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La Pietà del Perugino Sopra la pala d’altare, quasi a completamento della medesima, è posizionata una cimasa (cm 150x250) che propone la contemplazione della Pietà. Perché questa Pietà sopra la pala d’altare? Nell’opera, attraverso una visione unitaria, viene esposta una in-terdipendenza tra il Bambino che la Vergine Maria tiene sulle sue gi-nocchia e il Cristo morto trattenuto amorevolmente tra le braccia di Giuseppe di Arimatea. Il Bambino sostenuto dalla mamma e il Cristo della Pietà sono la stessa persona. Si passa dalla fragilità del primo anno di vita del Figlio di Dio al termine della vita terrena di Cristo; dalla debolezza della carne del Bim-bo al corpo straziato dalla crocifissione. Innalzato sulla croce, dopo averla affidata come madre all’umani-tà, grida: È compiuto!. E chinato il capo consegnò lo spirito (Gv 19,30). È la sintesi dell’incarnazione: Cristo nasce in una grotta adibita a stalla ed ora è consegnato cadavere alle braccia amorose della Vergine. Infine la predella mariana, sita sotto la pala d’altare, nello sviluppo di temi mariani, può essere interpretata come un Magnificat ed è facile scorgere in essa una particolare unità artistica, evangelica, dottrinale e teologica.

* * *

La spiritualità francescana evidenzia i due aspetti del mistero dell’incarnazione e della passione del Cristo, forse come nessun’altra Religio. Santa Chiara scrive nella Regola:

È per amore del santissimo e divinissimo Bambino, avvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio e della sua santissima Madre, ammonisco e prego calda-mente ed esorto le mie sorelle a vestire sempre vestimenti vili (RsC in FF: 2765).

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Chiara Augusta Lainati, attenta ricercatrice francescana e sorella povera, in una nota a commento di questo passo, si esprime così:

È questo uno degli “squarci contemplativi”, forse il più bello, della Regola di Chia-ra in cui la struttura normativa si interrompe bruscamente per dare spazio al mi-stero che sorregge dal di dentro la quotidianità della vita. Sembra che Chiara d’un tratto abbandoni il testo della Regola per perdersi in ciò che di fatto è la sua vita quotidiana e che la sta “occupando”, uno stare in adorazione di una Immensità che si fa piccolezza in una mangiatoia (RsC in FF: 2765, nota 12).

La sofferenza umana del Cristo fu messa in evidenza in modo par-ticolarissimo dall’assisiate mentre pregava a San Damiano:

Da allora gli fu impresso nel cuore, a tratti profondi, il ricordo della passione del Signore (TrM in FF: 826). Da S. Bonaventura: Il ricordo della passione di Cristo si impresse così vivamente nelle più intime viscere del cuore che, da quel momento, quando gli veniva in mente la crocifissione di Cristo a stento poteva trattenere le lacrime (LegM in FF:1035).

E dalla Leggenda dei Tre Compagni:

Finché visse portò sempre nel suo cuore le stimmate del Signore Gesù, come si manifestò chiaramente più tardi quando quelle stimmate si riprodussero nel suo corpo (Lg3C in FF:1412).

San Francesco ha scritto l’Ufficio della passione e nessun altro suo scritto è così pieno del mistero della sofferenza di Cristo (UffPass in FF: 279)). Egli fu configurato a Cristo perché a La Verna il venerabile padre ebbe impressi nella carne i cinque segni della passione e della croce come se fosse stato crocifisso insieme al Figlio di Dio (1Cel in FF: 478)1.

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1 Non è possibile, qui, citare tutte le testimonianze relative all’amore che Francesco, Chiara e tutta la spiritualità francescana ebbero ed hanno verso il Bambino Gesù; rimando alle Fonti Francescane (FF) e precisamente ai numeri: 2765, 3062, 3068, 3076, 3197, 3202, 3212, 3230 .Per quanto, invece, riguarda la passione di Cristo, consiglio i riferimenti: 594, 711, 826, 1035, 1180, 1333,1412-1413, 1567.2 GIACOMO DA VITRY, Historia occidentalis, II, 32 in FF. 2216, Giacomo da Vitry (1170-1240), vescovo di San Giovanni d’Acri. Venne a conoscenza diretta del francescanesimo delle origini e ne rimase profondamente colpito. Propugnatore convinto di una nuova riforma all’interno della Chiesa. Scrisse, tra l’altro, oltre l’ Historia occidentalis anche l’Histo-ria orientalis.

