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LA NASCITA DELL ECONOMIA MATEMATICA ECONOMIA TRA SVILUPPO DEI CLASSICI ED EQUILIBRIO DEI MARGINALISTI (NEOCLASSICI) MARX: da Feuerbach al Manifesto dei Comunisti (dalla teoria economica alla rivoluzione politica?) I MARGINALISTI: dall’utilitarismo all’equilibrio di mercato (dalla teoria economica alla reazione politica?)

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LA NASCITA DELL’ECONOMIA

MATEMATICA

ECONOMIA TRA SVILUPPO DEI CLASSICI ED

EQUILIBRIO DEI MARGINALISTI (NEOCLASSICI)

MARX: da Feuerbach al Manifesto dei Comunisti

(dalla teoria economica alla rivoluzione politica?)

I MARGINALISTI: dall’utilitarismo all’equilibrio di

mercato (dalla teoria economica alla reazione politica?)

INFLUENZA DELLA FILOSOFIA DI FEUERBACH SU MARX

Feuerbach (1804-1872) è il filosofo del materialismo storico, base del

pensiero di Marx: laureato con tesi ispirata a Hegel, Feuerbach iniziò

l’insegnamento universitario di filosofia; nel 1830 pubblica in forma

anonima Pensieri sulla morte e sull’immortalità dove dice che, poiché

l’individuo è pura apparenza, con la morte la sua anima si dissolve

nell’autentica e eterna realtà dello spirito infinito: nel clima della

restaurazione il libro fu sequestrato e l’autore cacciato della cattedra.

Nel 1839 in Critica della filosofia hegeliana Feuerbach afferma che

non si può considerare assoluto un singolo sistema, neppure quello

hegeliano, pur riconoscendone logica, universalità e ricchezza, perché

vorrebbe dire arrestare il tempo e rinunciare alla libera ricerca: perciò

in futuro la filosofia hegeliana apparirà una filosofia del passato. La

filosofia, se inizia senza presupposti ed è capace di mettere in dubbio

se stessa, è l’unica che possa permettere una totale libertà di pensiero.

INFLUENZA DELLA FILOSOFIA DI FEUERBACH SU MARX

In Tesi preliminari sulla riforma della filosofia (1842) e in Principi della filosofia dell’avvenire (1843) Feuerbach sostiene la fine della filosofia metafisica. L'uomo avverte la sua insicurezza e cerca la salvezza in un essere personale, infinito, immortale: Dio è l'oggettivazione di bisogni e aspirazioni umane, la loro proiezione in un ente immaginario, che è indipendente dall'uomo: avendo detto che non è Dio che crea l'uomo ma è l'uomo che crea l'idea di Dio Feuerbach sviluppò l'antropologia (da lui definita “filosofica”) scavando nella coscienza dell'uomo per scoprire le origini del senso del divino come infinitizzazione di sé.

Da un trattato sull’alimentazione popolare, Feuerbach trae nel 1862 Il mistero del sacrificio o l'uomo è ciò che mangia dove afferma che c’è un'unità inscindibile fra psiche e corpo: per pensare meglio dobbiamo alimentarci meglio!

Durante rivoluzione del 1848, che dilagò in Francia, Germania, Austria e Italia, Feuerbach partecipò al Congresso democratico di Francoforte come osservatore della sinistra democratica.

IL MATERIALISMO STORICO DA FEUERBACH A MARX

La concezione materialistica della storia «si fonda su questi punti: spie-

gare il processo reale della produzione, e precisamente muovendo dalla

produzione materiale della vita immediata, assumere come fondamento

di tutta la storia la forma di relazioni e che è connessa con il modo di

produzione e che da esso è generata, dunque la società civile nei suoi

diversi stadi e sia rappresentarla nella sua azione come Stato, sia spiegare

partendo da essa tutte le varie creazioni teoriche e le forme della coscien-

za, religione, filosofia, ecc., ecc. e seguire sulla base di queste il processo

della sua origine, ciò che consente naturalmente anche di rappresentare la

cosa nella sua totalità (e quindi anche la reciproca influenza di questi lati

diversi l’uno sull’altro). Essa non deve cercare in ogni periodo una cate-

goria, come la concezione idealistica della storia, ma resta salda costan-

temente sul terreno storico reale, non spiega la prassi partendo dall’idea,

ma spiega la formazione di idee partendo dalla prassi materiale, e giunge

al risultato che tutte le forme e prodotti della coscienza possono essere

eliminati non mediante la critica intellettuale (…)» (Marx, Engels, 1846)

