La Nuova Informazione Cardiologica · 6 Editoriale CHIUSURA PERCUTANEA DELL’AURICOLA SINISTRA PER...

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1 La Nuova Informazione Cardiologica Anno 32° - Settembre 2012 Foglio elettronico 3 a generazione - n°48 Indice dei contenuti: Imaging in cardiologia – dott.ssa Lara Baduena ……………………………………….....pag. 2 Editoriale: chiusura percutanea dell’auricola sinistra per ridurre il rischio cardioembolico dei pazienti in fibrillazione atriale – dott. Eraldo Occhetta … pag. 6 Leading article: trattamento dell’ipertensione polmonare: “stato dell’arte” nel 2012 – Gruppo Ipertensione Polmonare di Novara ……………………………….…………………pag. 12 Focus on… fibrillazione atriale: terapia farmacologica, interventistica ed epidemiologia ………………………………………………………………………………………………… pag. 18 Medicina e morale: recupero della legge naturale nella relazione medico paziente – prof. Paolo Rossi ……………………………………………………………………………………………. pag. 22 Periodico di informazione cardiologica: Editor Prof. Paolo Rossi Direttore Responsabile Dott. Eraldo Occhetta [email protected] Direttore Scientifico Dott. Gabriele Dell’Era [email protected] Comitato di redazione Dott.sa Lucia Barbieri Dott.sa Anna Degiovanni Dott.sa Virginia Di Ruocco Dott.sa Emanuela Facchini Redazione [email protected] Archivio www.foliacardiologica.it

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La Nuova Informazione Cardiologica

Anno 32° - Settembre 2012 Foglio elettronico 3agenerazione - n°48

Indice dei contenuti: Imaging in cardiologia – dott.ssa Lara Baduena ……………………………………….....pag. 2 Editoriale: chiusura percutanea dell’auricola sinistra per ridurre il rischio cardioembolico dei pazienti in fibrillazione atriale – dott. Eraldo Occhetta … pag. 6 Leading article: trattamento dell’ipertensione polmonare: “stato dell’arte” nel 2012 – Gruppo Ipertensione Polmonare di Novara ……………………………….…………………pag. 12 Focus on… fibrillazione atriale: terapia farmacologica, interventistica ed epidemiologia ………………………………………………………………………………………………… pag. 18 Medicina e morale: recupero della legge naturale nella relazione medico paziente – prof. Paolo Rossi ……………………………………………………………………………………………. pag. 22

Periodico di informazione cardiologica: Editor Prof. Paolo Rossi Direttore Responsabile Dott. Eraldo Occhetta [email protected] Direttore Scientifico Dott. Gabriele Dell’Era [email protected] Comitato di redazione Dott.sa Lucia Barbieri Dott.sa Anna Degiovanni Dott.sa Virginia Di Ruocco Dott.sa Emanuela Facchini Redazione [email protected] Archivio www.foliacardiologica.it

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Imaging in cardiologia

ALTERNANZA DI MORFOLOGIA DEL QRS DA PREECCITAZIONE VENTRICOLARE INTERMITTENTE

Dott.sa Lara Baduena, Clinica Cardiologica “AOU Maggiore della Carità”, Novara; [email protected] La sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW) è una sindrome elettrocardiografica che deriva da una parziale attivazione anomala dei ventricoli. Ciò è causato dalla conduzione concomitante dell’impulso atriale attraverso le vie di conduzione atrio-ventricolari normali e attraverso fasci di connessione anomala atrio-ventricolari.

Gli aspetti peculiari all’elettrocardiogramma standard sono: -­‐ un intervallo PR accorciato; -­‐ un complesso QRS slargato; -­‐ un’onda “delta” che precede i normali vettori di attivazione del complesso QRS.

L’onda delta riflette l’attivazione precoce dei ventricoli, che vengono attivati prima che avvenga la normale conduzione atrio-ventricolare attraverso il nodo AV e intraventricolare attraverso il fascio di His, le branche e la rete del Purkinje. La precoce attivazione dei ventricoli è sostenuta dalla presenza di un fascio muscolare anomalo di connessione tra atri e ventricoli: il cosiddetto “fascio di Kent”. La posizione di questo fascio anomalo può far sì che venga attivata precocemente una porzione precisa dei ventricoli: ventricolo destro o sinistro, parete anteriore, laterale, posteriore o settale. La precisa definizione della posizione del fascio anomalo è molto importante se si programma di intervenire con una procedura di ablazione transcatetere; infatti solo posizionando con estrema precisione il catetere sul fascio anomalo, la sua eliminazione potrà essere possibile, erogando radiofrequenza o crioenergia, senza danneggiare il normale asse conduttivo tra atri e ventricoli. La posizione del fascio anomalo può essere definita già sull’elettrocardiogramma standard attraverso l’analisi vettoriale dell’onda delta. Una frequente peculiarità della sindrome di WPW è il carattere fluttuante ed intermittente della capacità di conduzione del fascio anomalo. Può così verificarsi che su un elettrocardiogramma sia presente la preeccitazione (con onda delta ben visibile), mentre su elettrocardiogrammi eseguiti in giorni diversi sia presente una normale conduzione atrio-ventricolare, con PR e QRS normali e senza evidenza di onda delta. La presenza o l’assenza dell’onda delta è comunque sempre casuale, imprevedibile e senza una precisa ripetitività. Le implicazioni cliniche della sindrome di WPW derivano dalla velocità di conduzione molto elevata del fascio anomalo di Kent. In caso di tachiaritmie atriali (in particolare in caso di fibrillazione atriale) il naturale filtro di rallentamento, che è costituito dal nodo AV, viene bypassato dal fascio anomalo: si possono così realizzare frequenze ventricolari molto elevate, emodinamicamente non tollerate e pericolose per la vita stessa. Si possono inoltre verificare dei rientri continui tra le vie conduttive naturali e il fascio anomalo, con l’insogenza di tachicardie da rientro atrio-ventricolare a frequenze molto alte (generalmente > 220-240/min). Quando però si osserva un’intermittenza della preeccitazione ventricolare è molto probabile che il fascio anomalo abbia una bassa velocità di conduzione. Oltre all’intermittenza i criteri che indicano una bassa capacità conduttiva del fascio anomalo sono:

-­‐ una conduzione 1:1 con evidenza di preecciatazione per frequenze atriali < 200/min (dato determinabile con una stimolazione artificiale dell’atrio a frequenze crescenti);

-­‐ un periodo refrattario anterogrado > 240 msec (dato determinabile osservando la presenza o meno di preeccitazione inducendo extrasistoli atriali sempre più precoci);

-­‐ un ciclo minimo tra successivi complessi QRS > 240 msec, durante una fibrillazione atriale indotta artificialmente con sequenze di stimolazione atriale molto elevata.

Tutti questi parametri possono essere valutati nel Laboratorio di Elettrofisiologia, stimolando l’atrio sinistro attraverso un catetere transesofageo posizionato adiacente all’atrio sinistro stesso.

Ma già con una osservazione prolungata dell’elettrocardiogramma standard con derivazione lunga e continua si possono dedurre le caratteristiche di “basso rischio” della preeccitazione da fascio anomalo di Kent.

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Nel caso qui riportato si può osservare che in condizioni di riposo è presente una preeccitazione ventricolare sull’elettrocardiogramma a 12 derivazioni standard.

La frequenza sinusale è di 99 bpm; è presente un intervallo PR relativamente “corto” di 140 msec e il QRS appare “slargato” con durata di 140 msec. E’ ben visibile un’onda delta positiva sulle derivazioni periferiche D1 - aVL e negativa sulle derivazioni D2 - D3 – aVF; su tutte le derivazioni precordiali l’onda delta è positiva (da V1 a V6).

L’asse vettoriale dell’onda delta indica quindi che la sede del fascio anomalo di Kent si trova in posizione postero-settale.

Non appena il paziente comincia uno sforzo fisico, con un lieve aumento della frequenza sinusale da 100 a 115 bpm si verifica un’alternanza tra conduzione dell’impulso attraverso il fascio anomalo (preeccitatazione) e attraverso il naturale sistema nodo AV-fascio di His- branche-Purkinje (normoeccitazione).

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Si può quindi osservare un aspetto conseguente di un “battito preeccitato” [complessi #2,4,6,8,10] con PR corto, onda delta e QRS slargato (con morfologia sovrapponibile all’aspetto osservato all’ecg basale) alternato a un “battito normoeccitato” [complessi # 1,3,5,7,9,] con PR normale e restringimento del QRS per scomparsa dell’onda delta: primo vettore positivo in D2-D3-aVF, isodifasico in D1 e negativo in aVL sulle derivazioni periferiche, e piccola onda R in V1-V2 con successiva crescita della R da V3 a V6 sulle derivazioni precordiali.

Questo fenomeno è conseguente ad un blocco 2:1 nel fascio anomalo, che ha quindi basse caratteristiche di velocità di conduzione e può di conseguenza essere definito a “basso rischio” per l’impossibilità a generare frequenze ventricolari elevate.

Va sottolineato come la frettolosa osservazione di questi aspetti elettrocardiografici può indurre a possibili errori:

-­‐ la presenza di pseudo onde Q nelle derivazioni inferiori (D2-D3-aVF) può simulare una necrosi miocardica inferiore; in realtà le pseudo onde Q sono espressione dell’onda delta di preeccitazione postero-settale sinistra;

-­‐ l’alternanza di un QRS “stretto” con un complesso QRS “slargato” può simulare un bigeminismo extrasistolico ventricolare con extrasistole “tardiva”; in realtà il complesso slargato è generato dalla preeccitazione ventricolare (quindi “pseudobigeminismo”);

-­‐ può infine essere erroneamente diagnosticata una “alternanza elettrica” del QRS con variazione alternante dell’asse elettrico (da posizione verticale a deviazione assiale sinistra); questa “alternanza elettrica” si può osservare in caso di pneumotorace o anche di gravi deficit di contrattilità del ventricolo sinistro (in tal caso però il QRS è sempre slargato); in questo caso molto più semplicemente l’”alternanza” è generata dalla variazione di asse elettrico per i differenti vettori di attivazione durante preeccitazione e normoeccitazione.

In conclusione il caso elettrocardiografico riportato è particolarmente interessante per la rara e atipica presenza di un blocco 2:1 della conduzione di un fascio anomalo di Kent postero-settale

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sinistro. Tale aspetto fa porre diagnosi di “benignità” della preeccitazione ventricolare in questo paziente, senza quindi necessità di particolari terapie farmacologiche o ablative, e senza restrizione di attività fisica o sportiva. L’atipicità di questa situazione elettrocardiografica potrebbe anche indurre ad errori interpretativi, sviando la corretta diagnosi e la conseguente gestione clinica del paziente. BIBLIOGRAFIA

1. Schamroth L. I disordini del ritmo cardiaco. Marrapese ed., D.E.M.I. srl, Roma 1981; Vol.I:265-285. 2. Toni L, Blaufox AD. Transesophageal evaluation of asymptomatic Wolff-Parkinson-White syndrome. Pacing Clin

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cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico 2009. Medicina dello Sport Marzo 2010; Vol.63.

