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La Nuova Estetica Italiana, a cura di Luigi Russo. FILOSOFIA.

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    La nuovaestetica italianaa cura di Luigi Russo

    Centro Internazionale Studi di Estetica

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    9Dicembre 2001Centro Internazionale Studi di EsteticaEdizione fuori commercio distribuita in omaggio

  • Questo volume pubblicato col patrocinio della Societ Italiana d'Esteticae col contributo del MURST (fondi di ricerca scientifica 40%, 1999, coordinatore scientificoprof. Luigi Russo) Universit degli Studi di Palermo, Dipartimento di Filosofia, Storiae Critica dei Saperi (FIERI), Sezione di Estetica.

  • Elisabetta Di Stefano, Fabrizio Scrivano, Giovanna Pinna, An-drea Pinotti, Pietro Kobau, Rita Messori, Salvatore Tedesco, An-namaria Contini, Oscar Meo, Maddalena Mazzocut-Mis, StefanoCatucci, Roberto Diodato, Giovanni Matteucci, Filippo Fimiani,Silvia Vizzardelli, Elena Tavani, Renato Troncon, Giuseppe Patella

    La nuovaestetica italianaa cura di Luigi Russo

    Il presente volume raccoglie gli interventi introduttivi presentati nel SeminarioLa nuova estetica italiana, promosso dal Centro Internazionale Studi di Estetica(Palermo, 27 e 28 ottobre 2001).Al Seminario hanno altres partecipato Leonardo Amoroso, Adriano Ardovino,Paolo Bagni, Fernando Bollino, Mauro Carbone, Paolo DAngelo, Giuseppina DeLuca, Giuseppe Di Giacomo, Leonardo V. Distaso, Franco Fanizza, EdoardoFerrario, Elio Franzini, Emilio Garroni, Daniele Goldoni, Tonino Griffero, Gio-vanni Lombardo, Emilio Mattioli, Pietro Montani, Paolo Pellegrino, Tito Perlini,Mario Perniola, Lucia Pizzo Russo, Maria Barbara Ponti, Luigi Russo, RobertoSalizzoni, Aldo Trione, Stefano Velotti.

  • La nuovaestetica italiana

    Leonardo Amoroso (Padova)Carlo Angelino (Genova)Paolo Bagni (Bologna)Fernando Bollino (Bologna)Mauro Carbone (Milano)Stefano Catucci (Camerino)Anna Maria Contini (Bologna)Paolo D'Angelo (Roma)Roberto Diodato (Milano)Giuseppe Di Giacomo (Roma)Elisabetta Di Stefano (Palermo)Edoardo Ferrario (Napoli)Filippo Fimiani (Salerno)Elio Franzini (Milano)Emilio Garroni (Roma)Daniele Goldoni (Venezia)Tonino Griffero (Roma)Pietro Kobau (Torino)Giovanni Lombardo (Messina)Giovanni Matteucci (Bologna)Emilio Mattioli (Trieste)Maddalena Mazzocut-Mis (Milano)Oscar Meo (Genova)Rita Messori (Trieste)Massimo Modica (L'Aquila)Pietro Montani (Roma)Giuseppe Patella (Roma)Paolo Pellegrino (Lecce)Tito Perlini (Venezia)Mario Perniola (Roma)Giovanna Pinna (Pisa)Andrea Pinotti (Milano)Lucia Pizzo Russo (Palermo)Maria Barbara Ponti (Cagliari)Lino Rossi (Bologna)Luigi Russo (Palermo)Roberto Salizzoni (Torino)Fabrizio Scrivano (Urbino)Elena Tavani (L'Aquila)Salvatore Tedesco (Palermo)Aldo Trione (Napoli)Renato Troncon (Trento)Silvia Vizzardelli (Cosenza)

    Palermo, 27 e 28 ottobre 2001Grand Htel & des Palmes

    Centro InternazionaleStudi di Estetica

    Universit di PalermoDipartimento FIERI

    Citt di PalermoAssessorato alla Cultura

  • Indice

    La nuova estetica italiana, di Luigi Russo 7

    Pomponio Gaurico e lestetica della scultura,di Elisabetta Di Stefano 9La scultura dopo la scultura,di Fabrizio Scrivano 23La parvenza del soggetto:sulla concezione hegeliana del ritratto, di Giovanna Pinna 31Arte e memoria: a partire da Warburg,di Andrea Pinotti 41Mimesi e percezione indiretta: a partire da Gibson,di Pietro Kobau 57Linguaggio e spazialit: a partire da Meschonnic,di Rita Messori 71Pietro Ramo e le ragioni dellestetica barocca,di Salvatore Tedesco 89Lestetico e il biologico: intrecci sul crinale di due saperi,di Annamaria Contini 101Lapproccio costruttivista allestetica,di Oscar Meo 119Estetica del tatto e della vista,di Maddalena Mazzocut-Mis 137Estetica dellabitare,di Stefano Catucci 145Estetica del virtuale,di Roberto Diodato 159Di una genealogia del giudizio estetico,di Giovanni Matteucci 171

  • Animalit e memoria dellimmagine,di Filippo Fimiani 187Sul realismo mistico di Vladmir Janklvich,di Silvia Vizzardelli 205Il frammento e la rovina:su alcune eredit dellestetica del 900, di Elena Tavani 215Estetica applicata: nuova prospettiva in filosofia dellarte?,di Renato Troncon 227Lestetica e la sfida degli studi culturali,di Giuseppe Patella 235

  • 7La nuova estetica italianadi Luigi Russo

    Nel passaggio epocale che attraversiamo allinizio di questo nuovomillennio, che vede crollare solidi miti culturali e radicate illusioni an-tropologiche, che va riplasmando in profondit lorizzonte del viveree lordine del sapere, pu sorprendere la constatazione che lEstetica,disciplina che nella sua fase moderna annovera pi di un quarto dimillennio, per quanto da sempre gi dai tempi del padre eponimoBaumgarten messa in discussione, dimostri un invidiabile e invidiatostato di salute, anzi una presenza pervasiva e vitale. Verosimilmenteci va riferito alla singolare capacit mostrata dallEstetica, e ricorrentelungo larco della sua storia, di metabolizzarsi continuamente, di rin-novare i suoi strumenti conoscitivi e i referenti delle sue analisi, diessere insomma sempre nuova, in linea, quando non in anticipo, conle domande del proprio tempo. Come loraziano sole di Roma: la stes-sa e pur sempre diversa.

    Con linsegna di nuova estetica italiana, qui ci si riferisce per a unquadrante pi ristretto e specifico, oggetto di un Seminario promossodal Centro Internazionale Studi di Estetica e svoltosi in Palermo il 27e 28 ottobre 2001, e di cui si pubblicano gli interventi introduttivi allediscussioni.

    In tale occasione ci siamo proposti di monitorare lo stato della ri-cerca estetica in Italia, e i nuovi orizzonti verso cui essa muove, co-gliendola in fieri, nella pregnanza e nei fermenti del suo farsi. Cos, pertararne il gradiente dinnovazione, abbiamo campionato con oculataattenzione una selezione significativa dellinsieme, rappresentata em-blematicamente dalle personalit di 18 giovani studiosi emergenti,che evidenzia pressoch tutti i pi rilevanti indirizzi di ricerca e le pisignificative realt geografico-culturali che alimentano luniverso este-tologico italiano.

    Viene fuori uno straordinario affresco, di marca schiettamente ita-liana ma affatto provinciale, che colpisce, tanto per la variet dei temiindagati e la loro capacit di cogliere le aperture del Novum, quantoper il rigore e la ricchezza dei modelli analitici proposti. una costel-lazione, infatti, che passa dalla riscoperta o la rilettura innovativa diimportanti temi ed autori della tradizione estetologica lontana e vici-

  • 8na (da Pomponio Gaurico e Pietro Ramo a Kant ed Hegel, da Bartheze Comte a Nietzsche, fino a Warburg, Rilke, Benjamin, Adorno, Gib-son, Heidegger, Beckett, Janklvich, Derrida, Meschonnic, Brandi edAssunto...) allanalisi di grosse tematiche sul tappeto del dibattito con-temporaneo (la virtualit dellimmagine, il giudizio estetico, il costrut-tivismo in estetica) fino a problemi di scottante attualit che impegna-no il nostro futuro (come il destino della scultura e delle arti un tem-po chiamate figurative, limpatto estetologico delle nuove dimensionidellaptico, dellabitare, del virtuale, gli stimolanti scenari aperti dal-lestetica applicata e dalla sfida degli studi culturali).

    Non omnia nec de omnibus. In unimpresa siffatta sarebbe stoltopensare di essere riusciti a registrare un inventario esaustivo. Siamoben consapevoli come, in ragione dinsormontabili limiti materiali, sia-no purtroppo rimaste in ombra ulteriori prospettive di lavoro, e dove-rosamente ce ne scusiamo con i loro autori. E per, siamo ugualmenteconvinti dellesemplarit di questo censimento, e siamo fiduciosi quin-di di offrire ai lettori del presente volume un bilancio fortemente at-tendibile, che conforta e rende onore alla nuova estetica italiana.

    Culla nella quale si aggiunge per dovere di cronaca a conclu-sione del Seminario nata la Societ Italiana dEstetica: SIE (http://www.siestetica.it).

  • 9Pomponio Gaurico e lestetica della sculturadi Elisabetta Di Stefano (Palermo)

    Pomponio Gaurico non un personaggio che ha lasciato significa-tiva traccia di s nella memoria collettiva 1. Della sua biografia si han-no notizie tanto scarse che i suoi principali studiosi, da HeinrichBrockhaus 2 a Eugenio Prcopo ad Andr Chastel 3, non concordanoneppure sullindicazione della data di nascita e sul periodo in cui rice-vette a Napoli una prima educazione umanistica. Maggiori informazio-ni si hanno sul soggiorno padovano (1501-2), durante il quale si de-dic allo studio della filosofia infatti fu allievo del Pomponazzi e,secondo quanto egli stesso afferma, alla pratica della scultura 4. Ma sitratta per lo pi di notizie che si possono desumere dalle sue stesseopere o da quelle del fratello Luca, celebre astrologo 5. Mentre delperiodo successivo, in cui si ferm a Roma prima di tornare a Napo-li (1512) dove gli fu affidata la cattedra di lettere latine e greche 6, siconosce ben poco e persino la notizia della sua morte violenta (1530)per mano dei sicari di un marito geloso, secondo la testimonianza diGiovio 7, tradisce i toni di una leggenda, probabilmente ispirata allesue elegie damore 8.

    Eppure, nonostante Pomponio Gaurico fosse principalmente unumanista e un letterato, la sua opera pi significativa e pi nota untrattato darte: il De Sculptura (Firenze, 1504). Se il mistero che circon-da la figura dellautore poteva forse stimolare qualche curiosit, sicura-mente gli interrogativi non esitano a sorgere se si prende in considera-zione lopera. Non stupisce tanto che si tratti di un trattato darte, poi-ch nel Cinquecento la riflessione sullarte era diventata appannaggiodegli uomini colti e fatta oggetto di inchieste 9 o conversazioni mon-dane, sullesempio del Cortegiano, a detrimento dellaspetto tecnico efabbrile; del resto erano ormai solo gli umanisti a frequentare le bot-teghe in veste di curiosi o di consulenti letterari 10. Ma ci che so-prattutto riscuote interesse la specifica arte presa in considerazione:la scultura. Si tratta infatti di unarte raramente fatta oggetto di unariflessione specifica; la rovina che ha cancellato quasi tutti gli scrittidarte dellantichit non ha risparmiato quelli sulla scultura, ma in real-t bisogna ammettere che questa pratica non ha goduto di grande con-siderazione a causa del pregiudizio aristocratico che stabiliva una ge-

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    rarchia di valore sulla base del tipo di esercizio, manuale o intellettuale,richiesto. A differenza delle altre due arti figurative la scultura nonaveva possibilit di elevarsi dalla sfera meccanica, in quanto, indipen-dentemente dalla tecnica utilizzata comportava fatica e sudore 11. Solodurante il Quattrocento, quando si sviluppa un dibattito volto ad an-noverare le arti figurative tra le discipline liberali, anche la scultura sivede riconosciuta dignit intellettuale da colui che si pu considerareil fondatore della trattatistica darte moderna: Leon Battista Alberti.Questi infatti dedica a tale pratica un intero trattato, il De statua, di-mostrando cos lautonomia e la specificit di questarte rispetto allapittura e allarchitettura.

