La questione della lingua nella letteratura italiana da Dante a Manzoni 1. Introduzione.

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La questione della lingua nella letteratura italiana da Dante a Manzoni 1. Introduzione

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La questione della lingua

nella letteratura italiana

da Dante a Manzoni1. Introduzione

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Il programma Francesco Petrarca:

All’Italia un’introduzione generale Dante e il Trecento il Quattrocento Bembo e il Cinquecento il Seicento il Settecento l’Ottocento e Manzoni le campagne

d’alfabetizzazione le lingue del dialetto

tagliate

la rinascita del regionalismo leghista

la Lega Autonomista Lombarda: Lombardi! Non importa che età avete, che lavoro fate, di che tendenza politica siete. Quello che importa è che siete – e che siamo – tutti lombardi.

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L’unificazione politica del 1870 il Risorgimento: una lingua, una cultura ed una nazione

la triste realtà pluridialettale creare degli Italiani degni del programma politico-culturale le attitudini campanilistiche dell’aristocrazia veneta il cosmopolitismo qualunquista dell’affarismo borghese l’ignoranza vergognosa dei terroni meridionali Dio v’ha fatti ventidue milioni, con una stessa fisionomia

per conoscervi, con una stessa lingua madre di tutti i vostri dialetti per intendervi, con una stessa indole per associarvi e lavorare fraternamente al vostro miglioramento in unità di nazione; e voi vi state divisi, separati da leggi, da dogane, da barriere, da soldatesche, mal noti gli uni agli altri, anzi spesso ostili tra voi, ubbidienti a vecchie e stolte rivalità, e vi dite Romagnuoli, Genovesi, Piemontesi, Napolitani, quando non dovreste dirvi ed essere che ‚Italiani’.

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L’Ottocento Giacomo Leopardi nello Zibaldone dei pensieri: [...] crescendo le cose, la lingua sempre si

accresce e vegeta. Ma appunto per la stessa ragione, arrestandosi e mancando la vita, si ferma e impoverisce e quasi muore la lingua, com’è avvenuto infatti dal 600 in qua agli spagnuoli ed a noi, le cui lingue di ricchissime e potentissime che furono, si sono andate e si vanno di mano in mano continuatamente scemando, restringendo e impoverendo, e sempre più si impoveriscono e perdono il loro esser proprio, perchè le altrui che esse acquistano, molto incapaci d’altronde di compensare le loro perdite, non sono di un genere che si convenga alla natura loro.

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Una bella utopia Dante Alighieri il primo vate Manzoni l’incontestato ‚pater’

della nuova patria letteraria la letteratura comune un sistema, un uso,

delle consuetudini la tradizione letteraria emulare, superare, negare o

parodiare la responsabilità predestinata i nemici prescelti: il latino, gli

stranieri e i dialetti regionali

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Lingua nazionale / dialetto regionale Giovanni Gherardini (1778-1861), lessicografo e

librettista La lingua che noi adoperiamo, si ripeta ancora una volta,

è la comune, è la lingua scritta, la lingua che si eterna ne’ libri, quella che più e più sempre si fa ricca tra per novelli acquisti, e conservando e mettendo a guadagno, il più ch’ella possa, gli antichi; laddove i dialetti si mantengono sempre in una medesima condizione di mediocrità, perché sempre spensierati, sempre sventati, non vivono, per un modo di parlare, che dì per dì, e trascurano sì fattamente il loro patrimonio, che a ogni poco sono necessitati ad accattar nuove voci per aver trasandate e dimenticate e lasciate perir quelle ricevute a mano a mano in retaggio. I monumenti che la lingua comune, come noi la intendiamo, erige a sé stessa, sono di marmo e di bronzo; quelli de’ dialetti sono di tela e di cartone.

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La qualità culturale i monumenti letterari nella lingua comune la lingua = fattore coesivo culturale il dialetto = strumento dell’oppressione dopo il 1870, il disprezzo del dialetto vittima della romanità fascista e

dell’internazionalismo comunista Guido Bonsaver: Censorship and Literature

in Fascist Italy (Toronto 2007): Indeed, in the summer of 1932 Mussolini launched his famous policy declaring all literature in dialect unworthy of Fascist Italy and therefore deserving of marginalization.

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Il Novecento un paese sempre dialettofono da uno stato agricolo ad una nazione

industriale le migrazioni interne la lingua urbana e comune un centro politico-amministrativo (Roma) un’agglomerazione economico-intellettuale

(Bologna-Milano-Torino) i linguaggi settoriali e speciali (tecnico,

sportivo, pubblicitario ecc.) la comunicazione di massa la spartizione regionale e orizzontale → una

stratificazione verticale

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Pier Paolo Pasolini (1922-76) potere amministrativo, ideologia affarista e messaggi

mediali Nuove questioni linguistiche (1964) La lingua italiana è dunque la lingua della borghesia che

per ragioni storiche determinate non ha saputo identificarsi con la nazione, ma è rimasta classe sociale.

