La parola ai giovani n.10 - Anno 2013

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SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 38 DEL 6 OTTOBRE 2013 Connecting the dots a cura di Andrea Frison La Parola ai giovani Siamo all’inizio di un nuovo anno pastorale. Chiedo a me stesso e a ciascuno di voi: con quale spirito in- cominciamo? Sentiamo dentro di noi la carica profetica e l’entusia- smo evangelico che papa France- sco sta scatenando in ogni suo incontro, in ogni suo gesto, in ogni suo discorso? Oppure ci acconten- tiamo di essere nei suoi confronti degli spettatori soddisfatti, che rie- scono soltanto ad applaudire ma che rimangono comodamente se- duti, senza che la Parola di Dio rie- sca a cambiare di una virgola il nostro cuore, i nostri atteggia- menti, le nostre scelte? Dovremmo chiedere al Signore occhi nuovi e uno spirito nuovo per tornare alle nostre occupazioni quo- tidiane con un po’ di linfa vitale, con la voglia di fare le cose di sempre in modo nuovo, creativo, costruttivo, evitando due estremi pericolosi: il pessimismo e la superficialità. Quest’anno La Parola ai giovani propone sostanzialmente la stessa tipologia di articoli ricollocati in una cornice più precisa, che prevede quattro aree: 1. Ascolto e Prossimità 2. Annuncio e Parola 3. Eucarestia e Comunità 4. Racconti e Testimonianze Sono i quattro passaggi fonda- mentali che abbiamo individuato alla conclusione del Sinodo dei Gio- vani, quei passi che diventano ne- cessari per ogni comunità e per ogni credente che abbia a cuore la consegna della fede cristiana alle nuove generazioni. Vi sorprenderà ritrovare nell’arti- colo di pag. 2 alcune grandi sinto- nie tra la storia della pastorale giovanile vicentina e le provoca- zioni che papa Francesco ha dato quest’estate a Rio, durante la Santa Messa celebrata con i vescovi, i pre- sbiteri, i religiosi e i seminaristi. Il suo triplice invito ad ascoltare i giovani, ad aiutarli nell’itinerario formativo che li porta a diventare discepoli-missionari, a promuovere in loro e nella comunità cristiana la cultura dell’incontro, è un appello molto forte a riprendere i nostri im- pegni pastorali di sempre con una grande certezza: chi si lascia pla- smare dalla Parola, chi si prende cura della propria vita interiore, chi coltiva un dialogo di amicizia con il Signore non sarà mai ripetitivo o noioso. Ci sarà sempre dentro di noi una freschezza contagiosa. Buon anno pastorale a tutti! don Andrea Guglielmi Editoriale Si riparte! Ma... come? Appunti di metodo M. Paoletto, pag. 2 Se la pedagogia non si prende qualche rischio In God we tunes A. Guglielmi, pag. 4 “Non è bene che l’uomo sia... dispari” Community pag. 6 Una fede scritta insieme Buio in sala A. Graziani, pag. 5 Ogni tanto ci vuole un lieto fine #ascolto #prossimità #annuncio #parola #eucarestia #comunità #racconti #testimonianze Uno degli aneddoti circolati all’in- domani della nomina a Segretario di Stato Vaticano, descrive mons. Pietro Parolin come un appassio- nato di pomodori. La notizia è stata confermata anche dalla madre, Ada, la quale ha affermato che mons. Pa- rolin «vivrebbe di pomodori». Il pomodoro è arrivato in Europa dopo la scoperta delle Americhe. Il primo carico arrivò in Spagna nel 1540 con Hernàn Cortès, di ritorno dalla spedizione che, tra le altre cose, sterminò gli Aztechi. Origina- riamente, il pomodoro, è nativo del- l’America centrale, del Sudamerica e della parte meridionale dell’Ame- rica settentrionale. Wikipedia dice (e nessuno sembra averla contrad- detta) che gli Aztechi chiamavano il pomodoro “xitomatl” e che con il termine “tomatl” indicavano una serie di frutti dalla polpa sugosa (vi dice niente la parola “tomato”?). In Italia, il pomodoro arrivò nel 1596. Nel Belpaese trovò un clima favorevole e, con il tempo, il suo aspetto passò dalla originale colo- razione dorata (da qui il nome “pomo d’oro”) al rosso acceso che siamo abituati a vedere fin da bam- bini negli orti di casa. Da allora il pomodoro è un elemento fonda- mentale della cucina italiana, da nord a sud. Si è inserito così bene che pare impossibile che gli italiani abbiano potuto averne fatto a meno per tutti quegli anni! La cu- cina italiana difficilmente sarebbe arrivata dove è arrivata senza il po- modoro (un immigrato, peraltro, ma questo è un altro discorso). Tolto il pomodoro, pizze e pasta- sciutte non sarebbero più le stesse. Provate a immaginare la vostra vita senza pomodori: non vorrei essere nei panni di monsignor Parolin! I giovani vicentini che hanno par- tecipato alla Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, sono tornati a casa entusiasti. Come raccontano le testimonianze pub- blicate in questo numero de La Pa- rola ai giovani, il cuore dei nostri giovani conterranei è stato toccato da un’esperienza di Chiesa “nuova”, profetica, ricca di testimoni, vicina ai poveri e alla vita delle persone. Uno “stile” di Chiesa che papa Fran- cesco sta mostrando al mondo e che traccia (e traccerà) la direzione delle sue scelte (come la nomina a Segretario di Stato di mons. Parolin, per esempio, o la “consulta” compo- sta da otto Vescovi che rappresen- tano le diverse parti del mondo). Chi ha conosciuto la Chiesa bra- siliana, come i vicentini che hanno partecipato alla Gmg, afferma che le nostre parrocchie e la nostra Chiesa italiana avrebbero molto da imparare da quella esperienza ec- clesiale. Chissà, magari capiterà proprio come con il pomodoro: un po’ alla volta quello “stile” di Chiesa importato dal Sudamerica (“quasi dalla fine del mondo”) diventerà anche il nostro. E ci piacerà così tanto che non potremo più farne a meno. Impossibile fare a meno del pomodoro Direttore responsabile: Lauro Paoletto Testi a cura di: Ufficio Diocesano per i Giovani Impaginazione a cura di: la Voce dei Berici Piazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenza telefono: 0444-226556 sito web: www.vigiova.it Settimanale di informazione della Diocesi di Vicenza Un tempo da... “perdere” Dalla cattedrale di San Se- bastiano, durante la Gmg di Rio de Janerio, papa France- sco ci ha lanciato tre “input” che possono aiutarci a ripar- tire con le attività ordinarie della Pastorale giovanile nelle nostre comunità. (pag. 2) Pastorale Giovanile

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SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 38 DEL 6 OTTOBRE 2013

Connecting the dots a cura di Andrea Frison

La Parola ai giovani

Siamo all’inizio di un nuovo annopastorale. Chiedo a me stesso e aciascuno di voi: con quale spirito in-cominciamo? Sentiamo dentro dinoi la carica profetica e l’entusia-smo evangelico che papa France-sco sta scatenando in ogni suoincontro, in ogni suo gesto, in ognisuo discorso? Oppure ci acconten-tiamo di essere nei suoi confrontidegli spettatori soddisfatti, che rie-scono soltanto ad applaudire mache rimangono comodamente se-duti, senza che la Parola di Dio rie-sca a cambiare di una virgola ilnostro cuore, i nostri atteggia-menti, le nostre scelte?

Dovremmo chiedere al Signoreocchi nuovi e uno spirito nuovo pertornare alle nostre occupazioni quo-tidiane con un po’ di linfa vitale, conla voglia di fare le cose di sempre inmodo nuovo, creativo, costruttivo,evitando due estremi pericolosi: ilpessimismo e la superficialità.

