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Guido A. Morina LA PERCEZIONE PSICOSOCIALE DELL’EFFICACIA DELLE MEDICINE ALTERNATIVE

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Guido A. Morina

LA PERCEZIONE PSICOSOCIALE

DELL’EFFICACIA DELLE MEDICINE

ALTERNATIVE

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Indice 1 Introduzione 4 Capitolo 1° Definizione di medicine alternative

1. 1. Il paradigma “biopsicosociale”, 8 11 Capitolo 2° Che cos’è e come si misura l’efficacia di un metodo terapeutico

2. 1. Efficacia in termini scientifici delle medicine alternative, 12 2. 2. L’efficacia alternativa delle medicine alternative, 15 2. 3. Considerazioni circa il ricorso alle medicine alternative, 18

21 Capitolo 3° Le illusioni cognitive

3. 1. Errori e illusioni cognitive, 22 3. 2. Una panoramica sugli errori cognitivi, 24 3. 3. Tassonomia degli errori cognitivi, 26 3. 3. 1. Errore nella raccolta o acquisizione dei dati e controllo dell’informazione, 27

3. 3. 2. Errori nel ragionamento deduttivo, 35 3. 3. 3. Errori nel ragionamento induttivo, 44 3. 3. 4. Errori nel ragionamento abduttivo, 48 49 Capitolo 4° Il pensiero magico e le medicine alternative 4 . 1 . La coerenza cognitiva, 49 4 . 2 . Pensiero logico e pensiero magico nelle medicine alternative, 51 4 . 3 . Struttura e funzioni del pensiero magico in medicina alternativa, 54 4 . 4 . L’attrazione per la magia, 57 4 . 5 . La rottura dell’organizzazione spazio-temporale, 59 4 . 6 . La violazione del principio della fissita’ del passato, 59 4 . 7 . Wishful thinking, 60 4 . 8 . Simboli e rituali nelle medicine alternative, 62 4 . 9 . La fede, 63 67 Conclusioni 73 Bibliografia

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Introduzione

La definizione di medicine alternative è alquanto complessa tanto quanto il tentativo di

comprendere il loro funzionamento e l’efficacia del loro utilizzo. Genericamente possono

essere distinte a seconda del loro rapporto con la medicina tradizionale, e pertanto si

avranno tutte le tecniche, discipline, pratiche, tradizioni e rimedi aventi lo scopo di

migliorare la salute dell’essere umano, in sinergia e complementarietà con la medicina

convenzionale (e allora si utilizzerà più correttamente il termine “medicine complementari

o non convenzionali”), oppure quelle effettivamente alternative alla medicina scientifica

(Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2005; Skrabanek, McCormick, 2002; Sointu, 2006).

Gli strumenti utilizzati da queste medicine allo scopo di promuovere la salute sono

molteplici e diversi tra loro: manipolazioni, massaggi, infissione di aghi, tecniche corporee

non invasive, di rilassamento e di respirazione, somministrazione di rimedi più o meno

naturali, utilizzo di apparecchiature elettromedicali o di biorisonanza. In comune c’è una

visione olistica o “biopsicosociale” della salute, influenzata dalla teoria generale dei sistemi

(Bertalanffy von L. 1971), secondo la quale salute e benessere si fondano su naturali e

corretti stili e abitudini di vita (a cominciare da alimentazione e attività fisica) e su un

atteggiamento positivo verso sé stessi, gli altri, l’ambiente che ci circonda (Bert, 1974;

Bertini, 1988; Engel, 1977; Petrillo, 2004; Vithoulkas, 1991).

Parte dell’universo delle medicine alternative è tutt’ora rivolto alla cura, in senso

tipicamente allopatico, delle malattie: è il caso dell’omeopatia, dell’agopuntura e di altre

tecniche normalmente appannaggio della classe medica, le quali però non hanno mai potuto

dimostrare la loro efficacia, superiore al placebo, in studi controllati e condotti secondo il

metodo scientifico (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001;

Heimann, 1999; Le Moine, 2002; Maddox, Randi, Stuart 1988; Moerman, 2004;

Skrabanek, McCormick, 2002). Secondo questi autori, ciò significa che questi tipi di cura

alternativa sono privi di per sé di valore e di efficacia terapeutica e andrebbero finalmente e

una volta per tutti abbandonati al loro destino di reperti storici.

Resta il fatto, ampiamente documentato (Antonovsky,1987; Astin, 1998; Fulder, 1996;

Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991), della autovalutazione positiva circa

l’efficacia di queste cure in moltissimi casi, perlomeno sotto il profilo della percezione

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soggettiva di un generale miglioramento dello stato di salute. È a quest’ultimo, infatti, che

molti di coloro che si rivolgono alle medicine alternative aspirano, più che alla remissione

dai sintomi e segni di una malattia (Sointu, 2006). Ci proponiamo quindi di sottoporre al

vaglio dell’analisi della letteratura scientifica (Astin, 1998; Brancato, Pandolfi, 2005;

Diener, 1998; Spaltro, 2007) l’ipotesi che tale miglioramento, lungi dal dipendere dagli

intrinseci effetti terapeutici delle cure e dei rimedi alternativi (in quanto mai dimostrati),

possa essere dovuto all’efficacia del poco misurabile approccio olistico alla salute, fondato

su ascolto ed empatia, ma anche su suggerimenti o prescrizioni relative a stile di vita,

alimentazione, attività fisica, atteggiamento mentale. Questo tipo di approccio si

accompagna sempre, indissolubilmente, ai rimedi somministrati e alle cure prestate anche e

specialmente dai terapisti alternativi, i quali, non affidandosi agli effetti di cure

farmacologiche tradizionali, tengono in massimo conto l’importanza di tutti i fattori

“biopsicosociali” della salute (Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2003). Al tempo stesso,

cercheremo di mostrare come euristiche, strategie e illusioni cognitive possano influire

sulla percezione dell’efficacia delle cure (Dobrilla, 2004, Dorfles, 1977; Eliade, 1976;

Giusberti, Nori, 2000; Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Le Moine, 2002).

Se tale ipotesi si dimostrasse fondata e plausibile anche sotto il profilo scientifico, si

giungerebbe a poter legittimamente sostenere la sostanziale inutilità di tutto ciò che nelle

cure alternative appare rivolto alla cura delle malattie (trattamenti, rimedi, da sempre privi

di efficacia scientificamente dimostrata) e ad estrapolare, dal corpus eterogeneo delle

medicine alternative, i soli contenuti utili, validi ed efficaci ai fini della salute, e cioè la

relazione terapeutica fondata su analisi e correzione dello stile di vita e l’attenzione verso

l’assoluta individualità del paziente secondo una visione olistica della salute.

Una delle conseguenze potrebbe essere quella di modificare drasticamente il paradigma

della salute che vede, di fatto, medicina scientifica e alternativa come rivolte allo studio e

alla cura delle malattie mentre la psicologia sarebbe confinata allo studio e alla cura della

salute mentale. Secondo il nostro punto di vista la cura della salute dell’essere umano

potrebbe ricavare enormi benefici dal fatto di dirottare le risorse umane e finanziarie

attualmente utilizzate per mantenere in vita un sistema di cure privo di validità ed efficacia

scientifica come quello delle medicine alternative, verso una medicina complementare e

sinergica rispetto a quella ufficialmente riconosciuta, rappresentata da tutte le discipline

che si applicano con rigore scientifico all’educazione, alla prevenzione e alla ricerca del

benessere psicofisico, tra le quali spicca la psicologia della salute (Bertini, 1988; Engel,

1977; Petrillo, 2004). Spetta a quest’ultima raccogliere l’eredità dei principi su cui si

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fondano le antiche e moderne tradizioni delle medicine alternative, attualizzandole e

rendendole finalmente efficaci attraverso l’utilizzo di conoscenze e strumenti scientifici di

cui oggi la psicologia dispone. Attraverso l’eliminazione dell’ostacolo rappresentato dalle

inutili medicine alternative, la cura della salute dell’essere umano dovrebbe molto più

utilmente, efficacemente ed efficientemente essere demandata alla medicina scientifica, per

quanto riguarda la visione patogenetica della salute volta alla cura delle malattie, e alla

psicologia della salute per tutti gli aspetti complementari, sul presupposto che l’azione

positiva sulla salute dipenda fondamentalmente dal grado di conoscenza e consapevolezza

della nostra collocazione individuale in un contesto di tipo biopsicosociale (Astin, 1998;

Mauri, Tinti, 2006; Sointu, 2006; Vithoulkas,1991).

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CAPITOLO 1

Definizione di medicine alternative

Le medicine alternative costituiscono un insieme di dottrine e di prassi diagnostico-

terapeutiche caratterizzate dalle più diverse origini (Ferrieri, Lodispoto, 2001; Murray,

Pizzorno, 2000; Richardson, 2004). Alcune di esse, come l’omeopatia o la medicina

antroposofica, sono nate negli ultimi secoli per opera di pensatori europei, mentre altre,

come la medicina tradizionale cinese, l’ayurvedica o la tibetana, traggono origine da

dottrine filosofiche-religiose dell’oriente. Valerio Sanfo, sociologo, autore di decine di

manuali e libri sulle medicine alternative, tra cui una “Enciclopedia delle discipline

bionaturali” (Sanfo, 2005), passa in rassegna oltre duecento medicine alternative diverse,

ma riconosce che il loro numero supera abbondantemente la cifra di ottocento.

La oggettiva difficoltà di individuare elementi comuni a queste diverse forme di medicina

ci costringe a ricorrere a diverse, possibili definizioni, a seconda del punto di vista col

quale vogliamo valutarle.

Sotto il profilo giuridico, le medicine alternative sono tutte quelle forme di diagnosi o

terapia il cui studio, insegnamento e la cui pratica non è riconosciuta e non è

regolamentata dalla legge (Sanfo, 2003; Skrabaneck, McCormick, 2002). In altre parole, si

tratta di tutte quelle terapie che non sono insegnate presso le Facoltà di Medicina o di

Psicologia di nessuna Università, in nessuna parte del mondo, ma solo da scuole di

insegnamento privato. In mancanza di regolamentazione delle stesse, esse sono praticabili

teoricamente da chiunque (sulla base del principio secondo cui ciò che non è espressamente

vietato è consentito dalla legge), salvo il rispetto della norma che vieta l’esercizio abusivo

della professione medica.

Sotto il profilo strettamente scientifico, si tratta di medicine che non sono mai state

sottoposte al vaglio del metodo scientifico, o nei rari casi in cui ciò è stato fatto, sono

risultate prive del relativo fondamento, sia per quanto riguarda l’aspetto teorico,

metodologico ed epistemologico, sia specialmente per quanto riguarda l’efficacia pratica.

Per una rapida verifica dell’affermazione secondo cui non esistono prove scientifiche

incontrovertibili della loro efficacia terapeutica è sufficiente consultare i lavori più recenti

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della vastissima letteratura in proposito (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri,

Lodispoto, 2001; Moerman, 2004, Skrabanek, McCormick, 2002).

Si noti come le definizioni finora enunciate siano formulate in negativo perché

l’eterogeneità di queste discipline rende più facile definire cosa non sono piuttosto che cosa

sono.

In positivo, sotto questo nome possiamo raggruppare tutte le tecniche, discipline, pratiche,

tradizioni aventi lo scopo di agire positivamente sulla salute dell’essere umano, in sinergia

e complementarietà con la medicina convenzionale (e allora si utilizzerà più correttamente

il termine ”medicine complementari o non convenzionali”), oppure quelle effettivamente

alternative alla medicina scientifica convenzionale.

Un altro modo di definirle consiste nel fare riferimento al loro fondamento teorico ed

epistemologico (Bara, 2000). Da questo punto di vista una medicina si definisce alternativa

quando presenta le seguenti caratteristiche:

1. Si basa su una visione biologica vitalistica o olistica e non certamente meccanicista.

2. Si basa su una patologia generale, una fisiologia, una clinica medica ed una terapia

del tutto slegate dalla Medicina Scientifica.

Sotto il profilo diagnostico-terapeutico (Ferrieri, Lodispoto 2001; Sanfo, 2005), le medicine

alternative possono distinguersi in:

• quelle che necessitano di una diagnosi di tipo medico, se pur integrata con valutazioni

che di solito il medico non prende in considerazione, ma che non sono necessariamente

in contrasto con l’attività diagnostica tradizionale. Il medico “alternativo” ricerca pur

sempre e tiene in massimo conto tutti i segni e sintomi delle malattie secondo gli stessi

criteri della medicina convenzionale, salvo integrare tale diagnosi con valutazioni più

approfondite e diverse e salvo prescrivere un farmaco omeopatico anziché allopatico.

Tant’è vero che la cosiddetta “medicina naturale” lungi dall’essere una medicina

alternativa, non è altro che medicina allopatica che cura, quando possibile, con rimedi

naturali.

• Quelle effettivamente alternative, che nello svolgimento dell’attività diagnostica

utilizzano nozioni anatomiche, fisiologiche e patologiche in parte estranee a quelle della

medicina occidentale, come la medicina tradizionale cinese (da cui deriva, per esempio,

l’agopuntura), l’ayurvedica, la kinesiologia applicata. In questi casi la diagnosi non è più

rivolta a individuare una patologia, ma un’altra condizione non meglio identificata, detta

“squilibrio”. Poiché tale squilibrio è “diagnosticato” sulla base di una valutazione non

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legata a dati e metodi scientifici, ma della sola interpretazione soggettiva del terapeuta,

essa non è soggetta a verifica e falsificazione.

• Quelle alternative ma che non effettuano neppure una diagnosi, essendo tutte orientate

alla terapia, intesa come consulenza qualificata circa abitudini e stili di vita più corretti e

“naturali”. È il caso della naturopatia, che prescinde totalmente dalla diagnosi clinica e

si limita a valutare la condizione di benessere della persona sulla base del modo in cui

conduce la sua vita quotidiana, suggerendo di conseguenza rimedi naturali e non

farmaci, oltre a modifiche, magari anche radicali, dello stile di vita (Sanfo, 2003).

• Quelle che utilizzano strumenti diagnostici alternativi per rilevare patologie secondo i

canoni della medicina tradizionale. Per esempio l’iridologia (Di Spazio, 1995; Lo Rito,

1993; Ratti, 2000) quando si propone di diagnosticare predisposizioni a patologie sulla

base dei segni dell’iride; la visologia, che compie la stessa “diagnosi” osservando i segni

e le caratteristiche del viso, l’analisi con apparecchiature di biorisonanza e altre tecniche

diagnostiche piuttosto fantasiose (Sanfo, 2005). Anche in questo caso, come

accennavamo poco sopra, manca qualsiasi prova circa validità ed efficacia di queste

medicine.

• Le attività terapeutiche di gruppo, di tipo catartico o psicoterapeutico, che non

presuppongono diagnosi, prognosi e neppure una terapia nel senso comune del termine

(cioè come prescrizione di rimedi) e che, nelle intenzioni dei loro fruitori, possono

anche essere svolte per pura curiosità, sete di conoscenza e di esperienze fuori dal

comune, come arricchimento spirituale o culturale o come mezzo per conoscersi meglio.

Rientrano in questa categoria innumerevoli discipline: la pet therapy, dance therapy, art

therapy, le “costellazioni familiari” (Hellinger, Hovel, 2001) e lo psicodramma nelle

loro infinite variazioni, il reiki, la pranoterapia e tutte le tecniche di “trasferimento

energetico”, la camminata sui carboni ardenti. Nella quasi totalità dei casi, queste

attività a scopo psicoterapeutico non sono condotte da personale qualificato in

psicoterapia, ma da personaggi di diversa estrazione e formazione culturale e

professionale, spesso da semplici cultori o appassionati di temi legati alla spiritualità, al

misticismo e alla psicologia esoterica, ma privi di competenza legalmente riconosciuta

nella gestione di qualsiasi forma di relazione terapeutica .

Le caratteristiche comuni a questa costellazione di medicine consentono di definirle quindi

come tutte quelle forme di diagnosi e cura della persona che prescindono da criteri, regole,

principi e metodi propri della scienza e della medicina occidentale. Dal che discende una

considerazione che è centrale in questo lavoro.

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Se esse agiscono positivamente sulla salute dell’essere umano nonostante utilizzino basi

teoriche, principi, strumenti e terapie estranee alla medicina scientifica, è chiaro che esse

pongono il problema di indagare a fondo e seriamente sul loro fondamento e sulla loro

efficacia, in quanto, se effettivamente utili nella cura della salute e del benessere, esse

costituirebbero un patrimonio che la cultura scientifica ha colpevolmente trascurato, in certi

casi da secoli.

A partire da questa ipotesi, ci proponiamo di indagare sul fatto che l’efficacia delle

medicine alternative si fondi non su intrinseche caratteristiche della cura, quanto

sull’attivazione di processi cognitivi che conducono a loro volta all’innesco di reazioni a

livello fisiologico, spesso utili a migliorare la condizione di salute del paziente. In altre

parole, se saremo in grado di dimostrare esaustivamente quanti e quali errori cognitivi,

quanti e quali processi inferenziali illogici e scorretti siano alla base della convinzione

soggettiva dell’efficacia di queste cure, avremo allora a disposizione sufficienti prove a

sostegno della tesi secondo cui i processi omeostatici (in gran parte sconosciuti) e la nostra

mente sono in grado di produrre effetti fisiologici assimilabili a quelli dei farmaci, almeno

sul piano della percezione dell’efficacia della cura.

Dopo aver illustrato quale sia il limitato campo di applicazione di questo tipo di medicine,

e cioè quello dei disturbi allergici, psicosomatici e acuti di lieve entità (Correa-Velez,

Clavarino, Barret, 2003; Moerman, 2004; Richardson, 2004) svilupperemo la nostra ipotesi

di base sulla constatazione, suffragata da osservazioni e ricerche scientifiche (Antonosky,

1987; Argyle, 1987; Astin, 1998; Richardson, 2004; Sharma, 1992; Sointu, 2006), che la

guarigione, la remissione dei sintomi, la condizione di ritrovato benessere e il recupero

della salute a seguito di tali cure non sono da attribuire, se non in parte, alla cura stessa

(nei termini dell’attivazione diretta di processi biochimici e fisici scientificamente

osservabili e controllabili). Piuttosto, questi effetti sembrano dovuti a fattori in parte

sconosciuti alla scienza medica e in parte ben conosciuti alla moderna psicologia, come

placebo (Moerman, 2004; Dobrilla, 2004), suggestione (Dilts, Grinder, Bandler, Bandler,

DeLozier, 1982; Peluffo, 1999; Zangrilli, 2001), capacità persuasiva del terapeuta (Asher,

1972; Skrabanek, McCormick, 2002; Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971), capacità

persuasiva di gruppo (Asch, 1958; Gulotta, 1999), wishful thinking (Gulotta, 1999;

Gulotta, Boi, 1997; Morlock, 1967; Spaltro, 2007), pensiero magico (Giusberti, Nori 2000;

Monaco, 2007), persino la fede (Fusi 2006; Pavese, 2005).

Gli interrogativi cui cercheremo di rispondere, analizzando studi e ricerche in proposito,

sono quindi i seguenti:

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• Fino a che punto la diffusione delle medicine alternative è dovuta alla loro efficacia e

quanta parte gioca invece, eventualmente, la suggestione, l’influenza del gruppo sociale

e culturale di appartenenza, la moda, l’irresistibile bisogno di credere nell’ignoto, il

desiderio di un ritorno al passato (in tutte le sue forme, in quanto considerato un periodo

più consono a garantire un ottimale stato di salute)?

• Quale effettivo bisogno si cerca di soddisfare attraverso il ricorso alle medicine

alternative? La guarigione dai sintomi organici di una malattia, o qualcos’altro?

• Qual’è esattamente, nelle intenzioni dei loro fruitori, il campo di intervento delle

medicine alternative? Coincide con quello della medicina convenzionale? E se la

risposta è positiva, quali vantaggi offrono e specialmente quale livello di efficacia

possono vantare le medicine alternative rispetto a quella convenzionale?

• Infine: quali fattori intervengono nella percezione soggettiva di una migliorata

condizione di benessere a seguito della sottoposizione a cure “alternative”?

La letteratura scientifica internazionale non fornisce nessuno studio comparativo circa

l’efficacia della medicina non convenzionale rispetto a quella alternativa. Ciò perché, come

abbiamo sottolineato più volte, non è possibile il raffronto tra discipline che si fondano su

principi diversi, delle quali una rifiuta l’adozione del metodo scientifico, e che, oltretutto,

mostrano nei fatti di avere anche scopi diversi (la cura delle malattie l’una, la cura della

salute l’altra). Si consideri poi che mentre la medicina scientifica è una sola, quella

alternativa è composta di centinaia di pratiche, terapie e tecniche diverse, per cui un serio

confronto sarebbe praticamente impossibile.

Non è quindi su questo impossibile confronto che abbiamo centrato la nostra attenzione,

volendo indagare sulla percezione dell’efficacia delle medicine non convenzionali, quanto

su come le cure alternative siano percepite, vissute e interpretate da coloro che ad esse

fanno ricorso.

1 . 1 . Il paradigma “biopsicosociale”

La posizione di monopolio nell’ambito della salute da parte della medicina scientifica su

cui si fonda ancora oggi il paradigma biomedico è stata conquistata grazie agli straordinari

e rapidi successi ottenuti nel corso del secolo scorso, grazie alla scoperta di farmaci efficaci

contro le malattie infettive, le vaccinazioni, e dallo sviluppo di strumenti diagnostici e di

analisi sempre più sofisticati e sempre meno invasivi, nonché dall’affinamento delle

tecniche chirurgiche. Secondo Murray e Pizzorno (2000, p. 8), la “presa di potere

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monopolistico della medicina allopatica può essere fatta risalire alla metà degli anni trenta

del secolo scorso”, quando si verificarono parecchi fattori che offrirono l’opportunità alla

professione medica di gettare le fondamenta del suo effettivo attuale monopolio della cura

della salute: le fondazioni appoggiate dalle industrie chimiche e farmaceutiche

cominciarono a sovvenzionare in modo massiccio le facoltà di medicina; la classe medica

smise finalmente di usare le sue terapie “eroiche” (il salasso e il dosaggio del mercurio) e

fu in grado di sostituirle con terapie che erano più efficaci nel trattamento dei sintomi e

molto meno tossiche; inoltre, essa divenne molto più provveduta dal punto di vista politico

e, utilizzando i notevolissimi progressi tecnologici in chirurgia, resi possibili dalle due

guerre mondiali, fu in grado di convincere sia l’opinione pubblica sia i politici

dell’evidente superiorità dei suoi sistemi. Tutto ciò ebbe come risultato l’approvazione di

leggi che limitavano severamente l’attuazione di altri sistemi terapeutici. L’insieme di

questi fattori, abbinato al parallelo progresso tecnologico in tutti i settori della nostra vita,

ha favorito la nascita e lo sviluppo dell’illusione di una onnipotenza curativa da parte di

scienza medica e tecnologia, le quali, per di più, hanno cominciato a svelare il fondamento

e le giustificazioni scientifiche di tutte le altre pratiche o tecniche terapeutiche che si

rifacevano alla cosiddetta medicina popolare, e che oggi definiamo medicine alternative.

La crisi del paradigma biomedico cui abbiamo fatto riferimento si inquadra in un più

generale orientamento di carattere costruttivista e socio-costruzionistico (Bara, 2000,

Petrillo, 2004): secondo questo nuovo modello la salute è una costruzione sociale, cioè

socialmente costruita nel contesto delle relazioni umane. Il modello biopsicosociale

propone cioè un concetto globale di salute coerente con l’approccio della teoria generale

dei sistemi (Bertalanffy von; 1971; Bertini, 1988).

