La poesia nascosta anno scolastico 2009/2010 I.S. Alfonso Maria deLiguori Acerra II lezione.

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“La poesia nascosta” anno scolastico 2009/2010 I.S. “Alfonso Maria de’Liguori” Acerra II lezione

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“La poesia nascosta”

anno scolastico 2009/2010I.S. “Alfonso Maria de’Liguori”

Acerra

II lezione

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Nell’officina del poeta

Il versoIl verso non è altro che una riga di una

poesia, la sua unità ritmica minima di lunghezza variabile. È formato da sillabe, che nella tradizione della letteratura italiana possono variare da due a sedici. Ma non mancano poeti che sporadicamente hanno usato versi costituiti da un numero di sillabe più alto.

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EsempiVerso di trentacinque sillabe:

E ammirami per il mio calore e per la mia fede: mentre io ti parlerò di Percy l’arcangelo e di Walt Whitman, un uomo,...(A.de Bosis, Giovine che mi guardi parlare, v 13).

Verso di trenta sillabe:Alto è il muro che fiancheggia la mia strada, e la sua nudità rettilinea si prolunga nell’infinito.(A. Negri, Il muro, v 1)

Verso di 19 sillabe:e berrà del suo vino, torchiato le sere d’autunno in cantina (C. Pavese, Atlantic Oil, v 32)

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Il ritmo

Il ritmo è la cadenza musicale da cui deriva l’armonia poetica che caratterizza

il verso. Esso è dato dal numero dellesillabe del verso e dagli accenti ritmici disposti secondo particolari schemi in

ogni tipo di verso. Gli accenti ritmici sonogli accenti fondamentali che cadono sulle

sillabe toniche, cioè accentate, dove la voce si appoggia.

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Ritmo lento e monotono come una nenia:

Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.Senti: una zana dondola pian piano.Un bimbo piange, il piccol dito in bocca;canta una vecchia, il mento sulla mano.La vecchia canta: Intorno al tuo lettinoc’è rose e gigli, tutto un bel giardino.Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.La neve fiocca lenta, lenta, lenta.

(G. Pascoli, Orfano)

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Ritmo lento:

Ella sen va notando lenta lenta:rota e discende, ma non me n’accorgose non ch’al viso e di sotto mi venta.

(Dante, Inferno, Canto XVII, vv 115-117)

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Ritmo veloce e martellante:Scatta un comando:un fischio di rimandoquerulo, acuto, lungo, fora l’aria,e il treno si divincolasu le rotaie sussultando e ansando.Diétroquàlchevétroquàlchevìsobiàncoquàlcherìsostàncoquàlchegèstolèsto;i vagonisi succedonoe i furgonisul binariotrabalzantistrepitantivarcan varcano;e il treno con palpito eguale, guadagnafiammando nel buio, l’aperta campagna. (G. A. Cesareo, Parte il treno)

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Ritmo calmo alternato a ritmo veloce ed ossessivo:

Si sente un galoppo lontano(è la...?),che viene che corre nel pianocon tremula rapidità.

Un piano deserto, infinito;tutto ampio, tutt’arido, eguale:qualche ombra d’uccello smarrito,che scivola simile a strale:

non altro. Essi fuggono viada qualche remoto sfacelo;ma quale, ma dove egli sia,non sa né la terra né il cielo.

Si sente un galoppo lontanopiù forte,che viene, che corre nel piano:la Morte! la Morte! la Morte!(G. Pascoli, Scalpitio)

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Ritmo incalzante:

E ripensò le mobilitende, e i percossi valli,e il lampo de’ manipoli,e l’onda dei cavalli,e il concitato imperioe il celere ubbidir.(A. Manzoni, Il Cinque Maggio, vv 79-84)

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Ritmo cantilenante:Nascondi le cose lontane,tu nebbia impalpabile e scialba,tu fumo che ancora rampolli,su l’alba,da’ lampi notturni e da’ crollid’aeree frane!

Nascondi le cose lontane,nascondimi quello ch’è morto!Ch’io veda soltanto la siepedell’orto,la mura ch’ha piene le crepedi valeriane.

Nascondi le cose lontane:le cose son ebbre di pianto!Ch’io veda i due peschi, i due meli,soltanto,che dànno i soavi lor mielipel nero mio pane.

(da G. Pascoli, Nebbia)

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Ritmo danzante :Quant’è bella giovinezzache si fugge tuttavia:chi vuol esser lieto, sia,di doman non c’è certezza.