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Editoriale

CHIUSURA PERCUTANEA DELL’AURICOLA SINISTRA PER RIDURRE IL RISCHIO CARDIOEMBOLICO DEI PAZIENTI IN

FIBRILLAZIONE ATRIALE

Dott. Eraldo Occhetta, Clinica Cardiologica “AOU Maggiore della Carità” – Novara RAZIONALE La fibrillazione atriale (FA) è la più comune aritmia cardiaca, con una prevalenza del’1-2% nella popolazione generale, con un trend in costante aumento dato l’invecchiamento generale della popolazione. La sua incidenza aumenta sensibilmente con l’età, passando da < 0,5% nella fascia di 40-50 anni al 5-15% sopra gli 80 anni. La sua prognosi non è del tutto benigna, in quanto le complicanze correlate alla presenza di FA portano a raddoppiare la mortalità dei pazienti che ne sono affetti. La più temibile e frequente complicanza è correlata all’aumentato rischio cardioembolico, dovuto principalmente al ridotto flusso di sangue in una cavità cui viene meno l’attività contrattile. A questo si può aggiungere uno stato di procoagulabilità intrinseca nella patologia, conseguenza di attivazioni neuro-ormonali da parte delle stesse fibrocellule atriali.

L’aumentato rischio di ictus cerebri si traduce nella necessità di una terapia anticoagulante orale (TAO), che attualmente costituisce il gold standard nella prevenzione del rischio di ictus. Il farmaco più utilizzato è il warfarin, con una dimostrazione di riduzione del rischio di oltre il 60%, contro una riduzione di solo il 19% della sola terapia antiaggregante con aspirina, a fronte di un rischio di sanguinamenti maggiori non inferiore per l’aspirina. Le attuali indicazioni alla terapia anticoaugalante con warfarin si basano sulla valutazione del CHA2DS2-VASc risk score, che attribuisce: 1 punto per scompenso cardiaco, 1 per ipertensione arteriosa, 1 per diabete mellito, 1 per vasculopatia-coronaropatia, 1 per il sesso femminile, 1 per età 65-74 anni, 2 per età ≥ 75 anni, 2 per pregresso ictus cerebri o TIA. I pazienti con un punteggio ≥ 2 presentano un rischio di ictus annuo del 2,2%.

Questo è quanto ci dicono i grandi trial. Ma cosa avviene nella pratica clinica quotidiana? Nonostante gli evidenti benefici della TAO:

1) solo il 45% dei pazienti con rischio di ictus moderato o severo assume warfarin; 2) la percentuale di sospensione della TAO è del 38% all’anno; 3) quasi la metà dei pazienti in terapia anticoagulante non presenza un corretto grado di

scoagulazione (INR < 2).

Se da un lato negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sulla valutazione di nuovi anticoagulanti orali di più facile gestione per il paziente (dabigatran, rivaroxaban, apixaban), dall’altra si è cercato di risolvere il problema partendo da un altro punto di vista.

In studi autoptici si è appurato che in oltre il 90% dei casi in cui è stato possibile identificare una formazione trombotica in corso di FA, questa era collocata nell’auricola sinsitra. Allora, perché non cercare di isolare, togliere o chiudere l’auricola stessa ed evitare che eventuali formazioni trombotiche possano formarsi e/o embolizzare partendo dall’auricola stessa? L’idea in realtà risale alla metà del secolo scorso, in quanto la prima rescissione chirurgica dell’auricola data al 1949; in realtà poi la pratica della chiusura chirurgica non ha mai avuto una vera e propria diffusione. Recentemente ci si è quindi dedicati allo sviluppo di dispositivi per realizzare l’occlusione dell’auricola sinistra in maniera meno invasiva, utilizzando l’approccio endovascolare percutaneo.

TECNICA DI IMPIANTO E PROTESI DISPONIBILI La procedura di applicazione delle protesi di occlusione dell’auricola sinistra avviene attualmente in Sala di cardiologia Interventistica (Emodinamica o Elettrofisiologia).

Con il paziente in anestesia generale o in sedazione profonda, attraverso un approccio venoso femorale destro e sotto guida radiologica viene praticata la puntura del setto interatriale per

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accedere con guide e introduttori all’atrio sinistro. Tramite l’iniezione di pochi ml di liquido di contrasto iodato si individua la sede dell’auricola per poter posizionare al suo interno una guida su cui far poi procedere il sistema di occlusione. Unendo i dati fluoroscopici con quelli ecocardiografici transesofagei (o intracardiaci) intra-procedurali è possibile avere una stima precisa sia dell’anatomia dell’auricola stessa (con la definizione delle sue varie lobature) sia della misura del suo colletto. Questi dati permetteranno all’operatore di scegliere la misura piu’ adeguata del dispositivo da applicare (in generale si tende a scegliere una misura piu’ grande di almeno 2 mm rispetto alle dimensioni del colletto).

I dispositivi utilizzati per l’occlusione dell’auricola sinistra sono diversi, anche se alcuni non sono piu’ utilizzati e altri sono stati utilizzati in pochi pazienti.

Vengono brevemente descritte le caratteristiche e la reale utilità clinica di questi dispositivi:

1) PLAATO (Percutaneous Left Atrial Appendage Transcatheter Occlusion).

E’ stato il primo dispositivo realizzato ed è stato utilizzato nel 2001 per la prima procedura percutanea di occlusione dell’auricola sinistra. Dal 2007 la ev3Endovascular ne ha però interrotto la produzione per motivi economici.

PLAATO era costituito da una gabbia autoespandibile (in lega metallica di nitinolo a memoria di forma, rivestita da una membrana di politetrafluoroetilene) da alloggiare all’interno del colletto dell’auricola per isolarne funzionalmente la cavità dal resto dell’atrio. L’utilizzo di tale dispositivo richiedeva la somministrazione di un carico di aspirina e clopidogrel prima dell’applicazione e la successiva terapia con aspirina a vita dopo l’impianto.

L’utilizzo del dispositivo PLAATO è stato suffragato, a partire dal 2002, da diversi studi di fattibilità e di efficacia. Secondo i dati dello studio multicentrico di fattibilità e del registro europeo “PLAATO” (300 pazienti), pubblicato da Bayard et al nel 2005, si è osservata nel follow up una riduzione del rischio calcolato annuale di ictus del 54%. Tra le complicanze veniva segnalata: la possibilità di tamponamento da versamento pericardio (come complicanza piu’ frequente); la formazione di trombi sul dispositivo, trattata con duplice antiaggregazione o eparina e risolta nell’arco di 3-6 mesi; la persistenza di “leak” residui periprotesici, visualizzabili con ecocardiogramma transesofageo o fluoroscopia, indice della persistenza di una comunicazione fra atrio ed auricola sinistra.

2) WATCHMAN LAA System di Atritech Inc. Si tratta di un dispositivo con struttura portante in nitinolo (rivestita da polietilene permeabile) e dotato di barbe di fissaggio. Questo dispositivo richiede che dopo l’impianto venga somministrato warfarin per 6 settimane e quindi una terapia di doppia antiaggregazione per 6 mesi.

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Lo studio PROTECT AF è stato uno studio randomizzato di non inferiorità “dispositivo verso warfarin”, che ha arruolato oltre 700 pazienti (463 assegnati alla chiusura dell’auricola con Watchman e 244 assegnati al braccio di controllo in terapia con warfarin). Dallo studio è emerso come nel 91% dei casi sia stato possibile applicare con successo il dispositivo, a fronte di un tasso di complicanze globale del 12% (4,8% di casi di emopericardio grave con tamponamento cardiaco). Dopo un follow up medio di 18 ± 10 mesi, si è dimostrata una “non inferiorità” del dispositivo nei confronti del warfarin, secondo un end point composito (ictus ischemico ed emorragico, morte cardiovascolare, embolismi sistemici). L’incidenza di ictus ischemico è stata in realtà complessivamente maggiore nel braccio Watchman per via dei casi di ictus peri-procedurali. Un problema riscontrato con questo tipo di dispositivo è stata la possibilità di non completa occlusione dell’auricola. In uno studio osservazionale su 45 pazienti sottoposti ad impianto di Watchman, è stata osservata la presenza di gap peri-protesici nel 27% dei pazienti al momento della procedura, nel 29% a 45 giorni dalla procedura e nel 34,5% dei pazienti a distanza di un anno. I gap più evidenti al momento dell’impianto tendevano a persistere o ingrandirsi nel tempo, mentre nuovi gap potevano formarsi nel corso del follow up. Restano tuttavia ancora da chiarire le conseguenze sul rischio cardioembolico di questi gap, in quanto manca al momento la dimostrazione di una relazione fra l’incompleta occlusione e l’aumentato rischio di ictus.

La Food and Drug Administration (FDA) ha per ora deciso di non approvare Watchman, ritenendo non dirimenti i risultati dei trial che ne sancirebbero la sicurezza e l’efficacia.

3) AMPLATZER CARDIAC PLUG (ACP). Introdotto nel 2008, questo dispositivo consiste in una gabbia di nitinolo formata da due parti, una deputata al fissaggio del dispositivo nel colletto dell’auricola (lobo) ed una responsabile della chiusura dell’ostio dell’auricola (disco). Entrambe le strutture includono un patch di dacron. La punta dell’introduttore che porta il sistema, soffice e orientabile, rende semplice il suo posizionamento e riduce il rischio di perforazione intra-procedurale dell’auricola. Alcuni registri segnalano infatti una fattibilità di corretta applicazione del sistema del 96-100% con basse percentuali di gravi complicanze. Dopo l’impianto di ACP è consigliata l’assunzione di una duplice terapia antiaggregante per circa un mese e quindi della singola terapia con aspirina per almeno 5 mesi.

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4) TRANSCATHETER PATCH (TP). E’ un dispositivo composto da un pallone da gonfiare all’interno dell’auricola per garantirne l’occlusione. È dotato di una struttura soffice, in modo da ridurre i rischi di perforazione e tamponamento. Il sistema è stato applicato solo in pochi pazienti: in un recente studio (pubblicato nel 2011) su 20 pazienti con CHADS2 elevato, è stata registrata una fattibilità dell’85% e, ad un follow up di 12 mesi, non sono stati registrati ictus. Dopo il suo posizionamento è necessario mantenere la terapia antiaggregante piastrinica con 300 mg/die di aspirina.