La teoria generale dei sistemi collega in un tutto unico le scoperte delle scienze fisiche,

filosofiche e psicologiche, concependo la biosfera alla luce di un modello ecologico

globale, in cui l’organismo umano, la persona, comprende più sottosistemi che la

costituiscono, di carattere fisico, emozionale, cognitivo, spirituale ecc (Bertalanffy von,

1971; Gulotta, 1999). A sua volta la persona è compresa all’interno di uno dei sistemi più

ampi: il microsistema (famiglia, luoghi di lavoro, amici ecc), il mesosistema (tutti i sistemi

interagenti nella vita quotidiana), l’esosistema (organizzazioni governative, economiche,

religiose ecc), e il macrosistema (cultura, convinzioni comuni, aspettative sociali ecc)

(Capra, 1997; Petrillo, 2006).

L’ottica del nuovo paradigma si sposta quindi dalla lotta alla malattia alla promozione

della salute, che assume una diversa centralità. Il concetto stesso di salute va ben oltre la

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sfera fisica, al punto da sfumare in quello di benessere, in cui le componenti biologica,

psicologica e sociale assurgono a dimensioni portanti di pari dignità. L’ottica non è più

quella medica, ma quella integrata e olistica che assegna alla persona e non al corpo malato

il ruolo di protagonista della salute e del benessere.

Il benessere è un concetto positivo, legato alla salutogenesi, mentre la medicina opera

attraverso la lotta al negativo in un’ottica di patogenesi, e per questo motivo si caratterizza

nei confronti delle altre discipline per un continuo e esasperato richiamo alla cautela e alla

ricerca degli aspetti negativi dell’esistenza.

La medicina alternativa nasce, o meglio, sta nascendo attualmente nel mondo occidentale

dall’esigenza di concepire la salute e la nostra vita come rivolta anche e specialmente alla

ricerca del bene, in senso positivo, anziché alla lotta contro il male, cioè contrapponendo

una visione orientata alla salutogenesi anziché alla patogenesi (Engel, 1997; Dethlefsen,

Dahlke, 2000; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Sanfo, 2003) .

Resta da analizzare un aspetto particolarmente difficile: ammettendo la legittimità e

l’opportunità di un approccio alla salute non medico, ma alternativo ad esso, è possibile,

come parte dei cosiddetti medici alternativi sostiene (Benveniste, Davenas, Beauvais,

Amara, Oberbaum, Robinzon, Miadonna, Tedeschi, Pomeranz, Fortner, Belon, 1988; De

Chirico, 2000; Di Spazio, 1995; Kleijnen, Knipschild, Rietter 1991), dimostrare la validità

e l’efficacia delle cure alternative in termini rigorosamente scientifici? Se la risposta fosse

positiva, allora la medicina alternativa dovrebbe cessare di essere tale, per essere ricondotta

nell’ambito della medicina scientifica. Ma se la risposta fosse negativa, allora gli effetti

positivi e soggettivamente percepiti da parte di coloro che alle medicine alternative si sono

rivolti, dovrebbero avere un fondamento non scientifico. In questo secondo caso sarà

necessario definire più esattamente quali siano questi fattori e quali, specialmente, le loro

caratteristiche. In questo modo avremo chiarito quali siano i meccanismi che producono un

miglioramento dello stato di salute, distinguendo tra quelli dovuti ai normali e fisiologici

processi di autoguarigione da quelli più strettamente cognitivi, quali l’effetto placebo e le

altre risorse cognitive più o meno conosciute.

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Capitolo 2°

Che cos’è e come si misura l’efficacia di un metodo terapeutico

Per efficacia di un intervento terapeutico, di una cura o di un rimedio, si intende la sua

capacità di modificare la normale storia evolutiva di una malattia, intervenendo

positivamente sulla specifica condizione in esame, e non semplicemente sullo stato di

salute generale della persona (Pedon, Gnisci, 2004). In altri termini, una cura, per essere

efficace, deve agire in maniera appropriata sulla specifica causa della malattia,

rimuovendola, se possibile definitivamente, o rendendola perlomeno tale da permettere di

condurre un’ esistenza priva di dolore e limitazioni. In termini clinici si definisce efficace

quel trattamento o quella terapia capace di aumentare la sopravvivenza dei pazienti trattati,

di ridurre le conseguenze negative legate alla storia evolutiva della malattia in questione

oppure di agire positivamente sui sintomi provocati dalla malattia, ad esempio riducendo il

dolore (Mauri, Tinti, 2006; Murray, Pizzorno, 2000; Pedon, Gnisci, 2004).

Qualunque sia l’obiettivo terapeutico che ci si propone, è necessario che l’efficacia di una

cura sia valutata a condizione che siano rispettati principi ormai condivisi da tutta la

comunità scientifica: bisogna produrre prove tangibili della capacità (pur se parziale) di

raggiungere gli obiettivi dichiarati. In campo internazionale questa prova prende il nome di

evidenza di efficacia (evidence of effectiveness; Gray, 1997; Sackett 1996) e permette di

sostenere che, sulla base dei risultati della sperimentazione, il trattamento in esame ha

dimostrato di saper produrre il risultato inizialmente promesso.

Lo “studio clinico randomizzato” (randomised controlled trial) rappresenta un valido

strumento che la comunità scientifica ha sviluppato per valutare l’efficacia di una terapia

(Pedon, Gnisci, 2004, Moerman, 2004). Esso prevede che la cura in esame venga

somministrata a tre gruppi di pazienti affetti da quella particolare malattia che la cura

intende guarire. L’andamento della cura e i suoi risultati sono valutati non di per sé, ma nel

confronto tra i gruppi (di uguale consistenza e con le medesime caratteristiche del primo,

ma i cui componenti sono distribuiti a caso tra i tre gruppi). Al primo gruppo viene

somministrata la cura che si intende testare, al secondo, il gruppo di controllo o di storia

naturale, non viene somministrata nessuna cura, il terzo è il cosiddetto gruppo placebo.

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Perché una terapia sia considerata efficace nella cura di una certa malattia essa deve

dimostrare di produrre un effetto superiore a quello generato dal solo effetto placebo e a

quello che si produce attraverso il ripristino fisiologico dell’omeostasi, legato al trascorrere

di un certo periodo di tempo, diverso per ogni malattia e ogni paziente, e evidenziato dal

gruppo di storia naturale.

Un secondo principio imprescindibile di ogni ricerca medica è quello della cecità del trial.

Essa garantisce la minima interferenza possibile, consapevole o meno, sull’andamento e i

risultati del trattamento, da parte del rilevatore (singolo cieco) il quale non deve conoscere

il tipo di trattamento somministrato a ogni paziente, e dello stesso paziente (doppio cieco),

il quale, sapendo di partecipare a un trial scientifico potrebbe lasciarsi influenzare dalla

maggiore o minore fiducia nel trattamento proposto. Nel caso di trials in doppio cieco la

cecità è possibile quando sia il medico sia i due gruppi trattati ricevono trattamenti diversi

nel principio attivo, ma assolutamente indistinguibili nella forma (Pedon, Gnisci, 2004).

2. 1. Efficacia in termini scientifici delle medicine alternative

Se lo scopo della medicina alternativa è quello di migliorare la condizione di salute e di

benessere senza combattere direttamente i sintomi delle eventuali malattie di cui la persona

soffre, sorge il problema di come sia possibile “misurare” scientificamente il

miglioramento della condizione di benessere.

I sostenitori delle medicine alternative sostengono che, al di là delle prove scientifiche,

esse, semplicemente, “funzionino”(Butto, 2003; Chopra, 1992; De Chirico, 2000; Pace,

1933) . Tale affermazione non è sufficiente per giustificare l’utilizzo di cure che vanno ad

agire sulla salute dell’essere umano: l’ipotesi scientifica deve essere, per sua natura,

sottoposta continuamente al vaglio di critiche e miglioramenti, e chi la propone si

sottopone al rischio che la sua teoria venga falsificata. Anzi, una teoria che intenda

acquisire un carattere empirico ed essere riconosciuta e utilizzata con pari dignità di

qualsiasi altra deve offrirsi alla possibilità di essere confutata e falsificata. Ciò che

caratterizza il metodo empirico “è la maniera in cui esso espone alla falsificazione, in ogni

modo concepibile, il sistema che si deve controllare. Il suo scopo non è quello di salvare la

vita ai sistemi insostenibili, ma al contrario, quello di scegliere il sistema che al paragone si

rivela più adatto, dopo averli esposti tutti alla più feroce lotta per la sopravvivenza”

(Popper, 1970, p.20).

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Come invece è stato notato (Skrabanek, McCormick, 2002), la caratteristica peculiare del

sostenitore delle medicine alternative è quella di dare per scontata la loro validità ed

efficacia; dare per scontata l’esistenza di studi scientifici che dimostrino

inequivocabilmente questa efficacia; rimuovere automaticamente dalla coscienza tutti i

fatti, i dati, le considerazioni che possano in qualunque modo scuotere la fede nella

medicina alternativa; ignorare sistematicamente qualunque tipo di ragionamento logico che

possa dimostrare l’inefficacia o l’assurdità di questo tipo di fede; utilizzare ipotesi ad hoc e

un linguaggio “oscurantista” (Gulotta, Boi, 1997; Pedon, Gnisci, 2004).

In realtà, anche facendo riferimento al curioso e poco scientifico parametro del

“funzionamento”, esse non funzionano perché non rispettano la “legge di guarigione

totale” secondo cui una terapia è valida quando la patologia è guarita totalmente nella

totalità dei casi in un tempo breve (Brancato, Pandolfi, 2005; Skrabanek, McCormick,

2002). Non esistono patologie curate globalmente dalle medicine alternative. Globalmente

significa che "tutti i pazienti affetti da una determinata patologia con la cura del caso

guariscono". Le medicine alternative riferiscono guarigioni, ma sono sempre singole

(Astin, 1998). Non esiste mai la certezza che invece fornisce la medicina tradizionale,

almeno su un numero ormai vasto di malattie, attraverso la pubblicazione di risultati

relativi a ricerche condotte secondo criteri e metodologie scientificamente accettate e

validate dalla comunità scientifica di riferimento. Non esistono neppure patologie, o classi

di esse, per cui una qualunque delle centinaia di cure alternative abbia mai dimostrato una

efficacia pari o superiore alle cure tradizionali (Borraccino, 2007; Ferrieri, Lodispoto,

2001). E a maggior ragione, nonostante queste medicine si definiscano tali e siano spesso

praticate da medici, esse non si propongono di curare chirurgicamente (non esiste la

chirurgia alternativa), né sono mai state utilizzate per patologie di urgenza (non esistono

centri di pronto soccorso omeopatici o alternativi, per intenderci, in nessuna parte del

mondo), né per tutte le patologie gravi e potenzialmente mortali. A fronte di queste

considerazioni, i fautori delle medicine alternative continuano a fornire prove singole di

guarigioni, mai suffragate da fatti incontrovertibili, tramite i loro specifici canali di

informazione, cioè riviste prive di qualsiasi rilevanza in termini di affidabilità secondo la

comunità scientifica internazionale (Pedon, Gnisci, 2004), edite da aziende che producono

rimedi alternativi o da scuole di insegnamento privato di medicine alternative (si veda, per

esempio, “Riza salute” e “Riza psicosomatica”, oppure “Medicina funzionale”, “Omeo

Net”o ancora “La medicina biologica”).

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È curioso notare come questo dibattito, osservato nell’ottica della psicologia sociale,

assomigli sempre più a un dialogo tra sordi. Un aspetto particolarmente grottesco dello

scontro fra la cultura della soggettività e la cultura dell’oggettività è l’affannarsi di alcuni

nel prendere alla lettera la prospettiva magica (propria delle medicine alternative) e nel

cercarne un’interpretazione definita o auspicata come scientifica. Ci troviamo di fronte,

cioè, alla situazione paradossale, ben evidenziata da alcuni autori (Dobrilla, 2004;

Moerman, 2004), per cui da un lato i sostenitori delle medicine alternative sostengono

come non sia possibile valutare le medicine alternative sulla base di criteri scientifici, dal

momento che non è ad essi che esse fanno riferimento, né nella teoria, né nei metodi, e che

gli effetti delle relative cure non sono valutabili secondo il metodo scientifico dell’analisi di

laboratorio o clinica; dall’altra continuano a ricercare una giustificazione e una prova

scientifica dell’ esistenza di queste medicine, salutando come prove scientifiche

incontrovertibili tutte le ricerche che sembrino dimostrare una qualche efficacia dei rimedi

alternativi, superiore al placebo. Che le osservazioni personali o i casi aneddotici non

possano sostituire trials in doppio cieco, randomizzato, multicentrico, ed eseguito su grandi

numeri di pazienti, dovrebbero essere concetti risaputi; ma l’ostinazione con cui alcuni

medici e i sostenitori delle medicine alternative proclamano la loro fede nella loro efficacia,

pur in assenza di prove certe, è la dimostrazione che non solo la gente comune ma anche

alcuni scienziati preferiscono credere - secondo il ben noto principio del “wishful thinking”

(Gulotta, 1997 e 1999; Morlock, 1967; Spaltro, 2007) piuttosto che affrontare la realtà dei

fatti. E i fatti, almeno in questo caso, parlano chiaro. Nel senso, perlomeno, che non

mostrano mai una inequivocabile efficacia delle cure alternative (Garlaschelli, 1999;

Kleijnen, Knipschild, Rietter, 1991; Maddox , Randi , Stuart, 1988; Moerman, 2004).

Proprio questa ostinazione dei sostenitori delle discipline alternative ad attribuire ad esse

effetti non mai dimostrati rende ragione della necessità di ricercare le motivazioni e gli

errori cognitivi che stanno alla base della loro stessa esistenza. Se saremo in grado di

dimostrare che l’efficacia delle medicine alternative non si fonda sui fattori addotti dai loro

sostenitori, ma su illusioni cognitive e nella ricerca di una spiegazione irrazionale della

realtà, saremo in grado di permettere lo studio dei loro reali effetti positivi su basi

scientifiche.

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2. 2. L’ Efficacia alternativa delle medicine alternative

Alla luce della letteratura scientifica, possiamo ragionevolmente affermare che l’efficacia

delle medicine alternative non è stata mai dimostrata sul piano dei riscontri scientifici

propri della medicina convenzionale (Brancato, Pandolfi, 2005; Moerman, 2004;

Skrabaneck, McCormick, 2003) . Ma una certa efficacia, almeno secondo le affermazioni

di parte di coloro che ad esse fanno ricorso, esiste (Antonovsky,1987; Astin, 1998; Fulder,

1996; Richardson, 2004; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991). Come valutarla?

Gli autori che si sono occupati dell’argomento (Antonovsky,1987; Argyle, 1987; Diener,

1998; Gray, 1997; Sointu, 2006) sono concordi nel ritenere che gli effetti e l’efficacia di

queste medicine vanno valutate secondo tre aspetti:

1. quello della valutazione soggettiva e introspettiva, da parte dell’utente stesso,

2. quello della valutazione da parte del terapista, relativamente a quanto il cliente

riporta circa le modificazioni nel suo stile di vita,

3. quello scientifico e oggettivo dei parametri clinici.

La misurazione dello stato di salute, inteso come assenza di malattia, è certamente

osservabile e misurabile oggettivamente facendo riferimento a dati di carattere fisiologico.

Quando però il concetto di salute si estende a comprendere la condizione biosociale e

psicologica della persona, allora ci troviamo di fronte all’impossibilità di una valutazione

oggettiva, perché di per sé priva di parametri di riferimento standard (come può essere, per

esempio, il valore corretto di colesterolo ematico o il livello di pressione arteriosa) e

caratterizzata da troppe variabili. Il benessere è infatti una condizione soggettiva, relativa, e

valutabile quasi esclusivamente attraverso l’introspezione (Gadamer, 1933).

Infatti, in mancanza di dati scientifici circa l’efficacia delle medicine alternative nella cura

delle patologie, i ricercatori che si sono occupati dell’argomento hanno dovuto puntare la

loro attenzione e la loro analisi su fattori più legati al benessere, alla ricerca di una

condizione di equilibrio psicofisico, di recupero di autostima e consapevolezza. Molti di

coloro che si rivolgono alle medicine alternative cercano un senso soggettivo di benessere

piuttosto che semplice salute intesa come assenza di malattia (Diener, 1998). “Questo

benessere è concepito in termini di fattori quali consapevolezza e possibilità di scelte

riguardo alla propria vita” (Sointu, 2006).

Tra gli studi che hanno affrontato il problema specifico della misurazione della

soddisfazione dei pazienti che si rivolgono alle medicine alternative (Thomas, Carr,

Westlake, Williams, 1991; Thomas, Nicholl, Coleman, 2001; Fulder,1996; Wernike,

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Turner, Priebke 2006; Wiles, Rosenberg, 2001) si consideri quello (Richardson, 2004)

svolto su 327 pazienti cui sono state somministrate cure di agopuntura, osteopatia e

omeopatia.

Ai fini della misurazione dell’efficacia delle terapie è stato utilizzato un questionario di

autovalutazione che prende in considerazione quattro parametri principali: benessere

percepito, disagio e disabilità sociale e di ruolo, modalità di comportamento, valutazione

personale. Inoltre, veniva richiesto di rispondere alla domanda: “Cosa si aspetta dalla

terapia medica alternativa?”.

Si noti innanzitutto che quelli che sono valutati in questo studio (Richardson, 2004) sono i

soli disturbi di cui si occupano le medicine alternative: malattie acute respiratorie

(raffreddori, per intenderci, non certo polmoniti), malattie allergiche in genere, eruzioni e

arrossamenti cutanei di origine probabilmente allergica, dolori muscolari e articolari. Tutti

questi disturbi hanno in comune il fatto di non essere mortali e di risolversi, in genere,

senza bisogno dell’intervento del medico, trattandosi, sostanzialmente di condizioni che

potremmo definire di malessere, ma non certo di malattia vera e propria.

Le malattie possono essere classificate in downhill, (per esempio, cancro in fase terminale),

cioè degenerative; static, (per esempio, ipertensione arteriosa) cioè malattie croniche

caratterizzate dall’assenza quasi totale di variazioni nel loro andamento; fluctuating (per

esempio colon irritabile), cioè le malattie acute, caratterizzate da una fase iniziale

progressivamente tendente alla gravità, un picco e una fase di remissione naturale dei

sintomi (Moerman 2004). Gli studi in materia (Antonosky, 1987; Argyle, 1987; Sointu,

2006) sembrano evidenziare il fatto che le cure alternative sono prestate non per combattere

in senso allopatico una patologia, quanto per prendersi cura del malessere di una persona

fondamentalmente sana, affetta da disturbo fluctuating, oppure a scopo palliativo, per

alleviare le sofferenze in pazienti per i quali la medicina non ha più armi a sua

disposizione, come i malati terminali (Correa-Velez, Clavarino, Barret, Eastwood, 2003) .

Restano al di fuori della valutazione di questi studi (Thomas, Carr, Westlake, Williams,

1991; Thomas, Nicholl, Coleman, 2001; Fulder,1996; Richardson, 2004; Wernike, Turner,

Priebke 2006; Wiles, Rosenberg, 2001), che si propongono di rilevare l’efficacia delle cure

alternative, tutte le malattie gravi, croniche e degenerative e in genere tutti quei disturbi

che possono condurre alla morte. Nessuno studio riporta dati relativi al beneficio percepito

in termini oggettivi (per esempio, riduzione dello stato infiammatorio) ma tutti si limitano a

riportare ancora una volta quelle che sono semplicemente le aspettative di coloro che

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vedono nelle medicine alternative non tanto un metodo di cura più efficace o meno

dannoso, quanto le seguenti motivazioni:

• sollievo dal dolore muscolare o articolare (per il quale manca la prova oggettiva, come

dicevamo, della efficacia delle cure prestate)

• un approccio terapeutico di tipo olistico (interpretato come l’esigenza di essere presi in

considerazione come persone e non come “portatori di una patologia”)

• miglioramento della qualità della vita

• informazioni più complete di quelle fornite dalla medicina convenzionale sul loro reale

stato di salute

• ripiego rispetto a cure convenzionali rivelatesi inefficaci

• consigli e suggerimenti di autocura e medicazione (Richardson, 2004).

In conclusione, i pochi studi che hanno affrontato il tema dell’efficacia delle medicine

alternative si sono limitati a rilevare le aspettative di guarigione attraverso forme di cura

più ”umane” e rispettose della persona, senza peraltro poter ricollegare il ricorso a tali cure

alternative con alcun dato relativo all’efficacia in termini oggettivi delle medesime,

tantomeno attraverso un confronto con l’efficacia di cure convenzionali prestate per le

stesse patologie.

In altre parole, non ci troviamo di fronte ai risultati di una serie di cure prestate per

patologie, ma solo alla misurazione del grado di fiducia, dell’interesse, delle aspettative dei

pazienti sottoposti a cure alternative; per cui, in primo luogo, si riconosce implicitamente il

fatto che le cure alternative non sono dirette alla cura di malattie, come è invece compito

della medicina tradizionale, e in secondo luogo, si conferma che il ricorso alle medicine

alternative trova la sua ragione di essere nella ricerca di accoglienza, contenimento, ascolto,

più che di un metodo alternativo per curare una malattia. Il che sembra cominciare a

costruire uno dei tasselli a supporto della nostra ipotesi proposta con il presente lavoro, e

cioè che le medicine alternative non hanno alcuna efficacia sulla cura diretta delle

patologie, ma, a dispetto del loro fantasioso apparato di fondamenti parascientifici,

agiscono solo a livello psicologico, producendo peraltro in questo modo effettivi

miglioramenti dello stato di salute. Si consideri a questo proposito l’affermazione secondo

cui “ Nonostante il fatto che le medicine alternative e complementari possano essere

utilizzate per la cura di malattie serie, la guarigione prodotta attraverso questi sistemi di

cura è interpretata come qualcosa che trascende la salute in senso fisiologico e si riferisce

piuttosto a un dichiarato “senso di benessere” (Sointu, 2006, p.1).

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2 . 3 . Considerazioni circa le motivazioni al ricorso alle medicine alternative

Il ricorso alle medicine alternative è spesso giustificato o dalla necessità di risolvere un

problema di salute che la medicina convenzionale non è riuscita a gestire, o perché la

cosiddetta “biomedicina” non ha “prodotto i risultati desiderati” (Sacks 2003, p.113).

“Alcuni cercano in esse sollievo alla disperazione di fronte a una malattia terminale, altri

utilizzano queste cure per semplice mantenimento dello stato di salute” (Sointu 2006). Il

fatto che il ricorso alle cure alternative sia motivato da considerazioni o preoccupazioni

legate più alla salute e al corretto stile di vita che alla malattia, è confermato anche da una

ricerca italiana sulla medicina non convenzionale (Format, 2003).

La ricerca Format del 2003 è una ricerca di mercato del tipo multiclient condotta da un

istituto specializzato su un campione statisticamente significativo della popolazione italiana

di età superiore ai 18 anni, con una numerosità campionaria di 865 individui. Il campione

era di tipo proporzionale, stratificato a due stadi: aree geografiche (primo stadio) e

ampiezza dei centri demografici (secondo stadio). Il campione è stato inoltre controllato

utilizzando i seguenti caratteri delle unità statistiche: sesso, classi di età, stato civile,

utilizzando l’Istat come fonte per la distribuzione della popolazione.