IL MATERIALISMO STORICO DA FEUERBACH A MARX

«(…) ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali

esistenti, dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate; che non la

critica ma la rivoluzione è la forza motrice della storia, anche della storia

della religione, della filosofia e di ogni altra teoria. (…) Se milioni di

proletari non si sentono soddisfatti delle loro condizioni di esistenza, se il

loro “essere” per il materialista pratico, cioè per il comunista, si tratta di

rivoluzionare il mondo esistente (…) Se in Feuerbach si trovano punti di

vista di questo genere non vanno però mai al di là di qualche intuizione

isolata: egli dice “l’uomo” e non gli “uomini storici reali”.» (Marx e

Engels, La concezione materialistica della storia, 1846)

«La forza-lavoro è un merce che il salariato vende … per vivere. Ciò che

egli produce non è la seta che tesse … ma è il salario. E l’operaio che per

12 ore tesse … considera (il suo lavoro) come vita? La vita comincia per

lui al momento in cui cessa questa attività, a tavola, al banco dell’osteria,

nel letto.» (Marx, Lavoro salariato e capitale, 1849)

MARX: ECONOMISTA TRA EQULIBRIO E SVILUPPO

SCHEMA DI RIPRODUZIONE SEMPLICE

Equilibrio (produzioni = consumi): c1 = v2 + s2 (i capitali prodotti per il I° settore devono pagare i consumi di operai e capitalisti del II°).

SCHEMA DI RIPRODUZIONE ALLARGATA

In caso di crescita si ha equilibrio se il sovrappiù formato nel II° settore non è risparmiato, ma è speso tutto in investimenti (sac2). Se la classe capitalistica assolve al suo compito (accumulazione e reinvestimento di capitale) non si hanno condizioni patologiche di boom o di crisi (ma, per l'anarchia del mercato, una tale eventualità è casuale).

«Come nell’indagine sulla riproduzione semplice la conversione dei vari elementi del prodotto annuo, o la loro circolazione che deve comprendere la riproduzione del capitale, cioè il suo ripristinarsi nelle diverse specialità, costante, variabile, fisso, circolante, monetario, merce, non presuppone il semplice acquisto di merce integratesi con una successiva vendita in modo che si avrebbe solo uno scambio di merce con merce come crede l’economia politica, in particolare la scuola liberoscambista del tempo dei fisiocrati e di A. Smith. Noi sappiamo che il capitale fisso non viene rinnovato per tutta la durata del suo funzionamento (…) » (Marx, 1867)

MARX: ECONOMISTA TRA EQULIBRIO E SVILUPPO

Marx ironizza sullo schema di riproduzione semplice di Quesnay, Smith, Say e Bentham: «La sfera della circolazione cioè dello scambio delle merci nel cui ambito avvengono acquisto e vendita della forza lavorativa era un vero Eden dei diritti naturali dell’uomo. In essa dominano Libertà, Uguaglianza, Proprietà e Bentham. Libertà! In quanto acquirente e venditore di una merce e della forza lavorativa sono spinti solo dalla loro libera volontà. Uguaglianza! In quanto essi si pongono in reciproco rapporto solo quali possessori di merci e permutano equivalente con equivalente. Proprietà! In quanto ognuno dispone solo di quel che gli è proprio. Bentham! In quanto per ognuno dei due si tratta solo di se stesso. L’unico potere che li fa avvicinare e che li pone in rapporto è quello del proprio utile, del loro personale vantaggio, dei loro privati interessi. E proprio in quanto ognuno agisce solo per sé e nessuno per l’altro tutti compiono per un’armonia prestabilita dalle cose soltanto l’opera del loro reciproco vantaggio, dell’utilità generale, del comune interesse.» (Marx, 1867).

L’ECONOMIA DI MARX TRA EQULIBRIO E SVILUPPO

L’ironia di Marx è feroce con Bentham: «Si è visto che anche quando la grandezza del capitale funzionante è stabilita, la forza lavorativa, la scienza e la terra (tutti gli oggetti di lavoro che esistono in natura senza l’intervento dell’uomo) incorporate ad esso costituiscono delle potenze elastiche che entro ceri limiti gli offrono un campo di azione indipendente dalla propria grandezza. È tornato sempre gradito all’economia classica considerare il capitale sociale come una grandezza fissa (...) il dogma è stato rafforzato dall’ultrafilisteo Bentham, questo insulso, pedante, fanfarone oracolo della classe borghese del XIX secolo.» (Marx, 1867)*

* «Il principio d’utilità non fu inventato da Bentham. Questi ha soltanto riprodotto in maniera priva di spirito quanto Helvetius e altri francesi del XVIII secolo avevano detto con spirito. Con la più ingenua banalità egli considera il meschino uomo borghese moderno come l’uomo normale. Ciò che è utile a questo strano uomo normale e al suo mondo è utile in sé e per sé. Secondo questo metro egli giudica passato, presente e futuro. Di queste scempieggini il nostro brav’uomo ha riempito montagne di libri (…) definirei Bentham un genio della stupidità borghese.» (Marx, 1867)

Ma il vincitore è stato Bentham: perché? Jeremy Bentham, di famiglia ricca e

precoce negli studi (master in legge

a Oxford ), fu in relazione con i

maggiori intellettuali inglesi e

francesi, fondò con Stuart Mill la

rivista radicale Westmintser Review

e propose il Panopticon, un carcere

circolare che permette ai guardiani

di controllare i detenuti senza essere

visti. In reazione ai college clericali

di Cambridge e Oxford fondò UCL

(University College London) dove è

esposta la sua salma imbalsamata...

