di nuovosu Balak, il cane raccontato dallo scritto-re Agnon? No, non se ne parla neanche.

Basta con questi argomenti banali. Visto che miprendo il disturbo, allora solo proclami generali. Unmanife sto sullo stato attuale della letteratura in -titolato Tra un morso e un latrato. La sera mi sonorecato lì, al fienile di Rosh HaNikràh, accanto allescogliere bianche del litorale marino. Una decina dicani e cagne già mi aspettavano, scodinzolando insegno di amicizia, tremanti di freddo. Mi hanno cir-condato, annusato, fino a portarmi via tutto l’odore.Alla fine ho gri dato: «Seduti, tutti!». Sono salito sulleballe di fieno e ho esordito: «Lo stato della letteratu-ra è problematico. La pittura ha un futuro, immensepossibilità. Materiali nuovi si re periranno, tra poconelle tele si introdurrà la corrente elet trica che le faràvibrare, pietre di altri pianeti si tritureranno per otte-nere nuove sfumature. Lo stesso sarà per la musica.Ultrasuoni si cattureranno, la voce della terra si regi-strerà, il tono degli atomi si sezionerà e da un raggiolaser una melodia si otterà. Ma della nostra vec chialetteratura che ne sarà? Malgrado la buona volontà eil talento ancora una volta tutto dipende dalla lingua.Il mezzo è sempre to stesso. Co s’altro si può spreme-re da que sta materia esausta?».

Ho fatto un piccolo passo avanti, ho proseguito.«Vedo la letteratura nella sua desolazione. Una vec-chia rotopressa si avvicina con strido re di cingoli, ilconducente è un uomo stan co, non più giovane,porta un berretto biz zarro, ha una pipa in bocca esul volto un imbarazzato sorriso. La mietitura è ter-mi nata, il verde stelo già in primavera è sta todimenticato, la linfa si è esaurita, la spi ga d’oro èstata raccolta, il chicco è stato sgranato, solo pagliasecca rimane sul ter reno, ricordo del ricordo delricordo di ciò che è veramente stato. E la rotopres-sa ar riva, sbuffando fumo nero, stillando olio fetido,e con gran fracasso raccoglie la pa glia e deponedietro di sé balla dopo balla, parola dopo parola,riga dopo riga, foglio dopo foglio. Qua e là nelcampo cerca va namente di trastullarsi, salta unafila, par te dalla fine anziché dall’inizio, ma allamonotona ripetitività non sfugge. Se avesse unospartito, se uno spartito potesse scrivere, letteratu-ra multi temporale, multi emozionale, multi locale,multi concettuale, non “un latrato o un morso” ma“tra un latrato e un morso”, se la pressione, l’acceca -mento e l’alone chiaro, il respiro dell’attimo vivo,

fluido, potesse sal vare. Per ricordo. Da serbare. Pri -ma che tutto si ritiri, rifugga da uno spazio illumi-nato a uno d’ombra».

Ecco, il monologo per l’ultima notte devo prepara-re, e la letteratura mi farà fallire, già lo sento. Dallaballa di fieno sono sal tato, ho fatto due gocce di pipìe sono ri salito. «Ci sono domande?».

Allora un cane grosso e stupido si è alzato. «Anche a voi, là al manicomio, carogne danno damangiare? Già da cinque mesi in tutto il nord non simangiano che carogne. Gli umani non se ne accorgo-no e non c’è modo di metterli sull’avviso. Ci prendo-no forse per sciacalli?». Ho chinato la testa fino a chelo hanno zittito. Non di questo si parlava. Silenzio.«Ma del mio manifesto, che avete da dire?».Un mezzo intellettuale ha detto: «Tu esageri, sei pes-simista come al solito. Un impedimento talvolta puòessere un vantaggio. Con giocattoli sfavillanti nonpuoi giocare, è vero, puoi succhiare solo gli avanzi delmidollo di un osso secco. Ma il mondo può esserecapovolto dal fremito dello stile. Invece che a unospartito ricorrerai a simboli. E le associazioni di ideenon esistono più?». Ho capito. Basta. «Conoscoanch’io quesre stupide teorie. Ma non siete voi adover abbaiare il monologo del l’ultima notte, bensìio. Il mio vecchio padrone è arrivato la notte scorsa,anche se io non dovrei saperlo perché non sarei ingrado di percepire il suo odore da una si mile distan-za neanche se fossi un dober man di razza, e non losono, come si sa. Peccato perdere tempo, davvero.Portate la mucca che avete promesso».