Le risposte che ci interessano, ai fini del presente lavoro, sono state date in relazione alle

seguenti domande:

1. i primi items si riferiscono al grado di diffusione delle medicine complementari

valutato secondo le risposte a domande circa il ricordo, spontaneo o sollecitato,

della loro esistenza. (items n° 1e 2)

2. i successivi si riferiscono al ricorso ad esse (items n° 2, 3,4)

3. le domande 5, 5 bis, 6 e 7 si riferiscono alla loro utilità, come percepita dagli

intervistati.

4. l’item n° 15 chiede: “Per quali problemi avete fatto uso di terapie non convenzionali

nell’ultimo anno?”

La risposta all’item n° 7 (per quale motivo ritiene utili le terapie non convenzionali?)

mostra inequivocabilmente che il ricorso ad esse è paradossalmente giustificato

dall’esigenza di non subire effetti dannosi indesiderati dalla cura, piuttosto che ottenere la

guarigione: oltre il 30,5% degli intervistati ritiene utili le terapie non convenzionali per la

loro minore tossicità, il 10,6% perché “sono cure più naturali”, l’11,2% perché “sono

l’alternativa alla medicina convenzionale”, mentre solo l’8,7% perché sono anche più

efficaci. È piuttosto sorprendente la componente ideologica di queste risposte, che

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evidenziano più una preoccupazione per gli effetti dannosi delle cure tradizionali rispetto

alla valutazione in positivo delle cure alternative.

Le medicine alternative rappresenterebbero quindi una sorta di ripiego dopo aver

preventivamente sperimentato l’inefficacia delle cure tradizionali, oppure possono essere

vissute come una forma di primo soccorso della salute, quando il disturbo lamentato non è

grave, o prima che possa diventarlo. Nel primo caso ci si rivolge alle medicine alternative

quando quelle convenzionali hanno fallito, e cioè ex post. Nel secondo caso ci si rivolge

alle medicine alternative in via preventiva quando il disturbo non è valutato o percepito

come grave, per evitare di dover ricorrere alle cure mediche e specialmente

farmacologiche, considerate, come vedremo, piuttosto dannose da una parte della

popolazione. Solo in pochissimi casi il ricorso a cure alternative è considerato la scelta

primaria, ma mai comunque per patologie gravi o d’urgenza.

Le risposte all’item n° 15 della stessa ricerca (Format, 2003), mostrano come alla domanda:

“Per quali problemi avete fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno?” ad

eccezione del ricorso all’omeopatia (che viene vissuta come una medicina convenzionale

allopatica che però cura con rimedi non dannosi), la percentuale più alta, tra coloro che

hanno fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno, è proprio quella di coloro

che desideravano migliorare la qualità della loro vita, superiore cioè a quella di coloro che

volevano curare patologie croniche o degenerative (6,6% contro 5,8%), mentre circa il 6%

si rivolge alle medicine alternative persino per la cura di problemi psicologici (Format,

2003, item n°15).

D’altra parte, che si tratti di disturbi di lieve entità o meno, perlomeno dalla

autovalutazione di queste persone emerge il fatto che un miglioramento delle loro

condizioni di salute è stato soggettivamente percepito. Per questo motivo ci sembra utile

sbarazzare il campo da tutti i possibili fattori di disturbo della valutazione di questa

efficacia, per concentrare la nostra attenzione proprio sui reali fattori responsabili di tali

effetti positivi. Se cure, rimedi, farmaci omeopatici e trattamenti di tipo “alternativo”, si

fossero mai mostrati efficaci nella cura di qualsiasi malattia, avrebbero immediatamente

cessato di essere considerati alternativi, per entrare a far parte delle cure proprie della

medicina scientifica. Se, come riteniamo, i benefici che tali cure producono non sono legati

alle caratteristiche intrinseche delle stesse, ma a fattori psicologici, sarà allora al

miglioramento della conoscenza di questi ultimi che dovremo rivolgere la nostra attenzione

di terapeuti e di ricercatori. Ciò chiarito e scientificamente dimostrato, sarà possibile

approfondire ed estrapolare dal corpus delle medicine alternative quello straordinario

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patrimonio di elementi terapeutici che fino ad oggi è stato nascosto sotto il velo di

fantasiosi e inutili rimedi, rituali, protocolli e manipolazioni pressoché ininfluenti, di per sé,

a produrre qualsiasi miglioramento nello stato di salute.

Infatti, quando il recupero della salute non passa attraverso un intervento meccanico-

chirurgico, la guarigione e la remissione dei sintomi è legata a una serie infinita di fattori

fisiologici e psichici, come i casi delle cosiddette “straordinarie” confermano, rispetto ai

quali è spesso impossibile riconoscere quale tra essi sia stato preponderante sugli altri

(Hirshberg, Barash, 1995; O’ Regan, Hirshberg, 1993).

Ma al di là di queste situazioni estreme, il fatto stesso che tutte le ricerche medico-

scientifiche siano effettuate con studi randomizzati in doppio cieco e contro placebo

dimostra quanto fattori estranei alle proprietà “ufficiali” delle cure agiscano positivamente

e in maniera spesso sorprendente. Su questa linea si pone il neuroscienziato Antonio

Damasio, secondo il quale la medicina ha stentato a riconoscere che la percezione della

propria condizione di salute da parte del paziente è un fattore importante per l’esito della

cura. “Ancora troppo poco si sa sull’effetto placebo…Si comincia finalmente ad accettare il

fatto che disturbi psicologici, lievi o gravi, possano provocare malattie somatiche, ma

ancora non si studiano le circostanze - e la misura - in cui ciò può avvenire (Damasio,1995,

p. 346 ).

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Capitolo 3

Le illusioni cognitive

Alla base della refrattarietà dei sostenitori delle medicine alternative all’utilizzo del buon

senso, del senso critico e del metodo scientifico nel valutare la loro validità ed efficacia ci

sono alcuni atteggiamenti mentali che oggi la ricerca psicologica ha individuato e messo in

evidenza sotto la denominazione di illusioni cognitive (Gulotta, 1999; Nisbett, Ross, 1989;

Piattelli Palmarini, 1993). Attraverso il recupero di miti, tradizioni, simboli e filosofie del

passato o di paesi lontani, e la riproposizione della magia in forma apparentemente

scientifica, l’essere umano contemporaneo mostra di essere ancora alla ricerca di certezze e

di conoscenza, nonostante il notevole progresso (principalmente tecnologico) di cui si

vanta. Secondo Dorfles (1977), la nostra esistenza è ancora in gran parte intessuta di

elementi rituali, o meglio è proprio attraverso un concatenarsi di elementi, volere o no,

rituali, che l’umanità riesce a vincere la forza disgregatrice di un esistenza priva ormai di

ogni dimensione autenticamente mitica. “Nell’essere umano dei nostri giorni vivono

tutt’ora, anche se nascoste, la nostalgia dell’Eden perduto e la memoria dell’albero sacro,

simboli della vita e della trascendenza” (Eliade, 1976, p.68).

In quest’ottica possiamo quindi leggere, oltre al rinnovato interesse per le pratiche

magiche, l’interesse per tutto ciò che richiama al passato: anziché cercare di star dietro al

presente e al futuro, che corrono troppo forte e richiedono un costante sforzo di

adattamento (Cohen, 1964; Gleick, 2000) è molto più facile mobilitarsi per cercare di far

fermare il mondo e scendere in un paradiso dove tutto è naturale, dove regna la quiete e la

pace.

In mancanza di evidenze scientifiche, per convincerci a credere nell’efficacia delle

medicine alternative dobbiamo quindi rendere efficace ciò che non lo è. E ciò è possibile

con varie strategie, euristiche, illusioni cognitive trasformate in credenze, rimozione dei

fatti contrari, creazione di ipotesi ad hoc, strategie di esitamento (Gulotta, Boi, 1997;

Taylor, 1991). Naturalmente, alcuni individui sono più soggetti al potere suggestivo del

pensiero e delle pratiche magiche: si tratta di quelli che potremmo definire menti deboli.

Con questo termine non si intende fare riferimento a ipotetici giudizi di ordine intellettivo o

culturale, ma solo al fatto che certi soggetti mostrano più di altri di essere più facilmente

suggestionabili e di aver bisogno di certezze attraverso agenti e fattori esterni, collocando

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il loro locus of control all’esterno (Rotter, 1972). “Dolore e piacere sono le leve di cui

l’organismo ha bisogno perché le strategie istintive e quelle acquisite possano operare in

modo efficiente. Con ogni probabilità, furono anche le leve che controllarono lo sviluppo di

strategie per le decisioni sociali. Quando numerosi individui, riuniti in gruppi sociali,

provarono le dolorose conseguenze di certi fenomeni naturali, sociali, psicologici, fu

possibile lo sviluppo di strategie culturali e intellettuali che consentissero di affrontare

l’esperienza del dolore e forse di ridurlo” (Damasio, 1995, p.354). Meccanismi di difesa

inconsci (Freud, 1969), autoinganno (Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Nicola, 2003;

Rorty, 1991), wishful thinking (Morlock, 1967; Spaltro, 2007), illusioni positive (Taylor,

1991) sono alcune delle strategie che l’umanità, da sempre, mette in atto quotidianamente

per sopportare la sofferenza che nasce dalle perturbazioni indotte dalla natura all’integrità e

coerenza del nostro sé.

Neuroscienze (Damasio 1995, 2005; Edelman, 1995), scienza cognitiva (Bara, 2003),

psicologia cognitiva (Liotti, 2007; Veglia, 2007) e filosofia evoluzionistica (Dennet, 2000,

2004; Hitchens, 2007; Nunn, 2006; Dawkins, 2006, 2007) sono concordi nel ritenere che la

conoscenza resta lo strumento indispensabile per ripristinare la nostra coerenza interna ed

alleviare la nostra sofferenza, correggendo, in un lento processo evolutivo, la nostra

tendenza a sfuggire il dolore rifugiandoci nell’ignoranza e nell’illusione.

3. 1. Errori e illusioni cognitive

Come abbiamo testè accennato, una delle più importanti e recenti scoperte nel campo delle

scienze della mente è che fra verità ed errore esiste una terza dimensione psicologica basata

sulla illusione cognitiva (Gulotta, 2005; Gulotta, Boi, 1997; Gulotta, de Cataldo Neuburger,

1996; Nicola, 2003; Rorty, 1991; Taylor, 1991). Essa è sostanzialmente una strategia

spontanea, inconsapevole, potente e in buona parte insopprimibile, sviluppata sulla base

dell’esperienza. La differenza con l’errore è evidente nel diverso atteggiamento psicologico

che l’accompagna: la sensazione è quella di sapere esattamente cosa si sta facendo, al punto

che molto spesso c’è una specie di rifiuto della soluzione giusta. In altre parole, l’illusione

cognitiva è “una risposta istintiva ma scorretta, qualcosa di comparabile alle illusioni

ottiche nel campo percettivo” (Nicola, 2003, p. 109). Tutte le medicine alternative si

fondano proprio su precise illusioni cognitive: esse non si basano su dati verificabili,

ripetibili e in definitiva scientificamente provati; la loro logica deduttiva è, come vedremo,

regolarmente scorretta, le leggi che pretendono di ricavare induttivamente seguono un

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percorso privo di verità scientifica, di logica e non sono mai soggette a falsificazioni

(Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Heimann, 1999; Le

Moine, 2002; Maddox, Randi, Stuart 1988; Moerman, 2004; Skrabanek, McCormick,

2002). Eppure, nonostante tutto ciò sia facilmente verificabile e dimostrabile, siamo spesso

pronti ad accettare di sottoporci a cure dai nomi fantasiosi sulla base di riferimenti a

generici studi e ricerche, a tradizioni, a consigli e suggerimenti di persone che neppure

conosciamo.

Perché l’essere umano, da sempre votato alla logica e alla ricerca della razionalità

dovrebbe cadere così facilmente in queste illusioni cognitive? Perché teniamo in tanto poco

conto le probabilità di base, ossia la realtà effettiva del mondo, dando invece un’

importanza esclusiva a “ricerche”, teorie e testimonianze di per sé dubbie? E perché siamo

così veloci, sicuri, quasi istintivi nel commettere i relativi errori cognitivi? La risposta

potrebbe essere trovata ancora una volta nella nostra evoluzione: se la mente si è sviluppata

ed è stata “programmata” dall’evoluzione, ciò è avvenuto con l’obiettivo di fornire risposte

più veloci piuttosto che certe, più orientate alla sopravvivenza individuale e della specie,

piuttosto che alla correttezza logica. Le illusioni cognitive rappresentano il modo di

ragionare del nostro inconscio, della nostra sfera irrazionale, guidata da emozioni,

sentimenti, istinti e pulsioni.

“Le recenti ricerche sulle illusioni cognitive indicano la scoperta scientifica di un

inconscio. Non quello già esplorato dalla psicoanalisi, che coinvolge la sfera emotiva, bensì

un inconscio che coinvolge sempre a nostra insaputa la sfera cognitiva, cioè l’universo dei

ragionamenti, dei giudizi, delle scelte tra diverse opportunità, dei contrasti

(apparentemente) ben ponderati tra ciò che è ritenuto probabile o improbabile…..Mentre il

materiale dell’inconscio psicoanalitico viene alla luce nei sogni (…), il materiale di questo

inconscio sarà da cercarsi sui testi di economia, nelle borse valori, nelle sale da gioco, sui

contratti di assicurazione, nei consigli di amministrazione, nelle consultazioni cliniche, nei

meccanismi di manipolazione delle opinioni, nelle fluttuazioni elettorali e ovunque si

prendano decisioni in situazioni di incertezza” (Piattelli Palmarini, 1993, p. 85).

Le illusioni cognitive si manifestano tutte le volte che il nostro inconscio cognitivo (e cioè

le nostre emozioni, i ricordi e le pulsioni) emerge e si scontra con il nostro pensiero logico.

Se il legame con esperienze passate è molto carico emozionalmente, è difficile che la nostra

mente razionale prevalga, perché nella lotta tra istinto di sopravvivenza e raziocinio, è

ancora il primo a prevalere (Damasio, 2005; MacLean, 1973). In un’ottica evoluzionistica e

costruttivista, il ricorso a cure alternative rappresenterebbe quindi una sorta di regressione

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verso il sistema motivazionale dell’accudimento che comporta la rinuncia alla ricerca del

significato delle proprie azioni per rifugiarsi nel conforto e nella protezione (motivato a sua

volta dal sistema di attaccamento) del proprio gruppo sociale di riferimento e dei suoi

rituali (Bowlby, 1989; Liotti, 2007).

3. 2 . Una panoramica sugli errori cognitivi

La psicologia moderna ha raccolto da alcuni decenni una sterminata casistica di errori

cognitivi che possiamo riassumere sinteticamente classificandoli in base alla fase del

processo cognitivo in cui intervengono (Gulotta, 2005; Gulotta, de Cataldo Neuburger,

1996; Nicola, 2003; Skrabanek, McCormick, 2002).

Nel ragionamento deduttivo facciamo sistematicamente confusione tra conclusione vera e

conclusione valida (per esempio, in medicina alternativa, si giunge alla conclusione

dell’efficacia di un rimedio secondo un processo logico ineccepibile e che conduce a tale

conclusione valida, ma partendo da premesse che non sono vere, in quanto fondate soltanto

su ipotesi fantasiose e prive di fondamento scientificamente provato). Abusiamo della

generalizzazione induttiva (creiamo delle vere e proprie leggi, o schemi di comportamento

su presupposti troppo deboli e dati troppo poveri per permettere di formulare una legge).

Formuliamo giudizi sulla base di ciò che è più tipico, non più probabile: si tratta anche in

questo caso di un retaggio della nostra evoluzione, sviluppatosi per permettere all’essere

umano di prendere decisioni rapide in mancanza di dati sufficienti (Damasio, 1995;

LeDoux, 2003). Il criterio della tipicità, da questo punto di vista, è legato allo sviluppo

della nostra mente che ha imparato a ragionare per stereotipi: per la mente conta ciò che è

tipico, ossia ciò che è spesso, anche se non sempre, presente, anche a costo di un forte

grado di incertezza nel trattare cose poco tipiche. Per la mente, da una parte un oggetto

appartiene a una certa classe se grosso modo appartiene all’immagine mentale del

prototipo, dall’altra ogni oggetto di una classe deve grosso modo assomigliare allo

stereotipo mentale. Quindi un animale è tanto più uccello quanto più assomiglia a un

canarino, e ciò ci porta ad escludere d’impulso dalla categoria degli uccelli il pinguino o lo

struzzo (Bara, 1999; Eysenck, Keane, 1998). L’euristica della tipicità si accompagna a

quella della disponibilità mentale, secondo cui la normalità o l’eccezionalità di un evento

dipende dalla sua disponibilità mentale e non dalla sua frequenza oggettiva.

In mancanza di dati, tendiamo a formulare giudizi sulla base del cosiddetto pensiero

desiderativo, o wishful thinking, il quale sarà tanto più forte e condizionante il nostro

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giudizio, quanto più la valutazione di un fatto coinvolga la nostra sfera emotiva e affettiva.

In queste situazioni, per esempio quelle che riguardano la guarigione, i commenti

tenderanno ad enfatizzare l’evento come quasi miracoloso, attribuendo ai rimedi naturali, e

solo a quelli, la responsabilità del miglioramento dello stato di salute. Da un lato infatti la

tipicità determina la rievocazione inconsapevole di immagini di familiari sottoposti a cure

mediche inefficaci (magari per l’estrema gravità o ineluttabilità della malattia), di

interventi invasivi, di cure costosissime e debilitanti e così via. In questo modo si tende a

enfatizzare gli aspetti negativi della medicina, dimenticando i casi in cui è stata di vitale

importanza. Dall’altro lato si tende a fare di un caso eccezionale un caso tipico grazie al

wishful thinking (Morlock, 1967, Spaltro, 2007), cioè attribuendo alla medicina alternativa

il marchio di tipicità di cure efficaci e non dannose (e un marchio negativo per quella

convenzionale).

Tendiamo a confermare più che a falsificare le nostre ipotesi: quando ci viene richiesto di

dimostrare la verità di una certa legge scientifica, la tendenza comune è quella di fornire e

accumulare prove in favore della legge stessa, come se un’ulteriore conferma fosse più

utile di un’ eventuale smentita (Popper, 1970). Tant’è vero che un sottile osservatore

dell’animo umano come il già citato Evans, sottolineava polemicamente che “la maggior

parte di ciò che si definisce pensiero, anche riferendosi alle attività psichiche che si

svolgono nell’università, non è altro che ricerca di conferma a convinzioni preesistenti”

(Evans, 1948, p. 284).

Usiamo con molta difficoltà i principi di implicazione e il calcolo probabilistico.

L’implicazione è quel pensiero condizionale in cui la verità del secondo termine

(conseguente) è implicata (condizionata) dalla prima (antecedente) (Bara, 1999, 2000).

Quanto all’uso del calcolo delle probabilità, esso presuppone conoscenze di principi, regole

e procedure non facili da apprendere e da applicare, tanto più nella vita quotidiana e in

situazioni in cui sono richieste decisioni rapide. Per questo motivo tendiamo a vedere

rapporti di causa-effetto persino là dove non possono esistere (si veda per esempio al

capitolo successivo l’errore da correlazione temporale non causale), così che la probabilità

di un evento prodottosi per caso ci sembra in qualche modo influenzata dalla vicinanza di

altri eventi prodotti per caso. Gli errori dipendenti dal mancato rispetto delle regole della

statistica sono frequentissimi nel campo delle medicine non convenzionali: è facile infatti

manipolare i dati ponendo a confronto valori relativi con valori assoluti. Si tratta di quella

che Miceli, in “Numeri, dati, trappole” (2004), definisce come “la trappola della

percentuale”, rilevando come essa sia diffusa in tutti i settori della ricerca e

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dell’informazione. Se per esempio i dati ci dicono che il 10% degli italiani è favorevole alla

medicina alternativa e, all’interno di questa percentuale di persone, si rileva che il 40% le

ritiene più efficaci di quelle convenzionali, è possibile, in buona o mala fede, affermare che

il 40% degli italiani consideri le medicine alternative più efficaci di quelle convenzionali,

mentre essi sono una percentuale molto più bassa, cioè solo il 40% del 10 % del totale.

Probabilmente gli errori cognitivi sono un retaggio dell’evoluzione biologica della specie,

nel senso che dal punto di vista della lotta per la sopravvivenza è quasi sempre più

importante non tanto che le conclusioni siano corrette, quanto che corrispondano a come

stanno di fatto le cose nel mondo. Al di fuori però della lotta per la sopravvivenza, il

ricorso al pensiero magico e irrazionale perde di valore e di utilità pratica: la nostra mente

si è evoluta grazie a una tendenza verso il pensiero razionale, che si è dimostrato più utile,

anche dal punto di vista evolutivo, tutte le volte che il tempo e i dati a nostra disposizione

ci hanno permesso di analizzare razionalmente la situazione da affrontare (Damasio, 1995,

2005; Edelman, 2005).

3 . 3. Tassonomia degli errori cognitivi

Gli errori cognitivi possono essere distinti a seconda dello stadio di elaborazione

dell’informazione in cui si commette un errore nella logica della catena inferenziale. La

prima categoria di errori è quella che riguarda quelli commessi nella raccolta o acquisizione

dei dati e nel mancato controllo dell’informazione.

La seconda riguarda l’elaborazione dei dati o dell’informazione e conduce ad

• Errori del ragionamento deduttivo

• Errori del ragionamento induttivo

• Errori nel ragionamento abduttivo

Esaminiamo quindi nelle prossime pagine alcuni tra i più rappresentativi errori per ogni

categoria, precisando che il nostro scopo è evidentemente quello di evidenziare come

questo tipo di errori, euristiche e illusioni cognitive, connaturate al modo in cui l’individuo

cerca di dare senso e significato al suo rapporto col mondo, siano applicate al settore

specifico delle medicine alternative, e non siano quindi specifiche di esso. Con una

differenza fondamentale che ci preme sottolineare: in ambito scientifico il fondamento

della ricerca e della conoscenza risiede nella logica e nella razionalità, nel rispetto di una

metodologia accettata e condivisa dalla comunità scientifica e dei principi dell’empirismo e

del falsificazionismo (Bara, 2007; Gulotta, 1999; Pedon, Gnisci, 2004; Popper, 1970). Gli

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errori di ragionamento e inferenziali cui facciamo riferimento si verificano anche in campo

scientifico, come in ogni settore della conoscenza umana, ma l’atteggiamento scientifico

cerca di evitarli, di scoprirli, di riconoscerli e di correggerli. Al contrario, le medicine

alternative non sono discipline fondate su principi e metodologie scientifiche, né sul

pensiero sillogistico, logico e razionale. Per loro natura, in altre parole, esse devono fare

uso del pensiero magico, trasduttivo, analogico, per cui tali errori non sono un’eccezione,

ma il fondamento stesso di queste discipline (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004;

Ferrieri, Lodispoto, 2001; Moerman, 2004; Skrabanek, McCormick, 2002).