    Strano destino quello della scultura, unarte raramente emersa allaribalta della riflessione teorica e ogni volta destinata a risprofondarenellombra dopo una fugace apparizione, trascinando nelloblio i testiche lhanno eletta a soggetto. Cos avvenuto nel Quattrocento per ilDe statua, sicuramente il trattato meno noto di Alberti e anche quel-lo a cui stata prestata minore attenzione anche dagli studiosi moder-ni 12. La stessa sorte ha avuto nel Cinquecento il De sculptura da cuiforse Gaurico sperava di ottenere la fama grazie alla novit del temamai prima affrontato; ma il testo, fin dalla sua apparizione, rima-sto poco noto in Italia 13 ed anche in epoche a noi pi vicine ha riscos-so interesse soprattutto tra gli stranieri 14. E ancora, nel Seicento, leOsservazioni della scoltura antica di Orfeo Boselli, dallautore orgoglio-samente definite materia da nessuno scrittore gi trattata, sono statedissepolte, ancora manoscritte, dalle biblioteche di Roma solo nel1978 15. Sulle motivazioni che spinsero Gaurico a cimentarsi nella teo-ria della scultura possiamo avanzare alcune ipotesi. Innanzi tutto il de-siderio di primeggiare in un campo ancora inusitato. Apparentemen-te, infatti, sembra ignorare il De statua, dato che nella lettera dedica-toria ad Ercole dEste afferma che nessuno ha finora scritto su questoargomento 16. In realt per si riscontrano nel testo alcuni echi alber-tiani 17 che lasciano presupporre da parte di Gaurico una voluta omis-sione, ai fini di esaltare la novit della sua opera. Del resto il nostroambizioso umanista era incline a tali operazioni poco corrette; infattigi qualche anno prima (1501) aveva pubblicato, spacciandoli per unapersonale scoperta, dei frammenti di Cornelio Gallo che in realt era-no dei versi di Maximiano Etrusco o Gallo, per altro gi noti ed edi-ti sotto il nome del loro vero autore 18. Inoltre, nella prima met delXV secolo, la scultura era una pratica abbastanza diffusa a Padova: vioperavano diversi seguaci locali di Donatello che aveva lavorato inquesta citt dal 1443 al 1453 e aveva riscosso notevole fama fondendoin bronzo la prima statua equestre dei tempi moderni: il Gattamela-ta 19. Infine, rispetto alle altre arti figurative, la scultura di piccoli og-getti o di medaglie si prestava particolarmente ad essere esercitata da

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    un amatore non professionista, quale era Gaurico. Una delle pratichefavorite dagli scultori dilettanti, come ci ricorda Vasari, era la fusio-ne in bronzo di medaglioni-ritratto, attivit che, non richiedendo par-ticolare fatica o specializzazione, trov rapida diffusione presso i gen-tiluomini e i cultori darte, anche perch consentiva un ampio ricorsoallerudizione umanista nellinvenzione di immagini simboliche e crip-tiche iscrizioni 20. Probabilmente era questa lattivit a cui Gaurico sidedicava nel suo atelier, come si pu desumere dal fatto che, nel suotrattato, le informazioni sulle tecniche per realizzare oggetti in bronzodi piccolo formato sono chiare e precise, mentre quando il discorso sisposta verso la scultura di grandi dimensioni diventa approssimativo eincerto.

    Se ci si sofferma sullaspetto stilistico diviene evidente la distanzache separa il testo umanistico di Gaurico da quelli pi tecnici deisuoi predecessori: per il suo linguaggio ampolloso e forbito, ricco dicitazioni classiche e di termini greci, il De sculptura si presenta comeunopera rivolta agli amatori, lontana tanto dalle raccolte medievali diprecetti ad uso degli artigiani, quanto dallesposizione di metodi perartisti colti, secondo lesempio albertiano. Non difficile cogliere ladifferenza con il De statua che, oltre ad essere molto breve, si incen-tra principalmente su un unico problema: lindividuazione di un crite-rio scientifico e razionale e luso di strumenti atti a realizzare statueproporzionate. Il De sculptura, invece, un testo con una struttura picomplessa e tocca una maggiore variet di temi: la scultura viene arti-colata in una prima fase, la ductoria, in cui si elabora mentalmentelidea e si prepara il modello. Questa fase comprende, a sua volta, ladesignatio (che include simmetria, prospettiva e fisiognomica) e lani-matio, che si riferisce allespressione. Segue poi una seconda fase, pitecnica, legata alla realizzazione vera e propria dellopera tramite fusio-ne in bronzo o altri sistemi. Il testo si conclude con una rassegna diartisti famosi. In tal senso, allora, si pu dare credito a Gaurico quan-do afferma che nessuno ha finora trattato questo argomento. Umani-sta e scultore, Gaurico volle dare ai suoi amici amatori darte quelloche fino ad allora mancava: un trattato sullottimo scultore, sulle leg-gi, sui mezzi, sulla storia della scultura antica e moderna, allo stessomodo in cui Cicerone, nel De oratore, aveva cercato lideale del perfet-to oratore, della sua educazione e dei mezzi per diventare eloquente,e nel Brutus aveva fatto la storia delleloquenza in Grecia e in Roma.

    Come stato ampiamente dimostrato 21, gli antichi testi di retori-ca svolgono un ruolo importante nellelaborazione sia della strutturasia del lessico dei trattati darte, ma soprattutto attraverso laccosta-mento alle discipline del quadrivio che le arti figurative acquistanodignit intellettuale. Negli ambienti scientifici del Quattrocento le artivisive erano ritenute degne di figurare allo stesso livello delle discipline

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    liberali soprattutto per il loro rapporto con la prospettiva. Ne unaconferma il I libro tutto matematico del De pictura (1436) albertia-no, che si incentra proprio su una complessa esposizione della pirami-de prospettica formata dai raggi che dallocchio si proiettano fino allasuperficie del dipinto. Anche Gaurico dedica un capitolo del De sculp-tura alla prospettiva, una scienza che a Padova godeva di una lungatradizione. Era ancora vivo, infatti, il ricordo del celebre Biagio Pela-cani (Biagio da Parma) che in questa citt aveva tenuto corsi di scienzetra il 1377 e il 1411 e le cui Qustiones perspectiv (1390) facevano aquellepoca testo. A partire dal XII secolo numerose enciclopedie e se-zioni filosofiche di enciclopedie avevano introdotto la prospettiva, in-sieme alla musica, nel sistema delle scienze senza collegarla con le artifigurative 22; e se ancora al tempo del Pelacani il rapporto tra ottica edisegno non si era stabilito, una generazione dopo si era gi verifica-ta una quasi totale identificazione, tanto che Lorenzo Ghiberti trascri-ve nei suoi Commentari (1447-55) interi passi degli scritti sulla pro-spettiva di Alhazen, Ruggero Bacone, Giovanni Pecham 23. Nonostantefosse una scienza tradizionalmente legata alla pittura, e per Leonar-do 24 persino suo esclusivo dominio, Gaurico ammette la possibilit ela necessit di applicarla alla scultura, per assicurare anche a questul-tima la dignit di arte del disegno. Tuttavia le riflessioni di Gauri-co sulla prospettiva non sono supportate da rigorose basi scientificheed significativo che quando accenna fugacemente allinclusione dellascultura tra le arti liberali 25, per avvalorare questa possibilit non ri-corre alle discipline del quadrivio, ma alla retorica e alla letteratura. Aben vedere le conoscenze dellumanista napoletano in materia di pro-spettiva sono molto elementari: egli si limita a giustapporre nozioniappartenenti a diverse fasi evolutive di tale disciplina, senza rendersiconto delle contraddizioni. A questa debolezza tecnica, per, fa riscon-tro unoriginale reinterpretazione della nozione stessa di prospettiva edella sua funzione: da scienza della visione diventa scienza della rap-presentazione in senso propriamente narrativo e drammatico.

    Questa prospettiva di narrazione si occupa della scelta dei per-sonaggi, delle posizioni, dei gesti e delle azioni ai fini della messa inscena del soggetto ed qui che prendendo spunto dalla definizionepliniana della prospettiva come scienza che stabilisce le distanze 26,Gaurico enuncia unoriginale distinzione tra tre possibili vedute: oriz-zontale o ojptikhv, dal basso o ajnwptikhv, dallalto o kaqwptikhv. Sitratta di precetti utili per la rappresentazione di personaggi disposti supi piani: le scene affollate, come le battaglie, mal si prestano ad unaveduta in rectum (ojptikhv), mentre se si eleva il punto di vista (kaqw-ptikhv) la disposizione dei gruppi, il numero e la grandezza delle figuree le loro reciproche distanze diventano pi chiari ed evidenti. Vienecos elaborata una perspectiva superior ovvero una sorta di prospettiva

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    di composizione 27 che, incentrandosi sulla qualit della chiarezza, assimilata per associazione verbale alla nozione retorica di perspicui-tas. Le caratteristiche di questa prospettiva superiore sono safhvneia(purezza) ed eujkrineiva (distinzione) 28. Questultima a sua voltacomprende: lejnavrgeia 29 (evidenza), quando rappresentato chia-ramente sia ci che precedeva sia ci che sta avvenendo (quodque pr-cesserit, quodque fit); l e[mfasi" 30, quando raffigurato ci che sta peravvenire (quid futurum iam sit); lajmfiboliva 31, quando rimane il dub-bio circa il senso dellazione in corso. In ambito retorico la perspicui-tas consiste nella comprensibilit intellettuale del discorso ed unacondizione preliminare della credibilit, determinante per ottenere lapersuasione e quindi il successo. Tuttavia loratore o il poeta pu con-cedersi talvolta la licenza dellobscuritas, che implica la collaborazionedel pubblico per completare certe oscurit e rendere chiaro il messag-gio. degno di nota che dopo aver ribadito pi volte limportanzadella chiarezza descrittiva (perspicuitas), di cui le precedenti nozio-ni non solo altro che attributi, Gaurico sembra apprezzare in modoparticolare lunica categoria che antepone lambiguit allevidenza. Ri-corda infatti le lodi che gli antichi tributavano allanfibolia dipinta daPolygnoto di Thasos 32 e menziona persino unico caso in cui riescead indicare oltre agli esempi letterari anche un modello plastico 33 una propria opera in bronzo: un cavaliere nellatto di salire o forse discendere da cavallo.

