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Giusy NeGro

La musica

tra Gioco e comuNicazioNe

iNtroduzioNe di PaoLo PeLLeGriNo

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© Copyright 2013 by Edizioni Circolo Virtuoso

73041 Carmiano (LE)

Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-97521-41-9

Data pubblicazione: 21 Febbraio 2013

Prezzo: € 7,00

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iNdice

iNtroduzioNe

di Paolo Pellegrino

Capitolo primoasPetti di teoria deLLa musica

i. riflessioni teoriche sul tema della comunicazione1. La comunicazione massmediatica nel panorama filosofico del

Novecento2. contro la comunicazione massmediatica

ii. Le componenti kantiane nella teoria dell’ascolto responsabileiii. aspetti della filosofia della musica di th.W. adorno

1. introduzione2. critica delle dimensioni verticali3. il suono nel tempo4. musica e dialettica negativa

Capitolo secondomusica, suoNo ed esPerieNza

i. Verso una concezione linguistica della musica1. Premessa2. Linguaggio e musica

ii. società multiculturale, educazione, musica1. una società in metamorfosi2. tipologie culturali3. musica come esperienza universale

iii. il suono e l’ineffabileiV. alla scoperta del suono

1. L’aspetto fisico dell’uomo2. accenni storici sull’utilizzo della musica

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Capitolo terzoLa musicoteraPia

i. dalla musica alla musicoterapia1. L’ascolto fetale2. sviluppi positivi a livello cognitivo3. La memoria

ii. Giocare con la musicaiii. La musicoterapia

1. origini e caratteri della musicoterapia2. Principali approcci con la musicoterapia e loro attinenza con

l’infanzia3. La musicoterapia di orff4. L’agente specifico della musicoterapia e la sua applicazione:

lo strumentario

Capitolo quartomusica e strateGie didattiche

i. La musica e i suoi effetti nel bambino1. La musica e le sue variabili: percezione, affettività,

motivazione e creatività2. musica è comunicazione

ii. musica e didattica1. richiami storici e didattici2. Ferrante aporti e il canto religioso3. rosa agazzi e il canto educativo4. maria montessori e la percezione sonora come base

dell’intelligenza musicale5. dagli orientamenti educativi per la scuola materna. orienta-

menti dell’attività educativa nelle scuole materne statali, ema-nati con d.P.r. 10/9/1969, n. 647 (art. 2 della legge 18/3/1968,n. 444)

6. Nuovi orientamenti programmatici della scuola dell’infanzia (luglio 1990)

coNcLusioNi

BiBLioGraFia

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iNtroduzioNe

1. il libro che qui viene presentato costituisce, a ben vedere, un ambiziosoe compiuto progetto di educazione musicale. La prospettiva didattica non esau-risce, però, le sue potenzialità all’ambito scolastico. se «giocare con la mu-sica», secondo l’esplicita intenzione dell’autrice, diventa la strategiaaccattivante per accostare il bambino al mondo dei suoni, l’intento educativosi svela nella «percezione sonora come base dell’intelligenza musicale».

ma «imparare giocando» non è il solo intento del libro: un aspetto ampia-mente trattato è quello rivelatosi straordinariamente importante a livello clinicocon la musicoterapia. si tratta di una pratica che incontra crescente consensoe successo: l’ascolto fetale del ritmo cardiaco della madre e dei suoni delmondo circostante sedimentano ricordi che possono essere richiamati alla me-moria e accendere sviluppi positivi a livello cognitivo.

se la musica è gioco, lo è a partire dalla straordinaria forza evocativa e co-municativa che essa possiede. un solido impianto teorico fa da sfondo all’interastruttura del libro, dove la musica viene filtrata attraverso la cartina di tornasoledella comunicazione massmediatica ed alcune importanti categorie interpreta-tive, come quella che rinvia a Kant e al suo schema sintetico che è alla basedella teoria dell’ascolto responsabile: i momenti isolati di fascino sensoriale(“orecchiabile”) si dimostrano inconciliabili con la costituzione immanentedell’opera d’arte, che vive all’interno di una sostanziale unità sintetica. La mu-sica non deve solo divertire e distrarre, ma è anche fonte non secondaria di co-noscenza.

Questa è la tesi di th.W. adorno, il grande filosofo e musicologo tedescomorto nel 1969, a cui è dedicata buona parte del primo capitolo. L’idea chenella musica trovino espressione le tensioni e le fratture profonde della societàcontemporanea costituisce il motivo di fondo della musicologia e sociologiafilosofica di adorno, in cui concorrono elementi del pensiero marxista, dellohegelismo di sinistra e della filosofia «negativa». Partendo dall’analisi dei fe-nomeni di mercificazione estetica prodotti dall’industria della cultura di massa,egli vide nell’isolamento dell’avanguardia e nel radicalismo delle sue sceltelinguistiche una via di salvezza, tragica e utopistica, contro i processi di razio-nalizzazione massificante messi in moto dal capitalismo maturo. esemplare intal senso resta l’interpretazione da lui data nella Filosofia della musica mo-derna (1949), della musica di schönberg e della sua scuola, idealmente con-

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1 th.W. adorNo, Beethoven. Filosofia della musica, a cura di r. tiedemann, trad. it. di L.Lamberti, einaudi, torino 2001.

2 cfr. a questo proposito due belle recensioni: una di F. Luisetti (Il tramonto della bellezza)e l’altra di c. migliaccio (Tecnica e metafisica), uscite ambedue su «L’indice», a. xix (2002), n.9, p. 26.

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trapposta al neoclassicismo «reificato» di stravinskij. Le categorie della filo-sofia adorniana (fondamentali anche i suoi saggi su Wagner, 1952, e Mahler,1960) ebbero grande influenza sul pensiero delle avanguardie musicali del se-condo dopoguerra, i cui sviluppi trovarono in lui un acuto e talvolta polemicoosservatore.

dei suoi saggi di argomento musicale l’autrice prende in considerazionesoprattutto quelli dedicati a Beethoven, su cui è uscito postumo il celebre testoBeethoven. Filosofia della musica1. L’importanza, teorica e interpretativa, diquest’opera non è sfuggita a nessuno2. il saggio su Beethoven è, infatti, l’unicaopera alla quale adorno dedicò lunghi anni di studio e di lavoro – i primi testisull’argomento risalgono al 1934, gli ultimi interventi alla metà degli anni ses-santa –, senza tuttavia riuscire a portarla a termine. anzi il filosofo non misenemmeno mano alla stesura vera e propria del testo: da un lato, a causa delledifficoltà che l’opera del compositore nel suo complesso poneva e, dall’altro,e in prima istanza, perché il filosofo era convinto che dopo auschwitz fosseormai storicamente impossibile dialogare con una musica che parlava ancoracon il tono della humanitas. i frammenti su Beethoven sono poco più che ac-cenni e flebili tracce di un discorso che non poteva più essere articolato inun’epoca in cui i «mondi migliori» celebrati dal grande musicista tedesco ri-sultano soltanto una beffa grottesca per un mondo offeso. ma proprio in questastrenua tensione si può individuare il motivo per cui il libro non venne maiscritto, e i suoi frammenti corrispondono a quella tristezza con cui tanta musicadello stesso Beethoven «parla» misticamente all’uomo, aspettando invano unarisposta.

una delle tesi di fondo, che schizza l’intima connessione di musica e con-cetto, è formulata in uno dei primi frammenti: «in un significato simile a quellosecondo il quale esiste soltanto la filosofia hegeliana, nella storia della musicaoccidentale esiste soltanto Beethoven» (fr. 24, trad. it. cit., p. 17). Per convin-cersi della rilevanza teorica del Beethoven adorniano, basterebbe prendere allalettera questo lapidario giudizio, allontanando il sospetto che si tratti di unaiperbole incidentale; al contrario, secondo adorno, la preminenza delle due fi-gure si stempera nell’identità del loro contenuto di verità: «La musica di Bee-thoven è la filosofia hegeliana» (fr. 29, p. 23).

