La pandemia può ridurre in miseria cento milioni di …...lio. Tra queste, quasi nessuna chie-deva...

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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 133 (48.457) Città del Vaticano venerdì-sabato 12-13 giugno 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +"!"!.!=!@! Sessant’anni fa l’incontro tra san Giovanni XXIII e Jules Isaac L’inizio di un cammino di amicizia di ABRAHAM SKORKA * C i sono momenti nella storia che cambiano per sempre popoli e persone. Molti di questi momenti sono incontri tra persone e Dio o tra persone e il lo- ro prossimo. L’incontro di Abramo con il Creatore, in cui udì l’ordine: «Vattene» (Genesi 12, 1), e quello di Mosè con Dio nel roveto ardente (Esodo 3) sono due esempi biblici di conversazioni che hanno portato grandi trasformazioni. Un altro punto di svolta nella storia c’è sta- to sessant’anni fa, il 13 giugno 1960, quando il professor Jules Isaac è stato in udienza da Papa san Giovanni XXIII. Erano passati quindici anni dalla fine della seconda guerra mondiale; un nuovo mondo stava nascendo sulle macerie e la devastazione la- sciate dalla conflagrazione. Il Papa comprese che la Chiesa cattolica doveva adattarsi alla nuova realtà se voleva dare il suo contributo ai bisogni del mondo. Così, annunciò che avrebbe convocato un grande concilio dei vescovi di tutto il mondo, il concilio Vaticano II. Su invito del Vaticano, vescovi e teologi inviarono migliaia di pro- poste di temi da trattare nel conci- lio. Tra queste, quasi nessuna chie- deva che il concilio affrontasse la questione della Shoah e il suo nes- so con secoli di insegnamento an- tiebraico. A fare eccezione era l’ap- pello inviato dal rettore e dai do- centi gesuiti del Pontificio Istituto Biblico di Roma. L’evidente e diffusa incapacità di comprendere l’urgenza della que- stione addolorò profondamente il padre paolino Thomas F. Stransky, che faceva parte del personale del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani e che alcuni decenni dopo ricordò: «Mi doman- davo: quell’indifferenza era una svista collettiva involontaria? L’esperienza del genocidio degli ebrei nell’Europa cristiana, la “solu- zione finale” per il popolo ebreo nel mondo, era già stata dimentica- ta o accantonata? I processi per crimini di Guerra di Norimberga del 1947 tanto pubblicizzati non erano altro che un pallone presto sgonfiatosi?”». Il Professor Jules Isaac, storico ebreo, era famoso già prima della seconda guerra mondiale per i suoi libri sull’educazione secondaria in Francia. L’aver perso la moglie, la figlia e il genero ad Auschwitz e a Bergen-Belsen non fece di lui una persona amareggiata. Nel 1947 pubblicò uno studio importante, Jésus et Israël, su come l’essere ebreo di Gesù contrastava con i successivi insegnamenti antiebraici dei cristiani. Fu anche uno dei fon- datori di Amitié Judéo-Chrétienne de France e tra i principali partecipanti alla famosa conferenza di Seeli- sberg (1947). Comprese che, sebbe- ne l’antisemitismo nazista avesse radici pagane, secoli di «insegna- mento del disprezzo» (che è il tito- lo del suo libro del 1962) da parte dei cristiani avevano aiutato molto i nazisti. E così divenne un grande sostenitore del dialogo tra ebrei e cristiani. Quando Giovanni XXIII, appena eletto, annunciò il grande concilio, Isaac chiese udienza. Sco- prì nel nuovo Papa un interlocuto- re comprensivo. Il Papa, al secolo Angelo Ron- calli, quando era ambasciatore del- la Santa Sede in Turchia, su richie- sta dell’Agenzia ebraica, aveva for- nito migliaia di certificati di batte- simo falsi e di visti a ebrei bulgari, romeni, slovacchi e ungheresi, sal- vandoli dalla Shoah e permettendo loro di fuggire dall’Europa in Pale- stina. Nel suo primo Venerdì santo come Papa, aveva tolto la parola perfidis dall’intercessione per gli ebrei. Quando i due s’incontrarono, il 13 giugno 1960, Isaac presentò un dossier in cui erano riassunte le sue ricerche e chiese che, in preparazio- ne del concilio, un sottocomitato esaminasse l’insegnamento cattolico sugli ebrei. Secondo quanto riferito da Isaac, il Papa avrebbe detto: “Ci avevo pensato all’inizio della nostra conversazione”. Si lasciaro- no amichevolmente e quando Isaac si domandò a voce alta se poteva portare via con sé “almeno un bri- ciolo di speranza”, Papa Giovanni esclamò: “Molto più che una spe- ranza, lei ha diritto di avere”. Dopo l’interruzione estiva, il Pa- pa incaricò il cardinale Agostino Bea di formare il sottocomitato. Tale direttiva alla fine avrebbe por- tato, il 28 ottobre 1965, alla pro- mulgazione della Nostra aetate. Ri- cordando l’udienza con il Professor Isaac, il segretario personale di Giovanni XXIII scrisse: «Ricordo molto bene che il Papa rimase pro- fondamente colpito da quell’incon- tro e ne parlò con me a lungo. È anche vero che fino ad allora Gio- vanni XXIII non aveva considerato di dover affrontare la questione ebraica e l’antisemitismo. Ma da quel giorno vi si dedicò completa- mente». Il breve incontro tra il Papa e il professore fu quindi un momento di grande trasformazione. Fu l’ini- zio di un “cammino di amicizia”, come lo ha descritto Papa France- sco, che da allora ha benedetto cat- tolici ed ebrei. Tale cammino non è stato privo di passi falsi e controversie. Ma poco a poco abbiamo imparato co- me parlare gli uni con gli altri, e in molte parti del mondo è cresciuto tra noi un dialogo profondo. Ab- biamo imparato ad apprezzare le nostre differenze, a stimare i modi diversi in cui ebrei e cattolici si so- no alleati con Dio, a vedere la san- tità nelle nostre rispettive tradizioni e a poterci dire gli uni agli altri, «sono venuto alla tua presenza, co- me si viene alla presenza di Dio» (Genesi 33, 10). Mentre ricordiamo il momento di svolta nella storia rappresentato dal dialogo tra Giovanni XXIII e Jules Isaac, ringraziamo Dio e ono- riamo la loro memoria approfon- dendo e prolungando il dialogo che hanno avviato sessant’anni fa. *Institute for Jewish-Catholic Relations of Saint Joseph’s University, Philadelphia NOSTRE INFORMAZIONI Allarme dell’Fmi che chiede ai governi maggiori investimenti nel lavoro e nella sanità La pandemia può ridurre in miseria cento milioni di persone WASHINGTON, 12. La crisi del coro- navirus potrebbe ridurre fino a 100 milioni di persone in condizioni di estrema povertà vanificando gli sfor- zi fatti negli ultimi tre anni. L’allar- me arriva dal direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), Kristalina Georgieva, secondo la quale, alla luce di questa emer- genza, le autorità «devono fare tutto quello che è in loro potere per pro- muovere una crescita più inclusiva». Tuttavia, Georgieva ha spiegato che «assicurare un ritorno alla crescita dopo il coronavirus non è abbastan- za: c'è bisogno di riforme e investi- menti per migliorare significativa- mente le prospettive economiche dei più deboli». Georgieva ha insistito sull’urgenza di maggiori investimenti sanitari, sul rafforzamento delle reti di assistenza sociale e sul maggiore accesso a un’istruzione di qualità. «Nel medio termine ci sarà spazio per migliorare l’efficienza della spesa pubblica. C'è anche spazio per una riforma delle tasse: per esempio al- cune economie avanzate ed emer- genti potrebbero aumentare le tasse più alte sui redditi personali» ha spiegato Georgieva. «I paesi potreb- bero anche assicurarsi che il loro si- stema riesca a catturare i guadagni dai “vincitori” della crisi, incluse for- se le attività digitali. E dovrebbe es- serci uno sforzo concertato contro i flussi illeciti e le scappatoie fiscali». L’avvertimento dell’Fmi sul ri- schio di milioni di nuovi poveri si va ad aggiungere all’allarme dell’Ocse e alle stime caute della Fed (Federal Reserve) sulla crescita e soprattutto sul mercato del lavoro. Previsioni, quelle della banca centrale america- na, che trovano conferma nel nuovo aumento delle richieste dei sussidi alla disoccupazione, saliti di altri 1,5 milioni. Dalle Borse non arrivano se- gnali positivi. Ieri le piazze europee hanno chiuso in profondo rosso bru- ciando 328 miliardi. Pesano i timori legati alla pandemia e alle misure dei governi. Wall Street ha archivia- to la peggiore seduta dal 16 marzo. Nella baraccopoli di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia Migrante morto in un incendio ROMA, 12. Un migrante di nazionali- tà senegalese è morto carbonizzato questa mattina nell’incendio della baracca di legno in cui viveva nell’area di Borgo Mezzanone, l’in- sediamento abusivo in provincia di Foggia. Quasi certamente le cause del rogo sono accidentali. L’incendio non si è propagato probabilmente perché la baracca si trovava in una zona un po’ più iso- lata rispetto al nucleo centrale della baraccopoli, dove vivono ammassati tutti insieme centinaia di braccianti agricoli stranieri, per lo più africani, quasi sempre sfruttati nei campi agricoli della zona a pochi euro per lunghissime giornate di lavoro mas- sacranti. In un anno e mezzo è la quarta vittima registrata a seguito di incendi nella baraccopoli, che sorge nei pressi della Cara, il Centro di ac- coglienza per richiedenti asilo. Il 4 febbraio, una forte esplosione probabilmente dovuta ad una bombola di gas — ha distrutto sei baracche, uccidendo una donna afri- cana di trent’anni. Un episodio ana- logo si è verificato ad aprile dello scorso anno, quando un rogo causó il decesso di un giovane gambiano. Ancora prima, il primo novembre 2018, in un altro devastante incendio perse la vita un altro giovane africa- no. Nelle scorse settimane si sono verificati altri roghi, senza conse- guenze per le persone. L’insedia- mento abusivo di Borgo Mezzanone è cresciuto sulla pista di atterraggio di un aeroporto militare usato anco- ra ai tempi della guerra di Bosnia ed Erzegovina e poi dismesso. Presentato il Fondo Gesù Divino lavoratore voluto da Papa Francesco a sostegno delle persone colpite dalla crisi a Roma Restituire dignità a famiglie e lavoratori di ALESSANDRO GUARASCI «R estituire dignità alle per- sone cadute nello scorag- giamento» e far «fiorire la solidarietà». Così il cardinale An- gelo De Donatis, vicario di Roma, ha sintetizzato gli obiettivi del Fon- do Gesù Divino lavoratore, voluto da Papa Francesco per aiutare «colo- ro che rischiano di rimanere esclusi dalle tutele istituzionali e hanno bi- sogno di un sostegno che li accom- pagni, finché potranno camminare di nuovo autonomamente». L’inizia- tiva è stata presentata la mattina di venerdì 12 giugno, nel Palazzo apo- stolico Lateranense, dallo stesso por- porato, dalla sindaca Virginia Raggi e dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, i quali, nell’occa- sione, hanno firmato il protocollo d’intesa denominato Alleanza per Roma. Rappresenta una mano tesa verso le numerose famiglie colpite dalla crisi economica provocata dal coro- navirus, in particolare le tante lavo- ratrici e i tanti lavoratori che nella città non hanno più un reddito e hanno perso la speranza di recupera- re il proprio impiego. Il fondo — un milione di euro lo stanziamento ini- ziale, al quale hanno aderito la Re- gione e il Comune entrambi con cin- quecentomila euro — è un primo strumento importante, ha sottolinea- to il cardinale De Donatis, perché «non si tratta solo di erogare una somma di denaro, ma di dare rispo- sta a un vero mandato» per la co- munità cristiana: «Essere sale e lievi- to nella società». Serve uno sforzo di «generosità e di condivisione» che ha nella «solidarietà» la sua pa- rola chiave, con il coinvolgimento di tutti i cittadini, delle istituzioni poli- tiche ed economiche, del mondo dell’associazionismo, affinché, ha ag- giunto il porporato ricordando le parole di Francesco, «nessuno resti indietro e non si propaghi il virus dell’indifferenza». Non si parla di assistenzialismo ma di un percorso di aiuto e vici- nanza, di promozione sociale, in modo che ognuno possa essere pro- tagonista della rinascita della comu- nità romana. Dall’esplosione della pandemia, migliaia di persone si so- no rivolte alle parrocchie e ai centri di ascolto. Le istituzioni sono inter- venute con bonus, cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali, ma la crisi del covid-19 ha avuto un impat- to devastante. L’Alleanza per Roma che nasce dal Fondo Gesù Divino lavoratore vuole quindi essere uno strumento per agire in modo coordi- nato e comunitario. Il fondo — ha spiegato il vescovo ausiliare Gianpiero Palmieri — ha co- me obiettivo la presa in carico e l’ac- compagnamento di almeno mille fa- miglie. Con due tipi d’intervento: l’erogazione di un contributo econo- mico per superare la fase di emer- genza (da 300 a 600 euro al mese) e l’attuazione di percorsi di tirocinio lavorativo, borse lavoro e finanzia- menti di micro-progetti di autoim- prenditorialità. Ha una durata mas- sima di sei mesi per beneficiario e per ognuna delle misure attivate. Per accedervi occorre essere domi- ciliati nel territorio della diocesi o del comune di Roma; non avere co- me nucleo familiare entrate superiori a 600 euro mensili, aumentate di 100 euro per ogni convivente; essere di- soccupati o aver drasticamente ridot- to le proprie occasioni di lavoro; ma- nifestare una volontà di collaborare per superare l’emergenza. Si può fa- re domanda attraverso i Presidi terri- toriali di ascolto, una novantina di- slocati sul territorio, dove opereran- no 523 volontari. Le famiglie che non potranno beneficiare del proget- to verranno comunque indirizzate verso le altre misure attivate dalla diocesi per l’emergenza covid-19, co- me la tessera alimentare, il fondo an- ticrisi o il fondo antiusura. Durante la pandemia, ha sottolineato la sin- daca Raggi, «si sono registrate due tendenze: una è quella dell’egoi- smo», con l’impegno prioritario di salvaguardare se stessi; l’altra invece «ha portato ad aiutare gli altri» e si è manifestata in tante piccole «espe- rienze di condivisione e di solidarie- tà». Un atteggiamento di cui è espressione proprio l’Alleanza per la città voluta dal Papa, che esorta a «proteggere e far fiorire il seme della solidarietà». Le ha fatto eco il presi- dente della Regione Zingaretti, ri- cordando che la risposta alla crisi in- nescata dalla pandemia «si fonda sui valori che ci accomunano, solidarietà e coesione, per far sì che la paura non si trasformi in rabbia e per ten- dere la mano a chi non ce la fa». Il progetto, ha detto, «aiuterà tantissi- me persone e soprattutto ne coinvol- gerà molte altre in una gara della so- lidarietà». La sua logica, infatti, ha concluso Palmieri, non è quella «di chiedersi quanto posso prendere, ma quanto posso condividere». Il racconto dell’epidemia nei secoli LUCIO CO CO E GABRIELE NICOLÒ A PAGINA 4 Verso la canonizzazione di Charles de Foucauld BERNARD ARDURA, FRANCOIS VAYNE E UNA PICCOLA SORELLA DI GESÙ NELLE PAGINE 6 E 7 Viaggio nelle comunità che hanno affrontato la crisi / 3 La sfida del cambiamento ROBERTO CETERA A PAGINA 8 ALLINTERNO LABORATORIO DOPO LA PANDEMIA Da soli a solidali BRUNO BIGNAMI A PAGINA 3 Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Eminentissimo Cardinale Luis Antonio G. Tagle, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Jan Tombiński, Ambasciatore dell’Unione europea in visita di congedo. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza la Professoressa Marta Cartabia, Presi- dente dalla Corte Costituzionale italiana. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza membri della Presidenza nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (MEIC). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Reverendo Don Pasquale Spinoso, Consigliere Ecclesiastico dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. Il Santo Padre ha nominato Membro del Con- siglio direttivo dell’Autorità di Informazione Fi- nanziaria l’Illustrissima Professoressa Antonella Sciarrone Alibrandi, Pro-Rettore Vicario dell’Uni- versità Cattolica del Sacro Cuore (Italia).

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 133 (48.457) Città del Vaticano v e n e rd ì - sabato 12-13 giugno 2020

.

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!@!

Sessant’anni fa l’incontro tra san Giovanni XXIII e Jules Isaac

L’inizio di un camminodi amicizia

di ABRAHAM SKO R KA *

Ci sono momenti nella storiache cambiano per semprepopoli e persone. Molti di

questi momenti sono incontri trapersone e Dio o tra persone e il lo-ro prossimo. L’incontro di Abramocon il Creatore, in cui udì l’o rd i n e :«Vattene» (Genesi 12, 1), e quello diMosè con Dio nel roveto ardente(Esodo 3) sono due esempi biblicidi conversazioni che hanno portatograndi trasformazioni. Un altropunto di svolta nella storia c’è sta-to sessant’anni fa, il 13 giugno1960, quando il professor JulesIsaac è stato in udienza da Papasan Giovanni XXIII.

Erano passati quindici anni dallafine della seconda guerra mondiale;un nuovo mondo stava nascendosulle macerie e la devastazione la-sciate dalla conflagrazione. Il Papacomprese che la Chiesa cattolicadoveva adattarsi alla nuova realtàse voleva dare il suo contributo aibisogni del mondo. Così, annunciòche avrebbe convocato un grandeconcilio dei vescovi di tutto ilmondo, il concilio Vaticano II.

Su invito del Vaticano, vescovi eteologi inviarono migliaia di pro-poste di temi da trattare nel conci-lio. Tra queste, quasi nessuna chie-deva che il concilio affrontasse laquestione della Shoah e il suo nes-so con secoli di insegnamento an-tiebraico. A fare eccezione era l’ap-pello inviato dal rettore e dai do-centi gesuiti del Pontificio IstitutoBiblico di Roma.

L’evidente e diffusa incapacità dicomprendere l’urgenza della que-stione addolorò profondamente ilpadre paolino Thomas F. Stransky,che faceva parte del personale delSegretariato per la promozionedell’unità dei cristiani e che alcunidecenni dopo ricordò: «Mi doman-davo: quell’indifferenza era unasvista collettiva involontaria?L’esperienza del genocidio degliebrei nell’Europa cristiana, la “solu-zione finale” per il popolo ebreonel mondo, era già stata dimentica-ta o accantonata? I processi percrimini di Guerra di Norimbergadel 1947 tanto pubblicizzati nonerano altro che un pallone prestosgonfiatosi?”».

Il Professor Jules Isaac, storicoebreo, era famoso già prima dellaseconda guerra mondiale per i suoilibri sull’educazione secondaria inFrancia. L’aver perso la moglie, lafiglia e il genero ad Auschwitz e aBergen-Belsen non fece di lui unapersona amareggiata. Nel 1947pubblicò uno studio importante,Jésus et Israël, su come l’e s s e reebreo di Gesù contrastava con isuccessivi insegnamenti antiebraicidei cristiani. Fu anche uno dei fon-datori di Amitié Judéo-Chrétienne deFra n c e e tra i principali partecipantialla famosa conferenza di Seeli-sberg (1947). Comprese che, sebbe-ne l’antisemitismo nazista avesseradici pagane, secoli di «insegna-mento del disprezzo» (che è il tito-lo del suo libro del 1962) da partedei cristiani avevano aiutato moltoi nazisti. E così divenne un grandesostenitore del dialogo tra ebrei e

cristiani. Quando Giovanni XXIII,appena eletto, annunciò il grandeconcilio, Isaac chiese udienza. Sco-prì nel nuovo Papa un interlocuto-re comprensivo.

Il Papa, al secolo Angelo Ron-calli, quando era ambasciatore del-la Santa Sede in Turchia, su richie-sta dell’Agenzia ebraica, aveva for-nito migliaia di certificati di batte-simo falsi e di visti a ebrei bulgari,romeni, slovacchi e ungheresi, sal-vandoli dalla Shoah e permettendoloro di fuggire dall’Europa in Pale-stina. Nel suo primo Venerdì santocome Papa, aveva tolto la parolaperfidis dall’intercessione per glie b re i .

Quando i due s’incontrarono, il13 giugno 1960, Isaac presentò undossier in cui erano riassunte le suericerche e chiese che, in preparazio-ne del concilio, un sottocomitatoesaminasse l’insegnamento cattolicosugli ebrei. Secondo quanto riferitoda Isaac, il Papa avrebbe detto:“Ci avevo pensato all’inizio dellanostra conversazione”. Si lasciaro-no amichevolmente e quando Isaacsi domandò a voce alta se potevaportare via con sé “almeno un bri-ciolo di speranza”, Papa Giovanniesclamò: “Molto più che una spe-ranza, lei ha diritto di avere”.

