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Modelli per la mente 2010; III (3): 83-90 83 CONTRIBUTI ORIGINALI Introduzione Alfred Hitchcock è da tutti riconosciuto come uno dei più grandi maestri della suspense, tanto che certa critica, so- prattutto francese, è arrivata ad attribuirgli un’ascenden- za filosofica. I suoi film sono costruiti con una meticolosi- tà impeccabile, divenuta quasi leggenda nella letteratura cinematografica, fatta di rigidi storyboard, di un’attenta ge- stione degli attori, e di puntigliosi sopralluoghi negli am- bienti che dovevano ospitare le riprese. Nei suoi film, le si- tuazioni tensiogene si mescolano benissimo al mistero e all’angoscia, risolvendosi soltanto nel finale. Va subito det- to che la suspense in Hitchcock assume una valenza psi- cologica del tutto particolare: non si tratta di eventi sor- prendenti che improvvisamente irrompono nella scena. Sia- mo lontani dalle classiche trame del giallo, dove nel cor- so delle rappresentazioni cinematografiche viene offerta una serie di indizi, attraverso i quali lo spettatore può ope- rare un proprio processo di ricostruzione retroattiva degli eventi, ed arrivare a formulare delle ipotesi sull’identità del- l’assassino. Nei film di Hitchcock, invece, lo spettatore co- nosce a fondo la realtà dei fatti diegetici; sa per esempio chi sia l’assassino, e soprattutto quali rischi stiano correndo i personaggi implicati nella rappresentazione. È proprio nel- l’attesa dell’evento emozionale, ricostruita dallo spettato- re, che si genera la tensione. Lo spettatore è invitato ad un duro lavoro: assistere “impotente” ai rischi corsi dal per- sonaggio, al quale magari si vorrebbe tendere una mano mettendolo al corrente delle minacce che incalzano su di lui. Quindi non rimane che restare “timorosamente sospeso” nell’attesa che si realizzi il pericolo, caricandosi di nume- rose tensioni emotive. Nel caso della rappresentazione del disagio mentale va rivelato innanzitutto un dato quantitativo, ovvero sono si- curamente molti i film al cui interno vengono rappresen- tati personaggi affetti da disturbi psichici. Questo interes- se nasce principalmente dal fatto che i disturbi psichici pos- sono giustificare una serie di comportamenti devianti; ti- pico ne è l’utilizzo in molta letteratura thrilling, come con- dotte criminose ed istinti omicidi. Anche nel genere noir ritroviamo spesso rappresentata la malattia mentale come generatrice di comportamenti violenti. La devianza psichica diviene in tali rappresentazioni costitutiva della de- vianza criminale, la malattia foriera del male. La rappresentazione della malattia mentale nelle opere cinematografiche di Alfred Hitchcock Giannini A.M., Cordellieri P. Dipartimento di Psicologia, “Sapienza” Università di Roma Riassunto Riassunto - L’indagine ha riguardato un’attenta analisi del con- tenuto delle rappresentazioni cinematografiche di Alfred Hit- chcock. In particolare ci si è soffermati sulle narrazioni, spes- so reiterate, con le quali l’Autore ha rappresentato la malat- tia mentale. Quello che ci interessava era la ricostruzione del- le modalità narrative attraverso le quali il regista risolveva nei suoi racconti l’insorgere della malattia mentale, il suo mani- festarsi, e in alcuni casi la felice remissione. Numerosi sono stati gli esempi raccolti dalle trame dei suoi film. In particolare si è constatato come i racconti si risolva- no con delle costanti narrative, che abbiamo voluto anche ri- costruire ed esemplificare con numerosi esempi. Tali invarianti, costitutivi delle fabule hitchcockiane, sono arricchiti, in ogni opera cinematografica, da aspetti specifici e contestuali. I ri- sultati vengono discussi anche in riferimento ad alcune rap- presentazioni culturali diffuse all’epoca, alle quali l’Autore ha fatto ampio riferimento nel comporre le proprie opere. Parole chiave: psicologia del cinema, malattia mentale, Hi- thcock. Summary Abstract - The research focused on a content analysis of Alfred Hitchcock’s movies. In particular, we concentrated our attention on narratives, often repeated, where the au- thor represented the mental illness. Our aim was to recon- struct narrative modalities through which the director illu- strated, in his stories, the onset of mental illness, its mani- festation, and in some cases the successful remission. Nu- merous examples have been collected from the plots of his films. In particular, we noted that stories are often illustrated and developed with constant scripts, that we described and showed with plenty of examples. These invariant constituent of the fable Hitchcock, are enriched in all aspects of film work and context specific. Results are discussed also rela- ting to some cultural representations, wide spread in the hi- storical contest of the author, to which the author himself has made extensive reference in composing works. Key words: psychology of the cinema, mental illness, hi- thcock movies.