Bentham vinse su Marx solo perché la

borghesia temette il Manifesto dei

Comunisti? È assai probabile!...

Manifesto del Partito Comunista (1848) Uno spettro s'aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo.

Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi. Quale partito d'opposizione non è stato tacciato di comunismo dai suoi avversari di governo; qual partito d'opposizione non ha rilanciato l'infamante accusa di comunismo tanto sugli uomini più progrediti dell'opposizione stessa, quanto sui propri avversari reazionari? Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni. Il comunismo è di già riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee. È ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso. A questo scopo si sono riuniti a Londra comunisti delle nazionalità più diverse e hanno redatto il seguente manifesto che viene pubblicato in inglese, francese, tedesco, italiano, fiammingo e danese. (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla

sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e

della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie,

l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al

commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai

conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento

rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione. L'esercizio

dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più

al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto

subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri

artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve

davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa. Ma i

mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la

manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine

rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera

subentrò la grande industria moderna; (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) (così) al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i

capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni. La grande

industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla

scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo

immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per via

di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta sull'espansione

dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano industria,

commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha

accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi

tramandate dal medioevo. Vediamo dunque come la borghesia

moderna è essa stessa il prodotto d'un lungo processo di sviluppo,

d'una serie di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico.

Ognuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato

da un corrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il

dominio dei signori feudali, sotto la forma di repubblica municipale

indipendente, talvolta di terzo stato tributario della monarchia (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) (…) la borghesia, dopo la creazione della grande industria e del mercato

mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato

rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un

comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese.

La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluziona-

ria. Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le

condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato tutti i

variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore

naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo

interesse, il freddo «pagamento in contanti». Ha affogato nell'acqua

gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota,

dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la

dignità personale nel valore di scambio e, al posto delle libertà

patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di

commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento

aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento

mascherato d'illusioni religiose e politiche. (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) La borghesia ha spogliato della loro aureola e attività che fino allora

erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il

giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi

stipendi. La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale

al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro.

(…) La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente

gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i

rapporti sociali. (…) Il continuo rivoluzionamento della produzione,

l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il

movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le

epoche precedenti. (…) Si volatilizza ciò che vi era di corporativo e

di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente

costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i

propri reciproci rapporti. Il bisogno di uno smercio sempre più esteso

per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo

terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue

basi, dappertutto deve creare relazioni. (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato

un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i

paesi. Ha tolto di sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale,

con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali

sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno.

Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa

questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che

non lavorano più soltanto le materie prime del luogo, ma delle zone

più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo dal paese

stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni,

soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per

essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali

subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra

le nazioni. E come per la produzione materiale, così per quella

intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono

bene comune. (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) L'unilateralità e la ristrettezza nazionali divengono sempre più

impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una

letteratura mondiale. Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti

di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la

borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I

bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale

spiana le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la

più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare

il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in

rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè

a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria

immagine e somiglianza. La borghesia ha assoggettato la campagna al

dominio della città. Ha creato città enormi, ha accresciuto su grande

scala la cifra della popolazione urbana in confronto di quella rurale,

strappando una parte notevole della popolazione all'idiotismo della

vita rurale. (…) la borghesia ha reso i paesi barbari dipendenti da

quelli inciviliti (…) l'Oriente dall'Occidente. (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) Da tutto ciò appare manifesto che la borghesia non è in grado di rimanere

ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla

società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice

Non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l'esistenza

al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretta a

lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da

lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può più vivere

sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese

non è più compatibile con la società. La condizione più importante per

l'esistenza e per il dominio della classe borghese è l'accumularsi della

ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del

capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato. Il lavoro

salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di

loro. Il progresso dell'industria, di cui la borghesia è veicolo

involontario e passivo, fa subentrare all'isolamento degli operai

risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) Con lo sviluppo della grande industria, dunque, vien tolto di sotto ai

piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si

appropria i prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo

tramonto e la vittoria del proletariato sono del pari inevitabili. (…) In

che rapporto sono i comunisti con i proletari in genere? I comunisti

non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai (essi)

non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato. I

comunisti non pongono principi speciali sui quali vogliano modellare

il movimento proletario. I comunisti si distinguono dagli altri partiti

proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e

fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità,

dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e

dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del

movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi

dalla lotta fra proletariato e borghesia. Quindi in pratica i comunisti

sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi

(…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) (…) Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano su idee, su

principi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo.

Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di

una esistente lotta di classi, cioè di un movimento storico che si svolge

sotto i nostri occhi. (…) La rivoluzione comunista è la più radicale

rottura con i rapporti tradizionali di proprietà; nessuna meraviglia che

nel corso del suo sviluppo si rompa con le idee tradizionali nella

maniera più radicale. (…) Abbiamo già visto sopra che il primo passo

sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fatto che il

proletariato s'eleva a classe dominante, cioè nella conquista della

democrazia. Il proletariato adoprerà il suo dominio politico per

strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare

tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del

proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al

più presto possibile la massa delle forze produttive. (…) Le misure

saranno differenti a seconda dei differenti paesi. (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848)

Nei paesi progrediti (si applicheranno) i provvedimenti seguenti:

espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita

fondiaria per le spese dello Stato; imposta fortemente progressiva;

abolizione del diritto di successione; confisca della proprietà di tutti

gli emigrati e ribelli; accentramento del credito nello Stato mediante

una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo e

di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato; moltiplicazione delle

fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e

miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo; eguale obbligo

di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per

l'agricoltura; unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e dell’industria

con misure atte a eliminare gradualmente l'antagonismo fra città e

campagna; istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli;

eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella forma

attuale; combinazione dell'istruzione con la produzione materiale (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848)

(…) Il lavoro del proletario crea il capitale, quella proprietà che sfrutta il

lavoro salariato, che può moltiplicarsi solo a condizione di generare

nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo di nuovo. La proprietà nella sua

forma attuale si muove entro l'antagonismo fra capitale e lavoro

salariato. (…) Essere capitalista significa occupare nella produzione

non soltanto una pura posizione personale, ma una posizione sociale.

Il capitale è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo

mediante una attività comune di molti membri, anzi in ultima istanza

solo mediante l'attività comune di tutti i membri della società. (…) il capitale non è una potenza personale; è una potenza sociale. Dunque,

se il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, appartenente a

tutti i membri della società, non c'è trasformazione di proprietà

personale in proprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale

della proprietà. La proprietà perde il suo carattere di classe. (…)

Manifesto del Partito Comunista (1848) Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del salario del lavoro, è

la somma dei mezzi di sussistenza necessari per mantenere in vita

l'operaio in quanto operaio. Dunque, quello che l'operaio salariato

s'appropria mediante la sua attività è sufficiente solo per riprodurre la

sua nuda esistenza. Non vogliamo abolire questa appropriazione

personale dei prodotti del lavoro per la riproduzione della esistenza

immediata, appropriazione che non lascia alcun residuo di profitto

netto tale da poter conferire potere sul lavoro altrui. Vogliamo solo

eliminare il carattere miserabile di questa appropriazione, nella quale

l'operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale, e vive solo quel

tanto che esige l'interesse della classe dominante. Nella società

borghese il lavoro vivo è soltanto un mezzo per moltiplicare il lavoro

accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è soltanto

un mezzo per ampliare, per arricchire, per far progredire il ritmo della

esistenza degli operai. (…) Le classi dominanti tremino al pensiero

d'una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le

loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.

La “reazione” al marxismo: la teoria neoclassica o marginalista

Non lo choc delle leggi dell’accumulazione di Marx né il ruolo dei

capitalisti nella crescita dell’economia ma la logica storica della

lotta di classe che avrebbe portato agli esiti del Manifesto dei

comunisti indusse la reazione (borghese?) che tradusse le idee

degli economisti classici nelle teorie degli economisti neoclassici

che usarono il calcolo utilitaristico di Bentham, la funzione di

produzione di Ricardo e la parità fra prodotti offerti e domandati

di Say introducendo nei loro calcoli il concetto di “margine”

(derivata in matematica), per cui sono noti come “marginalisti”.

Il primo “modello” (così si chiameranno d’ora in poi gli strumenti

del “laboratorio mentale dei marginalisti”) fu quello della utilità

marginale che si ricava dalla utilità totale Ut = f (Q1, Q2…QN),

dove Q1, Q2 …QN sono le quantità dei beni 1, 2, .. N, di cui il

consumatore può disporre mediante il loro acquisto sul mercato.