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adorno ha costruito «la cosa stessa» del confronto fra la Logica hegelianae la musica del compositore «prototipo della borghesia rivoluzionaria» (fr. 109,p. 68). in questo testo, che si aggiunge agli otto ponderosi volumi delle Ge-sammelte Schriften, non dobbiamo quindi scorgere una curiosità filologica,bensì un invito a penetrare il nucleo segreto della sua filosofia e delle sua criticamusicale. esso getta luce sul meccanismo generativo dell’estetica adorniana,che qui troviamo al lavoro nelle riflessioni su Beethoven. torna una costantedello schema teorico di adorno: il rifiuto di fare dell’arte e della filosofia duelinguaggi separati, come avviene nell’estetica tradizionale, in cui domina la«teoria dell’essenza monistico-simbolico-intuitiva dell’arte». come a dire chele categorie fondamentali della filosofia poste da hegel convergono con l’este-tica intesa come filosofia della musica – «forse il concetto più puro e rigorosodi arte deve essere desunto proprio solo dalla musica» (par. 13, p. 10) –, mentreil processo di autonomizzazione dell’idioma musicale, iniziato con Beethoven,trasforma i problemi tecnici della musica in dilemmi filosofici.

Poiché si serviva di «un mezzo non consunto», la musica di Beethoven –composta in un «momento storico in cui la musica e non la poesia convergecon la filosofia, almeno in Germania» (fr. 69, p. 47) – esprime sul piano esteticole antinomie della libertà borghese, l’impossibile conciliazione di soggettivitàautonoma e totalità sociale. in essa coesistono sviluppo dei temi e statiche ri-prese, armonizzazione tonale e dettagli amorfi, tanto che nel tour de force dellegrandi opere beethoveniane il singolo elemento risulta funzionale al tutto e alcontempo si annulla nella sua particolarità. L’esito di questa polarizzazione in-terna del linguaggio musicale e dei suoi contenuti rappresenta l’«enigma»dell’ultimo Beethoven, il quale, al fine di preservare sia i motivi aforistici siai complessi polifonici, «fa dell’impossibilità dell’armonia estetica un contenutoestetico».

a giudizio di adorno, l’ultimo Beethoven è la prima grande ribellione dellamusica contro il decorativo, contro ciò che non è puramente e oggettivamentenecessario. e per questo, dunque «proprio attraverso l’affermazione del con-cetto proprio della musica stessa, va perduta la “classicità”, pienezza, armonia,rotondità, perfezione». Lo stile tardo, la spaccatura in monodia e polifonia, èl’automovimento del Beethoven classico: «Per poter essere nel modo più purola cosa stessa, “classicamente” senza fronzoli, la classicità si spacca riducen-dosi in frammenti» (fr. 269, p. 188). L’aspetto centrale nel Beethoven tardo èla dissociazione del centro; in altre parole: la morte dell’armonia. se l’appa-renza lirica va in frantumi – la forma stessa dell’opera «tende al frammento»–, siamo di fronte ad un cumulo di «macerie», e qui s’affaccia prepotentemente

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3 un primo corposo frammento sullo stile tardo, corrispondente alle pp. 175-179 dell’attualevolume su Beethoven, era stato pubblicato in trad. it., a cura di a. arbo, su «aut-aut», n. s., mag-gio-giugno 1988, n. 225, pp. 87-90, preceduto da una Nota dello stesso arbo, pp. 81-86. Per unprofilo complessivo del pensiero di adorno, cfr. il mio Teoria critica e teoria estetica in Th.W.Adorno, argo, Lecce 20042.

4 cfr. a questo proposito c. dahLhaus, Analisi musicale e giudizio estetico, trad. it. di s.Gozzi e a. serravezza, ed. it. a cura di a. serravezza, il mulino, Bologna 1987.

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un tema che evoca in modo esplicito il motivo benjaminiano dell’AngelusNovus, l’angelo della storia che una tempesta «spinge irresistibilmente versoil futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a luinel cielo». sullo sfondo, domina il «pensiero della morte» (p. 177), la furia de-vastatrice di fronte alla cui realtà «cessa il diritto dell’arte» (ibid.). Questo èuno degli elementi decisivi della interpretazione adorniana3.

L’enigma dello stile tardo di Beethoven, a cui sono rivolte le pagine piùbelle di questo volume, si confonde con l’enigma dell’estetica adorniana. co-stretta a reagire al dominio dell’industria culturale tramite la rinuncia all’illu-sione estetica, l’arte moderna «autentica» prediletta da adorno abdica – avevagià sostenuto in Filosofia della musica moderna – all’apparenza sensibile «infavore della conoscenza».

2. ma, a parte un geniale interprete come adorno, qual è il senso, il signi-ficato e il ruolo cognitivo della musica? e’ possibile designare con una formulasintetica il carattere specifico della musica? e ancora: è possibile che le cate-gorie dell’analisi musicale diano la parola alle emozioni destate dall’ascoltodi un brano di Bach, di schubert o di mahler? che rapporto vi è tra la criticadella forma musicale ed i giudizi estetici dettati dalla «sensibilità» dell’ascol-tatore?4

i quesiti di fondo legati alla definizione concettuale della musica e al variaredi questa concezione nella tradizione culturale dell’occidente dall’antichità ainostri giorni, pongono una serie di problemi soprattutto in ordine all’intreccioquasi inestricabile tra emozione e significato che sembra custodire il segretodi un brano. se l’antichità (da Pitagora in poi) associò la musica ai rapportinumerici in cui si manifestava l’armonia dell’universo, se s. agostino parla di«scientia bene modulandi», la pratica musicale che emerge all’inizio dell’etàmoderna rimanda alla «teoria degli affetti» e alla sfera delle emozioni; tra ra-zionalismo settecentesco e irrazionalismo romantico si arriva poi alla rivendi-cazione, da un lato, dell’«asemanticità» dell’espressione musicale, e dall’altroalla concezione della musica come «linguaggio». «che cos’è dunque la mu-

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5 a. WeBerN, Der Weg zur neuen Musik, a cura di W. reich, Wien 1960, pp. 46 e 17.6 e. haNsLicK, Il bello musicale. Contributo alla revisione dell’estetica della musica (1854),

trad. it. di m. donà, introd. di L. rognoni, a. minuziano ed., milano 1945, p. 83. con hanslick,la dipendenza servile delle estetiche particolari dal superiore principio metafisico di un’esteticagenerale cede sempre più alla convinzione che ogni arte vuole essere conosciuta nelle sue propriedeterminazioni tecniche e vuole essere compresa per se stessa. il «sistema» di tipo hegeliano vaa poco a poco cedendo il posto all’«indagine» formale.

7 cfr. h.h. eGGeBrecht, Il senso della musica. Saggi di estetica e analisi musicale, trad. it.di L. Bianconi, F.a. Gallo, a. serravezza, ed. it. e introd. di a. serravezza, il mulino, Bologna1987. mi sia consentito al riguardo anche il rinvio ad un mio contributo, L’ascolto e il riascoltoin musica: problemi di estetica e analisi musicale, in L’estetica del neoidealismo italiano, con-gedo editore, Galatina 1996, pp. 209-226.

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sica?» si chiedeva anton Webern, il grande compositore austriaco. e rispon-deva: «La musica è linguaggio. in questo linguaggio l’uomo vuole esprimerepensieri, ma non pensieri che si lasciano convertire in concetti, bensì pensierimusicali». «ognuno vuole comunicare con i suoni qualcosa che non si puòdire altrimenti. in questo senso la musica è linguaggio»5.

in realtà, la musica non è solo «forma sonoramente mossa», come volevaeduard hanslick6; accanto alla struttura sintattica, anzi fuso con questa, il «lin-guaggio dei suoni» presenta anche un aspetto semantico, un contenuto. La tra-duzione in parole di tale contenuto, inoltre, non è improponibile, comeritenevano i romantici fedeli all’idea dell’«ineffabilità» della musica; la suaverbalizzazione e la sua concettualizzazione sono opportune oltre che legittime,perché grazie ad esse può aprirsi all’esperienza musicale la via della comuni-cazione e dell’intersoggettività, della discussione razionale e della verificabi-lità. in questa cornice si colloca il modello dell’analisi musicale: il lavorodell’analista deve essere diretto all’esplorazione e alla determinazione, in ter-mini concettuali, dei contenuti della musica, all’interpretazione dell’opera edel suo significato. un lavoro di tal genere non si lascia ridurre a puro rileva-mento di strutture latenti e, lungi dall’accreditare una immagine troppo tecnicadell’analisi, mostra significative convergenze con la critica musicale7. i saggicompresi in questo volume non si limitano ad approfondire questo modello insede musicologica, ma lo esemplificano, con esiti di notevole interesse.