    Questa scultura che raffigura unazione ambigua richiama alla men-te le affermazioni sul moto: Gaurico distingue movimenti iniziali (quomincipimus moveri), medi (quom intra inicium finemque versantur) e fi-nali (ad finem fere pervenerint). evidente che le sue preferenze van-no alle sculture di personaggi in azione, infatti anche tra le figure inposizioni statiche loda quelle che rappresentano o il risultato di unmovimento o avviarsi al movimento. Ancora una volta laccento battesu ci che in fieri e quindi indeterminato, piuttosto che su ci che gi compiuto e perci chiaro. Il momento transitorio in cui lazione colta nella sua ambiguit si rivela cos particolarmente produttivo per-ch lascia aperte infinite possibili direzioni. Gaurico per non svilup-pa ulteriormente questo concetto a cui circa due secoli e mezzo pi tar-di Lessing avrebbe conferito un ben maggiore spessore speculativo.Questi infatti nel Laocoonte (1766), mettendo in rilievo i differenti mez-zi espressivi adoperati dalla poesia, arte del tempo, e da pittura e scul-tura, arti dello spazio, afferma che se lartista costretto a cogliere dellamutevole natura umana un unico momento, tale momento deve esse-re fecondo, ovvero deve lasciare libero gioco allimmaginazione 34.Pertanto lazione non deve essere rappresentata nel suo punto culmi-nante, perch in tal modo tutto viene svelato e non rimangono incer-tezze che lascino presagire differenti sviluppi. Lartista quindi deve

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    saper cogliere quel momento in cui losservatore non solo vede, mariesce ad arricchire e completare limmagine con la sua fantasia. Cosla Medea dipinta da Timomaco 35 non rappresentata nellatto estre-mo e definitivo in cui uccide i suoi figli, ma poco prima, quando listin-to materno ancora lotta con la gelosia, e limmaginazione dellosserva-tore, nel dubbio, pu ipotizzare luna o laltra soluzione. A differenzadella poesia, che pu descrivere unazione nella sua continuit tempo-rale, le arti figurative devono limitarsi ad un solo momento, perci, se-condo Lessing, devono scegliere quello pi pregnante in cui, attraversola sintesi di ci che accaduto e di ci che sta per accadere, si sugge-risce uno svolgimento temporale denso di potenzialit immaginative.

    Il gruppo scultoreo del Laocoonte diviene nel 700 il fulcro epocaleintorno al quale ruota la riflessione sulla scultura. Dopo Winckel-mann 36 e Lessing anche Goethe riprende la questione e consiglia lascelta di un momento transitorio nelle rappresentazioni figurative,perch lazione in fieri conserva tutta la sua ambiguit e favorisce unamaggiore sollecitazione per la fantasia: un attimo prima nessuna partedeve essersi trovata in questa situazione, e un attimo dopo ogni partedeve essere costretta a lasciarla; in tal modo lopera sar sempre e dinuovo viva per milioni di spettatori 37.

    Questi concetti nel De sculptura sono impliciti e lo stesso Gauriconon ne ha una piena consapevolezza teorica; cos la nozione di mo-mento o movimento transitorio, che pure si prestava, come poi av-venne, a una pi complessa elaborazione speculativa, viene confinataentro langusta categoria retorica dellanfibolia. Daltro canto la suaformazione umanistica lo portava verso unaltra strada. significativo,ad esempio, che pur manifestando esplicitamente il suo apprezzamen-to per la Medea di Timomaco, combattuta tra lamore materno e lim-pulso di vendicare loffesa inflittagli dal marito Giasone, citi lopera elautore non in riferimento alla questione del momento fecondo, perdirla con Lessing, bens nel capitolo dedicato agli artisti famosi e sem-bri interessato soprattutto ai pregi letterari della sua fonte: Un elegan-te epigramma greco celebra la Medea di questo Timomaco, che, chia-ramente ferita dallamore, nellatto di vendicare col sangue dei figliloffesa del padre, sembrava volerli sia salvare sia uccidere 38.

    In linea con la tradizione umanistica dellut pictura posis, per Gau-rico le arti figurative possono conquistare dignit intellettuale solo con-formandosi alle arti del linguaggio. Tuttavia necessario comprende-re il senso che lut sculptura posis, per meglio dire, assume nel trattato,cercando di sciogliere i nodi che ne oscurano linterpretazione.

    La convinzione dellanalogia tra arti visive e letterarie sottende tut-to il testo e in particolare il primo capitolo incentrato sullelogio del-la scultura: gli scrittori operano con le parole, mentre gli scultori conle cose; i primi raccontano, i secondi mostrano forme; gli uni non sem-

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    pre riescono a sedurre il troppo altero senso delludito, gli altri soddi-sfano gli occhi e tengono avvinti tutti gli uomini come si fa con unmagnifico spettacolo. A conti fatti, penso che le due arti siano legatetra loro in virt di una cos grande somiglianza e familiarit, da nonpermettere in alcun modo che le si separi 39.

    Allinizio del dialogo Raffaele Regio, uno degli interlocutori, mani-festa il suo stupore per il fatto che lamico si dedichi pochissimo allostudio dei classici, preferendo impegnarsi nellarte plastica, che co-munque entrambi reputano pratica nobile e degna di un uomo libe-ro. In un primo tempo sembra quindi che lumanista napoletano pri-vilegi la scultura rispetto alla letteratura, pur nellidentit tra le duearti, gi affermata nei primi paragrafi giocando sul duplice valore se-mantico del verbo grafei'n (scrivere, ma anche disegnare). In re-alt il fervore che anima lapologia della scultura determinato dal de-siderio di esaltare una pratica di cui si proclama cultore, ma quandola riflessione diventa pi tecnica, Gaurico approfondisce i rapporti trapoesia e scultura e, da buon umanista, assegna alla prima unindiscussasuperiorit sulla seconda 40. Ci evidente gi a proposito della forma-zione richiesta allo scultore che, secondo lideale dellartista dotto pro-posto da Alberti 41, deve basarsi sui classici poich, per Gaurico, nonpu esserci scultura senza cultura letteraria, e neppure cultura lettera-ria senza scultura 42. Tuttavia il trionfo della poesia diviene pienoquando si affronta il problema delle finalit imitative della pratica scul-torea. Desta infatti profondo stupore e imbarazzo il fatto che lautoredi un trattato sulla scultura, e persino scultore egli stesso, esorti gli ar-tisti a preferire come modello il cavallo di Domiziano descritto nelleSelve di Stazio alla statua equestre di Donatello raffigurante Erasmo daNarni detto il Gattamelata. Questo comportamento ha una duplicespiegazione: la prima, pi generale, si ricollega ad una prassi diffusa inambito umanistico; la seconda, pi particolare, ci riconduce alla pro-babile fonte: lOlimpico di Dione Crisostomo.

    Lesperienza che gli umanisti hanno delle opere darte spesso fil-trata attraverso schemi letterari: ad esempio il tema delle rovine diRoma, frequente nel Quattrocento quando comincia a nascere una co-scienza antiquaria, diviene un topos poetico e i cenni alle celebri operedi Scopas, Prassitele e Fidia in unelegia di Cristoforo Landino 43 sem-brano pi il frutto di una rielaborazione letteraria che di un contattodiretto e personale con le opere. Anche Poliziano, pur mostrando in-teresse per le arti figurative, antepone le letture allesperienza visivadiretta. degno di nota il fatto che, durante un soggiorno romano trail 1484 e il 1488, la celebre statua equestre di Marco Aurelio desti lasua attenzione solo perch il gesto della mano levata gli consente unachiara comprensione del verso in cui Stazio fa riferimento al Colossodi Domiziano: Dextra vetat pugnas 44. Alla radice di questo atteggia-

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    mento c la convinzione che la parola possiede la capacit di penetra-re lessenza delle cose e di comunicare i sensi riposti; non cos le im-magini artistiche che, mute, si limitano semplicemente a mostrare for-me esteriori. Ad esempio uno dei topoi ricorrenti nei giudizi sulle ope-re darte, dallantichit al Rinascimento, quello delle statue che paio-no vive: questa vita apparente, infatti, sembra conferire anche allartela possibilit della parola e consente allosservatore lillusione che essapossa vincere il suo depauperante silenzio 45.

    A queste riflessioni generali si pu aggiungere una considerazionefilologica: nellattribuire alla poesia un ruolo privilegiato rispetto allascultura, Gaurico segue una fonte precisa. Infatti quando cita lesem-pio di Fidia, che per lo Zeus di Olimpia prese a modello la descrizio-ne fatta da Omero 46 nellIliade, probabilmente ha presente il XII di-scorso (detto lOlimpico) di Dione Crisostomo, in cui la superioritdella poesia sulle arti figurative affermata per bocca dellinsigne scul-tore 47. significativo che anche in questo caso la magnificenza dellacelebre statua dichiarata attraverso il noto topos, infatti nel finale alloZeus di Fidia viene conferita lunica cosa che sembra mancarle perraggiungere la pienezza espressiva di unimmagine vivente: la parola(XII, 85) 48.

    LOlimpico, tra i discorsi di Dione, quello che presta maggiorattenzione allarte, anche secondo una prospettiva teorica; non si limitaad affermare, tout court, la superiorit della poesia sulla scultura, machiarisce le differenze tra le due arti sulla base dei loro mezzi espres-sivi: il poeta si serve di parole, un materiale altamente plasmabile chenon solo pu comunicare qualsiasi idea grazie alla copiosa ricchezza dellinguaggio, ma si presta anche a nuove combinazioni di suoni e di si-gnificati (onomatopee, neologismi), consentendo enorme libert espres-siva e rapidit di esecuzione; inoltre pu rappresentare molti personag-gi in differenti attitudini e descrivere il movimento e il divenire delleimmagini in relazione al trascorrere del tempo. Al contrario lo scultoresi serve di materiali resistenti e duri, ma al contempo che si prestinoad essere lavorati, quindi materiali non facili da trovare si pensi allararit del marmo pentelico e che in ogni caso comportano unesecu-zione lenta e laboriosa. Per di pi lo scultore ha bisogno di molti as-sistenti e di un soggetto in una posizione immobile e precisa. Se veroil detto popolare che gli occhi sono pi veritieri delle orecchie affer-ma Dione anche vero che sono pi difficili da convincere ed esi-gono maggiore chiarezza. Lo scultore, pertanto, dovr cercare di ren-dere attraverso unimmagine ricca di particolari e di simboli tutte quellecaratteristiche che il poeta indica con gli epiteti 49.

    Si tratta di una questione di grande rilevanza speculativa che ver-r ripresa e ampiamente elaborata nel Settecento da Lessing; ma al dil dei possibili contatti tra i due autori 50, qui interessa soprattutto

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    collocare il De sculptura sulla linea di quel percorso ideale che dal-lOlimpico giunge al Laocoonte.

    La scarsa comprensione del ruolo di Gaurico allinterno di questaproblematica ha causato talvolta incomprensioni, complicando ulterior-mente laltalena dei rimbalzi tra preferenza alla poesia e preferenza allascultura allinterno del trattato. Infatti se nel primo capitolo, dopo lac-corato elogio della scultura, Gaurico ha dichiarato la superiorit delmodello poetico, nellultimo, dedicato agli artisti celebri, sembra ante-porre nuovamente la scultura alla poesia. Prendendo spunto da unpasso della Periegesi (IV, 30, 6) di Pausania relativo al simulacro diTyche, Gaurico confronta la raffigurazione della dea realizzata dalloscultore Bupalo con quelle di Omero e Pindaro. In questa circostan-za egli antepone ai due poeti Bupalo, per la dovizia di particolari concui ha simbolicamente indicato la potenza e la sfera di influenza del-la dea; mentre Omero, nellInno a Demetra (v. 420) si limitato a de-signare Tyche come una delle figlie di Oceano e Pindaro, in un fram-mento oggi sconosciuto, non si dilungato in particolari descrittivi 51.Solo apparentemente questo passo ribalta la tesi della superiorit dellapoesia, poich qui non viene istituita una comparazione di valore tralo scultore e i due poeti (altrimenti Bupalo sarebbe superiore allo stes-so Omero, contraddicendo quel primato che Gaurico gli attribuiscepi volte nel corso del trattato). Si tratta infatti di una questione dinatura tecnica: la maggiore o minore ricchezza di particolari ed ele-menti decorativi nella rappresentazione della dea Tyche. In questo spe-cifico caso lo scultore andato oltre i due poeti per aver raggiunto unamaggior chiarezza rappresentativa.