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La Pietà del Perugino sovrapposta alla

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La Pietà del Perugino sovrapposta alla pala della Madonna col Bambino e dei santi

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Cristo deposto dalla croceè consegnato alla pietà della madree degli amici Schiodato dalla croce, Cristo viene consegnato alla pietà dei suoi cari; a Maria, la madre sua che teneramente l’aveva accolto nel grem-bo e che ora l’accoglie morto tra le sue braccia; a Giovanni, presente alla sua deposizione dalla croce, assieme a Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, discepoli e testimoni addolorati di quel tragico evento. Ciò premesso, passiamo alla descrizione della Pietà del Perugino.

* * *

La composizione è divisa in tre spazi:

• il sepolcro, quasi cassapanca di pietra, su cui è seduto Gesù;

• il panorama, ben visibile e verdeggiante, che lascia intravedere un cielo non particolarmente luminoso:

• i personaggi con in primo piano la Vergine Maria e l’apostolo Giovan-ni; alle spalle di Gesù, Nicodemo e Giuseppe di Arimatea.

La scena è surreale, va oltre i limiti della storicità e si propone come riflessione sul mistero della morte del Dio fatto uomo. I personaggi parlano come testimoni oculari di una tragedia epo-cale comprensiva del cielo, della terra e degli uomini: il Cristo atteso dai popoli, annunziato per secoli dai profeti, frutto dell’amore del Padre (Gv 3,16) è stato crocifisso e schiodato dal legno; ora attende di essere sepolto. Il Perugino presenta quattro personaggi intorno al Cristo: la Ver-gine Maria, sua madre, l’apostolo Giovanni, il discepolo prediletto, Ni-codemo, il giudeo della setta dei Farisei e Giuseppe di Arimatea, defini-to da Matteo uomo ricco e discepolo di Gesù (Mt 27,57). Al centro della lunetta Maria e Giovanni sembrano avulsi alla composizione, paragonabili a due colonne statiche, a due persone im-pietrite dal dolore. Vediamo nei particolari:

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• Maria non guarda il Cristo, ma ha lo sguardo rivolto altrove, le sue dita sono incrociate per il dolore e le vesti , quasi monacali, tendono al violaceo. • Anche Giovanni sembra estraneo alla composizione. Il volto del giovane apostolo è esteticamente ben condotto e i suoi capelli scivolano dolcemente, un po’ arruffati, dietro le spalle. Questa dolcezza espressiva, che richiama vagamente Raffaello, non nasconde il dolore. Anche le mani abbassate e congiunte parlano di sofferenza che supera ogni limite umano. Al centro della cimasa è presente il Cristo mentre Giuseppe di Arimatea e Nicodemo sono posizionati dietro di lui in linea orizzontale:

• Nicodemo, è in piedi, ha la barba fluente e con la mano destra cerca di sostenere il corpo del Signore; ma neppure lui, pur essendo al centro della composizione, partecipa emotivamente.

•Giuseppe di Arimatea è l’unico che manifesta espressività emotiva partecipata all’accoglienza del corpo di Cristo. Abbraccia il Redentore amorevolmente. Le mani che sorreggono il corpo di Gesù si vedono solo parzial-mente. Cristo e Giuseppe di Arimatea sono i personaggi più vivi, che maggiormente suscitano l’interesse del visitatore. Infine una curiosità: ha un copricapo ricercatissimo e prezioso che indica non solo la signorilità della persona, ma anche la sua ric-chezza.

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La centralità della figura di Cristo Il Cristo è stato posto dall’artista al centro della composizione, seduto e in parte sostenuto da Nicodemo e da Giuseppe di Arimatea. La totalità della distribuzione delle masse è ripartita in parallelo, sebbene la struttura espositiva sia stata inserita in uno spazio semicir-colare, in una lunetta sbeccata. La totalità della composizione è posizionata in un contesto natu-rale, cioè all’aperto. L’ambiente si presenta alquanto arido, sassoso e in parte montuoso, a differenza dei dolci, armoniosi, illuminati paesaggi del Perugino. Tutto l’interesse dell’artista converge verso la figura di Cristo che è non solo centrale, ma dominante ed il volto del Redentore è il punto di convergenza, o meglio di fuga. Difatti il viso del Cristo, data l’alta po-sizione della lunetta, è rivolto verso il fruitore che, contemplando nella fede la passione di Cristo, almeno in parte, entra nel mistero della morte di un Dio fatto uomo, che dona la sua vita sia per rendere testimonianza alla verità (Gv 19,38) sia per dare all’uomo la dignità di figlio di Dio. Un altro aspetto della composizione deve essere evidenziato: la struttura corporea di Cristo è stata concepita in forma piramidale e sem-bra illuminata da un cono di luce soffusa. Nel contempo la conicità della figura del Cristo è inserita in uno spazio ideale quadrangolare, delimita-to dai due uomini per poi prolungarsi definitivamente nelle figure della Vergine Maria e del giovane apostolo Giovanni. Un gioco di luci e penombre, creato giustapposta dal Perugino, rende il corpo di Gesù prezioso, dignitoso e solenne. Solo un grande artista è capace di esprimere e sviluppare con ricercatezza e proprietà questi passaggi, di collegare mirabilmente la chiarezza della luce corporea alle sfumature ben dosate che, a loro vol-ta, evidenziano la fisicità perfetta del Figlio dell’uomo. Il corpo di Gesù, nonostante la morte, manifesta tutta la bellezza corporea di un uomo sano e robusto. Il Redentore è ancora coronato di spine, ma questa corona più che uno strumento di supplizio e di irrisione blasfema, sembra un dia-dema regale. I capelli fluenti scendono scomposti sulle sue spalle

