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La “notte della conservazione” Claudio Bazzocchi Antropologia hegeliana e riconoscimento

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La “notte della conservazione”

Claudio Bazzocchi

Antropologia hegeliana e riconoscimento

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I edizione: gennaio 2010

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Indice

11 Introduzione 19 “La notte della conservazione” 83 Bibliografia

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La “notte della conservazione” Antropologia hegeliana e riconoscimento

Hegel per primo comprese che realizzazione piena dell’individuo e istituzioni statali si presuppongono a vi-cenda, sono indissolubilmente intrecciate. Un’affermazione del genere può risultare evidentemente ambigua e già a partire dalla morte di Hegel generò una sterminata lettera-tura nella quale il filosofo di Stoccarda venne descritto come sostenitore dell’assolutismo prussiano prima, e ispi-ratore dei totalitarismi del Novecento poi. Non è nostra in-tenzione qui riprendere quella tradizione, né riportare le voci che si levarono a difesa di Hegel, a partire dai lavori di due grandi studiosi di Hegel come Eric Weil e Karl–Heinz Ilting7. Ci interessa percorrere il ragionamento he-geliano che porta ad affermare l’intreccio fra realizzazione individuale e istituzioni8. Lo faremo indagando le pagine giovanili e quelle dell’Enciclopedia sulla filosofia dello spirito.

7 Si veda ovviamente: E. WEIL, Hegel e lo Stato. E altri scritti hegeliani, Guerini e Associati, Milano 1988; K–H. ILTING, Hegel diverso, Laterza, Ro-ma–Bari 1977. Inoltre: J. D’HONDT, Hegel segreto. Ricerche sulle fonti na-scoste del pensiero hegeliano, Guerini e Associati, Milano 1989; S. AVINERI, La teoria hegeliana dello Stato, Laterza, Bari 1973.

8 Preferiamo qui la parola istituzioni, anziché Stato, al fine di indicare un insieme di politiche a più livelli e per più segmenti sociali di volta in volta ri-conosciuti nella loro specificità, tramite azioni concrete e misure volte ad af-fermare l’autorealizzazione. Non ci sfugge però nemmeno la dimensione sta-tale, come quella in cui le varie pratiche politiche raggiungono unità e forni-scono senso a un’intera comunità.

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Come si sa, tale percorso inizia con la critica della con-cezione kantiana della morale. I luoghi di quella polemica filosofica sono fin troppo noti e attraversano tutta l’opera hegeliana. Ci basti qui dire che per Hegel l’imperativo ca-tegorico non può in realtà consentire l’azione, dal momen-to che l’agire umano deve necessariamente confrontarsi col mondo concreto, regno dell’arbitrarietà secondo la ri-flessione kantiana. Il dover essere rimane dunque tale, pu-ro principio formale che mantiene divisi forma e contenu-to, morale e impulso all’azione. Insomma, il dover essere kantiano lacera gli individui nel loro essere sì liberi ma al-lo stesso tempo incastonati nella storia e tiene quindi inde-finitamente separate libertà individuale e azione storica, principi morali e impulsi alla soddisfazione dei bisogni. Come ha sottolineato Lukács, vi è nel rifiuto dell’etica kantiana anche una presa di posizione nei confronti della società borghese: «protesta contro la violenza fatta all’uomo intero e vivente mediante precetti di dovere a-stratti, contro la lacerazione dell’uomo intero e vivente mediante la sua divisione in una metà spirituale e sensibi-le»9. Hegel si riconnette peraltro alla riflessione estetica e alla poesia del suo tempo, come notato dallo stesso Lukács che cita Goethe e Schiller10.

Secondo Hegel, Kant non tiene conto dell’uomo nella sua interezza, uomo che vive nella storia ed in essa compie la propria opera. Anzi, è proprio l’opera che garantisce la soddisfazione del sentirsi riconciliato con l’oggettività da parte del soggetto. Il godimento nasce dal compenetrare l’oggettività storica nel momento in cui si comprende che

9 G. LUKÁCS, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Ei-naudi, Torino 1960, p. 227.

10 La tensione alla totalità nella poesia del tempo, connessa alla critica del-la società borghese, è ancora oggi per chi scrive un elemento imprescindibile per pensare un’autentica libertà umana.