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Introduzione

Alfred Hitchcock è da tutti riconosciuto come uno dei piùgrandi maestri della suspense, tanto che certa critica, so-prattutto francese, è arrivata ad attribuirgli un’ascenden-za filosofica. I suoi film sono costruiti con una meticolosi-tà impeccabile, divenuta quasi leggenda nella letteraturacinematografica, fatta di rigidi storyboard, di un’attenta ge-stione degli attori, e di puntigliosi sopralluoghi negli am-bienti che dovevano ospitare le riprese. Nei suoi film, le si-tuazioni tensiogene si mescolano benissimo al mistero eall’angoscia, risolvendosi soltanto nel finale. Va subito det-to che la suspense in Hitchcock assume una valenza psi-cologica del tutto particolare: non si tratta di eventi sor-prendenti che improvvisamente irrompono nella scena. Sia-mo lontani dalle classiche trame del giallo, dove nel cor-so delle rappresentazioni cinematografiche viene offertauna serie di indizi, attraverso i quali lo spettatore può ope-rare un proprio processo di ricostruzione retroattiva deglieventi, ed arrivare a formulare delle ipotesi sull’identità del-l’assassino. Nei film di Hitchcock, invece, lo spettatore co-nosce a fondo la realtà dei fatti diegetici; sa per esempio

chi sia l’assassino, e soprattutto quali rischi stiano correndoi personaggi implicati nella rappresentazione. È proprio nel-l’attesa dell’evento emozionale, ricostruita dallo spettato-re, che si genera la tensione. Lo spettatore è invitato adun duro lavoro: assistere “impotente” ai rischi corsi dal per-sonaggio, al quale magari si vorrebbe tendere una manomettendolo al corrente delle minacce che incalzano su dilui. Quindi non rimane che restare “timorosamente sospeso”nell’attesa che si realizzi il pericolo, caricandosi di nume-rose tensioni emotive. Nel caso della rappresentazione del disagio mentale varivelato innanzitutto un dato quantitativo, ovvero sono si-curamente molti i film al cui interno vengono rappresen-tati personaggi affetti da disturbi psichici. Questo interes-se nasce principalmente dal fatto che i disturbi psichici pos-sono giustificare una serie di comportamenti devianti; ti-pico ne è l’utilizzo in molta letteratura thrilling, come con-dotte criminose ed istinti omicidi. Anche nel genere noirritroviamo spesso rappresentata la malattia mentalecome generatrice di comportamenti violenti. La devianzapsichica diviene in tali rappresentazioni costitutiva della de-vianza criminale, la malattia foriera del male.

La rappresentazione della malattiamentale nelle opere cinematografichedi Alfred HitchcockGiannini A.M., Cordellieri P.

Dipartimento di Psicologia, “Sapienza” Università di Roma

RiassuntoRiassunto - L’indagine ha riguardato un’attenta analisi del con-tenuto delle rappresentazioni cinematografiche di Alfred Hit-chcock. In particolare ci si è soffermati sulle narrazioni, spes-so reiterate, con le quali l’Autore ha rappresentato la malat-tia mentale. Quello che ci interessava era la ricostruzione del-le modalità narrative attraverso le quali il regista risolveva neisuoi racconti l’insorgere della malattia mentale, il suo mani-festarsi, e in alcuni casi la felice remissione. Numerosi sono stati gli esempi raccolti dalle trame dei suoifilm. In particolare si è constatato come i racconti si risolva-no con delle costanti narrative, che abbiamo voluto anche ri-costruire ed esemplificare con numerosi esempi. Tali invarianti,costitutivi delle fabule hitchcockiane, sono arricchiti, in ogniopera cinematografica, da aspetti specifici e contestuali. I ri-sultati vengono discussi anche in riferimento ad alcune rap-presentazioni culturali diffuse all’epoca, alle quali l’Autore hafatto ampio riferimento nel comporre le proprie opere.

Parole chiave: psicologia del cinema, malattia mentale, Hi-thcock.

SummaryAbstract - The research focused on a content analysis ofAlfred Hitchcock’s movies. In particular, we concentratedour attention on narratives, often repeated, where the au-thor represented the mental illness. Our aim was to recon-struct narrative modalities through which the director illu-strated, in his stories, the onset of mental illness, its mani-festation, and in some cases the successful remission. Nu-merous examples have been collected from the plots of hisfilms. In particular, we noted that stories are often illustratedand developed with constant scripts, that we described andshowed with plenty of examples. These invariant constituentof the fable Hitchcock, are enriched in all aspects of filmwork and context specific. Results are discussed also rela-ting to some cultural representations, wide spread in the hi-storical contest of the author, to which the author himselfhas made extensive reference in composing works.

Key words: psychology of the cinema, mental illness, hi-thcock movies.

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I Più avanti si vedrà come il disturbo psichico sia stato uti-lizzato da Hitchcock asservendolo completamente alle ne-cessità drammaturgiche del film. Questo anche a costo dinumerose semplificazioni e velature rispetto alla realtà cli-nica della malattia mentale. È lo stesso Autore a ricono-scere che nei suoi film la qualità documentaristica delleimmagini è subordinata alla capacità di essere racconto:“Certi registi filmano dei pezzi di vita, io filmo pezzi di tor-ta” (Truffaut, 1981; p.283). In realtà gli elementi ideo-nar-rativi più reiterati e manifesti delle sue opere, sono il risultatodi un utilizzo sapiente di significati e racconti culturalmentecondivisi. Modalità ricorrenti attraverso le quali la culturaamericana ed europea, in quegli anni, si rappresentava-no aspettative ed ansie intorno alla malattia mentale; con-vinzioni diffuse riguardo ad alcuni aspetti di funzionamentopsichico, e al tipo di pratiche di intervento e cura, come l’uti-lizzo della psicoanalisi. In particolare gli elementi narrati-vi invarianti, con i quali egli descriveva la psicologia dei suoipersonaggi, rappresentano, come meglio vedremo inseguito, un’interessante commistione di aspetti apparte-nenti alla grande tradizione cattolica anglosassone e le sug-gestioni provenienti dalla diffusione di massa della cultu-ra psicoanalitica. Sostanzialmente, le sue opere continuanoad essere un importante serbatoio di psicologia popola-re.