3. un intero capitolo è, poi, dedicato alla musicoterapia, alla sua attinenzacon l’infanzia e alla sua incisiva capacità risolutiva di alcuni casi clinici.

Per musicoterapia s’intende l’intervento di carattere preventivo e terapeu-tico-riabilitativo che utilizza l’espressione musicale (in quanto forma di comu-

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nicazione non verbale) finalizzandola alla stimolazione e allo sviluppo di fun-zioni quali l’affettività, la motricità, il linguaggio, ecc.; si tratta di un interventoche può essere rivolto sia agli adulti sia ai bambini.

mentre l’intervento terapeutico è di competenza medica (più strettamenteneuro-psichiatrica), in sede preventiva e riabilitativa tale competenza può es-sere assunta da operatori di varie discipline (pedagogia, psicologia, ecc.). Levarie forme di intervento possono essere utilizzate come coadiuvanti coordinatiad altri trattamenti, oppure in modo esclusivo. si distinguono due procedimentifondamentali, per lo più in stretto rapporto tra loro: uno «ricettivo» e uno «at-tivo». il primo consiste nell’ascolto di messaggi sonori, ritmici o musicali,scelti nell’ambito della letteratura musicale o tratti da particolari e significativesituazioni sonoro-ambientali oppure confezionati ad hoc dal terapeuta in pre-parazione alle sedute o in tempo reale (improvvisazione). il procedimento «at-tivo» consiste, invece, nel fare concretamente musica (nella accezione piùampia, che comprende sia l’elaborazione di prodotti ortodossi e formali siaproduzioni eterodosse e informali) utilizzando strumenti musicali, oggetti, partidel corpo, in espressioni individuali o di gruppo.

si distinguono varie sfere di intervento: la sfera relazionale, che comprendei casi in cui è necessario motivare, stimolare e sostenere atteggiamenti di ca-rattere affettivo ed emozionale disturbati e tali da impedire una normale vitadi comunicazione e di relazione sociale; la sfera motoria: l’intervento mira astimolare e sostenere il movimento dal punto di vista funzionale ed espressivo;la sfera verbale: l’intervento tende a motivare, stimolare, attivare l’espressioneverbale dal punto di vista ritmico e fonetico; la sfera sensoriale (uditiva, visiva):si interviene per specializzare e qualificare il residuo uditivo utilizzando la viatattile, viscerale, ossea, o per specializzare e qualificare la funzione uditiva deinon vedenti con un canale d’informazione che concorra alla conoscenza delreale. Fra i mezzi terapeutici si adoperano i messaggi sonori che per le loro ca-ratteristiche ipnotiche e «labilizzanti» si rivelano utili per alleviare il dolore.

La storia recente della musicoterapia, unitamente al suo carattere fortementeinterdisciplinare (che la connette alla teoria dell’informazione, alla cibernetica,alla semiotica, alla musicologia, alla psicoanalisi, alla teoria della creatività,ecc.), fa sì che non esistano criteri ordinatori unanimemente riconosciuti, bensìsolo una serie di punti di vista in parte convergenti. Premesse culturali delladisciplina possono ricercarsi negli indirizzi di psicologia antropologico-esi-stenziale e nella stessa psicoanalisi (nel senso che la musica può aiutare a faremergere e sublimare gli impulsi aggressivi o repressi) come pure nel compor-tamentismo, che fa riferimento all’esperienza musicale come a un’attività com-

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pensativa in situazioni negative o conflittuali. da parecchi decenni la terapiacon la musica viene impiegata in molti paesi, spesso con notevole successo,soprattutto in quei casi che oppongono resistenza ad altre indicazioni terapeu-tiche.

4. tutti gli spunti di teoria della musica o gli approfondimenti di ambiti par-ticolari come la musicoterapia, ai quali si è fatto finora riferimento, convergonoe trovano il loro motivo unificante in quello che possiamo considerare il cuoredel libro, cioè l’educazione musicale e le strategie didattiche che ne favorisconol’insegnamento.

occorre premettere che l’educazione musicale costituisce un campo di ri-cerca relativamente recente. se, da un punto di vista generale, educazione sidistingue da addestramento o istruzione finalizzata non alla trasmissione di unsapere tecnico, ma alla formazione più ampia della personalità e della socialitàdell’allievo, allora non può considerarsi, a rigore, come pertinente al campoeducativo la secolare tradizione dell’insegnamento nei conservatori. esso vieneinfatti impartito con finalità strettamente tecnico-professionali, anche se alcunetematiche educative sono emerse tra la fine degli anni sessanta e l’inizio deglianni ottanta del secolo appena trascorso. di educazione musicale si può parlarepiù propriamente con riferimento alla scuola non professionale: nel quadro del-l’insegnamento non specialistico della musica si sono sviluppate le propostepiù precise ed elaborate, a partire dagli inizi del Novecento. L’inserimento dellamusica in progetti formativi pluri-disciplinari ha suscitato un ripensamento pe-dagogico delle pratiche didattiche, dando avvio a una corrente di proposte e diesperienze che, maturate dapprima all’estero, sono poi approdate via via daglianni sessanta nel nostro paese, ove la ricerca si è successivamente articolata edifferenziata.

L’espressione «educazione musicale» può essere utilizzata in diverse acce-zioni. in primo luogo, l’educazione musicale può essere intesa come praticaconcreta dell’insegnamento musicale. in secondo luogo, educazione musicaleè la denominazione di una specifica disciplina scolastica, che rappresenta unadelle componenti del curricolo complessivo; ma la nozione di educazione mu-sicale coincide con un dato modello educativo (un insieme concettuale o unateoria) che costituisce o dovrebbe costituire il fondamento delle attività con-crete e un modo di concepire la disciplina scolastica stessa. infine, in un’acce-zione più allargata, con educazione musicale si può intendere il campo dellericerche che riguardano l’insegnamento musicale, quindi tutto il complesso deimodelli e delle teorie, ciò che si progetta, propone e realizza intorno al pro-

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blema dell’insegnamento musicale. Per «didattica della musica», poi, si intendel’insieme dei procedimenti, dei mezzi, delle strategie che permettono di tra-durre un certo modello in precise operazioni di insegnamento.

un modello di educazione musicale – secondo la logica della moderna teo-ria curricolare – dovrebbe prevedere in linea essenziale gli obiettivi da perse-guire (ciò che deve essere appreso), i contenuti su cui operare (in senso lato:attività, tipi di conoscenze), le metodologie funzionali all’apprendimento. tuttociò va definito in rapporto con fattori quali la natura dell’oggetto culturale (checosa s’intende per musica, quali fenomeni sono fatti rientrare nel suo ambito,quali strutture e funzioni socio-culturali le si riconoscono), le caratteristichedel destinatario (psicologia, conoscenze, contesto sociale, bisogni dell’allievo),i princìpi educativi più generali cui ci si riferisce.

come opportunamente mette in evidenza l’autrice, questi concetti vannotenuti presenti nel ripercorrere le tappe essenziali della ricerca nell’ambitodell’educazione musicale che, omettendo riferimenti lontani nel tempo e pocopertinenti, si può far iniziare con la riflessione pedagogica ottocentesca.