Le funzioni di utilità totale e marginale

Le funzioni di utilità totale e marginale

Lo scenario si fa subito “asettico”: non c’è la tavola

povera dell’operaio o quella imbandita del padrone,

ma una “funzione matematica”, “razionale” o

“cartesiana”, chiusa nel cervello del consumatore

che riceve gli stimoli sensoriali dello stomaco (fame

= bisogno; 1° cucchiaio di minestra = molto utile; 2°

un po’ meno… fino all’ultimo mandato giù a fatica).

Troppo facile? Sì per due motivi: 1) è banale: fu infatti

definito modello “del cucchiaio di minestra”; 2) ha

una inconsistenza matematica: come misurare il

“quantum” di utilità di ogni successivo cucchiaio?

Le funzioni di utilità totale e marginale Il modello matematico delle funzioni di utilità totale e marginale fu

sviluppato da Jevons: formato nell’UCL (fondato da Bentham) e professore di logica e filosofia morale e mentale a Manchester e poi di politica economica a Londra (sempre nell’UCL), Jevons ebbe l’idea che l’utilità possa esprimersi con funzione continua e quindi suscettibile di “derivazione” (passaggio dall’utilità totale a quella marginale) e “integrazione” (passaggio opposto). Per tali operazioni l’utilità deve essere quantificabile in numeri (utilità

cardinale). In Theory of Political Economy (1871) Jevons dice che la dottrina economica è una scienza matematica.

In Mathematical Psychics: An Essay on the Application of Mathematics to the Moral Sciences (1881) Edgeworth partì dal principio di sostituzione di Jevons per concepire le curve di indifferenza basate sull’utilità ordinale (da lui applicate in quella che si chiama anche oggi la scatola di Edgeworth).

Le “curve di Indifferenza” (utilità “ordinale”)

Con l’utilità “ordinale”

non si misura l’utilità

ma basta dire che sono

preferiti i livelli di utilità

più alti. La quantità di

utilità si annida però nella

distanza fra le curve di

indifferenza e nella loro

convessità verso l’origine

degli assi.

L’equilibrio del consumatore L’obiettivo del consumatore

è la massima utilità totale;

per due soli beni è:

Max Ut = U (Q1, Q2)

Per procurasi i beni dispone

di un reddito limitato (detto

“vincolo di bilancio”):

R = Q1 . P1 + Q2 . P2

Il consumatore massimizza

la sua utilità quando la retta

del reddito è tangente alla

curva di indifferenza.

Dall’equilibrio del consumatore alla sua curva di domanda dei beni sul mercato

Funzione di produzione neoclassica

a due fattori

variabili: costruzione

degli isoquanti di produzione

Isoquanto di produzione a due fattori variabili e scelta della tecnica ottima di produzione (minimo costo)

La linea di espansione della tecnica (o linea di scala)

Offerta di periodo breve dell’impresa concorrenziale

In periodo breve l’impresa

può modificare l’offerta:

può usare gli impianti più

o meno, cioè aumentare o

diminuire i costi variabili

La curva di offerta è la parte

della funzione dei costi

marginali che cresce al di

sopra del “punto di uscita”

dell’impresa: il fallimento

dell’impresa avviene nel

caso in cui non possa più

pagare i costi variabili.

Prezzo di equilibrio nel mercato concorrenziale

Funzione di domanda:

Qd = 9 - 1 P

Funzione di offerta:

Qs = 3 + 2 P

Prezzo di equilibrio:

Qd = Qs

9 – 1.P = 3 + 2.P;

P = 6 / 3 = 2

Quantità di equilibrio:

Qd = 9 - 2 = 7

Qs = 3 + 4 = 7

Equilibrio simultaneo di due mercati (un bene e il lavoro)

Domanda e offerta del bene Domanda e offerta del lavoro

Qd = f (Pq, w) Nd = f (w, Pq)

Qs = f (Pq, w) Ns = f (w, Pq)

Qd = Qs Nd = Ns

3 equazioni e 6 variabili 3 equazioni e 6 variabili

Entrambi i mercati presentano sistemi di 3 equazioni e di 6

variabili e il loro equilibrio può essere individuato soltanto

con la soluzione simultanea di un sistema di equazioni che

comprenda 6 equazioni (le 3 del mercato del bene e le 3 di

quello del lavoro) e 6 incognite: un sistema di 6 equazioni e

6 incognite è matematicamente risolvibile. Se si amplia il

mercato ad altri beni o servizi si crea il sistema economico,

il cui equilibrio generale fu dimostrato da Walras nel 1877.

Equilibrio economico generale di Walras (schema ridotto)

quantità prezzi

Beni di consumo Qa Qb Pa Pb

Servizi di fattori N m w pm

Nuovi impianti M PM

Risparmio E i

Totale variabili, n° 6 + 6 = 12

Gruppi di equazioni:

I° - domanda dei beni (n° 2 equazioni):

Qa = f (Pa, Pb, w, pm, i); Qb = f (Pa, Pb, w, pm, i)

II° - offerta dei servizi dei fattori (n° 2 equazioni):

N = f (Pa, Pb, w, pm, i); m = f (Pa, Pb, w, pm, i)

(segue schema ridotto di Walras)

III° - uguaglianza disponibilità e uso delle risorse (n° 2 eq.)