Quest’anno La Parola ai giovanipropone sostanzialmente la stessatipologia di articoli ricollocati in unacornice più precisa, che prevedequattro aree:

1. Ascolto e Prossimità2. Annuncio e Parola3. Eucarestia e Comunità4. Racconti e TestimonianzeSono i quattro passaggi fonda-

mentali che abbiamo individuatoalla conclusione del Sinodo dei Gio-vani, quei passi che diventano ne-cessari per ogni comunità e perogni credente che abbia a cuore laconsegna della fede cristiana allenuove generazioni.

Vi sorprenderà ritrovare nell’arti-colo di pag. 2 alcune grandi sinto-nie tra la storia della pastoralegiovanile vicentina e le provoca-zioni che papa Francesco ha datoquest’estate a Rio, durante la SantaMessa celebrata con i vescovi, i pre-sbiteri, i religiosi e i seminaristi.

Il suo triplice invito ad ascoltare igiovani, ad aiutarli nell’itinerarioformativo che li porta a diventarediscepoli-missionari, a promuoverein loro e nella comunità cristiana lacultura dell’incontro, è un appellomolto forte a riprendere i nostri im-pegni pastorali di sempre con unagrande certezza: chi si lascia pla-smare dalla Parola, chi si prendecura della propria vita interiore, chicoltiva un dialogo di amicizia con ilSignore non sarà mai ripetitivo onoioso. Ci sarà sempre dentro di noiuna freschezza contagiosa.

Buon anno pastorale a tutti!don Andrea Guglielmi

Editoriale

Si riparte!Ma... come?

Appunti di metodo

M. Paoletto, pag. 2

Se la pedagogianon si prendequalche rischio

In God we tunes

A. Guglielmi, pag. 4

“Non è beneche l’uomosia... dispari”

Community

pag. 6

Una fedescrittainsieme

Buio in sala

A. Graziani, pag. 5

Ogni tantoci vuoleun lieto fine

#ascolto #prossimità #annuncio #parola #eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Uno degli aneddoti circolati all’in-domani della nomina a Segretariodi Stato Vaticano, descrive mons.Pietro Parolin come un appassio-nato di pomodori. La notizia è stataconfermata anche dalla madre, Ada,la quale ha a!ermato che mons. Pa-rolin «vivrebbe di pomodori».

Il pomodoro è arrivato in Europadopo la scoperta delle Americhe. Ilprimo carico arrivò in Spagna nel1540 con Hernàn Cortès, di ritornodalla spedizione che, tra le altrecose, sterminò gli Aztechi. Origina-riamente, il pomodoro, è nativo del-l’America centrale, del Sudamericae della parte meridionale dell’Ame-rica settentrionale. Wikipedia dice (enessuno sembra averla contrad-detta) che gli Aztechi chiamavano il

pomodoro “xitomatl” e che con iltermine “tomatl” indicavano unaserie di frutti dalla polpa sugosa (vidice niente la parola “tomato”?).

In Italia, il pomodoro arrivò nel1596. Nel Belpaese trovò un climafavorevole e, con il tempo, il suoaspetto passò dalla originale colo-razione dorata (da qui il nome“pomo d’oro”) al rosso acceso chesiamo abituati a vedere fin da bam-bini negli orti di casa. Da allora ilpomodoro è un elemento fonda-mentale della cucina italiana, danord a sud. Si è inserito così beneche pare impossibile che gli italianiabbiano potuto averne fatto ameno per tutti quegli anni! La cu-cina italiana di"cilmente sarebbearrivata dove è arrivata senza il po-

modoro (un immigrato, peraltro,ma questo è un altro discorso).Tolto il pomodoro, pizze e pasta-sciutte non sarebbero più le stesse.Provate a immaginare la vostra vitasenza pomodori: non vorrei esserenei panni di monsignor Parolin!

I giovani vicentini che hanno par-tecipato alla Giornata mondialedella gioventù di Rio de Janeiro,sono tornati a casa entusiasti. Comeraccontano le testimonianze pub-blicate in questo numero de La Pa-rola ai giovani, il cuore dei nostrigiovani conterranei è stato toccatoda un’esperienza di Chiesa “nuova”,profetica, ricca di testimoni, vicinaai poveri e alla vita delle persone.Uno “stile” di Chiesa che papa Fran-cesco sta mostrando al mondo e

che traccia (e traccerà) la direzionedelle sue scelte (come la nomina aSegretario di Stato di mons. Parolin,per esempio, o la “consulta” compo-sta da otto Vescovi che rappresen-tano le diverse parti del mondo).

Chi ha conosciuto la Chiesa bra-siliana, come i vicentini che hannopartecipato alla Gmg, a!erma chele nostre parrocchie e la nostraChiesa italiana avrebbero molto daimparare da quella esperienza ec-clesiale. Chissà, magari capiteràproprio come con il pomodoro: unpo’ alla volta quello “stile” di Chiesaimportato dal Sudamerica (“quasidalla fine del mondo”) diventeràanche il nostro. E ci piacerà cosìtanto che non potremo più farne ameno.

Impossibile fare a meno del pomodoro

Direttore responsabile:Lauro PaolettoTesti a cura di: U!cio Diocesano per i Giovani Impaginazione a cura di:la Voce dei BericiPiazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenzatelefono: 0444-226556sito web: www.vigiova.it

Settimanale di informazione della Diocesi di Vicenza

Un tempoda... “perdere”

Dalla cattedrale di San Se-bastiano, durante la Gmg diRio de Janerio, papa France-sco ci ha lanciato tre “input”che possono aiutarci a ripar-tire con le attività ordinariedella Pastorale giovanilenelle nostre comunità.

(pag. 2)

Pastorale Giovanile

La Parola ai giovani

A Rio de Janeiro, nella cattedrale diSan Sebastiano, sabato 27 luglio -nel cuore della XXVIII GMG - papaFrancesco celebra l’eucarestia con ivescovi, i sacerdoti, i religiosi e i se-minaristi.

Nell’omelia lancia tre provoca-zioni che potrebbero diventareanche per noi, all’inizio del nuovoanno pastorale, tre input per ripar-tire in quella pastorale giovanile or-dinaria che si sviluppa nelleparrocchie, nei vicariati, nelle asso-ciazioni, nei movimenti, nei gruppi.

Il primo invito che accogliamodalle parole di Francesco è dedicaretempo ai giovani per ascoltarli.

“Aiutiamo i giovani. Abbiamol’orecchio attento per ascoltare leloro illusioni (hanno bisogno di es-sere ascoltati!), per ascoltare i lorosuccessi, per ascoltare le loro di!-coltà. Bisogna mettersi seduti (…). Lapazienza di ascoltare! Questo ve lochiedo con tutto il cuore! Nel confes-sionale, nella direzione spirituale,nell’accompagnamento. Sappiamoperdere tempo con loro. Seminarecosta e a"atica, a"atica moltissimo!Ed è molto più gratificante goderedel raccolto! Tutti godiamo di più conil raccolto! Però Gesù ci chiede che se-miniamo con serietà”.

Il secondo invito è annunciare ilvangelo ai giovani.

“Non risparmiamo le nostre forzenella formazione dei giovani! SanPaolo usa un'espressione, che hafatto diventare realtà nella sua vita,rivolgendosi ai suoi cristiani: «Figlimiei, che io di nuovo partorisco nel

dolore finché Cristo non sia formatoin voi» (Gal 4, 19). Anche noi faccia-mola diventare realtà nel nostro mi-nistero! Aiutare i nostri giovani ariscoprire il coraggio e la gioia dellafede, la gioia di essere amati perso-nalmente da Dio (…). Educarli, nellamissione, ad uscire, ad andare, ad es-sere ‘callejeros de la fe’ (girovaghidella fede). Così ha fatto Gesù con isuoi discepoli: non li ha tenuti attac-cati a sé come una chioccia con i suoipulcini; li ha inviati! (…) Spingiamo igiovani a!nché escano. Certo chefaranno stupidaggini. Non abbiamopaura! Gli Apostoli le hanno fatteprima di noi. Spingiamoli ad uscire.Pensiamo con decisione alla pasto-

rale partendo dalla periferia, par-tendo da coloro che sono più lontani,da coloro che di solito non frequen-tano la parrocchia. Loro sono gli in-vitati VIP. Andare a cercarli neicrocevia delle strade”.