3. 3. 1. Errore nella raccolta o acquisizione dei dati e controllo dell’informazione

a) L’errore dell’ inversione dell’ onere della prova

Uno dei principali errori posti a fondamento delle medicine alternative è quello per cui i

suoi sostenitori, ancorché spesso formati attraverso seri e approfonditi studi scientifici,

sono costretti per coerenza cognitiva a rimuovere un principio fondamentale mutuato dal

mondo del diritto, e cioè quello dell’onere della prova (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla,

2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Heimann, 1999; Le Moine, 2002; Maddox, Randi, Stuart

1988; Moerman, 2004; Skrabanek, McCormick, 2002). Esso vuole che chi proponga una

certa ipotesi, avanzi una nuova teoria o faccia semplicemente un’affermazione, sia tenuto a

dimostrare la veridicità di quanto sostiene. Come non spetta all’accusato fornire le prove

della sua colpevolezza, così non spetta alla comunità scientifica internazionale fornire la

prova della validità ed efficacia di sistemi di cura che essa non ritiene fondati su principi

scientifici e che ritiene inutili. Si consideri, tra l’altro, che quando ontologia ed

epistemologia di una cura non esistono se non nella mente di chi l’ha ideata, diventa

impossibile, anche volendo, fornire una dimostrazione della sua infondatezza. Tutte le

medicine alternative, infatti si fondano su teorie non falsificabili, in quanto a causa della

loro indeterminatezza di contenuti possono sempre opporre a qualsiasi critica delle “ipotesi

ad hoc”. Queste ultime sono quelle ipotesi che, non aumentando il contenuto informativo

della teoria, proteggono quest’ultima dalla falsificazione (Pedon, Gnisci, 2004).

b) L’errore da riferimento a dati forniti da studi e ricerche

Uno dei motivi della diffusione delle medicine alternative è che esse possono contare su

innumerevoli prove della loro efficacia fornite da altrettanti innumerevoli “studi e

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ricerche”. La suggestione indotta sulle menti deboli e le persone più sprovvedute da tali

riferimenti, se pur vaghi e non controllabili, è straordinaria: si consideri che da alcuni

decenni, ma con una violenta accelerazione negli ultimi anni, la comunità scientifica

internazionale ha praticamente imposto regole precise, non più solo semplici

raccomandazioni o consuetudini, relative all’ontologia, metodologia e all’epistemologia di

questi “studi e ricerche” (Pedon, Gnisci, 2004). In campo medico non solo esiste ed è

vincolante per tutti i medici il “Codice internazionale di etica medica” (Enciclopedia della

medicina, 2001), ma oggi si parla di “evidence-based medicine “ proprio con l’intento di

definire con sempre maggiore chiarezza l’ambito e le caratteristiche della medicina

scientifica applicabile sull’essere umano, rispetto agli studi teorici privi di validità

terapeutica, come quelli delle medicine alternative (Gray, 1997; Sackett, 1996).

L’Associazione Medica Mondiale ha pubblicato la “Dichiarazione di Helsinki” relativa a

“Principi etici per la ricerca medica che coinvolge i soggetti umani” (Pedon,Gnisci, 2004).

Ai punti 10 e 12, sotto la voce “principi basilari per tutta la ricerca medica”, si dà ormai per

scontato che ogni ricerca medica debba fondarsi su un “approfondita conoscenza della

letteratura scientifica” (non alternativa) e che essa deve essere “conforme ai principi

scientifici universalmente accettati”.

Questi principi, sinteticamente, possono essere riassunti in questi termini:

1. Gli studi sperimentali devono essere pubblicamente registrati prima della loro

effettuazione, devono essere sottoposti e approvati da un comitato etico e condotti

nel pieno rispetto del rigore del metodo.

2. il processo di randomizzazione deve essere chiaramente spiegato e successivamente

condotto da un operatore esterno al team di ricerca.

3. lo studio deve poter prevedere una procedura sperimentale di cross-over nei gruppi

dei pazienti trattati.

4. gli studi devono essere pubblicati all’interno di riviste specializzate che dispongano

di statistici propri, esterni al team di ricerca.

5. i risultati ottenuti devono essere replicabili prima che una qualunque efficacia possa

essere dimostrata (Borraccino, 2007).

Nel mondo delle medicine non convenzionali è invece invalso l’uso di fare riferimento a

studi e ricerche senza citare la fonte e tantomeno la loro effettiva portata e significato. In

ogni caso, qualunque essi siano, la maggior parte delle persone non si rende conto che una

ricerca effettuata su commissione di una certa azienda, o in occasione di una tesi di laurea,

o nell’ambito privato della propria attività professionale, non ha valore di precedente

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scientifico e non conduce alla conclusione che quanto in essa affermato corrisponda né a

verità nè a conformità scientifica.

Inoltre, il fatto che una o più ricerche siano giunte a una certa conclusione non significa che

da quel momento quella conclusione diventi una verità incontestabile. Affinché la ricerca

diventi scienza, la ricerca deve diventare ripetibile, cioè tutti i ricercatori che la conducano

correttamente devono pervenire allo stesso risultato.

c) L’errore dovuto ad affermazioni non veritiere.

Sembrerà banale, ma il primo motivo per cui si è spontaneamente portati a dare credito alle

medicine alternative sta nell’abituale riferimento a fatti, studi e ricerche dati per scontati: in

realtà essi sono o inesistenti, o privi di ogni validità per errori spesso macroscopici nella

scelta, nella consistenza del campione, nel mancato rispetto delle più elementari regole

della ricerca secondo il metodo scientifico. Si veda in proposito la pubblicità della Guna,

azienda produttrice di rimedi omeopatici, sulla rivista (“La medicina biologica”) che essa

stessa edita, per esempio sul n°109 del marzo 2006: “Guna è oggi in grado di dimostrare

che la validità clinica dell’omeopatia può essere provata utilizzando gli stessi criteri

scientifici propri della medicina convenzionale. Studi rigorosi, che forniscono

inequivocabilmente la prova dell’efficacia terapeutica dei medicinali omeopatici, sono stati

pubblicati da Guna Editore, in italiano e in inglese, e sono ora a disposizione di tutti i

medici, i farmacisti, i ricercatori e le istituzioni pubbliche che intendono farne richiesta

all’indirizzo internet: www.guna.it/ricerca.htm.”. La grottesca assurdità di queste

affermazioni, al di là del fatto che le prove addotte non sono mai state giudicate

“inequivocabili” dalla comunità scientifica, sta nel fatto che tali prove “scientifiche” sono

fornite su richiesta solo dall’azienda che produce e vende questi rimedi, anziché provenire

dalla libera ricerca scientifica ed essere disponibili attraverso i canali della letteratura

scientifica internazionale.

d) L’errore della mancanza di comparazione con gruppi di controllo.

L’azienda produttrice di rimedi naturali Pascoe pubblicizza come uno dei suoi cavalli di

battaglia un rimedio fitoterapico contro ematomi e distorsioni, il Lymdiaral. A

testimonianza del suo “elevato profilo di efficacia clinica” si porta un solo studio effettuato

dalla stessa azienda produttrice, o finanziato da essa, su 69 pazienti, senza altre

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specificazioni. Secondo tale studio la percentuale di pazienti che a seguito del trattamento

ha mostrato miglioramenti dal punto di vista della riduzione del dolore e dell’edema è,

rispettivamente del 73% e del 78% dopo 14 giorni. Tale percentuale sale rispettivamente al

90% e 91% dopo 28 giorni.

L’errore è talmente madornale e macroscopico da sfiorare il ridicolo: trattandosi di tipico

disturbo autolimitante, cioè una situazione traumatica non grave, che tende a scomparire da

sola, sarebbe stato necessario valutare l’efficacia del rimedio non in senso assoluto, ma

relativamente all’efficacia del semplice recupero omeostatico legato al passaggio del

tempo. Non c’è insomma nessuna comparazione con i risultati ottenuti dal gruppo di storia

naturale, cioè da un gruppo omogeneo di pazienti con lo stesso disturbo e posti in

osservazione senza somministrare cure, così come non esiste confronto né con placebo, nè

con altri farmaci.

e) L’errore della pillola magica

Significa credere che esista un rimedio che funzioni solo in positivo e produca quindi solo

effetti benefici, sempre privo di effetti collaterali. Praticamente tutti i rimedi naturali e

alternativi godrebbero di questo vantaggio specifico sui medicinali di sintesi. L’errore è

commesso già nella fase di acquisizione dei dati, in quanto presuppone una verità che

invece non è per niente scontata.

Già Paracelso nel sedicesimo secolo affermava che “è la dose che fa il veleno”, riferendosi

al fatto che non esiste in natura una dicotomia tra sostanze buone e cattive, ma che tutte

sono benefiche o nocive a seconda della quantità somministrata e delle condizioni della

persona. “Qualunque farmaco che sia capace di interferire con i meccanismi biochimici

dell’organismo umano deve necessariamente produrre effetti indesiderabili. L’esperienza

svela presto che i nuovi farmaci non erano poi così efficaci come affermavano i produttori,

e che il loro uso non era privo di inconvenienti. Solo i farmaci omeopatici sono innocui,

perché non possono avere alcun effetto sull’organismo, anche se possono agire sulla

psiche, inducendo l’illusione della loro efficacia”(Skrabanek, 2000, p.67).

Affermare che una certa cura produca sempre solo effetti positivi su tutti gli esseri umani

significa logicamente dare per presupposto che gli esseri umani reagirebbero tutti allo

stesso modo. In realtà, richiamandoci alla visione di Bateson (Bateson, 1976; ma si veda

anche Bara, 2000; Pedon,Gnisci, 2004) circa la complessità del sistema umano, qualsiasi

perturbazione dell’equilibrio omeostatico umano, prodotta da qualsiasi intervento su di

esso, non è mai totalmente controllabile e prevedibile (come si sono drammaticamente

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accorti, per esempio, i familiari di pazienti non sopravvissuti a un banale intervento

chirurgico).

f) L’errore ideologico da complotto e sabotaggio

Quando i dati che dovrebbero confermare una certa ipotesi mancano o non sono sufficienti

allo scopo che ci si prefigge, è utile addebitarne la responsabilità all’esistenza di

potentissime e misteriose forze politiche e culturali che impediscono la diffusione della

verità per diversi scopi (si veda, per esempio, l’emblematico pamphlet: “Tutto quello che

sai è falso” (Kick, 2003). È possibile per esempio ritenere che i dati relativi alle morti

causate dalle vaccinazioni obbligatorie siano molto più allarmanti di quelli ufficiali, per

giustificare l’idea che dietro ad esse esistono solo interessi commerciali ed economici

contrari alla diffusione delle medicine alternative. In questo caso sono proprio i dati di base

che vengono messi in discussione nella loro veridicità e attendibilità ( si veda in proposito,

tra gli infiniti siti internet, www.disinformazione.it). All’opposto, una delle strategie più

utilizzate dai seguaci di queste cure alternative, quando ad essi venga contestata la

mancanza di dati scientifici a loro sostegno è sempre quella che i fondi per le ricerche

mancano perché le aziende multinazionali del farmaco ostacolano in ogni modo la

diffusione della conoscenza di questi dati. Si dimentica, facendo affermazioni di questo

genere, che al contrario sarebbero proprio le grandi aziende del farmaco a ricavare enormi

benefici attraverso la vendita di questi rimedi, i quali, nel momento in cui si dimostrassero

efficaci, potrebbero essere quasi immediatamente qualificati e venduti come farmaci. Se,

anche al di là delle prove scientifiche, questi rimedi alternativi “funzionassero”, esse si

troverebbero cioè tra le mani farmaci privi di effetti collaterali ma efficaci come quelli di

sintesi, di solito poco costosi e conseguentemente più remunerativi senza dover investire i

milioni di euro o dollari per le decennali ricerche che i farmaci di sintesi richiedono; in più

potrebbero approfittare di una rete di distribuzione capillare già esistente, negli stessi

canali, le farmacie, che essi attualmente servono. Quindi semmai dalla dimostrazione di

efficacia dei rimedi naturali alternativi, gli unici a ricavarne un danno sarebbero le migliaia

di piccole erboristerie e aziende di produzione naturale, che lavorano attualmente senza

dover rispettare la rigorosa legislazione a tutela dei consumatori dei farmaci, e non certo le

aziende multinazionali del farmaco.

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g) Errori nella valutazione della consistenza del campione o dei dati di base

A sostegno della tesi dell’efficacia dell’omeopatia, si perpetua da oltre un secolo l’errore

di considerare l’omeopatia diffusa in altre parti del mondo. Il problema è quello di

quantificare il termine “diffusa”. Al capitolo dodicesimo del libro “Omeopatia. Le malattie

guarite col metodo dei simili”, l’autore cita il dato che “negli Stati Uniti d’America

fioriscono 20 facoltà mediche omeopatiche pareggiate e che migliaia di medici e numerosi

Ospedali e ambulatori si trovano sparsi per Inghilterra, Germania, Austria, Francia, Brasile,

Messico, Belgio, Olanda, Spagna, Australia e Canada”. Tutto ciò induce a pensare che

questa diffusione in effetti ci sia. Il fatto è che queste parole sono tratte da un testo edito nel

1933 e che si riferisce alla situazione della diffusione dell’omeopatia di circa un secolo fa

(Pace, 1933, p.42). Ci si sarebbe aspettati, data la già apparentemente forte diffusione di più

di settant’anni fa, come dipinta dall’autore nel 1933, che oggi la situazione sia nettamente

migliorata per i sostenitori dell’omeopatia. In realtà, invece, essa è più o meno la stessa,

nonostante le grandi aziende che operano nel settore della medicina alternativa spingano in

ogni modo per la loro diffusione. L’errore consiste nel fatto che il modo in cui viene

presentata la notizia induce facilmente all’inferenza basata sull’equivalenza diffusione =

efficacia. In realtà, la diffusione di questa medicina non è aumentata, tant’è vero che in

nessun paese al mondo essa è utilizzata negli ospedali al posto delle cure basate su prove

scientifiche. Ma l’errore consiste nel dipingere un fenomeno dando per scontata la sua

positività, efficacia, importanza o utilità sociale. Al contrario, il dato sulla diffusione è un

dato scientificamente non valido perché indeterminato e non oggettivamente misurabile e

paragonabile.

h) Errori nella individuazione della rappresentativita’ del campione

Intorno al 1970 venne pubblicato su una rivista medica un articolo dal titolo “Church

attendance and health” (presenza in chiesa e salute). L’autore dello studio sosteneva che

esisteva una correlazione significativa tra l’abitudine a frequentare i luoghi di culto e lo

stato di salute. I risultati dello studio vennero ampiamente pubblicizzati dai mezzi di

stampa e ancora oggi capita di leggere notizie che fanno riferimento a essi. Tuttavia lo

stesso autore dell’articolo, in una pubblicazione successiva, si rese conto di aver commesso

un grossolano errore metodologico. Infatti, non aveva tenuto conto del fatto banale che chi

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versa in condizioni di salute critiche generalmente non esce di casa per andare in chiesa

(Skrabanek, McCormick 2002).

i) Parzialità dei dati

Consiste nell’errore di stabilire la correlazione degli eventi non sulla base delle loro

possibili combinazioni, ma dei soli casi di concordanza (Gulotta, Boi, 1997). Per esempio,

per stabilire la relazione tra tumori polmonari e fumo, si esaminano i casi di malati

fumatori, e non anche le altre tre combinazioni possibili delle due variabili (malati non

fumatori; fumatori sani; non fumatori sani); per stabilire l’efficacia di un rimedio, si

esaminano solo i casi di coloro che l’hanno assunto e sono migliorati e non di coloro che

l’hanno assunto e non sono migliorati, di coloro che non l’hanno assunto e sono migliorati

lo stesso, di coloro che non l’hanno assunto e non sono migliorati.

l) Euristica della disponibilità

Questa euristica è riscontrabile sia a livello di errore nella raccolta o acquisizione dei dati e

controllo dell’informazione, sia come tipico errore nel ragionamento induttivo (si veda

sotto questo profilo nel paragrafo relativo, a pag. 47). Sotto il primo profilo si osservi

come la frequenza di eventi facilmente ricordabili (p.es. quelli ben pubblicizzati) è

sovrastimata rispetto a quella di eventi meno ricordabili o meno ben pubblicizzati: le morti

dovute a omicidio e Aids sono sovrastimate rispetto a quelle causate da asma e diabete; le

guarigioni alternative rispetto ai fallimenti delle cure. Non fa certo notizia il fatto che un

nostro conoscente si sia rivolto a cure alternative senza successo: specialmente se poco

convinto in partenza della loro efficacia, tenderà a tacerne, anche per evitare fastidiosi

commenti circa la sua dabbenaggine. Ma se questa stessa persona, sottopostasi a cure

alternative, verificasse un giovamento (che dipende da altri fattori concomitanti, ma ad essa

sconosciuti), sarà ovviamente portata a dare ampio risalto al fatto, accrescendone

l’importanza.

m) Frequenza

La relazione predittiva si valuta in base alla frequenza di un evento piuttosto che alla sua

frequenza relativa. In altre parole, l’osservazione sul “non accadimento” non è disponibile

ed è ignorata (Gulotta, Boi, 1997). Per esempio, nel considerare una performance si dà

maggior peso al numero assoluto di successi piuttosto che al suo numero relativo, cioè il

numero dei successi rispetto al numero di performance-somma dei successi e dei

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fallimenti-. In pratica il denominatore del rapporto viene ignorato. (Il terapeuta alternativo

rileva con soddisfazione il fatto che i fiori di Bach da lui prescritti si sono mostrati efficaci

in 10 casi, senza prendere in considerazione il fatto che si trattava di soli 10 casi su 100

osservati).

n) Verificazionismo

Per controllare la validità di una ipotesi, vengono presi in considerazione o ricercati solo i

dati che la confermano, senza preoccuparsi di quelli invalidanti. È un dato acquisito dalla

comunità scientifica internazionale che l’elemento discriminante tra ragionamento

scientifico e non scientifico è la possibilità di confutazione. L’affermazione “tutti i cigni

sono bianchi” non trae validità dall’osservazione di 1000 cigni bianchi e non accresce la

sua veridicità da ogni nuova osservazione di un altro cigno bianco, ma è distrutta

irrevocabilmente dall’osservazione anche di un solo cigno nero (Popper, 1970). Nella

ricerca della verità non ha senso cercare le concordanze, cioè collezionare i cigni bianchi; è

l’elemento di discordanza che permette di progredire verso una migliore comprensione

della realtà.

o) L’errore dell’attribuzione di un significato inesistente al dato

Se estraiamo un numero che ci piace per qualche motivo (data di nascita o un numero

tondo come 1000 o 10000), la cosa ci fa molta più impressione che se tiriamo fuori, per

esempio, 8543. Se alcuni pensavano all’anno mille come alla data della fine del mondo è

perché credono che Dio pensi a cifre tonde. Così l’omeopatia adotta la procedura di

diluizione dei suoi rimedi secondo scaglioni di dieci in dieci, o di cento in cento (trentesima

decimale o duecentesima centesimale), solo perché la cifra è “tonda”: non esiste alcuna

ricerca che ne dimostri l’efficacia in rapporto a diluizioni formalmente meno attraenti o

meno facili da ricordare (come ventisettesima decimale o centotrentottesima virgola cinque

centesimale). L’altro tipo di errore riconducibile a questa categoria è quello di attribuire un

significato che va al di là del caso singolo per l’eccezionalità o la rarità del fenomeno. Il

fatto che una persona sia migliorata improvvisamente dopo aver assunto un certo rimedio

non significa nulla dal punto di vista statistico, fino a che l’esperimento non sia ripetuto un

numero di volte tale da escludere l’intervento di fattori diversi da quelli che a prima vista

sono considerati causa esclusiva dell’effetto. Un evento non va considerato particolarmente

significativo solo perché è improbabile (Odifreddi, 1999).

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p) Errori dei risultati positivi

È quello che si commette in situazioni di ricerca scientifica. Immaginiamo che dieci gruppi

di ricerca in dieci centri diversi studino una cura per una specifica patologia. Se sei non

rilevano effetti, due qualche indizio di effetti dannosi e due di positivi, è possibile

commettere l’errore di attribuire particolare significato solo a questi ultimi (che in effetti

hanno dimostrato positività) e reiterare poi l’errore con il verificazionismo e andando a

ricercare altri risultati positivi (Skrabanek, McCormick, 2002).

q) Ignoranza della tendenza alla regressione verso la media (Bias)

I valori estremi di una variabile sono utilizzati per prevedere analoghi valori in osservazioni

successive, senza tenere conto che i fenomeni tendono alla regressione verso la media

(Pedon-Gnisci, 2004).

3. 3. 2. Errori nel ragionamento deduttivo

Anche quando un argomento è presentato come una deduzione logica conseguente da

determinate premesse, raramente facciamo attenzione all’unico elemento degno di nota,

ossia alla coerenza interna del discorso, ma ne giudichiamo la validità semplicemente in

base alla plausibilità delle conclusioni. Se queste appaiono vere rispetto alla realtà, le

accettiamo e tendiamo a considerare valido il ragionamento che le ha prodotte. Lungo

questo percorso gli errori cognitivi possono essere innumerevoli: che le premesse appaiano

vere è già un dato che si presta a molti errori nella fase di raccolta e acquisizione dei dati,

perché esse possono apparire vere, per esempio, per il fatto che vengono da fonte o da

persona autorevole. Ma una volta convinti, a torto o a ragione, che le premesse siano vere,

diventa difficile cogliere gli errori nella catena inferenziale, perché il wishful thinking ci

porta a soprassedere rispetto a ciò che può apparire incoerente.

“Da una parte sembra ovvio che la mente possieda i fondamentali principi logici, se non

altro perché l’intera logica è un prodotto della mente umana. Per questo la filosofia ha

sempre cercato di spiegare la mente come una macchina logica, nell’assunto che la

psicologia effettiva delle persone seguisse quei principi. Gli errori cognitivi, come le

illusioni ottiche in campo percettivo, non sembravano argomenti degni di attenzione, forse

perché scomodi. D’altra parte, però, se la mente umana fosse dotata di competenze

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veramente logiche, allora queste dovrebbero funzionare sempre, indipendentemente dal

contenuto specifico delle questioni trattate, indipendentemente dal fatto che le questioni

siano vere, verosimili o false, purché corrette. Il che non è” (Nicola, 2003, p.101).