Quest’è Bacco e Arianna,belli, e l’un dell’altro ardenti:perché ’l tempo fugge e inganna,sempre insieme stan contenti.

Queste ninfe e altre gentisono allegre tuttavia.Chi vuol esser lieto, sia,di doman non c’è certezza.

Questi lieti satiretti,delle ninfe innamorati,per caverne e per boschettihan lor posto cento agguati;

or da Bacco riscaldati,ballon, salton tuttavia.Chi vuol esser lieto, sia,di doman non c’è certezza.

(Lorenzo il Magnifico, Canzona di Bacco, vv 1-20)

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Ritmo calmo, meditativo: Forse perché della fatal quiete

tu sei l’immago a me sì cara vienio Sera! E quando ti corteggian lietele nubi estive e i zeffiri sereni e quando dal nevoso aere inquietetenebre e lunghe all’universo menisempre scendi invocata, e le secretevie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’ormeche vanno al nulla eterno; e intanto fuggequesto reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge;e mentre io guardo la tua pace, dormequello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

(U. Foscolo, Alla sera)

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Ritmo solenne:

O che tra faggi e abeti erma su i campismeraldini la fredda orma si stampial sole del mattin puro e leggero,o che foscheggi immobile nel giornomorente su le sparse ville intornoa la chiesa che prega o al cimitero che tace, o noci de la Carnia, addio!Erra tra i vostri rami il pensier miosognando l’ombre d’un tempo che fu.(G. Carducci, Il comune rustico, vv1-9)

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Ritmo spezzato:

Come questa pietradel S. Michelecosì freddacosì duracosì prosciugatacosì refrattariacosì totalmentedisanimata

Come questa pietraè il mio piantoche non si vede

La mortesi scontavivendo(G. Ungaretti, Sono una creatura)

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I versiI versi italiani si classificano in base al numero delle sillabe di cui sono

composti. Si hanno dieci tipi di versi, di cui cinque parisillabi (2, 4, 6, 8, 10 sillabe) e cinque imparisillabi (3, 5, 7, 9, 11 sillabe).

Essi sono:il bisillabo o binario di due sillabe;il ternario o trisillabo di tre sillabe;il quaternario o quadrisillabo di quattro sillabe;il quinario o pentasillabo di cinque sillabe;il senario di sei sillabe;il settenario di sette sillabe;l’ottonario di otto sillabe;il novenario o enneasillabo di nove sillabe;il decasillabo di dieci sillabe;l’endecasillabo di undici sillabe.

  Versi doppi

Si dicono doppi i versi uguali, in coppia nella stessa riga, interrotti da una pausa o cesura. Essi sono:Doppio quinarioDoppio senarioDoppio settenario o martelliano o alessandrinoDoppio ottonario

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BisillaboIl bisillabo ha per forza un solo accento sulla prima sillaba:

Diétroquàlchevétroquàlchevìsobiàncoquàlcherìsostàncoquàlchegèstolèsto(G. A. Cesareo, Parte il treno, vv 6-17)

Dopo tantanébbiaa ùnaa ùnasi svelanole stelle(G. Ungaretti, Sereno, vv 1-6)

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Ternario Il ternario ha un unico accento ritmico sulla seconda sillaba:

Si tàce,non gèttapiù nùlla.Si tàce,non s’òderomóredi sòrta,che fórse…che fórsesia mòrta?

(A. Palazzeschi, La fontana malata, vv 26-35)  

La mòrtesi scóntavivéndo 

(G. Ungaretti, Sono una creatura, vv 12-14)

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Quaternario Il quaternario ha due accenti sulla prima e sulla terza sillaba:

Ècco il móndovuòto e tóndoscénde, s’àlzabàlza e splénde.…Ècco il móndo.Sùl suo gròssoantìco dòssov’è ùna schiàttae sózza e màtta,…(A. Boito, Mefistofele, Atto II, Scena I) 

Col maremi sono fattoùna bàradì freschézza

(G. Ungaretti, Universo) 

Spesso questo verso è usato alternato con versi più lunghi come gli ottonari:

Paranzelle in alto marebiànche biànche,io vedeva palpitarecòme stànche:o speranze. Ale di sognipér il màre!