Terzo invito: promuovere la cul-tura dell’incontro.

“Si è fatta strada una cultura del-l’esclusione, una “cultura delloscarto”. Non c'è posto né per l’an-ziano né per il figlio non voluto; nonc’è tempo per fermarsi con quel po-vero nella strada. A volte sembra cheper alcuni, i rapporti umani siano re-golati da due “dogmi” moderni: e!-cienza e pragmatismo. (…)L’incontro e l’accoglienza di tutti, la

solidarietà e la fraternità, sono ele-menti che rendono la nostra civiltàveramente umana. Essere servitoridella comunione e della cultura del-l’incontro! Vi vorrei quasi ossessionatiin questo senso. E farlo senza esserepresuntuosi, imponendo “le nostreverità”, ma bensì guidati dall'umile efelice certezza di chi è stato trovato,raggiunto e trasformato dalla Veritàche è Cristo e non può non annun-ciarla (cfr Lc 24,13-35)”.

Ripartiamo da qui, da questo tri-plice invito. A ciascuno di voi l’au-gurio di un nuovo anno pastoralein cui la bellezza del vangelo cispinga a diventare sempre di più…“discipulos-missionarios”.

Input a cura di don Andrea Guglielmi

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Ascolto, annuncio e incontroI tre inviti di papa Francesco

Per molti anni ho fatto l’animatoree ripetutamente mi sono chiestoquale poteva essere il segreto diun’azione educativa e!cace, ca-pace di incidere nella parte più pro-fonda e più autentica delle personeincontrate e con le quali ho avutola fortuna di condividere un pezzodi strada insieme.

Qualcuno mi ha suggerito che ilsegreto di ogni educazione è la re-lazione. Ci credo, ma non mi basta.Qualcun altro è certo che sial’amore. Ne sono convinto, loprovo, ma si tratta di una dimen-sione troppo nobile per declassarlaa metodo. Ancora mi hanno parlatodi dono, di competenza, di empa-tia. Tutte componenti essenziali,ma nessuna mi aiutava a capirecome far scattare in una persona,ragazzo, giovane o adulto che sia,la miccia del cambiamento, del-

l’auto consapevolezza nella costru-zione del sé.

È solo “sporcandomi le mani“ evivendo a contatto con maestri divita che forse ho iniziato a darmiuna risposta, scoprendo l’impor-tanza della “Pedagogia del rischio”.

Ognuno di noi si chiedaquando ritiene di essere cre-sciuto nella sua vita. Si chiedaquando ci sono stati degli “scatti inavanti” nel suo modo di essere, disentire e di sentirsi. Scoprirà che èsuccesso realmente quando dentrodi sé ha accettato il rischio di af-frontare angoli inesplorati e nuovi,svelati dalle sue emozioni, dai sen-timenti, dalla ragione. O quando,anche involontariamente, qualcunolo ha portato ad uscire dal rassicu-rante e comodo stare nelle cose ditutti i giorni, nelle abitudini, nei sen-timenti accomodanti, per lasciare

spazio alle più sfidanti prove delmettersi in gioco, dello sperimen-tarsi, del donarsi dentro a spazi direlazione nuovi, inediti, sconosciuti.

Mi sono convinto che l’energiadell’educare si sprigiona quandoabbiamo il coraggio di portarel’educando un po’ più in là di ciòche lo rassicura e gli permette diriconoscersi e identificarsi. In que-sto senso l’educatore è un grandeprofessionista del rischio, anzi,deve essere un professionista del ri-schio. Sarebbe interessante chie-dersi, come educatori, quantofacciamo rischiare le persone cheeduchiamo o quanto le proteg-giamo, le curiamo, le accudiamoeccessivamente. In fondo ognunodi noi ha imparato a camminareperché qualcuno gli ha permessodi cadere. Siamo diventati respon-sabili perché qualcuno ha distolto

lo sguardo da noi per lasciarci spe-rimentare la nostra autonomia. Ab-biamo amato veramente quandonella relazione con l’altro ci siamoliberati da tutte le forme di calcoloe di previsione.

La pedagogia del rischio richiedeun grande esercizio di coraggio: ilcoraggio non è assenza di paura,ma la consapevolezza che ci sonocose più importanti della paurastessa. Quindi, non limitiamocinelle nostre attività a proposte tie-pide o ripetitive, alla riproduzionedell’identico, all’esplorazione delgià noto. Un grande educatore sivede dalla sua capacità di proporretraguardi sfidanti, sempre nuovi,capaci di far percorrere i sentieriche congiungono chi si crede di es-sere a chi si può diventare.

Mirco [email protected]

Appunti di metodo a cura di Mirco Paoletto

Proporre di rischiareper crescere davvero

#ascolto #prossimità #annuncio #parola#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Giovani italianialla Gmg di Rio

Da segnare in agenda

Mendicantidel cielo

Due giorni di spiritualità pergiovani, giovani-adulti, re-

sponsabili, educatori

Tonezza del Cimone18-20 ottobre 2013

Questi due giorni di spiritualitàsono pensati per giovani e gio-vani-adulti che hanno già fattoun po’ di strada nel camminodella vita spirituale. L’età minima è di 22 anni.

Il tema del weekend sarà “Lapreghiera”, un percorso che sisnoderà attraverso la scritturaa partire dai Salmi, passandoper la preghiera di Gesù perapprodare al Padre nostro.

Relatore del weekend sarà fra-tel Michael David Semeraro,monaco benedettino dal1983. Ha conseguito il dotto-rato in Teologia spirituale, col-labora con alcune riviste e,compatibilmente con le esi-genze della vita monastica,tiene conferenze, accompa-gna ritiri e si dedica alla scrit-tura di testi apprezzati.

Per informazionisu costi e iscri-zione, contattare l’Azione Catto-lica Vicentina telefonando allo0444.544599, scrivendo a [email protected], oppure vi-sitando il sito www.acvicenza.it.

La Parola ai giovani

Oggi parliamo di “interiorità”. Laprima di!coltà nell’a"rontare que-sta parola è quella di provare a ca-pire di che cosa si sta parlando. Unluogo, uno spazio, una dimensionedella vita che qualcuno vive inmodo particolare e altri no? Il suocontrario potrebbe essere “esterio-rità”, e in questo caso ci vengonosubito in mente esempi di personeche vivono e puntano tutto sul-l’esteriorità, sull’apparire, sul farecolpo. L’interiorità invece non ap-pare, non è esibita, non sembrainteressare a certe logiche delnostro mondo, eppure quando in-contri qualcuno che coltiva questadimensione della vita e hai la pos-sibilità del confronto, ne rimani col-pito, a"ascinato, senti che le sueparole non sono come quelle dellealtre persone perché si alimentanoaltrove, in profondità. E qui mirendo conto che il nostro linguag-gio è limitato e si serve di immaginispaziali evocative. Andare in pro-fondità è il sentiero da percorrereper scoprire e coltivare la propriavita interiore... ma questo è un sen-tiero che fa paura. E allora ecco il

paradosso: da una parte siamo at-tratti da persone che sanno espri-mere una ricca vita interiore,dall’altra, alla proposta di mettercianche noi su questo sentiero, nesentiamo la paura e facciamo ditutto per evitarlo.

Quando si parla di “interiorità” sicorre spesso il rischio di ritenereche si tratti di una dimensione se-parata, se non addirittura contrap-posta alla “realtà esteriore”.Qualcuno, nel contesto della fedecristiana la pensa come vita “se-condo lo Spirito” che sarebbe ca-ratterizzata da atteggiamenti eattività essenzialmente spiritualilontane dalla vita concreta.

Allo stesso modo, altri quandopensano alla vita interiore ri-schiano di confonderla con l’incon-scio in opposizione al mondo dellaconsapevolezza.