E una mucca grande, dal mantello rossic cio egrondante d’acqua, è stata portata fuori dalla stalla.Mi sono infilato sotto di lei. Ho aspirato l’odoreasprigno del latte. Trotterellava con calma e io fra lesue mammelle mi riparavo dalla pioggia. Ab biamocamminato in vasti campi, nel fango gorgogliante.Lei muggiva e masticava il fieno, io da sotto ululavoe nello spazio immenso ci rispondevano gli sciacalli.Fa ville di pioggia nella nebbia giallastra, stemperatadalle luci lontane del golfo, e odore di terra. Leicagava fieno, e io senti vo l’odore delle feci calde,leccavo con la punta della lingua una dolcezza gri-giastra mentre la pioggia colava sui suoi occhi gran-di e tristi, con lentezza inverosimile avanzavamo,con risucchiante spossatezza sembravamo librarcisul posto, e io fra le sue zampe forti mi barcamena-vo per non bagnarmi nella pioggia tiepida, fino a chelei a un tratto è sprofondata in una pozzan gherasoffice, con dolore profondo ha muggito e io la testale ho annusato, gli oc chi le ho leccato. Ha detto, «in

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un sogno siamo, e io sono gravida, ti displace se unpo’ ci riposiamo?».

«Tu procedi pure al tuo ritmo mucca ma io non hotempo di adagiarmi nel fango con te. La cantata ècominciata e il monologo dell’ultima notte mi atten-de, temo che nessuno di loro riuscirà a spiegarsi e allafine dovrò sobbarcarmi io questo compito. Se tuavessi assistito alla mia conferenza comprenderesti lamia preoc cupazione». Ha risposto la mucca: «Sei pes-simista e nervoso e ti inquieti per nien te. Io mangioquesto fieno e ci trovo il chicco, la spiga, l’oro, lalinfa, e talvolta anche la luce. Io sono il lettore medio.Se il fieno non è particolarmente marcio, lo si puòapprezzare. Ma ecco, ha smesso di piove re, torna dicorsa al tuo ospedale».

La pioggia era davvero cessata, solo il mormoriodei torrenti e delle pozzanghe re rimaneva, odore dinubi squarciate, e un nuovo calore primaverile flui-va dalla terra già luccicante nella luce dell’alba chespuntava. Sono corso veloce isolando uno degliintensi odori di follia del manicomio e puntandonella sua direzione. Al cancello i guardiani gironzo-lavano intirizziti dal freddo. Attraverso la brecciapensavo di sgattaiolare, perché non mi vedessero,giacché in base alle direttive del ministero dellaSanità dovrei stare sempre legato alla catena e por-tare la museruola. Ma questa volta andavo di fretta,ho abbassato la testa, ho scodinzolato un pochino, econ passetti leggeri e delicati sotto il cancello sonostrisciato. I guardiani però mi hanno visto, «Horatius,Horatius, vieni qui», mi hanno chiamato, mi sonoavvicinato, per il collare uno di loro mi ha afferratoe ha parlato di me col collega, alla fine ha detto,«seduto», e io mi sono seduto, «dà la zampa», e iogliel’ho data, poi ri dendo mi hanno dato dei calcettie mi hanno lasciato andare, e io ho proseguito, lebriciole del mattino già odoravo, la porta della cuci-na ho spinto, fra le pentole ho cammi nato per fiuta-re cosa si cucinava quel giorno, e al bidonedell’immondizia mi sono diretto, l’ho rovesciato, hoannu sato, ossa e avanzi di pane ho sgranocchia to,avanzi di pazzi.