Dopo l’interruzione estiva, il Pa-pa incaricò il cardinale AgostinoBea di formare il sottocomitato.Tale direttiva alla fine avrebbe por-tato, il 28 ottobre 1965, alla pro-mulgazione della Nostra aetate. Ri-cordando l’udienza con il ProfessorIsaac, il segretario personale diGiovanni XXIII scrisse: «Ricordomolto bene che il Papa rimase pro-fondamente colpito da quell’incon-tro e ne parlò con me a lungo. Èanche vero che fino ad allora Gio-vanni XXIII non aveva consideratodi dover affrontare la questioneebraica e l’antisemitismo. Ma daquel giorno vi si dedicò completa-mente».

Il breve incontro tra il Papa e ilprofessore fu quindi un momentodi grande trasformazione. Fu l’ini-zio di un “cammino di amicizia”,come lo ha descritto Papa France-sco, che da allora ha benedetto cat-tolici ed ebrei.

Tale cammino non è stato privodi passi falsi e controversie. Mapoco a poco abbiamo imparato co-me parlare gli uni con gli altri, e inmolte parti del mondo è cresciutotra noi un dialogo profondo. Ab-biamo imparato ad apprezzare lenostre differenze, a stimare i modidiversi in cui ebrei e cattolici si so-no alleati con Dio, a vedere la san-tità nelle nostre rispettive tradizionie a poterci dire gli uni agli altri,«sono venuto alla tua presenza, co-me si viene alla presenza di Dio»(Genesi 33, 10).

Mentre ricordiamo il momentodi svolta nella storia rappresentatodal dialogo tra Giovanni XXIII eJules Isaac, ringraziamo Dio e ono-riamo la loro memoria approfon-dendo e prolungando il dialogoche hanno avviato sessant’anni fa.

*Institute for Jewish-CatholicRelations of Saint Joseph’sUniversity, Philadelphia

NOSTRE INFORMAZIONI

Allarme dell’Fmi che chiede ai governi maggiori investimenti nel lavoro e nella sanità

La pandemia può ridurre in miseriacento milioni di persone

WASHINGTON, 12. La crisi del coro-navirus potrebbe ridurre fino a 100milioni di persone in condizioni diestrema povertà vanificando gli sfor-zi fatti negli ultimi tre anni. L’allar-me arriva dal direttore generale delFondo monetario internazionale(Fmi), Kristalina Georgieva, secondola quale, alla luce di questa emer-genza, le autorità «devono fare tuttoquello che è in loro potere per pro-muovere una crescita più inclusiva».

Tuttavia, Georgieva ha spiegato che«assicurare un ritorno alla crescitadopo il coronavirus non è abbastan-za: c'è bisogno di riforme e investi-menti per migliorare significativa-

mente le prospettive economiche deipiù deboli». Georgieva ha insistitosull’urgenza di maggiori investimentisanitari, sul rafforzamento delle retidi assistenza sociale e sul maggiore

accesso a un’istruzione di qualità.«Nel medio termine ci sarà spazioper migliorare l’efficienza della spesapubblica. C'è anche spazio per unariforma delle tasse: per esempio al-cune economie avanzate ed emer-genti potrebbero aumentare le tassepiù alte sui redditi personali» haspiegato Georgieva. «I paesi potreb-bero anche assicurarsi che il loro si-stema riesca a catturare i guadagnidai “vincitori” della crisi, incluse for-se le attività digitali. E dovrebbe es-serci uno sforzo concertato contro iflussi illeciti e le scappatoie fiscali».

L’avvertimento dell’Fmi sul ri-schio di milioni di nuovi poveri si vaad aggiungere all’allarme dell’Ocse ealle stime caute della Fed (FederalReserve) sulla crescita e soprattuttosul mercato del lavoro. Previsioni,quelle della banca centrale america-na, che trovano conferma nel nuovoaumento delle richieste dei sussidialla disoccupazione, saliti di altri 1,5milioni. Dalle Borse non arrivano se-gnali positivi. Ieri le piazze europeehanno chiuso in profondo rosso bru-ciando 328 miliardi. Pesano i timorilegati alla pandemia e alle misuredei governi. Wall Street ha archivia-to la peggiore seduta dal 16 marzo.

Nella baraccopoli di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia

Migrante morto in un incendioROMA, 12. Un migrante di nazionali-tà senegalese è morto carbonizzatoquesta mattina nell’incendio dellabaracca di legno in cui vivevanell’area di Borgo Mezzanone, l’in-sediamento abusivo in provincia diFoggia. Quasi certamente le causedel rogo sono accidentali.

L’incendio non si è propagatoprobabilmente perché la baracca sitrovava in una zona un po’ più iso-lata rispetto al nucleo centrale dellabaraccopoli, dove vivono ammassatitutti insieme centinaia di braccianti

agricoli stranieri, per lo più africani,quasi sempre sfruttati nei campiagricoli della zona a pochi euro perlunghissime giornate di lavoro mas-sacranti. In un anno e mezzo è laquarta vittima registrata a seguito diincendi nella baraccopoli, che sorgenei pressi della Cara, il Centro di ac-coglienza per richiedenti asilo.

Il 4 febbraio, una forte esplosione— probabilmente dovuta ad unabombola di gas — ha distrutto seibaracche, uccidendo una donna afri-cana di trent’anni. Un episodio ana-

logo si è verificato ad aprile delloscorso anno, quando un rogo causóil decesso di un giovane gambiano.Ancora prima, il primo novembre2018, in un altro devastante incendioperse la vita un altro giovane africa-no. Nelle scorse settimane si sonoverificati altri roghi, senza conse-guenze per le persone. L’insedia-mento abusivo di Borgo Mezzanoneè cresciuto sulla pista di atterraggiodi un aeroporto militare usato anco-ra ai tempi della guerra di Bosnia edErzegovina e poi dismesso.

Presentato il Fondo Gesù Divino lavoratore voluto da Papa Francesco a sostegno delle persone colpite dalla crisi a Roma

Restituire dignità a famiglie e lavoratoridi ALESSANDRO GUA R A S C I

«R estituire dignità alle per-sone cadute nello scorag-giamento» e far «fiorire

la solidarietà». Così il cardinale An-gelo De Donatis, vicario di Roma,ha sintetizzato gli obiettivi del Fon-do Gesù Divino lavoratore, volutoda Papa Francesco per aiutare «colo-ro che rischiano di rimanere esclusidalle tutele istituzionali e hanno bi-sogno di un sostegno che li accom-pagni, finché potranno camminaredi nuovo autonomamente». L’inizia-tiva è stata presentata la mattina divenerdì 12 giugno, nel Palazzo apo-stolico Lateranense, dallo stesso por-porato, dalla sindaca Virginia Raggie dal presidente della Regione LazioNicola Zingaretti, i quali, nell’o cca-sione, hanno firmato il protocollod’intesa denominato Alleanza perRoma.

Rappresenta una mano tesa versole numerose famiglie colpite dallacrisi economica provocata dal coro-navirus, in particolare le tante lavo-ratrici e i tanti lavoratori che nellacittà non hanno più un reddito ehanno perso la speranza di recupera-re il proprio impiego. Il fondo — unmilione di euro lo stanziamento ini-ziale, al quale hanno aderito la Re-gione e il Comune entrambi con cin-quecentomila euro — è un primostrumento importante, ha sottolinea-to il cardinale De Donatis, perché«non si tratta solo di erogare una

somma di denaro, ma di dare rispo-sta a un vero mandato» per la co-munità cristiana: «Essere sale e lievi-to nella società». Serve uno sforzodi «generosità e di condivisione»che ha nella «solidarietà» la sua pa-rola chiave, con il coinvolgimento ditutti i cittadini, delle istituzioni poli-tiche ed economiche, del mondodell’associazionismo, affinché, ha ag-giunto il porporato ricordando leparole di Francesco, «nessuno restiindietro e non si propaghi il virusdell’i n d i f f e re n z a » .

Non si parla di assistenzialismoma di un percorso di aiuto e vici-nanza, di promozione sociale, inmodo che ognuno possa essere pro-tagonista della rinascita della comu-nità romana. Dall’esplosione dellapandemia, migliaia di persone si so-no rivolte alle parrocchie e ai centridi ascolto. Le istituzioni sono inter-venute con bonus, cassa integrazionee altri ammortizzatori sociali, ma lacrisi del covid-19 ha avuto un impat-to devastante. L’Alleanza per Romache nasce dal Fondo Gesù Divinolavoratore vuole quindi essere unostrumento per agire in modo coordi-nato e comunitario.

Il fondo — ha spiegato il vescovoausiliare Gianpiero Palmieri — ha co-me obiettivo la presa in carico e l’ac-compagnamento di almeno mille fa-miglie. Con due tipi d’intervento:l’erogazione di un contributo econo-mico per superare la fase di emer-genza (da 300 a 600 euro al mese) el’attuazione di percorsi di tirocinio

lavorativo, borse lavoro e finanzia-menti di micro-progetti di autoim-prenditorialità. Ha una durata mas-sima di sei mesi per beneficiario eper ognuna delle misure attivate.

Per accedervi occorre essere domi-ciliati nel territorio della diocesi odel comune di Roma; non avere co-me nucleo familiare entrate superioria 600 euro mensili, aumentate di 100euro per ogni convivente; essere di-soccupati o aver drasticamente ridot-to le proprie occasioni di lavoro; ma-nifestare una volontà di collaborareper superare l’emergenza. Si può fa-re domanda attraverso i Presidi terri-toriali di ascolto, una novantina di-slocati sul territorio, dove opereran-no 523 volontari. Le famiglie chenon potranno beneficiare del proget-to verranno comunque indirizzateverso le altre misure attivate dalladiocesi per l’emergenza covid-19, co-me la tessera alimentare, il fondo an-ticrisi o il fondo antiusura. Durantela pandemia, ha sottolineato la sin-daca Raggi, «si sono registrate duetendenze: una è quella dell’egoi-smo», con l’impegno prioritario disalvaguardare se stessi; l’altra invece«ha portato ad aiutare gli altri» e siè manifestata in tante piccole «espe-rienze di condivisione e di solidarie-tà». Un atteggiamento di cui èespressione proprio l’Alleanza per lacittà voluta dal Papa, che esorta a«proteggere e far fiorire il seme dellasolidarietà». Le ha fatto eco il presi-dente della Regione Zingaretti, ri-cordando che la risposta alla crisi in-

nescata dalla pandemia «si fonda suivalori che ci accomunano, solidarietàe coesione, per far sì che la pauranon si trasformi in rabbia e per ten-dere la mano a chi non ce la fa». Ilprogetto, ha detto, «aiuterà tantissi-me persone e soprattutto ne coinvol-gerà molte altre in una gara della so-lidarietà». La sua logica, infatti, haconcluso Palmieri, non è quella «dichiedersi quanto posso prendere, maquanto posso condividere».

Il raccontodell’epidemia nei secoli

LUCIO CO CO E GABRIELE NICOLÒA PA G I N A 4

Verso la canonizzazionedi Charles de Foucauld

BERNARD ARDURA, FRANCOIS VAY N EE UNA PICCOLA SORELLA DI GESÙ

NELLE PA G I N E 6 E 7

Viaggio nelle comunitàche hanno affrontato la crisi / 3

La sfidadel cambiamento

ROBERTO CETERA A PA G I N A 8

ALL’INTERNO

LABORATORIODOPO LA PA N D E M I A

Da soli a solidali

BRUNO BIGNAMI A PA G I N A 3

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina inudienza l’Eminentissimo Cardinale Luis AntonioG. Tagle, Prefetto della Congregazione perl’Evangelizzazione dei Popoli.

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina inudienza Sua Eccellenza il Signor Jan Tombiński,Ambasciatore dell’Unione europea in visita dicongedo.

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina inudienza la Professoressa Marta Cartabia, Presi-dente dalla Corte Costituzionale italiana.

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina inudienza membri della Presidenza nazionale delMovimento Ecclesiale di Impegno Culturale(MEIC).

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina inudienza il Reverendo Don Pasquale Spinoso,Consigliere Ecclesiastico dell’Ambasciata d’Italiapresso la Santa Sede.

Il Santo Padre ha nominato Membro del Con-siglio direttivo dell’Autorità di Informazione Fi-nanziaria l’Illustrissima Professoressa AntonellaSciarrone Alibrandi, Pro-Rettore Vicario dell’Uni-versità Cattolica del Sacro Cuore (Italia).

Page 2: La pandemia può ridurre in miseria cento milioni di …...lio. Tra queste, quasi nessuna chie-deva che il concilio affrontasse la questione della Shoah e il suo nes-so con secoli

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 v e n e rd ì - sabato 12-13 giugno 2020

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Il monito della Commissione economica Onu: si tornerà indietro di almeno 10 anni

Oltre un milione e mezzodi contagi in America Latina

A colloquio con il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio

Don Puglisi insegna: contro la mafiabisogna affermare la dignità delle persone

La pandemiaaccelera in Africadove si registrano

200.000 casi

GINEVRA, 12. La pandemia di covid-19 sta accelerando in maniera preoc-cupante in Africa, dove il numerodei casi è raddoppiato in meno di20 giorni. L’allarme arriva dall’O r-ganizzazione mondiale della sanità(Oms). Anche se contagi sono me-no del 3% del totale mondiale, spie-ga la direttrice regionale Omsdell’Africa, «il virus si sta diffon-dendo al di fuori delle capitali e chela mancanza di test e altre fornituremediche ostacola la rispostaall’emergenza». Il continente haavuto circa 5.000 decessi e oltre200.000 casi, un quarto dei quali inSud Africa, che ha confermato unnumero elevato di contagi nelle pro-vince del Capo Orientale e del Ca-po Occidentale. A Capo Orientalesono state chiuse 31 scuole dopo chesono risultati positivi 15 insegnanti,tre studenti e due membri del per-sonale scolastico. Il Kenya prevedeinvece di dimettere dagli ospedaliquasi tutti i pazienti asintomaticiper decongestionare le strutture,mentre in Algeria sono stati registra-ti già oltre 10.500 casi e 74 decessi.

Ma l’ingresso non sarà consentito da tutti i Paesi colpiti dal covid-19

L’Europa riapre le frontiere

Aerei parcheggiati nell’aeroporto di Bournemouth in Gran Bretagna (Reuters)

Cresce l’emergenza sanitaria nel campo profughiche ospita un milione di rohingya

BRASÍLIA, 12. L’America Latina hasuperato nelle ultime ore la sogliadel milione e mezzo di casi positivial covid-19. E la curva relativa ainuovi contagi e ai decessi riconduci-bili a cause legate al nuovo corona-virus nella regione continua la suafase di progressiva crescita. Gliesperti ritengono che soprattutto ildato sui nuovi infetti continuerà acrescere con una media giornalieratra i 40 mila e i 50 mila casi, andan-do a scontrarsi con la dura realtàdei sistemi sanitari della maggiorparte dei Paesi latinoamericani. Co-me affermato ieri dalla segretariadella Commissione economica perl’America Latina e i Caraibi (Cepal)— organismo delle Nazioni Unite —,Alicia Bárcena, durante un semina-rio realizzato per i 50 anni del Ban-co de desarrollo de America latina,«i Paesi latinoamericani dedicanoalla sanità meno del 2 per cento delProdotto interno lordo» e dovrannoaffrontare un periodo di recessionecon oltre 200 milioni di poveri, lachiusura di 2,6 milioni di imprese,un boom della disoccupazione egravi problemi di sostenibilità deldebito pubblico.

L’incontro, rigorosamente online,è stato introdotto dal Premio Nobelper l’Economia, Joseph Stiglitz, cheha incoraggiato le banche pubblichee quelle private ad investire per ri-durre gli squilibri sociali. Bárcenadurante il suo lungo intervento hapaventato il rischio, in prospettiva,della perdita di un nuovo decennio,come avvenne negli anni '80 del se-colo scorso. «Per questa crisi l’eco-nomia della regione potrebbe arre-trare addirittura di 13 anni» le paro-le del capo della Cepal che ha poiespresso la seria preoccupazione che«la regione possa uscire da questacrisi più indebitata, più povera, piùaffamata e con un alto tasso di di-soccupazione. E, soprattutto, più ar-rabbiata».

Nello stato attuale di totale incer-tezza e precarietà in molte zone del-la regione la crisi dunque potrebberipercuotersi un po’ a tutti i livelli.Da quello economico a quello socia-le, non proprio in salute già primadella pandemia, a quello politico.

Il Brasile continua a svolgere in-contrastato il ruolo di epicentro del-la pandemia nella regione, con oltrela metà dei contagiati totali, oltre800mila, e il 60 per cento delle vit-time per covid-19 dell’intera area,quasi 41.000. Su questo fronte si staapprestando a superare la Gran Bre-tagna al secondo posto nella dram-matica graduatoria mondiale dellemorti, dietro solo agli Stati Uniti.

di MARCO RUSSO

Luigi Patronaggio riveste sindall’ottobre del 2016 il ruolodi procuratore capo della Pro-

cura di Agrigento, una Procura difrontiera, costantemente in prima li-nea nell’affermazione della legalità,nel contrasto alla mafia e nella ge-stione dei flussi di persone migranti.Egli ha volentieri voluto esprimerealcuni concetti per aiutare i giovaniad essere ogni giorno costruttori dipace e di giustizia.

Signor procuratore, reprimere la mafia èuna prerogativa dello Stato, eppure lalotta verso questo meccanismo di prepo-tenza e sopraffazione, passa anche per lescelte coraggiose del singolo cittadino cheogni giorno è chiamato, nei contesti piùdisparati, a scegliere se cedere o menoalle dinamiche di opportunismo e silen-zio. Cosa suggerire ai giovani, per co-struire una coscienza di giustizia in gra-do di soffocare gli atteggiamenti mafiosie le illusorie prospettive di benessere?

Sicuramente la repressione dellamafia, del crimine in genere, è com-

pito delle forze dell’ordine e dellamagistratura, ma non vi può essereaffermazione della legalità senza lapartecipazione attiva di tutti i citta-dini. La mafia si sconfigge innanzi-tutto con la partecipazione attiva al-la vita politica e sociale e con l’af-fermazione della cultura in tutti imodi in cui questa si declina. “Ac-culturarsi” significa avere coscienzadei propri diritti e dei propri doveri,sapere riconoscere le ingiustizie,avere gli strumenti per cambiare lasocietà in modo più giusto. Lascuola è il luogo più importante dadove deve ripartire la lotta alla ma-fia. E se la mafia non si sconfiggesolo con la repressione, allo stessomodo la mafia non si sconfigge sen-za l’affermazione di una giustiziasociale. Dove c’è il bisogno lì sonopronti ad approfittarsene i mafiosi, i“cap orali”, gli usurai, gli sfruttatoridel lavoro nero. La grande scom-messa per le regioni del Meridioneafflitte dalle mafie è quella di unosviluppo nella legalità, senza lescorciatoie dell’assistenzialismoclientelare e mafioso. I giovani, e igiovani cattolici in particolare, para-frasando le parole del Levitico, do-vranno avere la massima attenzioneper il povero e nessun timore reve-renziale verso il potente.

“Metterci la faccia” ed essere pronti adire no, potrebbe comportare incom-prensione ed isolamento. Ma quando siresta soli, in cosa trovare la forza perrestare ancorati saldamente al deside-rio di “combattere la buona battaglia”?

Molti per diversi anni hanno det-to che combattere la mafia “non eraaffare loro” perché “l o ro ” la mafianon l’avevano mai vista. Ma quandoun imprenditore deve pagare “il piz-zo” per lavorare, quando un giova-ne si deve inchinare per chiedere unlavoro, quando il credito legale tiviene negato e devi ricorrere all’usu-ra, quando i nostri risparmi non so-no sicuri perché gestiti dalla mafiadella finanza, quando dobbiamo su-bire i veleni sciolti nell’ambientedalle ecomafie, allora una scelta siimpone: o ti ricordi di essere un uo-mo, con la dignità che Dio ha do-nato a ogni uomo, e vivi a testa altanella società, avendo la coscienzama anche l’orgoglio di essere sco-modo, oppure ti fai pecora e diffi-cilmente potrai guardare negli occhii tuoi figli. Non sempre è facile con-frontarsi con le virtù cristiane delcardinale Federigo Borromeo e mol-te volte appare più facile farsi donAbbondio, ma essere cristiano signi-fica anche questo: trovare la fede ela forza dentro di sé.

In qualità di procuratore capo di Agri-gento, Lei ha toccato il dramma del fe-nomeno migratorio. Un confine di“umanità” che facciamo fatica ad ac-cettare. I giovani di oggi, politici e giu-risti di domani, in cosa devono investi-re per salvaguardare la dignità uma-na?

Oggi, in piena pandemia, vera-mente gli immigrati sono “gli ultimidegli ultimi”. Mi rendo conto che inun momento in cui gli italiani stan-no affrontando una crisi sanitaria edeconomica senza precedenti chiede-re loro di essere accoglienti è vera-mente difficile e impopolare. E tut-

tavia ci sono diritti che spettano,sempre e in ogni momento, a qual-siasi essere umano e mi riferisco aldiritto alla vita, alla libertà e alla sa-lute. È compito della politica trova-re la giusta soluzione al non facileproblema dell’immigrazione, all’in-terno di un quadro normativo na-zionale ed internazionale ispirato al-la solidarietà, e con i limiti dettatidalle concrete possibilità economi-che di ogni Stato. Ma per i giovani,per i volontari, per i cattolici impe-gnati in politica, l’investimento deveessere nella carità: carità profonda esenza fine.