Le premesse della moderna educazione musicale vanno infatti ricercate nelpensiero pedagogico del sec. xix. Le nuove concezioni dell’insegnamento, dinatura squisitamente formativa, il riconoscimento della funzione delle attivitàartistiche nel quadro di una istruzione non professionale, alcune felici intuizionicirca il ruolo della musica e l’importanza dell’educazione ai sensi e all’espres-sività, costituiscono il quadro ispiratore nel quale si andranno definendo al-l’inizio del nuovo secolo le metodologie attive dell’insegnamento musicale.

comuni ai disegni educativi di e. Pestalozzi, J.F. herbart, F. Fröbel ed altristudiosi sono il rifiuto dell’insegnamento astratto e nozionistico, il richiamoalla concretezza degli apprendimenti, l’insistenza sulla necessità di un adegua-mento graduale delle attività ai processi di sviluppo fisico e mentale deglialunni, e quindi ai loro bisogni e interessi. di qui la valorizzazione dell’intui-zione, che Pestalozzi pone al centro di ogni costruzione di conoscenze, il ri-chiamo alla spontaneità (che può apparire oggi un po’ ingenuo e legato a quelmito della cultura «naturale» di cui si trova la prima enunciazione nell’Emiliodi rousseau), l’insistenza sulla «operatività» peculiare del fanciullo e sul valoreformativo del gioco (di cui Fröbel è il principale teorizzatore). si riconosceche il soggetto da educare non è una tabula rasa sulla quale iniziare da zero,senza vincoli di sorta, la costruzione della cultura e della personalità, ma alcontrario è portatore di un corredo di cognizioni già preformate, quindi di espe-rienze e di conoscenze da cui l’educatore deve prendere le mosse.

Quanto alle attività artistiche, esse sono considerate non meno fondamen-

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tali, nella formazione dell’individuo, delle scienze, ed è importante sottolinearequanto si sia lontani dai princìpi imitativi e tecnico-trasmissivi delle vecchieconcezioni, quando si afferma che l’educazione delle facoltà artistiche «prendele mosse dall’uso delle facoltà dei sensi, degli organi, delle membra», dondel’esigenza di una «ginnastica elementare» degli stessi (Pestalozzi), o si ri-chiama l’opportunità di incoraggiare il gioco con i suoni e l’esperienza vivadelle loro personalità, nel quadro di un’educazione al ritmo e al canto (Fröbel).La musica (come le altre dimensioni dell’espressività artistica) è vista comesintesi del senso e dell’interiorità, quindi come mezzo di espressione della cor-poreità, dell’affettività e dell’intelligenza. Per mezzo di essa, il soggetto si au-toriconosce e insieme si realizza nella dimensione sociale. L’autrice sottolineacon forza, nell’ultimo capitolo del libro, gli effetti positivi e tonificanti dellamusica sul bambino, in termini di percezione, affettività, motivazione e crea-tività, rendendo merito alle intuizioni pionieristiche di Ferrante aporti, rosaagazzi e, soprattutto, maria montessori, che ha molto insistito sulla percezionesonora come base dell’intelligenza musicale.

5. ma qual è lo stato della ricerca in italia? a parte isolate esperienze comequella di Laura Bassi e intuizioni occasionali di pedagogisti, non si può parlaredi educazione musicale nel nostro paese fino all’inizio degli anni sessanta.Questo vuoto di riflessione e di esperienze dipende in buona misura dall’as-senza pressoché totale della musica nell’istruzione pubblica. solo negli istitutimagistrali (e nelle cosiddette scuole di avviamento professionale fino al 1963)si pratica un insegnamento musicale, in termini peraltro nozionistici e astratti.della musica si fa cenno anche nei programmi della scuola elementare del1955; ma, a parte il fatto che se ne affida la responsabilità didattica a maestriquasi sempre privi di preparazione specifica, non si va oltre la proposta delcanto corale per imitazione, con la raccomandazione di attenersi a un repertorioreligioso, patriottico e popolare. Più avanzati appaiono gli Orientamenti del-l’attività educativa (1969) nelle scuole materne, che riflettono un nuovo climadi attenzione ai problemi dell’educazione musicale e il delinearsi di un seriodibattito pedagogico.

Le due date significative nella storia dell’educazione musicale in italia sonotuttavia il 1963, anno in cui entrano in vigore i programmi della scuola mediadell’obbligo, con l’introduzione, nel piano di studi, dell’insegnamento dellamusica, e il 1979, in cui viene pubblicata una sostanziale revisione dei pro-grammi stessi, che prevede per la musica nuove linee di metodo e l’estensioneda una a due ore settimanali dell’insegnamento in ciascuna classe.

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8 cfr. G. coLarizi, Didattica dell’educazione musicale nella scuola media, armando, roma1970. dello stesso colarizi si veda anche L’insegnamento della musica in Italia, armando,roma 1971, che riporta fra l’altro testi legislativi e programmi scolastici.

9 Per questo gruppo di autori, si rinvia a r. aLLorto - P. Perrotti BerNardi, L’educazioneritmica, ricordi, milano 1965 e a t. saVi, Educazione e musica, Loescher, torino 1968.

10 c. deLFrati, Educazione musicale, Fabbri, milano 1969. Per un approfondimento delletematiche considerate nella trattazione di delfrati e il metodo «classico» a cui egli si richiama,cfr. J. daLcroze, Ritmo, musica, educazione, hoepli, milano 1919.

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se il significato principale dei programmi del ‘63 sta nella promozione dellamusica a disciplina costitutiva del curricolo della scuola dell’obbligo, le indi-cazioni didattiche del testo ministeriale appaiono, per più aspetti, caute e so-stanzialmente arretrate. L’istanza attivistica viene limitata al canto e allaritmica, con l’esclusione di qualsiasi esperienza di autentica espressione crea-tiva. Gli obiettivi culturali non si spingono oltre una generica «formazione delgusto» (escludendo perciò una effettiva intelligenza dei fatti musicali), lo«sfogo dell’affettività» e un primo, tutto sommato passivo accostamento a mu-siche d’autore (la musica leggera e i mass media sono ignorati). Giorgio cola-rizi, che è fra i principali ispiratori del testo, ne è anche il più autorevoleesegeta. Nel volume Didattica dell’educazione musicale nella scuola media,il suo commento alle indicazioni programmatiche riconferma la loro sostan-ziale chiusura nei confronti delle tematiche pedagogiche di maggiore attualitàe di una situazione culturale complessa che avrebbe richiesto il ripensamentodei presupposti estetico-emozionali ai quali la concezione del fatto musicalerimane ancorata8. intorno ai programmi e ai problemi della loro traduzione inprassi didattica si sviluppa una fitta pubblicistica: fra gli autori più in vistavanno segnalati riccardo allorto, Vera d’agostino schnirlin, tullio savi, men-tre va registrato il ruolo divulgativo svolto dalla rivista «educazione musi-cale»9.

una posizione a sé occupa carlo delfrati, che elabora a partire da queglianni un modello alternativo a quello ufficiale, riallacciandosi alle migliori in-tuizioni dei classici dell’educazione musicale (in particolare Jacques dalcroze)e guardando anche allo specifico contesto, sia scolastico sia socio-culturale, incui l’insegnamento della musica si colloca. in Educazione musicale, egli illu-stra una logica operativa imperniata sull’educazione dell’orecchio, sulla orga-nicità funzionale dei vari momenti in cui si articola l’insegnamento (ascolto,pratica verbale e strumentale, creatività, ecc.), sul metodo della progettualità10.Questa impostazione verrà approfondita e perfezionata in successivi contributi.Va ricordato anche che delfrati figura tra i fondatori della sezione italiana della

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11 di calì si veda Creatività come educazione, Berben, ancona 1972. B. Porena è autore diMusica prima – La composizione musicale: uno strumento della pratica culturale di base nellascuola e nel territorio, altrarea, treviso 1979.

12 m. deLLa casa, La comunicazione musicale e l’educazione, La scuola, Brescia 1974.13 G. steFaNi, Insegnare la musica, Guaraldi, rimini-Firenze 1977.14 m. BaroNi, Suoni e significati, Guaraldi, rimini-Firenze 1977. L’attenzione per le dimen-

sioni comunicative ed espressive della musica caratterizza un filone di ricerca che si ispira allasemiotica e alla linguistica. Le proposte didattiche contenute negli ultimi tre volumi indicati innota vanno perciò in direzione di una integrazione interdisciplinare.