Già da cinque anni sopravvivo con questi avanzi ese non fossi convinto che la follia è una questionepsichica, non mi sarei mantenuto sano di mente. Dalì al prato mi sono diretto, al grande masso accantoal quale forse centinaia di anni fa una cagna forte egrande fu sepolta, una cagna lupo terribile, ancorauna volta i resti del suo odore ho aspirato, odoremitico, un po’ nella terra ho scavato, debolmente hoguaito. E dalla nebbia mattutina è spuntato quel

matto gigantesco, odore di fuoco spento, non dormemai, con una scopa quel giorno gironzolava. Haavvertito la mia presenza ed è rimasto raggelato,uomo sensibile e introverso, io faccio paura a lui e luifa paura a me. Lentamente le scarpe e le calze gli hoannusato, odore di fuliggine. Forse mi avrebbe acca-rezzato, da tanto non mi accarezzava. Ma il sole èsalito dalle colline trascinandosi dietro un az zurrolimpido e chiaro. Ho scrollato via i resti della pioggia,verso il padiglione di lei mi sono trascinato in silen-zio, tra i letti sono passato, accanto a una fila di pan-tofole dal pesante odore dei sogni. Al suo letto sonoarrivato, eccola lì distesa, madre-padrona, odore dinoci umide, la mano abbandonata, respirava lenta -mente, ho annusato i suoi confini, li ho leccati, era invia di guarigione, dell’odo re di rovi bruciati non rima-neva quasi nulla. Sono uscito attraverso la cucina, horubato un biscotto solitario da un piatto, ho prose-guito verso l’esterno. Era una giornata stupenda.L’odore se greto del sole. Nella cuccia sono entra to, ilpavimento umido, una pozzanghe ra, il tetto che goc-ciolava. Verso il cielo ho alzato la testa, verso il gran-de cane – dammi oggi buoni odori in abbondanza. Hochiuso gli occhi, su un fianco mi sono disteso e misono addormentato.

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IL VECCHIO E IL FAREHEMINGWAY, ECCO GLI ULTIMI SEGRETI (DI SCRITTURA)

Steno Solinas, il Giornale, 31 maggio 2010

Il primo racconto di Ernest Herningway sembra vascritto da Francis Scott Fitzgerald. Era la storia diun ragazzo molto ricco e troppo bello, StuyvesantBing, che si dichiarava a Dorothy, una ragazzamolto ricca e solo bella, ma con dei capelli «colo-

re del l’oro grezzo». Amici dall’infan zia, per Do Stuy ètroppo inco stante per potersene innamora re. Non siimpegna, non va a fon do nelle cose, è un ragazzo,appunto, non un uomo. Certo, se gli dimostrasse dicredere in qualcosa, se andasse, almeno una volta, sinoal fondo delle cose, se gli facesse vedere «di esse re uncampione, non solo uno che si piazza bene», se faces-se «di una cosa difficile il suo suc cesso», be’, allora…

Scritto all’inizio degli anni Venti, inedito in Italia,La corren te (Via del Vento, pagg. 35, euro 4, traduzio-ne e note al testo di Francesco Cappellini) facevaparte di cinque storie brevi che Peter Griffin recupe-rò anni fa e mise in appendice al suo Along withyouth. Hemingway the Early Years (Oxford UniversityPress), biografia critica dello scrittore prima che dive-nisse ta le, prima ancora cioè della pub blicazione diquel Three Stories and Ten Poems con cui nel 1923fece il suo esordio pubblico.

Scott Fitzgerald, dicevamo al l’inizio. Cos’è infattiDorothy se non una flapper, una di quelle ragazze

belli capelli che chiedo no e ottengono una cosapazza tutta per loro? E cos’è Stuyve sant se non unodi quei «giova notti ricchi che vedono sé stessi solograzie a occhi femminili?».

Entrambi fanno parte di un ambiente upper class diyacht, polo, golf, l’ambiente, appunto, del primoromanzo di Scott, Di qua dal paradiso, uscito nel 1918,e dei suoi racconti coevi. Ciò che Hemingway viaggiunge di suo, e non è poco, anche se non è an corasufficiente, è il terreno su cui Stuy decide di «essere uncampione»: il quadrato di un ring. Tirerà di boxe, si faràspaccare la faccia, ma vincerà e «così brutto e meravi-glioso, più bello di un gladiatore che sta moren do»avrà Dorothy fra le sue brac cia (eppure, leggendolo, mive niva da dire, questa storia già la conosco, ma non miricordo né dove né quando l’ho letta, né se proprio diHemingway. Magari qualche lettore può risolverel’enigma o sono io che sto invec chiando…).