    Ecco che il cerchio si chiude e si ritorna alla perspicuitas. Limma-gine attraverso la ricchezza dei particolari deve esprimere in un solomomento quello che la parola pu indicare attraverso la narrazionecontinua. un concetto che Gaurico ribadisce pi volte: infatti altroveafferma che una statua deve essere realizzata con vari attributi s dafar intendere pi cose contemporaneamente. Cos P. Scipione, consoleprima dellet legale, mandato a Cartagine con pieni poteri, sconfissein battaglia Asdrubale, vinse Cartagine, ottenne il trionfo per questavittoria, port la pace al popolo romano, allora faremo la statua diScipione in modo che si possa chiaramente riconoscerlo allo stessotempo giovane, console, generale, combattente, vincitore, trionfatore epersino pacificatore 52. Ma poi ancora una volta trae i suoi modellirappresentativi dalla letteratura: Nelle Selve di Stazio possiamo notareche la statua di Domiziano era dello stesso genere, cos come il Pari-de, realizzato dallillustre maestro, appariva contemporaneamente pa-store, giudice e amante 53.

    Gaurico sicuramente ha intuito alcune questioni cruciali per leste-tica della scultura, ma le ha affrontate da una prospettiva tipicamente

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    umanista volta a privilegiare la parola sullimmagine. Eppure talvoltaquesto paradigma ermeneutico presenta qualche squarcio, ad esempioquando Gaurico fallisce nel tentativo di applicare allarte scultorea lemedesime categorie retoriche della poesia (safhvneia, eujkrineiva, ejnavr-geia, e[mfasi"), riuscendo ad indicare solo per lanfibolia un esempio discultura, la propria. A questo proposito stato detto che se Gauricofosse riuscito nella sua impresa, avrebbe aperto un nuovo capitolo dellacritica darte 54, in realt proprio questa impossibilit a trovare esem-pi scultorei rivela che in fondo, per Gaurico, il modo di procederedella scultura e della letteratura sono diversi. Di conseguenza non sem-bra cogliere nel segno Brockhaus, quando separa Gaurico da Lessingsulla scorta che questultimo indichi pi le differenze che le affinit trapoesia e arti figurative 55. Infatti i punti di contatto tra i due autorisono evidenti. Ignoriamo se Lessing abbia letto il De sculptura, masicuramente possibile che abbiano avuto in Dione una fonte comune.In ogni caso si pu tracciare una linea ideale che nel retore greco, nel-lumanista napoletano e nel filosofo tedesco trova, pur nella diversitdei contesti storici, tre momenti significativi in cui la questione dellutpictura posis si riproposta ed stata, al di l delle evidenti analogie,diversamente interpretata.

    1 Pomponio Linguito (il nome Gaurico col quale stato sempre conosciuto insieme alpi noto fratello Luca in realt un toponimico) nacque tra il 1481 e il 1485 a Gauro, nel-la contea di Giffoni, presso Salerno, tuttavia dai suoi contemporanei fu sempre indicato comenapoletano, forse perch cos era solito firmare le sue opere. E. Prcopo, Pomponio Gau-rico umanista napoletano, Atti della reale accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti,vol. XVI, 1891-3, p. 147.

    2 Heinrich Brockhaus ha curato la prima edizione critica del De sculptura (Leipzig, 1886),eseguita secondo criteri scientifici. Il testo, corredato di traduzione in lingua tedesca, pre-ceduto da unampia introduzione.

    3 Alla collaborazione di Andr Chastel e Robert Klein si deve una nuova edizione del Desculptura (Genve, Droz, 1969) con traduzione francese e un ricco commento.

    4 Il dialogo secondo cui si struttura il testo ambientato a Padova, durante lestate del1502, nellatelier in cui Gaurico esercita la pratica scultorea, ed proprio durante la conver-sazione con il professore di retorica Raffaele Regio e il filosofo aristotelico e collezionista Leo-nico Tomeo che Gaurico fa riferimento ad alcune sue opere scultoree, di cui per non cirimane alcuna traccia n testimonianza: un ritratto dellamico Calpurnio (De sculptura, a curadi A. Chastel, cit., p. 129) e un bronzo raffigurante un soldato nellambigua posizione disalire o scendere da cavallo (ibid., p. 199).

    5 A Luca Gaurico dedicata la prima parte del volume I Gaurico e il Rinascimento me-ridionale, a cura di A. Granese, S. Martelli, E. Spinelli, Salerno, Centro studi sullUmanesi-mo meridionale, Universit di Salerno, 1992.

    6 Durante il periodo napoletano fu anche precettore del principe di Salerno, FerranteSanseverino, e della principessa Isabella. C. Bianca, Il soggiorno romano di Pomponio Gaurico,in I Gaurico e il Rinascimento meridionale, cit., pp. 147-59. Pi in generale cfr. C. De Frede,I lettori di umanit nello Studio di Napoli durante il Rinascimento, Napoli, 1969.

    7 Paolo Giovio, Elogia doctorum vivorum, LXXV, (Venezia, 1536). Antonio Sebastiani det-to il Minturno, nel libro VI del De Poeta (Venezia, 1559), fornisce una versione differente: in-torno al 1528 Gaurico sarebbe caduto nelle mani dei Francesi. In seguito accusato di tradi-

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    mento, sarebbe andato in esilio volontario e sarebbe morto in solitudine. P. Giannantonio,Pomponio, gli Umanisti napoletani e la Corte Aragonese, in I Gaurico e il Rinascimento meri-dionale, cit., pp. 106-07.

    8 Dopo il ritorno a Napoli, Gaurico scrive una raccolta di ventinove elegie (Elegiarumlibri, 1523) in cui, sul modello di Ovidio, Properzio e Tibullo, canta la sua sofferta passionedamore per una donna gi sposata. S. Prete, Il libro delle Elegie di Pomponio Gaurico e L.Nicastri, Properzio coturnato: litinerario poetico di Pomponio Gaurico elegiaco, in I Gaurico eil Rinascimento meridionale, cit., risp. pp. 161-72 e 173-246.

    9 Nel Cinquecento va scomparendo lartigianalit del mondo artistico quattrocentesco,che ancora caratterizzava le opere di Leonardo e Drer. Ormai siamo in presenza di un mu-tato clima, di una nuova figura di scrittore darte. Esaminando i testi sulle arti, apparsi nel-la prima met del XVI secolo, si constata che si tratta per lo pi di inchieste, domande, dia-loghi redatti da umanisti interessati alle arti, ma privi di esperienza pratica. Si pensi allinchie-sta sulla maggioranza delle arti di Benedetto Varchi, ai Dialoghi di Francisco de Hollanda,Paolo Pino, Ludovico Dolce, alla Diceria di Francesco Doni.

    10 Robert Klein ha sottolineato come proprio agli esordi del XVI secolo la riflessionesullarte stava entrando in una nuova fase che si pu definire volgarizzazione di livello.Cfr. R. Klein, Pomponio Gaurico e il suo capitolo De perspectiva (1961), in Id., La forma e lin-telligibile. Scritti sul Rinascimento e larte moderna, (1970), Torino, Einaudi, 1975, p. 256.

    11 Significativo in tal senso il giudizio di Plutarco, Vita di Pericle, in Vite Parallele, a curadi C. Carena, Milano, Mondadori, 1981, p. 546: Chi attende a un lavoro manuale e vile, conla fatica stessa che spende in cose inutili testimonia la propria indifferenza verso le nobili.Nessun giovane ben nato, dopo aver visto lo Zeus di Pisa [Olimpico] o lEra di Argo bramessere Fidia o Policleto [...] Se un prodotto ci diletta perch grazioso, non necessariamentedegno dinvidia il produttore. Il concetto ripreso da Luciano (Il sogno o la vita di Lucia-no, 9, trad. it. di S. Maffei, in Descrizioni di opere darte, Torino, Einaudi, 1994, p. 9) il qualeribadisce che, nonostante si lodino le opere scultoree, nessun uomo dotato di senno stime-rebbe lartefice che rimane pur sempre un operaio, uno che lavora con le mani.

    12 Si pensi che per lungo tempo il De Statua stato conosciuto solo attraverso il volga-rizzamento di Cosimo Bartoli (Opuscoli morali, Venezia, 1568), erroneamente creduto ope-ra dello stesso Alberti. Il testo latino (con traduzione in tedesco) fu pubblicato per la primavolta, alla fine dellOttocento, da H. Janitschek, L. B. Albertis kleinere kunsttheoretische Schrif-ten, Wien, Braumller, 1877. Unedizione critica, condotta secondo criteri scientifici, si devea C. Grayson, On Painting. On Sculpture, London, Phaidon, 1972, mentre solo recentementesono apparse alcune moderne traduzioni a cura di M. Collareta, Livorno, Sillabe, 1998 e diM. Spinetti, Napoli, Liguori, 1999.

    13 Le 10 e pi ristampe dellopera sono realizzate tutte, tranne una, fuori dellItalia. Pochisono tra i contemporanei i riferimenti al De sculptura: oltre al Placido ne parla Giovio, maprobabilmente senza aver visto il testo, poich fa cenno a tre libri diversi: sulla fisiognomi-ca, sullarchitettura, sui metalli. E. Prcopo, Pomponio Gaurico umanista napoletano, cit., p.145.

    14 Ledizione critica del Brockhaus risale al 1887 e quella curata da Andr Chastel eRobert Klein al 1969, tanto che ancor oggi si pu ritenere valido il giudizio pronunziato a fineOttocento da Eugenio Prcopo (Pomponio Gaurico umanista napoletano, cit., p. 145), che con-statava come nessuno in Italia si fosse ancora occupato in modo specifico di questopera.

    15 La ristampa anastatica dei manoscritti Corsini e Doria Pamphili stata curata da P.Dent Weil (O. Boselli, Osservazioni sulla scoltura antica, Firenze, S.P.E.S., 1978).

    16 P. Gaurico, De sculptura, a cura di A. Chastel e R. Kelin, cit., p. 41.17 Un evidente calco albertiano il passo relativo alla differente rappresentazione di Er-

    cole in lotta con Anteo o tra le braccia di Deianira. P. Gaurico, De sculptura, cit., 6, p. 55.Cfr. L. B. Alberti, De statua 5, trad. it. Livorno, Sillabe, 1998, p. 9.

    18 A. Chastel, Introduzione al De sculptura, cit., p. 12.19 Sullattivit artistica a Padova nel Cinquecento si veda lo studio di Ch. Seymour jr.,

    Sculpture in Italy, 1400-1500, Harmondsworth, The Pelican History of Art, 1966, p. 201 e ss.20 U. Middeldorf, On the dilettante sculptor, Apollo, vol. 107, n. 2, 1978, p. 319; M. G.

    Trenti Antonelli, Il ruolo della medaglia nella cultura umanistica, in Le muse e il principe: artedi corte nel Rinascimento padano, Modena, Panini, 1991, vol. 1, pp. 25-35.