5) LARIAT

La chiusura dell’auricola con questa metodica è una procedura ibrida che associa un accesso endocardico (con il posizionamento, dopo puntura transettale, di un magnete all’interno dell’auricola) ad un accesso pericardico (con il posizionamento di un catetere con punta

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metallica a livello pericardico). Una volta ottenuto l’ingaggio dei due magneti, si utilizza il percorso creato per far scivolare una sutura a loop intorno all’origine dell’auricola e realizzarne così la sua chiusura dall’esterno. Non è necessaria la terapia antiaggregante o anticoagulante dopo la procedura.

INDICAZIONI e RISERVE Nell’update del 2012 delle Linee Guida della Società Europea di cardiologia (ESC) sulla gestione della fibrillazione atriale, viene specificato che “la chiusura dell’auricola può essere considerata nei pazienti ad elevato rischio di stroke e per i quali esistono controindicazioni alla terapia anticoagulante orale”, con una raccomandazione IIb e livello di evidenza B. La stessa procedura per via cardiochirurgica viene riservata ad analoga tipologia di pazienti che viene sottoposta ad un intervento cardiochirurgico (raccomandazione IIb, livello di evidenza C).

L’indicazione di tipo IIb riflette una possibilità terapeutica non pienamente condivisa, ma possibile; il livello di evidenza B con i sistemi endovascolari percutanei è dato dal fatto che un solo studio randomizzato e controllato ne ha supportato i benefici (lo studio PROTECT AF, con il dispositivo Watchman).

Inoltre va precisato che vengono considerati arruolabili per la chiusura percutanea dell’auricola pazienti affetti sia da FA permanente che parossistica ad eziopatogenesi non valvolare. La procedura è poi controindicata in caso di impossibilità di eseguire una puntura transettale, e soprattutto in presenza di trombi endocavitari presenti a livello dell’auricola sinistra.

La chiusura percutanea dell’auricola sinistra è quindi una tecnica relativamente nuova ed ancora limitata ad uno stretto numero di pazienti selezionati. Come abbiamo descritto precedentemente, sono attualmente in commercio 5 dispositivi dotati di marchio CE (PLAATO, WATCHMAN, ACP, TP e LARIAT); altri dispositivi sono annunciati come di prossima produzione ma non sono ancora presenti in commercio.

Molti interrogativi restano tuttavia aperti.

1) Abbiamo forse trovato una risposta al “perché farlo”. Il razionale infatti è sicuramente convincente: sappiamo che nel 90% dei casi di trombosi interatriale il trombo è localizzato nell’auricola sinistra. Ma nell’altro 10% dei casi dove il trombo è extra auricola sinistra? Nell’analisi complessiva dello studio di fattibilità e del registro europeo PLAATO, sono stati registrati ictus in pazienti con occlusione completa, in totale assenza di trombi, a conferma del fatto che in corso di FA non tutti i trombi originano necessariamente dall’auricola sinistra. Le stesse Linee Guida specificano che “nonostante clinicamente applicata da tempo, non ci sono evidenze conclusive che la chiusura o l’escissione chirurgica dell’auricola riduca il rischio di stroke dei pazienti in fibrillazione atriale”. Non ci sono neanche evidenze, al momento, che dimostrino quale metodica (percutanea o chirurgica) sia la migliore per garantire l’isolamento dell’auricola.

2) Abbiamo invece trovato una risposta abbastanza positiva al “come farlo”, data la disponibilità di prodotti di diverso genere, con una metodica relativamente semplice per i Cardiologi Inteventisti che operano nei Laboratori di Emodinamica o Elettrofisiologia. I rischi di complicanze maggiori ci sono comunque sempre, anche se sono abbastanza dipendenti dal volume di attività e dall’esperienza di ogni Centro. L’esperienza degli operatori dovrebbe anche permettere di scegliere il tipo di sistema più idoneo ad occludere “quella particolare auricola”, studiata e definita nelle sue caratteristiche anatomiche con una valutazione preliminare (con Ecocardiografia transesofagea, Tomografia Assiale Computerizzata, Risonanza Magnetica Nucleare).

3) Le Linee Guida cercano di rispondere alla domanda “a chi farlo”, specificando che questo tipo di procedura “può essere considerata nei pazienti ad elevato rischio di stroke e per i quali esistono controindicazioni alla terapia anticoagulante orale”. Al di là però della “controindicazione” alla TAO, sappiamo quanto sia spesso difficile la corretta conduzione della terapia con anticoagulanti orali: quali siano le difficoltà a garantire una adeguata compliance da parte del paziente; quanto sia difficile ottenere dei valori terapeutici di INR senza rischiare di sconfinare nell’iperdosaggio.

4) Un importante problema contestuale sta nel fatto che sono in fase di imminente commercializzazione molti “nuovi” farmaci anticoagulanti (dabigatran, rivaroxaban, apixaban, edoxaban, etc). Tutti questi non richiederanno lo stretto dosaggio dei valori di INR

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e potrebbero di conseguenza migliorare in modo sostanziale la compliance del paziente alla terapia anticoagulante.

5) Un altro problema è legato al fatto che, eccezion fatta per il sistema ibrido LARIAT, tutti i dispositivi richiedono, dopo la procedura, almeno una terapia antiaggregante a lungo termine o, nel caso di Watchman, addirittura un breve periodo di TAO. E la terapia antiaggregante non si è dimostrata così “sicura” dal punto di vista del rischio emorragico nei vari studi riportati.

6) Le Linee Guida specificano infine di limitare queste procedure ad una popolazione ad elevato rischio cardioembolico. Il trial sull’ACP ha infatti mostrato come il rischio di ictus intra-procedurale sia sostanzialmente simile a quello dei pazienti con CHA2DS2VASc=1 senza terapia, a suffragio della raccomandazione di non sottoporre a questa procedura i pazienti con un basso rischio cardioembolico.

La riflessione finale, considerando anche che mancano dati su follow up a lungo termine, è che resta il dubbio se la occlusione percutanea dell’auricola sinistra sia una reale necessità clinica o una delle tante “mode” dell’attuale medicina ipertecnologica.

Lo scontro che avverrà nei prossimi anni tra l’applicazione e la diffusione di questa metodica da una parte, e l’impatto clinico dei nuovi anticoagulanti orali non dicumarolici dall’altra, ci permetterà forse una maggiore chiarezza verso un comportamento clinico corretto e finalizzato alla maggiore efficacia e sicurezza nei confronti dei pazienti con Fibrillazione Atriale.

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Leading article

EFFETTI CARDIOVASCOLARI DEL CIOCCOLATO RICCO DI

FLAVONOIDI NEI PAZIENTI CON INSUFFICIENZA CARDIACA Dr.ssa Chiara Cavallino – Dr.ssa Sara Bacchini, Cardiologia Ospedaliera, Dipartimento Cardiologico, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Maggiore della Carità” di Novara; [email protected]

Da Andreas J. Flammer, Isabella Sudano, Mathias Wolfrum, et al. Cardiovascular effects of flavanol-rich chocolate in patients with heart failure European Heart Journal (2012) 33, 2172–2180

Introduzione

Il consumo di cioccolato esercita diversi effetti benefici sulla salute cardiovascolare, in particolare in termini di funzione endoteliale vascolare. La disfunzione endoteliale, infatti è una condizione fisiopatologica associata ad una precoce malattia aterotrombotica sia per una ridotta bio-disponibilità di NO che per un aumento dello stress ossidativo. Il cioccolato ricco di flavonoidi (FRC), grazie alla sua capacità di migliorare la biodisponibilità di NO e le sue proprietà antiossidanti si è dimostrato efficace nel migliorare la vasodilatazione NO-dipendente sia in soggetti sani che in pazienti con fattori di rischio cardiovascolari e pertanto potrebbe essere di aiuto nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca (HF).

L’insufficienza cardiaca è una condizione ad alta morbilità e mortalità e rappresenta la fase finale della maggior parte della malattie cardiovascolari. In questa fase, molte alterazioni cardiovascolari (es. alterata funzione endoteliale e maggior reattività piastrinica) sono irreversibili. Pertanto, devono essere ricercate opzioni terapeutiche alternative in questi pazienti ad alto rischio.

Questo studio, randomizzato, controllato, in doppio cieco, ha pertanto come scopo quello di studiare se il FRC sia in grado di migliorare la funzione cardiovascolare nei pazienti con HF.

Metodi

La popolazione in studio è costituita da 20 pazienti con HF stabile (NYHA ≥ II) e frazione di eiezione < 50%. Sono state preparate da Nestlè barrette di cioccolato ricco di flavonoidi (FRC, prodotti disponibili in commercio) e di cioccolato di controllo privo di flavonoidi (CC) e sono state avvolte in modo identico al fine di evitare ogni potenziale bias per il paziente o l’esaminatore. Tutti i pazienti sono stati istruiti ad astenersi da alimenti ricchi di flavonoidi (es. tè verde, agrumi, finocchio, grano saraceno, cioccolato fondente, frutti di bosco, pomodori) per 24 ore e a digiunare per almeno 8 ore prima degli esami preliminari. Dopo la prima valutazione, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere 40 g di FRC o 28,4 g di CC (peso corrispondente per contenuto di grassi e zucchero al cioccolato fondente).

L'endpoint primario dello studio era la valutazione della funzione endoteliale. Gli endpoint secondari erano la funzionalità dei barocettori, l'adesione delle piastrine ed i parametri di stress ossidativo. Tali effetti sono stati valutati nel breve (2 ore dopo la visita di base e l’ingestione di una barretta di cioccolato) e lungo termine (dopo 2 e 4 settimane di assunzione giornaliera di due barrette di cioccolato – Figura 1). Tutte le misurazioni sono state effettuate dopo il digiuno notturno (di almeno 8 ore).

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Figura 1. Disegno dello studio.

La funzione endoteliale può essere valutata in modo non invasivo mediante la misurazione eco-guidata della vasodilatazione flusso-mediata (FMD) dell’arteria brachiale. Nel presente studio la funzione endoteliale è stata valutata mediante misurazione bidimensionale eco-guidata della FMD dell'arteria brachiale (diametro basale e dopo gonfiaggio di un manicotto a 220 mmHg per 5 min). La vasodilatazione flusso-mediata è stata calcolata come il massimo incremento percentuale del diametro basale. La dilatazione endoteliale-indipendente è stata misurata dopo somministrazione di nitroglicerina sublinguale (0,4 mg) registrando continuamente il diametro arterioso.

La funzionalità dei barocettori, l'adesione delle piastrine ed i parametri di stress ossidativo sono stati valutati con metodiche di laboratorio universalmente validate. Per motivi tecnici, i dati di funzionalità barorecettoriale sono disponibili solo in 11 pazienti (6 nel gruppo ricevente FRC e 5 nel gruppo di controllo).

Risultati

Le due popolazioni in studio (FRC=10; CC=10) non differivano in modo statisticamente significativo per caratteristiche cliniche/laboratoristiche basali e farmaci assunti.