La spiegazione sta probabilmente nel fatto che la nostra evoluzione di esseri dominati dalla

paura ci condiziona ancora: non abbiamo tempo di dedicare secondi, per non parlare di

minuti, alla valutazione di tutti i nostri problemi. Istintivamente siamo portati a fare scelte

come se fossero necessarie per la sopravvivenza, e per questo ci affidiamo alle nostre

emozioni e ai ricordi collegati per giungere a rapide conclusioni, prima che al

ragionamento, il quale oltretutto, richiede uno sforzo cosciente (si veda in proposito, tra i

più recenti: Dozier, 1999; Boncinelli, 2000; Sapolskj, 2006).

a) L’errore del passaggio disinvolto dalla legge generale al caso particolare

Tutte le medicine alternative si fondano sull’applicazione pratica in chiave terapeutica di

teorie scientifiche indimostrate o semplicemente ancora oggetto di studi puramente teorici

(Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Moerman, 2004,

Skrabanek, McCormick, 2002). Se così non fosse, ovviamente, esse cesserebbero di

appartenere al mondo “alternativo” per entrare a tutti gli effetti in quello scientifico. Alcune

di esse si basano infatti su teorie talmente prive di ogni fondamento e di ogni aggancio con

la realtà da non poter essere prese in considerazione (si pensi alla cura con pietre preziose

che rappresenterebbero l’energia benefica dei pianeti); altre invece (la maggior parte),

specialmente nel campo della naturopatia, si basano su dati e nozioni incontestabili di

scienza dell’alimentazione, di biochimica, di biomeccanica e di fisica. L’errore che

commettono sistematicamente è quello di applicare tout court sul piano pratico e

terapeutico dati che hanno valore solo se restano confinati alla dimensione teorica da cui

provengono. È chiaro che partendo dal riferimento a generiche teorie scientifiche, è

possibile indurre non solo i più sprovveduti, ma tutti coloro che non siano avvezzi a

utilizzare correttamente il ragionamento logico-sillogistico a ritenere che sia dimostrato il

fondamento scientifico di qualunque affermazione o ipotesi. Se il ragionamento logico-

sillogistico permette di legare una serie di affermazioni sulla base della loro

consequenzialità e per il loro legame logico, esso non è però sufficiente a fare di una serie

di affermazioni la prova scientifica di un’ipotesi. Per concludere circa l’esistenza di

quest’ultima è necessario sottoporre le affermazioni proposte alla prova empirica, cioè alla

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loro applicazione pratica in condizioni controllate e con modalità di indagine concordate e

condivise (Bara, 2000; Pedon, Gnisci, 2004).

b) L’argomento storico

Le medicine alternative avrebbero validità ed efficacia già solo per il fatto che esistono da

decenni, secoli o addirittura millenni. (Questo argomento dimostra esattamente il contrario,

e cioè che in migliaia di anni non sono ancora riuscite a imporsi come terapie veramente

utili). È francamente disarmante e deprimente l’ingenuità (imperdonabile per un medico)

con cui si fanno affermazioni circa l’efficacia di una cura nella più assoluta ignoranza dei

principi della logica. Si noti per esempio la seguente: “Da quasi duecento anni il metodo

omeopatico è rimasto invariato e ciò conferma la validità dei suoi principi fondamentali”

(De Chirico 2000, p.8; si veda anche Pace, 1933). Secondo i sostenitori delle medicine

alternative, il fatto che un certo comportamento venga adottato da una certa parte della

popolazione da lungo tempo dovrebbe dimostrare che esso ha quindi una qualche validità e

utilità. Il problema è che anche molti errori, per non parlare di comportamenti contrari alla

dignità umana e al rispetto della vita, vengono ripetuti da quando esiste la civiltà umana. Il

che non è un buon motivo per perseverare nell’errore. È fin troppo facile obiettare che,

seguendo la linea di ragionamento proposta dai sostenitori delle medicine alternative, a

maggior ragione sarebbero da coltivare altre pratiche o comportamenti che gli esseri umani

adottano da millenni, come la guerra, la tortura, la violenza in genere. E in fondo, anche

l’astrologia si pratica con successo, oggi persino via internet e in televisione, da decine di

migliaia di anni. Con quali effetti positivi sul progresso dell’umanità resta ancora da

dimostrare.

c) L’errore dell’associazione causale o della correlazione temporale non causale

Si considerino i seguenti dati di fatto:

• In alcune zone della Gran Bretagna il numero delle nascite, in certi periodi, varia

in misura direttamente proporzionale a quello delle cicogne.

• Nel dopoguerra si registrò una perfetta ed evidente associazione tra aumentata

vendita di calze di nylon e aumento delle morti per cancro al polmone (Skrabanek,

McCormick 2002).

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• Sul sito www.disinformazione.it, fa notizia il dato secondo cui, da quando negli

Stati Uniti è stata introdotta la vaccinazione obbligatoria, sono triplicati i casi di

autismo e malattie mentali dei bambini.

È evidente che è possibile manipolare dati di fatto e situazioni tra loro prive di ogni

collegamento causalistico per lo scopo che ci si prefigge, come i casi sopra riportati

confermano. Ogni coppia di variabili indipendenti che cambiano linearmente con il tempo

indicherà una correlazione perfetta: per esempio l’incremento dei sostenitori delle medicine

non convenzionali e della vendita di rimedi naturali da una parte e l’ aumento del benessere

e della speranza di vita nei paesi occidentali sono eventi correlati temporalmente, ma non è

dimostrabile che lo siano anche causalmente. Come è stato provocatoriamente osservato,

fare affidamento senza l’adozione di opportune cautele metodologiche su questo legame

porta, per esempio, ai risultati paradossali di riconoscere un collegamento preciso tra

l’andamento del prezzo della birra e il salario dei preti (Gibbons, Davis, 1984).

d) L’errore da confusione tra cause e precedenti.

Si considerino i seguenti interrogativi:

• La libera vendita di preservativi è causa di aumento della promiscuità e di malattie

veneree, o è la trasformazione del costume che spinge alla liberalizzazione nella vendita

di preservativi?

• La vita causa la morte perché una precede l’altra?

• La notte è causa del giorno o viceversa?.

• I cani producono gatti perché i gatti sono inseguiti dai cani? (Skrabanek, McCormick,

2002).

La diffusione delle cure alternative è causa di un miglioramento della salute dei cittadini,

oppure il miglioramento della salute dei cittadini, dovuto ad altre cause, fa sì che molti

siano in grado di resistere alle malattie pur assumendo rimedi inutili come quelli

alternativi?

e) L’errore da confusione tra cause necessarie e sufficienti

È noto a tutti come il virus dell’influenza non causi la malattia in tutti coloro che ne

vengono a contatto (Max von Pettenkoffer, epidemiologo, dimostrò nel 1892 che il vibrio

cholerae non era causa sufficiente per la comparsa del colera, ingerendolo di fronte a un

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folto pubblico di colleghi); così come non tutti i fumatori si ammalano di cancro al

polmone e non tutti coloro che si ammalano di cancro al polmone sono fumatori. In questi

casi il virus e il fumo non sono cause sufficienti per produrre la malattia. Allo stesso modo,

il rimedio alternativo, in mancanza di dimostrazioni empiriche scientificamente fondate,

può non essere causa sufficiente né necessaria ai fini della guarigione, ma solo casualmente

concomitante e ininfluente, specialmente se, come in effetti avviene, esso non è

somministrato per curare malattie gravi o dall’esito molto incerto (Gulotta, Boi; 1997;

Pedon, Gnisci, 2004).

f) Confusione tra continuita’, correlazione e causalita’

Eventi simultanei e/o correlati vengono interpretati come legati da un nesso causale (Bara,

2007, Gulotta, Boi, 1997): il mancato superamento di una prova viene attribuito all’abito

indossato o al tema natale o all’oroscopo, oppure la guarigione dovuta alla remissione della

fase acuta della depressione viene attribuita all’efficacia del rimedio naturale o del farmaco.

g) Argomentum ad credulitatem

Questo tipo di errore può essere sinteticamente espresso con queste parole: “ci credo,

quindi sarà vero” (Dennet, 2000). Esso è corredato di alcuni corollari:

• l’errore di credere a ciò che ci dà conforto credere (wishful thinking)

• l’errore di credere a ciò che persone che riteniamo superiori a noi credono (ad

hominem)

• l’errore di credere a ciò che comunemente si crede (errore da”lo dicono tutti”)

• l’errore di credere per non fare la fatica di indagare.

L’argomentum ad credulitatem costituisce uno dei principali generatori delle strategie che

da sempre l’essere umano adotta per sfuggire la realtà della situazione, quando questa è tale

da mettere in dubbio la nostra coerenza cognitiva e da costringerci a modificare i nostri

punti di vista tanto faticosamente costruiti. Questo particolare strumento cognitivo ci

conduce ad adottare tutte quelle strategie utili a negare la realtà dei fatti spiacevoli e a

sfuggire il rischio del confronto con l’evidenza contraria (Taylor, 1991; Gulotta, 2005).

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h) Hargomentum ad hominem

Si accettano e prendono per buone informazioni che provengono da fonte considerata

attendibile, senza valutarne la fondatezza empirica (Gulotta, Boi, 1997; Skrabaneck,

McCormick, 2002). Per esempio, si segue una cura alternativa a seguito di una diagnosi

alternativa, per esempio “disfunzione subclinica della tiroide”, ottenuta tramite

un’apparecchiatura in grado di captare le “biorisonanze”: la si prende per buona pur in

assenza di riscontri scientifici perché “ l’esame è stato condotto da un medico che mi ha

assicurato circa l’esistenza di seri studi e ricerche che dimostrerebbero l’attendibilità e

l’affidabilità dello strumento”. Casi come quello citato sono tristemente all’ordine del

giorno della cronaca, e documentati inequivocabilmente da trasmissioni televisive come

“Striscia la notizia”.

Gran parte del credito di cui godono le medicine alternative nasce, in mancanza di dati

oggettivi, proprio da questo tipo di errore, qualche volta unito a quello che esporremo tra

breve, cioè l’analogo errore da fonte falsamente autorevole. Chiunque, non solo i più

sprovveduti, è portato a pensare che le affermazioni di un membro della comunità

scientifica, specialmente se noto e apparentemente autorevole, abbiano un fondamento

scientifico e siano vere. Specialmente perché pochi, se non chi conosce molto bene la

materia specialistica, possono permettersi di contestare i dati forniti. Si innesca così un

meccanismo perverso, per cui il dato, se pur assolutamente privo di fondamento, si

diffonde fino a sfociare nell’ errore da “lo dicono tutti”e diffondendo la “sindrome del Re

nudo”.

i) L’errore da fonte falsamente autorevole

Il mondo delle medicine alternative, privo com’è di punti di riferimento scientifici, è

costellato di personaggi forniti di titoli fantasiosi ma eclatanti che diffondono teorie

strampalate o che riciclano acquisizioni scientifiche sconosciute ai più, denominandole

diversamente e attribuendosene il merito della scoperta e dell’elaborazione. Per esempio la

maggior parte delle tecniche corporee e di manipolazione alternative non sono altro che

varianti dell’antica arte del massaggio. Ma in realtà sembrano tutte diverse perché centinaia

di falsi maestri si sono attribuiti il merito della scoperta della loro efficacia, denominandole

con marchi registrati (Ferrieri, Lodispoto, 2001; Sanfo, 2005).

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l) Argomentum ad populum o errore da “lo dicono tutti”

Non aderire e conformarsi all’opinione della maggioranza è spesso considerato un atto

eversivo e deviante (Gulotta, 1999). Ma la pressione del gruppo agisce anche in dimensioni

ridotte, cioè all’interno del gruppo sociale più ristretto col quale ognuno di noi è in contatto

quotidiano. Asch distingue tre modi di cedere alla pressione del gruppo:

1. Distorsione della personalità:la persona cede all’opinione della maggioranza cui

appartiene senza accorgersi che il suo giudizio è stato distorto dalla maggioranza.

2. Distorsione del giudizio: è il caso di soggetti con scarsa autostima che tendono a

cercare sicurezze schierandosi con la maggioranza.

3. Distorsione dell’azione: il cedimento alla pressione del gruppo è motivato dalla

compiacenza: la persona sa di aver ragione, ma non sopporta di apparire diverso o

inferiore agli altri (Asch, 1958).

Per esempio, l’omeopatia “è stata avvalorata da numerose prove sperimentali sull’ uomo

sano e dalla pratica clinica” (De Chirico 2000, p.8). La continua e quasi ossessiva

ripetizione, in ogni occasione, di questa evidente falsità ideologica (queste prove non sono

mai fornite; quando lo sono, la comunità scientifica le ha sempre, regolarmente “distrutte”,

bollandole di superficialità e di grossolani errori di metodo) giova solo al mercato

milionario delle medicine alternative. Ma anche se questa credenza fosse universalmente

diffusa, si tratterebbe di un’ affermazione, come efficacemente è stato sintetizzato, senza

alcun valore probatorio: niente impedisce a una credenza universale di essere falsa

(Odifreddi, 1999, p.191). Questi errori, isolatamente o insieme, conducono poi alla:

m) Sindrome del re nudo

Si tratta di quell’insieme di comportamenti e atteggiamenti che fanno seguito alla necessità

di adeguarsi a una falsa credenza, rispetto alla quale non si conosce neppure il fondamento,

per la difficoltà di dover contestare ciò che è ritenuto vero da coloro che ci circondano (di

solito a sua volta motivata dalla scarsa stima nelle proprie opinioni e quindi dal timore di

dimostrarsi più stupido, sprovveduto o ignorante di chi ci circonda) (Asch, 1958; Gulotta,

Boi, 1997; Pedon, Gnisci, 2004) . L’autore della presente dissertazione deve fronteggiare

questa sindrome tutte le volte in cui suggerisce ai suoi clienti di non affidarsi a cure prive di

fondamento come l’omeopatia: nella maggior parte dei casi tale affermazione desta

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stupore, in quanto è oggi considerato indice di arretratezza culturale e di ristrettezza di

vedute non conformarsi all’affermazione secondo cui tale pratica sia efficace.

n) Errore da presunzione

Quando le critiche e lo scetticismo verso le più irrazionali, astruse e fumose tra le pratiche

alternative non trovano argomenti validi di confutazione, è d’uso tra i sostenitori delle

medicine alternative aggrapparsi all’argomento secondo cui, per comprendere davvero

l’essenza della disciplina in questione, è necessario uno studio approfondito. Si attribuisce

cioè all’interlocutore una condizione di ignoranza, sulla base della presunzione che la

disciplina alternativa richieda chissà quali conoscenze, iniziazioni, “aperture di canali

energetici” o semplicemente di conoscenze scientifiche o esoteriche. Si tratta di un tipico

caso di ipotesi ad hoc, utilizzato per difendere una teoria strampalata dalla possibilità di

confutazione (Pedon, Gnisci, 2004; Gulotta, Boi, 1997).

o) Locus of control esterno: la sindrome della ricerca del capro espiatorio

La medicina alternativa ci consente di sfuggire le nostre responsabilità nella genesi della

malattia che ci affligge, per esempio adottando la strategia del trasferimento della

responsabilità della nostra salute su altro, cioè quella che per brevità potremmo definire la

sindrome della ricerca del capro espiatorio. Come è noto, Rotter parla a questo proposito

di locus of control: la tendenza ad attribuire la responsabilità della nostra vita, e quindi

della nostra salute, a fattori che dipendono da noi (locus interno) o da altri o dalle

circostanze (locus esterno) (Bara, 2003; Rotter, 1972). Per esempio, la signora in

sovrappeso che non riesce ad accettare questa sua condizione e non ha la forza né la

volontà per cambiare quanto è teoricamente in suo potere nel suo regime alimentare, si

appellerà all’esistenza di un fantomatico alimento cui ritiene di essere intollerante e che la

fa ingrassare, piuttosto che agire sforzandosi di modificare le proprie abitudini di vita. Se

però la medicina non è in grado di individuare il responsabile di questa sua convinzione,

potrà rivolgersi alle decine di tecniche e apparecchiature prive di fondamento scientifico,

fino a che non troverà un capro espiatorio che, almeno per un po’, si assuma la

responsabilità del suo stato di salute.

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p) Locus of control e la sindrome della vittima predestinata

Alcuni sono convinti e si autoconvincono non solo che la responsabilità delle loro disgrazie

e del loro stato di salute sia da attribuire all’esterno, ma anche che esista un qualche piano

che operi appositamente contro di loro (Bara, 2003). Altri reinterpretano la causa della loro

malattia attribuendola a una propria colpa, rispetto alla quale, però, sentono di non essere

responsabili e tantomeno di essere in grado di intervenire per modificare la situazione. Le

giustificazioni coprono tutto l’arco delle fantasie pseudoterapeutiche e parapsicologiche:

una speciale combinazione astrale, il charma che impone di rivivere certe situazioni per

espiare colpe passate e così via. Le caratteristiche della vittima possono essere

reinterpretate per dimostrare che gli eventi negativi capitano sempre a persone con

caratteristiche personali negative (Lerner, 1971; Gulotta, 1999)

La reinterpretazione degli effetti della malattia, come di ogni avvenimento negativo,

avviene attraverso la modificazione della negatività di tali effetti.

Il paziente in questo caso diventa refrattario alle cure mediche e preferisce rivolgersi alla

medicina alternativa, nella speranza che questa gli offra non tanto guarigione quanto

compatimento. In questi casi la vittima cerca rinforzo, conforto e comprensione in altre

vittime della situazione, circondandosi di persone che possano mantenerla in questo stato

vittimistico e creando inconsciamente ogni situazione utile per perpetuare la sua condizione

di malessere, ed evitando accuratamente tutte le cure che potrebbero condurla verso la

guarigione (Veglia, 2007).

q) La profezia che si autodetermina

Questo fenomeno interessante sotto il profilo della psicologia sociale (Gulotta, 1999;

Gulotta, Boi, 1997; Gulotta, de Cataldo Neuburger 1996) è ben evidente nel mondo delle

medicine alternative e si manifesta in quelle situazioni in cui coloro che credono

fermamente nell’efficacia delle medicine alternative e, al contrario, nella tossicità di quelle

convenzionali, scoprono non inaspettatamente che le cure della medicina tradizionale,

somministrate per patologie non gravi, fanno più male che bene, mentre percepiscono un

netto miglioramento da cure alternative. Si creano cioè le condizioni anche ambientali,

relazionali, di stile di vita, che rendono inutile l’uso di medicine tradizionali: come nel caso

precedente, ci si “dimentica” di seguire le indicazioni terapeutiche del medico o di

assumere i farmaci, o di assumerli nei momenti corretti della giornata, e ci si rende

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inconsciamente la vita difficile, per esempio facendo sforzi che si potevano evitare,

prendendo freddo, o si adottano insomma tutti quei comportamenti che non favoriscono la

guarigione. Nel caso in cui invece si creda nelle medicine alternative, la loro assunzione

sarà preceduta, accompagnata e seguita da una serie di comportamenti opposti tendenti a

favorire la guarigione. In effetti, quando una persona decide di rivolgersi a un certo tipo di

cura, diverso da quello tradizionale, di solito ciò avviene perché qualcosa è già cambiato

positivamente nell’atteggiamento della persona stessa verso la conduzione della sua vita, le

sue abitudini, o persino nella valutazione dei suoi valori. Il ricorso alle medicine alternative

si accompagna cioè in questi casi a una nuova consapevolezza, a una modificazione, anche

se minima, del modo di vedere le cose, a nuove abitudini di vita (Sointu, 2006). Di

conseguenza, la persona spesso attribuisce alle cure alternative (le quali rappresentano

concretamente e simbolicamente la sua volontà di cambiamento) la responsabilità del

miglioramento del suo stato di salute, anziché a modificazioni spesso importanti, ma meno

tangibili, quali appunto la correzione delle abitudini alimentari o delle abitudini di vita.

3. 3. 3. Errori nel ragionamento induttivo

Mentre il ragionamento deduttivo si svolge dall’alto verso il basso, cioè da premesse verso

conclusioni, quello induttivo segue il percorso contrario, risalendo dall’analisi del maggior

numero possibile di casi concreti sino a una conclusione generale. Esso determina cioè un

arricchimento della conoscenza, perché crea una conoscenza nuova, più estesa, se pur in

termini di probabilità e non di certezza assoluta (Bara, 1999, 2000; Gulotta, Boi, 1997;

Pedon, Gnisci, 2004). L’induzione è molto utile nella vita quotidiana, perché ci permette di

formare gran parte delle nostre conoscenze sul mondo attraverso generalizzazioni che ci

risparmiano l’immenso lavoro di analizzare tutti i casi singolarmente, ma di poterli inserire

in categorie preformate, di pronta utilizzazione. L’induzione è rapida ed efficace, ma la

conoscenza nuova che ci fornisce (tutti i cigni sono bianchi, per usare il famoso esempio di

Popper) non è assoluta. In altre parole, il procedimento induttivo non ci dà certezze, ma

solo probabilità (salvo il caso di induzione perfetta, in cui si esaminino tutti gli esempi

possibili) (Nicola, 2003; Popper, 1970) .

a) L’errore del passaggio disinvolto dal caso particolare alla legge generale

Si tratta del più tipico errore legato al ragionamento induttivo, che nel caso delle medicine

alternative si fonda però sulla manipolazione di dati e teorie scientifiche per giustificare la

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validità di una legge generale secondo lo schema classico del pensiero magico che tende

alla conferma anziché alla falsificazione (Giusberti, Nori, 2000; Monaco, 2007; Piattelli

Palmarini, 1993). Il che è evidente, in quanto, non potendosi fondare sulla realtà dei fatti

cui deve attenersi la scienza, la medicina alternativa non può che fare affidamento su

manipolazioni dei fatti. La speranza, per esempio, che un certo principio attivo, per ora

testato solo su un topo, possa essere efficace nella cura di una certa patologia trasforma

subito quel rimedio in qualcosa di più di un semplice dato privo di valore, come in effetti è

secondo la medicina scientifica. Per esempio, la rivista “Medicina funzionale, n°1, del

2006, riporta a pag. 42 lo studio: “L’epigallocatechin-3-gallato del tè verde (EGCG)

modula il clivaggio delle proteine precursori dell’amiloide e riduce l’amiloidosi cerebrale

nel topo transgenico con Alzheimer”. Questo “studio” è stato utilizzato per fornire la prova

scientifica dell’efficacia della somministrazione del rimedio in malati di Alzheimer umani.

In questo modo si compiono due errori fondamentali: primo, si dà credito a fatti non

accertati, oppure incompleti o non sufficienti per giustificare una conclusione valida.

Secondo, sulla base di questi dati si costruisce per via inferenziale una teoria generale,

compiendo un chiaro errore nel processo logico di induzione (Pedon, Gnisci, 2004).

b) L’errore analogico

Uno degli errori più frequenti, anzi uno di quegli errori su cui si fonda l’esistenza stessa di

gran parte delle medicine alternative, consiste nell’inventare di sana pianta una teoria

apparentemente scientifica sulla base della semplice osservazione di corrispondenze

analogiche, di forma o di contenuto (Brancato, Pandolfi, 2003; Skrabaneck, McCormick,

2002). Gli argomenti analogici, insomma, e cioè il dedurre da un certo tipo di osservazione

la matematica certezza che ciò che appare in una certa forma debba produrre lo stesso

effetto anche in entità diverse, purché somiglianti esteriormente, sono una delle più grandi

trappole del pensiero popolare, alimentata dall’uso di questo procedimento cognitivo in

quella che, per la maggior parte della popolazione del mondo occidentale, era l’unica fonte

di sapere, e cioè la religione (Giusberti, Nori, 2000; Sanfo, 2003). Si ricordi che la Genesi

commette il primo errore cognitivo della storia attribuendo a Dio la creazione dell’uomo “a

sua immagine e somiglianza” (quando è piuttosto più probabile, come afferma Feuerbach

(2006), che avvenne semmai esattamente il contrario). In effetti, il dio dell’Antico

testamento assommava in sé tutti i difetti che l’essere umano ha diffuso e enfatizzato nel

corso della sua storia, compresi lo spirito vendicativo, la violenza e lo sterminio gratuiti, lo

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sfruttamento delle forme di vita più deboli e così via (Hitchens, 2007; Odifreddi, 2007).

L’errore, in questo caso, sta nell’attribuire assoluta validità a un dato privo di fonte e di

fondamento dimostrabile, e non tanto nella veridicità del suo contenuto. Nel versante delle

medicine alternative, gran parte del patrimonio di conoscenze dell’erboristeria è ancora

oggi fondato sull’osservazione di analogie tra forma e funzione delle piante (la digitale

purpurea sarebbe utile nelle malattie circolatorie per la somiglianza del colore dei suoi

fiori con quello del sangue umano) (Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2005).

c) Errore da accumulazione

Molte prove, ciascuna delle quali di per sé debole e sospetta, possono fornire una

dimostrazione apparentemente efficace se riunite insieme. Naturalmente, molti errori non

fanno un dato vero e corretto (Gulotta, 1999; Nicola, 2003).