Trasformando il racconto nel la cronaca di unmatch, l’Hemin gway ventenne aveva già chiare lecoordinate della sua arte: scri vi di ciò che sai, la veri-tà autenti ca delle cose e quindi della vita. La boxe, lacaccia, la pesca, la guerra, la corrida, l’amore, la morte,l’amicizia virile saranno il ring dentro al quale si muo-ve rà la sua scrittura. E non è un ca so che, quarant’an-ni dopo, nel lavorare a Festa mobile, un capi tolo dellibro riguarderà ancora un incontro di pugilato: “AStrange Fight Club” era il titolo, la storia di LarryGaines, «un al to, lungo muscoloso peso me dio negro»venuto dal Canada a combattere allo Stade Anasta sie,ristorante-palestra di Menil montant a Parigi.

Festa mobile si chiude con la fine di un amore cheè anche un addio alla Parigi della giovinez za, «laParigi dei bei tempi anda ti, quando eravamo moltopove ri e molto felici». È una chiusa malinconica, manon era la sua. L’ultimo capitolo Hemingway l’avevaintitolato “Nada y pues nada”, e aveva a che fare conl’alchimia dello scrivere, i segreti che stanno dietro aciò che tieni e a ciò che togli dalle pagine, del tuttosimili all’alchimia della vita, dove non sempre vincechi guadagna e ciò che si perde è spesso la partemigliore. Per uno che si considerava «nato per scrive-re», e che aveva vissu to scrivendo tanto quanto aveva

Un racconto giovanile, finora inedito in Italia,e la pubblicazione della versione originale diFesta mobile (modificato dalla moglie Mary)rivelano le coordinate dell’arte e degli stru-menti del mestiere del romanziere

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Page 47: La rassegna stampa diObliquein Russia nel 1936, ave va scagliato una feroce requisi-toria, Mea culpa. Ha scritto all’amica Karen Jensen: «Tutta quella roba è abietta, spaventevole,

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scritto vivendo, la memoria ave va a che fare con ilcuore, l’unico organo che non dimentica, anche se faifinta di non ricordare. «Ci sono rimesse o depositi do -ve puoi lasciare o archiviare cer te cose e questo librocontiene materiale dalle rimesse della mia memoria edel mio cuore. Anche se la prima è stata manomessae il secondo non esiste più».

Così finiva quella prima stesu ra di “Nada y puesnada” a cui aveva lavorato all’inizio d’aprile del 1961.Era stato in clinica dal novembre al gennaio dell’an-no precedente, dove gli avevano cu rato la depressio-ne e le manie di persecuzione con l’elettrochoc e ora,tornato a casa, scopriva con angoscia che nelle«rimes se» della sua memoria e del suo cuore non c’erapiù nulla: l’alchi mia dello scrivere gli era divenu taastrusa e insopportabile quanto quella della vita. Ametà apri le, sua moglie Mary lo trovò davanti allarastrelliera dei fucili, una carabina e due cartuccenel le mani. Lo ricoverarono di nuo vo, lo curaronoancora e a giu gno lo dimisero. Il primo luglio non sifece trovare dalla moglie e si sparò. Festa mobileuscirà, po stumo, tre anni dopo.