La pressione sistolica e diastolica e la frequenza cardiaca non sono stati influenzati nel breve e nel lungo periodo dall’assunzione di cioccolato. Non c'è stato nessun impatto acuto o cronico sui parametri di laboratorio né sui markers infiammatori e di stress ossidativo (Tabelle 1,2).

Livelli plasmatici di polifenoli. C'è stato un significativo aumento della concentrazione plasmatica di polifenoli dopo ingestione di FRC, rispetto al gruppo controllo CC. La concentrazione di epicatechina è aumentata in modo statisticamente significativo nel gruppo FRC (P<0,001), mentre la concentrazione plasmatica di epicatechina nel gruppo CC non era rilevabile. Tuttavia, nel gruppo FRC i metaboliti dell’epicatechina sono stati rilevati solo nel breve periodo, ma non alla fine delle 4 settimane di trattamento (Tabelle 1,2).

Dilatazione flusso-mediata dell’arteria brachiale. Il diametro dell'arteria brachiale basale e la FMD basale erano simili in entrambi i gruppi. Due ore dopo l'ingestione di 40 g di FRC, la FMD cresceva da 4.98±1.95 a 5.98±2.32% (P=0.045 e 0.02 rispettivamente), mentre l’ingestione di 28.4 g di CC non ha mostrato alcun effetto significativo (da 5.06±2.29 a 4.47±1.5%, P=0,44). Analogamente, in cronico, l’assunzione giornaliera di 80 g di FRC determinava un miglioramento significativo della disfunzione endoteliale sia dopo 2 che dopo 4 settimane (da 4.98±1.95 a 6.86±1.76%, P<0.05). Anche in questo caso, l’assunzione di barrette CC non cambiava la FMD nel corso dell’intero follow-up (Figura 2). Non si è registrato nessun effetto significativo sulla vasodilatazione endotelio-indipendente (Tabelle 1,2).

Funzione barorecettoriale. Il cioccolato FRC e quello di controllo CC non hanno significativamente influenzato la funzione dei barocettori nei pazienti con scompenso cardiaco (Tabella 1,2). Funzione piastrinica. L’assunzione di cioccolato FRC ha indotto acutamente un miglioramento della funzione piastrinica. Due ore dopo l'assunzione di cioccolato, l'adesione piastrinica era significativamente ridotta da 3.9±1.3 a 3.0±1.3% (P=0.03 e 0.05 rispettivamente), mentre nessun

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cambiamento è stato osservato nel gruppo di controllo (Figura 2). Tale effetto non si è mantenuto dopo 4 settimane di ingestione giornaliera.

Figura 2. Effetti del consumo di cioccolato sulla funzione endoteliale (misurata tramite FMD) e sull’adesione piastrinica.

FMD: dilatazione flusso-mediata; GTN: dilatazione endotelio-indipendente indotta da nitroglicerina; SBP: pressione arteriosa sistolica; DBP: pressione arteriosa diastolica; BRS: sensibilità barorecettoriale; LH, HF: bassa ed alta frequenza; QUICKI: indice quantitativo di insulino-sensibilità; BNP: peptide B-natriuretico; TC: trigliceridi; HDL-C: colesterolo HDL; LDL-C: colesterolo LDL; TRAP: riduzione totale del potenziale antiossidante; FRAP: riduzione-ferrica del potenziale antiossidante.

* P<0.005 rispetto al basale.

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FMD: dilatazione flusso-mediata; GTN: dilatazione endotelio-indipendente indotta da nitroglicerina; SBP: pressione arteriosa sistolica; DBP: pressione arteriosa diastolica; BRS: sensibilità barorecettoriale; LH, HF: bassa ed alta frequenza; QUICKI: indice quantitativo di insulino-sensibilità; BNP: peptide B-natriuretico; TC: trigliceridi; HDL-C: colesterolo HDL; LDL-C: colesterolo LDL; TRAP: riduzione totale del potenziale antiossidante; FRAP: riduzione-ferrica del potenziale antiossidante.

* P<0.005 rispetto al basale.

Conclusioni

In conclusione, questo è il primo studio che dimostra l’effetto benefico cardiovascolare dei prodotti FRC commercialmente disponibili nei pazienti con HF. Il cioccolato ricco di flavonoidi non solo induce in acuto vasodilatazione periferica, miglioramento della funzione endoteliale e piastrinica, ma è anche responsabile di un miglioramento della funzione endoteliale dopo un periodo di 4 settimane di consumo giornaliero di cioccolato.

Commento

Il presente studio per la prima volta ha riportato un significativo e specifico effetto sulla funzione endoteliale e piastrinica del cioccolato ricco di flavonoidi, commercialmente disponibile, in pazienti affetti da insufficienza cardiaca. Questo studio ha infatti dimostrato come il cioccolato non solo migliora in acuto i marker di funzionalità cardiovascolare, ma anche dopo l'ingestione a lungo termine (massimo di 4 settimane). Tale effetto cardiovascolare positivo indotto da una molecola disponibile per via orale non è banale nella popolazione di pazienti con HF (basti infatti pensare che nello stesso gruppo di pazienti le statine si sono dimostrate inefficaci)1-2.

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Mentre la maggior parte degli studi finora condotti, hanno studiato solo gli effetti acuti del cioccolato FRC sulla funzione endoteliale3, questo studio randomizzato in doppio cieco ha riportato anche effetti benefici a lungo termine. Inoltre, questo è il primo studio sugli effetti del cioccolato in pazienti con malattie cardiache quali HF. La HF è infatti associata a disfunzione endoteliale, condizione confermata anche in questa popolazione di pazienti. I meccanismi molecolari alla base della disfunzione endoteliale nel HF potrebbero esplicitarsi in un aumento dei livelli di citochine, nell’alterazione dei meccanismi di trasduzione del segnale recettoriale endoteliale e nell’aumento dell’attività degli inibitori dell'enzima di conversione dell’angiotensina4-7. Inoltre, nel HF, si osserva un’attivazione neuroumorale e l’aumentato dei livelli di vasocostrizione endotelio-mediati8. Infine il HF è associato alla generazione avanzata delle specie reattive dell’ossigeno e dell’ossidazione delle LDL, ulteriore proprietà di vasodilatazione dell’NO. Pertanto, il fatto che i polifenoli del cacao migliorino la funzione endoteliale, aumentando la sintesi di NO (NOs) ed esercitando capacità antiossidante potrebbe essere importante nei pazienti con scompenso cardiaco, soprattutto in quanto vi è una forte associazione tra disfunzione endoteliale e morbilità/mortalità cardiovascolare9.

Nel presente studio, l'ingestione di FRC è seguita da un marcato e significativo aumento delle concentrazioni plasmatiche di epicatechina. In parallelo, la FMD migliora significativamente nel gruppo flavonoidi ma non nel gruppo di controllo; questo comporta una maggiore biodisponibilità di NO (normalmente ridotta in HF)10 e l'ingestione di cioccolato ricco di flavonoidi aumenta rapidamente il pool di NO bioattivo e migliora la FMD nei pazienti con ipertensione o diabete11,12. A breve termine, i flavonodi inibiscono l'inattivazione di NO dai radicali liberi grazie all’inibizione della NADPH ossidasi, mentre nel lungo termine, sono in grado di esprimere elevati livelli di proteine eNOs13.

Al di là degli effetti acuti sulla funzione endoteliale, ancora più pronunciati sono gli effetti indotti da una ingestione cronica di cioccolato. Infatti, la funzione endoteliale è ulteriormente migliorata dopo 2-4 settimane di assunzione giornaliera di 80 g di FRC. Bisogno considerare che le misure della funzione endoteliale sono stati eseguite al mattino dopo il digiuno notturno, quindi, un eventuale effetto acuto del cioccolato nelle suddette misurazioni può essere escluso. Infatti, in linea con questa ipotesi, sia a 2 che a 4 settimane, l’epicatechina ed i suoi metaboliti non erano più rilevabili nel plasma al momento degli studi sulla funzione vascolare. Pertanto, la supplementazione cronica di flavonoidi deve aver cambiato la biologia dell’arteria brachiale e delle cellule endoteliali nei pazienti HF studiati. Anche se non è noto il meccanismo, i flavonoidi molto probabilmente inducono l'espressione di NOs endoteliali, un effetto sostenuto nonostante la breve emivita di questi nutrienti derivati dal cacao. In linea con questa interpretazione, il diametro dell'arteria brachiale è aumentato 2 ore dopo l'ingestione di FRC. Inoltre, i livelli plasmatici dei marcatori di stress ossidativo, nonché di proteina C reattiva erano simili a 2 e 4 settimane rispetto al basale. Infine, il rilassamento endotelio-indipendente da nitroglicerina non è stato influenzato dall’intervento dietetico.

Il miglioramento della funzione piastrinica, in acuto, non si è mantenuto nel lungo termine. Ciò può essere dovuto al fatto che i campioni di sangue sono stati raccolti dopo una notte di digiuno, e quindi, i polifenoli era già stati metabolizzati ed eliminati. Questo risultato non è sorprendente, in quanto le piastrine sono cellule anucleate e quindi incapaci di indurre la produzione di proteine, per esempio non sono in grado di aumentare la trascrizione e la traduzione di NOs endoteliale.

Infine, l’attivazione neuroumorale del sistema nervoso simpatico, è un segno distintivo dei pazienti con HF. Così è stato anche studiato l'effetto del FRC sulla funzione dei barocettori; tuttavia, non è stato evidenziato nessun effetto dell’intervento dietetico, né nel breve né nel lungo termine. Ciò è sorprendente, dal momento che l’NO è coinvolto nel signalling dei barorecettori14. Una spiegazione potrebbe essere l'uso di agenti β-bloccanti in tutti i pazienti, in base alle linee guida, mascherando così un possibile effetto della FRC. In alternativa, il numero limitato di osservazioni può contribuire ai risultati negativi, poiché la funzione baroriflessa è stata misurata solo in 11 pazienti (problemi tecnici).

Come è tipico nei pazienti con HF, il valore di PA basale della popolazione in studio era ≤110/65 mmHg. Non abbiamo osservato alcun effetto rilevante del consumo di FRC sulla pressione sistolica o diastolica, né acutamente né dopo 2 e 4 settimane, nonostante il considerevole aumento dei livelli

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plasmatici di epicatechina e dei suoi metaboliti (Tabella 2). Questo potrebbe essere spiegato dai bassi valori di PA basale, per i farmaci antipertensivi utilizzati.

Nella popolazione in studio, dopo 4 settimane di ingestione giornaliera di cioccolato, è stata osservata una diminuzione della sensibilità all'insulina nel gruppo di controllo a differenza di quanto riscontrato nei pazienti che hanno consumato FRC. Ciò potrebbe potenzialmente essere un ulteriore punto a favore dell’utilizzo di FRC nei pazienti con HF. È da notare che, nonostante il carico calorico del preparato di FRC commercialmente disponibile, non sono stati osservati né un aumento di peso né un cambiamento del contenuto di lipidi nel sangue (Tabella 2).