Personalmente mi piace pensarealla vita interiore come ad una di-mensione della vita che tutti siamochiamati a coltivare a prescinderedal nostro credo; una dimensioneche interpella il credente comel’ateo, il cristiano come il musul-

mano o l’induista. È il percorso checi porta ad accorgerci che la nostravita si muove secondo livelli diversi,dove quelli più profondi non sonovaghi o astratti, ma nascondonouna verità di noi stessi che ci rendeunici, come lo sono, a livello super-ficiale, le nostre impronte digitali.Lì uno scopre quello che davvero è,quelli che sono i suoi sogni, le sueaspirazioni, le sue paure che a li-vello più superficiale può tentate dinascondere. Lì uno sente che non

può barare e inventarsi storie.La sfida è allora quella di impa-

rare la strada che porta a questo li-vello di vita, sapendo muoversidall’esterno verso l’interno per poitornare verso l’esterno con quellaidentità “segreta” che si è scopertadentro di sé, che la persona sentesua, ma che allo stesso tempo nonè fine a se stessa perché sa darespessore e autenticità a tutti gli altriaspetti della vita e in particolare atutte le tue relazioni.

Come percorrere questo sen-tiero? Suggerisco brevemente dueatteggiamenti: il primo è la capa-cità di fare silenzio, provando, conun po’ di pazienza, a far tacere letante voci che ci invadono fin dal ri-sveglio. Si tratta di sensibilizzare unaltro tipo di sentire.

Accanto al silenzio anche unaqualche buona lettura potrebbe es-sere utile: cercate qualcuno che visia maestro, che sia pratico di certipercorsi e che vi o"ra la sua “consu-lenza” scritta in pagine di sapienzao di poesia, in parole che possonodiventare la Parola per eccellenza.

Buon cammino.

Non solo psicologia a cura di don Andrea Peru!o

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Il sentiero dell’interioritàper dare spessore alla vita

VENDITORE: Buongiorno signore,posso fare qualcosa per lei?GENITORE: Salve vorrei un telefonoper mia figlia. Va in prima media...VENDITORE: Ha già in mente qual-cosa?GENITORE: Giulia vorrebbe uno diquelli che funziona con il tocco.VENDITORE: Si riferisce agli smar-tphone touch. La maggior partedegli adolescenti ne possiede unoe quelli che non lo possiedono lodesiderano...GENITORE: Sì, infatti. Mia figlia mista facendo una testa così per que-st'a!are... Ma io preferirei che usasseun telefono normale, che telefona emanda i messaggi... in fin dei conticosa ci deve fare? Mica ci lavora...VENDITORE: Lei non ha idea diquante attività svolgano i ragazzicon i loro smartphone... Per loro èuno strumento di comunicazionestraordinario. Loro si incontrano inchat e si esprimono attraverso i so-cial network. Se lei regalasse a suafiglia un telefono di vecchia gene-razione sarebbe come se qualcunoregalasse a lei un citofono... mi ca-pisce?GENITORE: Ma non le pare che fossemeglio quando dovevamo suonare ilcampanello dei nostri vicini per par-lare con la ragazza che ci piaceva?Dovevamo vincere la paura che ri-spondessero i suoi genitori e quandorispondevano... Non le pare che glisforzi che facevamo, gli ostacoli che

dovevamo superare, dessero alla re-lazione uno spessore? Ora è tutto cosìistantaneo, così immediato...VENDITORE: Ma è proprio questoil bello... non c'è più il tempostrada... Oggi le categorie di spazioe tempo nelle comunicazioni sonosaltate...GENITORE: Mia figlia ha solo dodicianni. Non sa ancora chi è, e noncredo che potrà scoprirlo cercando suinternet.VENDITORE: Lei fa troppa filoso-fia... e la filosofia, lo sanno tutti, èuna mano così ansiosa di a"errarela verità che la mette in fuga. Iocredo che dovremmo fidarci delprogresso e, soprattutto, dei nostrifigli. Non possiamo evitare che ilmondo vada avanti, né che lorocrescano. I nostri figli sono nativi di-gitali, non hanno paura della tec-nologia. Noi, invece, dobbiamoimparare una lingua nuova.GENITORE: Non le nascondo che ame le nuove tecnologie fanno un po'paura.VENDITORE: Appunto... lo vede?

Lei le chiama nuove, ma sononuove solo per noi immigrati digi-tali... Per sua figlia, glielo assicuro,non c'è nulla di nuovo.GENITORE: Il fatto che non sianospaventati dalla tecnologia non liprotegge dai suoi pericoli. Ha sentitoquante ragazze e ragazzi vendono leloro immagini nude attraverso inter-net in cambio di ricariche telefoni-che?VENDITORE: Non possiamo evitareche si facciano male, nemmeno inbicicletta...GENITORE: Lei ha ragione, tuttaviaho letto che sono sempre più nume-rose le vittime di cyberbullismo e cheproliferano in rete i siti che trattanol'anoressia come una divinità.VENDITORE: Potremmo insegnareloro alcune precauzioni, a patto didiventare, a nostra volta, internautiesperti...GENITORE: Dice che dovrei anch'ioimparare ad usare questi apparec-chi?VENDITORE: Credo che il modomigliore di educare i nostri figli adun uso consapevole di questi stru-menti sia imparare ad usarli comeo perfino meglio di loro.GENITORE: Crede davvero che siapossibile? Di fronte a tanta intelli-genza artificiale mi sento così stu-pido...VENDITORE: Sarebbe stupido re-stare a guardare, mentre il mondocambia.

GENITORE: Lei ha davvero ragione.Quanti figli ha?VENDITORE: Non ne ho.GENITORE: Dovrebbe provare...

Il titolo di questo articolo riprendevolutamente quello del celeberrimotesto leopardiano Dialogo di unvenditore di almanacchi e di unpasseggere.

Educare alla sessualità a cura di Manola e Giampietro

«La tecnologia mi fa paura»

#ascolto #prossimità #annuncio #parola#eucarestia #comunità #racconti #testimonianze

Dialogo di un venditore di apparecchi e di un genitore

71%è la percentuale di ragazzi tra i12 e i 17 anni che possiede outilizza uno smartphone. Nel2010, era stimata intorno al35% (Ipsos, 2013)

3%è la percentuale di ragazzi tra i12 e i 14 anni che ha dichiaratodi avere spesso “rapporti intimicon qualcuno conosciuto ininternet” (Ipsos, 2010)

Per approfondire:

Nativi digitali, Paolo Ferri, BrunoMondadori, Milano 2011

Le reti nella Rete, MicheleFacci, Erickson, Trento, 2011.Download gratuito dal sitowww.ericksonlive.it

Internet ci rende stupidi? Comela rete sta cambiando il nostrocervello. Nicholas Carr, Ra!aelloCortina Editore, Milano, 2011

La Parola ai giovani

Sei in macchina e ascolti la radio.Entri in camera e accendi lo stereo.Cammini per strada immerso nelsound che il tuo Ipod produce,mentre scorre una playlist di pezziche hai accuratamente selezionato.E così la musica riempie le tue gior-nate, e molto spesso scivola via,senza che tu riesca a immaginarequali messaggi si nascondano tra lerighe e tra le note. Ancor più di!-cile è pensare alcuni collegamentitra le canzoni di successo degli ul-timi anni e i testi biblici, che rac-contano le storie su cui si fonda lanostra fede.

Sono fortemente convinto che l’in-treccio fra i testi musicali e le pa-gine della Bibbia o"ra spunti perproporre in gruppo qualche mo-mento di preghiera o di riflessioneche possa essere più dinamico, vi-tale, coinvolgente.

Facciamo qualche esempio.

Quante volte avete incrociato inradio la voce intensa e gra!ante diAlanis Morissette che canta: “I’ll beyour keeper for life as your guardian”.Provate ad ascoltare anche la vocedi Caino nella traduzione della Bib-bia in lingua inglese, quando alladomanda di Dio “Where is your bro-ther Abel?” (dov’è Abele, tuo fra-tello?), risponde moltoseccamente: “I don’t know. Am I mybrother’s keeper?” (non lo so. Sonoforse il guardiano di mio fratello?).Consultate questo “botta e rispo-sta” tra Dio e Caino in Genesi 4,9.