Come per gli innumerevoli avvistamenti di Ufo, così le medicine alternative portano a

fondamento della loro esistenza ed efficacia innumerevoli prove di casi singoli. Ciò che le

rende poco credibili non è quindi il fatto che non esistano prove, è il fatto che ne esistano

troppe. Ovviamente, ne basterebbe una sola, ma inequivocabile.

d) Errore da enfatizzazione di qualità esistenti

Gran parte del cosiddetto nutrizionismo e dell’alimentazione naturale e alternativa si fonda

sull’errore di pensare che se un certo alimento o nutriente possiede una certa qualità,

quest’ultima produca benefici sulla salute dell’organismo umano in misura direttamente

proporzionale alla sua assunzione (Bouvet, 1999).

e) Euristica della disponibilità

Si tratta di uno strumento cognitivo che applichiamo con frequenza sia in fase di raccolta

dei dati (si veda in proposito a pag. 34) sia in fase di applicazione del ragionamento di tipo

induttivo.

Per come ragioniamo nella vita quotidiana, la normalità o l’eccezionalità di un evento

dipende dalla sua disponibilità mentale, cioè dal numero di esempi simili e rilevanti

presenti nei nostri personali ricordi. Ciò porta a stimare la frequenza e probabilità di un

evento basandosi su dati che sono facilmente richiamabili alla memoria (ma non sono

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rappresentativi della reale distribuzione del fenomeno) e quindi a generalizzare creando

induttivamente in modo erroneo una regola generale (Gulotta, Boi, 1997).

È evidente il rischio di una valutazione parziale o soggettiva, tant’è che sarebbe utile

limitare ed usare questa delicata strategia solo in casi di incertezza, oppure quando è

impossibile accedere a dati certi. Ma non è così.

Per esempio, si considera efficace una cura alternativa perché ha funzionato in un caso di

cui si ha diretta testimonianza. L’errore consiste nell’estendere la portata del caso singolo

alla generalità dei casi. Inutile sottolineare la pericolosità di una simile strategia, perché

usando sistematicamente la calda immaginazione al posto della fredda logica si finisce col

confermare e rinforzare il valore dei peggiori stereotipi. Nei nostri ricordi, per esempio,

non piove mai, diluvia sempre. E le gocce di rimedio alternativo non sono andate ad agire

insieme ad altri fattori sulla salute di nostro figlio malato, ma hanno avuto un effetto

straordinario e miracoloso (Nicola, 2003).

f) Euristica della rappresentatività

Si tratta della strategia cognitiva con cui si tende a valutare la probabilità di un evento in

relazione alla pregnanza dei dati posseduti, a discapito delle probabilità statistiche (Bara,

1999; Gulotta, Boi, 1997).

Per invogliare a iscriversi a un corso di naturopatia si enfatizzano le lettere di

ringraziamento e le dichiarazioni di fantomatici naturopati che svolgono con successo

questa attività; per osteggiare la vaccinazione si enfatizzano i pochissimi casi di effetti

collaterali o di morti (Skrabaneck, McCormick, 2002).

g) Violazione della legge dei piccoli numeri

Caratteristiche di campioni molto ridotti sono considerate rappresentative della popolazione

dalla quale sono tratte (Gulotta, Boi, 1997).

Per esempio: si comprano i biglietti della lotteria in una certa rivendita perché in passato un

biglietto da essa venduto ha vinto; l’osservazione di un segno sull’iride di poche persone

corrispondente a una malattia, peraltro diffusissima, unita al riscontro che tali soggetti sono

effettivamente affetti da quella malattia, rende l’osservazione un dato “scientifico”.

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3 . 3 . 4. Errori nel ragionamento abduttivo

a) Inadeguatezza dei dati

Si ignora il contesto (Gulotta, Boi, 1997; Nicola, 2003; Watzlawick, Beavin, Jackson

1971): si valuta un fatto come se le cause fossero inerenti ad esso, a prescindere dal

contesto in cui si verifica. Per esempio, il fatto che una pianta dia o non dia buoni frutti

viene attribuito alla qualità della pianta stessa, trascurando le caratteristiche del terreno e

del clima; il fatto che qualcuno guarisca viene attribuito alla sua forte fibra, se non ha

assunto farmaci, al buon Dio, se chi gli vuol bene ha pregato per lui, al rimedio omeopatico

se si preferisce credere in un rimedio “laico”. In realtà, non si prende in considerazione il

fatto che la remissione dei sintomi può essere dovuta alla naturale disintossicazione messa

in atto dall’organismo, e che richiede solo un certo periodo di tempo per produrre effetto.

b) L’errore ecologico

È quasi spontaneo commettere questo banale errore in situazioni come la seguente: gli

africani mangiano più fibre degli europei, hanno feci più voluminose, e sono soggetti meno

degli europei a malattie gravi come il cancro del colon. Oppure che gli esquimesi che si

cibavano principalmente di carne di foca erano praticamente immuni da rischi

cardiovascolari. Abitudini e aspetti dello stile di vita di persone che vivono in contesti e

ambienti molto diversi dal nostro vengono isolati dall’ambiente da cui provengono per

essere erroneamente interpretati come causa di una minore incidenza di certe malattie

diffuse invece nel mondo occidentale (Sanfo, 2003; Skrabaneck, McCormick, 2002).

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Capitolo 4°

Il pensiero magico e le medicine alternative

L’illusione cognitiva conduce a commettere errori cognitivi, così come il miraggio conduce

a un errore nella percezione visiva. Quando commettiamo errori cognitivi, siamo soliti

definire il nostro comportamento come “stupido” in quanto irrazionale. Quelli di cui ci

siamo occupati nel capitolo precedente sono quegli errori dovuti a illusioni cognitive, che

più di altri affondano la loro eziologia nell’irrazionale, sia o meno riconosciuto come tale.

Si tratta di quegli errori più difficili da correggere perché il nostro convincimento sulla

verità o sulla possibile verità di un’affermazione non si fonda su dati di fatto e su

un’attività di valutazione logica (altrimenti non si tratterebbe di errore), ma sulla fede

nell’irrazionale o sul desiderio che le cose stiano come piacerebbe a noi e non per quello

che sono. Gli errori cognitivi sono generati quando il nostro mondo psichico emotivo,

infantile e appunto irrazionale prende il sopravvento all’interno del processo decisionale:

se la carica emozionale cui si accompagnano è sufficientemente forte, essi sono in grado di

resistere a tutte le argomentazioni fondate sulla ragione, favorendo l’elaborazione di ogni

possibile strategia per convincerci della verità di ciò che sappiamo essere falso (Damasio,

2005; Monaco, 2007).

4 . 1 . La coerenza cognitiva

Qualsiasi strategia di evitamento non riesce a cancellare la necessità di garantire il rispetto

della nostra coerenza cognitiva: noi siamo obbligati a vivere in una condizione di coerenza,

e non possiamo vivere a lungo in contraddizione con noi stessi (Bara, 2003; Festinger,

1942; Heider, 1958; Liotti, 2007). Se lo facciamo, salvo che riduciamo i nostri processi

mentali a quelli necessari alla pura sopravvivenza, siamo costretti a vivere quotidianamente

una condizione conflittuale cognitiva: chi fuma e non riesce a smettere, è anche

consapevole del fatto che il fumo fa male. Che lo voglia o no, una parte della sua mente,

tutte le volte che accende una sigaretta, gli segnala (che questo segnale arrivi a livello della

coscienza è irrilevante) che sta facendo qualcosa di dannoso per se stesso. La

contraddizione può essere vinta solo in tre modi: sperando che la situazione esterna,

oggettiva, cambi (per esempio che tutt’a un tratto si provi disgusto per le sigarette),

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adeguandosi a ciò che la parte razionale della mente segnala, e quindi smettendo

finalmente di fumare, oppure, e questa è la strategia più utilizzata, trasformando la

situazione e rendendola cognitivamente accettabile, magari negando l’evidenza della

nocività del fumo con la considerazione che il nonno di sua moglie è vissuto fino a

novant’anni fumando come un turco; o riflettendo che l’umanità ha sempre fumato e non si

è mai estinta per questo; che un po’ di nicotina, come ogni cosa, può solo far bene; che il

fumo in realtà fa male solo a soggetti predisposti; che comunque chi ha una fibra forte

riesce a sopportarlo bene, e così via. La strategia di mantenimento della coerenza cognitiva

può anche spingere a comportamenti più attivi, come per esempio quello di andare alla

ricerca di giustificazioni scientifiche o pseudoscientifiche oppure alibi e interpretazioni

psicoanalitiche.

Il processo che permette il recupero della coerenza cognitiva applicato alla gestione della

salute tramite il ricorso alle medicine alternative si avvale dell’adozione di tutti quei

comportamenti fondati su euristiche ed errori cognitivi che abbiamo descritto nel capitolo

precedente. I processi mentali che conducono a riconoscere l’efficacia di una cura anche

quando essa non si produce sono sintetizzabili in questi termini: se la medicina si è

dimostrata incapace di risolvere un problema di salute è evidente che in seconda istanza

non si potrà che rivolgersi al “parente povero” della medicina ufficiale. Ma perché quella

alternativa sia efficace ci si dovrà convincere che lo sia. Per farlo, si dovranno magari

mettere in dubbio le stroncature e le critiche della scienza e della medicina ufficiale, e molti

fattori possono essere d’ausilio in questo senso: la considerazione che la scienza ha

oggettivamente dei limiti, il fatto che la medicina alternativa, in varie forme, è sempre

esistita, che la sua inefficacia non è mai stata provata in maniera definitiva e

inequivocabile, che forse esiste un complotto che mira a nasconderne l’effettiva efficacia,

che comunque interessi politici e di lobby cercano di screditarla; in più, anche dei medici

regolarmente iscritti al relativo Albo la praticano. Quindi, facendo una inferenza che

configura un classico errore induttivo, le medicine alternative hanno un fondamento serio e

scientifico. Di qui all’attribuire una migliorata condizione di salute all’effetto della cura

alternativa, il passo è breve, specialmente se ricordiamo il dato fondamentale, secondo cui

alle cure alternative non ci si rivolge quasi mai per patologie gravi, di competenza medica,

ma per semplici disturbi e malesseri (si veda in proposito il paragrafo 2 . 3 .).

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4 . 2. Pensiero logico e pensiero magico nelle medicine alternative

Il “pensiero logico” è comunemente considerato la forma di pensiero per eccellenza e per

antonomasia, contrapponendosi a quello che, guidato da pulsioni e istinti, non potrebbe

neppure, a rigore, essere definito come pensiero, in quanto il nostro comportamento è in

questo caso dominato da processi fisiologici che agiscono indipendentemente e persino

contro il pensiero razionale (De Martino, 1948; Giusberti, Nori 2000; Monaco, 2007). Il

pensiero è quindi per sua natura il frutto dell’elaborazione di strategie utili nella lotta per la

sopravvivenza. La teoria evoluzionistica della selezione naturale sostiene che coloro che

hanno saputo trarre insegnamento dalle esperienze negative hanno elaborato schemi di

azione fondati sul pensiero razionale (Dawkings, 2006; Dennet, 2004; Edelman, 1995;

Nunn, 2006). Quest’ultimo sarebbe la risultante dell’elaborazione di dati forniti dai sensi e

dall’esperienza che ci comunicano le esigenze del lato pulsionale e istintivo della nostra

personalità (Damasio, 2005; LeDoux, 2003). Non esiste, insomma, un pensiero impulsivo e

istintivo, ma solo impulsi e istinti. Che poi questi, dopo aver agito e condizionato le nostre

azioni e le nostre scelte, vengano analizzati e contestualizzati, che su di essi si compia

un’elaborazione logica e razionale (come quando si ricostruisce psicoterapeuticamente

l’episodio di un accesso di rabbia o di violenza), non significa che in quell’episodio si sia

fatto uso del pensiero, ma solo che di esso si sta facendo uso ora, in un secondo tempo, per

contestualizzarlo e per comprenderne le motivazioni (Bara, 2007; Damasio, 1995, 2005).

Ma il pensiero, se non deve essere confuso col comportamento istintivo, non è neppure

soltanto logico e razionale. Esiste un pensiero di livello inferiore, meno evoluto e

sofisticato, potremmo dire, più superficiale, che è appunto il pensiero magico, nelle sue

varie forme. Il pensiero magico, a differenza di quello logico, è un pensiero ipotetico

induttivo (Giusberti, Nori 2000; Levy-Bruhl, 1966; Monaco, 2007; Nicola, 2003). Nel caso

del pensiero logico induttivo si parte da una serie di osservazioni e se ne cerca il legame, la

causa e il minimo comune denominatore. Se lo si trova, questi fatti restano uniti sotto una

legge che tende a spiegare tutti i fenomeni che ricadono nello schema dei precedenti. Se le

premesse sono vere sono tali anche le conclusioni che possiamo trarre per tutti i casi che

rientrano nella categoria così definita, arricchendo così il contenuto informativo delle

premesse (Bara, 1999; Pedon,Gnisci, 2004).

Il pensiero magico non mira all’arricchimento della conoscenza, perché questa conoscenza

è già stata definita e delimitata a priori (di solito in un passato che si perde nella notte dei

tempi, privo di fonti documentate e certe) (Eliade, 1976), per cui non sottopone a verifica,

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secondo regole rigorose, il dato, le sue caratteristiche, il suo contesto. Non si preoccupa,

cioè, che le sue premesse siano vere, ma ritiene sufficiente che siano verosimili. Ci

troviamo in realtà di fronte a una tipica situazione risolvibile, secondo il famoso principio

del “rasoio di Occam” (Ghisalberti, 1972; Hitchens, 2007), eliminando le ipotesi o le

costruzioni cognitive che nulla aggiungono alla nostra conoscenza del fenomeno. Oggi,

come nell’antichità, la mancanza di dati relativi alla realtà che ci circonda ci costringe in

qualche modo a dare una spiegazione dei suoi fenomeni sulla base delle conoscenze

disponibili nell’ottica del paradigma cognitivo dominante (Kuhn, 1969). Ma fino a pochi

decenni fa, cioè fino al consolidamento, a livello internazionale, del principio della

necessità di una conoscenza diffusa e condivisa secondo il metodo e le regole della scienza,

era comunemente accettata l’idea che si potessero utilizzare, anche nella pratica clinica,

dati non sufficientemente supportati da evidenze scientificamente dimostrate e documentate

(Garlaschelli, 1999). Anche la ricerca scientifica era ancora permeata da uno spirito portato

ad affidarsi a miti, tradizioni e a dogmi, piuttosto che all’osservazione e alla ricerca

empirica (Dennet, 2000; Evans, 1948). Trasferire questo modo di pensare al giorno d’oggi,

e cercare di incastrarlo a forza all’interno di schemi e criteri scientifici, è un’ operazione

priva di senso.

Il pensiero magico è quindi di tipo ipotetico induttivo nel senso che da un’ipotesi formula

non una legge nel senso scientifico del termine (come tale soggetta a critica e

modificazione o cancellazione), ma una legge nel senso mistico del termine, cioè un dogma

(Pedon, Gnisci, 2004). Nel pensiero logico scientifico una serie di conoscenze conduce alla

formulazione di una legge alla luce della quale si cerca di spiegare altri aspetti sconosciuti,

cercando di inserirli all’interno della legge stessa. Se non ci si riesce, la conoscenza

paradossalmente si arricchisce, perché conoscenza non è solo acquisizione di nuovi dati,

ma anche eliminazione di dati scorretti o inutili. Nel pensiero magico una legge è un dogma

che cerca di spiegare tutta la realtà : lascia ad altri il compito di spiegarla in termini logico -

razionali, ma si preoccupa solo della sua applicazione: quindi non ha a cuore la

conoscenza, ma solo la ripetizione rituale di una serie di dogmi. Eventuali conferme

scientifiche alle sue ipotesi sono sempre benvenute, non altrettanto le smentite, che

vengono sistematicamente ignorate attraverso, tra l’altro, diverse strategie cognitive.

Questo atteggiamento antiscientifico è particolarmente pericoloso nel campo della salute

perché si fonda, come ogni espressione di pensiero magico, su una serie di illusioni

cognitive, prima tra tutte che la cura sia efficace (senza dimostrazione del fatto) e che

l’efficacia sia l’aspetto più importante della cura. Al contrario, “l’esito positivo è meno

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importante dell’aver capito come lo si è prodotto. Solo se si sa come un risultato è stato

raggiunto, infatti, si potrà ottenerlo di nuovo, altrimenti per ogni successo pubblicizzato ci

saranno sempre un numero indefinito di fallimenti occultati” (Bara, 2000, p. 89).

Il pensiero magico viene utilizzato per cercare di garantire ordine e coerenza del sé

nell’incessante fluire dell’esperienza, secondo un mandato biologico che richiede di dare

una spiegazione di ciò di cui facciamo esperienza. È quindi un tipo di pensiero

filogeneticamente e ontogeneticamente precedente il pensiero logico e razionale che ha

dato vita al pensiero scientifico (Bara, 2003; Veglia, 2007). Esso ha una sua ragione di

esistere perché può spiegare la realtà in termini utili per l’essere umano, soprattutto quando

di questa realtà si conosce poco o nulla; ma nel momento in cui la conoscenza del

fenomeno progredisce portando dati contradditori, anziché cercare di comprendere il dato

contrario, il pensiero magico lo rimuove semplicemente. Nel pensiero magico la

conoscenza è cristallizzata nel dogma, non è esposta a falsificazione e quindi non si

arricchisce né si modifica, opponendosi a ogni cambiamento perché il suo scopo non è la

ricerca della conoscenza, ma la difesa di quote di sicurezza già acquisite (Dorfles,1977;

Veglia, 2007). È quanto avviene precisamente nel campo delle medicine alternative, tutte

fondate su dogmi, principi, tecniche e protocolli nati in un lontano passato e mai esposti a

verifica scientifica (Skrabaneck, McCormick, 2002).

Il pensiero magico non stabilisce neppure regole che richiedono un confronto, un dibattito

e una condivisione di vedute, circa le modalità di raccolta e definizione dei dati, e neppure

si preoccupa che questi dati siano in numero sufficiente da offrire, secondo le leggi della

statistica (anch’esse nate da condivisione) una ragionevole certezza circa la veridicità delle

osservazioni e delle conclusioni.

Il pensiero logico invece opera necessariamente adottando il metodo scientifico,

formulando un’ipotesi e verificando tale ipotesi sulla realtà, seguendo operazioni logico-

matematiche (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, ordinamento, sostituzione,

inclusione in classi, relazioni) e spazio-temporali (reversibilità, compensazione) (Miller,

1983). Le sue conclusioni, le decisioni che ad esso faranno seguito, saranno quindi fondate

su scelte dettate dall’adesione a leggi, principi e regole della statistica e del calcolo

probabilistico. Ma l’osservazione che chiunque di noi può fare riguardo alle scelte proprie e

altrui nella vita quotidiana ha mostrato la frequente e quasi costante violazione di principi e

regole proprie della razionalità, mettendo in evidenza il ripetuto ricorso, al di là dei

meccanismi automatici, di forme di ragionamento che rientrano nella sfera del “pensiero

magico” o pensiero “quasi magico” (Giusberti, Nori, 2000).

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Piaget è stato uno dei primi studiosi del pensiero magico e ha osservato come questa

modalità primitiva di funzionamento dell’apparato psichico sia presente nel bambino come

nell’adulto, anche se tende a scomparire una volta raggiunto lo stadio del pensiero

operatorio concreto e formale, lasciando il posto alla logica ipotetico-deduttiva (Piaget,

1955). Oggi si è abbandonata la visione dicotomica secondo la quale pensiero magico e

pensiero logico contrapponevano la mentalità primitiva a quella moderna; si preferisce

considerarle come due strutture mentali conviventi nella mente adulta, che si manifestano

con due forme di pensiero in costante interazione nella quotidiana analisi e

rappresentazione della realtà, anche se la struttura del pensiero magico resta più evidente

nelle civiltà primitive e quella del pensieri razionale tra i popoli che vivono nei paesi

occidentali e più moderni (Levy, Bruhl, 1966; Perussia, 2003).

4 . 3. Struttura e funzioni del pensiero magico in medicina alternativa

La descrizione della struttura e del funzionamento del pensiero magico è importante per

poter comprendere come esso stia alla base sia delle credenze magiche propriamente dette,

sia di molte convinzioni e atteggiamenti che condizionano comportamenti quotidiani

comuni, come il ricorso alla medicine alternative.

La caratteristica principale del pensiero magico è la cosiddetta “partecipazione” (De

Martino, 1948), particolare struttura cognitiva attraverso la quale si crea la percezione del

rapporto tra due fenomeni che è invece assolutamente non reale e inesistente.

Conseguentemente, la magia operata dal pensiero si concretizza nell’illusione che si

stabilisce in un individuo che, più o meno consapevolmente, si convince di poter

modificare la realtà. Nei popoli primitivi questa partecipazione è evidente nell’utilizzo che

essi fanno dei simboli a scopo magico-terapeutico. In questi casi il simbolo non rappresenta

semplicemente, ma “è” il rappresentato. Una conseguenza evidente di questa modalità di

pensiero è visibile nelle pratiche magiche, presenti in Occidente come nel resto del mondo,

in cui l’azione sul simbolo è ritenuta equivalente all’azione diretta sulla persona cui

l’oggetto appartiene (De Martino, 1948; Frazer, 1990).

Il legame partecipativo presente nel pensiero magico può essere stabilito tra gesti, oggetti,

eventi, pensieri e intenzioni, dando luogo a diverse tipologie o forme di “partecipazione”:

• Partecipazione tra gesti e eventi: la persona che compie un gesto dotato di un certo

valore simbolico ritiene di poter influire su un evento (se si indossano indumenti di

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colore blu essi andranno ad attivare le nostre energie mentali; se si assumono poche

gocce del rimedio che ha fatto guarire altre persone, anche io guarirò).

• Partecipazione tra pensiero ed eventi: la persona ritiene di poter modificare la realtà con

un pensiero. Per esempio, se terapeuta e cliente pensano intensamente a quale tra i

rimedi omeopatici è più utile al caso specifico, la forza del pensiero condurrà a scegliere

quello giusto. Si tratta della tecnica insegnata nei corsi di formazione per l’uso delle

apparecchiature di biorisonanza (riservate solo alla classe medica) in cui la scelta del

rimedio effettuata dall’apparecchiatura può essere utilmente confermata da questa

tecnica mentale (Sanfo, 2005).

• Partecipazione degli oggetti tra loro: si utilizza un oggetto per agire su un altro oggetto o

persona (si preme ripetutamente su un punto preciso della pianta del piede per riattivare

la funzionalità del fegato o dei reni, si analizza la biancheria intima del paziente per

ricavarne dati sulla sua salute) (Frazer, 1990).

• Partecipazione di intenzioni: si pensa che la semplice intenzione possa agire sulla

volontà di un’altra persona (nella “terapia craniosacrale” insegnata dall’osteopata

americano Upledger (1997) l’intenzione di indurre le cellule del sistema immunitario a

rinforzarsi e a difendere meglio il paziente viene trasmessa verbalmente parlando alle

cellule stesse come se fossero esseri umani).