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siem (società italiana di educazione musicale), la quale ha svolto e continua asvolgere un compito fondamentale nel dibattito educativo, attraverso la rivista«musica domani» e periodici convegni di studio. attorno a questa rivista sonostate condotte negli anni settanta e all’inizio degli ottanta alcune delle rifles-sioni più avanzate sui temi della didattica e della sua fondazione pedagogica eanalitica.

all’aspetto della creatività musicale hanno dedicato la loro attenzione stu-diosi come Leonardo calì e musicisti come Boris Porena11. Quest’ultimo hasvolto significative esperienze, sulla base di un progetto di «composizione pertutti». Facendo riferimento alla musica dotta contemporanea, da un lato, e alleindicazioni della psicologia cognitiva dall’altro, Porena ha mirato a recuperare,sotto gli schemi e le convenzioni culturali, quelle strutture (l’identità, la somi-glianza, l’equivalenza, l’opposizione, ecc.) che costituiscono i nuclei più sem-plici e radicali sottostanti alle diverse attività comunicative, e dalle qualipertanto risulterebbe possibile la riscoperta autentica dei modi della produzionemusicale. Per altri studiosi non è possibile però prescindere dai codici culturalie dalle funzioni semantiche e sociali dell’evento musicale. L’approccio lingui-stico-semiologico all’educazione musicale si fa strada dalla metà degli annisettanta. maurizio della casa prospetta un itinerario metodologico in cui cen-trale è la considerazione della «linguisticità» della musica, quindi il suo esserestrumento per la realizzazione di finalità comunicative, semantiche ed espres-sive12. in una direzione dichiaratamente semiotica si collocano le proposte diGino stefani, per il quale la musica va vista come evento culturale articolatonei due aspetti dell’espressione (la forma sonora) e del contenuto (le varie realtàculturali cui la musica rinvia), aspetti posti in correlazione da codici social-mente e storicamente determinati, dunque variabili13.

anche mario Baroni assegna un particolare rilievo alle componenti signi-ficative e immaginative dell’esperienza sonora14; ma su tale linea, ormai, sepur con diverse sfumature, vanno confluendo contributi sempre più numerosi.

uno stimolo decisivo a questi orientamenti della ricerca è stato dato dai ci-

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tati programmi di educazione musicale del 1979, che non solo hanno recepitole istanze della operatività, dell’accostamento cognitivo (e non meramenteemozionale) al fatto musicale, del metodo euristico, della creatività, ma ipo-tizzano esplicitamente una natura linguistico-comunicativa della musica, de-finita appunto una «dotazione linguistica universale costitutiva dellapersonalità». se l’educazione ha compiuto sostanziali progressi negli ultimianni, non pochi rimangono tuttavia i problemi che richiedono un approfondi-mento. in particolare, dovrà essere sviluppata la descrizione epistemologica estrutturale della disciplina, mentre appare urgente una razionalizzazione, suserie basi come quelle, ad esempio, del mastery learning, della pianificazionedidattica, che rimane tuttora empirica e approssimata nei confronti di altre di-scipline del curricolo.

* * * *

in questa introduzione, mi sono sforzato di individuare la trame dei pensieriche hanno animato Giusy Negro nella composizione di questo libro, che alternariflessioni teoriche sulla musica e indicazioni metodologiche per il relativo in-segnamento. riflette probabilmente la personalità dell’autrice e i suoi interessiuna stesura per blocchi tematici non sempre legati da una stringente coerenzaformale, ma non è difficile scorgere un filo rosso che ne costituisce la tessiturasostanziale, organizzata intorno ad una endiadi: la musica come fatto sonoropotenzialmente ludico e, al tempo stesso, strumento formidabile di comunica-zione illimitata. da qui l’importanza degli effetti di ricaduta in ambito clinico(la musicoterapia) e formativo (l’insegnamento dell’educazione musicale). unalucida e cristallina intelligenza dell’universo sonoro e un’accentuata passionedidattica sono al fondo di quest’opera-prima di un’autrice che non mancheràdi proseguire un cammino di ricerca già fecondo di acquisizioni e risultati in-teressanti.

Lecce, 25 aprile 2009Paolo Pellegrino

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La musica

tra Gioco e comuNicazioNe

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Capitolo primo

asPetti di teoria deLLa musica

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15 Per una ricognizione generale dei problemi teorici legati alla comunicazione e al suo rap-porto con l’estetica, cfr. P. PeLLeGriNo, Estetica e comunicazione nel panorama teorico del No-vecento, congedo editore, Galatina 2005.

16 m. heideGGer, L’epoca dell’immagine del mondo, in id., Sentieri interrotti, a cura di P.chiodi, La Nuova italia, Firenze 1984.

17 m. horKheimer, th.W. adorNo, Dialettica dell’illuminismo (1944), trad. it. di r. solmi,introd. di G. Galli, einaudi, torino 1997.

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i.Riflessioni teoriche sul tema della comunicazione

accostandosi allo studio di un argomento quale è quello della comunica-zione, si scopre di avere a disposizione una vasta gamma di studi e di ricercheche analizzano le strutture e le funzioni della stessa. Pur in presenza di questoimpressionante apparato bibliografico, occorre constatare che si tende ad ap-piattire la comunicazione sul versante dell’industria culturale (di cui si eviden-zia la predisposizione a diffondere conformismo, banalizzazione estandardizzazione), dell’informazione (che si critica perché ideologicamenteorientata) e della pubblicità (accusata di essere un gigantesco dispositivo ca-pace di alimentare una mistificazione di massa)15.

ma il dato di fatto è che oggi si vive nell’era della comunicazione. Già ilfilosofo martin heidegger parlava della modernità come dell’«epoca delle im-magini del mondo» e scriveva: «immagine del mondo, in senso essenziale, si-gnifica non una raffigurazione del mondo, ma il mondo concepito comeimmagine»16.

1. La comunicazione massmediatica nel panorama filosofico del Novecento

in Dialettica dell’illuminismo di max horkheimer e theodor W. adorno,la comunicazione, in quanto parte integrante di una cultura commercializzata,tende inevitabilmente verso il conformismo, la banalizzazione e la standardiz-zazione, concordando perfettamente, in questo modo, con il processo storicodella «liquidazione dell’individuo»17.

e’ dalla capacità della comunicazione di rivolgersi direttamente al pubblicoche emerge la sua pericolosità. L’immediatezza, infatti, non solo dà l’illusioneche la comunicazione sia al servizio della democrazia, ma cosa ancora più

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18 m. PerNioLa, Contro la comunicazione, einaudi, torino 2004. Le citazioni sono riportatedal frontespizio del libro.

19 m. heideGGer, Essere e tempo (1927), trad. it. a cura di P. chiodi, utet, torino 1978, §35, pp. 269 sgg.

20 L. WittGeNsteiN, Tractatus logico-philosophicus (1922), trad. it. di a.G. conte, einaudi,torino 1983, p. 3.

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grave, è ostile ai pensieri, che invece vivono di mediazioni e di lavoro critico.Per lo studioso mario Perniola, porsi contro la comunicazione ha un precisovalore strategico: è necessario lanciare una sfida per ristabilire gli equilibri.L’analisi di Perniola, infatti, parte da un presupposto: «la comunicazione è l’op-posto della conoscenza». essa «è nemica delle idee perché le è essenziale dis-solvere tutti i contenuti»18. La comunicazione massmediale, la cui influenza siestende anche alla cultura, alla politica e all’arte, sembra la bacchetta magicache rende la confusione e la mancanza di contenuti la sua più grande risorsa.

Nel suo rivolgersi direttamente al pubblico, saltando tutte le mediazioni,essa è in realtà una forzatura che omologa ogni differenza. il filosofo adorno,a tal proposito, richiamava l’attenzione sul rischio connesso al fatto che “simettono a tacere” interrogativi fastidiosi circa la qualità, verità o falsità di ciòche viene comunicato. heidegger, in Essere e tempo, affermava che l’esseretende ad uniformarsi a quel che «si dice, si pensa, si fa», perciò prevale l’ano-nimia19. insomma, l’obiezione mossa alla comunicazione è la sua scarsa au-tenticità, la mancanza di verità dei fatti.

c’è poi un altro aspetto da evidenziare: un vero comunicatore è tale soloquando rispetta, tra l’altro, un principio elementare, ossia comunicare soloquando si ritiene di conoscere. Questo presuppone che la deontologia profes-sionale del grande comunicatore possa fare proprio l’ammonimento dell’ultimaproposizione del Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein: «suciò di cui non si può parlare, si deve tacere»20.

a volte, però, questo non succede: è facile rintracciare uomini di comuni-cazione che intendono indurci a credere ad una miriade di informazioni, perinvogliarci ad acquistare un certo prodotto, a simpatizzare per un certo partitopolitico, ad andare a vedere un certo film, ad ammirare una certa persona.