    21 Per i rapporti tra la retorica e i trattati darte cfr. R. W. Lee, Ut pictura poesis. La teo-ria umanistica della pittura, 1940, trad. it. Firenze, Sansoni, 1974; M. Baxandall, Giotto e gli

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    umanisti, Milano, Jaca Book, 1994; B. Vickers, Storia della retorica, Bologna, Il Mulino, 1994.Per questioni pi generali si veda F. Tateo, Retorica e Poetica fra Medioevo e Rinascimento,Bari, Adriatica, 1960; J. E. Seigel, Rhetoric and Philosophy in Renaisance Humanism. TheUnion of Eloquence and Wisdom, Petrarch to Valla, Princeton (N. J.), Princeton UniversityPress, 1968; J. Murphy, La retorica nel Medioevo. Una storia delle teorie retoriche da S. Ago-stino al Rinascimento, Napoli, Liguori, 1983.

    22 Questo avveniva anche nel De divisione philosophi di Marsilio Ficino. Sul parallelotra la prospettiva e la musica considerate come applicazioni del quadrivium cfr. TommasodAquino, Summa theologica I, I, 2, 3. significativo, inoltre, che intorno al 1445 nel Com-mentariolus de laudibus Patavii, Michele Savonarola senta il bisogno di scusarsi con i musi-cisti della citt per aver citato i discepoli della prospettiva, cio i pittori, prima dei musi-cisti. R. Klein, Pomponio Gaurico e il suo capitolo De perspectiva, cit., p. 252.

    23 L. Bartoli, Introduzione a L. Ghiberti, I Commentari, Firenze, Giunti, 1998, p. 33 e ss.24 Leonardo da Vinci (Trattato della pittura, Milano, TEA, 1995, 13, p. 11) definisce la

    prospettiva figliuola della pittura; perch il pittore quello che per necessit della sua arteha partorito essa prospettiva; e ancora al 21, p. 21, la chiama principal membro di essapittura.

    25 P. Gaurico, De sculptura, 2, cit., p. 41.26 Plinio (Naturalis Historia, XXXV, 80, a cura di S. Ferri, Milano, Rizzoli, 2000, p. 201)

    definisce la prospettiva come ci che determina quanto quid a quoque distare deberet.27 Secondo la definizione di A. Chastel e R. Klein, De sculptura, cit., 7, p. 196.28 costante in Gaurico lo sforzo di adattare gli schemi concettuali della retorica e della

    poetica alla scultura, cercando in realt con scarso successo di creare un lessico nuovo apartire dal greco.

    29 Quintiliano, Institutio Oratoria, VI, 2, 32, a cura di O. Frilli, Bolgna, Zanichelli, 1987,p. 44. Si ricordi che il termine ejnavrgeia si collega etimologicamente alla radice ajrg- espri-mente lidea di intensa lucentezza e chiarezza, implica quindi lestrema visibilit, donde il si-gnificato di evidentia.

    30 Ibid., VIII, 3, 83, p. 58. Lenfasi nella retorica ha lo scopo di lasciare intuire ci che nonviene detto.

    31 Gaurico afferma di mutuare tali categorie da Ermogene (Periv ijdew'n, I, 2), ma in realtle rielabora utilizzando dei passi dellInstitutio oratoria. Ad esempio il contesto in cui la no-zione di anfibolia utilizzata e gli esempi letterari citati tradiscono una provenienza quinti-lianea. Cfr. Quintiliano, cit., VII, 9, e A. Chastel, cit., p. 178.

    32 In realt lanfibolia dipinta da Polignoto non oggetto di lode in Plinio che si limitasemplicemente a riportare il fatto (Naturalis Historia, XXXV, 59, cit., p. 177: Di lui [Poligno-to] c un quadro nel Portico di Pompeo, e che prima era dinanzi alla Curia di Pompeo stes-so; vi rappresent un guerriero con uno scudo, il quale non si sa se monti o se scenda).Anche lanfibolia del linguaggio non particolarmente apprezzata dai retori: contrariamen-te a Gaurico sia Ermogene sia Quintiliano considerano lambiguit un difetto e non un or-namento dello stile. Il divieto dellanfibolia ai fini della puritas espressiva si trova gi in Ari-stotele (Retorica III, 5, 5, 1407a). Cfr. H. Lausberg, Elementi di retorica, 130-133, Bologna,Il Mulino, 1969, pp. 79-81. il caso di ricordare che, prima di specializzarsi come termineretorico, lanfibolia indicava presso gli storici (Erodoto, V, 74; Tucidide, II, 76, 3; IV, 32, 3) lacondizione di chi subisce un attacco da due parti. Il significato originario rende con effica-cia lo stato di dubbio circa la direzione in cui volgere il movimento. Su tutti questi terminichiave della retorica antica si rivela prezioso il ricco commento di G. Lombardo a Demetrio,Lo Stile, Palermo, Aesthetica, 1999.

    33 P. Gaurico, De sculptura, cit., 7, p. 201, trad. it. nostra: Ma per tutte queste figu-re, tranne che per lanfibolia, ci accontenteremo una volta per tutte di questo solo esempiopoetico, poich che cosa si potrebbe trovare tra gli scultori?.

    34 G. E. Lessing, Laocoonte, trad. it. di M. Cometa, Palermo, Aesthetica, 20002, pp. 29-30. Linteresse della teoria di Lessing non consiste tanto nella teoria non nuova, anche seaffrontata con nuova sistematicit, della differenza tra le arti, quanto nellaver eletto la suc-cessione temporale a principio di riconoscimento della letteratura.

    35 Timomachos di Bisanzio (I sec. a. C.). Plinio, Naturalis Historia, XXV, 136, cit., p. 241.36 Per Winckelmann il Laocoonte assurge ad exemplum di quella bellezza assoluta e idea-

    le che fu raggiunta solo dalla scultura greca. J. J. Winckelmann, Pensieri sullimitazione, Pa-lermo, Aesthetica, 20012.

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    37 J. W. Goethe, Sul Laocoonte, (1798), trad. it. di M. Cometa, in Laocoonte 2000, Paler-mo, Aesthetica Preprint n. 35, 1992, p. 97.

    38 P. Gaurico, De sculptura, VIII, cit., p. 253 (trad. it. nostra). Come notano i curatori(ibid., n. 21), si tratta di una libera traduzione dellepigramma IV, 181 dellAntologia curatada Lascaris (Firenze, 1494), in cui il tema viene pi volte ripreso: II, 159 e 206; III, 201; IV,103, 182 e 300.

    39 P. Gaurico, De sculptura, 2, cit., p. 43 (trad. it. nostra).40 Si tratta di apparenti contraddizioni che hanno talvolta fuorviato le interpretazioni

    degli studiosi (ad esempio H. Brockhaus, cit., p. 14), inducendoli a vedere in Gaurico unsostenitore della superiorit delle arti figurative sulla poesia cosa piuttosto anomala in unumanista , senza che poi riuscissero a spiegare i successivi cambiamenti di rotta (ibid., p. 80,n. 1).

    41 Limmagine dellartista dotto viene creata da L. B. Alberti. Per pur consigliando alpittore la lettura di opere poetiche e retoriche che molto gioveranno a bello componerelistoria (De pictura, III, 53, a cura di C. Grayson, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 92), sugge-rendogli soggetti interessanti, Alberti non antepone il sapere letterario a quello tecnico. In-fatti il I libro del De pictura si sofferma estesamente sui fondamenti scientifici dellarte (punto,linea, superfici) e anche nel De re dificatoria (IX, 10, trad. it. LArchitettura, a cura di G. Or-landi e P. Portoghesi, Milano, Il Polifilo, 1966, p. 860) sono considerati indispensabili allaformazione dellarchitetto il disegno e la matematica. Si tratta tuttavia di un topos ricorren-te per tutto il Rinascimento; anche Ghiberti (I Commentari, I, II, 4, cit., p. 47), per limitar-ci al Quattrocento, sostiene la necessit di un artista dotato non solo di ingegno e disciplina,ma anche esperto nelle lettere, nella geometria, filosofia, medicina, astrologia e prospettiva,e soprattutto perfectissimo disegnatore.

    42 P. Gaurico, De sculptura, 10, cit., p. 67, trad. it. nostra.43 C. Landino, Xandra, II, 30, in Poeti latini del Quattrocento, a cura di F. Arnaldi, L.

    Gualdo Rosa; L. Monti Stabia, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1964, p. 193. Landino si inseriscenella tradizione letteraria e topografica segnata dai nomi di Flavio Biondo (Roma instaurata,1444-46), Poggio Bracciolini (De varietate fortun, 1448), Giovanni Tortelli (articolo Romanel De orthographia, 1451) e per la poesia Enea Silvio Piccolomini (carme LI, De Roma, inPoeti latini del Quattrocento, cit., p. 138), Sannazzaro (Elegie, II, 9: Ad ruinas Cumarum, ibid.,p. 1139). J. L. Charlet, Une meditation potique sur les ruines de Rome: Landino, Xandra II,30, in Lettere e arti nel Rinascimento, a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze, Cesati, 2000, pp.123-31. Sulla poetica delle rovine cfr. V. De Caprio (a cura di), Poesia e poetica delle rovinedi Roma. Momenti e problemi, Roma, Istituto nazionale di Studi romani, 1987.

    44 Stazio, Le Selve, I, 1, 37, trad. it. a cura di A. Traglia e G. Aric, Opere, Torino, UTET,1980, p. 718: La tua mano destra interdice le battaglie. Cfr. V. Juren, Politien et la tho-rie des arts figuratifs, Bibliothque dHumanisme et Renaissance, XXXVII, 1975, pp. 131-38.

    45 Il topos delle statue che non si distinguono dagli esseri viventi di ascendenza classica(Virgilio, Eneide, VI, 847: spirantia ra; Georgiche III, 34: spirantia signa; Plinio, NaturalisHistoria, XXXIV, 38). Anche Dante a proposito dei bassorilievi raffiguranti esempi di umilt,descritti nel X canto del Purgatorio (vv. 34-96), afferma che langelo annunciatore Dinanzia noi pareva s verace... che non sembiava immagine che tace. Agli albori dellUmanesimoPetrarca vi ricorre per descrivere i cavalli di San Marco (Senili, IV, 3), o il ritratto pne spi-rans di Augusto su una moneta (Familiari, XIX, 3) o limmagine quasi viva del SantAmbro-gio nel Duomo di Milano (Familiari, XVI, 11).

    46 Omero, Iliade I, vv. 528-30, a cura di R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 19902, p. 31.47 L. Torraca (La cultura classica di Pomponio Gaurico e il testo del trattato De sculptu-

    ra, in I Gaurico e il Rinascimento meridionale, cit., pp. 111-12) corregge e completa le indica-zioni di A. Chastel e R. Klein, i quali si limitano ad indicare come fonte di Gaurico Strabo-ne. Ma nella Geographia, pur riportando laneddoto di Fidia che riconosce nello Zeus ome-rico il suo modello, Strabone non sostiene la tesi della superiorit della poesia sulla scultura.

    48 Dio Chrysostom, Discourses, with an English translation by J. W. Cohoon and H. La-mar Crosby, vol. II, (The Loeb Classical Library ), London-Cambridge (Mass.), Harvard U.P., 1977, p. 86.

    49 Ibid., 64-78, pp. 67-80.50 Lessing non cita Dione, per cui diversi studiosi negano che lo conoscesse (cfr. S. Ferri,

    Il discorso di Fidia in Dione Crisostomo. Saggio su alcuni concetti artistici del V secolo, Annalidella Scuola Normale Superiore di Pisa s. II, V, 1936, p. 239; P. Desideri, Dione di Prusa. Un

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    intellettuale greco nellimpero romano, Messina-Firenze, 1978, p. 374, n. 22). Di contro M.Valgimigli (La critica letteraria di Dione Crisostomo, Bologna, 1912, p. 78, n. 1) non escludela possibilit di una dipendenza di Lessing da Dione. In questa stessa direzione si pone L.Torraca, La cultura classica di Pomponio Gaurico, cit., p. 117 e s., in part. n. 45.