Metodo

Il nostro obiettivo era quello di verificare la possibilità dirintracciare strutture narrative invarianti nel modo di rap-presentare la malattia mentale. E indagare così anche sul-le forme prototipiche con cui veniva rappresentato il disagiopsichico da Alfred Hitchcock. Per raggiungere tale scoposono state visionate 20 tra le più significative opere del re-gista inglese (vedi filmografia). Per ogni opera si è ricostruitala struttura narrativa (soggetto del film), ovvero una sca-letta dove sono stati riportati in ordine gli eventi rappre-sentati. Nel caso di rappresentazioni inerenti alla malat-tia mentale sono stati anche ordinati all’interno di una gri-glia di lettura i comportamenti tipici dei personaggi affet-ti da disturbi mentali.

Discussione sulle principali osservazioni sviluppate

Un primo aspetto interessante che si può rintracciare nel-la rappresentazione del disagio psichico, è che questo nonè mai descritto come totalmente invalidante. I personag-gi dei suoi film, portatori di un disturbo psichico, sembra-no più impediti in alcuni comportamenti specifici o coar-tati in altri, senza mai coinvolgere aspetti più generali del-la personalità. Più spesso Hitchcock preferisce descrive-re casi di disagi circoscritti, come fobie specifiche, che di-vengono estremamente funzionali al racconto. È il caso diLa donna che visse due volte (1958), dove un poliziotto(James Stewart), nel tentativo di inseguire un criminale finsui tetti della città, rimane appeso ad una grondaia. Un col-lega, nel tentativo di salvarlo, cade nel vuoto e muore al-l’istante. La paura per essere rimasto sospeso in aria, edil sentimento di colpa per aver in qualche modo causatola morte del collega, lo costringono ad una grave fobia peril vuoto, che gli impedisce anche di salire pochi gradini. Ve-dremo più avanti come il trauma ed il sentimento di col-

pa, siano due temi narrativi molto cari ad Hitchcock. An-che nella rappresentazione di disturbi di maggiore gravi-tà, come in Psyco (1960), dove viene raccontata una gra-ve forma di schizofrenia, che porterà il giovane affittaca-mere (Antony Perkins) ad una serie di omicidi, la malat-tia si accompagna ad un’apparente lucidità, capace di in-gannare gli ospiti della pensione. È anche grazie all’al-ternanza tra condotte normali e devianti che Hitchcock co-struisce le tensioni narrative nei suoi film, attraverso unasapiente opera di mascheramento e svelamento. Fobie specifiche o disturbi di natura psicotica costringo-no alcuni personaggi ad una serie di comportamenti, de-terminando l’intrecciarsi degli eventi. Successivamente ilracconto si dipana o con la guarigione dalla malattia men-tale, come nei noti happy ending sentimentali di Io ti sal-verò (1945), o Marnie (1964); diversamente, se la malat-tia mentale ha generato condotte di particolare efferatezza,si giunge alla cattura dell’assassino da parte della polizia,come in Psyco (1960), o Frenzy (1971), con finali altret-tanto rassicuranti, visto che il “male”, anche se non estir-pato, una volta consegnato alla giustizia, viene messo incondizione di non nuocere più.

Composizione narrativa: il trauma e la colpa

Nei film di Hitchcock vi è un’attenzione particolare ai pro-blemi della sceneggiatura. Il conflitto inscenato riguardasempre un personaggio schiacciato da un peso morale.Molto spesso il peso morale che il personaggio albergain sé è proprio quello della colpa. Una colpa a volte “im-meritata”, come nei casi degli innocenti accusati ingiu-stamente dalla polizia, che soltanto nel finale riescono adimostrare la propria innocenza. Altre volte si tratta di unacolpa “meritata”, ovvero il comportamento colpevole è sta-to realmente messo in atto dal personaggio, intenzional-mente o meno. I concetti di colpa, peccato e confessioneci avvicinano alla grande tradizione cattolica, che molto pesoha avuto sulla formazione del giovane Hitchcock. Va ri-cordato che egli, di famiglia cattolica, trascorse la sua gio-vinezza nel Saint Ignatius College di Londra, un collegiotenuto dai Gesuiti. È lo stesso Hitchcock ad attribuire a quelperiodo la formazione delle proprie ossessioni angoscio-se: “Probabilmente è stato durante il periodo passato daiGesuiti che il sentimento della paura si è sviluppato conforza dentro di me. Paura morale, come di essere asso-ciato a tutto ciò che è male” (Truffaut, 1981; p.23). I per-sonaggi da lui raccontati sembrano ospitare una colpa mo-rale, quasi ontologica, data da un’iniziale condizionetraumatica, un peccato originale dal quale liberarsi. Nonè la malinconia o l’assunzione di aspetti depressivi il risultatodi tale condizione ospitata, ma l’incrinarsi di alcune fun-zioni psichiche, che costringono in alcuni casi a compie-re condotte criminali. Nei film dove viene rappresentata la malattia mentale, comeaccennato, il tema della colpa è arricchito dalle influenzedi un’altra grande tradizione culturale del Novecento: quel-la psicoanalitica. È doveroso precisare che probabilmen-te Hitchcock non ha conosciuto in profondità le lezioni diFreud e dei suoi epigoni, né attraverso una lettura ap-profondita, e né tanto meno con un personale percorso te-rapeutico. La sua conoscenza era probabilmente legataalla descrizione che ne faceva la cultura media america-na. L’industria hollywoodiana, in particolare tra gli anni ’50