La stessa Agrigento del servo di DioRosario Livatino, il “giudice ragazzi-no”. Giovanissimo, eppure uomo e giu-dice maturo nella giustizia, sino al sa-crificio estremo. Come meglio poterneonorare la memoria presso le nuove ge-n e ra z i o n i ?

Il servo di Dio, giudice RosarioLivatino, in vita spregiativamenteaccumunato ai “giudici ragazzini”cui non era lecito, secondo un poli-tico dell’epoca, affidare neppure“l’amministrazione di un casa terra-na, come si dice in Sardegna, unacasa a un piano con una sola fine-stra, che è anche la porta …”, è unesempio altissimo di come vada in-terpretato il ruolo del magistrato:«… una persona seria, equilibrataresponsabile, un uomo capace dicondannare ma anche di capire… li-bero e indipendente, imparziale…un uomo che capisce che la giustiziaè necessaria ma non sufficiente epuò e deve essere superata dalla leg-ge della carità». Le sue parole ba-stano e non hanno bisogno di alcuncommento ulteriore.

Lo scorso dicembre lei è stato premiatocon il premio internazionale Beato Pa-dre Pino Puglisi, un grande prete dive-nuto la stella polare di tutti coloro chehanno scelto e quotidianamente scelgo-no il “no” all’atteggiamento del com-promesso. Quali erano in Lui le carat-teristiche che affascinavano e attirava-no tanti ragazzi?

Ho avuto il privilegio di conosce-re e approfondire la figura di donPino Puglisi proprio nel corso delleindagini relative alla sua barbaraesecuzione per mano mafiosa. La fi-gura che dalle indagini si è stagliataè stata quella di un parroco che fala cosa più ovvia e normale per unparroco: stare accanto ai suoi fedeli,sorreggerli nelle difficoltà, aiutarlinelle ingiustizie, dare loro una casacomune, illuminata dalla fede inDio, lontana dalla violenza e dalleprevaricazioni. Un pastore che staaccanto al suo gregge e non fuggealla vista del lupo e anzi dà la suavita per salvare anche una sola dellesue pecore. Per questo muore donPino, per essere stato un parroco,un pastore, per avere accolto bambi-ni abbandonati e maltrattati, per es-sersi opposto alla droga e alla pro-stituzione, per avere fatto la cosapiù normale al mondo, avere affer-mato la dignità dei suoi fedeli eavere disconosciuto la signoria dellamafia. Un santo e un eroe moderno,semplice, lontano dagli apparati edal potere, ed è proprio per questoche è così amato dai giovani, queigiovani che negli anni aveva forma-to nelle scuole di Sicilia.

Andando ancora un po’ indietro neltempo arriviamo al 15 settembre 2018,giorno del venticinquesimo anniversariodel martirio di don Pino. In tale occa-sione, lei ha incontrato personalmentePapa Francesco a Palermo. Ricordaun’emozione particolare legata a quelmomento?

Ho avuto la fortuna di incontrareil Santo Padre in un momento didifficoltà professionale, in un mo-mento in cui avevo ricevuto pesantiattacchi per alcune indagini cheavevo svolto in materia di tutela deimigranti. Mi è bastato stringere lamano di Papa Francesco e ricevere ilsuo sorriso, per avere la certezzamorale di avere fatto la cosa giusta,di avere agito secondo coscienza ecomunque pur sempre nel pieno ri-spetto del diritto positivo nazionalee internazionale.

BRUXELLES, 12. L’Europa avanza apiccoli passi verso la normalità.

Dal primo luglio, infatti, cadran-no a poco a poco le restrizioni suiviaggi dai Paesi extraeuropei intro-dotte a metà marzo. Una boccatadi ossigeno, si augurano a Bruxel-les, nella speranza di dare respiro atutti i settori rimasti strangolatidalle misure di lockdown e conte-nere gli effetti di quella che sarà,secondo le previsioni dell’Ocse, lapeggior crisi degli ultimi 100 anni,guerre escluse. Uno dei settori piùcolpiti è quello del turismo, rima-sto strangolato dalla pandemia eche spera di recuperare in estateparte del fatturato perso.

La riapertura però non sarà pertutti, ma solo per quei Paesi conuna situazione dei contagi simile aquella europea. Esclusi in un pri-mo momento quelli ancora alleprese con il picco dell’epidemia.

Già dalla prossima settimana, in-vece, cadranno la maggior partedelle barriere innalzate in fretta efuria tra gli stessi Paesi europei percontrastare la diffusione del covid-19, e si potrà ricominciare a circola-re liberamente all’interno del Vec-chio Continente, dal 15 giugno perla maggior parte dei Paesi.

Quella della Commissione Ue èuna raccomandazione indirizzata atutti gli Stati che aderiscono aSchengen. Il commissario agli Af-fari interni dell’Ue, Ylva Johan-nson, ha proposto di stabilire unpercorso comune per revocare pro-gressivamente le restrizioni, ma da-to che la decisione finale spetteràad ogni singolo Stato, non sono daescludere ripartenze differenziate.

La Grecia, ad esempio, la cuieconomia dipende quasi esclusiva-mente dal settore turistico, antici-perà tutti riaprendo già dal 15 giu-

gno anche a Australia, Corea delSud e Cina. D’altronde le discus-sioni tra i Governi europei sonogià in corso da settimane. Al cen-tro delle preoccupazioni c'è l’ur-genza di fare ripartire i flussi turi-stici prosciugati dall’emergenza peril covid-19. Un’esigenza particolar-mente sentita dall’Italia. L’Austria,una delle più diffidenti, nei giorniscorsi ha annunciato lo sbloccodella frontiera con l’Italia dal 16giugno, anche se mantiene un invi-to alla cautela sui viaggi in Lom-bardia. Dalla lista di Vienna resta-no ancora escluse Gran Bretagna,Spagna, Portogallo e Svezia. An-

che se all’interno dell’Ue comun-que non tutti sono allineati sulledate. È il caso ad esempio dellaSpagna. Madrid ha confermatoche il Paese riaprirà solo alla finedi giugno. La Germania ha comu-nicato che dal 16 giugno non sa-ranno più effettuati controlli deicittadini dell’Unione europea aiconfini, ad eccezione con la Spa-gna per la quale, «per una questio-ne di reciprocità», rimarranno vali-di fino alla conclusione di giugno.

Il 13 giugno sarà la volta dellefrontiere della Polonia, che tregiorni dopo farà ripartire anche ivoli internazionali.

DACCA, 12. Cresce l’allarme per unapossibile — e definita devastantedagli esperti — pandemia all’inter-no del gigantesco campo profughidi Cox’s Bazar, in Bangladesh, cheospita quasi un milione di rohingyafuggiti dalle violenze in Myanmar.

Finora i casi all’interno dellosterminato campo profughi — 34 gliinsediamenti della minoranza etni-ca musulmana — sono stati conte-nuti, ma nelle ultime ore almeno 39persone sono risultate positive alcovid-19. E date le scarse condizio-ni di sicurezza e di igiene si teme

che la malattia possa propagarsi ra-pidamente. Inoltre, sono 381 i con-tagi confermati a Cox's BazarDistrict, l’area in cui si trova questagrande “metrop oli”.

La pandemia, in questa area, co-stituisce una emergenza nell’emer-genza: qui, infatti, a partire dal2017, si è consumato il dramma deirohingya. Centinaia di migliaia dicivili hanno attraversato il confinetra Myanmar e Bangladesh, stan-ziandosi nei pressi di una spiaggiache si estende per oltre 120 chilo-metri. Oggi, si stima che, all’inter-

no del campo profughi di Cox'sBazar, ogni chilometro quadrato siaoccupato da 40.000 persone. Tra diesse anche migliaia di bambini: ol-tre il 40 per cento soffre di malnu-trizione cronica e le percentuali dimalnutrizione acuta che li riguarda-no sono molto al di sopra delle so-glie di emergenza stabilite dall’O r-ganizzazione mondiale della sanità.

Un territorio che presenta unaelevata incidenza di povertà. Intanti non dispongono di abitazioniadeguate all’isolamento. Inoltre,specialmente nei mercati, le perso-

ne entrano in contatto con altresenza le dovute contromisure. Ilcampo, inoltre, è congestionato edè la ragione per cui c'è un alto ri-schio legato a una possibile propa-gazione della pandemia.

«L’inadeguatezza dei mezzi disussistenza e la scarsa condizionenutrizionale è una ulteriore critici-tà» che riguarda sia la popolazionebangladese di Cox's Bazar sia i ri-fugiati rohingya, hanno affermatoin una nota le organizzazioni uma-nitarie presenti sul posto.

Page 3: La pandemia può ridurre in miseria cento milioni di …...lio. Tra queste, quasi nessuna chie-deva che il concilio affrontasse la questione della Shoah e il suo nes-so con secoli

L’OSSERVATORE ROMANOv e n e rd ì - sabato 12-13 giugno 2020 pagina 3

LABORATORIOD OPO LA PA N D E M I A

«Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo

eroicamente in quest’affare, ma: quale potrà essere la vita della genera-

zione che viene» (D. Bonhoeffer)

Siamo sulla stessa barca ma serve remare tutti nella stessa direzione

Da soli a solidali

I leader afroamericani criticano la decisione di Trump di tenere un comizio a Tulsa

Non si placano le tensionidopo la morte di Floyd

WASHINGTON, 12. Non si placano letensioni in seguito alla uccisionedell’afroamericano George Floyd daparte di un agente bianco a Min-neapolis. I leader afroamericani ne-gli Stati Uniti hanno decisamentecriticato ieri la decisione del presi-dente Donald Trump di tenere aTulsa, nello stato dell'Oklahoma, ilsuo primo comizio dopo la finedell’emergenza pandemia. Tulsa èinfatti una città simbolo dell’o diorazziale statunitense: nel 1921 unafolla di bianchi uccise oltre 300 nerinel quartiere di Greenwood. Unaferita ancora aperta.

«Scegliere quella data e venire aTulsa è totalmente irrispettoso, unoschiaffo in faccia a quanto accadu-to» ha detto Sherry Gamble Smith,presidente della Black Wall StreetChamber of Commerce di Tulsa,commentando la scelta di tempo eluogo da parte di Trump per il suoprimo comizio dopo lo stop per lapandemia. A condannare la decisio-ne altri leader della comunità afroa-mericana e la senatrice democraticaKamala Harris. «Non è solo un oc-chiolino ai suprematisti bianchi, staoffrendo loro una festa di benvenu-to» ha detto la senatrice.

La Casa Bianca, dal canto suo, ri-badisce il suo messaggio: legge e or-dine. «Stiamo facendo tante cosebuone ma servono legge e ordine»ha rilanciato Trump riprendendo loslogan di Richard Nixon. Trump siè espresso così durante una tavolarotonda a Dallas con focus incentra-ta sulla riforma della polizia e le di-scriminazioni razziali dopo le prote-ste per la morte di Floyd. Trump haannunciato che la sua amministra-zione intende aumentare l’accesso alcredito per le piccole imprese nellecomunità delle minoranze, e affron-tare le disparità sanitarie aumentan-do i fondi per le strutture medichenelle stesse comunità.

Intanto, monta la polemica suisimboli del passato schiavista. La ri-

chiesta di rimuovere i simboli legatiall’epoca della schiavitù e alle ingiu-stizie sofferte dai nativi americani sifa sempre più pressante: non soloda parte dei manifestanti e degli at-tivisti dei diritti civili, ma ancheall’interno delle istituzioni. L’ondadi polemiche ha raggiunto anchel’immagine di Cristoforo Colombo,in queste ore sempre più nel mirinodi vandali e manifestanti. L’ultimoepisodio è una statua del navigatoregenovese imbrattata a Miami, ilgiorno dopo quelle abbattute e de-capitate a Richmond e Boston. Epi-sodi che hanno indignato il gover-natore dello stato di New York An-drew Cuomo, che ha detto: «Capi-sco quello che si può provare versoColombo e verso alcuni suoi atti.Ma la sua statua è diventata un sim-bolo dell’eredità italoamericana,rappresenta la riconoscenza al con-tributo dato dagli italoamericani alnostro Paese».

Nel frattempo, con una mossasenza precedenti, la speaker dellaCamera, la democratica Nancy Pelo-si, ha chiesto che vengano rimossele statue dei generali confederatidalle sale di Capitol Hill. Mentre lacommissione forze armate del Sena-to, a guida repubblicana, ha appro-vato un emendamento che appoggiala proposta dei vertici del Pentago-no di rinominare le basi militari in-titolate agli “e ro i ” confederati, daFort Bragg in North Carolina a FortHood in Texas.

La Casa Bianca si è detta contra-ria. Trump è pronto a porre il veto:«La nostra storia di nazione piùgrande al mondo non sarà mano-messa! Serve rispetto!» ha twittato ilpresidente, garantendo che la suaamministrazione «non prenderà maiin considerazione il cambio di nomedi queste magnifiche e mitiche basimilitari».

Una fossa comunerinvenuta a Panamá

Pompeo e Guterres indicano una soluzione politica

Decine di cadaveri scopertiin Libia

TRIPOLI, 12. Orrore in Libia, dovenei giorni scorsi sono state scopertealmeno otto fosse comuni, la mag-gior parte delle quali a Tarhuna. Lodenuncia su twitter la Missione disostegno delle Nazioni Unite in Li-bia (Unsmil), chiedendo che «leautorità conducano indagini rapide,efficaci e trasparenti su tutti i pre-sunti casi di decessi illegali», in ot-temperanza agli obblighi del dirittointernazionale.

«Ci sarebbero decine di corpibruciati dentro un container» oltrealle 8 fosse comuni, ha affermatoFathi Bishaga, ministro dell’Internodi Fayez al-Serraj. Bishaga ha co-municato che la polizia libica staindagando anche su altre scoperte.L’Onu si prepara intanto a inviare ipropri investigatori per affiancare lapolizia libica.

Attivisti citati dal Libya Obser-ver, giornale pro-Gna, parlano dipiù di 200 cadaveri rinvenuti a Ta-rhuna e nei dintorni. La città è sta-ta strappata la scorsa settimana alcontrollo di Khalifa Haftar dalleforze del Governo di accordo na-zionale (Gna). Le immagini del ri-trovamento sono state diffusedall’operazione Vulcano di rabbia.«Sono stati estratti due cadaveri.Ma l’area è piena di corpi», ha det-to all’agenzia turca Anadolu il fun-zionario libico Lutfi Tevfik Misratia capo dell’ufficio che si occupadelle indagini sulle persone scom-

parse, senza però fornire indicazio-ni sulle aree dei ritrovamenti. Ve-nerdì scorso le forze al comandodel governo di Tripoli avevano de-nunciato il ritrovamento di altri 106cadaveri, tra cui donne e bambini,nell’obitorio dell’ospedale di Tarhu-na.

Nel frattempo, circa 500.000 per-sone sono state sfollate e circa120.000 case sono state danneggiatea Tripoli a causa dell’offensiva mili-tare lanciata dall’autopro clamatoEsercito nazionale libico (Lna) perprendere il controllo della capitale.Lo ha dichiarato in una nota il viceministro, Abdul-Bari Shinbaru, rife-rendo che sono 85.000 le famigliesfollate. Shinbaru ha affermato checirca la metà della popolazione diTripoli, è stata colpita dal fuocodelle milizie di Haftar nelle zone asud della capitale.

Raggiungere una «soluzione po-litica» per porre fine al conflitto inLibia è l’obiettivo espresso dal se-gretario di Stato statunitense, MikePompeo, e il segretario generaledelle Nazioni Unite, António Gu-terres, nel corso di colloquio telefo-nico in cui sono stati affrontati an-che altri temi regionali. Nei giorniscorsi sono ripresi i colloqui tra ledelegazioni militari delle parti inconflitto in Libia per cercare diconcordare un cessate il fuoco sottol’egida delle Nazioni Unite.

di BRUNO BIGNAMI

«I n Formula Uno le riparten-ze vengono gestite con lasafety car. Dopo un inci-

dente, scende in pista un’auto cheneutralizza tutte le altre in gara fin-ché non avviene la rimozione dellevetture incidentate da parte deicommissari. È un principio di giu-stizia esterno a salvaguardia di tutti:consente di non fermare il GranPremio e di mantenere le proprieposizioni. Potremmo ipotizzarequalcosa di simile in ambito socialeed economico dopo la pandemia?Chi non avverte la necessità di man-tenere criteri di giustizia? È sotto inostri occhi che alcuni settori eco-nomici sono stati penalizzati. Han-no dovuto chiudere a tutela dellasalute pubblica e ora si ritrovanocon fatturati in rosso. Il segno “me-no” di questi settori non è neppurebilanciato dal “più” di altri, chehanno dovuto e potuto tenere aper-to perché considerati essenziali peril bene comune della società. Qualicolpe ha un ristoratore, un barista,un commerciante, un albergatore oun lavoratore di una compagnia ae-rea rispetto a un medico, un cassie-re, un agricoltore, un trasportatore,un marittimo o un operaio della fi-liera agroalimentare? Nessuna, ov-viamente. Eppure, qualcuno si trovatramortito dallo shock del covid-19senza sapere se potrà rialzarsi, se lasua attività economica avrà un futu-ro, se potrà mantenere lo standarddi assunzioni e dipendenti del pas-sato, se sarà in grado di restituire gliinvestimenti fatti… E dietro l’ango-lo spuntano gli avvoltoi della corru-zione: usurai, mafiosi, criminalipronti ad approfittarne.

La domanda nasce spontanea:esiste una safety car sociale? Questosarebbe uno dei compiti della politi-ca in questo momento: creare lecondizioni perché la giustizia socia-le sia promossa ed accompagnare lefasi di fragilità economica perché ilvalore aggiunto del lavoro sia tute-lato. Chi è responsabile del benecomune deve anche evitare chequalcuno si trovi fuori gioco.L’uguaglianza tra i cittadini si veri-

fica nell’offrire le medesime condi-zioni di possibilità. Così la politicaesercita il ruolo di bussola della ri-c o s t ru z i o n e .

In realtà, le cose non sono cosìsemplici. La vita non è una gara diFormula Uno. Per di più, chi ha la-vorato in questi mesi producendobeni materiali o beni relazionali, an-che guadagnando, non lo ha fattosenza rischi personali e aziendali.Molti operai avrebbero volentierifatto a meno di giorni di angoscia oterrore, col pericolo di poter conta-giare qualche familiare. La sicurezzanei luoghi di lavoro non è mai statain discussione come in questi mesi.Lo attestano i quasi duecento medi-ci che hanno perso la vita a causadel coronavirus. Senza dispositivi diprotezione adeguati il lavoro non èpiù lavoro!

In una certa misura ha sopperitolo smartworking, ma non va dimen-ticato che ci sono attività in cui ènecessaria la presenza fisica e il di-stanziamento sociale è impossibile.Si pensi ad alcuni servizi alla perso-na. Non si può aver cura a distanzadi un disabile psichico. Come fauna badante o un educatore socialealle prese con minori? Non è tuttofacile: la vita ha sempre più fantasiadell’immaginazione… La crisi inse-gna che i problemi sociali coinvol-gono tutti. Ci riguardano. Ci tocca-no sulla pelle. «Ai problemi socialisi risponde con reti comunitarie»,suggerisce Papa Francesco in Lau-dato si’ 219. Impossibile dargli torto.La dura crisi occupazionale dei gio-vani, la richiesta di aiuto di molteimprese, la fatica di famiglie e per-sone sole… sono la punta di un ice-berg. C’è malessere. La società è fe-rita. Monta sempre più la rabbia.Cresce la tentazione di trasformarepaura e angoscia in protesta. Senzadimenticare i volti invisibili che sof-frono in silenzio e bussano allamensa caritativa più vicina. Il ri-schio che le disuguaglianze si acui-scano non è così remoto. Un padredella Repubblica, Luigi Einaudi,scriveva che «chi cerca rimedi eco-nomici a problemi economici è sullafalsa strada. Il problema economicoè l’aspetto e la conseguenza di unproblema spirituale e morale». Cheassist per la comunità cristiana! Iproblemi economici hanno radicimorali e spirituali: questo è anche ilfilo rosso della dottrina sociale dellaChiesa. È una consapevolezza sucui ha insistito Papa Francesco inEvangelii gaudium e in Laudato si’.Infatti, «la peggior discriminazionedi cui soffrono i poveri è la mancan-za di attenzione spirituale» (Eg200). Le parrocchie e le diocesi pos-sono continuare a vivere la propriavocazione: condividere la vita dellagente, servire il Regno di Dio, ac-compagnare l’azione dello SpiritoSanto attraverso la formazione dellecoscienze. La gente ha bisogno dinon sentirsi abbandonata. Occorrefare l’esperienza concreta che non ci

si salva da soli. Rafforzare la dimen-sione spirituale e morale chiede diabbandonare l’urlo o la lamentela,la visibilità a tutti i costi o la rasse-gnazione, per apparecchiare la men-sa della vita con la tovaglia dellacura. I luoghi dove esercitarsi inquesto cristianesimo della prossimitàsono molteplici: gli ambienti di unaparrocchia, il volontariato, gli orato-ri, i gruppi, le associazioni, i movi-menti, le esperienze informali di vi-cinanza... Gli atteggiamenti non so-no così sconosciuti: la preghiera chenasce dall’ascolto della Parola, lospezzare il pane della fraternità, ildialogo, la convivialità delle diffe-renze, la fiducia verso i giovani, lacondivisione di idee, risorse o com-petenze, il mettersi in gioco senzaattendere il mago esperto. Serve ilprotagonismo dell’immaginazioneper dare avvio a qualche progetto dilungo corso nel campo della sanità,dell’economia, del lavoro e dellascuola. Si tratta di immaginare unnuovo inizio. La cura dell’umano èlavoro di cesello. Richiede la sapien-za del guardarsi dentro e del far cre-scere le relazioni. Succede un po’come per la scuola. Quando unbambino si presenta con lo zainettoin prima elementare, l’insegnante sabene che l’opera più grande l’hannofatta altri: mamma e papà (moltospesso con l’aiuto dei nonni!) hannoinsegnato a parlare, a mettere insie-me le lettere dell’alfabeto dandosenso alle parole e un nome alle co-se, a usare i differenti toni della vo-ce. Il linguaggio è molto di più del-la parola. Così di fronte alla crisieconomica. Si è pronti ad affrontar-la se si è equipaggiati di virtù mora-li: la fiducia negli altri, il senso del-la comunità, la consapevolezza delproprio ruolo, la responsabilità,l’onestà, il valore del lavoro, la giu-stizia sociale e così via. L’i m p ro v v i -sazione «al momento» porta a scor-ciatoie: urla, caccia alle streghe, vol-garità e violenze. Se prevale l’X Fac-tor di ciascuno, non c’è futuro! L’in-certezza sembra far mancare la terrasotto i piedi oppure fa sentire comesulle sabbie mobili. Sul punto di af-fondare. Ognuno pensa di aver ra-gione caricando gli altri di ciò chenon va. Chi insegna a remare tuttinella stessa direzione? Benedetta lafamiglia che educa in tal senso. Ilsuo sostegno è una priorità. L’inve-stimento immediato deve favorire lanascita di reti comunitarie. O la ri-presa di quelle che ci sono già, chesi sono fermate nel lockdown e checi mancano da morire: la scuola èuna di queste! Da non confondersicon la didattica a distanza. C’è lostesso abisso tra istruzione e forma-zione!