2. Contro la comunicazione massmediatica

il grido d’allarme provocatoriamente lanciato da Perniola sulle distorsionie i limiti della comunicazione non è il solo ad essersi levato nel panorama con-

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21 i. ramoNet, La communication victime des marchands, Édition La découverte, Paris1989. di ramonet cfr. altresì La tirannia della comunicazione, trad. it. di ch. Leggeri, asterioseditore, trieste 1999 e Propagande silenziose. Massa, televisione, cinema, trad. it. di a. e e.Vinassa de regny, asterios editore, trieste 2002.

22 m. ruGGeNiNi, Prefazione a aa.VV., La comunicazione. Ciò che si dice e ciò che non silascia dire, a cura di m. ruggenini e G.L. Paltrinieri, donzelli editore, roma 2003, p. ix.

23 cfr. K.r. PoPPer, J. coNdry, Cattiva maestra televisione, a cura di F. erbani, introd. diG. Bosetti, allegato al n. 10/1994 di «reset».

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temporaneo. Negli ultimi anni si sta infatti diffondendo l’opinione che la co-municazione tenda alla banalizzazione delle idee e ad una tirannia massme-diatica.

un esponente particolarmente influente di questo modo di pensare è ignacioramonet, il quale insiste nel sostenere che la comunicazione è ormai diventatala «grande superstizione» della modernità21. a suo giudizio, si sta assistendo aun paradossale ritorno di censure e manipolazioni, che ripropongono «il mi-gliore dei mondi possibili», affascinando i cittadini e distraendoli dai loro do-veri civici. e’ questa la cosiddetta era dell’«alienazione». ramonet rileva chei cittadini, di fronte al sempre più grande potere della comunicazione di massa,hanno ormai smesso di porsi il rischio di una manipolazione e, a questo pro-posito, ramonet propone un esempio sufficientemente pratico: nella modernasocietà mediatica, a un bambino di quattro anni, ancor prima che abbia iniziatola scuola, viene somministrata una dose considerevole di parecchie migliaiadi ore di televisione, che gli riempiono gli occhi di influenze di vario genere,in apparenza destinate a scomparire presto. ma tutte queste immagini (chesiano spot pubblicitari, film, serial polizieschi, scene di guerra e di violenza)lasciano su di noi delle tracce il cui effetto, alla lunga, finisce per influenzarein maniera significativa il nostro comportamento. infatti, a meno che non siimmagini la società composta da uomini passivi che vivono da spettatori e vit-time anonime, al contrario, si dovrà pensare alla comunicazione come ad unelemento costitutivo del vivere comune all’interno di una società.

mario ruggenini fa una riflessione importante parlando dei media: quandosi parla di comunicazione in un mondo dominato dai media e dai processi del-l’informatizzazione, sembra che tutto si possa dire a tutti e da tutti, quasi a pre-scindere da qualsiasi considerazione di tempo e di luogo22.

riguardo alla televisione, oggi medium dominante, ultimamente sonoemerse serie e motivate riserve: John condry la definisce «ladra di tempo,serva infedele». il principale motivo di preoccupazione è dato dal fatto che –come sostiene K.r. Popper – «si educano i bambini alla violenza attraverso latelevisione e gli altri mezzi di comunicazione»23.

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24 G. sartori, Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza, roma-Bari 1999.25 È il titolo di uno dei capitoli de Il crepuscolo degli idoli, trad. it. di F. masini, in Opere,

ed. it. diretta da G. colli e m. montinari, vol. Vi, tomo iii, adelphi, milano 1970, pp. 75-6. se ilmondo «vero» è diventato una favola, aggiunge Nietzsche, «devo continuare a sognare» sapendodi sognare (F. Nietzsche, La gaia scienza, af. 54, trad. it. di F. masini, in Opere, cit., vol. V,tomo ii, 1965, p. 75).

26 K.-o. aPeL, Etica della comunicazione, trad. it. di V. marzocchi, Jaca Book, milano 1992.sull’intrinseca connotazione etica della comunicazione cfr. altresì id., L’Apriori della comunitàdella comunicazione e i fondamenti dell’etica, in id., Comunità e comunicazione, trad. it. di G.carchia, rosenberg & sellier, torino 1977, pp. 205-68.

27 J. raWLs, Una teoria della giustizia, trad. it. di u. santini, a cura di s. maffettone, Feltri-nelli, milano 1982, pp. 125 sgg.

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La polemica diventa più accesa con Giovanni sartori, che lancia l’allarmedel passaggio dal mondo costituito da “cose lette” al mondo delle “cose viste”.La televisione fa vedere, con il conseguente rischio del “videopotere”24. La po-lemica è soprattutto nei confronti di una situazione comunicativa che Kierke-gaard giudica “realmente falsa”.

heidegger, infatti, manifesta apertamente la sua diffidenza nei confrontidella comunicazione e afferma che in essa è insita strutturalmente la possibilitàdi perdere la verità delle cose. Più cresce la comunicazione, più siamo trascinatilontano dalle cose e dall’esperienza. Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni,secondo il detto di Nietzsche, il quale ha anche scritto che «il “mondo vero”finì per diventare favola»25.

contrario a questa visione per lo più pessimistica della comunicazione edei media si situa il pensiero di adorno, che parte da una definizione di base:il requisito essenziale del progresso consiste nel fatto che gli uomini possanoreciprocamente riconoscersi e svilupparsi nella loro diversità, e dunque il gradodel progresso raggiunto si legge non nell’unità e nella compattezza della so-cietà, nell’integrazione sociale, ma nella possibilità di differenziazione delleesperienze, nell’individuazione delle persone. Per il compiersi di questa pos-sibilità è imprescindibile il ruolo della comunicazione.

apel spiega che di fatto la comunicazione è spesso impedita da molteplicifattori, ed eliminare questi ostacoli della comunicazione si delinea come unforte compito etico26.

in Una teoria della giustizia, John rawls dichiara che «tutti i bisogni degliuomini, in quanto pretese virtuali, devono trasformarsi in richieste della co-munità, per il tramite della comunicazione, ed armonizzarsi con i bisogni ditutti gli altri»27. oggi, in effetti, la comunicazione è immersa nell’intuizione diun “agire comune”, è ambiente di relazione, è il “sapere condiviso” che fondala communitas.

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Non è più la parola magica legata alle sole tradizionali nozioni di pubblicitàe relazioni pubbliche, bensì un concetto articolato e multidimensionale, concui si indicano una serie di meccanismi accurati che mirano e contribuisconofortemente ad influenzare positivamente il rapporto dell’impresa con il mondoesterno, il rapporto dei cittadini con le istituzione, la partecipazione attiva allavita pubblica.

Le funzioni dei massmedia, infatti, vanno ben oltre il semplice fatto di for-nire informazioni sugli avvenimenti o sui problemi che riguardano da vicino,e di consentire ai singoli cittadini o gruppi di presentare le proprie opinioni.

oggi, i massmedia svolgono anche vere e proprio funzioni formative, nelsenso che hanno ampia responsabilità nel formare i concetti, le convinzioni dicui i cittadini si avvalgono per interpretare la realtà in cui vivono, fino ad in-fluenzare l’idea che si ha dell’“essere adatti” alla società, in altri termini con-tribuiscono a formare una “identità culturale”.

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28 cfr. c.s. mahNKoPF, La filosofia musicale di Adorno, in «musica e realtà», n. 58, 1997,p. 145.

29 i. KaNt, Kritik der Urtheilskraft (1790); trad. it. di e. Garroni e h. hohenegger, Criticadella facoltà di giudizio, einaudi, torino 1999. a proposito della Critica della facoltà di giudizio,seguiamo anche alcune delle argomentazioni di L. scaraVeLLi, Osservazioni sulla critica delGiudizio, in id., Saggi kantiani, La Nuova italia, Firenze 1968.