Questo studio presenta però alcuni limiti. Bisogna infatti sottolineare il fatto che nella popolazione in studio, non è stata controllata l’assunzione abituale di cibo, soprattutto per quanto riguarda gli altri alimenti ricchi di cioccolato. Inoltre, i pazienti erano liberi di programmare l'assunzione del cioccolato nelle varie fasi della giornata, quindi, altri alimenti possono aver influenzato la biodisponibilità del cioccolato stesso.

Che dire quindi se non buon cioccolato a tutti?

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FOCUS ON.. FIBRILLAZIONE ATRIALE: TERAPIA FARMACOLOGICA, INTERVENTISTICA ED EPIDEMIOLOGIA

A cura di Lucia Barbieri, Anna Degiovanni, Virginia Di Ruocco, Emanuela Facchini Clinica Cardiologica AOU “Maggiore della Carità” - Novara

TRATTAMENTI ANTIARITMICI A BREVE TERMINE VERSUS LUNGO

TERMINE DOPO CARDIOVERSIONE DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE (FLEC-SL): UNO STUDIO PROSPETTICO, RANDOMIZZATO IN APERTO, CON

VALUTAZIONE DEGLI ENDPOINT IN CIECO. CONTESTO: I farmaci antiaritmici prolungano il periodo del potenziale d'azione ed il periodo refrattario dell’atrio e prevengono le recidive di fibrillazione atriale dopo cardioversione. Il potenziale d'azione atriale si normalizza dopo 2-4 settimane di ritmo sinusale, suggerendo che i farmaci antiaritmici possano non essere necessari oltre tale lasso di tempo. Sulla base di questo assunto, abbiamo valutato se il trattamento a breve termine con un farmaco antiaritmico dopo cardioversione sia non inferiore ad un trattamento a lungo termine.

METODI: Vengono arruolati i pazienti presso 44 centri in Germania, in uno studio prospettico, randomizzato in aperto, con valutazione degli endpoint in cieco tra il 4 maggio 2007 ed il 12 marzo 2010. I criteri di inclusione sono stati: pazienti adulti con fibrillazione atriale persistente sottoposti a cardioversione elettiva. Dopo una cardioversione efficace, i pazienti venivano randomizzati nei seguenti bracci: nessun trattamento antiaritmico (controllo), trattamento con flecainide (200-300 mg al giorno) per 4 settimane (trattamento a breve termine) o trattamento con flecainide per 6 mesi (trattamento a lungo termine). L'endpoint primario è stato il tempo da un episodio di fibrillazione atriale persistente o la morte. Sia i pazienti che i medici erano a conoscenza del gruppo e del trattamento assegnato (in aperto). L'end point primario veniva valutato in cieco in un laboratorio separato dal centro di arruolamento. I pazienti venivano monitorati per 6 mesi con un elettrocardiogramma (ECG) giornaliero telemetrico e venivano sottoposti ad ECG Holter (presso il centro) ogni volta che veniva registrata un episodio di fibrillazione atriale in due ECG consecutivi. Lo studio è stato registrato (numero ISRCTN62728742).

RISULTATI: Dopo 4 settimane i dati di follow-up di 242 pazienti hanno dimostrato che il trattamento con flecainide è superiore al non trattamento (analisi di sopravvivenza di Kaplan-Meier 70,2% vs 52,5%, p = 0,0160) per cui il trial è stato proseguito con il confronto solo tra il trattamento a breve termine rispetto al trattamento a lungo termine. L'endpoint primario si è verificato in 120 pazienti (46%) dei 261 soggetti che hanno ricevuto il trattamento a breve termine ed in 103 pazienti (39%) dei 263 soggetti che hanno ricevuto il trattamento a lungo termine (sopravvivenza libera da eventi 48,4% [95% CI 41,9 - 55,0] vs 56,4% [49,1 -63 · 6]; stima della differenza di Kaplan-Meier 7.9% [-1 · 9-17,7], per la non-inferiorità p = 0,2081). In una analisi post-hoc, svolta sui pazienti che non avevano raggiunto l'endpoint primario durante il primo mese, il trattamento a lungo termine è risultato superiore al trattamento a breve termine (stima della differenza di Kaplan-Meier 14,3% [5.1 -23 · 6]; hazard ratio 0,31 [0,18 -0 · 56], p = 0,0001).

CONCLUSIONI: il trattamento farmacologico antiaritmico dopo cardioversione è meno efficace di quanto del trattamento antiartmico a lungo termine, ma può comunque prevenire la maggior parte delle recidive di fibrillazione atriale.

Kirchhof P, Andresen D, Bosch R, et al. Short-Term Versus Long-Term Antiarrhythmic Drug Treatment After Cardioversion of Atrial Fibrillation (Flec-SL): A Prospective, Randomized, Open-Label, Blinded Endpoint Assessment Trial. Lancet 2012;Jun 18:[Epub ahead of print].

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SANGUINAMENTI PERIPROCEDURALI ED EVENTI TROMBOEMBOLICI IN CORSO DI TRATTAMENTO CON DABIGATRAN VERSUS WARFARIN: I

RISULTATI DEL TRIAL RANDOMIZZATO “RESULTS FROM THE RANDOMIZED EVALUATION OF LONG-TERM ANTICOAGULATION

THERAPY (RE-LY)”. CONTESTO: Dabigatran riduce gli eventi ischemici cerebrali rispetto al warfarin, ma, data la mancanza di antidoti, potrebbe potenzialmente aumentare il sanguinamento quando sia necessario sottoporre i pazienti a procedure chirurgiche o invasive.

METODI E RISULTATI: L'attuale studio è stato condotto per confrontare il rischio di sanguinamento periprocedurale in pazienti trattati con dabigatran e warfarin, nel trial “Randomized Evaluation of Long-Term anticoagulation therapy (RE-LY)”. I tassi di sanguinamento sono stati valutati a partire da 7 giorni prima della procedura invasiva fino a 30 giorni dopo. Sono stati sottoposti ad almeno 1 procedura invasiva un totale di 4591 pazienti: il 24,7% dei pazienti ha ricevuto dabigatran 110 mg, il 25,4% ha ricevuto dabigatran 150 mg ed il 25,9% ha ricevuto warfarin (P = 0,34). Le procedure invasive incluse comprendevano: impianto di pacemaker/defibrillatori (10,3%), procedure odontoiatriche (10,0%), procedure diagnostiche (10,0%), interventi di cataratta (9,3%), colonscopie (8,6%) ed interventi di ricostruzioni articolari (6,2%). Tra i pazienti assegnati ad entrambi i dosaggi dabigatran, l'ultima dose somministrata del farmaco in studio è stata 49 (35-85) ore prima della procedura invasiva, mentre nei pazienti trattati con warfarin l’ultima dose è stata somministrata 114 (87-144) ore prima, P <0.001. Non vi è stata alcuna differenza significativa nei tassi di sanguinamenti maggiori periprocedurali tra i pazienti trattati con dabigatran 110 mg (3,8%) o dabigatran 150 mg (5,1%) o warfarin (4,6%); dabigatran 110 mg versus warfarin: rischio relativo ,0,83, 95% CI, 0,59-1,17, P = 0.28; dabigatran 150 mg versus warfarin: rischio relativo, 1,09, 95% CI, 0,80-1,49, p = 0,58. Tra i pazienti sottoposti a chirurgia d'urgenza i sanguinamenti maggiori si sono verificati nel 17,8% dei pazienti trattati con dabigatran 110 mg, nel 17,7% dei soggetti trattati con dabigatran 150 mg e nel 21,6% degli individui trattati con warfarin: dabigatran 110 mg; rischio relativo, 0,82, 95% CI, 0,48-1,41, P = 0,47 ; dabigatran 150 mg: rischio relativo, 0,82, 95% CI, 0,50-1,35, p = 0,44.

CONCLUSIONI: Dabigatran e warfarin sono associati a tassi simili di sanguinamento periprocedurale, anche nei pazienti sottoposti a chirurgia d'urgenza. Dabigatran consente una piu’ breve interruzione della terapia anticoagulante orale.

Healey JS, Eikelboom J, Douketis J, et al. Peri-Procedural Bleeding and Thromboembolic Events With Dabigatran Compared to Warfarin: Results From the RE-LY Randomized Trial. Circulation 2012;Jun 14:[Epub ahead of print].

LA FAMIGLIARITÀ DELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE ISOLATA NEI GIOVANI CONTESTO: I fattori genetici possono giocare un ruolo nello sviluppo della fibrillazione atriale isolata.

OBIETTIVI: Abbiamo esaminato se il rischio individuale di sviluppare un episodio di fibrillazione atriale isolato (AF) prima dell'età di 60 anni sia associato ad una storia di fibrillazione atriale isolata nei parenti..

METODI: Sono stati utilizzati i registri nazionali danesi ed è stata inclusa una coorte di ~ 4 milioni di persone nate tra il 1950 ed il 2008 e sono stati identificati i soggetti con una storia familiare di AF isolata (AF senza precedenti diagnosi di problematiche cardiovascolari/endocrine). Gli individui sono stati valutati fino alla prima diagnosi di fibrillazione atriale isolata. E’ stata utilizzata la regressione di Poisson per stimare i rapporti dei tassi di incidenza (IRR).

RISULTATI: in un follow-up di ~ 92 milioni di anni/persona, 9.507 persone sono state identificate come aventi AF isolata. L’ IRR per AF isolata con un parente affetto di primo o di secondo grado è stato rispettivamente del 3,48 (95% intervallo di confidenza [CI]: 3,08-3,93) e del 1,64 (95% CI: 1.04 a 2.59). Gli IRR erano più alti per gli uomini rispetto alle donne, ma non sono state riscontrate associazioni con il sesso del parente interessato. L’ IRR per la fibrillazione atriale isolata era 6,24 (IC

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95%: 2,59-15,0), con almeno 2 parenti di primo grado affetti da fibrillazione atriale isolata. L'IRR per la fibrillazione atriale isolata in soggetti di età inferiore ai 40 anni con un parente di primo grado affetto in età inferiore ai 40 anni è stato del 5,42 (95% CI: 3,80-7,72) e del 8,53 (IC 95%: 3,82-19,0) in persone di età < 30 anni con un parente di primo grado affetto all'età <30 anni.

CONCLUSIONI: Una storia familiare di fibrillazione atriale isolata è associata ad un notevole rischio di fibrillazione atriale isolata, con forti rischi associati a: giovane età di insorgenza, più di un parente affetto e parenti di primo grado affetti. Questi risultati suggeriscono la necessità di una valutazione di routine delle famiglie in alcuni tipi di pazienti con fibrillazione atriale isolata.

Oyen N, Ranthe MF, Carstensen L, et al. Familial Aggregation of Lone Atrial Fibrillation in Young Persons. J Am Coll Cardiol 2012;Jun 20:[Epub ahead of print].