Forse qualcuno contesterà l’ideache siamo tutti sulla stessa barca,ma potrà almeno condividere cheapparteniamo alla stessa flotta. Sia-mo esseri umani fragili ma capaci dicreatività. Sappiamo rialzarci e tra-sformarci. Da soli a solidali.

PANAMÁ, 12. Le autorità panamen-si hanno recuperato in una fossacomune i resti di decine di perso-ne, morte durante l’intervento de-gli Stati Uniti nel Paese nel 1989per mettere fine al regime di Ma-nuel Antonio Noriega. Lo ha resonoto la Procura generale a Pana-má. Un portavoce ha dichiarato aigiornalisti che «finora abbiamo ac-certato l’esistenza dei resti di alme-no settanta persone».

Denominata in codice Opera-zione giusta causa, l’invasione diPanamá fu ordinata dal presidentestatunitense George Bush, e impli-cò la partecipazione di 27.000 ma-

rines. Ufficialmente le vittime fu-rono 500-600, fra militari e civili,ma organismi della società civilehanno sempre denunciato la cifradi migliaia di morti. Un dato checomunque fino ad oggi nessunoha potuto provare. Da gennaio diquest’anno, dopo la riapertura diben 14 inchieste mai portate a ter-mine, sono cominciati scavi in unagrande fossa comune del cimiteroJardín de Paz nella capitale pana-mense. Nel 2016, il governo di Pa-namá ha istituito per decreto unaCommissione con l’incarico dicontare ed identificare il maggiornumero possibile di vittime.

Nel Sahelin migliaia in fuga

dagli attacchiGINEVRA, 12. Aumentano gli at-tacchi armati nel Sahel. A lanciarel’allarme è l’Agenzia delle NazioniUnite per i rifugiati (Unhcr).L’inasprirsi delle violenze nella re-gione ha fatto registrare, nelle ul-time settimane, la persecuzione dicentinaia di civili innocenti, pro-vocato la fuga di numerose perso-ne e sta seriamente ostacolando leattività di assistenza umanitaria.Gli attacchi condotti dai gruppiarmati e la conseguente controf-fensiva delle forze di sicurezzahanno costretto — rivela l’Unhcr —un numero ulteriore di persone afuggire, andando a esercitare nuo-ve pressioni sulle comunità di ac-coglienza, già alle prese con enor-mi privazioni derivanti dalla pre-senza di sfollati, spesso parentifuggiti da violenze precedenti.

«Sul piano umanitario, nelSahel centrale la situazione èestremamente disperata. Le fami-glie sfollate vivono in aree sovraf-follate, l’accesso ai servizi essen-ziali è ridotto al minimo». Le atti-vità di assistenza umanitaria — de-nuncia inoltre l’agenzia Onu —sono seriamente ostacolate dallacrescente assenza di sicurezza,dall’impatto del covid-19 e dallacarenza di risorse adeguate.

«Gli attacchi continui ai dannidei civili nel Sahel, che hanno pa-ralizzato la vita nei Paesi e nellelocalità a ridosso del confine, so-no incommensurabili e incom-prensibili», afferma la direttriceregionale dell’Unhcr per l’Africaoccidentale e centrale, facendo ri-ferimento alla pandemia e ad al-cune delle restrizioni imposte. Lepersone spesso sono costrette afuggire più volte.

D all’inizio del conflitto armato,scoppiato nel Mali settentrionalenel 2011, le violenze si sono esteseal Mali centrale, al Niger e alBurkina Faso. Si tratta ormai diuna delle crisi che registrano unaumento delle persone in fuga trai più rapidi al mondo. Tra le ag-gressioni indiscriminate si contanoesecuzioni sommarie, la praticadiffusa dello stupro delle donne, eattacchi contro le istituzioni stata-li, quali scuole e strutture sanita-rie.

Tweet di Papa Francesco

P ro t e g g e rei bambini

dallo sfruttamentosul lavoro

NEW YORK, 12. Dopo 20 anni disegnali incoraggianti, il covid-19potrebbe spingere milioni di bam-bini verso il lavoro minorile e por-tare al primo aumento del datonel nuovo millennio. Questa mat-tina, in occasione della Giornatainternazionale contro il lavoro mi-norile, Papa Francesco, sull’ac-count twitter @Pontifex, ha volutorinnovare l’allarme: «Molti bambi-ni sono costretti a lavori inade-guati alla loro età, che li privanodella loro infanzia e ne mettono arepentaglio lo sviluppo integrale.Faccio appello alle istituzioni af-finché compiano ogni sforzo perproteggere i minori» si legge neltweet in cui il Papa ha rilanciatol’hashtag #NoChildLabourDay.

La gravità della situazione èstata sottolineata anche da unnuovo studio dal titolo «Covid-19and child labour: A time of crisis,a time to act», elaborato congiun-tamente dall’Organizzazione inter-nazionale del lavoro (Oil) e dalFondo delle Nazioni Unite perl’infanzia (Unicef). Lo studio, ba-sandosi sul dato che in alcuniPaesi un 1 per cento in più dellapovertà porta ad almeno lo 0,7per cento di aumento del lavorominorile, rivela che i bambini giàimpiegati potrebbero lavorare piùa lungo o in condizioni peggiori,con danni significativi alla salute ealla sicurezza. Il documento mettein risalto come sia diminuito di 94milioni, dal 2000 a oggi, il nume-ro di bambini sfruttati nel lavoro.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 v e n e rd ì - sabato 12-13 giugno 2020

L’ubiqua presenzadella morte

Nella «Diceria dell’untore» di Gesualdo Bufalino

«La peste» di Camus secondo il poeta inglese Stephen Spender

La parabolae il sermone

di LUCIO CO CO

È il romanzo d’esordio Di-ceria dell’u n t o re (1981),quando aveva poco piùdi sessant’anni GesualdoBufalino, lo scrittore sici-

liano del quale il 14 giugno ricorre il24esimo anniversario della morte,avvenuta in un tragico incidente sul-la strada tra Comiso e Vittoria. Laparticolarità di quest’opera sta nelfatto che il contagio, nello specificoquello della tubercolosi, non è rac-contato dal punto di vista esternodella diffusione dell’epidemia, delsuo espandersi e diffondersi e dellenumerose vittime che essa ha mietu-to tanto che per definire questo fla-gello, che si è propagato in modoassai virulento in tutta Europa tra ilXVIII e il XX secolo si è giunti a co-niare, in analogia con la “peste ne-ra” del Medioevo, l’espressione al-trettanto terribile di “peste bianca”.

La prospettiva, che Bufalino hapreferito adottare nell’opera, è inve-ce quella del narratore interno ecioè di parlare dell’infezione sce-gliendo l’angolo visuale dei conta-

oltre che il destino, anche il volto eil fisico, non poteva sfuggire a nes-suno, anzi «in mezzo ai sani dellastrada, atletici, puliti, immortali»saltava subito agli occhi «quel cen-cio di corpo addosso, quella sommainsufficiente di lena e di sangue»,che essi stancamente si portavano ing i ro .

Anche Marta, la paziente della se-zione femminile della Rocca, «unadi su, che stava a Sondalo», con laquale il protagonista avrebbe intrec-ciato una storia d’amore, «un pueri-le e condannato amore, più di paro-le che d’atti», esprime assai chiara-mente questo sapersi contagiata econtagiosa: «Sì — ha modo di affer-mare a un certo punto — l’analisi mirassicura, dicono che fanno usciresolo i puliti. Eppure io sento, io so,che ogni mio fiato è un veleno, chetutto quanto tocco o mi tocca s’in-fetta. Anche quello stipite del Poli-teama, poc’anzi. Anche questa posa-ta. E sento, so, di spargere e ungeredappertutto la morte, su intonaci,tovaglioli, orli di piatto». Allora ilsuo interlocutore le aveva rispostoprontamente che nel dialetto sicilia-no «dare il contagio si dice “ammi-

to del lemma del Tommaseo-Belliniposto a epigrafe del romanzo, c’èsempre il pensiero della morte.Spiega Bufalino in una breve notasulla genesi dell’opera, che «a mon-te del libro sta comunque un’esp e-rienza: la scoperta del sentimento dimorte». La morte è sempre il prezzoda pagare al contagio. Il protagoni-sta confessa apertamente che «nonc’era giorno o notte, alla Rocca, cheessa non gli alitasse accanto la suaversatile e ubiqua presenza». E an-che gli altri che si trovavano lì se neerano fatti un'idea.

Il Gran Magro, per esempio, unodei dottori dell’ospedale, che simuoveva tra i letti dei malati comeil Napoleone visita gli appestati diJaffa del dipinto di Antoine-JeanGros (1804), propendeva per una vi-sione della vita venata da un certonichilismo, come una sera aveva la-sciato chiaramente intendere, aven-do chiuso la discussione, sorta nona caso attorno a una scacchiera, conl'affermazione che «la morte avvieneal di fuori di ogni disegno». Ange-lo, invece, un paziente molto delica-to, diceva che «la morte è un para-vento di fumo fra i vivi e gli altri» eche bastava «affondarci la mano perpassare dall’altra parte e trovare lesolidali dita di chi ci ama». Poic’era padre Vittorio, il cappellanomilitare, anche lui non si sa comegiunto a curarsi alla Rocca da Civi-dale del Friuli, dal quale il protago-

giati. Il ricorso a questo tipo di fo-calizzazione avviene in modo quasispontaneo perché il protagonistanon fa altro che riferire quella cheera stata la sua esperienza persona-le. La storia è ambientata infatti inun sanatorio situato nella Concad’Oro, a pochi chilometri da Paler-mo, ribattezzato dai degenti «laRocca», dove lo scrittore era statoricoverato da giovane per alcunimesi tra l’estate e l’autunno del1946, essendosi venuto a trovare«con un lobo di polmone sconciatodalla fame e dal freddo» (citodall’edizione Bompiani, 2016). Pro-prio tale scelta narrativa, dovuta aragioni biografiche, permette all’au-tore di ragionare sulla malattia e sulcontagio e di confrontarsi a visoaperto con la condizione di «infetti-vo» che condivideva con gli altriospiti del tubercolosario.

In tal senso Diceria dell’u n t o re sipresenta come un modo per guarda-re dentro la “p este”, da parte di chi,suo malgrado, ha dovuto prendereineluttabilmente e drammaticamentedimora presso di essa. Ecco perchénon è un libro facile. Come accadene La montagna incantata il roman-zo di Thomas Mann che ne costitui-sce l’archetipo e il modello, il mor-bo nella narrazione di Bufalino nonè mai esorcizzato anzi al contrario, èinteriorizzato, vissuto, pensato, di-scusso, guardato in faccia, diretta-mente negli occhi. In primo luogo apartire dalla consapevolezza di tro-varsi nella condizione di essere deipossibili propagatori del male. Cosache poteva avvenire sia quando ci simuoveva da soli, ciascuno lascian-dosi «dietro a ogni passo le sue lu-macature e polluzioni d’untore», sianelle uscite in gruppo che i ricove-rati facevano verso la città, tantoche lungo il tragitto gli avveduti«viaggiatori abituali si scostavanoun poco, senza farlo parere, all’ap-parire di quel drappello di lazzaronicupidi e ossuti». Del resto che la ti-si ne avesse segnato profondamente,

scari”. Cioè mescolare». Si trattavadi una precisazione importante enecessaria perché in questo modoinsieme al valore reale del termine sisottolineava anche il significato me-taforico di ogni contaminazione: «Ilcontagio, difatti, involontario o vo-luto, è il connotato stupendo d’ognipeste del sangue e della storia. Peresso un malanno individuale ha ilpotere di tramutarsi in calamità col-lettiva; ogni infezione è una sedu-zione».

A fare da sfondo e ad animarequeste «dicerie», questo «lungo di-re» e argomentare in modo «per lopiù non breve», in base al significa-

Antoine-Jean Gros, «Napoleone visita gli appestati di Jaffa» (1804)

La vita è raccontoLo straordinario mondo della Bibbia in «Zuppe, balene e pecore smarrite» di Marco Tibaldi

di GABRIELE NICOLÒ

Ci voleva il coronavirus per far riscoprire,o scoprire, La peste (1947) di Albert Ca-mus. Opera tra le più citate e le menolette (come ebbe a dire sagacemente ilcelebre critico letterario George Steiner

che invitata appunto a «scoprire» questo capolavoro)essa ha conosciuto una nuova fortuna editoriale du-rante la pandemia, al punto che dalle memorie delsottosuolo sono riemerse anche le annesse recensionidi illustri uomini di lettere: come quella — puntual-mente rispolverata e riproposta integralmente dall’ar-chivio storico del «New York Times» — scritta dalpoeta e saggista inglese Stephen Spender. Il quoti-diano la pubblicò il I° agosto 1948.

«Attraverso questo libro — scrive Spender — Ca-mus ha voluto lanciare un accorato appello alla fra-tellanza universale. Un tipo di appello che ha proba-bilità di essere ascoltato e messo in pratica soloquando l’umanità è assediata da un male che sembranon dare scampo e che, di conseguenza, fa scaturiredal cuore di ciascuno un urgente bisogno di condivi-sione e di solidarietà». Il saggista definisce La pesteuna «parabola» e un «sermone». È in questa chiavache l’opera va letta, interpretata e valutata. E mettequindi in guardia dal giudicare il romanzo con criteriche si ispirino alla dimensione della finzione. A quelpunto si rischia di tacciare l’opera di «facile morali-smo venduto a buon mercato»: ne deriverebbe alloraun’interpretazione «inopportuna, offensiva e fuoriluogo».

Dopo aver definito Camus «un maestro della nar-rativa» al pari di Daniel Defoe e accostato, con in-tento elogiativo, il suo crudo e penetrante realismo aquello di Romain Rolland e di André Gide, il recen-sore evidenzia come la descrizione del morbo sia uti-lizzata quale strumento per sondare l’uomo, la suainteriorità, le sue reazioni istintive e le sue riflessioniponderate. «Camus — scrive — si muove in due fasi.La prima consiste nell’analizzare in privato lo statod’animo del singolo; la seconda si concentra sullaconvergenza e sulla fusione dei diversi stati d’animoche appunto si trovano a confrontarsi l’un l’altro inuna sorta di “scena pubblica” che conferisce all’op erauna dimensione polifonica di eccelsa qualità».

Il tratto distintivo di tale polifonia è dato da quel«livellamento sociale» che, nell’infuriare del morbo,pone sullo stesso piano, bandendo divari e divergen-ze, buoni e cattivi, ricchi e poveri. Tuttavia non sideve pensare — ammonisce Spender — che questo li-vellamento determini un «calderone» in cui si di-sperdano e brucino i valori dell’onestà, della giustiziae della lealtà. Pur nell’ambito di una drammaticaemergenza, infatti, riescono a conservarsi intatti e arifulgere quei preziosi talenti che profumano di eroi-smo.

Esemplare al riguardo, ricorda il saggista, è la fi-gura del dottor Bernard Rieux che, disperatamente,senza concedersi un attimo di tregua, cerca di fron-teggiare l’epidemia, e che non smette mai di ricorda-re a sé stesso che il morbo non infetta solo il corpoma corrompe anche l’animo. Riflessione, questa, os-serva Spender, che, nel fargli onore, raddoppia la suaresponsabilità e il suo dolore. E sa di eroismo anchela figura del giornalista Raymond Rambert. Egli nonè abitante di Orano (la città algerina dove è ambien-tato il romanzo): si trova in Algeria per condurreun’inchiesta, per conto di un giornale parigino, sullasituazione degli arabi nel Paese. Il reporter, che dap-prima appare tanto disinvolto quanto cinico, decide-rà, una volta che la situazione è degenerata, di aiuta-re degli sconosciuti, arrivando a organizzare squadrededite a curare gli appestati. Egli stesso dirigerà unadi esse. In merito, sottolinea Spender, il messaggiodi Camus è molto chiaro.

Di fronte alle emergenze più fosche e lugubrispesso, troppo spesso, si registrano viltà e meschine-rie, ma, al tempo stesso, mai mancheranno atti e ge-sti di autentica umanità destinati a riscattare, almenoin parte, la dignità e la credibilità dell’individuo.Spender sottolinea quindi che, a lettura conclusa,dopo aver letto pagine «impregnate» del morbo edelle sue letali conseguenze, l’urgenza che s’imp oneè quella di una aurorale e pristina innocenza» da cuil’umanità deve ripartire in funzione di una ricostru-zione, su basi solide e sicure, della civiltà. In questaimpellente esigenza di purezza si specchiano la «pa-rabola» e il «sermone» i quali, bandendo la dimen-sione predicatoria e ogni forma di stucchevole retori-ca, si configurano come un solenne invito ad andare«oltre la peste» per inaugurare una nuova vita, «sen-za ombre e senza macchie».

di SI LV I A GUSMANO

Due pensionati alla riscossa; iltruffatore innamorato; la vidaes sueño; l’invenzione del car-nevale: sono queste alcunedelle tante storie che Marco

Tibaldi racconta in Zuppe, balene e pecoresmarrite (Milano, Edizioni Terra Santa2019, pagine 208, euro 14). Un libro che —con tono lieve e ironico — racconta donne,uomini e cose alle prese con le gioie e letragedie della vita.

La cosa interessante, però, è che i prota-gonisti delle storie di Marco Tibaldi sonoAbramo e Sara, Giacobbe ed Esaù, Giu-seppe e i suoi fratelli, Ester, e ancora Mo-sè, Giona... Insomma, è «lo straordinariomondo della Bibbia» (come recita il sotto-titolo) declinato anche in termini moderni— come il re David che si prende una pau-sa fumando una sigaretta sulla terrazza del

palazzo — al preciso scopo di «rompere lapresunta inacessibilità del testo» sacro.

Perché se tutti nella nostra vita avvertia-mo il bisogno di istruzioni per l’uso, aimodelli in voga tratti da televisione, sport,spettacoli, romanzi o riviste patinate, Mar-co Tibaldi propone, o meglio oppone, ilLibro. Dimostrando al grande pubblico, inmodo lieve, come la Bibbia si occupi dellequestioni fondamentali dell’esistenza. Il ri-sultato è un racconto sulla difficile ma pos-sibile convivenza tra popoli e mondi diver-si, su come poter cercare di ricomporrefratture profonde, sulla complessità infinitadel rapporto fra uomo e donna, e sulle tan-te ingiustizie che continuano a perpetrarsi.Soprattutto, però, quello della Bibbia è ilracconto della costante presenza di Dio chenon si dimentica mai dei suoi figli; che lichiama, insiste, non molla dimostrandouna tenacia degna del genitore più amore-vole, e cocciuto.

E se la cocciutaggine dei figli è moltosomigliante a quella del genitore, l’a m o redel Padre, però, non è sempre ricambiato.Perché donne, uomini e popoli del Librosembrano fare di tutto per non ascoltarequel richiamo, per sfuggire a quell’abbrac-cio finché, inesorabilmente, si trovano da-vanti a qualcosa che segnerà le loro vite.

