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I T I N E R A R I LOMBARDIA NORD-OVEST N S testo e fotografie di Paolo Cottini LA PALUDE BRABBIA

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I T I N E R A R I LOMBARDIA NORD-OVEST

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testo e fotografie di Paolo Cottini

LA PALUDEBRABBIA

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LA PALUDEBRABBIA

Fino a pochi anni fa il paese di Inarzo,un piccolo comune distante da Varesesolo sette chilometri, viveva in uno splen-dido isolamento, attraversato com’eraesclusivamente da automobilisti locali,diretti verso le proprie abitazioni o, almassimo, verso il confinante comune diVarano Borghi. Oggi non è più così, per-ché l’ampia palude Brabbia che lo lambi-sce – nell’Ottocento quasi detestata esicuramente temuta per i suoi ‘miasmi’ –è diventata un polo d’attrazione per isempre più numerosi ‘eco-turisti’, in cercadi forti e genuine emozioni naturalistiche.

Quasi al centro del paese, non lontanodal Municipio, la Lipu (Lega italiana pro-tezione uccelli) ha aperto un piccolo uffi-cio, che non solo funge da centrod’informazione su ogni aspetto dellapalude, ma che è anche punto di riferi-mento per visite prenotate e organizzate,con tanto di guida in grado di farciapprezzare tutti gli aspetti di questameraviglia del Varesotto. Se alla Lipu èstato assegnato il compito di gestire laBrabbia sotto il profilo naturalistico, tut-tavia il visitatore può anche fare da sé,avventurandosi con qualche cautela fracanneti, boschi e specchi d’acqua, a

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È diventata un polo d’attra-zione per i sempre piùnumerosi ‘eco-turisti’, incerca di forti e genuineemozioni naturalistiche.

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condizione di essere sufficientemente attrezzato per la visita di unluogo assolutamente fuori del comune. Tre cose sono però indispen-sabili: una certa preparazione geografico-ambientale, un abbiglia-mento adeguato al sito (camicia a maniche lunghe anti-zanzare,pantaloni anche per il gentil sesso, stivali di gomma e binocolo) esoprattutto un gran rispetto nei confronti di piante e animali. Inoltre,un po’ d’attenzione non guasta, perché se è vero che qui non esisto-no le ‘sabbie mobili’ di certi film d’avventura, è però vero che unbagno non preventivato in un ‘chiaro’ d’acqua è sempre in agguato.Seguire i sentieri e le indicazioni è da persone prudenti.Partendo dalla chiesa parrocchiale di Inarzo, il percorso più facile epiù seguito è quello che conduce al cosiddetto ‘stagno del salice’ epoi ai canneti di Cazzago Brabbia, il comune che con Inarzo è mag-giormente legato, per storia e tradizioni, alla palude. Sulla destradella chiesa va imboccata la via S. Francesco e poi, a sinistra, la viadei Prati: dopo aver lambito prati e campi coltivati e costeggiatoboschi o pioppeti, si arriva facilmente ai canneti fra i quali si allarga-no i cosiddetti ‘chiari’, vale a dire gli stagni formatisi quando venivacavata la torba. Sulla sinistra incontreremo uno ‘stagno didattico’,creato per riprodurre a scala ridotta lo stato di fatto floro-faunisticodi un ‘chiaro’. Più avanti ci s’imbatte nella segnaletica e nelle strut-ture lignee collocate dalla Lipu per una più comoda e protetta osser-vazione della fauna, che è giustamente ‘allergica’ alla presenza del-l’uomo, per secoli il suo peggior nemico. In tutta l’area sono statisistemati tre punti d’osservazione degli uccelli (birdwatching), allimite della cosiddetta ‘fascia A’, quella in cui è proibito entrare sen-za l’accompagnamento di una guida.Dopo aver ammirato le evoluzioni degli uccelli e i movimenti di cen-to altri abitanti più o meno reconditi (anfibi, piccoli rettili, insettiecc.), ci dedicheremo a una più dettagliata esplorazione del ricchis-simo patrimonio vegetale, davvero unico per bellezza e rarità. Perfare tutto questo, dovremo muoverci con calma qua e là, lungo isentieri, lambendo i ‘riali’ (modesti corsi d’acqua) e, sempre conprudenza, inoltrandoci su zatteroni di sfagno e fendendo canneti: unpuzzle assai differenziato di percorsi che ciascuno di noi imparerà apraticare anche in solitudine, frequentando la palude con una certaassiduità, stagione dopo stagione. Va, infatti, ricordato che una pas-seggiata in Brabbia può concludersi in pochi minuti o, viceversa, inalcune ore, secondo la nostra sensibilità verso la natura autentica-mente incontaminata. Proveremo sicuramente una forte delusionese arriveremo del tutto impreparati a leggere un paesaggio tanto sin-golare, mentre, al contrario, ritorneremo a casa arricchiti se avremoavuto l’accortezza di farci accompagnare da un esperto o, almeno,se la visita sarà stata preceduta da qualche buona lettura. Al ‘brab-bista fai-da-te’ vogliamo qui fornire alcuni spunti iniziali, che potran-no poi venire approfonditi in relazione agli specifici interessi che lagita in palude non mancherà di suscitare. ◆