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la morale ha un contenuto sociale che a sua volta è stato prodotto da chi ci ha preceduto e nel quale siamo immersi. Non vi sono quindi imperativi categorici da una parte e impulsi individuali dall’altra. I principi morali mi appar-tengono perché da loro sono formato e, proprio per questo, posso sempre contribuire a cambiarli, se è vero che stanno all’interno di un processo dialettico e storico in cui devono continuamente fare i conti con l’evoluzione sociale e la li-bertà umana, cioè la creatività storico–sociale. Soffermia-moci allora, in prima approssimazione, sulla questione della libertà. Sappiamo bene che la giovinezza di Hegel fu contrassegnata dall’idea kantiana di libertà culminante nel-la Rivoluzione francese. Ci sono alcune righe nella Filoso-fia del diritto che sintetizzano bene quel principio della li-bertà conquistato con Kant e con la Rivoluzione:

Il diritto della volontà soggettiva è che quel ch’essa deve

riconoscere come valido venga da essa fatto oggetto di intelle-zione (come buono), e che ad essa un’azione, intesa come il fi-ne entrante dell’oggettività esteriore, venga imputata come le-cita o illecita, buona o cattiva, legale o illegale, secondo la sua cognizione del valore che l’azione ha in questa oggettività11.

Allo stesso tempo, però, Hegel introduce un’idea di mora-lità concreta, cioè fatta valere all’interno di una situazione storica. L’esercizio della moralità avviene all’interno della storia, e la libertà non è l’affermazione di un disincarnato dover essere, ma la compenetrazione fra forma e contenu-to, principi morali e oggettività storica. Ed è libertà auten-tica non solo perché si confronta col campo in cui deve svolgersi l’azione, ma anche e soprattutto perché solleva l’uomo dall’infelicità di una coscienza meramente autore-

11 G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. MARINI,

Laterza, Roma–Bari 1991, § 132, p. 112.

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ferenziale che non sa accogliere le cose e la realtà al pro-prio interno. Inoltre, in questo modo Hegel afferma il ca-rattere sempre sociale dell’essere umano, che è tale solo in società, all’interno di una tradizione, di una cultura, di un insieme di costumi, istituzioni, leggi. L’uomo non è quindi presupposto, come per Kant, bensì posto, è un farsi sociale all’interno di un contesto già dato.

Siamo qui a un punto di tensione del pensiero hegeliano che sta a dimostrarne anche il fascino. Infatti, Hegel ci di-ce che moralità concreta e libertà sono un tutt’uno e che, però, nasciamo essere umani in un mondo di regole, co-stumi e tradizioni che ci socializza, ci forma. Esiste quindi un grado di determinismo che allo stesso tempo ci apre al-la moralità concreta e quindi alla libertà. Come stanno as-sieme allora determinismo e libertà? In una delle lezioni di filosofia della storia Hegel fa presente ai suoi allievi che noi non siamo solo determinati dallo spirito dei tempi, e che sempre è attiva la tensione tra realtà e volere individu-ale:

La religiosità, la morale concreta di una vita limitata — la vita di un pastore, di un contadino — hanno un valore infinito pur nella loro interiorità concentrata e nella loro restrizione e pochi rapporti di una vita affatto semplice, dunque hanno lo stesso valore religioso e morale di una conoscenza progredita e di un’esistenza ricca di relazioni e di azioni su larga scala. Questo centro interiore, semplice regione del diritto della libertà sog-gettiva, focolare della volontà, della decisione e dell’azione, contenuto astratto della coscienza morale, questa sfera, nella quale risiedono la responsabilità e il valore dell’individuo, ri-mane intatta ed è interamente sottratta all’alto rumore della sto-ria mondiale e ai suoi cambiamenti, non solo quelli esteriori e transeunti, ma anche quelli che la necessità assoluta del concet-to della libertà porta con sé12.

12 G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di G. BONACI-

NA e L. SICHIROLLO, Laterza, Roma–Bari, 2003, pp. 33–34.