È questo, forse, il tratto caratteristicodelle pagine di Marco Tibaldi (che dai rac-conti contenuti nel volume ha tratto spetta-coli che la compagnia teatrale Gli amici diGuido porta in giro per la Penisola): il ten-tativo di dimostrare, anche grazie all’i ro n i a ,l’enorme capacità della Bibbia di dialogareda secoli con le donne e gli uomini. Di in-teragire con le loro vite, di offrire indica-zioni di senso e di direzione.

Nessun libro potrà sostituirsi al Libro;ma pagine che possano in qualche modoincuriosire il lettore pigro e distratto, facen-dolo avvicinare alla Parola, sono preziose.

Nel romanzola diffusione del morboè raccontata non dall’esternoma da un narratore internoinfetto anche luiL’autore dunque scegliel’angolo visuale dei contagiatiper questo non è un libro facile

nista sente di aver subito maggior-mente il fascino, il «contagio», al-lorché questo «giovane apostolo,commovente e barbuto, gli raccon-tava nell’Altra la loro stessa Passio-ne».

Se ne erano andati tutti, il dotto-re, Angelo Sciumè, padre Vittorio,Marta Levi. La “peste bianca” nonaveva risparmiato nessuno: «Le loromorti si susseguirono svelte, fu unrepulisti, una svendita», registraamaramente il narratore superstiteche però ha voluto ricordare ognu-no di loro in una serie di epitaffiposti alla fine del libro. Il più breveè quello per Sebastiano Mancuso(1918-1946), in tutto quattro parolelatine: Hic situs, luce finita, lo stessotesto che è possibile leggere anche oggi, in un tragico e singolare in-treccio con i destini dei suoi compa-gni di sanatorio di un tempo, sullatomba di Bufalino: «Qui posto, altermine del suo giorno».

Il racconto dell’epidemia nei secoli

Rembrandt, «Sacrificio di Isacco» (1635)

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L’OSSERVATORE ROMANOv e n e rd ì - sabato 12-13 giugno 2020 pagina 5

Storia della prima gattina lanciata nello spazio

Félicette, astronautaa quattro zampe

«The Shining» di Stanley Kubrick compie quarant’anni

Un infernofatto di simmetrie

Una delle scene più famosedi «The Shining» (Stanley Kubrick, 1980)

Un particolare di una delle tavole del libro

Tra soffio e spiritoUno studio sulle dinamiche della spirazione nella cultura religiosa tardo-antica

di PAOLO BENANTI

In questi giorni, mentrel’esplorazione spazialetorna a far parlare di sécon Space X e la Stazio-ne spaziale internazio-

nale, esce un libro dedicato aun episodio poco noto al gran-de pubblico: la storia di Féli-cette, il primo gatto inviatonello spazio.

L’episodio risale al 1963, unperiodo che vedeva Stati Unitie Urss sfidarsi anche sul frontedelle conquiste scientifiche etecnologiche. Per comprendereil clima che avvolgeva le ricer-che aerospaziali conviene riper-correre alcune tappe della suanascita. Nel clima della cosid-detta guerra fredda, la Nasa fuprotagonista della lotta per laconquista dello spazio. Il 4 ot-tobre 1957 i russi misero in or-bita il primo satellite artificiale,lo Sputnik, del peso di 83 chilie un mese dopo un secondoSputnik che pesava 500 chili,con a bordo anche la celebrecagnetta Laika. L’evento fu let-to dalle amministrazioni ameri-cane come una pesante sconfit-ta sia nel campo tecnico-scien-tifico che politico militare, an-che alla luce del fallimento, il 6dicembre del 1958, della missio-ne Vanguard della Marina de-gli Stati Uniti destinata a met-tere in orbita un satellite delpeso di soli 1,5 chilogrammi. IlCongresso degli Stati Unitid’America, chiese all’allora pre-sidente Dwight D. Eisenhowerun’azione immediata. Dopo al-cuni mesi di dibattito nacque laNasa. I primi programmi dellaNasa erano incentrati sulla pos-sibilità di missioni umane nellospazio ed erano fortementemarcati dalla competizione traStati Uniti d’America e quellache allora era l’Urss. In questoalveo di ricerca, che vedeva la-vorare assieme studiosi di di-verse discipline, la sperimenta-zione sugli animali, consideratimodelli biologici per testare lepossibilità umane di sopravvi-venza nello spazio, era unacomponente fondamentale del-la ricerca scientifica.

In mezzo a tali scontri si ri-trovò Félicette, una gatta man-sueta recuperata dagli scienziatinelle strade di Parigi. Scritto daElisabetta Curzel, illustrato contecniche di stampa d’arte daAnna Resmini e pubblicatodalla pluripremiata casa editricemilanese Topipittori (2020, pa-gine 32, euro 20), Félicette è unalbo illustrato che celebra lamemoria di una gatta speciale epermette ai lettori più giovaniun primo, delicato contatto contemi importanti quali la ricercascientifica, la sperimentazionesugli animali e l’ambizioneumana. Il testo parla di un te-ma molto dibattuto: l’etica ani-male — si veda il recente librodi Martin M. Lintner, Eticaanimale. Una prospettiva cristia-na (Brescia, Queriniana, 2020,pagine 304, euro 36) —.

Gli animali occupano un po-sto importante nella nostra so-cietà. Oggi sempre più personemostrano di essere sensibili allasofferenza che gli animali pati-

scono, in specie a quella provo-cata da allevamenti intensivi.Nonostante ciò, il nostro com-portamento nei loro confronti èstato ed è ancora caratterizzatoda una profonda ambivalenza.Alcuni animali sono oggettodel nostro amore e della nostraprotezione, e vengono sepoltiin appositi cimiteri; altri, inve-ce, vengono cacciati, uccisi emangiati. Cosa è giusto fare?In base a quali princìpi etici?Quali conseguenze derivano datali fatti per il nostro stile di vi-ta e per le nostre abitudini diconsumatori? Dobbiamo forsediventare tutti vegetariani o ve-gani?

In particolare, la storia di Fé-licette porta a chiedersi qualisiano i confini della ricerca. Acosa serve l’esplorazione spazia-le? Com’è vedere il mondo conocchi diversi da quelli umani?Félicette, grazie alla penna dellasua autrice però, fa qualcosa dipiù. Chi ha dei figli o, comeeducatore si occupa di far cre-scere piccoli uomini e piccoledonne, sa che ci sono domandea cui è difficile trovare risposteconvincenti: che fare quando acomportarsi male sono i genito-ri? Quando si può non rispet-tare una promessa? Bisogna es-sere sempre sinceri, a costo diessere brutali? Posso lasciare lamia ragazza con una e-mail?Piccole questioni, situazioniquotidiane che ogni ragazzo sitrova ad affrontare, ma chepossono e devono essere fontedi crescita personale.

Per poter accompagnare lacrescita morale e spirituale deiragazzi non possiamo solo of-frire risposte ma, parafrasandoRilke, dobbiamo vivere con lo-ro le domande. Questo testo hail grande pregio di prendere untema molto dibattuto e di farfare al giovane lettore delle do-mande senza mai far percepirefacili scorciatoie per trovareuna risposta.

In un momento in cui la ge-nitorialità si trova sfidata danuovi elementi — il digitale, laglobalizzazione, la crisi ecologi-ca — sono questi strumenti cheservono per potersi fare compa-gni di strada delle nuove gene-razioni, non spingendoli néprecedendoli ma accompagnan-doli, certi della meta, secondoil loro passo.

Il testo di Curzel, complicianche le oniriche illustrazioniartistiche che lo accompagna-no, ha il grande pregio di esse-re uno strumento prezioso perfar accompagnare i “piccoli”cui teniamo specie quandostanno per attraversare quel pe-riodo in cui rivendicano la dif-ferenza per aiutarci a non di-menticare mai la nostra gioven-tù, quel periodo scomodo chenoi chiamiamo adolescenza.

Curzel con Félicette, un testoper lettori dai 7 anni in su, rac-conta una storia memorabileche non fornisce indiscutibiliresponsi: invita piuttosto, con illinguaggio dei bambini, a con-frontarsi con alcune delle tantedomande che permeano la so-cietà attuale e a cercare rispo-ste, perché è da piccoli che siimpara a diventare grandi.

di EMILIO RA N Z AT O

Stanley Kubrick, pure an-tihollywoodiano come po-chi altri registi statunitensi,aveva però già dimostratopiù volte di essere disposto

a seguire una strada prettamente ame-ricana al cinema d’autore. Ovveropassando senza problemi per gli sche-mi di un genere. Era già accaduto peril noir di Killer’s Kiss (1955) e Th eKilling (1956), per il peplum di Spar-tacus (1960), per la farsa di Dr. Stran-gelove (1964), per la fantascienza di2001: A Space Odyssey (1968). Mai pe-rò come in The Shining il cinema ku-brickiano accoglierà dentro di sé glielementi tipici di un genere — in que-sto caso l’horror — anche se con loscopo di sottoporli a una sublimazio-ne da strumenti di intrattenimento aviatici per significati profondi.

Una variante della casa infestata dimille altri film e romanzi, il figliolettocon inquietanti poteri telepatici chenella versione integrale della pellicolaè anche vicino a una specie di posses-sione demoniaca, come la Regan diThe Exorcist di pochi anni prima. Masoprattutto, sono presenti in The Shi-ning tanti, sottili riferimenti alla sta-gione dell’horror cinematografico im-mediatamente precedente. Quella cheaveva giocato con l’immaginario dellastoria americana per puntare il dito insenso antipatriottico contro un pecca-to originale di violenza e sopraffazio-ne della nazione che si riverbera suun presente autodistruttivo. E dunqueecco i riferimenti agli indiani — fracui il sopruso di costruire un albergosu un loro cimitero — alla spedizioneDonner, ovvero uno degli episodi piùinquietanti della vita dei pionieri, epoi un personaggio secondario sosiadi Kennedy, con tanto di bandierina astelle e strisce sulla propria scrivania,come quelle che sventolano sull’autopresidenziale, a rievocare l’attentatodi Dallas. Ma se in The TexasChainsaw Massacre o The Hills HaveEyes il pericolo veniva da famiglie cri-minali, qui il pericolo si annida den-tro la famiglia, adombrandone un’im-plosione, e mutando completamentelo scenario orrorifico.

Fra i padri del postmoderno, Ku-brick non si fa nemmeno problemi adattingere a precise fonti cinematogra-fiche, con un occhio al cinema d’au-tore ma soprattutto a quello a bassocosto. Si tratta di piccoli grandi pre-stiti a cui però il regista applicherà unsostanziale cambio di significato,mantenendosi dunque ben lontanodal citazionismo o dal plagio. Lastruttura dell’Overlook Hotel, con lesue ossessive simmetrie, ricorda moltoquella dell’albergo in cui si svolge lavicenda di L’année dernière à Marien-bad (Alain Resnais, 1961), non a casosospesa a sua volta in un sorta di lim-bo temporale. Stupiscono di più —ma solo fino a un certo punto, consi-derando l’attenzione di un’intera ge-nerazione di registi americani per l’ar-

tigianato cinematografico italiano — iriferimenti al cinema di Sergio Marti-no, da cui proviene la famosa scenadella frase ripetuta all’infinito con lamacchina per scrivere, e soprattuttodi Antonio Margheriti. Kubrick nonaveva mai nascosto la stima per Mar-gheriti, in particolare per la sua abili-tà a ricreare scenari fantascientificicon pochissimi mezzi. E si dice che ilregista italiano abbia addirittura par-tecipato, senza essere accreditato, aglieffetti speciali di 2001.

Anche se The Shining è tratto libe-ramente dall’omonimo romanzo diStephen King, pubblicato nel 1977,analogie maggiori rispetto al libro sipossono trovare in Danza macabra,horror gotico firmato da Margheritinel 1964, in cui i fantasmi che infesta-no una casa sono non tanto testimo-nianze di una vita nell’aldilà, quantoresidui di energie negative derivantida efferati delitti. E la scena in cui glispettri di due vittime di questi criminiappaiono tenendosi per mano, antici-pa in maniera evidente quella dellespaventose gemelline che il piccoloDanny di The Shining incontra in unodei corridoi dell’albergo. Ancora piùevidente, è la somiglianza fra la scenadell’ondata di sangue nel film di Ku-brick e quella della valanga di fangoche travolge tutto in The Unnaturals(1969), altro gotico di Margheriti.

Questo atteggiamento quasi da au-tore di collage si ritrova d’a l t ro n d enella scelta della colonna sonora, co-me di consueto formata quasi del tut-to da composizioni già esistenti, e inuna parte delle scenografie, ottenute

replicando camere di veri alberghiamericani. Alle soglie degli anni Ot-tanta, d’altronde, Kubrick potrebbeessersi sentito libero di accentuarequesto atteggiamento da assemblatoredi realtà artistiche preesistenti, vistoche negli anni immediatamente prece-denti c’erano stati, per esempio, ithriller neohitchcockiani di De Palmae il sincretismo di Star Wars, che giu-stapponeva senza remore decenni dicinema già visto facendone però,nell’insieme, qualcosa di nuovo.

A fare di The Shining qualcosa diassolutamente personale, tipicamentekubrickiano, sono alcuni decisivi ri-tocchi narrativi rispetto alla fonte let-teraria e ovviamente lo stile di regia.Dal punto di vista del racconto, Ku-brick e la cosceneggiatrice DianeJohnson aggiungono la fondamentalepresenza di un labirinto accantoall’edificio dell’Overlook Hotel e ilfatto che il protagonista Jack finiscaper essere inglobato nella storiadell’albergo, come sancisce una fotofinale scattata negli anni Venti. Il pri-mo elemento rievoca la cultura classi-ca, a sottolineare come le paure quoti-diane di Jack, ovvero di non essere unpadre di famiglia sufficientemente re-sponsabile e di rimanere escluso dalrapporto profondo che lega suo figlioe sua moglie, si riverberano in paureancestrali che affondano le proprie ra-dici nella tragedia di Edipo e nei mitida cui attingono le categorie psicana-litiche. Il secondo elemento fa invecedell’Overlook Hotel un limbo spazio-temporale che in qualche modo per-mette di riallacciarsi idealmente a

2001 e alle sue contorsioni cronologi-che. In tal senso, è eloquente già lasplendida sequenza dei titoli di testa,in cui la cinepresa aerea segue l’auto-mobile di Jack in viaggio verso l’al-bergo per il colloquio di lavoro. Du-rante una delle prime inquadrature, losguardo dell’obiettivo supera il veico-lo per perdersi nel paesaggio circo-stante. A sottolineare quella mancan-za di antropocentrismo cui la visionedi Kubrick ritorna spesso nel corsodella sua filmografia. Gli sforzi delprotagonista per rimanere ancorato alsentiero esistenziale che si è prefisso,saranno vanificati da un ben più am-pio e misterioso disegno metafisico.

Rientrano perfettamente in questapoetica sottesa da un inesorabile de-terminismo, anche altri mezzi espres-sivi del film. Tra cui la Steadicam ap-pena inventata dallo stesso operatoredel film, Garrett Brown, che consentealla cinepresa a spalla movimentistraordinariamente fluidi. Escludendole conseguenze fisiche dell’interventoumano su questo tipo di riprese, sirafforza la sensazione di uno sguardo“a l t ro ”. Ma anche il fatto — rivoluzio-nario per la storia del cinema horror— di ottenere terrore attraverso loca-tion pienamente illuminate e sempredel tutto a fuoco, sottrae sottilmenteil racconto dal terreno tenebrosodell’horror puro per farlo affacciaresulle sponde più asettiche della fanta-scienza. Consolidandone le suggestio-ni metafisiche.

A fare di The Shining l’ennesimo ca-polavoro kubrickiano è proprio questatensione e questa misteriosa dialetticafra dinamiche familiari già profonde ecomplesse, nonché suscettibili di inte-ressanti considerazioni sociologiche(il declino della famiglia tradizionalecon un capofamiglia e una donna dalruolo subalterno) e una dimensionetrascendente non controllata dall’uo-mo. Con Freud a fare da collante fra idue poli. Una visione di straordinarioimpatto, capace di far quasi dimenti-care che tutto il resto è anche tecnica-mente grande cinema: l’i n t e r p re t a z i o -ne superlativa dei tre protagonisti,compreso il piccolo Danny Lloyd, legeometrie ipnotiche delle scenografie,la suggestiva illuminazione nordicadella fotografia.

Quando il film uscirà, King se nelamenterà, paragonandolo a una bel-lissima macchina senza motore. Uncommento poco generoso ma soprat-tutto stranamente miope nei confrontidi chi aveva appena fatto del suo ro-manzo un monumento all’orrore co-smico.

di MARCO VANNINI

È importante lo studio di Rober-to Schiavolin Lo Spirito soffiadove vuole. Dinamiche della spi-

razione nella cultura religiosa tardo-an-tica (Padova, Edizioni Messaggero,2020, pagine 401, euro 35, prefazionedi Aldo Magris). Si tratta di una rico-gnizione ad ampio raggio sulla se-mantica impiegata in epoca antica,soprattutto tarda, per descrivere la fe-nomenologia della spirazione.

Il lavoro costituisce quindi un’inda-gine originale e per certi versi pionie-ristica, finalizzata a indagare le varieconfigurazioni e le conseguenti meta-morfosi, linguistiche ma soprattuttoconcettuali, che i termini legati al sof-fio-vento hanno subito nel corso deltempo, nel loro passare attraverso va-riegati contesti culturali.

La ricerca di Schiavolin è volta adelineare il cammino che ha portato ilsignificante fisico (soffio, alito) adadeguarsi e quindi allinearsi alle esi-genze del significato meta-fisico (Spi-rito di Dio, Spirito Santo). Se nellacultura greca fu lo stoicismo la cor-rente di pensiero più prossima a taletangenza, si pensi all’idea di uno“pneuma intelligente”, in contestoebraico Filone, interpretando la Scrit-tura con una certa originalità, delineòuna antropogonia nella quale l’insuf-flazione dello Spirito di Dio nell’esse-

re umano (Genesi 2, 7) viene assimila-ta a una specie di «impronta intellet-tuale».

Ma è soprattutto il capitolo focaliz-zato sul Nuovo Testamento a costitui-re la chiave di accesso per compren-dere tale evoluzione: è infatti proprioin ambito cristiano che si produrrà ilfondamentale e decisivo mutamentosemantico relativo alla fenomenologiadella spirazione. Paolo, in luoghichiave di Romani e Corinzi, fu il pri-mo a imprimere allo pneuma una de-cisa svolta spiritualista, ponendo iltermine in antitesi alla “carne” inquanto proveniente da Dio, e decli-nandolo in chiave cristologica, antro-pologica, ecclesiologica e soteriologi-ca. Giovanni proseguirà su questastrada, delineando innanzitutto unnuovo modo di rapportarsi tra uomoe Dio, vera la natura “pneumatica” diquest’ultimo (Giovanni 4, 24), e quin-di insistendo sulla correlazione biuni-voca tra Cristo e Spirito Santo, in cuiil secondo prosegue, attualizza e por-ta a compimento l’opera teandrica delprimo, illuminando con pienezza sul-la verità di quanto detto e fatto daGesù.

La terza e ultima parte è intera-mente dedicata ai primi pensatori cri-stiani: in sede introduttiva l’a u t o recompie una importante considerazio-ne, distinguendo una pneumatologiamaterialista, di ascendenza stoica, di

cui Tertulliano è una delle figure dispicco, e una pneumatologia intellet-tualista, di orientamento platonico,che parte da Giustino e che compren-de tra le sue fila illustri rappresentanticome Origene e Agostino. Fu proprioin quest’ultima che avvenne, non sen-za esitazioni e perplessità, quel pas-saggio chiave ed epocale per tutta lafutura pneumatologia occidentale:

Le conclusioni, che risultano divisein due sezioni (Genealogia dello Spiritoe Fenomenologia dello Spirito) offronoulteriori spunti di riflessione, condu-cendo il discorso da un “già” (originee sviluppo dell’antica pneumatologia)a un “non ancora” (potenzialità e mo-dalità attuative di questa spirazione).Nella prima sezione si ripercorrono letappe più importanti di quel progres-

termini quali pneuma o spiritus venne-ro sempre più a connotare il centrointellettuale e volitivo dell’essere uma-no, quell’uomo interiore costituitoiuxta immaginem Dei. Come diceSchiavolin «il significato del nous saràmantenuto e traslato nel significantepneuma utilizzato dalla Sacra Scrittu-ra, ma ciò costringerà tutti i teologicristiani che si cimentarono in questaimpresa a effettuare complicate acro-bazie argomentative ed esegetiche peradattare oppure costringere un termi-ne a far parte di un campo semanticoper lui assai innaturale».