TREND TEMPORALI E PREDITTORI DI COMPLICANZE DURANTE PROCEDURA DI ABLAZIONE TRANSCATETERE DELLA FIBRILLAZIONE

ATRIALE CONTESTO: Nei diversi studi vi è molta variabilità nei tassi di complicanze riportati durante procedura di ablazione transcatetere della fibrillazione atriale (FA).

OBIETTIVO: L’obiettivo è quello di valutare i trend temporali e l' impatto dell’esperienza degli operatori, sia istituzionale che individuale, sull'incidenza di complicanze.

METODI: Vengono arruolati prospetticamente tutti i pazienti sottoposti ad ablazione trans catetere di fibrillazione atriale al Johns Hopkins Hospital tra il febbraio 2001 ed il dicembre 2010. Le complicanze maggiori vengono definite come quelle che risultano pericolose per la vita, determinano un danno permanente, necessitano di un intervento o causano un prolungamento significativo dei tempi di ricovero.

RISULTATI: Su un numero di 1190 procedure si sono verificate 56 complicanze maggiori (4,7%). La maggior parte delle complicanze sono state vascolari (18, 1,5%), seguite dal tamponamento pericardico (13, 1,1%) e dagli accidenti cerebrovascolari (12, 1,1%). Non si sono verificati casi di morte o di fistola atrio-esofagea. Il tasso di complicanza generale è diminuito dal 11,1% nell’anno 2002 all’ 1,6% nell’anno 2010 (P <.05). All'analisi univariata, i fattori demografici e clinici associati all'aumento del rischio di complicanze erano: CHADS(2) con un punteggio ≥ 2 (hazard ratio [HR] = 2.5, 95% intervallo di confidenza [CI] = 1,4-4,4, p = .002), il sesso femminile (HR = 2.0, 95% CI = 1,2-3,5, p = 0,014) e l’ età (HR = 1,03, IC 95% = 1,0-1,1, p = 0,042). All'analisi multivariata Il sesso ed il punteggio CHADS (2) ≥ 2 sono risultati predittori indipendenti di complicanze.

CONCLUSIONE: Il tasso di complicanze di procedura di ablazione transcatetere della fibrillazione atriale è diminuito con l'aumento dell’ esperienza degli operatori. Il sesso femminile ed il punteggio CHADS (2) ≥ 2 sono fattori di rischio indipendenti significativi per complicanze e dovrebbero essere considerati in ogni paziente per il quale venga posta indicazione ad ablazione transcatetere della FA.

Complications Arising From Catheter Ablation of Atrial Fibrillation: Temporal Trends and Predictors. Hoyt H, Bhonsale A, Chilukuri K, et al. Heart Rhythm 2011;8:1869-1874.

ESISTE UNA ASSOCIAZIONE TRA CARDIOVERSIONE ESTERNA E LA MORTALITÀ/MORBILITÀ A LUNGO TERMINE? ANALISI DELLO STUDIO

AFFIRM (FIBRILLATION FOLLOW-UP INVESTIGATION OF RHYTHM MANAGEMENT)

CONTESTO: Le terapie elettriche interrompono efficacemente le tachiaritmie. Recenti dati suggeriscono un possibile aumento di mortalità a lungo termine associata a shocks di defibrillatori impiantabili. Poco si sa circa l'associazione tra cardioversione elettrica esterna (CVEe) e mortalità a lungo termine. In questo studio si cerca di valutare la sicurezza di ripetute CVEe e l’impatto sulla mortalità/morbilità cardiovascolare.

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METODI E RISULTATI: Vengono analizzati i dati di 4060 pazienti (studio AFFIRM: Atrial Fibrillation Follow-up Investigation di Rhythm Management). In particolare, vengono studiate le associazioni tra CVEe e mortalità per ogni causa, mortalità cardiovascolare e le ospedalizzazioni successive alle CVEe. Ad un follow-up medio di 3,5 anni, 660 (16,3%) pazienti sono deceduti e di questi 331 (8,2%) sono morti per cause cardiovascolari. Un totale di 207 (5,1%) e 1697 (41,8%) pazienti hanno avuto rispettivamente bassa frazione di eiezione e fibrillazione atriale non-parossistica. 2460 pazienti non sono stati sottoposti a CVEe, mentre 1600 sono stati cardiovertiti ≥ 1 volta. Il decesso è avvenuto in 412 (16,7%), 196 (16,5%), 39 (13,5%) e 13 (10,4%) pazienti con rispettivamente 0, 1, 2 e ≥ 3 CVEe. Non è stata osservata alcuna correlazione significativa tra CVEe e mortalità tra i 4 sottogruppi suddivisi in base alla frazione di eiezione ed al tipo di fibrillazione atriale. Al contrario è stata dimostrata una correlazione statisticamente significativa tra mortalità ed infarto miocardico, bypass coronarico e digossina (hazard ratio rispettivamente 1,65-1,59-1,62, p <0,0001). E’ stata inoltre riscontrata una associazione tra CVEe ed una maggiore ospedalizzazione cardiovascolare riferita alla successiva visita di follow-up (39,3% versus 5,8%; odds ratio 1.39, P <0,0001).

CONCLUSIONI: Nel trial AFFIRM non è stata riscontrata alcuna correlazione significativa tra mortalità a lungo termine e CVE, mentre è stata dimostrata una associazione tra CVE ed aumento delle ospedalizzazioni per cause cardiache. Digossina, infarto miocardico ed impianto di bypass coronarico sono risultati significativamente correlati alla mortalità.

Elayi CS, Whitbeck MG et al. Is there an association between external cardioversions and long-term mortality and morbidity? Insights from the Atrial Fibrillation Follow-up Investigation of Rhythm Management study. Circ Arrhythm Electrophysiol. 2011 Aug 1;4(4):465-9. Epub 2011 Apr 21.

L’ABLAZIONE DEL NODO ATRIO VENTRICOLARE NELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE: UNA META ANALISI E UNA REVISIONE SISTEMATICA

CONTESTO: Nel trattamento di pazienti con fibrillazione atriale refrattaria (FA), la sicurezza e l'efficacia dell’ablazione nodale atrioventricolare (AVNA) versus farmacoterapia da sola rimane poco chiara. Inoltre, l'impatto della AVNA nei pazienti con funzione sistolica ridotta è di crescente interesse.

METODI E RISULTATI: Un totale di 5 studi randomizzati o prospettici sono stati inclusi per la revisione di efficacia (314 pazienti), 11 studi per la revisione di efficacia (810 pazienti), e 47 studi per revisione della sicurezza (5632 pazienti). La mortalità per tutte le cause è risultata simile tra AVNA e terapia medica (3,1% vs 3,3%, rapporto di rischio relativo: 1,05, intervallo di confidenza al 95% [CI] 0,29-3,85). Non vi era alcuna differenza significativa nella durata dell'esercizio. In un'analisi dei sottogruppi, i pazienti con disfunzione sistolica basale (116 pazienti; in media FE del 44%) hanno mostrato un significativo miglioramento della FE in conseguenza alla AVNA (+4% in più, 95% CI: 3,11-4,89). Nel pool di analisi osservazionale, AVNA era anche associata ad un significativo miglioramento della frazione d'eiezione solo in pazienti con disfunzione sistolica (7,44%, 95% CI: 5,4 a 9,5). L'incidenza di mortalità correlata alla procedura (0,27%) e la presenza di aritmie maligne (0,57%) è stata bassa. Al follow-up medio di 26,5 mesi, l'incidenza di morte cardiaca improvvisa (SCD) dopo AVNA è stata del 2,1%. C'era una significativa eterogeneità nelle scale sulla qualità della vita utilizzate; rispetto alla farmacoterapia, AVNA era associata ad un significativo miglioramento di diversi sintomi (palpitazioni, dispnea).

CONCLUSIONI: Nella gestione della fibrillazione atriale refrattaria, AVNA è associata a miglioramento dei sintomi e della qualità della vita, con una bassa incidenza di morbilità periprocedurale. Nei pazienti con funzione sistolica ridotta, AVNA dimostra un piccolo ma significativo incremento dell’outcome ecocardiografico rispetto alla sola terapia medica.

Chatterjee NA, Upadhyay GA, Ellenbogen KA, McAlister FA, Choudhry NK, Singh JP., Circ Arrhythm Electrophysiol. 2011 Dec 20.

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Medicina e morale Recupero della legge naturale nella relazione medico paziente

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Medico-paziente: un rapporto in crisi

Lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie, che tanto hanno influito sulla medicina e sulla sua capacità diagnostica e terapeutica, ha portato progressivamente i medici a focalizzare l’attenzione più sulla malattia che sul paziente, modificando di fatto le interazioni cliniche, il modo di colloquiare con il malato, la formulazione di una diagnosi, con il rischio di ridurre la persona a oggetto di una cartella clinica. La tecnologia si è inserita tra il medico e il paziente: il filosofo Hans-Georg Gadamer (1993) sottolinea come l’oblio del soggetto qualifichi la riduzione della medicina intesa come arte alla medicina intesa come scienza. In un momento storico in cui la biomedicina ha toccato un livello altissimo per ciò che concerne la diagnosi e la cura delle malattie, si ha la sensazione che fallisca nei suoi compiti primari: prendersi cura dei malati, alleviare la sofferenza, fornire un contesto in cui anche la morte sia più densa di significato e più umana. Come causa della divaricazione fra i successi della medicina e il grado di insoddisfazione espresso dai pazienti sono stati ipotizzati diversi fattori, tra i quali il tecnicismo clinico che depersonalizza e rende meno evidente il ruolo del medico, la parcellizzazione delle conoscenze e la diminuzione del ‘carisma’ della figura medica.

La specializzazione medica ha frequentemente portato a un uso improprio del sapere scientifico, parcellizzato, che toglie all’operatore la visuale globale del caso, dell’organismo e della persona del paziente nella sua unità. Vi sono situazioni nelle quali il paziente si trova a consultare clinici specialisti dei settori più diversi, senza che giunga a una diagnosi e a una soluzione, con una conseguente deresponsabilizzazione di tutti. Con la medicina odierna, a elevata impronta tecnologica (si pensi alla robotica applicata alle tecniche chirurgiche), l’individuo, nella propria esperienza di paziente, avverte il disagio della estraneità, della mancanza di empatia, allorché interagisce con un medico scisso tra scienza e burocrazia, tecnologia ed economia. Basti pensare al senso di smarrimento e di abbandono che coglie il malato quando, al controllo per una determinata patologia, trova nell’ambulatorio un medico diverso da quello atteso, con il quale aveva instaurato un rapporto e iniziato una terapia, che può anche essere portatore di idee e scelte terapeutiche differenti. La mancanza di un medico di riferimento che garantisca continuità assistenziale rende il paziente più ansioso e insicuro, lasciandolo spesso da solo a decidere la direzione da prendere rispetto alla propria malattia.