La parola chiave è la stessa neidue testi: “keeper”, il custode, ilguardiano. Alanis canta una pro-messa di fedeltà: “Sarò il tuo cu-stode per tutta la vita”. Viene ilsospetto che la canzone Guardiansia dedicata al figlio, nato alla finedel 2010; è la promessa di unamamma, che grida il desiderio diessere accanto a suo figlio, di nonabbandonarlo mai, di essere per luiun angelo sempre pronto a inter-venire (“I’ll be your angel on call”); lacanzone parla dei pericoli, delle mi-nacce, degli ostacoli che si incon-trano nella vita, ma il ritornello èuna potente dichiarazione di re-sponsabilità nei confronti della per-sona che si ama: “I’ll be your warriorof care” (azzarderei una traduzionedel genere: mi prenderò cura di tecome se fossi un guerriero al tuofianco); torna la parola “care”, che ciricorda il motto della scuola di Bar-biana: “I care”, mi prendo cura.Caino invece mette in atto l’atteg-giamento inverso: scappa, cerca dieludere la domanda di Dio, non ac-cetta l’ipotesi di essere il custodedel fratello. La parola “keeper” ri-torna anche in un passaggio moltobello del profeta Isaia (Is 27,3): “I, theLord, am its keeper... night and day Iguard it” (io, il Signore, ne sono ilguardiano... ne ho cura notte e

giorno). Dio sta parlando della suavigna; l’immagine della vigna nellaBibbia esprime sempre l’amore in-finito e la cura che Dio ha nei con-fronti del suo popolo. In parallelocon la canzone Guardian può es-sere letto anche il salmo 121, che èuna continua ripetizione del verbo“custodire” e della parola “custode”:il vero custode che si prende curagiorno e notte della nostra vita èproprio il Signore!

Non è altrettanto frequente ascol-tare in radio la canzone Seeker dei77 Bombay Street. Peccato, devodire! Loro sono quattro fratelli sviz-zeri molto bravi e questo è vera-mente un gran bel pezzo, energico,brillante, con un testo tutt’altro chebanale. Il titolo stesso indica undesiderio di profondità: Seeker, ilcercatore, colui che vuole trovareil senso della vita (“the truth is I’m aseeker and I don’t wonna live invain”... la verità è che sono un cer-catore e non voglio vivere inutil-mente).

Il testo di questa canzone con-tiene una serie di domande e di ri-flessioni che sembrano rivolte a

Dio, e potrebbero essere lette in pa-rallelo con alcune frasi che tro-viamo nei salmi. Vi riporto latraduzione di alcuni passaggi signi-ficativi che potete trovare nel testodella canzone: “Dammi canzoni cheio sia in grado di cantare, donamiparole che io possa pronunciare,dammi una religione in cui io riescaa credere e mostrami i misteri dellavita”. “Se Dio stesse guardando giùda un arcobaleno di duemila annifa e tutto fosse rimasto identico, seDio stesse guardando verso il bassodall’alto del posto in cui si trova,con un volto impallidito, giocandoal suo gioco preferito, allora sapreiche sto vivendo invano”. “Mostramiil tuo cuore e comincerò a crederein alcuni miracoli, ma non so dadove partire”. “Quando ti chiedoqualcosa tu non mi dai quello cheti chiedo e quando cerco non trovo,non so dove trovare un postoadatto a me e non ho mai visto iltuo volto”.

Provate a sfogliare alcune paginedel libro dei salmi e sentirete nellacanzone un’eco contemporanea diqueste antiche preghiere. “Fino aquando, Signore, continuerai a di-menticarmi, fino a quando mi na-sconderai il tuo volto?” (Salmo 13);L’anima mia ha sete di Dio, del Diovivente: quando verrò e vedrò ilvolto di Dio? (Salmo 42); Dio abbia

pietà di noi e ci benedica, su di noifaccia splendere il suo volto” (Salmo67); “Ecco la generazione che locerca, che cerca il tuo volto, Dio diGiacobbe” (Salmo 24).

Una generazione di uomini checercano la giustizia, la verità, il voltodi Dio, dice il salmo 24. “The truth iswe’re all seekers”, rispondono i 77Bombay street.

“Non so"ro se mi sento solo, so"rosolo se mi fai sentire dispari”. Que-sta splendida canzone, che i Martasui tubi hanno presentato a San-remo, suona ai miei orecchi comeun canto di protesta, una denun-cia contro il rischio sempre piùelevato di appiattire, impoverire,banalizzare i rapporti umani.

Che senso ha che una ragazza simostri su facebook “nuda comeuna cipolla che non sa far pian-gere”, e poi non riesce a capire certidischi quando la musica è di qua-

lità, oppure non si prende il tempoper leggere certi libri? Che grado diautenticità hanno le nostre amici-zie su facebook? Non c’è il pericolodi trovare chi ti inganna, “il nuovo efalso profeta” che “ti loda e ti am-mira”, ma in realtà è soltanto “lì inattesa di un tuo sbaglio, di una fugao resa”?

“Complimenti per gli amici, maquanti amici hai?”. Nell’epoca deisocial network che significato èpossibile attribuire alla parola“amici”? Dal vangelo ci arriva una ri-sposta che potrà sembrarvi antica,ma io non credo che possa esistereun’idea dell’amicizia più moderna,più originale, più convincente: se-condo Gesù di Nazareth, gli amicisono coloro che hanno qualcosa diprofondo da condividere e si do-nano la vita. “Non vi chiamo piùservi, ma vi ho chiamato amici”,dice ai suoi discepoli (i suoi … “fol-lowers”); rileggetevi il capitolo 15del vangelo di Giovanni.

E tenendo in sottofondo la can-zone Dispari, potete sfogliareanche il salmo 133, che è una lodea Dio per il dono dell’amicizia fra-terna, paragonata al profumo diunguenti preziosi e alla freschezzadella rugiada, un regalo dal valoreinestimabile, che non può esserebanalizzato o rovinato. E riprendeteinfine il racconto della creazionedell’uomo e della donna, al capi-tolo 2 della Genesi: “Non è beneche l’uomo sia solo; voglio fargli unaiuto che gli corrisponda”. Il testopotrebbe avere questo significato:“Voglio che l’uomo e la donnasiano l’uno di fronte all’altra, in con-dizione di assoluta parità, capaci diascoltarsi, dialogare, attivare unoscambio profondo, parlare di mu-sica, arte, letteratura, cinema, inna-morarsi e commuoversireciprocamente, leggere ciascunonel cuore dell’altro e capirsi, aiu-tarsi, camminare mano nellamano…”.

Oggi, ascoltando i Marta sui tubi,potremmo dire: “Non è bene chel’uomo sia dispari”.

In God we tunes a cura di don Andrea Guglielmi

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GuardianAlanis Morissette

Seeker77 Bombay Street

DispariMarta sui tubi

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Custodi, cercatori o amiciCercansi relazioni non banali

Seguila rubrica “In God we tunes”

ascoltando online o sca-

ricando il podcast delle

puntate di Radio Vigiova: www.radiovigiova.it

La Parola ai giovani

Il film che propongo all’inizio diquesto nuovo anno pastorale è unafiaba, perché credo che ciascuno dinoi - se giovane in particolare -senta il bisogno di ritrovare la spe-ranza del lieto fine e di rimotivarsia percorrere strade di bene. Lascelta è motivata anche dal fattoche Miracolo a Le Havre (Finlandia,2011) è ambientato nelle periferiedel mondo, quelle periferie chepapa Francesco continua a sugge-rirci di percorrere, e non solo permotivi “caritativi”, ma anche e so-prattutto nella convinzione che èsolo li che si può fare esperienza diDio, che il Regno dei Cieli si mani-festa, che i miracoli possono ancoraaccadere.