    51 P. Gaurico, De sculptura, cit., p. 253.52 Ibid., 6, p. 55.53 Ivi. Stazio, Le Selve I, 1, 15-16: Juvat ora tueri / mixta notis belli, placidamque ge-

    rentia pacem. Lillustre maestro Euphranor, ma la citazione di Gaurico differisce legger-mente rispetto alla fonte. Cfr. Plinio, Naturalis Historia, XXXIV, 77, cit., p. 123: Opera diEuphranor il Paride Alessandro, circa la qualopera vien lodato il fatto che tutto si capisceinsieme: il giudice delle idee, lamante di Elena e anche luccisore di Achille.

    54 A. Chastel, cit., pp. 177-78.55 H. Brockhaus, cit., p. 15. Cfr. L. Torraca, La cultura classica di Pomponio Gaurico, cit.,

    p. 117.

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    La scultura dopo la sculturadi Fabrizio Scrivano (Urbino)

    Se ognuno di noi provasse per un instante a immaginare una scul-tura, quasi tutti avremmo la visione immediata di una qualche statua,magari con la semplice variante di una configurazione equestre o di ungruppo. una memoria tenace quella della figura, il cui abito affon-da forse non solo e non tanto in un fattore culturale come verr pre-sto a spiegare quanto in una sorta di esigenza morfologica le cui ra-gioni si ramificano e confondono con quelle dellantropologia. Ma fre-quentando un poco le gallerie e le esposizioni darte contemporanea,presto dovremmo ammettere che se vi incontrassimo esposta una scul-tura figurativa ci troveremmo davanti a un evento per il quale lagget-tivo raro sarebbe necessario, ma insufficiente a descrivere la reale per-dita di interesse per la figura.

    In realt, questa situazione contraddittoria del nostro sentire comu-ne rispetto alla scultura non che un banale dato di fatto, che per dipi segna ormai pi di un secolo e, soprattutto, si riferisce soltanto alprimo passo compiuto dalla scultura verso la propria volontaria e de-terminata dissoluzione: si riferisce cio alla fine dellidentificazionedelle arti scultoreo-plastiche con la statuaria.

    La potente formulazione hegeliana, secondo cui la scultura esprime-rebbe la massima incarnazione della rappresentazione del tipo umano con annesso il valore (o lillusione) della durata conferitogli dalladurezza del materiale , intorno alla fine del XIX secolo non convincevaneppure pi gli stessi scultori che continuavano a proporre tipi uma-ni: n il grande Rodin, che si mostr progressivamente insofferenteverso lopacit del volume corporeo, n lutopico Rosso, che di esso edella materia che lo avviluppa avrebbe voluto svuotare e spogliare ognistatua. Di l a poco larbitrariet del legame tra arti scultoreo-plastiche,statua e figura, sarebbe divenuto un fatto tanto evidente quanto forierodi inquietudini. Le gallerie si cominciarono a popolare di sculture chemostravano di non voler essere pi statue, ma oggetti, per ripudiare odissimulare in blocco quellamplia gamma di funzioni cui le arti scul-toreo-plastiche sembrarono da sempre essere destinate: venerare divi-nit, celebrare eroi, testimoniare eventi, incarnare ideali, abbellire piaz-ze, decorare costruzioni; insomma la scultura tent di sottrarsi sia al

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    compito astratto di dare volume a un raffinato gioco tra rappresenta-zione iconica (morfo-simbolica) e rappresentazione naturale (morfo-mimetica) sia al compito concreto di modellare o contribuire a model-lare lo spazio vitale privato, pubblico, architettonico e urbano.

    Liberata da queste funzioni accessorie, la scultura si sent finalmen-te in grado di produrre oggetti autonomi, capaci di stare nello spazioreale e immaginario come semplici oggetti e sollevati dal compito dirappresentare altro se non la presenza concreta di s in quanto oggetti.La scultoreo-plastica, cos, trova rapidamente, e in maniera scoperta,una sua natura specifica, che qualcuno scambia anche per naturale:quella cio di essere larte che per eccellenza organizza lesperienzadello e nello spazio tridimensionale. Questo un criterio di specifica-zione o una formula di individuazione che sembr davvero essenziale:in un certo senso, anzi, da quando ha ricondotto la sua operativit aquello che appare come un tratto fondamentale (proprio nel senso difondante, capace di dare motivazioni necessarie al fenomeno) la scul-toreo-plastica non fu mai cos tanto scultura. Per esemplificare un po-co questo momento favorevole e straordinario, inviterei a portare lavostra immaginazione da un lato sulle opere di Brancusi o di Boccionio di Arcipenko o di Lipchitz, che privilegiarono il rapporto tra mas-sa e volume, e dallaltro lato sulle realizzazioni di Pevsner o di Tattlino di Gabo o di Moholy-Nagy, che intensificarono la ricerca intorno alrapporto tra volume e struttura. Mi fermo agli anni venti, citando que-sti autori, lo ripeto, in modo del tutto esemplificativo e quasi ignoran-do le specifiche soluzioni scultoree e plastiche, che invece ne caratte-rizzano lopera fino ai pi divergenti esiti linguistici, semplicementeper indicare un punto nel tempo in cui la scultura sembra avere ritro-vato un rapporto pi diretto con le motivazioni di una sua ipoteticaoriginaria costituzione: risolvere problemi legati alla forma, nel suorapporto tra gli spazi interni ed esterni a masse e volumi materiali oaerei. Nonostante o forse grazie alla profonda crisi che la scultura co-nobbe a scapito del suo oggetto pi abituale, cio la figura del corpoumano, essa rinnova finalit e destinazioni.

    Non voglio ripercorrere la storia della scultura del Novecento, masoltanto rendere pi chiara possibile la situazione pratica nella quale sipresenteranno alcune posizioni teoriche apparse intorno allo svolger-si della seconda guerra mondiale. Ed quindi necessario che io alme-no ricordi, di tutta fretta, che negli stessi anni in cui gli scultori anda-vano smascherando i pregiudizi pi elementari e riacquistavano unacerta sicurezza nellavere trovato una connotazione specifica ed essen-ziale della propria arte tanto da potersi riappropriare anche dellafigura umana, che ormai pi unopzione tra i soggetti possibili chenon uno specifico problema formale si andava aprendo un dubbio,unincertezza, assolutamente paradossale per le arti figurative. il caso

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    che io ricordi la complessa operazione estetica portata avanti da Du-champ, Man Ray e Picabia, alla quale furono interessati pi o menoda vicino una grande quantit di artisti che non rinunciarono mai auna presa manuale sugli oggetti della scultura? Penso a tutti, ovvia-mente: a Picasso, che gi nel 1914 usa o mima oggetti comuni; a Mir,che dagli anni 20 riutilizza, assembla e copre di gesso e vernici pezzidi macchine e avanzi di cantina; a Giacometti, che tra gli anni 20 e30 inaugura il suo programma di deformazione degli oggetti-immagi-ne; ma anche ad Arp, a Moore e alla loro lotta tra i pieni e i vuotinella superficie dei volumi; infine ma solo per non continuare trop-po a lungo a Calder, che fonde gli oggetti e il movimento rendendofisicamente la tanto ambita quarta dimensione, il tempo.

    tra questa serie di esperienze che si fa strada quel dubbio para-dossale cui si accennava: una domanda che comincia ad assillare gliscultori fino a diventare un concreto punto di erosione, che io direipienamente accettato e in qualche caso portato a conseguenze estremee in fondo ancora operante nelle attuali pratiche artistiche: larte scul-toreo-plastica produce immagini?

    proprio intorno a tale questione, certo non sempre e forse mairesa in maniera cos esplicita, che ruotano anche le diverse posizioniteoriche di cui vorrei oggi parlare.

    Inizierei dal contributo che maggiormente tenta di riaffermare, for-se non privo di un sottile intento curativo, ci di cui la scultura stes-sa si andava liberando. Sebbene Brandi pubblichi Arcadio o della scul-tura nel 1956, il nucleo teorico che questo dialogo sembra volere espri-mere era stato gi formulato a partire dal 1943 (e in parte gi pubbli-cato in Limmagine nel 1949): perci mi sento comunque autorizzatoa partire da questo scritto. La posizione di Brandi non d per scontatoche la scultura sia produzione di immagine, ma certo si impegna adargomentarla. Lo spazio della scultura solo e unicamente quello vi-sivo e solo quello conta: limmagine scultorea non coincide con linfor-mazione gnoseologica che rappresenta n soggetta alla concretezzadelloggetto che la materializza: Limmagine non sta in uno spazio, masuscita essa stessa la propria spazialit, intesa come luogo della suafigurativit, e perci non solo determinazione ambientale esterna allim-magine, ma struttura interna dellimmagine, che trapassa allesterno ecomanda i vincoli delloggetto in immagine con altri oggetti in imma-gine, ma rimane senza nesso di continuit e neppure di contiguit congli oggetti naturali. Brandi, insomma, coglie con grande precisione ilvalore virtuale dellimmagine scultorea, quella cio di essere non coa-gulo visibile di oggetti (comera stata, in pratica, la credenza gnoseo-logica che si era imposta forse a partire da Hegel), ma resa formaledelle sue stesse condizioni di possibilit. Una scultura trascendenta-

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    le, potremmo dire, che nel suo articolarsi rigoroso pu negare che lascultura abbia minimamente a che fare col tatto, se non per ribadirequella materia che non appartiene allimmagine: in realt unillusio-ne che si possa toccare unimmagine: tocchi la materia con cui si esteriorizzata limmagine, non limmagine.

    A ben vedere, la posizione di Brandi rispetto allautonomia dellim-magine scultorea non riguarda per la natura della specifica arte: anzi,sul piano gnoseologico limmagine scultorea e quella pittorica non do-vrebbero differire; e infatti per Brandi non differiscono in quanto ciche presiede a entrambe un altro tipo di operativit, la plastica, cheprecede la formazione dellimmagine in quanto assicura le condizionidi possibilit delloggetto sul quale limmagine moduler i ritmi dellapropria estrinsecazione. Non voglio esaminare le complesse ragioni diquesta posizione teorica, non solo perch la cosa meriterebbe unassaipi attenta ricognizione in profondit, ma soprattutto perch in que-sta occasione vorrei semplicemente mostrare che Brandi colse con for-midabile chiarezza il fatto che la scultura si stava complessivamentemuovendo verso la distruzione del proprio oggetto, limmagine-forma,quello stesso oggetto faticosamente trovato alluscita del pregiudiziomimetico-figurativo.

    Ma credo anche che questa posizione vada compresa rispetto aldocumento pi causticamente risolutivo che in quegli anni viene pro-dotto. La scultura lingua morta di Arturo Martini esce nel 1945, colminuscolo numero di 50 copie, e poi, con tiratura poco pi sostanzio-sa, nel 1948 (dopo la sua morte, quindi) e infine nel 1960. Lo scrittooscilla tra unaperta abdicazione del genere scultura e una misteriosaforza di resistenza alla fine, che si esprimono questa attraverso profe-tici incitamenti a un rigore essenzialistico, cio nel comandare una se-rie di negazioni e rifiuti, e quella attraverso unanalisi spietata di tut-te le difficolt e le banalit della scultura. Uno scritto, quindi, polemi-co e insieme sofferente, che certo non presenta una riflessione dai con-torni nitidi e anzi a volte sembra imporre pensieri contrastanti, tantoche in chiusura Martini ne nega la paternit.