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e ’60, ha dedicato alla psicoanalisi numerosi lavori (Gab-bard & K. Gabbard, 1999) con rappresentazioni spesso en-tusiastiche, ricche di formulazioni stereotipizzate: come psi-coanalisti investiti di potere oracolare e salvifico. In Hitchcockritroviamo spesso questo slancio entusiastico. Ricordia-mo brevemente che la colpa all’interno della dottrina psi-coanalitica diviene senso di colpa, ovvero vissuto deter-minato dal conflitto tra istanze egoiche e super egoiche;le spinte pulsionali orientate verso la naturale realizzazionesessuale o aggressiva vengono censurate da condizio-namenti normativi interiorizzati, assunti principalmente at-traverso i processi educativi, che Freud aveva radunato sot-to il costrutto di Super Io. In Hitchcock. con una lettura ametà fra tradizione cattolica e psicoanalitica, il conflitto sor-ge da un’originaria condizione traumatica che costringenell’oblio dell’inconscio l’evento doloroso-peccaminoso. Ac-coglie con entusiasmo, e molta semplificazione, le inizia-li convinzioni di Freud riguardo il ruolo di un evento trau-matico nell’evoluzione eziopatogenica della malattia men-tale. Nella prima letteratura psicoanalitica1 il trauma vie-ne inteso come qualsiasi evento capace di dar vita ad unarappresentazione mentale incompatibile con le idee do-minanti dell’Io, che in seguito viene escluso dalla coscienza.Questo gruppo psichico esonerato dalla coscienza, por-ta con sé una carica d’affetto che non trova vie d’uscita,determinando così il formarsi del disturbo psichico. Tale as-sunto fu modificato profondamente dallo stesso Freud, enella psicoanalisi attuale riveste un ruolo indubbiamentemeno significativo2, ma questo non è stato sufficiente adimpedire che nella cultura di massa si diffondesse la con-vinzione di rintracciare in un unico evento originario la cau-sa dello sviluppo in senso patologico dell’attività menta-le. La facilità con cui il pensiero rincorre rigide ed univo-che spiegazioni di tipo causa ed effetto, hanno contribui-to indubbiamente ad accreditare tale convinzione. L’even-to traumatico diviene nella trasposizione cinematograficache ne fa Hitchcock, un elemento doloroso, spesso delit-tuoso, allontanato dalla memoria del personaggio, che, nu-trendo angosce di colpa persecutorie, ne determina unapsiche turbata.Un film dove è possibile rintracciare questo nodo narrati-vo è Io ti salverò (1945), tratto dal romanzo di Francio Bee-din. Almeno nelle intenzioni del regista il film doveva ispi-rarsi proprio alla psicoanalisi, ma che neanche l’interventodello sceneggiatore Ben Hecht, profondo conoscitore del-la psicoanalisi, riuscì a salvare. Sono infatti molte le sto-nature e le licenze rispetto alla realtà psicoanalitica, giàmesse in luce da altri Autori (S. Argentieri, A. Sapori, 1988).Nel film, in un manicomio chiamato Villa Verde si attendel’arrivo del dottor Edwardes (Gregory Peck), che dovrà pren-dere il posto dell’anziano dottor Murchison (Leo G. Carol).Intanto ci viene mostrata la dottoressa Costance (IngridBergman), brillante ma algida studiosa di psicoanalisi (Fig.1), che all’arrivo del dottor Edwardes, tradendo la sua na-tura, se ne innamora pazzamente. Fin qui l’antefatto. Suc-cessivamente, il dottor Edwardes comincia a dare segnievidenti del proprio squilibrio, fino a confessare a Costancedi non essere il vero dottor Edwardes, e, anche se afflit-to da una profonda amnesia, di ritenere di essere l’as-