(G. Pascoli, Speranze e memorie, vv 1-6)

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Quinario Il quinario ha due accenti: uno sulla prima o seconda sillaba, l’altro sulla quarta sillaba:

Vìva la chiòcciola,vìva una béstiache unìsce il mèritoàlla modèstia.Essa àll’astrònomoe all’àrchitéttofórse nell’ànimodestò il concèttodel cànnocchiàlee délle scàle:vìva la Chiòcciola,càro animàle.(G. Giusti, La chiocciola, vv 1-

12)  

Anche questo verso spesso è usato alternato a settenari ed endecasillabi o come clausola:

Lungo la strada vedi su la siepe

ridere a mazzi le vermiglie bacche.

nei campi arati tornano al presepe

               tàrde le vàcche.

(G. Pascoli, Sera d’ottobre, vv 1-4)

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SenarioIl senario ha due accenti ritmici: uno sulla seconda e l’altro sulla quinta sillaba:

E càdono l’óregiù giù, con un

lèntogocciàre. Nel cuòrelontàne risèntoparòle di mòrti…

(G. Pascoli, Il nunzio, vv 8-12)

 

Sul chiùso quadérnodi vàti famósi,dal mùsco matérnolontàna ripósi,ripósi marmórea,dell’ónde già fìglia,ritórta conchìglia.(G. Zanella, Sopra

una conchiglia fossile, vv 1-7)

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SettenarioIl settenario ha un accento fisso sulla sesta sillaba e l’altro mobile su una delle prime quattro:

L’àlbero a cui tendévi                la pargolétta màno,                    il vèrde melogràno                     da’ bei vermìgli fiòr,                  nel muto òrto solìngo                 rinverdì tutto or óra                    e giùgno lo ristòra                      di lùce e di calór.                       (G. Carducci, Pianto antico, vv 1-

8) 

Il settenario molto spesso è alternato a quinari ed endecasillabi:

Silvia, rimèmbri ancóraquel tempo della tua vita

mortale,quando beltà splendèanegli occhi tuoi ridenti e

fuggitivi,e tu, lieta e pensosa, il

limitaredi gioventù salìvi?(G. Leopardi, A Silvia, vv 1-

6)

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OttonarioL’ottonario ha gli accenti ritmici sulla terza e sulla settima sillaba:

Quant’è bèlla giovinèzza                  

che si fùgge tuttavìa:chi vuol èsser lieto, sìa,di domàn non c’è certèzza.Quest’è Bàcco e Ariànna,belli, e l’ùn dell’altro

ardènti:perché ‘l tèmpo fugge e

ingànna,sempre insième stan

contènti.(Lorenzo il Magnifico,

Canzona di Bacco, vv 1-8) 

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NovenarioIl novenario ha tre accenti ritmici che cadono sulla seconda, sulla quinta e sull’ottava sillaba:

Il giòrno fu pièno di làmpi;      

ma óra verrànno le stélle,le tàcite stélle. Nei càmpic’è un brève gre gré di

ranèlle.Le trèmule fóglie dei

piòppitrascórre una giòia

leggièra.

(G. Pascoli, La mia sera, vv 1-6)

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DecasillaboIl decasillabo ha gli accenti ritmici sulla terza, sulla sesta e sulla nona sillaba:

Soffermàti sull’àrida spónda,volti i guàrdi al varcàto Ticìno,tutti assòrti nel nòvo destìno,certi in còr dell’antìca virtù,han giuràto: Non fìa che

quest’óndascorra più tra due rìve stranière;non fia lòco ove sòrgan barrièretra l’Itàlia e l’Itàlia, mai più!(A. Manzoni, Marzo 1821, vv 1-8)

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Endecasillaboè un verso di undici sillabe con accenti in posizione libera, se si esclude l’ultimo che cade sempre sulla decima sillaba; tuttavia gli schemi più usati per gli accenti principali sono: sulla sesta e sulla decima; sulla quarta, ottava e decima; sulla quarta, settima e decima.

 Tanto gentìle e tanto onésta

pàre         la donna mìa quand’ella altrùi

salùta,  ch’ogne lingua devèn tremando

mùta,  e li occhi no l’ardìscon di

guardàre.      (Dante, Tanto gentile e tanto

onesta pare, vv 1-4) 

 

 

Sempre caro mi fù quest’ermo cólle,      

e questa sièpe, che da tànta pàrte             

dell’ultimo orizzónte il guardo esclùde.  

Ma sedendo e miràndo, interminàti         

spazi di là da quèlla, e sovrumàni           

silenzi, e profondìssima quiète                 

io nel pensiér mi fingo; òve per pòco       

il cor non si spaùra.    (G. Leopardi, L’infinito)

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Figure metricheNel computo delle sillabe bisogna tener presenti le cosiddette figure metriche:

Figure di vocale. Elisione o

sinalefe: fusione in una sola sillaba della vocale finale di una parola e della vocale iniziale della parola 

successiva. 