In luoghi chiave delle sue letterePaolo fu il primo a imprimereal concetto dello «pneuma»una svolta spiritualista

sivo contatto tra significante fi-sico e significato meta-fisicoche ha animato tutto il discor-so precedente, con una sottilema efficace critica finale allapneumatologia occidentale, readi non aver «mai formulatouna piena e organica riflessio-ne sul ruolo dello Spirito nellaprospettiva “economica”». Sitratta, come dice l’autore, «di

riequilibrare il rapporto di supremaziache l’intellettualismo cristologico hada qualche secolo mantenuto in Occi-dente sul dinamismo pneumatologi-co». E a questo scopo nella successivasezione vengono offerti alcuni spuntidi riflessione, che risultano apprezza-bili come tentativo per “r i a n i m a re ” econferire oggi alla pneumatologia unapiù elevata dignità, sia a livello teolo-gico sia, soprattutto, etico-antropolo-gico, valorizzando soprattutto il fon-damentale ruolo che può giocare lanozione di Spirito nel quadro delladialettica tra divino e umano.

Page 6: La pandemia può ridurre in miseria cento milioni di …...lio. Tra queste, quasi nessuna chie-deva che il concilio affrontasse la questione della Shoah e il suo nes-so con secoli

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è indirizzata alla verità e alla giusti-zia; là dove non si condivide nessu-na difficoltà con nessuno, dove nonsi è disposti a subire alcuna scomo-dità.

Sembra che qui Papa Francescoindichi una cosa molto importante:non esiste una vita cristiana, religio-sa, che possa essere simultaneamenteil «chiudersi per rimanere in pace» eil «generare vita per gli altri». Nonè possibile! Chi ha figli piccoli sache il proprio riposo non è lineare,che la casa è piuttosto disordinata ele pareti coperte dai disegnini deibambini, e che di domenica non si

Fratello universale

Tra i nomadiho scoperto la stella

Inquieto perché santo

Maestro di sapienza e dottrina

di BERNARD ARDURA*

Tamanrasset, 1° dicembre 1916.Verso le 18, Charles inizia, se-condo il suo programma abi-

tuale, un tempo di raccoglimento di-nanzi al tabernacolo della sua cap-pellina, per pregare i Vespri e il Ro-sario. Qualcuno bussa alla portadell’eremo e annuncia: «elbochta!»(“la posta!”). Charles apre appena laporta e tende la mano per prendereil plico, ma è afferrato con forza eviene trascinato fuori. Di fronte agliindividui minacciosi che lo accer-chiano, Charles lancia una richiestadi aiuto: «marabout yemmoût!» (“ilmarabut muore!”). Contemporanea-mente gli legano le mani e le cavi-glie e lo costringono a rimanere ingi-nocchiato davanti all’ingresso del-l’eremo. Quando il suo vicino Paul ela moglie arrivano, Charles è silen-zioso, sta vivendo nella preghiera ilpericolo che gli è piombato addosso.In questi istanti, sta vivendo quelloche ha scritto in altri tempi: «Se lamalattia, il pericolo, la visione dellamorte bussano alla porta, si ravvivi ildesiderio della nostra dissoluzioneper vedere Gesù. La malattia, il peri-colo, la visione della morte, è l’ap-pello: “Ecco lo Sposo che viene, an-date incontro a Lui!”, è la speranzadi essere fra poco uniti per sempre».

I ladri portano via tutto quelloche è possibile, passano accanto aCharles e alla coppia sopraggiunta,senza badare a loro. Il giovane Ser-mi, uno dei ladri, sorveglia i prigio-nieri.

A un tratto, si accorgono di duesoldati meharisti che si avvicinanosui loro cammelli. Le sentinelle deiladri gridano: «Arabi! Arabi!» e co-minciano a sparare in direzione deimilitari; uno dei due, Bau Aïcha, èucciso e il suo cammello ferito; il se-

condo, Boudjemâa ben Brahim, ten-ta di proteggersi, ma anche lui è fe-rito a morte. La sparatoria dura po-chi istanti. Nello scompiglio genera-le, il giovane Sermi, privo di espe-rienza, fa uso anch’egli della sua ar-ma, mira alla testa di Charles e louccide.

Dal mese di aprile del 1929, la sal-ma di Charles de Foucauld è statatrasferita a El Goléa, sempre nellavasta e desertica diocesi di Ghardaïa.Colui che desiderava essere «fratellouniversale» è stato beatificato il 13novembre 2005.

Charles de Foucauld, sacerdote in-cardinato nella diocesi francese diViviers, solo nel suo eremo del Saha-ra, non è affatto isolato. Mantienerelazioni filiali strette con il suo ve-scovo monsignor Bonnet e con ilprefetto apostolico di Ghardaïa,monsignor Guérin. A Tamanrasset,Charles si definisce «monaco missio-nario». Rimane nel suo eremo, mariceve molte persone. Di fronte allenecessità della missione, scrive: «Civorrebbe non un operaio, ma uncentinaio, con delle operaie, e nonsoltanto degli eremiti, ma anche esoprattutto degli apostoli, per anda-re e venire, allacciare dei contatti ededicarsi all’i s t ru z i o n e » .

Charles svolge un immenso lavoroscientifico e culturale, ma semprenella prospettiva della missione. An-zi, Charles, che non ha fondato al-cuna congregazione religiosa, è con-vinto della necessità di missionari di«disboscamento evangelico», missio-nari isolati in grado di farsi vicini atutte le anime lontane dalla verità edalla vita cattolica. Per lui, questimissionari, laici e sacerdoti, dovran-no attendere alla perfezione dei cri-stiani, per poter lavorare accantoagli altri, perché «questi ascoltanomeno le parole e guardano i fatti, la

vita dei cristiani, la loro condotta,gli esempi che offrono. La vita deicristiani virtuosi li avvicina al cristia-nesimo».

Così nasce nell’anima e nel cuoredi Charles il progetto di una confra-ternita. Pochi mesi prima della mor-te, Charles scriveva: «Facciamo co-me Priscilla e Aquila. Rivolgiamocia tutti quelli che ci circondano, aquelli che conosciamo, a colui che ciè vicino; prendiamo con ciascuno imezzi migliori, con un tale la parola,con un altro il silenzio, con tuttil’esempio, la bontà, l’affetto frater-no».

Un secolo dopo la fine della suavita terrena, Charles de Foucauld cipropone una via più che mai attualeper l’evangelizzazione, che rimane ilprimo compito affidato da Gesù aisuoi discepoli.

Missionario nel più profondo del-la sua anima, Charles de Foucauld sirende conto, già nel 1902, ossia alcu-ni mesi dopo il suo arrivo a Beni-Abbès, che egli si trova in mezzo aun guarnigione militare francese instragrande maggioranza indifferentesul piano religioso e che, contempo-raneamente, è pure circondato da unmondo totalmente musulmano. Allo-ra, Charles parte dalla parabola del-la pecorella smarrita e la trasformaradicalmente: «Occuparmi special-mente delle pecore smarrite. Non la-sciare le novantanove pecore smarri-te per tenermi tranquillamentenell’ovile la pecora fedele. Correredietro le pecore smarrite, come ilBuon Pastore».

Facendo eco a questi pensieri diCharles de Foucauld, Papa France-sco commentava, il 17 giugno 2013,la stessa parabola in occasione delconvegno della diocesi di Roma:«Ah! È difficile. È più facile rimane-re a casa, con una sola e unica peco-

rella! È più facile con questa peco-rella, pettinarla, accarezzarla..., manoi, preti, e voi, cristiani, tutti: il Si-gnore vuole che siamo dei pastori enon dei pettinatori di pecorelle; deipastori!».

L’uomo silenzioso del Sahara, uo-mo di adorazione e di preghiera, chesi è fatto «fratello universale», sem-pre accogliente per tutti, si propone-va di «gridare il Vangelo sui tetticon tutta la mia vita». Questa fu lavia aperta dal «missionario isolato»,il cui esempio ha ispirato e continuaa ispirare innumerevoli pastori e fe-deli.

Quando Charles de Foucauld ela-bora gli statuti della confraternita, dicui porta il progetto nel suo cuoregià da anni, egli riassume in pocheparole l’ideale missionario a partiredalla convinzione che ogni battezza-to è invitato a vivere come Gesù:«In ogni cosa, domandarci ciò cheGesù farebbe al nostro posto, e far-lo».

Nell’elaborare gli statuti della suaconfraternita, Charles de Foucauldfissa le priorità: «Amore fraterno ditutti gli uomini: vedere Gesù in ogniessere umano; in ciascuna anima, ve-dere un’anima da salvare; in ogniuomo vedere un figlio del Padre ce-leste; essere caritatevole, benevolo,umile, coraggioso con tutti; pregareper tutti gli uomini, offrire le pro-prie sofferenze per tutti, essere unmodello di vita evangelica, mostrareattraverso la propria vita cosa è ilVangelo... farsi tutto a tutti per gua-dagnare tutti a Gesù».

Dopo la scomparsa di Charles deFoucauld, il suo messaggio è diven-tato rapidamente bene comune ditutta la Chiesa e il suo carisma si èmanifestato sotto molteplici formenell’impegno evangelico di tanti uo-mini e donne.

Il suo vescovo, monsignor Bon-net, poteva scrivere il 17 gennaio1917, un mese e mezzo dopo l’assas-sinio di Charles de Foucauld: «Hoconosciuto nella mia lunga vita po-che anime più amanti, più delicate,più generose e più ardenti della sua,e ne ho raramente avvicinato dellepiù sante. Dio lo aveva talmente pe-netrato, che traboccava, per tutto ilsuo essere, in effusioni di luce e dicarità».

Cento anni dopo la nascita inCielo del beato, egli manifestava lasua predilezione per i lontani, sal-vando miracolosamente da una mor-te certa un giovane apprendista fran-cese di 21 anni, non ancora battezza-to, e chiamato Charle dai suoi geni-tori.

Il 30 novembre 2016, alla vigiliadel centenario esatto della sua mor-te, il giovane Charle lavorava sullavolta di una cappella, nell’unica par-rocchia della diocesi di Angers dedi-cata al beato Charles de Foucauld.Per il cedimento della volta, Charlecadde nel vuoto da un’altezza di 15metri e mezzo. Precipitò violente-mente su un banco di legno, il cuimontante gli si conficcò nel torace.Il giovane si rialzò per chiedere aiu-to. Fu operato e lasciò l’osp edaledopo una settimana, senza alcunaconseguenza fisica o psicologica.

L’evento accadde proprio nel cen-tenario della morte, dopo un annodi intense preghiere per chiederne lacanonizzazione, sia da parte dell’in-tera «famiglia spirituale Charles deFoucauld», sia soprattutto nella par-rocchia intitolata al beato e nellaquale avvenne il miracolo, al terminedella novena di preparazione alla fe-sta parrocchiale.

Dopo l’incidente, il datore di la-voro e sua moglie hanno subito in-viato una serie di messaggi telefonici

al parroco, alla comunità parrocchia-le e agli amici. Nell’imminenza delcentenario del patrono celeste dellaparrocchia, essi hanno chiesto dipregare intensamente per la salutedella vittima. Così si è formata unacatena di preghiera rivolta a Dio perintercessione del beato.

I santi non sono proprietà di nes-suno, in quanto costituiscono il pa-trimonio comune di tutta la Chiesa.Il beato Charles de Foucauld, nutri-to dell’Eucaristia e del Vangelo, cioffre il suo tesoro: Iesus e Caritas, ilsuo motto.

* Presidente del Pontificio comitatodi Scienze storiche

Contemplo frère Charles diGesù nella sua ultima fo-to: un viso che rivela il

suo cammino radicato nella ter-ra, bruciato dal sole e dal ventodel Sahara, e i suoi occhi lumi-nosi in un viso trasfigurato daun sorriso di bimbo.

È con questa foto che l’ho in-contrato la prima volta in unacasetta di “monaci” piccoli fra-telli e minatori nella miniera dicarbone del Sulcis, in Sardegna.

Chiedo: chi è? È il nostro fon-datore, che ci ha tracciato ilcammino. Ascolto scrutandolo escopro la vita di un uomo, cam-

misteriosa e per loro più che cer-ta.

Le notti stellate, dense di si-lenzio, gli fanno intuire qualcosad’altro ed è lì che, secondo me,ha origine la sua strana preghie-ra di non credente: «Mio Dio,se tu esisti, fa che io ti cono-sca».

L’esploratore del Marocco, ca-rico di massime riconoscenze perle sue scoperte geografiche, sisente ormai ancor più attiratodal Mistero che avvolge questanostra meravigliosa terra e i suoiviventi, soprattutto quelli chescopre lontani, poveri, abbando-nati, i suoi occhi e il suo cuorenon possono più dimenticarli.

Al suo ritorno a Parigi entrain un periodo di crisi, di ricercadi desiderio di “a l t ro ”. La suapreghiera è esaudita, e il Dioche egli cerca lo scruta da lonta-no, gli va incontro e lo colma ditenerezza, come il padre del fi-glio prodigo.

La fede dell’infanzia ritrovataè in lui un fuoco che brucia.

Contemplo la foto di que-st’uomo dal viso trasfigurato,ascoltando la sua storia da unpiccolo fratello, che è venuto inquesta terra sarda bruciata doveuomini e donne si consumanonel durissimo lavoro di minatori;condivide la loro vita, cerca difarsi uno di loro, appassionatodi Gesù di Nazaret e con Luiamico, fratello dei diseredati delnostro mondo. In questo piccolofratello il seme del Vangelo gri-dato da Charles con tutta la vita,continua a vivere.

L’itinerario di Charles gli harivelato, e rivela anche a me, unnuovo cammino di vita evangeli-ca, di umanità nuova.

Mi metto all’ascolto e alla ri-cerca di Gesù attraverso il suocammino che trovo luminoso, eche invita ad andare oltre oriz-zonti e frontiere conosciute e michiedo: che cosa mi impedisce dicercare di vivere anch’io questocammino?

Ma: Dove? Come?...Cerco e scopro la Fraternità

delle Piccole sorelle di Gesù.Piccola sorella Magdeleine, la

fondatrice, mi dice: «Vuoi darela tua vita al Signore sulle traccedi colui che si chiamava “il pic-colo fratello di Gesù” e che chia-mava Gesù “mio amatissimoFratello e Signore?”. Vieni e ve-di!»

Noi siamo una delle famigliereligiose nate da frère Charles diGesù, ce ne è già un’altra e cene potranno essere tante altre,perché si tratta di una nuova ra-dice che il Signore ha voluto percorrispondere a bisogni nuovi diun secolo nuovo.

Noi abbiamo scelto frèreCharles come padre e fondatore,anche se è morto solo e abban-donato. E non è dandoci delleregole che frère Charles ci hafondato, ma «supplicando, im-molandosi, amando».

Non possiamo rinchiuderlo inalcuna regola rigida, lui è stato ilnomade per eccellenza percorren-do il Sahara in tutti i sensi, an-dando da una tenda all’altra, im-parando l’arabo con quelli cheraggiunge nella sua prima frater-nità di Beni Abbès, e, in seguito,il tamahaq per raggiungere i tua-reg ancora più lontani, cammi-nando nel deserto per migliaiadi chilometri facendosi loro ospi-te, facendosi insegnare la lorolingua e condividendo il loromodo di vivere, e, a sua volta,accogliendoli in una disponibili-tà totale: «la fraternità è un al-veare, non cesso di parlare, divedere gente: schiavi, poveri,malati, soldati» scrive a BéniAbbès.

La Fraternità delle Piccole so-relle di Gesù che mi accoglie, milancia subito all’altra riva e mi faritrovare le popolazioni musul-mane dove Charles ha percepitoil mistero di Dio e dove ha datola sua vita.

Imparando a vivere alla ma-niera di frère Charles e di picco-la sorella Magdeleine, partita nelSahara sulle sue orme, scopro laFraternità che è nata e continuaa nascere dall’incontro con i mu-sulmani che ci accolgono. La na-scita di amicizia, di fraternità, lasperimento come una nascita chericorda Betlemme, dove tanti di-versi si ritrovano: i pastori e imagi. E con questi pastori no-madi del deserto del Sahara,spesso bambini, e con i loro an-ziani saggi ho scoperto la stellache conduce all’amicizia, allafraternità, la stella che mi con-duce alla lampada che brilla an-che nella nicchia dell’altro e cheravviva quella della mia.

Le persone che mi hanno ac-colto hanno capovolto il miomondo e mi hanno fatto vedereche il mondo è plurale, che l’al-tro diverso mi aiuta a vivere.

Vivere l’evangelizzazione allamaniera di Charles mi ha fattogustare una tazza di acqua frescache mi è stata offerta da unadonna, Fatima, che mi viene in-contro per dissetarmi come of-ferta a Lui. «Chi vi accoglie miaccoglie».

Nelle loro tende ho avuto del-le lectio su Abramo e i suoi figli.

Ho provato la verità e la gioiadell’unica umanità di cui faccia-mo parte, attraverso tutte le dif-f e re n z e .

Spesso pensavo a Charles chenon cessa di accompagnarci co-me fratello della nostra avventu-ra di vivere pienamente la nostradimensione umano-divina.

Provo della gioia che la Chie-sa riconosca la santità della suavita che ci conduce ai più poverie disprezzati per imparare conloro, da loro, a credere, a vivere,a lottare, per un mondo piùumano.UNA PICCOLA SORELLA DI GESÙ

Lampedusa, 29 maggio 2020

di FRANCOIS VAY N E

Abbiamo appreso, poco prima della festadi Pentecoste, della ormai prossima ca-nonizzazione del beato Charles de Fou-

cauld, «confessore della fede», dopo il ricono-scimento di un miracolo ottenuto per sua inter-cessione. Contemporaneamente, è stato annun-ciato che sarà beatificata anche Pauline Jaricot.Queste due grandi personalità cattoliche fran-cesi, l’ufficiale libertino divenuto eremita silen-zioso nel Sahara e la fondatrice laica della Pon-tificia opera della Propagazione della fede,sembrano a prima vista contrapporsi nella loroconcezione della missione. In realtà a unirli è illoro desiderio comune di portare il Vangelo at-tingendo alla spiritualità del Cuore di Gesù,lontani da certi modelli clericali in voga nelXIX secolo.

Le Riparatrici del Cuore di Gesù sconosciu-to e offeso, fondate da Pauline Jaricot, comel’Unione dei Fratelli e Sorelle del Sacro Cuoredi Gesù, che Charles de Foucauld avrebbe vo-luto vedere svilupparsi quando era ancora invita, annunciavano l’appello universale alla san-tità lanciato dal concilio Vaticano II, quella“nuova Pentecoste” che restituisce ai fedeli laicila loro dignità di battezzati responsabili dellatestimonianza del Vangelo nella vita di tutti igiorni. Se durante l’Ascensione Gesù scompareal nostro sguardo, non è forse perché siamo ilsuo cuore e il suo volto, la sua presenza nellasocietà, in quanto popolo di Dio e corpo diCristo? Ecco che cosa voleva significare findall’inizio il simbolo del Cuore e della Crocedi Gesù portato da de Foucauld sul suo abitoreligioso. Il beato e futuro santo conferisce cosìil suo vero significato a questo simbolo. Non èforse importante esserne rivesti interiormente espiritualmente? È ciò che ho imparato durantela mia giovinezza algerina, alla scuola del “fra-

tello universale”, qualche anno dopo i concertidi clacson per l’Algeria francese.

Nato da padre ignoto alla fine della guerrad’Algeria, sono molto legato spiritualmente aCharles de Foucauld: è la mia guida e il mioprotettore. Quando ero ancora bambino ad Al-geri, mia madre mi diede una sua foto, sul cuiretro il mio padre invisibile, partito con laFrancia, aveva scritto queste parole: «Lui tiproteggerà e ti amerà per me». È questo è tan-to più importante nella mia vita in quanto, es-sendo cresciuto nella piccola comunità cristianaalgerina dopo l’indipendenza, ho sentito spessoevocare l’esempio di “fratel Charles” a proposi-to dei rapporti con i nostri amici musulmani.Per noi è già santo da lungo tempo. La testi-monianza dei 19 beati martiri di Algeria, chehanno versato il loro sangue accanto a moltimusulmani vittime della violenza, durante ildecennio nero della guerra civile, ha indubbia-mente permesso di chiarire il messaggio frater-no di Charles de Foucauld, a cui s’ispiravano,in maggior o minor misura, in particolare imiei amici di Tibhirine. Christian de Clergé fir-mò tra l’altro il suo famoso testamento un 1°dicembre, anniversario della morte violenta diCharles de Foucauld.

Il 13 novembre 2005, meno di dieci anni do-po la serie di assassinii di religiosi in Algeria,fratel Charles veniva beatificato a Roma. Quel-la celebrazione, a cui ho avuto la fortuna dipartecipare, ha messo in luce uno stile profeti-co di vita cristiana, spoglia, raggiante, che fadella religione un amore. La sua canonizzazio-ne consacrerà questo modello evangelico che

potrebbe trasformare il profilo della Chiesa cat-tolica negli anni a venire, come al tempo di sanFrancesco. L’apostolato della bontà, l’abbando-no spirituale e la presenza discreta tra i piùpiccoli, sono, credo, i tre segreti di questo rin-novamento ecclesiale “foucauldiano” prop osto,come una possibilità presente, all’istituzione ec-clesiale romana.