In copertina: il salice, oggi scomparso, che davail nome alla località ‘Stagno del salice’.

A fronte: il canale Brabbia, che scorre fra il lagodi Comabbio e il lago di Varese, alimentandole acque palustri.

Sopra: un ‘chiaro’ gelato in inverno.

Sotto: in passato alcune piante esotiche sono stateinserite in palude. Nella foto, un esemplaredi Taxodium distichum, una conifera decidua originariadi zone paludose negli Usa sudorientali.

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La Palude Brabbia è considerata la più importante zona umidadel Varesotto e una delle più interessanti di tutta Italia. L’area, del-la superficie di circa 450 ettari, è compresa fra il lago di Varese equello di Comabbio, interessando essenzialmente i territori di seicomuni: Inarzo, Cazzago Brabbia, Biandronno, Ternate, VaranoBorghi e Casale Litta. Importante, per il ricambio d’acqua e peruna concatenazione di eventi ecologici, è la presenza del canaleBrabbia, che corre da sud a nord, quindi dal bacino del Comab-bio a quello di Varese. Sull’asse est-ovest, invece, si sviluppanobrevi corsi d’acqua detti ‘riali’, mentre qua e là si aprono i ‘chiari’,ossia gli specchi d’acqua creatisi perlopiù artificialmente all’epocadell’escavazione della torba e poi mantenuti da aziende localianche per la coltivazione di piante acquatiche. La palude, che sitrova a una quota di 240-242 metri s.l.m., è posta nel pieno diuna zona collinare intermorenica e affonda le sue origini geologi-che nell’ultima glaciazione, quando cioè si formarono i laghi preal-pini, fra cui quel ‘grande lago di Varese’ che poi, in seguito all’ab-bassamento del livello delle acque, si frantumò nei piccoli laghioggi esistenti. In forza di una legge regionale del 1983, la Brabbiadiventò una ‘Riserva naturale regionale’, mentre l’anno successivoessa fu inserita in un elenco speciale di zone umide di importanzainternazionale. La sua gestione è stata affidata dalla Provincia diVarese alla Lipu nel 1994. ◆

Inquadramento geografico

Sopra: il canale Brabbia, nel punto in cui sfocia nel lagodi Varese.

Sotto: la palude vista dall’alto.

A fronte: le ultime raccolte di sfagno, effettuate con mezzimeccanici o a mano, verso la metà degli anni Ottanta delsecolo scorso. Oggi tali pratiche sono rigorosamente vietate.