sassino del dottor Edwardes. Attraverso una terapia psi-coanalitica, non propriamente ortodossa, riesce a fargli tor-nare alla memoria l’episodio accadutogli durante l’infan-zia che lo costringe alla malattia. Durante un gioco ha pro-curato incidentalmente la morte di suo fratello. Il risveglioalla memoria di quell’episodio lo convince che si sia trat-tato di una tragica fatalità, di cui egli non è colpevole. Li-bero finalmente dal senso di colpa che lo aveva afflitto finoad allora, la sua memoria si riaccende di ricordi. Il trauma pertanto, anche se rivelato solo alla fine, è la cau-sa di tutte le turbe psichiche del protagonista, dall’amne-sia, alla sostituzione d’identità, fino alla fobia per gli og-getti bianchi con righe nere che in qualche modo riattivanoil ricordo doloroso relegato in un angolino dell’inconscio.Curioso che gli oggetti fobici siano costituiti da superficibianche con righe nere, capaci di procurare dei turbamentidella coscienza. Solitamente nella realtà clinica l’oggettofobico ha un carattere meno definito, più legato a conte-sti o eventi, piuttosto che a singoli oggetti. Nel film, inve-ce, gli oggetti divengono fonte fobigena per la loro somi-glianza formale con alcuni elementi della scena luttuosavissuta nell’infanzia del falso dottor Edwardes. La super-ficie bianca ricorda la neve, mentre le righe nere evoca-no i solchi impressi dallo scivolare. Come se la rappre-sentazione angosciosa relegata nell’inconscio avesse na-tura primariamente visiva, e potesse essere evocata sem-plicemente dagli oggetti per “similarità percettiva”. Siamolontani da quei sintomi fobici elaborati attraverso una com-plessa procedura di costruzione e sostituzione simbolica.Nella pratica psicoanalitica si osserva spesso come la fon-te fobigena si leghi ad una rappresentazione interna delpaziente per mezzo di particolari strutture associative, chepossono coinvolgere oltre a elementi formali, anche par-ticolari direttrici linguistiche e di significato (Carli, 1987).L’intento di Hitchcock è anche quello di utilizzare gli oggettifobici come delle “metonimie”, ovvero in senso narrativo,delle piccole tracce che incuriosiscano lo spettatore, an-nunciandogli qualcosa che soltanto nel finale si sarebberivelato.Interessante è anche la soluzione narrativa adottata perrisolvere la patologia del personaggio interpretato da Pecke chiudere con un happy end. La dottoressa Costance loconvince a scendere con gli sci dalla montagna dove è sta-to ucciso il vero dottor Edwardes, ripercorrendo l’eventodelittuoso. Il risultato è quello sperato. Lo shock genera-to dal rivivere la condizione traumatica permette il rie-mergere della rappresentazione angosciosa. In questo casoci troviamo di fronte ad una vera e propria abreazione, conun brano della memoria, precedentemente relegato nel-l’inconscio, eruttato violentemente, che trova posto nellacoscienza. Fortunatamente, giunti in prossimità di un pre-cipizio, i ricordi riemergono nel falso dottor Edwardes, li-berandolo finalmente dei propri fantasmi del passato. Il pri-mo gesto che compie una volta libero è quello di frenarela corsa della Bergman con un abbraccio virile che la sal-va dal precipitare (Fig. 2). In sostanza la guarigione del pro-tagonista è ottenuta dalla possibilità di confessare le pro-prie colpe “immeritate”, attraverso due cose: l’amore ro-mantico e incondizionato della Bergman, ed il potere in-

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1 Freud S, (1895) “Studien über Hysterie”, Deuticke, Leipzig-Wien, (tr.it. “Studi sull’isteria”, Roma, Newton Compton Editori s.r.l., 1992).2 Cfr. con Grasso M., Lombardo G. P., Pinkus L. (1985) Psicologia clinica. Roma, La Nuova Italia Scientifica.

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vestigativo della psicoanalisi, rappresentato come una pro-cedura di tipo magico-religiosa.Stesso procedimento narrativo nel rappresentare la ma-lattia mentale, fatto di trauma, colpa ed abreazione-con-fessione finale è reperibile in Marnie (1964): film tratto dalromanzo di Winston Grahan. Questa volta è una donna asoffrire di disturbi mentali. Marnie (Grace Kelly) è una la-dra che si fa assumere come segretaria contabile per poiscappare con dei soldi della società. Ogni volta è costrettaa cambiare identità camuffando il suo aspetto. Hichcockci dà delle indicazioni precise riguardo la cleptomania diMarnie. Dopo l’ennesimo furto ci fa vedere come ella im-pieghi i soldi nel tentativo di conquistare l’affetto della ma-dre, attraverso numerosi regali. Marnie nel frattempo hadato prova della propria psiche turbata anche da una for-te fobia per il colore rosso e da un incubo ricorrente chela perseguita. Mark Rutland (Sean Connery), marito di Mar-nie, attraverso delle letture psicoanalitiche si convince chela causa del disturbo di sua moglie risieda in un evento trau-matico del passato. Dopo una crisi violenta, Mark la tra-scina a Baltimora dalla madre per conoscere il segreto del-

la sua malattia. L’accoglienza della madre non è certo po-sitiva, ma da una sua violenta reazione Marnie ricorda tut-to attraverso una profonda abreazione. Siamo di nuovo difronte ad eventi attuali che per similarità riescono ad evo-care eventi passati. Quando aveva cinque anni, per di-fendere la madre – allora una prostituta – da un marina-io ubriaco, lo uccise a colpi di attizzatoio da caminetto. An-che qui, come in Io ti salverò, il riemergere dell’evento do-loroso e segreto permette la guarigione dalla malattia. Inquesto caso Hichcock rende l’abreazione non solo un pro-cesso privato del pensiero, attraverso la classica tecnicanarrativa del fuori sincro, ma un atto manifesto, forse ri-cercato per coinvolgere di più il pubblico e rendere più chia-ro il processo, facendo parlare Marnie con la voce da bam-bina, mentre è impegnata a rievocare i ricordi dolorosi (Fig.3).Nei film dove il trauma viene presentato come la causa di-retta della malattia, la sua rievocazione comporta semprel’estinzione della malattia, ma soprattutto la riabilitazionedel personaggio, finalmente libero dal peso morale dellacolpa, e di nuovo padrone di sé.Trauma e colpa, con un procedimento narrativo legger-mente diverso, li ritroviamo anche nel film Il ladro (1957).Opera, forse tra le più psicologiche di Hitchcock, intera-mente dedicata alla colpa. Nella storia, un musicista (Hen-ry Fonda) viene arrestato con l’accusa di essere il colpe-vole di una rapina. Inizia un lungo e doloroso processo connumerose circostanze che sembrano mostrare la sua col-pevolezza. Sua moglie (Vera Miles) per il dolore impazziscee finisce in manicomio. Alla fine, per fortunate circostan-ze il vero colpevole viene catturato ed il musicista tornain libertà.Qui ritroviamo uno dei temi narrativi più cari ad Hichcock,quello dell’innocente accusato ingiustamente. Spesso sol-levato dalle immeritate accuse da un brillante e tenace po-liziotto che indaga oltre le apparenze; o, come in questocaso, da un destino che in qualche modo riequilibra il giu-sto e l’ingiusto. È lo stesso Hichock a fornirci una spie-gazione sull’origine della sua ossessione, raccontando nel-la già citata intervista rilasciata a Truffaut un episodio ac-cadutogli all’età di tre o quattro anni, quando suo padre,uomo severo ed irritabile – così almeno ce lo descrive Hit-chcock – lo costrinse ad andare al commissariato di po-

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Figura 1 - Da Io ti salverò (1940). La dottoressa Costance (I. Ber-gman) nel suo studio.