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Infatti, l’essenza dello spirito è la libertà, la possibilità di «astrarre da ogni cosa esterna e dalla propria stessa este-riorità, dal proprio stesso essere determinato»13. Lo spirito può sopportare il dolore infinito della negatività, e non perdersi, ma conservarsi ed essere identico per sé; questo è possibile perché lo spirito «non ha in sé alcuna determina-zione ch’esso non saprebbe come posta da lui, e quindi anche tale da potere anche essere da lui superata»14.

L’animale malato

Cerchiamo allora di vedere come nasce la riflessione

sulla libertà a partire dalla famosa definizione dell’uomo come animale malato. Nell’uomo, l’individuo eccede il si-stema della natura. L’essere umano diventa disfunzionale dal punto di vista biologico, ed il suo pensare sta proprio nella tensione tra costituzione biologica e capacità di idea-lizzare il mondo, di istituire il campo della creatività stori-co–sociale. L’uomo è un animale malato perché è destina-to alla morte. Il «germe innato della morte» non può esse-re sconfitto15, ma è proprio grazie alla morte che l’uomo giunge alla consapevolezza della sua umanità, della sua costituzione non solo biologica. Il concetto della vita tran-sita dall’in sé al per sé, e l’individuo dall’essere naturale — in immediata unità con il mondo — allo spirito.

Al confine tra animalità e umanità noi siamo in grado di avvertire la profonda e complessa portata del riconosci-mento hegeliano.

13 G.W.F. HEGEL, Enciclopedia (1830). Filosofia della spirito, a cura di A. BOSI, UTET, Torino 2005, § 382, p. 94.

14 Ivi, p. 95 (aggiunta, d’ora in avanti Z). 15 G.W.F. HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio

(Heidelberg 1817), Quaderni di Verifiche, Trento, 1987, § 297, p. 187.

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Il confine, allora, diventa più labile e, nello stesso tem-po, insuperabile, nel momento in cui l’animale tenta di uscire dalla condizione dolorosa che lo contraddistingue, cercando di uscire dalla determinazione del genere. Infatti, qual è la contraddizione dolorosa in cui vive l’animale? Esso si trova in opposizione con la natura esterna e deve pertanto superare tale contraddizione consumando ciò che gli viene destinato dalla natura stessa per sostentarsi. Ma non si tratta di un vero e proprio superamento della con-traddizione. Essa, infatti, dopo ogni oggetto consumato, si ripresenta: «perché la contraddizione si risolva veramente, è necessario che l’altro, al quale l’animale si rapporta, sia eguale a lui»16. E questo si verifica nel rapporto tra i sessi:

qui ciascuno dei due sessi non trova un’esteriorità estranea, ma se stesso o il genere comune ai due. Il rapporto tra i sessi è per-ciò il punto più alto della natura vivente; a questo livello essa è sottratta nella misura più ampia alla necessità esterna, poiché le diverse esistenze messe in rapporto tra di loro non sono più re-ciprocamente esterne, ma hanno il senso della loro unità17.

Insomma, Hegel ci dice che l’animale cerca di realizzare l’identità mediante il rapporto con una differenza che non sia mera esteriorità da consumare. L’animale, però, non riesce a superare la propria condizione che lo destina a vi-vere la dolorosa dialettica in cui convivono interiorità ed esteriorità dell’individuo, e non accede alla mediazione fra due differenze autonegantesi, le quali realizzerebbero così un’unità che le libererebbe dalla coazione al consumo e negazione dell’altro18. Ma, ci avverte Hegel, l’animale non

16 G.W.F. HEGEL, Enciclopedia (1830). Filosofia della spirito, cit., § 381, p. 89.

17 Ibidem. 18 Sarebbe l’unità che fin dai primi scritti giovanili Hegel descriveva a

proposito dell’amore: «Unificazione vera, amore vero e proprio, ha luogo solo

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ha successo, non si libera dalla contraddizione. L’animale sente il genere ⎯ per esempio un cane desidera un altro cane e non un coniglio ⎯, ma non è consapevole piena-mente del genere stesso, poiché il suo desiderio è finaliz-zato a quel determinato cane in quel preciso momento, e non all’essere cane in quanto tale. Non esce dunque dal ci-clo perpetuo della riproduzione verso l’universale:

Nel superamento della particolarità dei sessi che ha luogo nel processo generico (Gattungsprozess), l’animale non giunge a produrre il genere; ciò che in questo processo vien prodotto è a

fra viventi che sono uguali in potenza, e quindi sono viventi l’uno per l’altro nel modo più completo, e per nessun lato l’uno è morto rispetto all’altro. L’amore esclude ogni opposizione; esso non è intelletto le cui relazioni la-sciano sempre il molteplice come molteplice e la cui stessa unità sono delle opposizioni; esso non è ragione che oppone assolutamente al determinato il suo determinare; non è nulla di limitante, nulla di limitato, nulla di finito. L'amore è un sentimento, ma non un sentimento singolo: dal sentimento sin-golo, poiché è solo vita parziale e non vita intera, la vita si spinge fino a scio-gliersi e a disperdersi nella molteplicità dei sentimenti per trovare se stessa in questo tutto della molteplicità. Nell’amore questo tutto non è contenuto come somma di parti particolari, di molti separati; nell’amore si trova la vita stessa come una duplicazione di se stessa e come sua unità; partendo dall’unità non sviluppata, la vita ha percorso nella sua formazione il ciclo che conduce ad un’unità completa. Di contro all’unità non sviluppata stavano la possibilità della separazione e il mondo; durante lo sviluppo la riflessione produceva sempre più opposizioni che venivano unificate nell’impulso soddisfatto, fin-ché la riflessione oppone all’uomo il suo stesso tutto, l’amore infine, distrug-gendo completamente l’oggettività, toglie la riflessione, sottrae all’opposto ogni carattere di estraneità, e la vita trova se stessa senza ulteriore difetto. Nell’amore rimane ancora il separato, ma non più come separato bensì come unito; ed il vivente sente il vivente.

Poiché l’amore è un sentimento del vivente, gli amanti possono distin-guersi solo in quanto sono mortali, solo in quanto pensano questa possibilità di separazione, non in quanto siano realmente qualcosa di separato, non in quanto il possibile congiunto con un essere sia qualcosa di reale. Negli amanti non vi è materia, essi sono un tutto vivente. Che gli amanti abbiano autonomia e ciascuno abbia un principio suo proprio di vita significa solo che possono morire». (si veda G.W.F. HEGEL, Scritti teologici giovanili, frammento L’amore, Guida, Napoli 1989, pp. 558–559 [379]).

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sua volta nuovamente un singolo. Così la natura, anche al pun-to più alto del suo elevarsi al di sopra della finitezza, ritorna a cadere in questa, dando luogo ad un movimento circolare co-stante19.

Il genere rimane astratto nell’animale, poiché appartiene in modo indifferenziato a tutti gli individui, i quali non parte-cipano in nessun modo a questo appartenere. L’animale, nel riprodursi infinitamente, non è altro che un esemplare che concorre alla conservazione della specie.

Capiamo allora di essere arrivati al confine fra natura vivente e spirito. È un confine in cui ci si guarda da vicino, ma allo stesso tempo è netto e inequivoco: nella natura l’universale non fa che produrre sempre individui, nello spirito gli individui creano l’universale e lo fanno vivere attraverso l’unione delle differenze che sono tali perché possano produrre proprio l’universale. E il confine è così netto che Hegel all’inizio della Filosofia dello spirito sog-gettivo ci dice chiaramente che lo spirito non evolve natu-ralmente dalla natura, deve attuare un salto, tanto che l’umanizzazione è sempre e solo una possibilità e, come tale, coinciderà con la libertà, come si vedrà meglio nella trattazione della follia20.

È su questo confine che avvertiamo nascere questioni decisive per la nostra ricerca. Ci limiteremo a elencarle per poi riprenderle lungo il nostro percorso. Prima di tutto, abbiamo visto che questo confine si situa a partire dalla ri-flessione sul rapporto sessuale. Ed è proprio su esso che

19 G.W.F. HEGEL, Enciclopedia (1830). Filosofia della spirito, cit., § 381, p. 89.

20 Si veda ivi, Z, p. 93: «[…] il passaggio dalla natura allo spirito non è un passaggio a qualcosa di assolutamente altro, ma solo un venire a se stesso del-lo spirito che è fuori di sé nella natura. D’altra parte, con questo passaggio non è affatto superata la differenza tra la natura e lo spirito, perché lo spirito non scaturisce dalla natura in modo naturale».