La completa industrializzazione dell’Italia del Nord, a livello ormai chiaramente europeo, e il tipo di rapporti di tale industrializzazione col Mezzogiorno, ha creato una classe sociale realmente egemonica, e come realmente unificatrice della nostra società. Voglio dire che mentre la grande e piccola borghesia di tipo paleoindustriale e commerciale non è mai riuscita a identificare se stessa con la intera società italiana, e ha fatto semplicemente dell’italiano letterario la propria lingua di classe imponendolo dall’alto, la nascente tecnocrazia del Nord si identifica egemonicamente con l’intera nazione, ed elabora quindi un nuovo tipo di cultura e di lingua effettivamente nazionale.

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L’egemonia di un’elite Pasolini: Perciò, in qualche modo, con qualche

titubanza, e non senza emozione, mi sento autorizzato ad annunciare, che è nato l’italiano come lingua nazionale.

la comunicazione di massa uno stile medio-basso il Gruppo 63 p.es. il linguaggio unificato dell’Italia

industrializzata una specie di antilingua evasiva Edoardo Sanguineti o Alberto Arbasino p.es. una rinascita dei mezzi espressivi del

Decameron

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Il punto di partenza il latino e i linguaggi vernacolari delle diverse

regioni la lingua dell’intelletto contro la voce del

sentimento la forma grammaticalmente fissata contro il

processo creativo la lingua delle autorità contro il linguaggio

naturale un ‚hic et nunc’ dialettale – un ‚semper et ubique’

latino una funzionalità espressiva il livello linguistico le circostanze della comunicazione la materia il supporto del messaggio

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La stratificazione funzionale

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La situazione italiana più drammatica di quella francese o tedesca un romanzo cortese o della poesia lirica in

provenzale oppure lorreno il relativo ritardo dell’italiano il provenzale, il francese o lo spagnolo l’italiano nasce adulto cambierà meno delle altre lingue romanze la prole degenerata di un passato prestigioso i dialetti deformi e goffi la spartizione dialettale = la situazione

politica

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La lotta tra i linguaggi vernacolari Antonio Cesari: La sola Toscana, non so se dalla postura sua

montuosa e sterile (anche in questo simile all’Attica), che a’ barbari concedeva o rara, o breve dimora, oppure da altro, fu veramente privilegiata: che, laddove gli altri dialetti tutti sentono del bastardume, di che son nati, rugginosi, goffi, sregolati, smozzicati, deformi, il Toscano nacque per così dire bello e formato, soave, regolato, gentile; con modi di dire leggiadri, vivaci, espressivi; cioè assai somiglianti alle fattezze della madre, quando era bella.

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La base della questione della lingua le signorie regionali la corte principesca la concentrazione delle elite regionali l’attrazione sistematica di intellettuali ed artisti un volgare che possa assumere certe funzioni

del latino la ‚lingua cortigiana’ un volgare interregionale una normalizzazione moderata la risposta dell’Italia nord-orientale alle pretese

toscane Teofilo Folengo: lombarduzzo mangiarape

contro tosco chiachiarone

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La futura lingua nazionale

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La posizione del toscano nel campo letterario un proprio territorio

naturale la concorrenza tra volgare

letterario e latino oppureprovenzale

la concorrenza tra linguacortigiana oppure fiorentino e latino

il confronto tra il fiorentino illustre delle Tre Corone e il fiorentino contemporaneo e vivo

una gara pluridimensionale

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La lunga strada la progressiva ed ampia divulgazione la normalizzazione grammaticale e lessicale ideali retorici e culturali L’unità della lingua, nel colmo della dilatazione

nazionale del fiorentino antico e letterario, si raggiungeva fra i gruppi dotti, in ambienti sollecitati da vigorosi interessi letterari e culturali, che la lingua assumevano senza ulteriori riferimenti al linguaggio vivo dopo il definitivo tramonto del primato culturale fiorentino.

la lingua ‚bella’ o ‚perfetta’ il latino, unica ‚lingua grammatica’

incorruttibile e pura Lorenzo Valla

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All’inizio del Cinquecento Pietro Bembo il fiorentino del

Trecento Petrarca e Boccaccio il petrarchismo Giangiorgio Trissino una lingua letteraria Wilhelm von Humboldt: un ‚ergon’ (έργον =

opera) una ‚energeia’

(ενέργεια = facoltà creatrice)

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L’affermazione definitiva del volgare gli ultimi umanisti la cultura neolatina E quando il volgare, assunto e riproposto

nell’ambito della cultura come strumento idoneo all’espressione letteraria, anche più alta, forte della sua antica tradizione pienamente riconsiderata e rivalutata, si impose ai dotti umanisti educati nel culto della perfetta classicità e attesi all’impiego del volgare nel quadro della loro cultura classicista, la ulteriore difesa del latino, sul piano della letteratura, non poté risultare che vana.

la definizione lessicale, la regolamentazione grammaticale e l’unificazione dell’ortografia

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L’emulazione della tradizione la nuova arte nobile della stampa due concezioni: la lingua soltanto come letteratura gli usi generali e pratici di comunicazione la conversione del lombardo e cortigiano

Ariosto alla tesi bembiana la terza edizione dell’Orlando furioso (1532) il toscano del Trecento → le posizioni delle