Figura 3 - Da Marnie (1964). Marnie (G. Kelly) mentre rievoca ilricordo traumatico.

Figura 2 - Da Io ti salverò (1940). Il falso dott. Edwardes abbracciala dottoressa Costance (I. Bergman) dopo aver ricordato il pro-prio passato.

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lizia con una lettera. Una volta letta la lettera il commis-sario lo costrinse a restare per una decina di minuti in unacella, esaudendo il desiderio del padre che desiderava im-partire al piccolo Hitchcock un pena esemplare. Non menotraumatiche devono essere state le punizioni, spesso in-giuste, subite durante la sua permanenza all’istituto tenutodai gesuiti che lasciamo raccontare allo stesso Hichcock:“I Gesuiti adoperavano la sferza, e credo che la usino an-cora oggi. Era di gomma molto dura. Non la sommini-stravano così a caso; era una sentenza che eseguivano.Ti dicevano di passare da un prete alla fine della giorna-ta. Questo prete scriveva in modo solenne il tuo nome sulregistro insieme alle punizioni che dovevi subire e per tut-ta la giornata vivevi in questa attesa” (Truffaut, 1981; pag.24). Le spiegazioni che il regista stesso ci fornisce sem-brano fin troppo plausibili, e vicine al rapporto sequenzialetra trauma, colpa e malattia, rappresentato tante volte neisuoi film. Ne Il ladro non siamo di fronte ad un singolo evento trau-matico. La malattia ha un corso più progressivo, con unquadro sindromico per molti versi simile a quello della schi-zofrenia. Sempre più evidenti divengono il ritiro sociale, l’ap-piattimento affettivo con condizione di anedonia, e ricchecostruzioni deliranti. Soprattutto i suoi eloqui si arricchisconoa tratti di deliri paranoidei, dove interpreta le sfortunate coin-cidenze che sembrano incastrare suo marito come un pro-getto, attuato non si sa da chi, per distruggerli.Trascorsi due anni dal ritorno in libertà del marito scagionatodalla colpa, la donna esce dal manicomio sollevata dallasua malattia. La guarigione però è raccontata da Hitchcockda una semplice scritta in sovrimpressione, che chiude ilfilm in un doveroso lieto fine.

Dipendenza affettiva come generatrice di disturbi sessuali e condotte aggressive.

In alcuni film di Hitchcock la struttura narrativa legata aduna condizione di trauma e conseguente colpa si complica.Come per Psyco (1960), film tra i più amati dal regista in-glese. Nel racconto, una giovane donna, Marion Crane (Ja-net Leigh), fugge in auto dopo aver rubato quarantamiladollari al suo datore di lavoro. Costretta a fermarsi di not-te per la pioggia decide di riposare in un motel. Il giova-ne proprietario, Norman Bates ( Anthony Perkins), le pre-para qualcosa da mangiare. A questo punto il film ci re-gala delle indicazioni precise riguardo la personalità di Nor-man. È timido, impacciato, sessofobico, preferisce con-sumare la cena con Marion nel suo ufficio piuttosto chenella sua camera. Trova occasione di confessare a Marionche vive solo con sua madre, una donna che adora an-che se di carattere difficile. La condizione di dipendenzacostrittiva in cui vive il giovane Norman ci è raccontata di-rettamente dalle sue parole: “Sapete cosa penso, che ognu-no di noi è stretto nella propria trappola, avvinghiato, e nes-suno riesce mai a liberarsene; e mordiamo, e graffiamo,solo l’aria, solo il nostro vicino, e con tutti i nostri sforzi nonci spostiamo neanche di un millimetro”. Terminata la cena,Marion torna nella sua stanza con il desiderio di farsi unadoccia. Norman ne approfitta per spiarla da un buco nelmuro, mentre indossa la vestaglia. Comprendiamo che lesue inibizioni sessuali lo spingono a surrogare un com-portamento sessuale maturo con un appagamento voye-ristico.La sequenza successiva è una delle più famose nel-

la storia del cinema. Marion fa la doccia (Fig. 4), quandoimprovvisamente irrompe la vecchia madre di Norman ela uccide sferrando numerose coltellate. Hitchcock ha vo-luto profanare uno dei “tempi” moderni del piacere. Unospazio interamente dedicato alla nostra cura personale,in cui, in assoluta intimità, si addormentano le tensioni eci si ricarica: la doccia.