La presenza predominante del pensiero magico nella vita mentale infantile, così come in

quella dei seguaci delle medicine alternative, è giustificata da tre funzioni principali,

parzialmente sovrapponibili (Bonino, 2000):

1. Funzione difensiva, fondata sulla convinzione, che tale pensiero alimenta, di poter

controllare la realtà; tale funzione è fondamentale in età evolutiva per affrontare

situazioni altrimenti insopportabili che provocano angoscia o insicurezza. Essa è

anche la ragione per cui in situazioni problematiche, drammatiche e traumatiche

(per esempio quando la loro salute è minacciata) alcuni adulti regrediscono, facendo

ricorso a questa forma di pensiero pur di non accettare ed affrontare la realtà.

(L’esempio più evidente è quello del dott. Bach (1996), che di fronte all’impotenza

e al fallimento della medicina nel salvare la vita alla moglie, scelse di rifugiarsi nel

pensiero magico affidandosi alle virtù terapeutiche dei fiori, piuttosto che

continuare ad approfondire gli studi in medicina).

2. Funzione propiziatoria, fondata sulla convinzione che ci siano forze misteriose ma

dominabili che regolano gli eventi (Dorfles, 1977; Eliade, 1976; Monaco, 2007). Il

richiamo al significato simbolico della cura e del rimedio, la ritualità esasperata e

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priva di logica interna, la fede assoluta nell’intrinseca validità della cura e la

refrattarietà alle critiche sono tutte caratteristiche che si accompagnano all’uso di

questa funzione.

3. Funzione conoscitiva, per cui il pensiero magico riempie i vuoti lasciati dalle altre

forme di pensiero e rivela ciò che non può essere conosciuto secondo la logica (De

Martino, 1948). Si tratta dell’aspetto “nobile” delle medicine alternative, le quali,

secondo i loro sostenitori, permetterebbero un ampliamento delle nostre conoscenze

esplorando territori non raggiungibili dai limitati strumenti della logica scientifica

(Sanfo, 2005). Tutto vero, se non fosse che queste medicine pretenderebbero di

spingersi al di là dell’universo conosciuto (come l’arte, la filosofia hanno sempre

fatto, del resto), ma poi di ritornare nel nostro mondo cariche di doni per l’umanità,

utilizzabili senza problemi anche se provenienti da un’altra dimensione, non reale.

In ambito omeopatico, per esempio, si fa riferimento agli studi di Plank e di

Einstein e agli esperimenti che mostrano l’esistenza e il comportamento delle

particelle subatomiche per dare fondamento alla teoria secondo cui lo scuotimento

della provetta contenente la sostanza determinerebbe, (come in un acceleratore di

particelle casalingo) l’emissione di energia che si trasferirebbe dalla sostanza diluita

nella sostanza diluente, cioè l’acqua (Benveniste, Davenas, Beauvais, Amara,

Oberbaum, Robinzon, Miadonna, Tedeschi, Pomeranz, Fortner, Belon, 1988).

È stato autorevolmente sostenuto ( Fusi, 2006; Giusberti, Nori, 2000; Monaco, 2007; O’

Regan, Hirshberg, 1993), che in certe circostanze, in situazioni di difficoltà e di

disperazione, o quando non si posseggono strumenti intellettuali e culturali sufficienti per

contestualizzare gli eventi, è molto difficile dare la preferenza alla scienza, che ammette i

propri limiti, rispetto a una medicina alternativa che come ogni religione promette una

premio a chi crede (Dawkings, 2007; Dennet, 2000, Hitchens, 2007; Odifreddi, 2007). La

medicina alternativa fa sognare di poter guarire ciò che la scienza non sa fare e in certe

circostanze questo è preferibile alla dura realtà (Garlaschelli, 1999; Skrabaneck,

McCormick, 2002). La percezione dell’efficacia delle medicine alternative nasce anche dal

fatto che quando la malattia o il disturbo di cui la persona soffre rientra nella categoria di

quelli autolimitanti, o fluctuating (cioè in pratica di quei disturbi che regrediscono per

riequilibrio omeostatico), la credenza e il wishful thinking attribuiscono alle qualità

intrinseche delle cure alternative il merito della guarigione. In aggiunta, si consideri che la

volontà e il desiderio di guarire, specialmente nei casi di disturbi di gravità relativa,

costituiscono un formidabile strumento di accelerazione dei processi fisiologici di

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autoguarigione (Dobrilla, 2004; Moerman, 2004; Sapolsky, 2006). Per questo motivo

riteniamo indispensabile convogliare le risorse di studiosi, terapeuti e ricercatori verso

questi fattori “interni”di guarigione, scientificamente analizzabili, anziché su fattori esterni

come i fantasiosi, ma di per sé inutili rimedi alternativi. Se pure il risultato finale, la

guarigione, fosse lo stesso, l’etica, la logica e l’epistemologia inducono a dare la

preferenza, nella scelta degli strumenti di guarigione, a quelli fondati sulla conoscenza

delle risorse umane, piuttosto che su quelli che si affidano a misteriose virtù terapeutiche

soprannaturali.

4 . 4 . L’attrazione per la magia

Come efficacemente osservano due medici molto scettici nei confronti delle medicine

alternative, “Molti non sono disposti a credere alla magia pura e semplice, ma sono più

pronti ad accettarla quando è confezionata in forma di scienza” (Skrabanek, McCormick,

2002, p.143).

Più in generale, le medicine alternative soddisfano la nostra attrazione per l’ignoto: esso

attrae e affascina più del noto, e ci porta a immergerci in esso. Tutti siamo affascinati

dall’idea che esistano i fantasmi. Ma solo chi ci crede li vede (Perussia, 2003).

Con ogni probabilità, alla base della percezione dell’efficacia e dell’utilità delle medicine

alternative da parte degli operatori del settore, c’è anche il pensiero desiderativo di

trasferire tecniche legate alle capacità di pochi individui (sciamani, uomini medicina,

guaritori), e che solo per le loro capacità soggettive potevano funzionare, a un sistema

terapeutico che si fonda su principi rigorosamente scientifici (Bara, 1999). Questa

operazione comporta quella che Dorfles definisce una mitagogia, cioè la creazione di nuovi

miti e di nuovi riti, le uniche rappresentazioni cognitive che possano sostenere ai nostri

giorni l’esistenza e l’applicazione pratica di cure palesemente inefficaci, come le medicine

alternative dimostrano di essere.

“La generale tendenza degli uomini alla credulità e alla fede nel miracoloso: sin dai primi

inizi, quando la vita ci stringe nella sua severa disciplina, si risveglia in noi una tendenza

contro l’inesorabilità e la monotonia delle leggi del pensiero e contro le esigenze

dell’esame di realtà. La ragione diventa la nemica che ci defrauda di tante possibilità di

piacere. Si scopre quale piacere procuri il sottrarsi ad essa, almeno temporaneamente, e

l’abbandonarsi agli allettamenti dell’assurdo. Lo scolaro si diletta a storpiare le parole; lo

specialista, finito un congresso scientifico, si fa beffe della propria attività; persino l’uomo

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serio apprezza i motti di spirito. Vi è un’ostilità più seria contro “ragione e scienza, le

supreme forze dell’uomo”, che aspetta solo di avere un’occasione: si affretta a dare la

precedenza al medico ciarlatano o al “guaritore” più che al medico “laureato”, è

favorevole alle affermazioni dell’occultismo nella misura in cui i suoi presunti dati di fatto

possono essere presi come infrazioni di leggi e regole, assopisce la critica, falsa le

percezioni, estorce conferme e consensi che non possono essere giustificati” (Freud, 1969,

p. 444).

Le credenze nei rituali magici e la superstizione sono una manifestazione di un predominio

del pensiero magico nella vita mentale, l'espressione del ricorso frequente o costante a

capacità pre-simboliche di pensiero, un comportamento che è connesso ad un arresto più o

meno parziale nello sviluppo di un simbolismo completo. Ma il pensiero magico si attiva

anche quando sono presenti capacità simboliche complete, essendo avviato da particolari

condizioni in cui il "pensiero logico" non ha a disposizione tutti i dati necessari per operare,

come nel caso della conoscenza dei meccanismi che regolano la salute. L’attività di

ragionamento dell’essere umano è infatti multideterminata; ciò significa che essa è

influenzata sia da fattori generali, quali le capacità logiche possedute, che da fattori

specifici individuali, come la preferenza di una modalità di pensiero piuttosto che di

un'altra, e infine, in percentuale non meno importante, da fattori situazionali (Bonino,

Reffieuna, 1999). Di conseguenza, è possibile individuare diversi esempi di comportamenti

guidati dal pensiero magico che ricompaiono in diverse circostanze che si verificano nella

vita di tutti i giorni e che implicano principalmente una rottura spazio-temporale nei

principi di causalità e lo stabilirsi di una partecipazione. Essi a volte sono attivati

nell'impossibilità di operare una stima di probabilità, altre volte sono accompagnati da un

errore nel giudizio relativo alla probabilità che un evento si verifichi.

Queste considerazioni ci riportano a quanto esposto in precedenza circa le motivazioni al

ricorso a cure alternative: gli autori che si sono occupati dell’argomento (Antonovsky,

1987; Astin, 1998; Fulder, 1996; Richardson, 2004; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz,

1991) sono concordi nel ritenere che nella scelta di sottoporsi a cure alternative la cura di

patologie passa in secondo piano rispetto al bisogno di “informazione, un approccio

olistico, miglioramento della qualità della vita, suggerimenti e consigli su come gestire la

propria salute” (Richardson, 2004, p. 1052). “Molti di coloro che si rivolgono alle medicine

alternative cercano un senso soggettivo di benessere piuttosto che semplice salute intesa

come assenza di malattia” (Diener, 1998, p. 25). Diverso è il caso per coloro che queste

discipline praticano: nella maggior parte dei casi si tratta di persone, medici e non, che

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hanno ricevuto una formazione specifica nel settore della cura delle malattie o della salute,

i quali si convincono dell’utilità di somministrare cure scientificamente inutili per molti

motivi diversi: per esempio, la delusione per una professione che nella pratica si è rivelata

più squallida, banale e meno affascinante di quanto pensavano; la consapevolezza che anni

o decenni di studio li hanno condotti a conoscere, male, una parte infinitesima di ciò che

occorrerebbe per curare e guarire davvero con efficacia; il duro confronto quotidiano con

l’inutilità delle migliori cure disponibili (Bert, 1974; Vithoulkas, 1991).

4. 5 . La rottura dell’organizzazione spazio-temporale

La rottura dell’organizzazione spazio-temporale è un’altra caratteristica fondamentale

propria della modalità magica di funzionamento del pensiero; essa agisce rendendo

possibile una causalità artificiale, illogica e paradossale (Bara, 2000, 2003; Monaco, 2007).

Si noti come proprio la rottura dell’organizzazione spazio-temporale è alla base della teoria

definita come “teorema di Bell” oggetto di acceso dibattito nell’ambito della meccanica

quantistica (Marchesi, 2000). Ma qui siamo nel campo della fisica teorica, mentre il

pensiero magico pretende di dare ad essa un’ applicazione pratica.

Rispetto alla logica spaziale la rottura operata dal pensiero magico consiste nella creazione

di una coincidenza tra il tutto e le sue parti, anche quando essi vengono separati. Di

conseguenza, per esempio, chi possieda anche una parte insignificante del corpo di una

persona, per esempio un capello, può convincersi di agire sulla persona agendo su di esso.

Nel mondo della magia ciò avviene prevalentemente a scopo terapeutico, o persino per

infliggere un danno, e non a scopo diagnostico (Frazer, 1990). Nel campo specifico della

medicina alternativa, questa coincidenza tra il tutto e le sue parti è quella che consente agli

iridologi di affermare di poter diagnosticare lo stato di salute dalla semplice osservazione di

una parte minuscola del corpo, cioè l’iride, o ai riflessologi attraverso piede o mano. La

rottura della logica temporale, che guida la causalità nel "pensiero razionale", è presente in

tutti quei casi in cui viene a stabilirsi un legame, tra una causa ed un effetto, privo di un

momento temporale ben limitato. In questi casi la dimensione temporale non viene più

vissuta come un continuum caratterizzato da un passato che precede presente e futuro, ma

viene distorta per essere adattata alle nostre esigenze. Un esempio può essere la “violazione

del principio di fissità del passato” che può essere considerato uno dei tanti comportamenti

in cui in età adulta si manifesta ancora il pensiero magico.

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4. 6 . La violazione del principio della fissita’ del passato

La "violazione del principio della fissità del passato" determina la tendenza a considerare

un evento E come dimostrazione evidente di un precedente evento A; in tal modo si

suppone che un'azione attuale (E) possa causare uno stato (A) in realtà già determinatosi in

precedenza (Bara, 2003; Cassirer, 1964; Monaco, 2007). Un esempio di questa violazione

è riportato in una ricerca condotta alcuni anni fa (Giusberti, Nori, 2000): ad un gruppo di

persone è stata data notizia che uno studio (in realtà inesistente) ha mostrato come una

maggiore resistenza ai rumori sia stata riscontrata nelle persone con costituzioni fisiche più

forti e dotate di buona salute. Una volta appresa questa notizia, in successive condizioni di

rumorosità si è osservata, nel suddetto gruppo, una tendenza piuttosto diffusa a tollerare il

rumore (giudicato sopportabile in tutti i casi). Secondo gli autori della ricerca (Giusberti,

Nori, 2000) questa tendenza è volta a dimostrare a sé stessi di avere un organismo forte e in

salute, facendo ricorso a un pensiero magico che inverte le relazioni causali, illudendosi

che se si resiste al rumore si ha una costituzione fisica forte. È importante sottolineare

come questa tendenza non sia stata riscontrata nei componenti di un secondo gruppo a cui

la notizia dello studio in questione non era stata riferita; essi infatti hanno mostrato

maggiore sincerità nel valutare il fastidio degli stimoli rumorosi a cui sono stati sottoposti,

nonostante fossero identici a quelli somministrati ai componenti del primo gruppo. In

condizioni di probabilità ignota, quindi, la mente costruisce false relazioni causali, guidate

dal desiderio di trovarsi in una condizione ambita ma che in realtà è già preesistente. Le

persone in questi casi agiscono come se potessero influenzare un risultato che è già

predeterminato (la costituzione fisica). In medicina alternativa ciò avviene anche quando si

pretende di effettuare diagnosi di “predisposizione” a patologie che possono, ma possono

anche non manifestarsi da qui alla fine dei giorni del paziente (Brancato, Pandolfi, 2005;

Moerman, 2004), o quando ci si attribuisce il merito della guarigione a notevole distanza di

tempo dall’inizio della cura, senza tener conto dell’intervento nel frattempo di possibili

altri fattori di guarigione (Gulotta, de Cataldo Neuburger 1996; Pedon, Gnisci, 2004;

Skrabaneck, McCormick, 2002).

4. 7. Wishful thinking

Anche quando la probabilità è calcolabile, spesso il pensiero non segue il giudizio basato

sulle leggi della probabilità, così come avviene in una particolare manifestazione del

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pensiero magico, costituita dal cosiddetto "pensiero desiderativo" o wishful thinking

(Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Morlock, 1967; Spaltro, 2007). Anche questa modalità

di pensiero si attiva quando il "desiderio" assume il controllo del comportamento e fa in

modo che gli eventi soggettivamente più desiderati vengano valutati come più probabili di

altri meno desiderabili (Morlock, 1967). Questa modalità di pensiero magico può essere

innocua la maggior parte delle volte che si stimano come più probabili gli eventi desiderati;

essa tuttavia può risultare particolarmente rischiosa in quei casi in cui vengono considerati

poco probabili (e così non è nella realtà) eventi negativi non desiderati. Per esempio,

nonostante il fatto che la scienza medica abbia dimostrato come le persone colpite da

infarto siano soggette a un maggiore rischio di ricadute se continuano a fumare, molti di

loro non riescono a smettere sottovalutando il rischio reale testimoniato da dati statistici

sull’incidenza del fenomeno e lasciandosi guidare dal desiderio anziché dalla ragione. Si

tratta dell’ennesima conferma dell’affermazione (Dorfles, 1977; Eliade, 1976; Giusberti,

Nori, 2000; Monaco, 2007) secondo cui gli errori cognitivi si manifestano tutte le volte in

cui il pensiero magico prevale su quello logico e l’emotività sulla ragione. Il ricorso

inconsapevole al wishful thinking, come è stato più volte sottolineato, è forse l’elemento

più tipico e diffuso alla base delle credenze nell’efficacia delle medicine alternative.

Quanto più la persona vive una situazione soggettivamente dolorosa, drammatica, priva di

facili vie d’uscita, tanto più tenderà a rivolgersi ad ogni possibile appiglio terapeutico e

cognitivo. E poiché ben difficilmente le pratiche alternative cui si è rivolto risolveranno il

suo problema, in mancanza di altre vie di fuga sarà costretto a giustificare i fallimenti e a

enfatizzare i miglioramenti, attribuendoli sempre a ciò che desidera, cioè l’efficacia della

cura alternativa, piuttosto che ciò che non desidera, cioè cambiare la propria visione della

vita (Sapolsky, 2006). È evidente che è molto più semplice assumere un rimedio e

convincersi che funziona, piuttosto che indagare sui processi che hanno condotto alla

malattia e che richiedono capacità di autocritica, necessità di attingere alle proprie risorse,

una certa dose di sofferenza, sforzo e sacrificio, cioè l’insieme dei reali fattori che

permettono il recupero della salute (Bara, 2003; Murray, Pizzorno, 2000). La pericolosità

del ricorso al wishful thinking è la stessa del ricorso a medicine prive di fondamento ed

efficacia: in entrambi i casi la persona rinuncia a fare scelte dettate dalla conoscenza

condivisa della realtà e dalla ragione per rifugiarsi in un mondo fittizio, appunto “magico”

in cui le cose accadono secondo i nostri desideri. La conseguenza sarà inevitabilmente

l’ingresso in un circolo vizioso fatto di continua ricerca di soluzioni attraverso cure e

terapeuti miracolosi, piuttosto che la ricerca di sé stessi e delle possibili fonti di guarigione.

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4. 8 . Simboli e rituali nelle medicine alternative

I rituali sono costituiti di gesti, comportamenti e abitudini che assumono il valore di

possibilità di controllare gli eventi reali attraverso il meccanismo già illustrato della

“partecipazione” (De Martino, 1948). Tutti, più o meno, fanno ricorso a rituali: essi sono

alla base delle superstizioni e delle credenze, cioè di tutte le manifestazioni del

comportamento umano in cui si abbandona il pensiero logico in favore di quello magico, e

sono tanto più frequenti quanto più ci si trova in condizioni di insicurezza e di ansia e

aumenta il desiderio o la necessità di controllare la realtà (Eliade, 1976). Ne sono esempi

innocui l’indossare sempre lo stesso capo di abbigliamento prima di un esame o una gara,

lo scendere dallo stesso lato del letto ogni mattina, il controllare più volte di aver chiuso il

rubinetto del gas o aver sbarrato la porta di casa, l’uso di un oggetto come portafortuna.

Essi diventano pericolosi quando assumono il controllo della vita di una persona,

controllandone e condizionandone scelte, comportamenti, opinioni.

È quello che accade, a nostro parere, quando le medicine alternative sono utilizzate senza

alcun riferimento alla loro effettiva finalità, anzi distorcendola a proprio vantaggio e

tradendone in questo modo il vero significato. Naturalmente, l’elenco delle pratiche

magiche cui si rifà la medicina alternativa sarebbe lunghissimo e qui vale la pena fare solo

alcuni accenni. Si consideri comunque il fatto che la somministrazione di una cura priva di

efficacia scientificamente dimostrata si configura come una sorta di rituale, presentato

come necessario ai fini del recupero della salute, che può condizionare la vita della

persona, illudendola circa il fatto che la sua salute possa dipendere dalla rigorosa

osservanza di prescrizioni imposte da altri e non dal proprio intimo, profondo e razionale

convincimento (Bara, 2003; Liotti, 2006).

Quanto al simbolismo, la medicina alternativa si basa su simboli per poter effettuare i suoi

rituali, mentre la medicina scientifica si basa su sostanze, procedure e strumenti privi di

valore simbolico, ma solo terapeutico. Tutti i rimedi utilizzati in medicina alternativa infatti

sono di per sé inefficaci a produrre gli effetti che si propongono, vuoi perché privi di reale

efficacia terapeutica, vuoi perché anche quando questa esiste, come in fitoterapia, il

principio attivo è solitamente presente in quantità così bassa da produrre effetti minimi e

normalmente inutili (se non fosse per il placebo) (Skrabaneck, McCormick, 2002).

In medicina alternativa la raccolta, la preparazione e la somministrazione dei rimedi segue

specifici rituali, per cui le gocce, le erbe, o le stesse apparecchiature non svolgono la loro

funzione di per sé, per le loro qualità terapeutiche intrinseche, ma o come oggetti

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transazionali, o perché rappresentano il potere di guarigione (Sanfo, 2003, 2005). Ma il

simbolismo è presente anche nel convincimento dei terapeuti che esista una sorta di

informazione racchiusa all’interno della materia, che può essere estratta e utilizzata ai fini

terapeutici. La materia, secondo il pensiero magico dei medici alternativi (Butto, 2003;

Chopra, 1992; De Chirico, 2000; Pace, 1933) , sarebbe solo il trasportatore attraverso il

quale è possibile veicolare il significato espresso dalla materia nelle sue varie forme. Tutto

ciò che esiste in natura, in altre parole, porta con sé un messaggio o una informazione

(l’animismo è una caratteristica tipica del pensiero magico infantile), che le medicine

alternative pretenderebbero di padroneggiare e veicolare a loro piacimento. Si tratta di una

concezione che affonda le sue radici nell’esoterismo (Dorfles, 1977; Ferrieri, Lodispoto,

2001; Sanfo, 2005), per cui ogni cosa rimanda a un significato retrostante in una specie di

gioco di specchi in cui, per esempio, un minerale è il riflesso terrestre delle caratteristiche

di un pianeta, il quale a sua volta è il riflesso di caratteristiche tipicamente umane. In

medicina tradizionale cinese i nostri organi rimandano al circuito dei meridiani cui

appartengono, linee invisibili che corrono lungo il corpo e che rimandano a cicli naturali

stagionali, alle caratteristiche degli elementi (fuoco, metallo, terra, legno, acqua) secondo

una simbologia affascinante quanto priva di logica e specialmente di utilità pratica (Nei-

Ching, 1995; Zukav, 1995).

4 . 9 . La fede

La fede in Dio o in qualsiasi entità soprannaturale, cui rivolgersi allo scopo utilitaristico di

ottenere in cambio della devozione un mantenimento o miglioramento dello stato di salute,

proprio e dei familiari, è una pratica diffusissima (Fusi, 2006; Pavese, 2005). Nonostante i

numerosissimi casi di “guarigioni straordinarie” riportati in letteratura (Hirshberg, Barash,

1995; O’ Regan, Hirshberg, 1993), manca, naturalmente, qualsiasi riscontro scientifico

circa l’esistenza di un nesso causale tra intervento divino e guarigione. Alcuni autori (Bara,

2003; Dawkins, 2007, Dennet, 2000; Hitchens, 2007; Nunn, 2006; Odifreddi, 1999, 2007;

Veglia, 2007) ritengono che un approccio corretto e positivo alla salute dovrebbe però

fondarsi sulla consapevolezza della propria individuale condizione di salute e sulla propria

volontà di promuoverla attivamente attraverso scelte dettate dalla ragione e dalle

conoscenze scientifiche. Altrimenti, il rischio è quello di affidare ad altri o ad altre entità

sconosciute la responsabilità anche di quanto è in nostro potere fare ai fini della salute.