    Ma ci che alimenta il dubbio che la scultura possa ancora avereuna possibilit di esistenza del tutto chiaro: essa non ha (forse nonha pi) la possibilit di essere immagine. Fa che io non sia immagi-ne prega, suggerisce e comanda la scultura ai giovani artisti, secondoMartini: scoperchiando una situazione di disagio che se ha unorigineevidente nella caduta dellinteresse per i problemi formali legati allarappresentazione morfologica della natura (a partire dalla figura uma-na), si alimenta nella difficolt di trovare al di sotto della somiglianzauna grammatica esclusiva della scultura. Il dominio delloperativitplastica ( ci che Brandi incoraggiava) a Martini non solo non sem-

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    bra risolutiva, ma neppure sufficiente: La tanto decantata teoria delleforme e dei volumi dice in un colloquio con Gino Scarpa risalenteal 1944 non che un volenteroso tentativo di esaltare un espedientetecnico [...]. Non possibile che forme e volumi possano essere deivalori assoluti finch essi rimangono conseguenza di unimmagine.Potrebbero esserlo solo se avessero lindipendenza del tono in pittu-ra, che non conseguenza di unimmagine, ma un fatto in s, legatounicamente al fine pittorico.

    La risoluzione che sembra aprire uno spiraglio a questa strettoiafunzionale , ancora una volta, affidata da Martini al riconoscimentodellintegrale estraneit della scultura allimmagine e pi complessiva-mente allelemento visivo: la scultura viene definita, infatti, arte deiciechi. Il tatto, quindi, sembra assumere (ma solo a tratti) una coeren-za pratica che la vista non pu dare, senza trasformare la scultura innon-corpo e in non-oggetto. Ma qui, si direbbe, la riflessione martinia-na si arresta, rimanendo tuttavia levidenza di una prospettiva alterna-tiva alla visione. Nello sconforto di Martini certamente centrale lim-possibilit di ritrovare nellimmagine scultorea qualcosa che non si ca-ratterizzi come nesso organico: il quesito che egli pone (ed significa-tivo che lartista chieda esplicito aiuto allestetica, come se una disci-plina teorica e non pratica potesse risolvere un elemento cos impor-tante per stabilizzare la fiducia che lartista ripone nella sua stessa pra-tica) : perch la scultura non pu fare un pomo?. Il limite dellascultura, insomma, quello di non potere sostituire se stessa alle co-gnizioni visive che rendono possibile la costituzione dellimmagine del-loggetto. Lintegrit del fatto scultoreo per Martini ha qualcosa diaccentuatamente mistico (e forse per questo la sua angoscia sembranon avere possibilit di scioglimento alcuna): nellimmediatezza dellat-to scultoreo, cio nella concretezza dellazione manipolatoria, nellazio-ne cieca, preformale, antitipica e antitopica, controspecificante, anoni-ma e senza tempo egli scorge il limite in cui luniversale (ecco lenti-t mistica) si arresta e non listante in cui esso inizia. Condizioni diimpossibilit che richiamano la necessit di unesperienza esclusiva:ecco il compito impossibile della scultura.

    Tuttavia ci fu chi, qualche anno dopo, tent di rendere coerentequesta destinazione non visibile della scultura. Herbert Read in Art ofSculpture (che dal 1956, anno in cui usc, rimane una delle poche oforse lunica teoria della scultura con caratteristiche sistematiche) con-sidera la scultura oscillante tra due destinazioni (e io direi anche di-mensioni) opposte: il monumento e lamuleto. Entrambe, tuttavia, con-dividono una necessit che la concretezza spaziale (la tridimensiona-lit della scultura); ma lo spazio cui la scultura fa riferimento non quello ottico, bens quello tattile. Larte della scultura scrive nella

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    conclusione raggiunge il massimo e pi singolare effetto quando loscultore procede quasi ciecamente allaffermazione dei valori tattili,valori della massa palpabile, pesabile, imponibile. Volume integrale,non apparente solo allocchio, ma dato da ogni impressione di tatto epressione diretta o immaginabile tale lunica emozione scultorea.La perentoriet di questa affermazione ha una giustificazione in unadiversa disposizione che lessere umano integrale (linsieme mente-cor-po, sensibilit-intelletto) avrebbe rispetto agli oggetti: quella contem-plativa, che attraverso la lontananza afferma lalterit; e quella identi-ficativa, che attraverso la vicinanza scopre il medesimo. I sensi che do-minano questi due approcci sono rispettivamente la vista e il tatto, ele arti che ne rappresentano il dominio la pittura e la scultura.

    Non neppure il caso di affacciarsi sulla storia complessa e variadi questa duplicit delle relazioni spaziali, ma solo evidenziare che perRead in epoca moderna (pi o meno ai tempi della formalizzazionedella visione prospettica) la scultura stata vittima di una vera e pro-pria perversione, che ha avuto leffetto di annichilire la sua originariae primordiale funzione. Le braccia ingrandite, i colli allungati, i volticon espressioni marcate delle statuette primitive sarebbero il risultatodi una stilizzazione che tendeva a rendere possibile unesperienza tat-tile della rappresentazione del s. Ventri rigonfi, gambe piegate, brac-cia inarcate e aderenti al corpo, tra di loro non stanno in una relazioneottica (la proporzione), ma sono segni che il tatto solo pu interpreta-re correttamente. Read cerca anche di dimostrare che il tatto ha unaforte capacit di astrazione della forma, tale da poter costruire un pie-no linguaggio simbolico e comunicativo: operazione importante perchdestinata a rendere possibile la comprensione di una pratica indirizzataalla produzione di scambio informativo, tanto emotivo quanto cogni-tivo. La scultura larte che realizza oggetti in grado di essere tenuti(non certo visti) nella mano o che perlomeno inducano a riconoscereastrattamente la possibilit del contatto. Superficie, volume e massa,ovviamente, non stanno in un rapporto omogeneo con la tattilit, allostesso modo in cui peso, ubicazione e materia non possono esprime-re funzioni analoghe per il fruitore: solo a causa dello sproporziona-to potere che la visione ha acquisto se ora si ha difficolt a considerarela valenza tattile quella del corpo su corpo, pressione su pressione delle sculture.

    Ma insomma, al di l delle riscontrabili debolezze dellargomenta-zione di Read, ancora una volta ci che mi sembra davvero rilevante il fatto che il legame tra immagine e scultura venga negato in formaradicale, al punto da sottrarre la scultura al dominio delle arti visive:perch, sembra, Read molto prudente se sufficientemente altroconto a non fare della scultura unarte aptica (la visione tattile) piut-tosto che pienamente tattile.

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    Quella di Read una soluzione che si potrebbe dire sensorialisti-ca, cio strettamente legata alla riconduzione di una prassi a un mez-zo sensoriale privilegiato. Limmagine loggetto visibile cede, manon il senso nella rappresentazione n lo stesso rappresentare conside-rato come la generale attivit di produzione di forma (tattile o visiva).Eppure gi da alcuni anni tra gli artisti si era andata affermando unapi radicale concezione dellarte come dispositivo nel quale la rappre-sentazione non solo non avrebbe dovuto costituire latto fondamentaledella produzione di forme, ma addirittura qualcosa da rifuggire.

    Le prime articolazioni di questa posizione, che poi prender unafisionomia pi estrema in correnti e artisti che si affermeranno tra lafine degli anni 60 e linizio degli anni 70, le possiamo leggere in dueinterventi, in realt abbastanza distanziati nel tempo, che hanno comeargomento proprio la scultura. Sulla Partisan Review, un periodicocomunista americano, nel 1949 Clement Greenberg, il critico darteche negli anni 60 avrebbe dato un forte impulso al minimalismo, pub-blic un breve scritto intitolato The New Sculpture: latteggiamento difondo d per scontata la nullit di derive mimetiche in scultura e at-tribuisce agli scultori degli anni 20-40 il merito di aver liberato lospazio scultoreo da quello pittorico, focalizzando limportanza e la cen-tralit delloggetto rispetto allimmagine. Le affermazioni di Greenbergintorno ai concetti di realt, immagine e oggetto non trovano una de-finizione chiara e sarebbe necessario verificare con maggiore ampiez-za il significato che egli attribuisce a essi (per esempio se influisce inqualche modo il materialismo storico), ma questa incertezza non con-fonde lidea che qui interessa mettere in luce: e cio quella che la scul-tura, la nuova scultura, rinuncia a essere il supporto di una qualsiasinarrazione che abbia a che fare con la finzione o lillusione, per essereproduttrice di meri oggetti. Il mito della scultura monolitica, cio ilpezzo organicamente strutturato, gi un anacronismo e gli oggettidella scultura saranno infiniti, tanti quanto sono i materiali, tanti quan-to sono le cose.

    Lestrema positivit di Greenberg contrasta palesemente con le no-te malinconiche (o suicide) di Martini, ma entrambe arrivano e parto-no dallo stesso punto, in cui la fine e la rinascita della scultura sem-brano essere il nullificarsi della tensione rappresentativa. E in un certosenso, nello scritto Specific Objects di Donald Judd cui alludevo pre-cedentemente, apparso nel 1965 in Art Yearbook, le due posizionisi congiungono. Per Judd, critico darte e scultore, la scultura sta pro-prio per finire e tuttavia sar qualcosa di diverso da ci che statafinora. Nessuno gi pi pensa che essa sia il mezzo per esprimere lesi-genza di antropomorfismo che ogni rappresentazione porta con s;nessuno pi pu pensare che possa esprimere la conoscenza visiva nelsuo mezzo plastico; non si potr vedere altro, nelle sculture, in questi

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    oggetti tridimensionali indifferenti alla rappresentazione della massa,alieni da pretese di resa volumetrica, inespressivi rispetto allo spazioche occupano, non si potr vedere altro, dicevo, che il neutro, logget-to senza attributo, loggetto unico, singolo, specifico. Ripudiato cosqualsiasi elemento plastico, costruttivo e modulare che formi loperadallinterno, Judd pensa che questo permetta un nuovo contatto conla realt, anzi produca una nuova realt di oggetti specifici di cui lavista non che un mezzo casuale, forse evitabile.

    La crisi della scultura, insomma, , tra le altre cose, parte della sto-ria della rappresentabilit della relazione tra segni e oggetti, tra im-magini e simboli, tra allusione e notazione , che nella scultura trovaun capitolo imbarazzante in cui segno e cosa rischiano di coincidere.

    Qui necessario che mi fermi, senza tuttavia rinunciare a unosser-vazione conclusiva e non definitiva che riguarda pi da vicino i nostrianni: cercare di comprendere la scultura in unepoca in cui le differen-ze tra le arti sono tanto esili, sembra unoperazione destinata a tracciarei contorni di qualcosa che fu e non sar mai pi. Anche se le cose stes-sero proprio in questi termini e cio che le arti producono espressi-vit facendo agire mezzi diversi fino alla fusione non detto che isingoli mezzi che concorrono allopera darte integrata cancellino i pro-pri elementi costitutivi: anche se si modificano e si torcono le loro fun-zioni, le soglie di percettibilit e tutto il loro valore di impiego e didesignazione. Questo per chiarire che nel pensare la scultura dopo lascultura lunico modo di non rischiare di scrivere lepitaffio di un ge-nere significa doverla cercare proprio l dove a tutti sembrerebbe es-sercene meno.

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    La parvenza del soggetto:sulla concezione hegeliana del ritrattodi Giovanna Pinna (Cosenza)

    1. Al ritratto riservato nelle Lezioni hegeliane sullestetica uno spa-zio non ampio. Le considerazioni ad esso dedicate assumono tuttavia,ad osservarne attentamente la collocazione, un rilievo inaspettato. Diritratto, di qualit ritrattistica o di modo ritrattistico Hegel parlainfatti (a pi riprese, dato il carattere composito del testo dellEsteti-ca) in relazione a due snodi problematici essenziali per la teoria: lastruttura dellarte romantica e la funzione della forma naturale per lacostituzione dellopera darte. Il carattere ritrattistico appare come unadelle componenti principali dellarte romantica, in quanto modo pecu-liare di rappresentazione dellindividualit. Attraverso le osservazioniche Hegel dedica allargomento possibile da un lato mettere a fuo-co in quale accezione i concetti di soggettivit e di individualit entrinonella definizione dellarte moderna, e precisare dallaltro alcune lineedi tendenza nella sua concezione storica dellarte figurativa.