La scomparsa di Marion allarma sua sorella (Vera Miles)e il suo compagno (John Gavin), i quali investigando, ar-rivano nel motel dove è avvenuto l’omicidio. La scopertaè atroce. Norman era contemporaneamente se stesso ela madre defunta, dentro di sé ospitava entrambe le per-sonalità. Siamo di fronte ad un vero e proprio disturbo mul-tiplo di personalità.Alla fine del film lo psichiatra, dottor Richmond (Simon Oa-kland), con molta saccenteria, spiega alla polizia, e di con-seguenza a noi spettatori, l’eziologia della malattia. Nor-man viveva con la madre possessiva e dominante, che,soprattutto dopo la morte di suo marito, si è legata mol-tissimo a lui. Questo però non le ha impedito di avere unastoria con un uomo. Oltraggio che ovviamente Norman nonha potuto accettare. Di conseguenza ha avvelenato en-trambi gli amanti. A questo punto diviene chiaro il riferimentoa quel complesso psichico fondato sulla dipendenza af-fettiva, designata da Freud come complesso di Edipo. Con-tinua poi la sua ricostruzione sostenendo che la colpa peraver provocato la morte della madre lo ha costretto a pren-derne il posto. Ad indossarne gli abiti, la parrucca, e adimitarne la voce. Sia Marion che Abogart sono stati ucci-si da Norman, meglio sarebbe dire dalla madre ospitatain lui.Il tema dell’identità instabile è molto caro ad Hitchcock chespesso costruisce personaggi che in qualche modo la smar-riscono, la camuffano, se ne liberano, o a volte, come inquesto caso, si appropriano di un’altra. Il camuffamentodell’identità nasce solitamente come atto teso a nascon-dere verità profonde, aspetti segreti della propria perso-nalità. Come abbiamo visto in Marnie, con Grace Kelly co-stretta a cambiare il proprio aspetto e le proprie genera-lità, pur di poter realizzare le sue compulsioni. Diverso èil caso dell’appropriazione di un’identità, come atto di ne-

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Figura 4 - Da Psyco (1960). Marion nella doccia.

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gazione dell’evento tragico. In Io ti salverò, abbiamo vistocome Peck si sostituisca al dottor Edwardes per negarnela morte. È un modo per escludere dalla coscienza unaporzione di realtà estremamente dolorosa e colpevolizzante.In Psyco però vi è qualcosa di diverso che probabilmen-te segna il degenerare in senso psicotico della malattia.Norman non assume semplicemente le sembianze dellamadre sostituendosi a lei, ma ne ospita dentro di sé le istan-ze più restrittive e castranti, mantenendo viva la propriaoriginaria personalità, attraverso una rigida scissione. Sirealizza pertanto dentro di lui un profondo conflitto tra quel-le che sono le sue genuine spinte libidiche e le barrierecensorie introiettate. Un conflitto raccontato da Hitchococksoprattutto dal gioco delle due diverse voci assunte da Nor-man, la sua personale e quella della madre, sempre in litetra di loro.In sostanza in Psyco, il regista inglese, introduce un ele-mento narrativo in più nella rappresentazione della malattiamentale. Non vi è soltanto il trauma dovuto all’omicidio ela colpa che ne è seguita, ma è soprattutto la dipenden-za affettiva dalla madre ad aver determinato l’evoluzionedella malattia in Norman. Ne ha in particolare impedito lamaturazione sessuale, l’evolvere della sessualità verso unapersonalità adulta. Il comportamento voyeuristico che gliabbiamo visto assumere all’arrivo di Marion e proprio laconseguenza di questo fallimento evolutivo. Sembra qua-si inevitabile che una bellezza così seducente come quel-la di Janet Leigh possa aver turbato una psicologia cosìfragile ed immatura, incapace di gestire un interesse ero-tico.La dipendenza affettiva in chiave psicoanalitica consistesoprattutto nella fissità delle rappresentazioni di sé e del-le proprie figure genitoriali; non si vuole ostinatamente rie-laborare alcuni oggetti interni perché vissuti come mi-naccianti o viceversa troppo gratificanti. In Psyco questaidea di voler mantenere immodificate alcune rappresen-tazioni interne è figurata dall’imbalsamazione. Norman,nella sua visione delirante, arriva ad imbalsamare il ca-davere di sua madre pur di mantenere in vita la sua im-magine. L’ostinazione di voler a tutti i costi conservare den-tro di sé un’immagine alla quale non si vuol rinunciare laritroviamo anche in La donna che visse due volte (1958),film già citato. Qui vi è una bella metafora della dipendenzaaffettiva. Nel racconto i turbamenti del poliziotto John Scot-tie (James Stewart), si legano alla sua ferma volontà dinon rinunciare ad un’immagine di donna, rappresentatadalla Novack. La sordità di Scottie ad altri richiami eroti-ci è dimostrata dalle insistenti avance della sua amica Mid-ge (Barbara Bel Geddes), di cui egli non tiene assoluta-mente conto. Non è un caso che la sua guarigione si ac-compagni alla scomparsa, per la seconda volta, della stes-sa immagine di donna. Come a voler significare la ne-cessità per Scottie di rinunciare a inseguire i propri fan-tasmi. La dipendenza affettiva come abbiamo visto in Psyco minafortemente la virilità dell’uomo e di conseguenza la sua sa-lute mentale. In Frenzy (1971), film ambientato a Londra,un maniaco sessuale (Barry Foster) strangola le donne conuna cravatta. Un uomo, di nome Bob Rusk (John Finch),viene ingiustamente incolpato e processato. Anche in que-sto caso un abile poliziotto riuscirà a ristabilire la verità.La dipendenza affettiva del maniaco omicida ci viene of-ferta da poche ma significative sequenze, sufficienti a sug-gerirci che la causa dei suoi atti violenti risiedano nel rap-