Accademie l’opzione italianistica del Tasso 1585 la lingua come strumento sociale di

comunicazione la lingua come realtà letteraria ed artistica

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Idioma culturale e espressione dialettale Il complesso dei problemi intorno al volgare,

alla lingua grammaticale nuova che diventa lingua nazionale e comune d’Italia, che si pongono e si discutono con appassionato e vivace calore per tutti i secoli nel corso della nostra storia letteraria e grammaticale [...] (natura della lingua: fiorentina o italiana; norma del suo impiego: lingua scritta e lingua parlata; dilatabilità dei suoi confini: lingua antica e lingua moderna; adattabilità ai tempi nuovi: lingua morta e lingua viva; funzionalità in circostanze storiche rinnovate: lingua come letteratura o lingua come strumento sociale; ecc.) costituisce la cosiddetta questione della lingua le cui ragioni hanno, dunque, profonde e salde radici storiche.

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Il Seicento l’egemonia del toscano letterario Tasso, Marino e successori la loro opposizione alla tirannia della Crusca due tesi principali: 1) l’italiano = la corruzione del latino + i dialetti

barbarici 2) due lingue: letteraria e volgare, grammaticale e

plebea Carlo Tenca: L’uso, lo ripetiamo, è sovrano, e niuno fra

gli scrittori potrebbe violarlo, sotto pena di non essere ascoltato. La quistione non è di trovare una lingua che possa diventar generale, ma bensì di trovare quella parte di lingua che lo è già nell’uso comune dei vari popoli italiani; non è di far accettare certi vocaboli, ma di scoprir quelli che sono già accettati dalla maggioranza della nazione.

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L’anima e l’indole di una nazione l’opera del Galileo la naturalezza, semplicità e chiarezza del

nuovo linguaggio Francesco Algarotti: Saggio sopra la

necessità di scrivere nella propria lingua, 1750

il modello francese: la chiarezza nella costruzione e la purezza nelle regole

ogni lingua ha un suo genio la natura, il clima, la qualità degli studi, la

grandezza dell’impero

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Il Settecento i difensori della purezza della tradizione i sostenitori della necessità di vocaboli stranieri Melchiorre Cesarotti: Corso ragionato di

letteratura greca (1781) La vita dunque d’una lingua corrisponde alla

vita di una nazione e il dominio di essa dipende da quello del popolo a cui s’appartiene.

il Risorgimento: Soltanto una nazione libera può esprimersi in una lingua degna della sua tradizione, e perisce la lingua quando la nazione viene soggiogata da potenze straniere.

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Carlo Cattaneo Ciò che manca all’Italia, e per colpa di chi troppo

sa, non di chi sa poco, è il modo sicuro e fermo e concorde ed uno di valersi della lingua. Siamo per questa parte ancora ai tempi barbari, quando ogni baroncello batteva la sua moneta, e tutti gareggiavano a batterla più bassa e più falsa. Questi non vorrebbe scrivere se non con parole già morte; quegli cerca nei trivii le parole non nate. Per altri l’italiano non ha parole che bastino agli alti pensieri, e ripete con desinenza italiana le voci francesi, e prodigalizza delle frasi per regolarizzare la marcia della civilizzazione e la moralizzazione delle classi operaie.

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Carlo Tenca una specie di ossessione nazionale Da Dante in poi non v’è intelletto eminente in

Italia che non abbia pensato alla quistione della lingua. Son sei secoli ormai da ch’ella s’è svolta dai dialetti volgari, e la diuturna fatica degli scrittori a fissarne i canoni, a darle uniformità di modi e di pronuncia, non ha prodotto alcun durevole consenso di opinioni. Quella fatalità, che pesò sulla vita politica della nazione, impedì pure la compiuta formazione d’una lingua comune, nella quale riposasse, a così dire, l’intelligenza nazionale.

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L’unificazione politica del paese il Triennio della Repubblica Cisalpina il congresso di Vienna Quando pensiamo alle parole ed all’inchiostro

spesi con sì poco frutto in questa discussione, ci sentiamo quasi inclinati a diffidare del suo scioglimento. Ci pare di essere condannati, come Sisifo, a rigirare la medesima pietra, senza speranza di venir a capo dell’impresa.

le divergenze interne creata l’Italia bisogna creare gli Italiani analfabetismo dei contadini isolamento dei letterati estraniazione tra classe dirigente e

intellettuali

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La Germania Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) creare un’identità culturale e una vera lingua

nazionale: Se però è chiaro che l’Italia non abbia l’unità di

lingua perché le son mancate le condizioni fra le quali s’ebbe altrove, e insieme è chiaro che il non averla debba molto dolere agl’italiani e sia sorgente leggitima della disputa eterna, si deve ancor chiedere, perché veramente sieno all’Italia mancate le condizioni che altrove condussero alla unità intellettuale onde si attinse alla unità di favella; o in altri termini, semplificata la questione, perché l’Italia non raggiungesse quell’unità di pensiero, a cui la Germania, malgrado gli ostacoli di cui più sopra si toccava, è pure pervenuta.