N = ana . Qa + anb . Qb + anM . M an; am=coefficienti tecnici

m = ama . Qa + amb. Qb + amM . M del lavoro e del capitale

IV° e V° - uguaglianza dei prezzi ai costi (π = 0) (n° 3 equaz.)

Pa = ana.w + ama.pm; Pb = anb.w + amb.pm;

PM = anM.w + amM.pm

VI° - uguaglianza rendimento nuova macchina a i (n° 1 eq.)

i = PM–PM (ά+β) : M, dove PM=pm : i + (ά+β)

VII° - funzione del risparmio (n° 1 equaz.):

E = f (Pa, Pb, w, pm, i)

VIII° - uguaglianza tra investimento e risparmio (n° 1 eq.):

E = M .PM variabili, n° 12: equazioni, n° 12

Concorrenza di mercato & Equilibrio generale = Massimo benessere sociale (C.V.D.)

L’ottimo paretiano corrisponde al massimo benessere sociale. Pareto, teorico dell’equilibrio economico generale con Walras, stabilì il criterio per stabilire un “ottimo sociale”: una distribuzione di beni tra gruppi sociali non è “Pareto-ottimale” se una diversa distribuzione può aumentare il benessere di uno dei gruppi senza ledere il benessere degli altri gruppi.

In figura nella slide seguente il punto H è Pareto-inferiore e B e E Pareto-superiori: E è Pareto-ottimale perché gli utenti del bene Qb perdono una utilità inferiore all’utilità guadagnata dagli utenti del bene Qa.

L’ottimo paretiano si raggiunge se si adottano i prezzi di mercato in libera concorrenza come dimostra la “scatola di Edgeworth” (figura successiva).

Equilibrio generale e massimo benessere sociale

Equilibrio generale e massimo benessere sociale

Benessere sociale: piano a dire quando è massimo!...

«Ogni singola merce è una unica e determinata funzione del suo prezzo. Tutto quello che possiamo dire in linea generale è che essa è una soltanto di un gran numero di funzioni del prezzo. Quindi in economia non esiste, come in dinamica, una legge fondamentale di applicazione generale, ma un gran numero di leggi che si possono tutte esprimere in equazioni simili ma con costanti differenti (…)

anche la parola ‘benessere’è una parola di significato assai lato, né vi è alcuna necessità di iniziare una discussione generale sul suo contenuto. Basti porre in forma più o meno dogmatica due postulati: il primo, che il benessere è composto di stati d’animo (states of consciousness) e dei loro rapporti; il secondo che il benessere può essere posto nella categoria del più e del meno. Quindi la mostra inchiesta si restringe a quella parte del benessere sociale che può essere portato, direttamente o indirettamente, in rapporto col metro misuratore della moneta. Chiameremo questa parte del benessere sociale, benessere economico» (Pigou, 1934).

L’economia matematica è “vera” scienza? «Walras fu assai lontano dall'utilitarismo di Jeremy Bentham, che invece ebbe

un influsso profondo sugli sviluppi della teoria dell'utilità in ambiente

anglosassone. La teoria dell'equilibrio economico generale si è svolta e si è

sviluppata entro il progetto di ripetere nel campo della scienza sociale

l'impresa titanica di Newton: realizzare in concreto il programma di Galileo

di una ricerca quantitativa (matematica) dei processi fisici. La storiografia

del pensiero filosofico ha individuato il tema della "matematizzazione" della

scienza sociale come uno dei grandi temi della cultura contemporanea che

sono venuti alla luce e hanno preso forma nel ricchissimo crogiolo dell'Illu-

minismo. Le istanze di riforma della realtà economica e istituzionale furono

specialmente vive nel gruppo degli "économistes" e soprattutto nell'opera di

Turgot. Negli scritti dei fisiocratici l'intento di descrivere la realtà economica

con procedure simili a quelle adottate nelle scienze della natura si manifesta

già con chiara evidenza. Walras ha in più luoghi manifestato chiaramente

una spiccata simpatia per gli économistes indicati tra le scuole di pensiero

come quella che più correttamente aveva posto le basi della successiva teoria

matematica dell'equilibrio generale.» (Ingrao, Israel,).