Esempi:… e il naufragar

m’è dolce in questo mare (G. Leopardi, L’infinito, v 15);

… nel muto orto solingo (G. Carducci, Pianto antico, v 5).

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Iato o dialefe: fenomeno opposto alla elisione, per il quale la vocale finale di una parola e la vocale iniziale della parola successiva formano due sillabe distinte.

Esempi:Gemmea l’aria, / il

sole così chiaro (G. Pascoli, Novembre, v1);

Qui cominciai / a non esser più / io (G. Giusti, Sant’Ambrogio, v 45)

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Dieresi: separazione di due vocali formanti dittongo, per cui, invece di una sillaba, se ne hanno due.

 

Esempi:…e arriso pur di

visï /on leggiadre (G. Carducci, Funere mersit acerbo, v10);

…con ozï /ose e tremule risate (G. Pascoli, I puffini dell’Adriatico, v 6)

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Enjambement

Significa scavalcamento. Indica il fenomeno metrico per cui la frase logica del discorso poetico non coincide con il verso, ma prosegue in quello successivo (scavalcando quindi il primo); da Torquato Tasso è stato chiamato inarcatura.

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Forse perché della fatal quietetu sei l’immago a me sì cara vienio Sera! E quando ti corteggian lietele nubi estive e i zeffiri sereni e quando dal nevoso aere inquietetenebre e lunghe all’universo menisempre scendi invocata, e le secretevie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’ormeche vanno al nulla eterno; e intanto fuggequesto reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge;e mentre io guardo la tua pace, dormequello spirto guerrier ch’entro mi rugge.(U. Foscolo, Alla sera)

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Verso ipèrmetro e ipòmetroIl verso ipèrmetro ha una sillaba

in più del normale, il verso ipòmetro una di meno.L'ultima sillaba del verso ipermetro si elide con la prima sillaba del verso successivo (episinalefe), oppure viene assegnata al verso seguente, ipometro, avente una sillaba in meno.

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Esempi:

Si/ don/do/la/ don/do/la/ don/do/la                          >>> novenario sdrucciolosenza rumore la cuna                                             >>> ottonario piano, ipòmetronel mezzo al silenzio profondo.                               >>> novenario piano(G. Pascoli, Il sogno della Vergine, 49-51)

L'ultima sillaba -la viene assegnata al verso seguente, ipòmetro, che così diventa novenario.

Notare la rima dondo, profondo.

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E', quella infinita tempesta,                                   >>> novenario piano

finita in un rivo canoro.                                       >>> novenario piano

Dei/ ful/mi/ni/ fra/gi/li re/sta/no                           >>> novenario sdrucciolo

cir/ri/ di/ por/po/ra e/ d'o/ro.                               >>> ottonario piano, verso ipòmetro(G. Pascoli, La mia sera, 17-20)

L'ultima sillaba -no viene assegnata al verso seguente che diventa novenario.Notare la rima tempesta, resta.

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Versi piani, sdruccioli, tronchiIl verso si dice piano, se termina

con una parola piana (accento tonico sulla penultima sillaba);

sdrucciolo, se termina con una parola sdrucciola (accento tonico sulla terzultima sillaba);

tronco, se termina con una parola tronca (accento tonico sull’ultima sillaba).

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Esempi:

E / vi / ri / ve / do, o / gat / ti / ci / d’ar / gén / to,                              (endecasillabi piani = 11 sillabe)brulli in questa giornata sementìna:e pigra ancor la nebbia mattutìnasfuma dorata intorno ogni sarménto.(G. Pascoli, I gattici, vv 1-4)

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I cipressi che a Bolgheri alti e schiétti          van / da / San / Gui / do in / du / pli / ce / fi / làr,                               (endecasillabo tronco = 10 sillabe)quasi in corsa giganti giovinéttimi balzarono incontro e mi guardàr.(G. Carducci, Davanti San Guido, vv 1-4) 

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Spar / sa / le / trec / ce / mór / bi / de                                               (settenario sdrucciolo = 8 sillabe)sul / l’af / fan / no / so / pèt / to,                                                        (settenario piano = 7 sillabe)lenta le palme, e roridadi morte il bianco aspetto,giace la pia, col tremolosguar / do / cer / can / do il / ciél.                                                      (settenario tronco = 6 sillabe)(A. Manzoni, Morte di Ermengarda, vv 1-6)