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Contorno d’opera.

Il punto di fuga proietta lo sguardo del fruitore sul volto di Gesù, cen-tro dell’opera.

Il corpo di Cristo sem-bra illuminato da un cono di luce divina ri-spetto agli altri perso-naggi.

Al centro dell’opera si svolge l’evento, mentre i due personaggi sem-brano vivere un altro tempo.

Le geometrie nascoste della lunetta

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Il Cristo è seduto sul sepolcro che dovrà accoglierlo. Il volto non è cadente, come dovrebbe essere quello di un cadave-re, ma solo leggermente inclinato. Sembra più un Cristo sofferente che morto. Difatti il corpo non è irrigidito come quello di un cadavere e le braccia non sono abbandonate a se stesse e legnose: sembra che non abbiano ancora perso l’energia vitale. Si tratta di un fisico ben proporzionato e compaginato. Non si notano tracce di sangue e non si vede neppure lo squarcio nel costato trafitto dalla lancia . Il perizoma, l’unico vestimento del Signore, è un elegante intrec-cio di buon panno violaceo.

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San Francesco e i francescani nella loro storia plurisecolare han-no evidenziato nel Cristo soprattutto l’amore per l’uomo, per il quale ha donato la vita. I frati e il popolo cristiano, da secoli, onorano questo volto. L’iconografia, sollecitata dalla committenza francescana, da sem-pre ha proposto il mistero della croce e della sofferenza in mille modi e in mille maniere, creando nell’arte e nella cultura un nuovo movimento umanistico in cui viene evidenziata la sofferenza del Cristo come espres-sione d’amore verso l’umanità intera3.

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3 Vi sono nella cristianità due concezioni sulla passione di Cristo che comportano due diverse visioni ed esperienze. La prima l’abbiamo da Teodoro Studita (759-826 ca.): Su quel legno sale Cristo come re sul carro trionfale. Sconfigge il diavolo padrone della morte e libera il genere umano dalla schiavitù del tiranno. Su quel legno sale il Signore, come valoroso combattente, viene ferito in battaglia alle mani e ai piedi e al divino costato, ma con quel sangue guarisce le nostre lividure, cioè la nostra natura ferita dal serpente velenoso (TEODORO STUDITA, La croce di Cristo nostra salvezza, in PG 99, 691-694).La seconda ce la propone san Francesco: egli si rifà all’uomo sofferente di Isaia (Is 50,6; 52,13-15; 53,1-12), s’immerge in questa contemplazione dolorosa e piange dinanzi alla passione del suo Signore. Il cambia-mento contemplativo è totale. Cimabue s’inserisce pienamente nella visione di Francesco e ci presenta Cristo, l’uomo sofferente. I crocifissi da lui dipinti, attraverso la plasticità corporea, presentano tutto il dramma umano del Figlio di Dio, del Cristo che implora: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

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Sulla Pietà si sono confrontati, in tutti i tempi, la maggior parte de-gli artisti, sempre sollecitati dalla committenza. Lo stesso Perugino, più volte, ha trattato lo stesso tema. Ricordo solo le tre Pietà di Michelangelo realizzate in diversi mo-menti della vita, quasi a scandire, nel tempo, il suo itinerario di fede:1. la Pietà del Vaticano, eseguita nella giovinezza;2. la Pietà dell’opera del Duomo, realizzata nel periodo della maturità;3. la Pietà Rondanini, scolpita nel periodo ultimo della vita.