Contemplando nella mia adolescenza i seiex-voto lasciati da Charles de Foucauld nelsantuario di Nostra Signora d’Africa, che do-mina la baia di Algeri, ammiravo le tappe dellasua vita missionaria. «Il mio apostolato deveessere quello della bontà», diceva l’ex ufficialedi cavalleria formatosi a Saumur, che si oppo-neva, brandendo la spada, alla ribellione dellosceicco Bauamana contro la presenza coloniale,nel sud-oranese, con il futuro generale Lapperi-ne. Attraverso la lettura del Vangelo avevacompreso che l’esercito di Dio è la sua bontà, eperciò abbandonò la vita militare per diventareprima esploratore del Marocco, poi trappista einfine eremita in mezzo ai Tuareg, artefice deldialogo islamo-cristiano. I tre anni trascorsi aNazareth gli avevano fatto conoscere la tene-rezza di Gesù e lui voleva «gridare il Vangeloattraverso la vita» intessendo con ogni personarapporti di amicizia, come fece in particolare aTamanrasset con l’amenukal Musa Ag Ama-stan, capo di una confederazione tuareg. Nonpensava più a convertire, ma ad amare. «Sonocerto che il buon Dio accoglierà in cielo quantisono stati buoni e onesti senza che siano catto-lici romani», scriveva a proposito dei musulma-ni tra i quali viveva, senza un fine nascosto diproselitismo, precursore in ciò del concilio Va-ticano II e del suo documento più celebre sullalibertà religiosa, la Dignitatis humanae. «Non sitrattava di predicare, ma di essere alla manieradi Cristo», mi ha spiegato uno dei suoi disce-poli, padre René Voillaume, nella sua ultimaintervista, che mi ha concesso nell’aprile del1999 per il quotidiano «La Croix».

Charles de Foucauld poneva il suo apostola-to della bontà sotto il segno del Cuore di Ge-sù, ricevendovi, con un amore filiale, la sua fi-ducia nella paternità divina, fonte inesauribiledella fraternità universale. «Voglio abituare tut-ti gli abitanti, cristiani, musulmani ed ebrei avedermi come loro fratello», scriveva a sua cu-gina Marie de Bondy, praticando una spiritua-lità dell’abbandono alla volontà del Padre cele-ste, nell’imitazione di Gesù Cristo. Questa spi-ritualità si era approfondita nel suo eremo diAssekrem, nel sud dell’Algeria, quando fu sal-vato dalla morte per fame da alcuni tuareg chegli portarono del latte di pecora, nel 1908. Sioffrì come un povero a Dio nel completo ab-

bandono di sé. «Io mi abbandono a te, fa dime ciò che ti piace. Qualunque cosa tu facciadi me, Ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accet-to tutto. La tua volontà si compia in me, intutte le tue creature. Non desidero altro, mioDio. Affido l'anima mia alle tue mani, Te ladono mio Dio...»: avevo circa dodici anniquando ho balbettato per la prima volta la suaPreghiera d’abbandono imparata a memoria, trale dune di sabbia. Ero a El Golea con mia ma-dre e alcuni suoi amici, davanti alla tomba difratel Charles. Lì, ragazzino biondino personell’immensità sahariana, capivo di avere unpadre che mi amava da sempre, ricevevo uncuore di figlio nel Figlio per essere a mia voltafratello di tutti. Nel deserto, avevo udito l’Eter-no dire anche a me: «Tu sei mio figlio, io oggiti ho generato» (Salmo 2, 7).

Da sette anni lavoro a Roma e perciò amoandare a pregare presso le Piccole sorelle diGesù, alle Tre Fontane, davanti all’altare euca-ristico di de Foucauld conservato da loro conamore. Questa reliquia ricorda il terzo segretodi fratel Charles, dopo il Vangelo e il SacroCuore: il Santo Volto di Gesù. Simbolo delVerbo incarnato, l’adorava interiormente nel sa-cramento dell’Eucaristia, dono che Gesù fa disé e che ci rivela l’amore infinito di suo Padreper ogni essere umano.

Colpito profondamente dalle parole di Cri-sto, «ogni volta che avete fatto queste cose auno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'a-vete fatto a me» e «questo è il mio corpo, que-sto è il mio sangue», collegate tra loro, ha cer-cato e amato Gesù nei più piccoli, in fondo aquell’Amazzonia dell’Africa del Nord che eraper lui la regione berbera saheliana. Non po-tendo per due mesi celebrare la messa, perchéla regola di allora stabiliva che il sacerdote do-vesse avere un chierichetto, ha creduto intensa-mente nell’irradiamento della presenza eucari-stica che santifica misteriosamente tutte le per-sone che vivono vicino.

Charles Eugène de Foucauld de Pontbriandè stato pian piano trasfigurato dall’adorazione,divenendo Charles de Tamanrasset, un altroCristo, come Francesco d’Assisi, Bernadette diLourdes, Ignazio di Loyola e Teresa de Li-sieux... L’unica particella nobiliare che contaper un cristiano non è forse quella della santitàquotidiana?

Morto il 1° dicembre 1916, all’età di 58 anni,ucciso da alcuni ribelli senouissi provenientidalla Libia, alleati con la Germania durante laseconda guerra mondiale, ci ricorda che l’offer-ta della nostra vita a Dio è l’unico modo perrecare frutto, secondo la parabola evangelica, aimmagine del chicco di grano che cade in terra.Può inoltre aiutarci a provare l’urgenza di unospogliamento di sé, di una purificazione delculto e di un ritorno al Vangelo, per renderetestimonianza in silenzio nel cuore dei nostrideserti, nella società secolarizzata in cui siamoimmersi. La sua canonizzazione sarà una pro-messa in tal senso per tutta la Chiesa.

Una guidanei nostri deserti

di CARLOS A. TR O VA R E L L I *

Papa Francesco comincia la sualettera per l’ottavo centenariodella vocazione francescana di

Fernando Martins de Bulhões — ilgiovane canonico regolare agostinia-no diventato poi Antonio, e che co-nosciamo come “Antonio di Padova”o “Antonio da Lisbona”— con unabrevissima descrizione degli eventiche festeggiamo. Colpiscono nei pri-mi concetti riportati dal Ponteficedue parole chiave: martirio e conver-sione.

Agli inizi della sua vocazionefrancescana, Fernando non aveva in-contrato Francesco d’Assisi, ma isuoi frati: una comunità che lasciavatrasparire il Vangelo. Ciò che lo col-pisce di questa comunità è la testi-monianza di vita segnata dalla radi-calità e dal martirio. Direi che que-sto è il più genuino cammino voca-zionale: porsi delle domande sullapropria vita a partire dalla testimo-nianza di quelli che la offrono a Dioe agli altri.

Nei miei incontri con i frati di tut-to il mondo, posso verificare quantisono i giovani entrati nell’ordine af-fascinati dalla testimonianza deimartiri, specialmente di quei confra-telli che negli ultimi decenni hannoversato loro sangue per la causa delregno di Dio e la sua giustizia. Nontanto le parole, ma il dono di sé èciò che fa testo nella testimonianza.

Con la parola “conversione” vienedescritto non il cambio radicale dellavita di un brigante, di un malfattore,ma di un giovane canonico regolareagostiniano. Impressiona molto cheil Papa usi quella parola in riferi-mento al cambio della vocazione diFernando (da canonico a francesca-no). Che vuol dire? Forse che con-duceva, come canonico regolare ago-stiniano, una vita di dubbia moraleo un’esistenza insignificante? Sap-piamo che il giovane Fernando nonera un conformista: anzi, aveva giàintrapreso — nelle strutture monacalidei canonici — un cammino di pro-fonda conversione, di conoscenzadella Parola e di fedeltà. Ma la con-versione, come descritta nelle paroledi Papa Francesco, comporta «deci-dersi a vivere coraggiosamente ilVangelo» e «dare una svolta» allapropria vita, al punto da passare dauna confortevole sistemazione allalogica di un Dio che ci vuole “inuscita”.

Le strutture, di fatto, hanno il po-tere di anestetizzarci. Le scelte fissee concluse possono a volte mettercinella modalità dell’inerzia. Conver-sione significa, dunque, avere nelcuore la passione dell’amore di do-nazione, come pure le orecchie aper-te nella costante ricerca di ciò che si-gnifica vivere con risolutezza il Van-gelo.

Presentando il naufragio di Anto-nio, Papa Francesco fa un diretto ri-ferimento alla storia di «tanti nostrifratelli e sorelle» che arrivano sullebarche in Italia, in Europa, attraver-sando precariamente il mare alla ri-cerca di un futuro migliore. Maquella storia di un viaggio dirottatodalle tempeste, e del conseguentenaufragio, è considerata da PapaFrancesco come un «provvidenzialedisegno di Dio», per mezzo del qua-le Antonio incontra Francesco d’As-sisi.

Posso vedere in questa sorta diprovocazione interpretativa del Papaun rinnovato invito non solo a fidar-ci dalla Providenza divina, ma anchea diventare noi «provvidenziale dise-gno di Dio» per chi è nel bisogno,nella necessità, nella marginalità; ciòvale in modo speciale per quei «no-stri fratelli e sorelle» arrivati attra-verso il mare.

Pensando specialmente ai giovani,Papa Francesco parla della feconditàdella vita: «Rendere fecondo il cam-mino di ciascuno». Qui appaiono al-tri due concetti chiave: condivisionee passione. Sant’Antonio è ben co-nosciuto per la sua capacità di «con-divisione con le difficoltà delle fami-glie, dei poveri e disagiati» e per «lapassione per la verità e giustizia»,cose che in verità non possono la-sciarci in pace. Da qui nasce un al-tro tipo di martirio: il martirio delladonazione di sé, il martirio di consu-marsi nel lavoro per gli altri, ricono-sciuti come «fratelli e sorelle».

Se si parla di fecondità, significache da qualche parte c’è il pericolodella sterilità. Dove starebbe tale pe-ricolo? Là dove non c’è nessuna pas-sione, oppure dove la passione non

dorme più che nel resto della setti-mana. La fecondità non significamai quiete, ordine, linearità, preci-sione. Infatti, è molto probabile che,se viviamo una vita tranquilla e indi-sturbata, in santa pace e superordi-nata, senza la passione dell’A m o re ,muoia in noi la capacità e la gioia digenerare vita per gli altri, negli altri.

La condivisione delle difficoltà delprossimo è una forma molto fine difecondità. Antonio è presentato nellalettera come qualcuno che ha condi-viso le difficoltà con i più disagiati.La sottigliezza di tale fecondità è, inverità, quella del Signore: non si

a Gesù: «Signore, mostraci il Padree ci basta». Gli risponde Gesù: «Datanto tempo sono con voi e tu nonmi hai conosciuto, Filippo? Chi havisto me ha visto il Padre» (Gv 14,8-9a). Inoltre, lo stesso Gesù dice disé: «Ogni volta che avete fatto que-ste cose a uno solo di questi mieifratelli più piccoli, l’avete fatto ame» (Mt 25, 40). Possiamo vedere ilSignore in quelli che hanno fame osete, nei forestieri, nei carcerati, negliammalati, nei senza tetto o senza ve-stito: essi sono come un suo sacra-mento. In Gesù vediamo il Padre eil suo Amore; nei disagiati scopria-mo Gesù.

Per riuscire a vedere così, ci vuoleuna speciale luminosità nel cuore,nello spirito, negli occhi: una lumi-nosità che Antonio aveva sempre at-tinto dalla Parola. Infatti «la Paroladi Dio è viva, efficace e più taglientedi ogni spada a doppio taglio; essapenetra fino al punto di divisionedell’anima e dello spirito, delle giun-ture e delle midolla e scruta i senti-menti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).

Con questa lettera, Papa France-sco avvicina a noi la figura del santoe ci provoca a celebrarlo con coeren-za evangelica. Antonio, il grandetaumaturgo, protagonista di tantissi-mi prodigi, fu un appassionato di-scepolo del Vangelo, un credenteabitato dalla giustizia, dall’umanità,dalla generosità, dalla misericordia,dalla verità.

La ricorrenza otto volte centenaria— dice il Papa — «susciti, special-mente nei Religiosi francescani e neidevoti di Sant’Antonio sparsi in tut-to il mondo, il desiderio di speri-mentare la stessa santa inquietudineche lo condusse sulle strade delmondo per testimoniare, con la pa-rola e le opere, l’amore di Dio». Co-sì, la lettera celebrativa si trasformaper noi in un rinnovato impulso apercorrere con radicalità e giustizia ilnostro cammino, offrendo — sp ecial-mente ai disagiati — il Vangelo e unamagnanima carità.

*Ministro generale dell’O rd i n edei Frati minori conventuali

di VINCENZO CRISCUOLO

Nella Chiesa cattolica il 13 giugno è dedicato allamemoria liturgica di sant’Antonio di Padova.La pietà popolare ha visto sempre in lui il

grande taumaturgo, “l’inclito santo dei miracoli”, maanche il padre dei poveri, a cui si richiama la tradizio-nale distribuzione del “pane di sant’Antonio”. Menonota è invece la sua dimensione culturale, riconosciuta-gli ufficialmente dalla Chiesa con l’attribuzione del ti-tolo di “dottore della Chiesa”, di cui il santo fu insigni-to da Pio XII il 16 gennaio 1946.

Nato a Lisbona il 15 agosto 1195, entrò quindicennetra i Canonici regolari della Santa Croce, trasferendosisuccessivamente a Coimbra, ove ebbe modo di acqui-stare una solida cultura biblica e patristica. L’eventoche cambiò la sua vita fu il ritorno dal Marocco dei re-sti mortali dei primi cinque martiri francescani, che fe-cero emergere in lui l’ideale missionario, tanto da de-terminarlo nel 1220 a seguirne le orme, mettendosi alseguito di Francesco d’Assisi. Come è noto, l’evento èstato recentemente ricordato da Papa Francesco nellalettera rivolta al ministro generale dei Frati minori con-ventuali in occasione dell’ottavo centenario della voca-zione francescana di Fernando di Lisbona, che assunsenel nuovo ordine il nome di Antonio. Deciso a seguirel’esempio dei cinque missionari, si imbarcò per recarsiin Africa, ma una forte tempesta spinse la nave sullecoste della Sicilia, ove fece naufragio. Risalendo la pe-nisola, poté incontrare il Poverello d’Assisi, che gli affi-dò inizialmente l’ufficio della predicazione e successi-vamente il compito di insegnare la teologia ai frati.

Non fu una decisione semplice quella di Francescod’Assisi, che normalmente era molto diffidente verso lostudio, a causa dei pericoli a esso connessi, quali l’al-lontanamento dalla santa semplicità e il distacco dauno stile di vita povera ed umile. L’atteggiamento di-verso nei riguardi di Antonio e il compito dell’insegna-mento a lui affidato teneva conto della santa vita delgiovane frate portoghese come anche della sua profon-da preparazione culturale. È nota la lettera che France-sco stesso scrisse ad Antonio, mentre questi insegnavateologia prima a Bologna, poi a Tolosa e a Montpellierin Francia. «Ho piacere — cosí scriveva il santo di Assi-si — che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché intale occupazione tu non estingua lo spirito della santaorazione e devozione, come è scritto nella Regola»(Fonti francescane 252).

Oltre all’insegnamento, Antonio di Padova era moltoimpegnato nella predicazione e anche per questo mini-stero era richiesta una solida preparazione culturale e

una grande santità di vita. Si viveva in tempi dottrinal-mente difficili, ove pullulavano ovunque — sp ecialmen-te in Francia — forti tendenze ereticali, e la Chiesa ve-niva fatta oggetto di attacchi indiscriminati dal puntodi vista dottrinale e disciplinare. Ovunque Antonioraccolse frutti di conversione e di rinnovamento spiri-tuale, ricorrendo in vari casi anche ai suoi carismi tau-maturgici. Visse gli ultimi anni prevalentemente a Pa-dova, ove si spense il 13 giugno 1231.

Secondo Benedetto X I V, sono tre i requisiti richiestiper essere proclamati dottori della Chiesa: insignis vitaesanctitas, eminens doctrina, declaratio summi pontificis. Perquanto riguarda la santità insigne, tra l’altro sempre ri-conosciuta ad Antonio di Padova anche quando era invita, essa fu ufficialmente dichiarata da Gregorio IX,che lo aveva conosciuto personalmente e aveva ascolta-to le sue prediche, con bolla pontificia promulgata aSpoleto il 3 giugno 1232, cioè a meno di un anno dallamorte. Anche la dottrina eminente fu apprezzata giàdurante la vita, soprattutto dai romani Pontefici. Gre-gorio IX vedeva negli interventi dottrinali antoniani unmezzo potente per confermare la fede cattolica e re-spingere le dottrine eterodosse. Sisto IV lodava in An-tonio soprattutto la profonda sapienza delle cose divi-ne e la dottrina che emergeva specialmente nel ministe-ro della predicazione. Sisto V lo considerava eminentein santità e dottrina e lo riteneva ripieno di sapienzadivina. Pio XI metteva in evidenza in Antonio la gran-de sapienza e la profonda conoscenza delle Sacre scrit-ture. Tali espressioni ricevevano conferma sia in varieespressioni liturgiche già a partire dal Medioevo, siadall’edizione critiche delle sue prediche e da studi par-ticolari. Mancava solo la dichiarazione del sommoPontefice, che fu favorita da numerose lettere postula-torie inviate da grandi esponenti della gerarchia eccle-siastica e da rilevanti istituzioni culturali. Dopo averconsiderato ogni cosa, Pio XII decise il 16 gennaio 1946di concedere ad Antonio di Padova il titolo di “d o t t o redella Chiesa”.

Le relative litterae apostolicae o litterae decretales, pro-mulgate in tale occasione, iniziavano significativamentecon le parole: Exsulta, Lusitania felix; o felix Padua,gaude. Noi potremmo dire: Exsulta et gaude, SanctaMater Ecclesia, perché il Signore ti ha concesso il donodi Antonio di Padova, un grande modello di santitàper rinvigorire e incrementare la pratica cristiana, unfedele annunziatore della parola di Dio per spiegare edifendere le verità della fede, un maestro di sapienza edi dottrina per eliminare ogni ombra di dubbio dallamente dei fedeli e riscaldare il loro cuore con la fiam-ma della carità e la luce della verità.

Verso la canonizzazione di Charles de Foucauld IL 13 GIUGNO LA MEMORIA LITURGICA DI ANTONIO DI PAD OVA

†La Segreteria di Stato comunica che è deceduto il

Signor

GERARD O VILLAREAL

padre di Suor Berenice Villareal Prado, Officialedella Segreteria di Stato.

I Superiori, i Colleghi e il Personale tutto del-la Segreteria di Stato partecipano al dolore diSuor Berenice e della sua famiglia, assicurandola vicinanza nella preghiera per il caro defunto,che affidano all’amore misericordioso del Signo-re risorto.

Lutto nell’episcopato

Il vescovo John Basil Meeking, emerito di Christ-church, è morto in Nuova Zelanda giovedì 11 giugno,all’età di 92 anni.

Il compianto presule era infatti nato il 19 novem-bre 1929 ad Ashburton, in diocesi di Christchurch,ed era stato ordinato sacerdote il 19 luglio 1953. Nel1969 era stato chiamato a Roma, presso l’allora Se-gretariato (oggi Pontificio consiglio) per la promo-zione dell’unità dei cristiani, dove era rimasto per di-ciotto anni fino al 1987. Il 30 marzo di quell’anno erastato eletto alla sede residenziale di Christchurch edaveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 3giugno. Aveva rinunciato al governo pastorale delladiocesi il 15 dicembre 1995.

minatore infaticabile, sempre allaricerca di Dio e attirato da uo-mini e donne, lontani, poveri,diversi da lui per cultura, originee religione.

Dopo una adolescenza tumul-tuosa, in cui dice di non crederepiù in nulla, frequenta la scuolamilitare e, ufficiale a 22 anni, èinviato in Algeria. Lì, con mera-viglia, scopre nuovi orizzonti,nuovi visi, nuove culture. Char-les si lascia attirare a intrapren-dere una rischiosa esplorazionegeografica del Marocco, allorasconosciuto: siamo intorno al1880.

Leggendo il resoconto dellasua esplorazione mi colpisce,con la sua attenzione ai paesaggie all’esatta descrizione geograficadei luoghi, il suo sguardo versole persone. Si lascia sconvolgeree interrogare dall’a l t ro .

I fieri cavalieri arabi che arre-stano di botto il loro cavallo perprostrarsi sulla sabbia del deser-to e mormorare: Dio è grande! lointerrogano su questa Presenza

Bernardino Luini, «Sant’Antonio di Padova» (1510-1512)

tratta soltanto di esserebuoni o solidali con glialtri, ma di condividernele necessità, i turbamenti,le sorti. Gesù non sfamòtutti, ma diede la propriavita per tutti. Questopassaggio della lettera èmolto francescano, moltorivoluzionario. Francescod’Assisi non ha fattoprincipalmente cose per ipoveri, ma ha vissuto coni poveri e — addirittura —tra i lebbrosi.

Il Papa riporta pure leparole di sant’Antonio:«Vedo il mio Signore», eindirizza il suo pensierosulla capacità di leggerela realtà in maniera sim-bolica, ossia scoprendoin una realtà un’altrarealtà recondita: «È ne-cessario “vedere il Signo-re ” nel volto di ogni fra-tello e sorella, offrendo atutti consolazione, spe-ranza e possibilità di in-contro con la Parola diDio su cui ancorare lapropria vita».