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Rima

La rima è un altro elemento importante nella poesia, anche se non indispensabile. Essa unisce due o più versi che terminano con parole identiche a partire dall’ultima vocale accentata.I versi possono rimare secondo schemi che vengono indicati con le lettere maiuscole dell’alfabeto (AA, AABB, ABAB, ABBA,…)

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Vi sono vari tipi di rime:Rima baciataRima alternataRima chiusa o incrociataRima incatenataRimalmezzo o internaRima equivocaAssonanzaConsonanzaVersi sciolti

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Rima baciata

Due versi successivi rimano tra loro,

presentando lo stesso suono (AA, BB…)

Una donna s’alza e cànta  A

La segue il vento e l’incànta     A

E sulla terra la stènde             B

E il sogno vero la prènde.        B

 

Questa terra è nùda                  C

Questa donna è drùda               C

Questo vento è fòrte                D

Questo sogno è mòrte              D

(G. Ungaretti, Canto beduino)

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Rima alternata

Rimano i versi alterni ( ABAB, CDCD…)

 

Lo stagno risplende. Si tàce             A

la rana. Ma guizza un baglióre         B

d’acceso smeraldo, di bràce             A

azzurra: il martin pescatóre…         B

 

E non sono triste. Ma sóno               C

stupito se guardo il giardìno…         D

Stupito di che? non mi sóno            C

sentito mai tanto bambìno…            D

(G. Gozzano, L’assenza, vv 21-28)

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Rima chiusa (o incrociata)

Il primo verso rima con il quarto e il secondo con il terzo (ABBA, CDDC…) e così via.

 

Non pianger più. Torna il diletto fìglio            A

a la tua casa. E’ stanco di mentìre.                  B

Vieni; usciamo. Tempo è di rifiorìre.              B

Troppo sei bianca: il volto è quasi un gìglio.   A

 

Vieni; usciamo. Il giardino abbandonàto         C

serba ancora per noi qualche sentièro.          D

Ti dirò come sia dolce il mistèro                  D

che vela certe cose del passàto.                    C

(G. D’Annunzio, Consolazione, vv 1-8)

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Rima incatenataIl primo verso rima con il terzo, mentre il secondo rima con il

primo e terzo della terzina seguente (ABA, BCB, CDC...),e così via.

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sóle, A

anzi d’antico: io vivo altrove, e sènto B

che sono intorno nate le viòle. A

Son nate nella selva del convènto B

dei cappuccini, tra le morte fòglie C

che al ceppo delle quercie agita il vènto. B

 

Si respira una dolce aria che sciòglie C

le dure zolle, e visita le chièse D

di campagna, ch’erbose hanno le sòglie: …C

(G. Pascoli, L’aquilone, vv 1-9)

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Rimalmezzo (o interna)

La rima cade in fine di emistichio (a metà verso) o all’interno del verso.

Odi greggi belar, muggire arménti;

gli altri augelli contènti, a gara insieme

per lo libero ciel fan mille giri,

(G. Leopardi, Il passero solitario, vv 8-10)

 

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Rima equivoca

Si ha quando la rima è formata da parole di uguale suono e di significato diverso.

Non vogliamo ricordare

vino e grano, monte e piano,

la capanna, il focolare

mamma, bimbi... Fate piano!

(G. Pascoli, L'or di notte, vv 21-24)

 

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Assonanza

Rima imperfetta nella quale le vocali sono uguali e le consonanti diverse. Può essere interna.

Carnevale vecchio e pàzzo   s’è venduto il materàsso      (G. D’Annunzio, Carnevale, vv 1-2)

   

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Consonanza

Rima imperfetta nella quale le consonanti sono uguali e le vocali diverse. Può essere interna. 

E pare una tremula bolla

tra l'odore acuto del fieno,

un mòlle gorgoglio di pólla,

un lontàno fischio di trèno...

(G. Pascoli, Il poeta solitario, vv 9-12)

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Versi sciolti

In una poesia sono versi che non rimano tra di loro.

Volata sei, fuggita

come una colomba

e ti sei persa là, verso oriente.

Ma son rimasti i luoghi che ti videro

e l’ore dei nostri incontri.

Ore deserte,

luoghi per me divenuti un sepolcro

a cui faccio la guardia.

(V. Cardarelli, Abbandono)