Adesso il lettore lo ha a dispo sizione nella sua ver-sione origi nale (A Moveable Feast. The re storedEdition, Scribner, pagg. 240, euro 25,70), per volontàdel figlio di Hemingway, Patrick, e per le cure delnipote Sean, e si può vedere non solo quanto e comeMary Hemingway e l’edi tor Harry Brague intervenne-ro sul manoscritto, ma, come dire, l’intera scatoladegli attrezzi del l’Hemingway scrittore, così co me inLa corrente se ne possono recuperare gli utensili pri-mitivi: capitoli messi da parte, una de cina (fra cui ilcitato “A Strange Fight Club” nella logica hemin -gwayana che uno scrittore giudi ca il valore di ciò chescrive «dal l’eccellenza di ciò che ha eliminato»; le ripe-tizioni funzionali a un rac cordo fra le parti; gli stessibrani dilatati o accorciati a seconda dell’utilizzo deci-so. Hemin gway ci lavorò sopra continuati vamente perquasi tre anni, dall’estate del 1957 all’autunno del1959, quando inviò alla casa edi trice una prima ste-sura di 19 capitoli, senza introduzione e senza finale,ma, come abbiamo vi sto, non se ne staccò mai: c’eral’incapacità a chiudere, mista alla paura-consapevo-lezza di non riuscire più a valutare ciò che scriveva.

Rispetto al testo originale, il Fe sta mobile pubbli-cato postumo recupera due capitoli che He mingwayaveva eliminato: “Na scita di una nuova scuola” e“Ezra Pound e il suo bel Esprit”, quest’ultimo unitosotto tale tito lo al ritratto del poeta che lo scrit toreaveva invece deciso di tene re, “Ezra Pound e il vermemisuratore”. Inoltre, larghe sezioni del capitolo “Il

pesce-pilota e i ricchi” vennero inserite in “Per Pariginon ci sarà mai fine”, tra sformato in capitolo finale,e in un paio di casi venne modifica to l’ordine deicapitoli stessi. Qui e là l’editing tolse inoltre qualcheinciso, qualche dialo go, qualche tempo verbale.

Senza entrare troppo nel meri to, in almeno unpaio di casi la revisione «vedovile» di Mary He -mingway è opinabile. Il primo ri guarda il lavoro ditaglia e cuci da cui vien fuori l’ultimo capito lo, doveil rimorso dello scrittore per la fine del proprio matri-mo nio, nonché l’assunzione delle proprie colpe inmerito, scompare, per lasciare il posto a una sorta divittima inconsapevole. Il secondo è ancora piùarbitra rio, perché riguarda un giudizio su FrancisScott Fitzgerald (e ab biamo già visto quanto Scottab bia significato per l’Hemingway degli esordi),messo in esergo al capitolo a questi dedicato. L’ori -ginale suonava così: «Il suo ta lento era naturale comeil dise gno tracciato dalla polvere sulle ali di una far-falla. In un primo tempo non lo capì piu di quanto locapisca la farfalla, ed egli non se ne accorse neppurequando il disegno fu guastato o cancella to. Più tardisi rese conto delle sue ali danneggiate e compresecome erano fatte e imparò a ri flettere. Tornò ancoraa volare e io fui fortunato a incontrarlo pro prio in unmomento giusto della sua scrittura, anche se nondella sua vita». La versione di Mary modificò il finalecosì, recupe randolo da delle righe cestinate: «E nonriuscì più a volare, perché l’amore per il volo erascomparso e poteva solo ri cordarsi di quando volarenon gli era costato il mini mo sforzo».

Questo esergo, così co me era stato concepito, bilan-ciava il ritratto molto critico del Fitzgerald alcolizzatoe comples sato, succube di una moglie pazza che odia-va il suo talento e lavorava a distruggerlo. Nello scri-vere Festa mobile, Hemingway si dovette a un certopunto accorgere che il racconto del l’ascesa e caduta diScott valeva anche per lui, e che trent’anni dopo glitoccava in sorte ciò che un tempo aveva giudicato conla ferocia del vincitore nei con fronti del rivale caduto.Adesso il sapore amaro del fallimento era anche il suo:l’angoscia della pagina bianca, l’accorgersi di non riu-scire più a riempirla. In quel «tornò ancora a volare»c’era molto più di un riconosci mento, c’era, forseinconsape volmente, un messaggio di spe ranza in pro-prio, l’idea che ce l’avrebbe fatta anche lui: basta vacrederci, bisognava crederci. Nel cancellare quell’illu-sione dalla pagina scritta, la vedova non fu solo spie-tata nei confron ti della memoria di Fitzgerald, lo fuanche per la memoria di chi fra il non volare e quindiil rassegnarsi aveva scelto di am mazzarsi.

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