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ii.Le componenti kantiane nella teoria dell’ascolto responsabile

La teoria dell’ascolto responsabile, che è presente in tutta l’opera ador-niana ma che ha l’esemplificazione più puntuale nelle note per l’ascolto nelFido maestro sostituto e nell’Introduzione alla sociologia della musica, pre-suppone infatti l’intervento di uno schematismo, cioè di un’attività categoriz-zante da parte di chi ascolta fondata sull’a priori di un sistema categorialeuniversale. Le categorie richiamate durante l’ascolto responsabile adornianonon sono però, come in Kant, universali in quanto biologiche, ma sono inadorno universali in quanto proprie a una certa cultura (la nostra), e quindisoggette e prodotte da un’evoluzione storica. tale dato non modifica l’impo-stazione kantiana del sistema necessario secondo adorno per capire la musicain modo esemplare: che la natura delle categorie sia biologica (quindi a ragionenaturale) oppure storico-sociale come nell’ascolto responsabile adorniano, sitratta sempre di accedere a un’unificazione del molteplice operando una rettasussunzione dei momenti particolari sotto le categorie a disposizione.

Vediamo dunque come un ascolto veramente adeguato richiami i mecca-nismi dello schematismo kantiano.

L’istante in cui il pezzo comincia segna l’inizio di un rapporto esclusivofra l’ascoltatore e la musica, un rapporto fondato sulla concentrazione assoluta:nessun dettaglio deve sfuggire perché i dettagli e la totalità sono in un rapportodi implicazione reciproca. L’ascolto responsabile è in effetti un’attività orien-tata teleologicamente, perché comporta una visione in certo modo “finalistica”dell’esperienza28 e la concezione della forma musicale come “organismo”: esat-tamente come indica Kant nella seconda parte della Critica della facoltà digiudizio29, dedicata appunto allo spinoso problema del finalismo.

dunque, la sinfonia comincia il suo percorso e l’ascoltatore si trova subitodavanti a quello che nella Critica della facoltà di giudizio Kant chiama “dieMannigfaltigkeit”, il molteplice, che viene percepito grazie alla condizione del

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30 cfr. L. scaraVeLLi, Osservazioni sulla Critica del Giudizio, cit. in particolare, per unesame approfondito del problema della sussunzione in Kant (cioè la formazione di concetti em-pirici e la subordinazione di questi stessi concetti sotto concetti più complessi), cfr. il capitolo“il presupposto trascendentale”.

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senso interno, lo “spazio-tempo”. Lo sviluppo della composizione occupa unacerta porzione di tempo e l’ascoltatore comincia ad accumulare i dati fornitidall’ascolto; l’operazione di accumulo in memoria di tali dati occupa, an-ch’essa, una porzione di tempo, e tale tempo va nella stessa direzione di quellodel trascorrere del “molteplice musicale”. Kant chiama l’operazione di accu-mulo dei dati in memoria “apprensione”, contrapponendola alla “compren-sione” che provvede all’unificazione dei dati del molteplice sotto un’unicaintuizione (§ 26 dell’“analitica del sublime”).

Via via che aumentano i dati raccolti in memoria, si è obbligati a passarea categorie sempre più complesse; non soltanto si continua a sussumere i dati,ma si cominciano a sussumere le categorie utilizzate nell’ascolto sotto categoriepiù grandi secondo una catena di generalizzazione crescente fra generi e specie,in cui la specie più complessa sarà chiamata a rendere conto dell’intera com-posizione30: per esempio, dall’articolazione in “primo tema”, “ponte modu-lante” e “secondo tema” si passa all’articolazione maggiore corrispondenteall’“esposizione”. così, l’ascolto e la comprensione dei dati procedono paral-lelamente allo svolgimento della composizione. d’altro canto, l’atto di classi-ficare i dati sotto categorie o, come lo chiama Kant, l’atto della “comprensionedella molteplicità nell’unità sintetica dell’appercezione”, implicando una com-parazione di tali dati dal punto di vista formale, opera una “soppressione” deltempo volta a creare una sorta di coesistenza di tutti i dati, presenti e passati.Per riuscire a unificare i diversi elementi sotto lo stesso concetto, o sotto lastessa categoria formale, è necessario infatti che un elemento a, che si trovaormai nel passato, grazie alla memoria classificatrice dell’ascoltatore respon-sabile sia reso co-presente a β, che si trova nel presente. L’ascoltatore respon-sabile può infatti trovare che l’elemento a, ormai parte del passato, e l’elementoβ del presente hanno qualcosa in comune a livello formale: ossia delle deter-minazioni causali reciproche in rapporto alla forma. in questo senso, l’atto dicomprendere la molteplicità sotto categorie non comporta soltanto la sospen-sione del tempo, ma anche un’inversione nella catena delle determinazioni cau-sali. dove al semplice trascorrere degli elementi della composizione risultache a, in quanto temporalmente anteriore, è causa di β percepito come effetto,nel momento in cui a e β devono essere sussunti sotto una categoria formale,β, che mette in luce un aspetto di a visibile soltanto a posteriori e che rende

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31 come giustamente suggerisce r. tiedemann, curatore di th.W. adorNo, Beethoven.Philosophie der Musik, suhrkamp, Frankfurt a.m. 1993 (trad. it. di L. Lamberti, Beethoven. Fi-losofia della musica, einaudi, torino 2001), è interessante confrontare quanto Kant scrive nellaCritica della Ragion pura (a 832, B 860; trad. it. di G. colli, einaudi, torino 1957, p. 806):«sotto il governo della ragione, le nostre conoscenze non possono affatto costituire una rapsodia,ma devono piuttosto costituire un sistema. […] Per sistema, d’altronde, io intendo l’unità dimolteplici conoscenze sotto un’idea. Questa idea è il concetto razionale della forma di un tutto,in quanto sia l’estensione del molteplice, sia la posizione reciproca delle parti, vengono deter-minate a priori da tale concetto». cfr. anche c.s. mahNKoPF, La filosofia musicale di Adorno,cit., p. 145: «La nozione adorniana di tempo [...] comprende i seguenti caratteri: in primo luogoil tempo è organicamente coerente nella mediazione degli opposti; in secondo luogo è dinamicocome fondamento unificante passato e futuro e nel senso di una promessa del non-ancora stato,dunque è anche parzialmente teleologico; in terzo luogo è orientato verso il vissuto, dunque èlegato alla distinzione di Bergson tra temps durée e temps espace; in quarto luogo, con la poli-fonia, è pluristratificato, e soltanto in questo presenta una componente spaziale».

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dunque possibile la sussunzione, viene percepito come causa di a, che è tem-poralmente precedente.

È esattamente a tale fenomeno di “inversione delle determinazioni cau-sali” che adorno si riferisce quando afferma che la prima misura di una sinfoniaclassica è percepita veramente “soltanto quando si è ascoltata anche l’ultima”.in una visione “strutturalista” della musica come quella di adorno, soltantoquando si arriva all’ultima misura si può veramente comprendere la strutturadel pezzo: una comprensione veramente adeguata della musica, per adorno,si gioca sempre a ritroso rispetto al tempo di realizzazione della composizione.il Kairós non è in effetti nient’altro che il fenomeno di inversione temporale,l’istante in cui si appercepiscono tutte le connessioni strutturali del pezzo inuna sorta di simultaneità virtuale che sopprime il tempo.

La struttura sintetica dell’esperienza è, secondo Kant, regolata dallo sche-matismo trascendentale. a livello musicale, dal momento che è la presenzadelle categorie tecnico-formali a rendere possibile la comprensione del molte-plice musicale in un’unità sintetica, e visto anche che tali categorie sono orga-nizzate come un sistema di sistemi (la tonalità), per poter sussumere una di talicategorie è necessario che la coscienza dell’ascoltatore responsabile “anticipi”in un certo senso l’esperienza corrispondente alla totalità del pezzo. soltantopossedendo a priori qualcosa come un sentimento della totalità, l’ascoltatorepuò situare i dati sotto una categoria che occupa una certa posizione nel sistemaformale del pezzo. in questo senso, la “comprensione del molteplice inun’unica intuizione” – che corrisponde all’Einstand o Kairós di adorno – sipuò realizzare soltanto se l’atto di richiamare in memoria i dati del molteplicemusicale, ormai irrimediabilmente trascorsi, procede contemporaneamente aun’anticipazione del non ancora stato31.