Scrivo dal conventodei Santi XII Apostoli, aRoma, dove — c o n c re t a -mente nella omonima ba-silica adiacente — si con-servano le reliquie di sanFilippo. È proprio l’ap o-stolo Filippo che chiede

Page 7: La pandemia può ridurre in miseria cento milioni di …...lio. Tra queste, quasi nessuna chie-deva che il concilio affrontasse la questione della Shoah e il suo nes-so con secoli

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 v e n e rd ì - sabato 12-13 giugno 2020

La sfida del cambiamentoCome nel mondo la pandemia sta mettendo alla prova la fede

di ROBERTO CETERA

I l nostro viaggio sugli effetti delcovid-19 nella vita della Chiesacontinua fuori dei confini italia-

ni, cercando di conoscere non solocome i cristiani hanno variamentevissuto il tempo della pandemia maanche se qualcosa, nel modo di pre-gare e di essere comunità, è cambia-to e se il cambiamento permarrà nelfuturo. Se le due puntate precedentici hanno già fornito qualche tenden-za su cui riflettere, le cose si compli-cano abbastanza quando si attraver-sano le frontiere italiane. Perché nondobbiamo scordare che i tempi delladiffusione del virus sono diversi, el’Italia è tristemente in anticipo didiverse settimane rispetto a molti al-tri paesi.

Molte delle situazioni che abbia-mo interpellato in questo rapido gi-ro del mondo sono ancora nel pienodella tormenta, con le chiese ancora

chiuse alle celebrazioni eucaristiche.Cominciando dall’esplosiva situazio-ne nel Sud America. Padre CristiánBorgoño è il simpatico parroco diGesù Divin Maestro, vasta comunitàdi trentamila abitanti a Santiago delCile: «Qui i contagi e i decessi con-tinuano a crescere, e non c’è alcunsegno di diminuzione. È una situa-zione epidemica abbastanza diversada quella italiana. Nel senso che nonsi raggiungono i medesimi picchidrammatici che avete avuto voi, mac’è, come dicono gli scienziati, unaltopiano da cui si discenderà moltolentamente. Questo significa tempimolto più lunghi per il ritorno allanormalità. Le chiese sono chiuse alleliturgie dal 15 marzo, ma realistica-mente lo saranno ancora almeno perun altro paio di mesi. Probabilmentequesta situazione particolare è datadal fatto che il lockdown non è cosìrigido come è stato da voi: qui c’ètanto lavoro precario e non regolatoche costringe molta gente a uscirecomunque da casa per sostenersieconomicamente. Qualcuno — ricor-da — viene comunque in chiesa perla preghiera individuale, ma noi ab-biamo cominciato subito a trasmette-re la messa e le catechesi sulla nostraweb tv che è molto seguita».

Per la trasmissione della messaviene seguito un metodo interattivo:chi si collega può recitare le letture,la preghiera dei fedeli, cantare i sal-mi e gli inni; così si riduce il rischiodella passività e della distrazione.«Cambiamenti?», si chiede padreCristián. «Beh, io noto due cose: lagente ha senz’altro riordinato le

priorità della propria vita, e sta spe-rimentando opportunità e criticitàdella convivenza. Ai miei parrocchia-ni sposi ho detto scherzando: “Co-raggio. Arrivate prima alle nozzed’argento, perché un mese di convi-venza forzata durante la quarantenavale un anno di matrimonio”. Pernoi preti, debbo dirti la verità, è du-ra. Qui non è come da voi, le voca-zioni sono scarse, e quindi la mag-gior parte dei parroci vive da solo. Etre mesi di solitudine sono duri. An-che se i vescovi ci sono vicini e ci te-lefonano spesso».

In Brasile la situazione, come ènoto, è assai più grave. RaccontaAntonella Grinover, cattolica, mam-ma di nove figli a São Paulo: «Oltrealle sofferenze della malattia qui lasituazione sta esplodendo dal puntodi vista sociale. La pandemia si è in-nestata su una grave crisi economicapreesistente. Chi già prima viveva aimargini della società ora è abbando-nato a se stesso. Neanche le elemosi-

ne si possono raccogliere. Le Caritasfanno il possibile, ma i bisognosi so-no tanti e le risorse poche. Dal pun-to di vista religioso l’unica cosa cheora posso notare è la grande diffu-sione di messaggi apocalittici e diuna lettura della pandemia come pu-nizione divina da parte delle setteevangeliche che qui sono diffuse,stramberie che a tratti fanno brecciaanche nei settori meno acculturatidei cattolici. Tendenze che i nostripastori, a causa delle restrizioni, fati-cano a contrastare».

Risaliamo il continente e arrivia-mo negli Stati Uniti, a New York. AManhattan, nella parrocchia dedica-ta alla Madonna di Pompei, incon-triamo padre Angelo Plodari, che èanche il superiore degli scalabrinianidel Nord America. «Malgrado aves-simo vissuto attraverso la televisionele vicende italiane e avessimo un cer-to vantaggio temporale, siamo arri-vati spesso impreparati a questo ci-clone. Soprattutto — sottolinea —non immaginavamo che qui sarebbestato così violento. Siamo subitopartiti con le liturgie e con la pasto-rale on line, che però è molto diffici-le con gli anziani che non hanno di-mestichezza con la tecnologia. Conloro abbiamo allora seguito il piùpratico metodo di portare fuori dellaporta di casa il bollettino parroc-chiale e i sussidi per la preghiera do-mestica, spesso insieme alla spesaper gli anziani che vivono da soli.Chi se lo poteva permettere, avendouna seconda casa, ha lasciato NewYork, andando ad esempio in Flori-da per tornare solo alla finedell’estate. Nella mia parrocchia cisono molti immigrati, italiani, brasi-liani e filippini, che sono quelli chestanno pagando il prezzo sociale piùalto di questa situazione, con la per-dita di ogni fonte di reddito. Neiprimi giorni di luglio spero potremoentrare anche noi in una fase 2 — ilgovernatore Cuomo ha indicatoquattro fasi — nella quale riprendereseppur gradualmente le celebrazioniliturgiche». Due cose, secondo Plo-dari, certamente permarranno neltempo: «Il doppio binario di una

pastorale presenziale e on line e, so-prattutto, il forte spirito di solidarie-tà che questa tragedia ha suscitato.Per noi preti c’è stato un bel ritornoa un’intensa vita di fraternità. E perme è stato di grande conforto riceve-re due volte la telefonata del cardi-nale Dolan che ha chiamato tutti isuoi parroci».

Voliamo attraverso l’Atlantico, alconfine del continente europeo, aDublino, dove ci facciamo racconta-re la pandemia affrontata dai cattoli-ci d’Irlanda da suor Kitty, un’attivis-sima sorella delle Infant Jesus Si-sters, molto impegnate nel sociale.Suor Kitty inizia a parlare con la vo-ce rotta dalla commozione per le suequattro consorelle che a Cork sonorimaste vittime del covid-19: «Spe-riamo di riaprire le chiese, dopo varirimandi, con la solennità del 29 giu-gno. Certo, è stata molto dura, e loè ancora. Dal punto di vista socialeè un disastro, è cresciuta tanto la po-vertà. Messe e catechesi on line han-no avuto un grande successo. Il pro-blema però è che il nostro clero è inmedia abbastanza anziano, e quindiè poco avvezzo all’uso dei nuovi me-dia e spesso preoccupato innanzitut-to, e giustamente, della propria pro-tezione. È presto per dire come cam-bierà la Chiesa, ma credo che questimesi abbiano fatto emergere duepunti sensibili su cui dovremo riflet-tere in abbondanza: il ruolo delledonne nella Chiesa e il rapporto tralaici e presbiteri. Donne e laici, im-pegnati nella pastorale e nella carità,sono stati la spina dorsale dellaChiesa in questa turbolenza».

Ancora un lembo di mare e aLondra bussiamo alla porta di Jona-than Boardman, sacerdote anglicanomolto ecumenico che a Roma, il 26febbraio 2017, ospitò Papa Francesconella chiesa di All Saints al Babuino.Parroco di Saint Paul nel popolosoquartiere di Clapham, spiega che «iluoghi di rito di tutte le religionisoggiacciono alle medesime restrizio-ni date dal governo. Ai riti, cioè,può partecipare solo il celebrante eun ministrante. Le parrocchie catto-liche si sono subito attrezzate pertrasmettere le messe on line, a diffe-renza di noi anglicani. Il nostro pri-mate Justin Welby ci ha dato indica-zioni diverse, un po’ per la riluttan-za ad ammettere il principio diun’eucaristia senza comunità ma so-prattutto per solidarietà con le altreespressioni religiose. Tuttavia duran-te tutto il periodo è valsa una co-stante consultazione reciproca con ilprimate cattolico, il cardinale Vin-cent Gerard Nichols. Lunedì prossi-mo le chiese saranno riaperte alme-no alla preghiera individuale. Io hocelebrato on line solo a Pasqua e aPentecoste, e alla fine della messa —rivela — ho consegnato le particoleconsacrate in un singolo sacchetto aciascun fedele che si era presentatoalla porta della canonica. Invecespesso mi collegavo con i nostri fe-deli per le lodi, i vespri e la compie-ta che erano molto seguiti. I contattion line sono stati mediamente trevolte più numerosi delle persone cheabitualmente vengono in chiesa ladomenica, e di questo dobbiamo fa-re tesoro e riflessione. C’è tanta gen-te nuova che si affaccia, perché que-sto è stato per molti un tempo in cuiripensare l’intera propria vita, il suovero senso, e cosa in essa è realmen-te prioritario. Rimanendo a casa, inuna città piena di p endolari, è rinatoun senso di appartenenza al luogoin cui si vive, e quindi alla propriaparrocchia. La situazione sociale èabbastanza grave. E ho paura — con-clude — che in questo senso il peg-gio debba ancora venire in autunno:confido tanto nel senso di solidarietàreciproca che molti hanno testimo-niato in queste settimane».

In Francia l’intervento dello Statonella sfera delle attività religiose, innome della laïcité, non è una novità.Padre Gaetano Saracino, da pocorientrato da Parigi, sostiene che«questo rapporto particolare ha peròsvegliato nel tempo un vissuto dellafede che, se da un lato non è moltovisibile con gesti esteriori, dall’a l t rosi è propagata con forme più matu-re, profonde e consapevoli». In chemodo? «Intanto con le newsletter,che lì non sono meri bollettini par-rocchiali ma vere e proprie rivistecon approfondimenti tematici, teolo-gici o sociali. Molto forte è anche lapresenza culturale, con conferenze e

concerti, per esempio, che durante illockdown è stata veicolata attraversoKto, la tv dell’episcopato francese. Epoi sicuramente preghiere e messeon line. Il “digiuno eucaristico” cer-to ha pesato tra i fedeli, ma la ten-denza, lì sempre presente, a rifletteree a tematizzare ha trasformato unanegatività in opportunità a rivalutarela pratica eucaristica fuori della ripe-titività. E poi ovviamente la solida-rietà caritatevole, che ha toccatopunte inaspettate».

Anche in questo caso la chiesa diSaint-Bernard, ormai nota come“Sainte-Marie dei sans-papiers”, haaccolto tanti immigrati e poveri esenza dimora, privi anche delle ele-mosine: «Io penso che il senso difragilità diffuso abbia alimentatonella laica Francia l’idea che l’uomopossa essere abitato da un anelitoche non è solo quello identitario omateriale», dice Saracino. Conside-razione ultima, questa, non moltodissimile da quella che raccogliamo,passato il confine, in Svizzera, nelcantone di Argovia, dove incontria-mo don Roland Häfliger, parroco al-la chiesa del Sacro Cuore di Len-zburg, insieme al missionario per gliimmigrati italiani don Luigi Tallari-co. «Abbiamo ricominciato le messecon la Pentecoste. Qui non c’è statoun lockdown così severo come inItalia, ma ora le misure per ricomin-ciare a celebrare sono molto restritti-ve: praticamente si possono occupa-re solo il 25 per cento dei posti, chesignifica un ottantina di essi nellechiese più grandi ma appena unadecina in quelle piccole, con l’obbli-go della prenotazione. Le indicazio-ni date dal governo federale sonopoi state variamente interpretate daiconsigli pastorali, che nel sistemaduale svizzero hanno sempre l’ulti-ma parola sulle questioni religiose.Durante questo periodo abbiamosvolto un’attività pastorale porta aporta in versione digitale, scrivendoe telefonando a gran parte dei nostriparrocchiani, soprattutto i più fragi-li, gli anziani e i poveri. Abbiamodistribuito molti buoni per i super-mercati della zona, perché malgradol’alto livello del welfare svizzero, ildisagio sociale si è fatto comunques e n t i re » .

Padre Ewald Volgger è un teologoche insegna liturgia a Linz, nel norddell’Austria: «Nel nostro paese nonc’è stato un simile successo per lemesse on line, perché il clero è abba-stanza vecchio e molti sacerdoti an-ziani sono rimasti in casa per timoredel contagio. D’altronde tutta la pla-tea dei cristiani in questo Stato è ab-bastanza anziana, in un paese che èormai molto secolarizzato. Non misembra di aver colto molte domandeesistenziali, ma soprattutto preoccu-pazioni economiche. Le messe delcardinale Schönborn trasmesse in te-levisione sono state invece molto se-guite. Nutro due preoccupazioni:che per un tempo lungo avremo po-ca gente di ritorno in chiesa, e poiho l’impressione che le persone ab-biano disimparato a pregare in casa.Lavorare sui giovani e rieducare allapreghiera sono le nostre priorità pa-storali».

Risaliamo a nord e attraversiamo iSudeti per arrivare a Breslavia doveincontriamo padre Zacheusz Drążek.«In Polonia, pur con molte precau-zioni, abbiamo ricominciato le messeda due settimane. In realtà, qui danoi, ferme le indicazioni generalidella Conferenza episcopale, le deci-sioni pratiche le hanno prese i singo-li ordinari, quindi la situazione è dif-ferente da diocesi a diocesi. Nella

nostra parrocchia francescana abbia-mo lavorato molto on line, e la tra-dizionale devozione mariana dei po-lacchi si è espressa in una catena in-terminabile di rosari. D’altronde, lapratica della preghiera domestica infamiglia, specie tra gli anziani, non èmai venuta meno. All’inizio c’è statatanta paura, alcune tra le anime piùsemplici temevano la fine del mon-do. Abbiamo cercato di accompa-gnare tutti, spiritualmente, material-mente e anche psicologicamente.Siamo consapevoli che ci aspettauna ripresa autunnale dura, con tan-to da ricostruire sul piano pastorale:ci vorrà tanta energia, ma anche tan-ta creatività».

Lanciamo di nuovo uno sguardofuori dall’Europa per recarci inIsraele. Padre Bruno Varriale è ilguardiano del santuario dell’Annun-ciazione a Nazareth, ma è anche unopsicologo e psicoterapeuta che benpuò raccontare come la pandemiaabbia inciso sull’anima e sullo spiri-to delle persone: «Su ambedue ipiani, psicologico e spirituale, abbia-mo lavorato molto riguardo al temadel dolore. Tanto i miei frati quantola popolazione cristiana di Nazarethhanno sentito molto il peso dell’im-provvisa scoperta della fragilità delnostro essere. Sono molto positivo,perché credo che molte paure sianostate vinte proprio attraverso una de-cisa crescita spirituale, a partire dallaconsapevolezza della propria creatu-ralità. Con una battuta: alla fine ilvaccino del corpo è nello spirito.Siamo riusciti a essere riferimentoper molti. Dobbiamo continuare alavorarci sopra: io sono molto d’ac-cordo con le parole del Papa pro-nunciate nella domenica di Penteco-ste sulla necessità di non sprecarequesto tempo, che può essere lettocome un tempo di grazia, una lungaQuaresima di cui avevamo bisogno.Dio non turba la felicità dei suoi fi-gli — osserva — ma ci prepara sem-pre a una gioia già grande. Comepsicologo ho rielaborato molto inquesto tempo Viktor Frankl: è nelladiminuzione, nella sofferenza, neldolore che l’uomo ritrova l’essenza eil significato vero della sua esistenza.L’umanità dell’incarnazione, che quia Nazareth si è realizzata, del Gesùche piange Lazzaro, che piange suGerusalemme, che sperimenta lapaura al Getsemani, sono le immagi-ni potenti che ci hanno consentito dielaborare un male che Dio ben co-nosce perché lo ha condiviso».

Terminiamo il nostro viaggio ri-tornando nel cuore dell’Europa, inLussemburgo, dove cerchiamo unasintesi con il cardinale Jean-ClaudeHöllerich, che è anche presidentedella Commissione delle conferenzeepiscopali della Comunità europea(Comece). «Anch’io sono stato co-stretto alla quarantena per via di unmio collaboratore che si era ammala-to, ed è stata una grazia perché que-sta autolimitazione mi ha fatto senti-re più solidale con la mia gente. Ab-

biamo ricominciato le messe in pub-blico il venerdì prima di Pentecoste,debbo dire dopo una mia protestaperché il governo si era un po’ scor-dato di noi. Abbiamo avuto cento-dieci morti, che per un piccolissimopaese come il nostro sono molti;quasi tutti anziani e nelle case di ri-poso, la quale cosa non è un’atte-nuazione, perché la poca protezionedegli anziani fa male alla società ealla Chiesa. I nostri preti sono statimolto bravi e creativi, non solo conle messe on line, ma continuando amantenere i contatti con tutti i fede-li, con telefonate, WhatsApp e ancheil regalo inaspettato a casa di qual-che dolce insieme ai sussidi liturgici.La pandemia è caduta proprio du-rante le celebrazioni per l’anniversa-rio dei centocinquant’anni della no-stra diocesi: abbiamo potuto con-durre soltanto in streaming il pelle-grinaggio finale al santuario di Ma-ria Consolatrice degli afflitti. Ho re-gistrato una grande richiesta di ritor-no alle chiese aperte, perché è natu-rale che in momenti di grave sban-damento come questo la gente chie-da di riaffermare la propria identitàattraverso un più forte senso di ap-partenenza».

Cosa cambierà ancora? «Beh, in-tanto potrei dirle che in questo tem-po si è rimarcata la differenza tra chiè cristiano nella fede e chi lo è pertradizione culturale. I primi, in que-sto periodo, sono ulteriormente ma-turati nella fede, i secondi, che sianodi tendenza conservatrice oppure li-berale, usciranno da questo tempomolto più deboli. Sicuramente taleperiodo determinerà un’accelerazio-ne forzata al rinnovamento dellaChiesa, di cui, in unione con PapaFrancesco, avvertiamo tanto il biso-gno; soprattutto in riferimento alrapporto tra laici e presbiteri. Delresto la storia ci insegna che le gran-di epidemie dei secoli passati hannosempre prodotto grandi accelerazio-ni: in cinquant’anni maturavano pro-cessi che in altri tempi ne avrebberorichiesti trecento. Io credo che il rin-novamento della Chiesa subirà que-sta accelerazione». Che accadrà in-vece all’Europa? «C’è stata poco,troppo poco in questa vicenda. Lagestione delle misure reattive è statatutta nella dimensione nazionale.Non è solo questione di imprepara-zione: non c’è stata alcuna volontàdi cessione delle sovranità nazionali.Le frontiere chiuse tra i paesi euro-pei ne sono stato un simbolo. Viverel’anniversario dell’invasione del no-stro paese durante la seconda guerramondiale vedendo di nuovo le fron-tiere chiuse con la Germania è statauna ferita. Debbo dire che si trattadi una critica che è innanzitutto au-tocritica: non esiste tutt’oggi una di-mensione europea della Chiesa. Ep-pure ce n’è tanto bisogno. L’o rg a n i -smo che presiedo è certo utile, manon basta. Le Chiese nazionali han-no anch’esse reagito alla pandemiaognuna per proprio conto. Sonocompiaciuto della recente propostafranco-tedesca di solidarietà sanitariaeuropea, ma anche noi Chiesa dob-biamo essere capaci di sviluppareprogetti di solidarietà comune. Pen-so per esempio al gap economico trai paesi del nord e del sud Europache temo possa allargarsi nei prossi-mi mesi: la povertà si vince insieme.Le Chiese nazionali debbono impa-rare ad ascoltarsi reciprocamente e aparlare. Vorrei dire infine un’ultimacosa: anche qui, anche tra chi nonconosce l’italiano, l’immagine e leparole del Papa, nelle messe da San-ta Marta e nelle celebrazioni pasqua-li, sono state di grande supporto. IlPontefice oltre ogni confine ci hafatto sentire una sola famiglia, unasola parrocchia. Lui è veramente ilparroco globale di una Chiesa checresce e cambia nel mondo».

Viaggio nelle comunità che hanno affrontato la crisi / 3

Edvard Munch, «La fanciulla malata» (1885-1886)

SA N TA SEDEIl Santo Padre ha nominatoCapo Ufficio presso la Biblio-teca Apostolica Vaticana l’Illu-strissima Signora DottoressaRaffaella Vincenti, Segretariodella medesima BibliotecaApostolica Vaticana.