Si avvia pertanto un progressivo distacco della medicina dai bisogni di salute così come vengono percepiti dai malati, che si traduce in una crescente sfiducia, fino al risentimento e persino all’ostilità, e che si manifesta con quello che è stato definito il ‘fallimento del successo’. Nonostante la medicina sia sempre più capace di guarire, sorprendentemente medici e pazienti vivono un rapporto reciproco di sospetto e delusione.

Dittatura del relativismo

Nell’Omelia della Messa “pro eligendo Romano Pontifice” l’allora Cardinal Ratzinger ebbe a pronunziare parole che suonarono come la definizione del relativismo “il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo, che non conosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.

Nella confusione imperante in questo nostro tempo, nel mezzo di una crisi che non riguarda un settore o un singolo aspetto ma che investe tutta la società: l’economia come la politica e che riguarda tutto l’occidente non si può pensare a qualche semplice palliativo, a invocare qualche parola nobile come “etica” senza che essa corrisponda alla volontà vera di impostare relazioni e fare scelte in un quadro morale coerente. C’è la necessità, non teorica ma anche esistenziale, di rimettere dei punti di riferimento, di ricominciare a distinguere “bene e male”, di ristabilire una scala di valori certi.

In questo quadro appare utile riprendere l’antico concetto di “Legge naturale”che anche negata riemerge L’istanza universalistica del Giusnaturalismo, 1 che è una concezione unitaria della vita e 1 Giusnaturalismo: Corrente filosofico-giuridica fondata su due principi: l’esistenza di un diritto naturale (conforme, cioè, alla natura dell’uomo e quindi intrinsecamente giusto) e la sua superiorità sul diritto positivo (il diritto prodotto dagli uomini). Il g., durante l’antichità e il Medioevo, era fondato sull’idea di una legge naturale, alla quale dovevano conformarsi le leggi positive: tale idea era presente in Aristotele, venne sviluppata dagli

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del mondo, si è trovata in contrasto con molti dei convincimenti su cui poggia la civiltà moderna: dalla dimensione soggettivistica che rifiuta una norma esterna all’uomo, e che sembra ne impoverisca il ruolo e l’autonomia, a quella storicista che pone tutto in continuo divenire.

Ma si assiste nella storia anche ad un periodico ritorno, qualcuno parla di “eterno ritorno”, del diritto naturale che riemerge come un fiume carsico tutte le volte che l’umanità si trova di fronte a una realtà opprimente e deludente e si devono invocare valori che servano a tirare fuori la parte migliore dell’uomo.

Anche per autorevoli espressioni del pensiero laico la esistenza di diritti innati inviolabili è la premessa per combattere ogni abuso del potere: Nomberto Bobbio, che non voleva lasciare ai cristiani la difesa del primo dei valori, quello della vita, riconosceva che “il presupposto filosofico dello Stato liberale, inteso come Stato limitato in contrapposto allo Stato assoluto, è la dottrina dei diritti dell’uomo elaborata dalla scuola del diritto naturale“.

Le tragedie e le cronache insanguinate del secolo scorso hanno visto gli appelli contro le prepotenze del potere e il diritto della forza, in nome di una legge non scritta ma più alta e solenne di quella degli Stati. Tali appelli hanno contribuito ad un rilancio dei diritti naturali. Espressione di tale moto di idee sono state le grandi Carte internazionali: La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’O.N.U. del 1948 e la Convenzione europea dei Diritti dell’uomo del 1953 ed anche le Costituzioni nazionali che riconoscono la dignità della persona e appaiono trovare la incondizionatezza oltre l’individuo e oltre ogni autorità umana.

Ai nostri giorni l’idea della legge naturale si trova a fare i conti e si interseca con almeno tre “questioni” che sono il portato della “modernità” ma che vengono accentuate e poste in una nuova dimensione anche a seguito del travolgente progresso tecnico scientifico : il rapporto tra la natura e la storia, quello tra etica e democrazia e l’emergenza di nuovi diritti, o presunti tali, di carattere individualistico che prendono il posto di quelli che si chiamavano universali e che erano ancorati a un’idea sovra-individuale di bene comune.

Giovanni Paolo II parlò, di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nell’ottobre 1995, della “grammatica della legge morale universale” che ispira “valori e principi comuni” e che “unisce gli uomini tra loro pur nella diversità delle rispettive culture ed è immutabile: rimane sotto l’evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso … Anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si può però distruggere né strappare dal cuore dell’uomo, Sempre risorge nella vita dell’uomo e delle società”.

Nuovo sguardo sulla legge naturale 2

1. Esistono valori morali oggettivi in grado di unire gli uomini e di procurare ad essi pace e felicità? Quali sono? Come riconoscerli? Come attuarli nella vita delle persone e delle comunità? Questi interrogativi di sempre intorno al bene e al male oggi sono più urgenti che mai, nella misura in cui gli uomini hanno preso maggiormente coscienza di formare una sola comunità mondiale. I grandi problemi che si pongono agli esseri umani hanno ormai una dimensione internazionale, planetaria, poiché lo sviluppo delle tecniche di comunicazione favorisce una crescente interazione tra le persone, le società e le culture. Un avvenimento locale può avere una risonanza planetaria quasi immediata. Emerge così la consapevolezza di una solidarietà globale, che trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano. Questa si traduce in una responsabilità planetaria. Così il problema dell’equilibrio ecologico, della protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima è divenuta una preoccupazione pressante, che interpella tutta l’umanità e la cui soluzione va ampiamente oltre gli ambiti nazionali. Anche le minacce che il terrorismo, il crimine organizzato e le nuove forme di

stoici, fissata in modo classico da Cicerone e ripresa da Tommaso. Nel mondo moderno il g. pone invece l’accento sull’aspetto soggettivo del diritto naturale, ossia sui diritti innati degli individui. Oltre ad alcuni giuristi-filosofi (U. Grozio, S. Pufendorf, C. Thomasius), sono giusnaturalisti alcuni tra i massimi pensatori politici dell’Età moderna: T. Hobbes, J. Locke, J.-J. Rousseau, I. Kant. Costoro condividono un ‘modello’ fondato sui seguenti elementi: stato di natura (la condizione prepolitica in cui vivono gli individui, liberi ed eguali), il patto o contratto come strumento per far sorgere lo Stato e lo Stato civile o politico (nel quale le leggi civili sostituiscono le leggi naturali). Ma ognuno di essi declina in modo differente tale modello, a seconda della propria concezione antropologica e politica: Hobbes teorizza uno Stato assoluto, Locke e Kant uno Stato liberale, Rousseau uno Stato democratico (ma non liberale). L’idea centrale del g. moderno - l’esistenza di diritti individuali innati - trovò la propria consacrazione nel documento più celebre della Rivoluzione francese, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789). 2 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE. Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale. Il documento è stato approvato all’unanimità dalla Commissione nella sessione dell’1-6 dicembre 2008

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violenza e di oppressione fanno pesare sulle società hanno una dimensione planetaria. I rapidi sviluppi delle biotecnologie, che a volte minacciano la stessa identità dell’essere umano (manipolazioni genetiche, clonazioni...), reclamano urgentemente una riflessione etica e politica di ampiezza universale. In tale contesto, la ricerca di valori etici comuni conosce un ritorno di attualità.

2. Con la loro saggezza, la loro generosità e talvolta il loro eroismo, uomini e donne sono testimoni viventi di tali valori etici comuni. L’ammirazione che essi suscitano in noi è il segno di una prima acquisizione spontanea di valori morali. La riflessione dei cattedratici e degli scienziati sulle dimensioni culturali, politiche, economiche, morali e religiose della nostra esistenza sociale nutre tale determinazione sul bene comune dell’umanità. Ci sono pure gli artisti che, con la manifestazione della bellezza, reagiscono contro la perdita di senso e rinnovano la speranza degli esseri umani. Anche uomini politici lavorano con energia e creatività per attuare programmi di rimozione della povertà e di protezione delle libertà fondamentali. Molto importante è inoltre la costante testimonianza dei rappresentanti delle religioni e delle tradizioni spirituali che vogliono vivere alla luce delle verità ultime e del bene assoluto. Tutti contribuiscono, ciascuno a suo modo e in un reciproco scambio, a promuovere la pace, un ordine politico più giusto, il senso della comune responsabilità, un’equa ripartizione delle ricchezze, il rispetto dell’ambiente, la dignità della persona umana e i suoi diritti fondamentali. Tuttavia questi sforzi possono avere successo soltanto se le buone intenzioni si fondano su un valido accordo di base circa i beni e i valori che rappresentano le aspirazioni più profonde dell’essere umano, a titolo individuale e comunitario. Soltanto il riconoscimento e la promozione di questi valori etici possono contribuire alla costruzione di un mondo più umano.

3. La ricerca di questo linguaggio etico comune riguarda tutti gli uomini. Per i cristiani, si accorda misteriosamente con l’opera del Verbo di Dio, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), e con l’opera dello Spirito Santo che fa nascere nei cuori «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22-23). La comunità dei cristiani, che condivide «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» e «perciò si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» 3, non può assolutamente sottrarsi a tale comune responsabilità. Illuminati dal Vangelo, impegnati in un dialogo paziente e rispettoso con tutti gli uomini di buona volontà, i cristiani partecipano alla ricerca comune dei valori umani da promuovere: «Quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4,8). Essi sanno che Gesù Cristo, «nostra pace» (Ef 2,14), che ha riconciliato tutti gli uomini con Dio per mezzo della croce, è il principio di unità più profondo verso il quale il genere umano è chiamato a convergere.

4. La ricerca di un linguaggio etico comune è inseparabile da un’esperienza di conversione, con la quale persone e comunità si allontanano dalle forze che cercano di imprigionare l’essere umano nell’indifferenza o lo spingono a innalzare muri contro l’altro o contro lo straniero. Il cuore di pietra — freddo, inerte e indifferente alla sorte del prossimo e del genere umano — deve trasformarsi, sotto l’azione dello Spirito, in un cuore di carne (Ez 36,26), sensibile ai richiami della saggezza, alla compassione, al desiderio della pace e alla speranza per tutti. Questa conversione è la condizione di un vero dialogo.

5. Non mancano i tentativi contemporanei per definire un’etica universale. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la comunità delle nazioni, traendo le conseguenze delle strette complicità che il totalitarismo aveva mantenuto con il puro positivismo giuridico, ha definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) alcuni diritti inalienabili della persona umana che trascendono le leggi positive degli Stati e devono servire loro come riferimento e norma. Tali diritti non sono semplicemente concessi dal legislatore: essi sono dichiarati, cioè la loro esistenza oggettiva, anteriore alla decisione del legislatore, è resa manifesta. Derivano infatti dal «riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana» (Preambolo).