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Hegel fa nascere il processo di umanizzazione, fino a pro-spettare quella che Freud avrebbe definito sublimazione, per la nascita della storia e della cultura. Sappiamo anche quale importanza dia Hegel alla nascita di un terzo, il fi-glio, all’interno della famiglia e vedremo come anche in questo anticipi alcuni risultati della psicanalisi dopo Freud. Per quanto riguarda il riconoscimento, proprio sulla linea del confine, Hegel ci dice che nell’uomo l’identità con l’altro non viene solo avvertita, ma è oggetto di una co-struzione, è posta e mediata razionalmente. Ci insegna in-somma che l’identità si produce in due e radica quindi la nascita dell’intersoggettività e del riconoscimento nel rap-porto sessuale e nel desiderio, che però perde il suo carat-tere di “sentire”, come nella determinazione del genere in natura, e diventa punto di partenza di una costruzione ra-zionale dell’identità. In qualche modo, possiamo dire con Hegel che dal desiderio umano nasce la libertà, poiché «la vera libertà consiste nella mia identità con un altro»; essa infatti ⎯ tale identità ⎯ ci libera dal bisogno che unisce gli uomini in modo esteriore21.

21 Capiamo qui bene il senso della polemica di Hegel contro la concezione kantiana del matrimonio, mero contratto per l’uso reciproco dei genitali: «Questo intero in sé conchiuso non è un legame mediante un contratto; i co-niugi stipulano sì un contratto sulla loro proprietà, ma non sul loro corpo. [È una] rappresentazione barbarica di Kant [quella secondo cui] essi si vogliono cedere per l’uso le parti genitali, e così anche, il loro corpo quasi come un’aggiunta, [ed è altrettanto l’opinione] che essi possono essere costretti a stare assieme per mezzo dei soldati» (si veda, G.W.F. HEGEL, Filosofia dello spirito jenese, a cura di G. CANTILLO, Laterza, Roma–Bari 1984, p. 124 [239]). Scriverà poi nella Filosofia del diritto: «L’oggetto del contratto è una singola cosa esteriore, poiché soltanto una tal cosa è soggetta al loro mero ar-bitrio di alienarla. Sotto il concetto del contratto non può quindi venir sussun-to il matrimonio; questa sussunzione è esposta — turpitudine, si deve dire, — in Kant (Primi fondam. metafis. della dottrina del diritto, pp. 106 sgg.). Al-trettanto poco risiede nel rapporto contrattuale la natura dello stato, sia che lo stato venga preso come un contratto di tutti con tutti, o come un contratto di questi tutti con il principe e con il governo» (Si veda G.W.F. HEGEL, Linea-

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Il nesso desiderio–libertà ci porta infine a pensare alla lezione di Aldo Masullo che ha insegnato, proprio a partire da Hegel, che la filosofia, qualora voglia respingere la ten-tazione metafisica di definire l’essenza dell’uomo, non può che rivolgersi alla nozione di inconscio per chiarire le condizioni dell’umano. E Masullo, per il quale l’inconscio comporta che lo spirito sia paticità, desiderio di piacere e occorrenza di dolore nonché qualcosa di più della natura vivente animale, ci dice che «la sola nozione di “spirito” compatibile con l’“inconscio” è enunciata da Hegel»22, proprio nella Filosofia dello spirito.

Tale insieme di questioni ci aiuterà a tenere insieme ri-conoscimento e costituzione antropologica, proprio a par-tire dall’inconscio. Sarà un’operazione che vedrà un con-cetto di riconoscimento non metafisico, ma agganciato alle condizioni dell’umano o, se si vuole, a un’idea di natura umana post–metafisica, ma pur sempre radicata nella con-dizione tragica dell’esistenza.

menti di filosofia del diritto, cit., § 75, p. 74.

22 A. MASULLO, Inconscio e repressione, cit., p. 88.