La vicenda è ambientata nei sob-borghi del porto di Le Havre, dovel’oramai anziano Marcel Marx con-tinua a fare il lustrascarpe. Marcelha una vita semplice, fatta di priva-zioni, ma anche di relazioni signifi-cative e piccole gioie cheriempiono la sua esistenza: il teneroa!etto della moglie Arletty che glistira con cura l’unica camicia e con-serva con oculatezza i poveri gua-dagni del marito in una scatola dilatta; gli amici con cui bere un bic-chiere al bar di Claire, fauna umanavariopinta, ma sincera; la fedele ca-gnetta Laika, che fa tanto pensare

al biblico collega canino del libro diTobia.

La serenità di Marcel viene ad uncerto punto turbata da due eventiinaspettati: la malattia della moglie(costretta ad un ricovero per unamalattia che sembra essere desti-nata a non lasciare scampo) e l’ar-rivo di Idrissa, un giovanissimoclandestino africano che - sbarcatofortunosamente nel porto di Le

Havre e braccato dalla polizia - si ri-fugia in casa sua. Le due vicende siintrecciano: Marcel divide il suotempo tra le visite alla moglie inospedale e la mobilitazione delquartiere per il piccolo africano chesogna di poter raggiungere alcuniparenti a Londra. Il protagonistalotta contro l’impossibile, control’inesorabile decorso di una malat-tia tumorale vissuta come inelutta-

bile sconfitta da parte degli stessimedici e contro un sistema che fadell’immigrazione clandestina unreato, uccidendo così il sogno di

una vita migliore. Ma il desiderio divivere è troppo forte per esseresconfitto e così il miracolo - alla finedel film - a Le Havre sarà duplice:guarigione per Arletty e libertà perIdrissa.

“La struttura filmica - ha scrittoOlinto Brugnoli - stabilisce chiara-mente un rapporto di causa e!ettotra le due cose: la guarigione mira-colosa avviene tramite la dedi-zione, la generosità, la solidarietàdelle persone buone”. La fede delprotagonista e dei suoi amici è fi-ducia che il Bene deve prevalere,che il Cielo non può restare indi!e-rente e prende il volto della caritàche fa rifiorire la vita oltre ogni ra-zionale aspettativa. Toccante epoetica la scena conclusiva in cuiMarcel e Arletty, tornando a casa,trovano il ciliegio fiorito e tuttotorna a sembrare straordinaria-mente bello e normale.

Questo film - forse uno dei piùtoccanti del grande regista finlan-dese Aki Kaurismaki - è una favolacapace di risvegliare sentimenti po-sitivi, ricca di valori umani e di evi-denti simbolismi cristiani, in cui ilbene compiuto porta frutti chevanno oltre l’immediato, inserendole persone in misteriosi legami disolidarietà spirituale, capaci di tra-valicare il tempo e lo spazio.

Buio in sala a cura di don Alessio Graziani

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Quel desideriodi un lieto fine

Un grande vaso, una forma antica,che emerge da un vivace fondorosso. Osservando attentamentel’opera intuiamo che i tratti energicidi carboncino e i colori sgocciolatiesprimono il senso eroico e vitaledell’uomo, benché segnato dal do-lore. I vasi sono contenitori di terra-argilla lavorata che conservano,proteggono, beni preziosi. Il temadel contenitore si ritrova spessonegli antichi simbolismi dellaGrande Madre. Il corpo femminileviene simboleggiato dal vaso con-tenente-contenitore; così come lamadre nutre, riscalda e protegge ilsuo piccolo; così come l’antro, lagrotta, la caverna custodisce i se-greti della terra. La Vergine Mariaviene descritta come “vaso spiri-tuale, vaso dell’onore, vaso pre-giato di devozione”, “contenitore”per eccellenza perché ha custoditoil Figlio di Dio. Nelle opere di Anna-lisa Filippi i vasi-corpo prendonopoco per volta una forma umana.Sembrano evocare il travaso tra unrecipiente e l’altro, il passaggio diconoscenze e di coscienza, di cul-tura e di esperienza da madre a fi-

glio, da maestro a scolaro. Ma entriamo meglio nell’opera e

cerchiamo di capirne il significatopiù profondo. Come sono i vasi diterra cotta? Innanzitutto molto fra-gili perché possono rompersi facil-mente. Sono semplicemente fattidi argilla modellata dal vasaio e poicotta in forno. La Bibbia usa piùvolte l’immagine del vaso per rap-presentare l’essere umano: «Il Si-gnore formò l'uomo dalla polveredella terra, gli so"ò nelle narici unalito vitale e l'uomo divenne un es-sere vivente» (Genesi 2,7). «Dice ilSignore: Ecco, quel che l'argilla è inmano al vasaio, voi lo siete in manomia» (Geremia 18,6). Il Signore ci hafatto a sua immagine e somiglianzae tuttavia abbiamo in noi la fragi-lità della polvere. Noi che pen-siamo di poter fare della nostra vitaciò che vogliamo, dovremmo riflet-tere più spesso su questa debo-lezza; magari visitando unospedale infantile, oppure una casaper anziani o disabili riusciremmo aridimensionare l’immagine che ab-biamo di noi stessi e a toglierci lamaschera da ‘persone eccellenti’.

Nelle omelie di Papa Francescoritorna spesso l’invito a riconoscersifragili vasi di creta: “La vera umiltànon è quella da ‘faccia da immagi-netta’ - dice il pontefice -, e un bel-l’esempio lo troviamo in san Paolo,uno che ha ricevuto gratuitamenteil dono della salvezza di Gesù Cristoe che lo apprezza e lo custodisceproprio perché si riconosce fragilevaso di creta”. Dio si è servito dellevicende sfavorevoli della vita diPaolo per obbligarlo a concentrarsisulla potenza di Dio e non sulla sua.«Ma noi abbiamo questo tesoro invasi di terra, a"nché questa grandepotenza sia attribuita a Dio e non anoi» (2 Corinzi 4,7). Oltre a SanPaolo, un esempio di vaso fragilecolmo di grazie è la Samaritana: ladonna che dopo aver incontratoGesù racconta prima il suo peccatoe poi il dialogo con il Signore. È pro-prio grazie a questo rapporto tra lagrazia e la potenza di Gesù Cristo ela limitatezza dell’essere umanopeccatore che nasce il dialogo dellasalvezza. Dio può cambiare la no-stra vita, è lui il nostro potente va-saio che modella e trasforma la

nostra umanità.E noi che tipo di vaso siamo? Ci

riconosciamo un fragile vaso dicreta portatore di vita? Portatoredel messaggio di salvezza di GesùCristo?

Un vaso è pronto a riempirsi solose si svuota. Così anche il nostrocuore, svuotato dagli orgogli, puòriempirsi d’amore e donare amore.

La voce dell’arte a cura di Francesca Rizzo

Vaso d’argillae potenza di Dio

Tra-vasoAnnalisa Filippi2013, olio su tela

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La locandina del film di Aki Kau-rismaki e, sotto, una scena

La Parola ai giovani

“La “porta della fede” che introducealla vita di comunione con Dio epermette l'ingresso nella sua Chiesaè sempre aperta per noi. E' possibileoltrepassare quella soglia quandola Parola di Dio viene annunciata e ilcuore si lascia plasmare dalla graziache trasforma...” (dalla Lettera Apo-stolica Porta Fidei).

È questo l'inizio della lettera cheil Papa emerito Benedetto XVI harivolto a tutta la Chiesa per indirel’Anno della fede. Quando don Si-mone ci ha detto che la diocesiproponeva di “ri-creare” la nostraprofessione di fede insieme agliamici scout, subito abbiamo ac-colto l’indicazione con gioia. Certonon l’abbiamo vista come unacosa facile perché significavametterci in discussione innanzi-tutto sul nostro personale cam-mino di fede; dovevamopianificare/incastrare altri incontri

per prepararci al meglio a questoincontro e un po' la stanchezza hapreso il sopravvento. Ma non cisiamo scoraggiati; al contrario, ab-biamo preso la palla al balzo comemomento di confronto e incontrotra noi e il gruppo scout con cui,purtroppo, abbiamo pochi mo-menti da condividere insieme.