    Bisogna notare in via preliminare che il ritratto aveva uno statutoproblematico nel quadro delle estetiche del primo Idealismo, per ragio-ni legate allidea della simbolicit dellarte. Caratteristica primaria delritratto infatti lineliminabilit del riferimento al soggetto reale rap-presentatato, il che mantiene nellopera un residuo di contingenza edimpedisce di far emergere compiutamente il contenuto ideale attraver-so la particolarit dellimmagine 1. Sospetto per la sua (presunta) con-tiguit con il principio di imitazione della natura, questo genere pitto-rico per conseguenza relegato al rango di genere minore, solitamenteaccanto al paesaggio, ed riscattato soltanto da un trattamento simbo-lico dellimmagine, tale da ridurre per quanto possibile lirruzionedella temporalit nella rappresentazione artistica 2. Cos Schelling nel-la Filosofia dellarte nega ogni autonomia al ritratto, definito come untipo di rappresentazione il cui fine e la cui intenzione sono costituitidal massimo accordo dellimmagine con loggetto raffigurato 3. Un nes-so, questo, puramente imitativo e che pone il ritratto al gradino pibasso della rappresentazione della figura umana. Ed anche FriedrichSchlegel, che pure in alcuni frammenti parla di filosoficit e di as-solutezza del ritratto, intuendone evidentemente il legame sostanzialecon la soggettivit, in una trattazione pi estesa e sistematica risalen-

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    te al 1803 ammette il valore estetico di questo genere pittorico soltantoa condizione di una trasfigurazione simbolica dei singoli elementi dellafigura, come accade ad esempio nella pittura italiana del primo Rina-scimento 4. Ci conduce ad una negazione di fatto delle qualit distin-tive del ritratto come tale.

    La posizione hegeliana si distacca notevolmente dalle concezioni diSchelling e di Schlegel, concezioni che la sua teoria estetica certamentepresuppone, e con le quali condivide almeno una parte delle esperien-ze storico artistiche da cui essa scaturisce. La rivalutazione hegelianadel ritratto, che si connette strettamente ad una nuova lettura dellartemedievale tedesca e fiamminga e soprattutto del Seicento olandese, ri-vela uno spostamento della prospettiva storico-artistica che sta allabase della definizione dellarte moderna o romantica. A tale sposta-mento si accompagna una significativa trasformazione delle coordinateconcettuali della teoria dellarte.

    Cercher qui di definire il significato e la portata del concetto diritratto nella teoria dellarte di Hegel, delimitandolo rispetto al princi-pio di imitazione ed a quello di idealizzazione ( 2), di mostrare comei presupposti sistematici della concezione hegeliana del ritratto risieda-no nella teoria della soggettivit assoluta ( 3), ed infine di indicare aquale paradigma storico-artistico possa essere ricondotta la riconside-razione da parte del filosofo di questo genere figurativo ( 4).

    2. In qualche luogo delle Lezioni Hegel menziona a proposito delritratto una componente imitativa, a causa della quale esso sarebbeuna delle forme darte pi distanti dallidealit, sebbene egli precisa gi nei ritratti la mera imitazione non sia sufficiente 5. Limitazionedella natura gli appare subito come una chiave di lettura inadeguataper spiegare lindubbia rilevanza che il ritratto assume nella pitturamoderna: di ritratto si parla infatti a partire dal Rinascimento. Inoltre,bench marginalmente compaia il termine imitazione, evidente cheHegel, riconoscendo il ritratto come espressione figurativa tipicamenteromantica, non intende limitazione della natura nel senso della tradi-zione che fa capo a Winckelmann, ossia come imitazione delle formearchetipiche o delle belle forme naturali, quanto piuttosto come raffi-gurazione di elementi individuali della realt sensibile 6. La differenzatra limitare la natura, almeno nel senso del paradigma classicistico, edil ritrarre, sta proprio nel fatto che questultima operazione mira a rap-presentare i tratti singolari, a individuare ed a ricostruire unidentitdeterminata.

    Ci implica per lintroduzione nella sfera dellarte di elementi delmondo sensibile che appaiono difficilmente estetizzabili. Il ritratto por-ta in primo piano la questione della funzione della forma naturale edei limiti dellidealizzazione. Lideale infatti la realt richiamata dal-

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    la distesa delle singolarit e accidentalit, ed il ritrattista in generalecostretto a smussare gli aspetti pi bassi della corporeit per riusciread esprimere linteriorit dellindividuo. Tuttavia ed questo chedistingue lidealizzazione come fissazione di tipi, propria dellarte clas-sica, dal libero trattamento della forma naturale al fine di adeguarlaalla percezione soggettiva del carattere degli oggetti, proprio dellarteromantica e segnatamente della pittura il ritratto non cerca di accor-dare la forma sensibile ad un contenuto spirituale, ma ricerca la spiri-tualit nella particolarit fisiognomica. In questo procedere riflessiva-mente dallesterno verso linterno lunit ideale si perde a favore del-la complessit del carattere e delle contraddizioni dellindividuo. Cirende impossibile ricondurre in un ritratto lespressione della figura odelle figure rappresentate ad un unico significato o tono fondamentale,ed per questo, afferma Hegel, che un ritratto si palesa, mediante lesue particolarit, subito come tale.

    Cos in alcuni ritratti tedeschi medievali e olandesi i personaggidevono apparire tutti immersi nella devozione, e la piet traluce re-almente da tutti i tratti, ma in quegli uomini noi conosciamo al contem-po, p. es., valorosi guerrieri, delle persone di forti sentimenti, pratichedella vita e della passione delloperare, e nelle donne noi vediamo dellespose dotate di analoghe forti qualit vitali 7. Rispetto ad un quadroraffigurante, ad esempio, una scena religiosa, qui il significato ideale (ilsentimento di devozione) si fa faticosamente strada attraverso una seriedi determinazioni che rivelano lindole degli individui e la loro collo-cazione nel mondo: lidealit assume cos una facies concreta attraversoil caratteristico. N daltra parte la fedelt al modello ad essere de-terminante per questo genere artistico, ma piuttosto il cercare una vivaespressione umana, unindividualit caratteristica, il trasferire ognicontenuto nella particolarit soggettiva e nella sua variopinta esteriori-t 8. In ci Hegel vede rappresentata la tendenza positiva dellarte mo-derna, che in questo senso, egli afferma, possiede complessivamente uncarattere ritrattistico. La naturalit resta presente nel ritratto come ri-ferimento necessario, ma negato nella sua consistenza reale. Pi di altreforme di rappresentazione visiva il ritratto ha la sua radice in unal-terit, la realt determinata che sta dietro la parvenza, che incancel-labile ma al tempo stesso inattingibile.

    Il compito della raffigurazione ritrattistica per Hegel consiste nelportare ad intuizione lindividualit, la spiritualit nella sua particola-rizzazione e vitalit pi reale. In altre parole, il ritratto mette anchessoin atto un processo di idealizzazione, ma solo nel senso che produceuna sintesi espressiva fondata su di una raffinata percezione fisiogno-mica da parte dellartista. Tale processo non deve giungere dunque acancellare quel che Hegel chiama la vitalit concreta e particolare delsoggetto rappresentato, ovvero la sua singolarit. In tal modo il ritratto

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    esprime il senso dellindividuo singolo assai pi della sua fisionomia na-turale, mai realmente capace di unificare nella singola espressione glisparsi elementi dellesistenza. Il punto focale di questa espressione ar-tistica la costruzione dellidentit, che si configura come la concentra-zione nellistante della rappresentazione della storia dellindividuo.

    Considerato da questo punto di vista, il ritratto la sintesi di unaricognizione sul soggetto condotta attraverso la selezione degli elemen-ti visivi. Hegel considera la pittura come una scuola del vedere: ciche sfugge allocchio nella sua percezione normale del mondo sen-sibile, assume rilievo e significato attraverso la mediazione pittorica. Se per vero, secondo unespressione famosa, che larte conferisce al-limmagine mille occhi, nellarte moderna che, attraverso lastrat-tezza del mezzo pittorico, la realt sensibile diviene nella sua parven-za oggetto della riflessione 9. La libert dellartista nei confronti dellaforma naturale origina dalla separazione tra contenuto e parvenza, e lapittura romantica esprime allo stesso tempo, nel suo generale tendereal ritratto, la centralit e lirrilevanza della parvenza. Se infatti essa daun lato non opera se non con la parvenza particolare degli oggetti,dallaltro assume che tale parvenza, in quanto particolarit, abbia fuoridi s il suo fondamento, vale a dire in quella interiorit spirituale a cuirimanda, ma senza incarnarla interamente. Hegel sottolinea lallusivi-t del ritratto e la discrepanza tra la forma naturale del modello e laverit del carattere. In questo spazio agisce la libert della creazioneartistica e si realizza il processo di riflessione del soggetto.

    3. Il ritratto reca in s unaporia ineliminabile: la presenza di unesi-stenza singolare, quella del modello, senza cui il ritratto non sarebbeun ritratto, che per viene negata come elemento extraestetico nel mo-mento in cui il mezzo artistico trasforma limmagine in specchio diunindividualit. Il soggetto rappresentato nella sua relazione con s,contemporaneamente negato nella sua singolarit, e nondimeno si ma-nifesta per mezzo di essa. Questo fa s che per Hegel il ritratto rappre-senti la linea di tendenza di tutta larte romantica, soprattutto dopoche la religiosit e le sue forme hanno cessato di costituire il centrodella rappresentazione artistica. Tale aporia corrisponde infatti allastruttura del soggetto assoluto, e larte moderna o romantica per He-gel primariamente unarte della soggettivit. Ci significa che la sogget-tivit, intesa non come soggetto empirico e neppure come soggetto tra-scendentale, bens come soggettivit infinita o assoluta, ne costituisce afferma Hegel il contenuto (Gehalt).

    La concezione dellassoluto come soggetto, quel che nel senso dellafilosofia della religione il contenuto speculativo del Cristianesimo,rappresenta, in altri termini, il principio dellintuizione artistica nelmondo romantico. Dalla struttura della soggettivit infinita, che per

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    Hegel il movimento di autocomprensione del sapere assoluto, unat-tivit necessaria in cui lassoluta universalit al tempo stesso perso-nalit individuale, deriva la relazione fra interiorit e forma nellarteromantica 10. Nelle Lezioni di estetica leggiamo che nel concetto disoggettivit assoluta implicita lopposizione fra luniversalit sostan-ziale e la personalit, opposizione la cui mediazione realizzata riempieil soggetto della sua sostanza ed eleva il sostanziale a soggetto assolutoche sa e vuole se stesso 11.

    Il romantico si muove allinterno di questa opposizione, su cui pog-gia la peculiare relazione asimmetrica tra contenuto e forma. Larteclassica pu risolvere interamente nella forma il contenuto spirituale invirt del fatto che resta al di qua della comprensione del movimentosoggettivo, e conosce soltanto individualit universali o sostanziali, chealtro non sono che determinazioni di un unico ideale. Larte romantica,invece, scaturisce proprio dalla scissione logica tra luniversalit del sog-getto astratto e la necessit della sua esistenza come singolarit. In altreparole, il singolo soggetto individuale si coglie come universale e nel-lunive