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo costituisce uno dei più bei successi della storia moderna. Essa «rimane una delle espressioni più alte della coscienza umana nel nostro tempo» 4 e offre una solida base per la promozione di un mondo più giusto. Tuttavia i risultati non sono stati sempre all’altezza delle speranze. Alcuni Paesi hanno contestato l’universalità di tali diritti, giudicati troppo occidentali, e questo spinge a cercare una loro formulazione più comprensiva. Inoltre, una certa propensione a moltiplicare i diritti dell’uomo, in funzione più dei desideri disordinati

3 Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, proemio, n. 1 4 Giovanni Paolo II, Discorso del 5 ottobre 1995 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50° anniversario della sua fondazione, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII/2, 1995, Città del Vaticano, 1998, 732.

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dell’individuo consumista o di rivendicazioni settoriali che non di esigenze oggettive del bene comune dell’umanità, ha contribuito non poco a svalutarli. Separata dal senso morale dei valori che trascendono gli interessi particolari, la moltiplicazione delle procedure e delle regolamentazioni giuridiche conduce soltanto a un affossamento, che in definitiva serve soltanto gli interessi dei più forti. Soprattutto, si manifesta una tendenza a reinterpretare i diritti dell’uomo separandoli dalla dimensione etica e razionale, che costituisce il loro fondamento e il loro fine, a profitto di un puro legalismo utilitarista: Benedetto XVI, Discorso del 18 aprile 2008 davanti all’Assemblea generale dell’ONU, in AAS 100 (2008) 335: «Il merito della Dichiarazione universale è stato di aprire a culture, a espressioni giuridiche e a modelli istituzionali diversi la possibilità di convergere attorno a un nodo fondamentale di valori e quindi di diritti: ma è uno sforzo che oggi dev’essere ancora più sostenuto di fronte a istanze che cercano di reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’unità interna per favorire il passaggio dalla protezione della dignità umana all’appagamento di semplici interessi, spesso particolari. [...] Sovente constatiamo nei fatti un predominio della legalità sulla giustizia, quando si manifesta un’attenzione alla rivendicazione dei diritti che giunge sino a farli apparire come il risultato esclusivo di disposizioni legislative o di decisioni normative prese dalle diverse istanze delle autorità in carica. I diritti, quando sono presentati sotto una forma di pura legalità, rischiano di diventare proposizioni di debole portata, separati dalla dimensione etica e razionale, che costituisce il loro fondamento e il loro fine. La Dichiarazione universale ha infatti riaffermato con forza la convinzione che il rispetto dei diritti dell’uomo è radicata prima di tutto in una giustizia immutabile, sulla quale è pure fondata la forza coercitiva delle proclamazioni internazionali. È un aspetto che spesso è trascurato, quando si pretende di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una stretta prospettiva utilitarista». 6. Per spiegare il fondamento etico dei diritti dell’uomo, alcuni hanno cercato di elaborare un’«etica mondiale» nell’ambito di un dialogo tra le culture e le religioni. L’«etica mondiale» indica l’insieme dei valori obbligatori fondamentali che da secoli formano il tesoro dell’esperienza umana. Essa si trova in tutte le grandi tradizioni religiose e filosofiche. (Nel 1993, alcuni rappresentanti del Parlamento delle religioni del mondo hanno reso pubblica una Dichiarazione per un’etica planetaria, la quale afferma che «esiste già tra le religioni un consenso suscettibile di fondare un’etica planetaria; un consenso minimo che riguarda valori obbliganti, norme irrevocabili e tendenze morali essenziali». Questa Dichiarazione contiene quattro princìpi. 1) «Nessun nuovo ordine del mondo senza un’etica mondiale». 2) «Ogni persona umana sia trattata umanamente». La presa in considerazione della dignità umana è considerata come un fine in sé. Tale principio riprende la «regola d’oro» che è presente in molte tradizioni religiose. 3) La Dichiarazione enuncia quattro direttive morali irrevocabili: non-violenza e rispetto della vita; solidarietà; tolleranza e verità; uguaglianza dell’uomo e della donna. 4) Riguardo ai problemi dell’umanità, è necessario un cambiamento di mentalità, affinché ciascuno prenda coscienza della propria pressante responsabilità. È dovere delle religioni coltivare tale responsabilità, approfondirla e trasmetterla alle generazioni future.). Tale progetto, degno di interesse, è espressione del bisogno attuale di un’etica che abbia validità universale e globale. Ma la ricerca puramente induttiva, sul modello parlamentare, di un consenso minimo già esistente può soddisfare le esigenze di fondare il diritto sull’assoluto? Inoltre, tale etica minima non conduce forse a relativizzare le esigenze etiche forti di ogni religione o sapienza particolare?

7. Da molti decenni la questione dei fondamenti etici del diritto e della politica è stata messa da parte in alcuni settori della cultura contemporanea. Con il pretesto che ogni pretesa di una verità oggettiva e universale sarebbe fonte di intolleranza e di violenza, e che soltanto il relativismo potrebbe salvaguardare il pluralismo dei valori e la democrazia, si fa l’apologia del positivismo giuridico che rifiuta di riferirsi a un criterio oggettivo, ontologico, di ciò che è giusto. In tale prospettiva, l’ultimo orizzonte del diritto e della norma morale è la legge in vigore, che è considerata giusta per definizione, poiché è espressione della volontà del legislatore. Ma questo significa aprire la via all’arbitrio del potere, alla dittatura della maggioranza aritmetica e alla manipolazione ideologica, a detrimento del bene comune. «Nell’etica e nella filosofia attuale del diritto, i postulati del positivismo giuridico sono largamente presenti. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso soltanto un compromesso tra interessi diversi; si tenta di trasformare in diritti interessi o desideri privati che si oppongono ai doveri derivanti dalla responsabilità sociale» 5. Ma il positivismo giuridico è notoriamente insufficiente, poiché il legislatore può agire legittimamente soltanto all’interno di determinati limiti che derivano dalla dignità della persona umana e al servizio dello sviluppo di ciò che è autenticamente umano. Ora, il legislatore non può abbandonare la determinazione di ciò che è

5 Benedetto XVI, Discorso del 12 febbraio 2007 al Congresso internazionale sulla legge morale naturale organizzato dalla Pontificia Università Lateranense, in AAS 99 (2007) 244.

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umano a criteri estrinseci e superficiali, come farebbe, ad esempio, se legittimasse da sé tutto ciò che è realizzabile nell’ambito delle biotecnologie. Insomma, deve agire in modo eticamente responsabile. La politica non può prescindere dall’etica né la legge civile e l’ordine giuridico possono prescindere da una legge morale superiore.

8. In tale contesto nel quale il riferimento a valori oggettivi assoluti universalmente riconosciuti è diventato problematico, alcuni, desiderosi di dare comunque una base razionale alle decisioni etiche comuni, raccomandano un’«etica della discussione» nella linea di una comprensione «dialogica» della morale. L’etica della discussione consiste nell’usare, nel corso di un dibattito etico, soltanto le norme a cui tutti i partecipanti interessati, rinunciando a comportamenti «strategici» per imporre i propri punti di vista, possano dare il loro assenso. Così si può determinare se una regola di condotta e di azione o un comportamento sono morali, poiché, lasciando da parte i condizionamenti culturali e storici, il principio di discussione offre una garanzia di universalità e di razionalità. L’etica della discussione si interessa soprattutto del metodo con cui, grazie al dibattito, i princìpi e le norme etiche possono essere messe alla prova e divenire obbligatori per tutti i partecipanti. È essenzialmente un procedimento per saggiare il valore delle norme proposte, ma non può produrre nuovi contenuti sostanziali. L’etica della discussione è dunque un’etica puramente formale che non riguarda gli orientamenti morali di fondo. Corre anche il rischio di limitarsi a una ricerca di compromesso. Certo, il dialogo e il dibattito sono sempre necessari per ottenere un accordo realizzabile sull’applicazione concreta delle norme morali in una data situazione, ma non potrebbero emarginare la coscienza morale. Un vero dibattito non sostituisce la convinzioni morali personali, ma le suppone e le arricchisce.

9. Consapevoli delle attuali poste in gioco della questione, in questo documento intendiamo invitare tutti coloro che si interrogano sui fondamenti ultimi dell’etica, come pure dell’ordine giuridico e politico, a considerare le risorse che contiene una presentazione rinnovata della dottrina della legge naturale. Questa afferma in sostanza che le persone e le comunità umane sono capaci, alla luce della ragione, di riconoscere gli orientamenti fondamentali di un agire morale conforme alla natura stessa del soggetto umano e di esprimerlo in modo normativo sotto forma di precetti o di comandamenti. Tali precetti fondamentali, oggettivi e universali, sono chiamati a fondare e ad ispirare l’insieme delle determinazioni morali, giuridiche e politiche che regolano la vita degli uomini e delle società. Essi ne costituiscono un’istanza critica permanente e assicurano la dignità della persona umana di fronte alla fluttuazione delle ideologie. Nel corso della sua storia, nell’elaborazione della propria tradizione etica, la comunità cristiana, guidata dallo Spirito di Gesù Cristo e in dialogo critico con le tradizioni di sapienza che ha incontrato, ha assunto, purificato e sviluppato tale insegnamento sulla legge naturale come norma etica fondamentale. Ma il cristianesimo non ha il monopolio della legge naturale. Infatti essa, fondata sulla ragione comune a tutti gli esseri umani, è la base di collaborazione fra tutti gli uomini di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose.

È vero che l’espressione «legge naturale» è fonte di molti malintesi nel contesto attuale. A volte richiama semplicemente una sottomissione rassegnata e del tutto passiva alle leggi fisiche della natura, mentre l’essere umano, giustamente, cerca piuttosto di dominare e orientare questi determinismi per il suo bene. A volte, presentata come un dato oggettivo che si imporrebbe dall’esterno alla coscienza personale, indipendentemente dal lavoro della ragione e della soggettività, è sospettata di introdurre una forma di eteronomia insopportabile alla dignità della persona umana libera. Altre volte, nel corso della sua storia, la teologia cristiana ha giustificato troppo facilmente con la legge naturale posizioni antropologiche che, in seguito, sono apparse condizionate dal contesto storico e culturale. Ma una comprensione più profonda dei rapporti tra il soggetto morale, la natura e Dio come pure una migliore considerazione della storicità che riguarda le applicazioni concrete della legge naturale consentono di dissipare tali malintesi. Oggi è importante anche proporre la dottrina tradizionale della legge naturale in termini che manifestino meglio la dimensione personale ed esistenziale della vita morale. Bisogna anche insistere maggiormente sul fatto che l’espressione delle esigenze della legge naturale è inseparabile dallo sforzo di tutta la comunità umana per superare le tendenze egoistiche e faziose e sviluppare un approccio globale con l’«ecologia dei valori», senza la quale la vita umana rischia di perdere la propria integrità e il proprio senso di responsabilità per il bene di tutti.

(continua)