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Abbiamo ricordato che la base contemplativa che ha alimentato tut-ta la spiritualità francescana è la passione di Cristo. In questo solco mistico-caritativo francescano si devono leggere i Monti di Pietà che avevano come emblema proprio la Pietà. Vittorio Meneghin, storico francescano, sostiene che nelle Marche dal 1462 al 1562 furono eretti ben 49 Monti di Pietà. La loro diffusione era capil-lare per merito della predicazione dei frati dell’Osservanza4.

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4MENEGHIN VITTORINO, I Monti di Pietà in Italia dal 1462 al 1562, Vicenza 1986, p. 17.

È questo uno dei tanti emblemi dei Monti di Pietà.

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I volti di Gesù e di Giuseppe di ArimateaQuesti due volti ci meravigliano, ci turbano e ci conquistano. Non per la bellezza e l’armonia, che pur sono presenti, ma per i sentimenti che esprimono.Giuseppe di Arimatea è l’unico che prende parte emotivamente all’accoglienza del corpo di Cristo.Il suo volto è inclinato verso il Signore e parla con lui sottovoce, come se avesse paura di svegliarlo. Il suo è un abbraccio di amore: tutto il suo corpo è teso in unità, in comunione intima con il suo Signore. Il Cristo ha la bellezza del Figlio dell’uomo; non è morto ma assopito e i suoi occhi sono appena socchiusi.Bellissima la congiunzione naso bocca che solo un artista gran-de sa realizzare in pienezza.Sono due corpi, ma sono in unità profonda non solo fisica per l’abbraccio di Giuseppe, ma per i sentimenti e le emozioni pro-fonde che sprigionano. Il volto di Giuseppe è inclinato, gli oc-chi sono rivolti al Signore, il suo sguardo intenso rivela amore profondo.

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La Pietà della Galleria degli Uffizi -FirenzeÈ d’obbligo un paragone tra due diversi quadri del medesimo autore, dipinti in diversi tempi e progettati e richiesti da diverse committenze e da diverse spiritualità: quello di Fano dai francescani dell’Osservanza e quello di Firenze dai frati Gesuati di san Girolamo1.La Religio dell’Osservanza e dei Gesuati comporta una visione diver-sa della vita del Redentore, dei valori che la compongono, delle sot-tolineature mistiche e ascetiche, della povertà, dell’evangelizzazione. E coloro che chiedono un’opera d’arte danno delle indicazioni partico-lari al pittore o allo scultore o all’architetto.Analizziamo la Pietà, attualmente conservata presso la Galleria degli Uf-fizi a Firenze (cm 176x168) e posta all’interno del solito porticato. Nel dipinto si vede il corpo di Cristo ormai irrigidito dalla morte, adagiato sulle ginocchia delle Vergine Maria che contempla il volto del figlio suo. L’apostolo Giovanni trattiene, alle spalle, il corpo di Gesù mentre appog-gia, in segno di affetto, il suo volto a quello del Redentore. La Maddalena, irrigidita dal dolore, prega sommessamente. Nelle estremità si ergono come colonne protettrici Nicodemo e Giu-seppe di Arimatea. C’è grande differenza tra la Pietà di Fano e quella di Firenze: a Fano il corpo di Cristo è seduto, quasi vivo, sostenuto da Giuseppe di Arimatea. A Firenze il corpo di Gesù è ormai irrigidito nel sonno della morte ed è sostenuto da Maria e, in parte, dal giovanissimo san Giovanni. Dal lato strutturale la Pietà di Firenze tende ad essere orizzontale mentre quella di Fano si propone in modo piramidale. Il Perugino, dietro consiglio dei Gesuati, si rifà in parte alla tradizio-ne tedesca tardomedievale delle Vesperbilder che proponeva il corpo irrigidito di Gesù, posto orizzontalmente e posato sulle ginocchia della Madre.

––––––––––––––––––––––––––––1 I frati Gesuati fanno riferimento alla spiritualità di S. Girolamo. Avevano a Firenze la chiesa San Giusto alle Mura. In questa chiesa l’artista aveva dipinto almeno tre tavole La Pietà, L’Orazione nell’orto (olio su tavola cm 166x171, dipinta tra il 1483 e il 1495) e La Crocifissio-ne (dipinta in collaborazione con Luca Signorelli - olio su tavola cm 203x180). Tutte e tre le tavole si trovano, attualmente, agli Uffizi di Firenze.

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Pietro Vannucci, detto il Perugino, Pietà con San Giovanni Evangelista, Giuseppe d’Arimatea e Santa Maria Maddalena (Galleria degli Uffizi, Inv. 1890, n. 8365 - Firenze).