L’economia matematica è “vera” scienza? «Forse qualcuno forse mi chiederà se fosse necessario presentare in forma

matematica una dottrina che può sembrare per se stessa abbastanza semplice

e chiara. La mia risposta a questa domanda sarà la seguente: affermare una

teoria è una cosa, dimostrarla è un'altra; in economia politica si danno e si

ricevono tutti i giorni pretese dimostrazioni che non sono altro che

affermazioni gratuite. Ma io penso che l'economia politica non sarà una

scienza se non il giorno in cui si limiterà a dimostrare ciò che essa si è

all'incirca limitata ad affermare gratuitamente. Ora, per dimostrare che i

prezzi delle merci... risultano effettivamente da questi e da quei dati o

condizioni, è assolutamente indispensabile formulare in base a questi dati o

condizioni un sistema di equazioni in numero rigorosamente eguale a quello

delle incognite. E ciò che ho fatto in ciò che riguardava lo scambio, la

produzione e la capitalizzazione. Il XX secolo, che non è lontano, sentirà il

bisogno di rimettere le scienze sociali nelle mani di uomini di cultura

generale, abituati a maneggiare insieme l'induzione e la deduzione, il

ragionamento e l'esperienza. Allora l'economia matematica prenderà il suo

posto accanto all'astronomia e alla meccanica matematica; e, quel giorno, ci

sarà resa giustizia.» (Walras, 1877).

L’economia matematica è “vera” scienza? Walras inviò a Poincaré il saggio Economia e meccanica dove scrive:

«Mi sembra, dice eccellentemente Jevons in Teoria dell'economia

Politica che le nostre scienze devono essere matematiche

semplicemente perché trattano di quantità. Appena le cose di cui

una scienza si occupa sono suscettibili del più o del meno, i loro

rapporti e le loro leggi sono di natura matematica. Le leggi

ordinarie dell'offerta e della domanda trattano solo di quantità di

merci chieste e offerte e esprimono il modo con cui queste

quantità variano coi prezzi. Come conseguenza queste leggi sono

matematiche. Bisogna distinguere i fatti matematici in due

categorie. Gli uni sono esterni: accadono all'infuori di noi, nel

teatro della natura. Ne risulta che appaiono a tutti nello stesso

modo e c'è per ciascuno di essi un'unità obiettiva e collettiva la

stessa per tutti li chiameremo fatti fisici oggetto delle scienze

fisico-matematiche (…).

L’economia matematica è “vera” scienza? (…) Gli altri sono intimi, accadono dentro di noi, il nostro foro interiore

ne è teatro. Da cui risulta che non appaiono agli altri come a noi e che,

se ognuno può paragonarli sotto il profilo della grandezza o della

intensità, l’apprezzamento rimane soggettivo e individuale. Li

chiameremo atti psichici e saranno oggetto delle scienze psico-

matematiche. La meccanica, l'astronomia appartengono alla prima

categoria; l'economia alla seconda. Si esamini la teoria dell'equilibrio

generale del mercato e quella dell'equilibrio universale dei corpi

celesti: non si troverà che un'unica differenza: l'esteriorità dei

fenomeni meccanici e l'intimità dei fenomeni economici. Che la

misura sia esterna o intima non impedisce che ci sia una misura di

quantità e rapporti quantitativi e che perciò la scienza sia matematica.

La matematica sarebbe la lingua speciale per parlare dei fatti

quantitativi e andrebbe da sé che l'economia è una scienza matematica

allo stesso titolo che la meccanica e l'astronomia.» (Walras, 1909).

L’economia matematica è “vera” scienza? Poincaré gli rispose: «Si può misurare la soddisfazione? Posso dire che tale

soddisfazione è più grande dell'altra. Ma non posso dire che è due o tre volte

più dell'altra. La soddisfazione è una grandezza, ma non una grandezza

misurabile. Una grandezza non misurabile è solo per questo esclusa da ogni

speculazione matematica? No. Si potrebbe definire la soddisfazione con una

misura arbitraria purché questa funzione cresca sempre come la soddisfa-

zione che rappresenta. Nelle vostre premesse compare un certo numero di

funzioni arbitrarie e avete il diritto di trarne le conseguenze mediante il

calcolo; se in queste conseguenze le funzioni arbitrarie compaiono ancora,

queste conseguenze non saranno false ma saranno prive di interesse perché

saranno subordinate alle convenzioni arbitrarie fatte all'inizio. All'inizio di

ogni speculazione matematica ci sono delle ipotesi e che, affinché questa

speculazione sia fruttuosa, occorre che ci si renda conto di queste ipotesi.

Lei guarda agli uomini come infinitamente egoisti e infinitamente chiaro-

veggenti. La prima ipotesi può essere accettata come prima approssima-

zione; ma la seconda necessiterebbe di qualche riserva. Il vostro molto

devoto collega, Poincaré.» (Poincaré, 1909).