Sono stati organizzati tre incon-tri: i primi due erano dedicati allacontemplazione e meditazionedella Parola, mentre l'ultimo è ser-vito per la stesura del “nostro”credo.

I vari momenti di silenzio cisono serviti per interrogarci sulsenso e l’importanza che diamoalla preghiera, alla lettura e al-l’ascolto della Parola. Papa Bene-detto scrive: “Quando la Parola diDio viene annunciata e il cuore si la-scia plasmare dalla grazia che tra-sforma...”; e allora ci siamo chiesti:

“la preghiera quanto è importantenella mia giornata? Che spazio ledò? Il Credo che ogni domenicarecito che significato ha per me?Lo recito a memoria come unapoesia imparata da piccolo o haun senso per la mia vita? La Trinitàcosa rappresenta?”. Sono do-mande che ci siamo fatti; magarinon a tutte siamo riusciti a dareuna risposta chiara e lineare, ma

abbiamo condiviso anche questafatica che speriamo non sia statavana.

Il momento finale, la stesura delcredo, è stata fatta sulla base di unbrainstorming in cui - tutti divisi ingruppetti - dovevamo raccontarela nostra esperienza di Dio (Padre,Figlio e Spirito Santo) e la nostraimmagine di Chiesa. Abbiamoscavato nel nostro cuore e cer-cato di farci plasmare dalla Pa-rola, accolta nei precedentiincontri, per cercare di toglieretutti i condizionamenti che fin dapiccoli ci portiamo dentro, e creareuna professione di fede meditatae condivisa.

Ne è uscito un capolavoro diesperienze!

Un grazie speciale a Papa Bene-detto XVI per questa richiesta diinterrogazione e meditazione sullanostra fede.

Community a cura dei Giovani di Ac della parrocchia di Lonigo

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Capolavoro di esperienzese la fede è condivisa

Molte volte la fede ci è stata presen-tata come una questione di “sapere”,di conoscere per aderire a un in-sieme di verità dogmatiche e di va-lori morali e sociali. Se, però,giocando con la parola, spostiamoindietro l’accento, dal verbo italiano“sapere” passiamo al termine latino

“sàpere”, che si-gnifica “aver sa-pore, gustare”.

Nel salmo 33troviamo l’invito“gustate e ve-dete quanto èbuono il Si-gnore” (v. 9): è ilcanto maggior-mente utilizzatodai cristiani, findai primi secoli,nell’Eucaristia.Se ci pensiamobene il verticedell’esperienzacristiana è pro-prio l’atto di co-municare alcorpo e al san-

gue di Cristo! Questo versetto delsalmo ci ricorda che gusto e saporevengono prima della visione.

Veniamo da una tradizione che ciha presentato la fede prevalente-mente come dottrina. In realtà biso-gnerebbe presentarla anzituttocome una questione di buon gusto,associarla a un’esperienza di assag-gio della bontà di Dio.

La bontà di cui parla il salmo si-

gnifica certamente la generosità diDio, che è buono verso l’uomo, glivuole bene, è lieto di dargli cosebuone (Lc 11,13). Ma dobbiamoconservare all’espressione del salmotutta la sua forza: chi crede in Dio, loassaggia e lo assapora come unicoalimento buono e desiderabile. Lasua parola è “più dolce del miele e diun favo stillante” (cf Sal 18/19,11).

Credere in Dio è dunque un'espe-rienza di piacere, di gusto e di felicitàche suscita una sorpresa simile aquella degli ebrei nel desertoquando scoprono e assaggiano lamanna, quel cibo sconosciuto chechiamano: Man hu? Che cos'è? (Es16,15). La meraviglia viene dopo ladegustazione, il «vedete» vienedopo il «gustate». Proprio la liturgia,con il suo modo di comunicare, ciconduce verso un modo «sapo-roso» di vivere la fede, perché la ra-dica in una esperienza sensibile.

Ciò che le nostre orecchie sen-tono, ciò che i nostri occhi vedono,ciò che le nostre mani toccano, ciòche il nostro odorato respira e ciòche il nostro palato gusta, questo èil luogo primario in cui prendeforma il nostro comune e perso-nale incontro con Dio nella litur-gia. Lo ricorda S. Giovanni nellasua prima lettera: «quello che ab-biamo udito, quello che abbiamoveduto con i nostri occhi, quelloche le nostre mani hanno toccatodel Verbo della vita, noi lo annun-ciamo anche a voi, perché siate incomunione con noi». (1Gv.1,1-3).

Il saporedella fede

La liturgia è eminentemente corpo-rale: si nutre di gesti (segno dellacroce), di atteggiamenti/posture (inginocchio, in piedi), di movimenti(processioni) e anche di azioni com-piute sul corpo (unzione con l'olio,aspersione con l’acqua). Purtroppoveniamo da una tradizione che ci haabituati a considerare il corpo conuna certa di!denza, soprattutto perquanto riguarda l’espressione dellaspiritualità. Basta pensare alla di!-coltà, ancora oggi, di molte persone,di ricevere la comunione sulla mano,o di alzare le braccia per pregare ilPadre nostro...

La tentazione di contrapporrel’anima al corpo è antica quanto lapresenza dell'uomo sulla terra. GiàTertulliano (nel 220) dovette inter-venire sull'argomento per difenderela sacramentalità del corpo qualestrumento indispensabile per in-contrare la salvezza. È nota la suafrase «Caro salutis cardo»: la nostracarne, il nostro corpo con tutte lesue facoltà sensitive, è il cardine, lostrumento fondamentale della sal-vezza.

La riforma liturgica del Vaticano IIha riconosciuto e restituito al corpoe a tutte le sue facoltà, la piena di-gnità di strumenti “liturgici” peresprimere il dialogo con Dio nelpieno rispetto della dinamica del-l’incarnazione: «L’uomo è tenuto aconsiderare buono e degno dionore il proprio corpo, perchécreato da Dio e destinato alla risur-rezione nell'ultimo giorno» (GS 14).

Il corpo partecipa alla celebra-zione in diversi modi: assumendo al-cune posizioni, compiendo gesti, coldigiuno, con le lacrime, rivestendosiin un certo modo... A volte la cele-brazione esige un concorso di varielementi o atteggiamenti corporaliper esprimersi più chiaramente, piùintensamente, con maggiore auten-ticità.

Nel famoso inno allo Spirito, VeniCreator, troviamo un versetto chedice: “Accende lumen sensibus”.Quanto questa preghiera invocacome dono dello Spirito, lo pos-siamo a"ermare anche della liturgia:essa accende di luce i sensi. Ce lo ri-corda la parabola (Lc 15,11-32) del-l'amore misericordioso del Padre peril figlio ritrovato, incontro che è pa-radigmatico di ciò che avviene adogni liturgia: è un incontro che si faabbraccio per il tatto, musica e suonidi festa per l’udito, vitello ingrassatoper il gusto, vestito nuovo e profu-mato per la vista e l’olfatto.

Si celebracon il corpo

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Celebrare insiemela fede e l’amore

La Voce dei Berici ha raccoltonel volume Glorificate Dio nelvostro corpo (isg edizioni), gliarticoli curati da don Pieran-gelo Ruaro, direttore dell’U!-cio liturgico diocesano, eapparsi nella rubrica “I segnidella liturgia”. L’intento della ru-brica era quello di accompa-gnare i fedeli a riappropriarsi disegni, luoghi, gesti e canti chevengono vissuti nelle liturgie enelle celebrazioni.

A partire da questo numerode La Parola ai giovani, ripub-blichiamo gliinterventi didon Pieran-gelo. Invitiamogli animatoridei gruppi gio-vanili e tutti co-loro che hannoruoli di respon-sabilità nelleassociazioni enei movimenti,a favorire neiragazzi, negliadolescenti enei giovani, lariscoperta deisegni della li-turgia e il gustodi celebrare in-sieme la fede e l’amore di Dio.