porto morboso con sua madre. A differenza di Norman, l’as-sassino di Frenzy non è afflitto da temi deliranti; appa-rentemente è persona sana e socialmente ben integrata,è addirittura a capo di una società che commercia frutta.Siamo lontani dagli effetti clamorosi rappresentati dai di-sturbi dissociativi di Psyco, anche perché il cinema neglianni ’70 ha smorzato l’interesse verso i clamori dell’in-conscio e dei turbamenti dell’attività psichica, ed anche Hit-chcock sembra concedere meno spazio alle suggestionipsicoanalitiche. Quando vediamo l’assassino impegnatonel suo primo omicidio, ci rendiamo conto di come sia per-sona arrogante con le donne, privo di freni inibitori (Fig.5). Non è un caso che l’omicidio avvenga con la cravat-ta, simbolo della virilità maschile. L’uomo sembra incapacedi arginare le proprie passioni. Una volta consumata la vio-lenza sessuale, appare come destarsi dal piacere e sca-ricare sulla donna la propria rabbia omicida, accusata qua-si di essere lei la causa dei propri turbamenti. Come in Psy-co la donna paga l’essere l’involontaria evocatrice di undesiderio schiacciante.

La morbosa dipendenza affettiva, sembra suggerirci Hit-chcock, può pregiudicare la nostra salute psichica, o at-traverso la creazione di condizioni costrittive, che inibisconoqualsiasi manifestazione di interesse sessuale, o viceversapuò renderci incapaci di contenere e procrastinare le ri-chieste pulsionali, servendo l’arroganza e la violenza. Inogni caso genera una profonda immaturità, che precludela possibilità di incontrare affettuosamente e in profondi-tà l’altra. Rispetto ai comportamenti devianti innescati da una con-dizione traumatica, la dipendenza affettiva genera solita-mente una maggiore efferatezza nelle condotte crimina-li, e non vi è occasione di riabilitazione. Il personaggio èsegnato da una colpa inalienabile.

Conclusioni

Ricostruendo i temi narrativi ricorrenti, utilizzati da AlfredHitchcock nel rappresentare la malattia mentale, ne ab-

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Figura 5 - Da Frenzy (1978). L’assassino uccide la sua vittima conla cravatta dopo averla violentata.

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biamo esemplificato gli script impiegati in una riassunti-va rappresentazione schematica (Fig. 6).Abbiamo in particolare verificato come i personaggi pro-tagonisti si muovano ospitando in sé un peso morale, unacolpa. Determinato in particolare da una condizione trau-matica accorsa incidentalmente, dimenticata, e posta nel-l’oblio. Il percorso della narrazione assume significato so-prattutto nel tentativo tortuoso di liberare il personaggio datale condizione opprimente. Questo si può realizzare at-traverso la presa di coscienza, una restituzione alla con-sapevolezza dell’evento drammatico. Alla fine si arriva adun ricordo che violentemente torna alla mente, attraver-so spettacolari forme di abreazioni, che permettono unaricostruzione retroattiva capace di ricomporre l’unità psi-chica. Restituita coerenza interna e messe a tacere que-ste tracce inconsce, anche la malattia scompare. Comemostrato, si tratta sostanzialmente di rappresentazioni sem-plificate e spettacolari di modelli di funzionamento men-tale provenienti dalla diffusione culturale della psicoana-lisi. In particolare, negli anni dal ’40 al ’60, vi era un con-senso condiviso, ed un po’ facilone, da parte dell’industria

cinematografica, verso la pratica psicoanalitica. Attraevanole bizzarrie della mente, il potere attribuito alle elaborazioniinconsce, le funzioni oracolari riconosciute spesso agli psi-coanalisti. In Hitchcock tutto assume un carattere particolare. Abbiamodocumentato come queste suggestioni diffuse si sovrap-pongono alla sua rigida formazione cattolica, ed ecco com-parire affascinanti forme di commistioni narrative dove lacondizione traumatica diviene colpa, peccato, le forme diabreazione, confessione ed espiazione, e la guarigione re-missione dalla colpa.Altro tema rintracciato caro ad Hitchcock è quello della di-pendenza affettiva, vista come condizione castrante ed in-validante. Il personaggio affetto da legami affiliativi mor-bosi è impedito nella maturazione sessuale, e costretto allachiusura della relazione. In alcuni casi, dove le forze co-strittive sono particolarmente opprimenti, si può giunge-re a comportamenti criminali attuati nel tentativo di met-tere a tacere conflitti interni (cfr. Psyco, 1960). Esempiodi madre ingombrante e possessiva, solo accennato, lo ri-troviamo riproposto anche in Frenzy (1971), dove la vio-

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Figura 6 - Illustrazione degli script utilizzati da Hitchcock nel rappresentare la malattia mentale.

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lenza sessuale si manifesta come mancanza di inibizio-ni e desiderio di porsi sempre in una condizione di pote-re-controllo. Anche il rimanere legati ad un’immagine di don-na che non si vuole abbandonare, può essere il segno evi-dente di una fissazione affettiva (cfr. La donna che vissedue volte, 1958).I film del regista inglese sono stati particolarmente ama-ti dal grande pubblico, e continuano ancora oggi ad esserevisti e ricercati, dimostrando un interesse non ancora so-pito. Segno evidente che le costruzioni narrative, compresequelle riguardanti la malattia mentale, continuano ad ap-parire verosimili, ancora vicine a significati culturalmentecondivisi e negoziati. Il cinema è spesso calderone dovefiniscono per animarsi aspettative, convinzioni, desideri epiù generali rappresentazioni sociali. Soprattutto se il re-gista è Sir Alfred Hitchcock, uno degli autori più rappre-sentativi ed amati nella storia del cinema.

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