Abbiamo illustrato nel capitolo precedente quali e quanti illusioni ed errori cognitivi

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conducono grazie al wishful thinking ad attribuire a ciò che desideriamo la causa dei nostri

mali e il merito delle nostre guarigioni. I meccanismi che regolano questo perverso e

pericoloso modo di vivere le relazioni causa/effetto nella vita quotidiana, che limitano la

responsabilità individuale nel processo di guarigione, inducendo il convincimento

dell’efficacia di un rimedio come dovuto a fattori non dimostrabili scientificamente, è lo

stesso sia in medicina alternativa, sia nella pratica della fede religiosa.

Si considerino ora le somiglianze e le analogie ravvisabili tra medicine alternative e

religione. Entrambe:

• si fondano su verità incontestabili e rivelazioni prive di prova.

• sono refrattarie ad ogni modificazione.

• si fondano su rituali immutabili di cui si è perso il significato per i più.

• sono nate agli albori del cammino che ha condotto allo sviluppo formidabile della

conoscenza, prima che la scienza esistesse (basi della medicina ippocratica, cinese,

indiana) o prima che la scienza ponesse le sue regole universali.

• cercano di spiegare la realtà in mancanza di dati. Ora che grazie alla scienza molti di

questi dati ci sono, le religioni continuano ad arroccarsi su posizioni teoriche sempre più

indifendibili (si veda la crociata creazionista), e le medicine alternative si sforzano di

legittimarsi cercando di evidenziare le coincidenze e le anticipazioni da esse effettuate,

rifiutandosi però di considerare le critiche e di rivedere alla base le teorie su cui si

basano.

• si fondano su una interpretazione di un fatto (non spiegabile dalla conoscenza e dalla

scienza, e neppure col buon senso) e cioè il significato della umana sofferenza, per

cercare di dare su questa base un sollievo e un rimedio non fondato sulla conoscenza,

ma sulla fede. La scienza invece non dà un’interpretazione di ciò che non conosce (lo fa

la filosofia), ma studia ciò che conosciamo o è possibile conoscere e cerca di trarre dai

dati di conoscenza i possibili rimedi.

Che la medicina abbia costituito, per millenni, il corrispondente laico della religione, e cioè

l’applicazione pratica della funzione della fede, che è quella di dare una spiegazione e

alleviare il dolore, è un dato su cui è stato scritto tantissimo, al punto da ritenerlo assodato

(Martinetti, 1942; Frazer, 1990; Reale, 1999; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Minois, 2003;

Corbellini, 2004). Molto meno si è scritto a proposito del fatto che se è vero che la

medicina scientifica ha mantenuto una sorta di nostalgia, almeno formalmente, per rituali e

atteggiamenti tipici della religione (Bert, 1974), è altrettanto vero che se ne è staccata

ponendosi in netta antitesi e contrapposizione sul piano sostanziale dei contenuti. Al

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contrario, noi riteniamo che le medicine alternative si fondino sullo stesso meccanismo

psicologico su cui si fonda ogni religione.

La medicina alternativa, come fa ogni bambino nella prima fase del suo sviluppo, non

accetta di adeguarsi al principio di realtà e crede di poter superare questo divario per

mezzo della fede, la magia, la semplice buona volontà (Freud, 1969; Piaget, 1955). La

medicina alternativa vive sull’ignoranza, la stessa del bambino che chiudendo gli occhi è

convinto che gli altri non lo possano vedere, la stessa del seguace del creazionismo che

rifiuta l’evidenza dei dati a favore dell’evoluzione darwiniana (Dawkins, 2006). Il

bambino però gradualmente passa dal pensiero magico a quello formale, astratto, logico,

adattandosi e sacrificando la propria pulsione verso il piacere di fronte all’evidenza della

realtà; la medicina alternativa cerca di convincere menti deboli, suggestionabili, prive della

capacità e degli strumenti culturali e intellettuali utili a cogliere il significato di ciò che

stanno facendo, che la ripetizione di certi rituali, l’uso di simboli, la fede, possano fare

letteralmente miracoli. E, in effetti, sono proprio le menti deboli quelle che credono nei

miracoli (Odifreddi, 2000, 2007; Hitchens, 2007; Dawkins, 2007).

Il seguace della medicina alternativa usa il pensiero magico con lo scopo di curare un certo

disturbo utilizzando gli stessi schemi mentali del credente che si rivolge a una entità

soprannaturale per ottenere favori o protezione. Non avendo altre armi, spesso culturali e

intellettuali, per indagare sulla natura del problema e sulle possibili soluzioni, non sarà in

grado di utilizzare il pensiero laterale, e si convincerà che non ci siano altre possibili

soluzioni (Bara, 1999; Dennet, 2000; Nunn, 2006; Rorty, 1991). Su questa base, il

fenomeno della resistenza vuole che l’eventuale fallimento sia da imputare non alla cura,

che è necessariamente perfetta, quanto alle avverse circostanze o ad altri eventi esterni.

Nelle persone in cui la mente segue prevalentemente la modalità di ragionamento magico,

quando le esperienze contraddicono il loro pensiero non nasce il bisogno di spiegare

l’insuccesso. Ciò è possibile anche grazie al ricorso a giustificazioni di ripristino della

coerenza cognitiva, in base alle quali l’accaduto è connesso all’intervento di altri fattori che

lo possono giustificare, oppure facendo riferimento a premesse diverse da quelle su cui si

fonda il “pensiero logico”e secondo cui le potenze invisibili che consentono la

“partecipazione” agiscono secondo progetti oscuri e quindi in momenti inattesi,

imprevedibili e incalcolabili (Jung, 1942; Nisbett, Ross, 1989; Taylor, 1991). Così i

fallimenti di un rituale magico possono essere attribuiti ad un errore di memoria o

nell’esecuzione del rito, al volere degli spiriti o a una “contromagia” (Malinoswsky, 1925;

Frazer, 1990).

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Se i benefici soggettivamente percepiti a seguito della sottoposizione a cure alternative

prescindono dall’effetto della cura in sé stessa, dei rimedi e dei trattamenti prestati, appare

quindi ragionevole rifiutare quelli che risultano essere scientificamente rimedi privi di

efficacia per concentrare tutte le risorse destinate alla cura a un approccio più psicologico

legato alla correzione di stili e abitudini di vita, secondo le linee guida della moderna

“positive psychology” (Argyle,1987; Abdel-Khalek, Ahmed, 2006; Engel, 1977; Gadamer,

1993; Galati, 2004; Spaltro, 2007; Veenhoven, 1997). Allo stesso modo, la necessaria

ricerca di consapevolezza circa le reali cause che ostacolano il mantenimento di un ottimale

stato di salute imporrebbe l’adozione di un atteggiamento mentale che prescinda, quanto

alle scelte legate alla salute, da ogni visione o condizionamento fideistico e dogmatico.

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CONCLUSIONI

Scopo della presente dissertazione era quello di analizzare in un’ottica biopsicosociale i

meccanismi e i processi che conducono alla percezione di modificazioni nello stato di

salute a seguito della somministrazione di cure alternative. A questo scopo si è affrontato,

in via preliminare, il complesso problema della possibilità di valutazione dell’efficacia

delle cosiddette medicine alternative. Secondariamente, e conseguentemente alle

conclusioni cui si è giunti nella prima parte, si è cercato di illustrare come la percezione

della efficacia delle medicine alternative dipenda non tanto da meccanismi di guarigione

intrinseci alle cure stesse e sconosciuti alla scienza, quanto a processi cognitivi ben noti

alla psicologia sociale, di per sé sufficienti a produrre effetti positivi sulla salute delle

persone.

Abbiamo quindi inizialmente cercato di dare una definizione di medicina alternativa in

rapporto a quella relativa alla medicina scientifica, senza trascurare, naturalmente, la

necessità di chiarire alcuni concetti ad esse indissolubilmente legati, come quelli di salute,

malattia, benessere. Stante la difficoltà di individuare una definizione che raccolga in un

significato univoco l’universo eterogeneo delle medicine alternative, resta il fatto che, in

quanto medicine, esse si rivolgono alla cura della salute dell’essere umano. Si è cercato

quindi di dare una risposta agli interrogativi: “Perché esistono delle medicine alternative?

La medicina non è una sola? Sotto quale profilo esse si definiscono alternative? Sono

alternativi i principi di base, le tecniche, i metodi di cura, o è alternativo persino lo scopo

che queste medicine si prefiggono, e cioè qualcosa di diverso dalla cura delle malattie,

propria della medicina biologica occidentale? E cosa si intende allora per malattia e cosa

per salute? La risposta a questi interrogativi, secondo la letteratura scientifica

(Antonovsky,1987; Argyle, 1987; Astin, 1998; Diener, 1998; Gray, 1997; Fulder, 1996;

Köntopp, 2006; McFarland, Bigelow, Zani, Newson, Kaplan, 2002; Richardson, 2004;

Saks, 2003; Sharma, 1992; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991), sembra da

ricercarsi nell’insopprimibile bisogno di cura, affetto, considerazione, che va al di là della

semplice remissione dei sintomi e del dolore fisico, ma investe l’intera dimensione

biopsicosociale dell’essere umano.

Abbiamo quindi affrontato il problema di definire l’ambito di operatività, e quindi di

efficacia terapeutica nel senso scientifico del termine, delle medicine alternative. Il primo

problema che si è dovuto affrontare a questo proposito era paradossalmente legato al fatto

che neppure all’interno della comunità scientifica esiste convergenza di opinioni su quali

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criteri e principi fondamentali definiscano la prova e la dimostrazione scientifica di una

teoria. Si è affrontato quindi brevemente l’infuocato dibattito tra sostenitori e detrattori

delle medicine alternative, verificando come ciascuna delle due parti affermi di provare

scientificamente il contrario dell’altra.

Dopo aver osservato come nessun dato scientifico sembra suffragare la tesi dell’efficacia

clinicamente provata di queste medicine, abbiamo avanzato una prima considerazione,

quella secondo cui le medicine alternative prescindono, nella valutazione della loro

efficacia, dai principi e dalle regole proprie del metodo scientifico.

Scartata quindi la strada impercorribile che tenta di dimostrare scientificamente la loro

efficacia nella cura delle malattie confrontandola con quella medico-scientifica, e cioè

quella della misurazione della loro efficacia terapeutica, ci si è trovati però ad affrontare un

altro problema: il fatto cioè che nonostante la mancanza di prove scientifiche, queste

medicine, almeno nella valutazione soggettiva di una piccola parte della comunità

scientifica e di parte della popolazione, comunque, e nonostante tutto, “funzionino”, e cioè

mostrino, in alcuni casi, e solo per disturbi lievi e non gravemente patologici, di offrire un

certo sollievo e di alleviare sintomi di malessere psicofisico.

Sul piano scientifico ed epistemologico, però, questo dato mostra soltanto quella che è una

percezione soggettiva, ma non spiega quali meccanismi intervengano nel processo di

guarigione e in quale misura quest’ultima sia dovuta ad essi. A questo proposito si

consideri che se le medicine alternative dimostrassero scientificamente la loro efficacia

nella cura di qualsivoglia patologia, esse cesserebbero di essere alternative per essere

“inglobate” all’interno della medicina scientifica convenzionale.

Ci si è quindi proposti di dimostrare come la diffusione delle medicine alternative e la

percezione soggettiva della loro efficacia siano dovute a fattori sostanzialmente e

prevalentemente diversi da quelli dell’azione e della causalità diretta sulle patologie da

parte dell’intervento “medico-alternativo” e cioè piuttosto a fattori e meccanismi spiegabili

in termini di psicologia sociale.

A questo scopo si sono analizzati quei meccanismi psicologici che possono indurre a

orientare la nostra modalità di pensiero in senso “magico” anziché “logico” e a commettere

errori cognitivi relativamente alla raccolta, all’interpretazione ed alla elaborazione dei dati.

Certamente non si può escludere l’esistenza di fattori che agiscono sulla nostra salute e di

cui non conosciamo ancora l’esistenza (per esempio, il ruolo che muffe come la penicillina

svolgevano nel combattere le infezioni prima che questo ruolo venisse scoperto). Essi sono

oggetto di studio da parte della ricerca scientifica e mai sono stati scoperti a seguito di

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sperimentazioni “alternative”. Oltre ad essi esistono i naturali e fisiologici meccanismi di

autoguarigione che tutti, in misura diversa, comunque possediamo (quelli, per intenderci,

che impediscono che si muoia dissanguati per una semplice piccola ferita, per esempio),

oppure la naturale e fisiologica remissione dei sintomi dovuta alla fase di riduzione di

virulenza della malattia (si pensi alle fasi alterne di relativo benessere e di grave malessere

tipiche della depressione).

Accanto a questi ultimi, che possiamo definire meccanismi di autoguarigione autonomi o

omeostatici, ve ne sono però altri che rientrano nel campo dei “processi cognitivi di

guarigione”, legati cioè alla elaborazione mentale del significato della malattia e alle

strategie cognitive di recupero della salute. È ad essi che è stata dedicata la parte

conclusiva del presente lavoro, nel quale, facendo ricorso agli strumenti messi a

disposizione dei ricercatori da parte della psicologia sociale, ci si è proposti di dimostrare il

fatto che il gradimento e la percezione dell’efficacia delle medicine alternative non

dipendano da fantasiose e mai dimostrate proprietà intrinseche delle cure e dei rimedi

alternativi, quanto piuttosto dall’intervento di fattori più squisitamente psicosomatici. Che

tutti questi fattori, insieme o isolatamente, producano anche effetti fisiologici

oggettivamente verificabili e misurabili sotto il profilo medico-scientifico, è un fatto i cui

meccanismi di produzione sono e saranno sempre più oggetto di studio da parte delle

scienze mediche e psicologiche. Non rientra negli scopi del presente lavoro la descrizione

dei processi fisiologici innescati dai nostri processi mentali ed emozionali che, per esempio

attraverso la liberazione di endorfine e oppioidi endogeni, possono favorire il

miglioramento globale dello stato di salute (Moerman, 2004; Pert, 2000). Quello che ci

proponevamo era invece più precisamente la descrizione di quei fattori e processi mentali,

di solito inconsapevoli, che conducono a modificare la nostra visione della realtà, e che

abbiamo sintetizzato sotto il concetto di “pensiero magico” (Giusberti, Nori 2000; Levy-

Bruhl, 1966; Monaco, 2007; Nicola, 2003). In altre parole la fede o la fiducia nel tipo di

cura e nel terapeuta, unita a modificazioni nello stile di vita, insieme ai meccanismi

fisiologici di autoguarigione, sembrano essere i principali responsabili dei pretesi effetti

positivi delle cure alternative.

L’ultimo problema che la percezione dell’efficacia delle medicine alternative sembra

sollevare ha richiesto di definire le caratteristiche ontologiche, epistemologiche ed

eziologiche delle medicine alternative, in rapporto alla medicina scientifica. Nel corso

dell’analisi condotta è emerso infatti quasi spontaneamente il parallelismo tra medicina

alternativa e manifestazione di fede di tipo religioso, da una parte, e quello tra medicina

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scientifica e ragione dall’altra. Quest’ultima disciplina non si è mai proposta il compito di

aiutare l’essere umano nella ricerca della felicità, ma solo di alleviarne le sofferenze. Altre

discipline, la filosofia, la religione e le medicine alternative, sembrano invece votate allo

scopo, se non di garantire la felicità, per lo meno di analizzarla nelle sue componenti allo

scopo di tendere verso di essa.

Si sono introdotti, quindi, con l’ultima parte della dissertazione, gli argomenti che

costituiscono la nostra critica al sistema intorno al quale ruotano le medicine alternative, e

cioè il fatto che, fondandosi su illusioni cognitive e confidando sulla credulità, sul pensiero

magico e un sistema di pensiero ipotetico induttivo, vengono a confondersi più con la fede

che con la scienza, creando una commistione tra esse che le rende inutili, se non pericolose.

Si è così giunti a riconoscere come l’assoluta mancanza di dati che testimonino

scientificamente l’efficacia delle medicine alternative nella cura di qualsiasi patologia non

significhi naturalmente che esse non producano effetti sulla salute delle persone, almeno se

per salute si intende il suo significato allargato alla sfera biopsicosociale, e non solo quello

ristretto di assenza di malattia. D’altra parte, il fatto che gli studi sulla loro efficacia

(Antonovsky,1987; Argyle, 1987; Astin, 1998; Gray, 1997; Fulder, 1996; McFarland,

Bigelow, Zani, Newson, Kaplan, 2002; Richardson, 2004; Saks, 2003; Sharma, 1992;

Strack, Argyle, Schwarz, 1991), siano stati svolti da ricercatori provenienti dal mondo

della psicologia più che della medicina e il continuo riferimento e legame tra medicine

alternative e ricerca del benessere induce a pensare che gli effetti di queste medicine siano

reali, ma siano da ricondurre più alla sfera psichica (o meglio psicosomatica) che a quella

della fisiologia e della patologia (Hogg 1999; Hughes 2004; Rose 1999). Rinunciando del

tutto a cercare una giustificazione della loro esistenza sul piano biomedico, la ricerca svolta

dalle scienze umane e sociali (Astin, 1998; Diener, 1998; Gray, 1997; Köntopp, 2006;

Richardson, 2004; Saks, 2003; Sharma, 1992; Sointu, 2006), ha evidenziato come gli effetti

di queste cure siano rivolti solo alla salute e al benessere psicologico. Sointu (2006), per

esempio, sottolinea come “questa enfasi sul concetto e la ricerca del benessere non

significa che le medicine alternative siano inefficaci in termini di salute psicologica.

Piuttosto, l’importanza attribuita al benessere indica che ciò che queste medicine offrono è

differente rispetto a ciò che è tradizionalmente disponibile tramite il paradigma biomedico.

La nozione di benessere è una implicita critica al modo in cui la cultura biomedica ha

tradizionalmente costruito la figura del paziente passivo. Il benessere è anche ricerca di

autorealizzazione.” Nella ricerca dal titolo: “Quali sono le aspettative dei pazienti della

medicina alternativa” Janet Richardson riassume in questi termini scopi e motivazioni:

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sollievo dai sintomi, informazione, un approccio olistico, miglioramento nella qualità della

vita, suggerimenti e consigli su come gestire la propria salute (Richardson, 2004).

È proprio al miglioramento della qualità della vita (attraverso la modificazione dello stile di

vita, piuttosto che l’assunzione di rimedi) che le medicine alternative sembrano poter

contribuire in modo significativo alla salute degli esseri umani. Come si è analizzato e

argomentato nelle pagine precedenti, la loro efficacia, valutata secondo il metodo

scientifico e in rapporto alla cura della patologie organiche, sembra limitata all’effetto

placebo. Se però esse sotto il profilo scientifico “non funzionano”, tuttavia, nei confronti di

una parte dei loro destinatari e nei limiti di effetti positivi non legati direttamente alla cura

di patologie organiche, sembrano “funzionare”.

In estrema sintesi, ciò sembra avvenire per l’effetto combinato di alcuni fattori: da parte del

terapeuta, la disponibilità, il supporto psicologico, la consulenza relativa a stile e abitudini

di vita, l’ascolto e l’empatia. I terapeuti alternativi in genere invitano la persona a riflettere

sul suo stile di vita e suggeriscono dei miglioramenti. In mancanza di dati sperimentali è

più realistico e logico ritenere che siano i miglioramenti che risolvono la patologia, non la

terapia alternativa. Le medicine alternative (quando non cercano di proporsi come medicine

scientifiche rivolte alla cura delle patologie in alternativa alla medicina scientifica)

agiscono quindi su strumenti terapeutici che la scienza sta solo oggi cominciando ad

indagare, non senza qualche sospetto e scetticismo: la consapevolezza, l’analisi razionale e

scientifica di abitudini e stili di vita, la meditazione e le tecniche di rilassamento, l’attività

fisica per migliorare l’efficienza psicofisica, in una parola, l’influenza dei nostri

atteggiamenti mentali e della nostra sfera emozionale sulla salute del corpo e della mente.

Da parte di chi si rivolge alla cura alternativa, invece, questa sembra funzionare, in alcuni

casi, per l’interazione sinergica di altri fattori: la suggestione, l’influenza carismatica del

terapeuta e quella del gruppo sociale e culturale di appartenenza del cliente, l’effetto

placebo, illusioni ed errori cognitivi a diversi livelli, l’umana attrazione per il magico, il

desiderio, la necessità o la volontà di guarire secondo il cosiddetto “wishful thinking”

(Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Morlock, 1967; Spaltro, 2007).

Resta aperto il problema che emerge a questo punto dell’analisi circa l’efficacia delle

medicine alternative, e cioè quali meccanismi permettano a questi fattori “alternativi” di

guarigione di produrre modificazioni fisiologiche tali da indurre, in molti casi, un effettivo

e misurabile miglioramento della condizione di salute psicofisica. Ma questo problema,

come si è detto, esula dagli scopi e dalle possibilità della presente dissertazione,

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coinvolgendo infatti analisi da effettuare con la partecipazione sinergica di diverse

discipline specialistiche nell’ambito delle neuroscienze e della fisiologia.

Per gli scopi del presente lavoro, ci limitiamo a tal proposito ad osservare che molti autori

(tra gli altri, Antonovsky, 1987; Damasio, 1995; Goleman, 1998; Fredrikson, 2002;

Jhonson, 2003; Spaltro, 2007) ritengono che le emozioni possono produrre modificazioni in

positivo della fisiologia non solo nell’immediato, ma anche a lungo termine. La proposta

della “positive psychology” (Abdel-Khalek, Ahmed, 2006; Argyle,1987; Engel, 1977;

Fredrikson, 2002; Gadamer, 1993; Galati, 2004; Spaltro, 2007; Veenhoven, 1997) coincide

esattamente con quella che fa da sfondo a ogni medicina alternativa: il porre l’accento sugli

aspetti e le risorse positive della persona anziché limitarsi a cercare di riparare i danni

prodotti dai traumi, dalle malattie e dalle esperienze negative della vita.

La psicologia della salute sembra quindi riassumere, riordinare e consolidare in un corpus

teorico-pratico quell’ insieme disperso e confuso di teorie, di insegnamenti e di principi che

reggono il mondo delle terapie alternative: il campo di azione della psicologia positiva

riguarda infatti gli stessi aspetti di cui si occupano le medicine alternative: ricerca del

benessere e di attività gratificanti, entusiasmo, gioia e piaceri dei sensi, ma anche ricerca di

un atteggiamento rivolto alla speranza, la fiducia, l’ottimismo verso il futuro.

Sotto il profilo della pratica clinica, rimane aperto il problema rappresentato dall’effetto

placebo in medicina alternativa: parte dei benefici delle cure alternative dipende anche dal

fatto che il complesso di rituali, tradizioni, suggestioni culturali, nonché la

somministrazione di rimedi o di trattamenti di vario tipo, esercitano verosimilmente

un’influenza positiva sul processo di guarigione e sulla percezione del benessere, non

perché efficaci di per sé, ma per il significato che trasmettono (Dobrilla, 2004; Moerman,

2004; Zangrilli, 2001). È auspicabile che il nostro contributo possa condurre ad

approfondire con attenzione e rigore scientifico il ruolo dell’effetto placebo in successivi

studi e ricerche.

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