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La torba è un materiale combustibile di formazione geologicamen-te assai recente, costituito da accumulo e sedimentazione di restivegetali in ambienti acquitrinosi e non troppo caldi. Le specie vege-tali che compongono la torba possono variare secondo il tipo ditorbiera, la cui struttura dipende da un complesso di fattori climati-ci, geografici, geologici, che influiscono sulla flora. L’elenco dellepiante che possono concorrere alla formazione della torbiera è lun-go, avendo in testa canne di palude, carici, scirpi, giunchi e più inparticolare un muschio, lo sfagno (Sphagnum), che è poi l’elemen-to base delle torbe più ricercate. Gli sfagni sono stati forniti dallanatura di due caratteristiche singolari: innanzi tutto riescono adassorbire, dal basso verso l’alto della pianticella, un’enorme quan-tità d’acqua (pari a 30 volte il peso della pianta) in brevissimo tem-po, simili in questo alle spugne; poi hanno la proprietà di nonmorire mai, nel senso che mentre l’apice della pianta continua avegetare, la parte inferiore, morendo, va ad accumularsi in quellemasse di detriti organici che formeranno con il tempo la torba.

Gli sfagni, inzuppati letteralmente d’acqua, si mantengono par-zialmente inalterati, a causa dell’ambiente anaerobico che impe-disce ai microrganismi di mineralizzare e humificare la materiaorganica. Il materiale torboso, solitamente di colore bruno-nera-stro, ha una consistenza e una composizione chimica che varianosecondo le specie vegetali che l’hanno formato, ma in genere noncontiene meno del 50% di carbonio. Il suo potere calorifico –dopo che esso si è completamente disidratato – varia da 2800 a4-5000 calorie, il che nell’Ottocento lo rese appetibile in numero-se aziende del circondario, fino a Milano.La corsa all’acquisto di terreni in Brabbia, da parte dei privati,incominciò dopo che, nel 1830, un certo Antonio M. Tallacchini,scandagliando con una trivella uno dei punti più ricchi della Brab-bia, ebbe trovato un sostanzioso strato di torba. Il Tallacchini nonritenne opportuno acquistare i terreni, ma poiché l’incipiente rivo-luzione industriale italiana aveva fame di materie prime e di com-bustibile a basso prezzo, entro pochi anni la proprietà della Brab-bia fu alienata in favore di piccoli e grandi acquirenti. Le primeescavazioni sistematiche in Brabbia furono praticate nel 1847 daun sacerdote, A. Bossi fu Filippo, parroco di Casale Litta, che pos-sedeva 15 ettari di palude. Fiutato l’affare, un gruppo di dieci pos-sidenti tentò la costituzione di una società per l’escavazione e ilcommercio della torba – con un capitale iniziale di 100.000 lire –

La torba

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che tuttavia fallì sul nascere. Oramai, però, la febbre della torba siera diffusa in tutta la zona, facendo scendere in campo grossinomi, come il duca Litta Visconti Arese, i Quaglia, i Borghi, i Moro-ni, così che, nell’arco di pochi decenni, si sfruttò quasi la metà diquel patrimonio naturale. Il lavoro d’escavazione era durissimo: peresercitare questo mestiere era necessario avere una salute di ferro(l’operaio ‘torbista’ era il più esposto alla puntura delle zanzare equindi alla malaria) e una robusta costituzione fisica, perché tuttal’operazione era svolta a mano. L’estrazione si effettuava da maggioa luglio, quando il terreno era più morbido: allo scopo si utilizzavaun attrezzo chiamato in dialetto lüscer (evidente corruzione del fran-cese louchet, vanga). In sostanza si trattava di una pertica, la cuilunghezza variava da 1 a 3 metri secondo lo spessore dello strato,che aveva a un’estremità una gabbia metallica con una sorta divomere foggiato a L. Si estraeva così un parallelepipedo di torbache veniva fatta essiccare tale e quale oppure ‘bricchettata’ a matto-nelle, a loro volta ammucchiate a coppie sotto il sole d’agosto. L’at-tività estrattiva per la produzione di combustibile durò fin quasi allametà del Novecento, mentre la raccolta di sfagno e le ultime esca-vazioni per ottenere materiale da giardinaggio sono cessate sola-mente pochi anni or sono.