Per acquistare o ordinarecopie de Glorificate Dio nelvostro corpo, contattare la re-dazione de La Voce dei Be-rici allo 0444.301.711.

I segni della liturgia a cura di don Pierangelo Ruaro

Disegno di S. Erspamer Clip Sacra Ars, Elledici

La Parola ai giovani

«Com’è andata in Brasile?». È una do-manda che mi sono sentita faremolte volte e a cui non sono mai riu-scita a dare una risposta soddisfa-cente, che andasse oltre il“bellissimo!”, accompagnato da unsorriso imbarazzato.

È di!cile raccontare un’espe-rienza che non è stata solo l’osser-vazione di una realtà diversa dallanostra, ma che è anche riuscita acambiare le mie idee e le mie prio-rità.

Vorrei poter parlare di ogni sor-riso, di ogni sguardo, di ogni pre-ghiera, di ogni tramonto che sonoimpressi nella mia memoria, perchéper me il Brasile è un ricordo for-mato da piccoli particolari e non damomenti clamorosi. Tenterò invecedi raccontare quello che mi ha por-tato a riflettere su un aspetto per mefondamentale della vita.

Durante la settimana missionaria,trascorsa nella parrocchia di SanJosè D.E., siamo andati a far visitaalla comunità più povera della par-rocchia che si trova fuori dal paese.Qui dopo essere stati accolti con un

ricco banchetto di benvenuto, cisiamo recati in due “case”. Ciò che miha colpito di più non è stato tanto lasemplicità o la decadenza delle co-struzioni ma le diverse espressionipresenti nel volto delle due donneincontrate nelle loro abitazioni.

La prima, sebbene dovesse riu-scire a sfamare i due figli, il marito eil padre, quando ci ha invitato a en-trare in quella stanza che fungevada zona giorno, aveva gli occhi chefacevano trapelare gioia e felicità. Ciha accolto nella sua umile casa conorgoglio e con la consapevolezza dinon essere sola in quella situazione.

Siamo poi stati accompagnatinella seconda abitazione da unabambina che aveva dieci anni; avevaun aspetto molto più grande ri-spetto la sua vera età. È stata lei afarci accomodare nella stanza in cuic’era anche la madre che se ne stavaseduta sul divano con un gatto cherendeva il quadro maggiormentemalinconico. Si percepivano la tri-stezza e la rassegnazione a quellavita evidentemente troppo di!cileda sopportare per lei.

Da quando i miei occhi hanno in-contrato lo sguardo di queste duedonne ho iniziato a riflettere e apormi molte domande: come puòessere che due persone apparente-mente nella stessa situazione reagi-scano in maniera così di"erente? Èsolo grazie alla capacità del singolouomo?

Prima di partire sicuramente avreirisposto in maniera razionale di-cendo che in fin dei conti è naturaleche ognuno abbia una diversa pre-disposizione nell’a"rontare o menole di!coltà della vita. Ora mi sembraun’assurdità non riconoscere chedietro quel sorriso c’era un aiutomolto più grande della menteumana, c’era la consapevolezza che,anche se sembra che tutto vadamale esiste qualcuno che ti ama cosìtanto che ti tiene per mano e l’unicacosa che ti chiede è che ti lasci gui-dare dal suo amore.

È questo che mi porto dentro dalBrasile: la voglia di imparare a chiu-dere gli occhi e a lasciarmi traspor-tare dall’Amore.

Beatrice Ceola

Storie ed emozioni dalla Gmg di Rio de Janeiro

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Anche quest’anno si è tenutol’evento della Giornata Mondialedella Gioventù, in cui non sonomancate le molte attese, tra cui laguida di Papa Francesco alla suaprima GMG. Grazie alla particola-rità del posto, cioè l’America Latinae al fatto che, specialmente in Bra-sile, la nostra Diocesi di Vicenza haspedito in missione molti sacer-doti, anche noi giovani vicentini inpartenza per la GMG a Rio, ab-biamo avuto il grande dono dipoter vivere la settimana missio-naria, trasformandoci in laici“Fidei Donum”: un’occasioneunica per scoprire e vivere un po’ diBrasile.

Arrivati in Brasile, abbiamo tra-scorso tutti insieme i primi giorni,visitando le città di Recife edOlinda, con il vescovo Beniamino eil vescovo Egidio Bisol, sacerdotevicentino Fidei Donum, diventatovescovo nel 2010 di Afogados daIngazeira, la diocesi che ci ha ospi-tato nella prima settimana missio-naria, nella quale i sacerdotivicentini hanno lavorato per quasiquarant’anni! Abbiamo visitato latomba di dom Helder Camara,chiamato “il vescovo degli ultimi”,che ha speso la sua vita accantoalle popolazioni più povere, più di-sagiate; non era solo capace diascoltarle, ma sapeva agire, andavada loro nelle strade, nelle case,negli angoli delle periferie.

Durante la settimana missiona-ria a Serra Talhada, i ragazzi diNossa Senhora da Penha ci hannoportato a visitare l’ospedale, il cen-tro di recupero della comunità ditossicodipendenti Boa Nova e cihanno mostrato una mattinata dicatechismo con dei giovani stu-denti. Ho quindi potuto vederecon i miei occhi le realtà e le pro-blematiche che contraddistin-guono la vita della comunitàparrocchiale e non potrò mai di-menticare il sorriso, la fede inDio e la forza di vivere che hanno

le persone che so"rono, le personeammalate, le persone che vivonocol peso di una dipendenza e lacapacità dei giovani della parroc-chia di portare un sorriso a tutti, difare gruppo nella preghiera, di ve-dere come gridano al mondo in-tero senza paura, senza maschere,che loro amano Dio, che Dio esiste,che Dio è sempre lì con loro, vicinoa loro, pronto a sostenerli nelle dif-ficoltà e nella felicità come un veroAmico, che è bello credere in Dio!

Per me è stata la prima Gior-nata mondiale della Gioventù.Non posso descrivere la forteemozione e la spiritualità che siprova durante il raduno mondialedei giovani: milioni di giovani pro-venienti da ogni parte del mondoche si trovano in una città, Rio deJaneiro in questa occasione, per vi-vere insieme al Papa la preghiera!Durante lo svolgimento della GMGè particolare lo spirito di amicizia edi fraternità che si sente, che si re-spira tra persone che non si sonomai viste prima di allora e le quali,

nonostante le di"erenze di cultura,di linguaggio e di Stato di apparte-nenza, si scoprono fratelli, for-mando un’unica vera famiglia: lafamiglia dei giovani cattolici che vi-vono insieme con sorrisi, abbracci,canti e preghiere la GMG.

E che dire di Papa Francesco?!Un papa che ti cattura solo con losguardo e che, conoscendo benechi ha davanti a sé, sa dire esatta-mente quello che ognuno di noi habisogno di sentirsi dire, arrivandocon le sue parole dritto al cuore ealla mente di ognuno. Ti esorta conuna straordinaria e incantevole fer-mezza a non perdere la speranza ea non aver paura. Queste le sue ul-time parole alla messa di manda-toi: “Va, senza paura, per servire!”.

Inoltre non posso scordarel’ospitalità nelle famiglie di Riode Janeiro e di Volta Redonda:delle persone semplici e specialiche con il loro amore, la loro im-mensa fede e la loro ospitalità mihanno accolto come un figlio , re-galandomi a"etto e sorrisi.

Torno a Vicenza con qualcosa inpiù: la gioia delle persone e dellefamiglie che ho conosciuto in Bra-sile, la fede che mi hanno tra-smesso i giovani di tutto il mondo,la fiducia e la grinta che ci ha datoPapa Francesco, e soprattutto ilfatto di aver toccato con mano chevivere nell’essenzialità vuol direvivere in Dio, perché Egli è tuttociò di cui ogni persona ha bisogno.

Michele Frigo

L’essenzialitàè vivere di Dio

Nelle immagini, alcuni “scatti” dell’esperienza vissuta a Rio de Janeirodai pellegrini vicentini

Sguardi di gioia e tristezzache cambiano la vita

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