L’economia matematica è “vera” scienza? «L'eccezionale risultato teorico walrasiano è guadagnato solo al prezzo

di drastiche assunzioni che ne limitano grandemente la portata. La

prima condizione è che l'imprenditore riduca la propria motivazione

comportamentale all'esclusivo pareggiamento dei costi ai ricavi... in

questa maniera l'imprenditore ha di mira soltanto una remunerazione

salariale come gli altri lavoratori, e, poiché al capitalista spetta appena

un saggio di rendimento sul capitale prestato. Il modello walrasiano si

muove nell'astrazione paradossale di una economia capitalistica dove

nessuno è mosso dalla ricerca del profitto. La seconda condizione è

data dall'equivalenza (che alla verifica degli economisti successivi si

rivelerà una identità tautologica) del valore degli investimenti al

risparmio complessivo, da intendersi nel senso che gli imprenditori

non possono rivolgere alla produzione dei nuovi beni capitali se non

l'esatto ammontare del risparmio della collettività. Si configura una

situazione economica dove non c'è spazio per decisioni autonome di

investimento (…)

L’economia matematica è “vera” scienza? (…) riflesse e risolte nelle decisioni precedenti di risparmio. La terza

condizione è data dal vincolo del pieno impiego di tutte le risorse

produttive esistenti, lavoro compreso; la struttura del mercato dei

fattori è tale per cui, qualunque sia la quantità offerta dei servizi, essi

possano trovare esatta domanda da parte degli imprenditori in forza

delle variazioni dei prezzi di acquisto e quindi nessuno debba

rimanere se non volontariamente, inutilizzato. L'aggiunta della moneta

costituisce un velo steso sulla determinazione delle "reali" grandezze

economiche di prezzi e quantità La teoria dell'equilibrio economico

generale che Schumpeter ha giudicato un "transatlantico" rispetto a

tutte le altre teorizzazioni parziali, paragonabili a modestissimi canotti

sta a galla solo al prezzo che non siano fatte questioni né di movente

di profitto, né di decisioni autonome di investimento, né di risorse

inutilizzate, né di influenza economica della moneta (e senza queste

assunzioni) il transatlantico verrebbe a fare miseramente naufragio.»

(Gattei, 1988).

L’economia matematica è “vera” scienza? «Il sistema classico è diretto verso l'analisi di una sequenza temporale; il

metodo è dinamico, nel senso che la sequenza analizzata è irreversibile. I

marginalisti impiegano il metodo statico. Si ipotizza che l'economia sia

stazionaria.. che la quantità e le caratteristiche della popolazione rimangano

costanti nel tempo e che non vi siano cambiamenti nella tecnologia né nel

grado di scarsità delle risorse e i gusti dei consumatori restino invariati;

l'economia marginalista si basa sul principio di sostituzione: nel campo del

consumo riconosce la sostituibilità tra un paniere di beni ed un altro, e nel

campo della produzione tra una combinazione di fattori ed un'altra. L'analisi

è condotta in termini di possibilità alternative tra cui i soggetti possono

scegliere. Il metodo richiede che le alternative siano aperte e che le decisioni

prese a riguardo siano reversibili. Nella misura in cui le alternative

rimangono aperte, le decisioni dei soggetti economici sono sperimentali e

quindi reversibili. Il processo di sostituzione può quindi continuare finché,

date le risorse dell'economia, l'operare del mercato porta alla produzione

massima per i produttori e alla massima utilità dei consumatori. La posizione

stabilitasi in questo modo è considerata di equilibrio. (…)

L’economia matematica è “vera” scienza? (…) Per l'economia marginalista è il consumo e non l'accumulazione il movente

principale dell'attività economica. Secondo il nuovo sistema la sovranità dei

consumatori si sostituisce alla sovranità dei capitalisti. Se si considera

l'accumulazione la forza motrice che sottostà all'attività economica, si

riconosce l'esistenza di una classe capitalistica che grazie alla proprietà del

capitale gode del privilegio di impiegare il lavoro. Lo scopo dell'attività

economica è quello di guadagnare profitto, mantenendo i salari al minimo

livello possibile. Se si considera il consumo come la forza motrice lo scopo

dell'attività economica diventa la soddisfazione dei bisogni umani. Dal

primo punto di vista l'obiettivo della produzione è la creazione dei profitti;

dal secondo la creazione delle utilità. C'è ragione di credere che la ricerca

da parte dei marginalisti di un approccio alternativo alla teoria economica,

chiaramente una ricerca scientifica, avesse uno scopo intrinsecamente

politico. Appare innegabile il collegamento tra l'avvento del marginalismo e

il movimento socialista del tempo. Nella dimostrazione di Ricardo che i

salari sono in relazione inversa ai profitti è implicito il riconoscimento che il

conflitto di classe è inevitabile in una economia capitalistica.» (Dasgupta).