Sopra: uno scorcio della palude, presso Varano Borghi,all’inizio della primavera.

Sotto e a fronte: altre due immagini di raccoltadello sfagno presso lo ‘Stagno del salice’ (1987).L’anziano operaio, qui raffigurato, si chiamava CarloDaverio ed è stato una delle ultime figure di lavoratoridi palude.

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La preistoria

Le torbe della Brabbia hanno conservato per millenni anche unanotevole quantità di reperti preistorici, risalenti all’età delle palafit-te. Il primo ricercatore-archeologo che si occupò della torbiera fuAngelo Quaglia (1856), ben presto seguito dal fratello Giuseppe.Le loro indagini portarono al ritrovamento di numerosi oggetti, cheperò fin dall’inizio non furono distinti per località, tanto che, par-lando della loro provenienza, sono state usate indifferentemente leespressioni Palude Brabbia, Torbiera della Brabbia o anche Caz-zago Brabbia. In verità, nella conca della torbiera si trovaronoalmeno tre insediamenti palafitticoli: uno è la cosiddetta Palafittaai Quadri, in territorio di Biandronno sulla sponda sinistra delcanale Brabbia, e gli altri due nelle località Fosso di Mezzo (Tor-biera di Cazzago) e Mara, lungo il Fosso Carbonino (Torbiera diInarzo). Fra gli oggetti ritrovati spiccano scalpelli, fusaiole, raschia-toi, cuspidi di frecce, asce, arponi, fiocine, e poi frammenti di vasiin ceramica, anelli, una bellissima goliera e spilloni in bronzo. Talipresenze confermano che anche qui l’uomo passò dal Neolitico(Orizzonte di Fiorano e Cultura della Lagozza), sino alla fine del-l’Età del Bronzo. Le collezioni Quaglia, esibite a Varese e a Comoin esposizioni in cui furono premiate con medaglia d’argento, orasono custodite in massima parte al Museo ‘Pigorini’ di Roma e aiMusei Civici di Varese. ◆

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Fra i numerosi animali viventi in Brabbia, la compagine degliuccelli è sicuramente la più massiccia e la più interessante, anchese un amante della natura potrebbe passare ore a osservare libel-lule rosse e azzurre, rarissimi ragni d’acqua, salamandre, natricidal collare e sgargianti farfalle. Una ricerca della Lipu ha accerta-to che oltre 120 specie di uccelli appartenenti a una quarantina difamiglie diverse amano frequentare la palude varesina. Alcuni diloro vi dimorano tutto l’anno, mentre altri si limitano a costruirvi inidi o anche solo a sostare durante i passi primaverili e autunnali;altri ancora, addirittura, rimangono qui esclusivamente nei mesiinvernali. Le ‘anatre’ sono forse fra le più facili da osservare: inprimo luogo il germano reale, numericamente abbondante, e poi,via via meno frequenti, il mestolone, l’alzavola, il moriglione e ilcodone. I più rari, invece, sono soprattutto i rapaci: il nibbio bruno

L’avifauna

A fronte, sopra: un filare di pioppi nelle nebbiedel mattino.

A fronte, sotto: disegni di oggetti preistorici, reperitiin Brabbia e ora esposti nel Museo ‘Pigorini’ di Roma(da: Palafitte: mito e realtà, a cura del Museo Civicodi Storia naturale di Verona e dei Musei Civici di Varese,Verona, 1983).

Sopra: quattro rappresentanti dell’avifauna di palude:una gallinella d’acqua (in alto, a sinistra); germani(in alto, a destra); una pavoncella (sotto, a sinistra);una giovane nitticora (sotto, a destra).

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e la poiana (che non sono uccelli specificamente di palude), maanche il falco di palude (la cui apertura alare tocca anche i 125centimetri) e l’albanella reale, il cui maschio compie voli acrobati-ci degni delle Frecce tricolori. Altri gruppi di uccelli sono poi sim-patici per varie doti: il cannareccione per il suo verso prolungato,lo svasso per il caratteristico ciuffetto, l’airone rosso per il suo piu-maggio, l’averla per il suo grande becco adunco. L’osservazione ditutti questi inquilini della Brabbia non è facile, così che è piùopportuno affidarsi a una guida della Lipu. ◆

A fronte, a sinistra: le acque del canale entrano nel lagodi Varese.

A fronte, a destra: due immagini di libellule di palude.

In questa pagina: la Brabbia è uno scrigno di piante dizone umide, in alcuni casi di buon valore ornamentale.

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In queste pagine: alcune fra le piantepiù rare della Brabbia. A fianco: una violadi palude (Viola palustris); sotto, a sinistra:una bella pianta carnivora (Utriculariaaustralis); sotto, a destra: un’orchideaspontanea (Dactylorhiza incarnata).A fronte, sopra: una rarissima crocifera,Cardamine hayneana; sotto: un’altrapianta carnivora (Drosera intermedia).

Le piante più rare

È un vero peccato che gli esseri vegetali in via d’e-stinzione nella Brabbia (in alcuni casi rarissimianche nel resto del Paese) non abbiano ricevutole stesse attenzioni che giustamente sono riserva-te agli uccelli. La responsabilità non è della Lipu,ma dell’ordinaria burocrazia che ha rallentato l’af-fidamento della gestione della palude in unmomento di massima urgenza. Ovviamente, pro-teggere piante rare non vuol dire annaffiare, pota-re e concimare come se si trattasse di un giardi-no, bensì salvaguardare i micro-ambienti in cuiesse vivono: a volte si tratta di pochi metri quadri,eppure preziosissimi per la sopravvivenza di spe-cie quasi scomparse dalla flora italiana! È questoun discorso difficile, ma di non impossibile solu-

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zione. Se lo si affronterà con maggior determina-zione, allora potremo ancora ammirare erbe e fio-ri, che in molti casi sono anche di piacevolissimoaspetto: Hottonia palustris, Viola palustris, Hydro-charis morsus-ranae, Thalictrum exaltatum ssp.exaltatum, Cardamine hayneana, le ‘carnivore’Utricularia australis e Drosera intermedia (che silimitano a nutrirsi di insettuzzi) e l’orchidea Dacty-lorhiza incarnata sono le principali, ma non lesole. Alcune di loro non possiedono infiorescenzevistose e, di conseguenza, possono venire trascu-rate, anche se si tratta di specie che, a livellonazionale, sono praticamente introvabili: è il caso,per fare un esempio, di Scirpus atrovirens.

Naturalmente, la palude è formata anche dacentinaia di altre specie meno rare: piante erba-cee, arbustive e arboree, tutte importantissime insé, ma soprattutto per la struttura generale e lavita stessa dell’ambiente umido. Dalle comunis-sime cannette di palude alle tife, alle carici(numerose sono le specie del genere Carex, dia-lettalmente chiamate ‘lische’), ma anche salici,ontani neri, viburni, evonimi, castagne d’acqua(con i cui frutti l’uomo si è sfamato in epocapreistorica). Alcune specie, infine, in passatosono state qui coltivate e ora si sono inselvatichi-te stabilmente: le più belle, di sicuro, sono l’ibi-sco (Hibiscus palustris) e il fior di loto (Nelumbonucifera). ◆

In questa pagina: alcune fra le piantemeno rare in palude. Sopra: la comuneninfea bianca (Nymphaea alba);sotto, a sinistra: Caltha palustris;sotto, a destra: Lythrum salicaria.

A fronte, sopra: le fronde del vecchiosalice scomparso; sotto: uno scorciodella Brabbia, con il profilo del SacroMonte sullo sfondo.

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