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32 cfr. th.W. adorNo, Il fido maestro sostituto, trad. it. di G. manzoni, einaudi, torino1969, pp. 101-102: «Bisogna cercare di produrre la sensazione che nel primo suono o accordodi un periodo musicale sia già contenuto tutto quel che segue [...]. ma questo postula, niente-meno, che tutti gli elementi di una composizione, per quanto diversi di costituzione, venganosintetizzati in un’unità attraverso la loro differenziazione, che tutte le dimensioni vengano rap-portate tra loro. in composizioni ben organizzate tutti i momenti sono funzioni reciproche. solola densità dell’organizzazione, la totalità delle relazioni tra i diversi fenomeni dà alla composi-zione quell’interna esattezza, quella specie di logicità specifica che prima [qui adorno si riferisceall’avvento della Nuova musica] sembrava instaurata dall’esterno grazie alle relazioni del si-stema tonale e ai suoi contrassegni».

33 cfr. th.W. adorNo, Il fido maestro sostituto, cit., p. 55: «L’altra [faccia del problemadell’ascolto] è di completare tale ascolto di momento in momento, con una capacità di percezioneche sappia racchiudere in sé quel che è passato e quel che verrà. Non si tratta di compiere rifles-sioni teoriche sulle uguaglianze e le differenze, ma di ricordare in maniera più o meno inconscia,accanto alle diversità, anche le somiglianze. ciò è però possibile solo dopo che ci si è chiariti ilproblema della pluridimensionalità del decorso musicale, del fatto che il momento attuale recain sé elementi costitutivi dei momenti precedenti. una volta che si è afferrato il concetto diquesta pluridimensionalità del tempo, e ci si pone attenzione, essa diventerà gradualmente unfattore vivo e presente all’ascolto».

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così, se è vero che non si percepisce veramente la prima misura di unasinfonia se non quando si è ascoltata anche l’ultima, occorre aggiungere al-l’idea della sospensione del tempo e all’inversione nella catena delle determi-nazioni causali l’idea, ugualmente centrale dell’anticipazione del non ancorastato: che non è la stessa cosa del semplice futuro. il futuro è qualcosa che sifronteggia situandosi nel presente, il non ancora stato è un passato che si “pre-vede”32.

si capisce così che in musica per adorno non esistano soltanto un tempo“fisico” (quello dello svolgimento della composizione) e un tempo “psicolo-gico-reversibile” che ordina la comprensione a ritroso, ma che un ascolto re-sponsabile presupponga anche l’anticipazione del non ancora stato, per modoche il tempo musicale risulti interamente pretensionato dalle categorie tonalicustodite nella coscienza dell’ascoltatore responsabile33.

L’ascolto responsabile – o ascolto strutturale – implica quindi, l’inversionenella catena delle determinazioni causali, che l’anticipazione dell’esperienza:un’operazione resa possibile dal fatto che la competenza tonale dell’ascoltatorecontiene le regole dell’unità sintetica a priori attraverso cui si possono fare an-ticipazioni sulla forma. un esempio di brano la cui comprensione adeguata èpermessa soltanto dall’ascolto responsabile è il primo tempo della SinfoniaEroica di Beethoven, citato a questo proposito da adorno stesso. Beethovenriesce a tenere insieme questo movimento di una lunghezza fino ad allora im-

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pensabile innervando il dettato di una serie di corrispondenze formali: il primotempo dell’Eroica è infatti particolarmente ricco di temi, con profili diversi,che sono però dal punto di vista armonico tutti derivati dal primo tema.

ascoltando il secondo, il terzo e perfino il quarto tema del movimentoiniziale l’ascoltatore responsabile, appercependo la parentela o meglio la filia-zione armonica dei temi successivi dal primo, coglie i nessi strutturali del branoe stabilisce un rapporto causale fra le successive apparizioni del tema e la suaprima formulazione (avendo naturalmente avuto cura di ascoltare il primotema, da cui sgorga l’intero movimento, sia come causa che come effetto dellecause che produrrà nel corso del processo formale).

a prima vista, il carattere di Beethoven ha molti tratti da Sturm und Drang,con abissi di depressione, intemperanza emotiva, stravaganze, sbalzi di umore;«fa spavento, lei, quand’è così allegro», diceva Lotte a Werther, e molti lo pen-sarono di Beethoven (fra cui Goethe: «egli è purtroppo una personalità asso-lutamente sfrenata»). si ritrovano in lui di volta in volta molte costanti dellasua generazione: l’attrazione-repulsione per Napoleone Bonaparte (comeKleist, Grillparzer, hegel), la smania dell’eguaglianza giuridica con l’aristo-crazia, l’amore intellettuale per 1’inghilterra, patria della democrazia e dellalibertà (in confronto all’austria di metternich), la passione per il mondo clas-sico, la fiducia nel miglioramento dell’umanità. con Vienna, per lungo tempo,non corre buon sangue; la città prediletta da haydn e mozart, da Beethoven èguardata con superiorità o insofferenza: nel 1794, quando dappertutto si te-mono rivolgimenti, irride l’austriaca mediocritas con l’editore simrock di Bonn(«gli austriaci rivolte non ne faranno finché avranno birra scura e salsicciotti»);la terra natia, la renania, è lo sfondo ideale dei primi anni, «incantevole re-gione» dove anela tornare (scrive ancora ne1 1801) per esercitare l’arte «a solobeneficio dei poveri». troppi musicisti a Vienna, si campa meglio a Parigi (!)è l’ignara risposta a chi gli chiede una raccomandazione; «qui a Vienna misono ormai abituato a essere trattato nella maniera più bassa e più vile», scrivecon palese esagerazione al poeta collin; a lungo si lamenta delle condizionidella musica che peggiorano, delle cattive orchestre, e guarda con ammirazioneal Nord: quando scrive a Breitkopf, a Lipsia, o a Bettina Brentano, a Berlino,parla di quelle città come fari di cultura musicale, e ogni tanto dice di volercisitrasferire senza farlo mai. solo dopo il 1809, dopo la prova di generosità deisuoi amici prìncipi, e più ancora dopo le cannonate e l’occupazione francese,si fa strada un po’ di simpatia per la vecchia città imperiale: nel 1812, con iltedesco Breitkopf, arriva addirittura a dichiararsi un «povero austriaco chesgobba sulla musica». ma anche allora, la Vienna godereccia e pagana, scettica

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e disincantata, non è per lui: Beethoven testimonia un nuovo ideale di severitàche matura nella solitudine; dopo tanta socievolezza, fondamento del sonatismopiù perfetto, egli afferma il valore del redire in se ipsum, dell’artefice solitarioche il settecento aveva finito con il mettere da parte.

al carattere di Beethoven è connessa la sua sete di cultura. Pochi altri mu-sicisti, e pochissimi prima di lui, parlano tanto di libri e letture: non si contanonei Quaderni e nelle lettere citazioni più o meno esplicite di schiller, Goethe,Kant, rousseau, Plutarco, allusioni alla storia greca e romana, alla filosofia in-diana; il Don Carlos di schiller, il Faust di Goethe gli sono familiari e le cita-zioni vengono alla penna con il distacco ironico dell’intellettuale (come quandorecita «il mio mondo è l’universo» alludendo a un trasloco); sul suo tavolo ar-rivano la versione di tacito del Bahrdt, le tragedie di euripide tradotte dalBothe; l’editore Breitkopf è tempestato di richieste, sull’edizione completa diWieland che tarda ad uscire, sulle opere di Goethe e schiller che Beethovenordina proclamandoli i suoi poeti preferiti, assieme «a ossian e omero seb-bene, disgraziatamente, l’ultimo possa leggerlo soltanto in traduzione» (un di-spiacere reale, con ogni probabilità); «ha letto il Wilhelm Meister di Goethe eshakespeare nella traduzione di schlegel? [chiede a therese malfatti ne11810]. in campagna si ha tanto tempo libero». ha pure uno stile letterario tuttosuo: una simpatia eccezionale per la jonglerie verbale e i doppi sensi (una venache si accende in particolare nella corrispondenza con lo zmeskáll), un gustoper le contraffazioni stilistiche, con prestiti dal gergo militare e dittatoriale, etutta una gradazione di toni che vanno da un materialismo desunto da shake-speare o rabelais al piglio biblico di Klopstock.

con tutto ciò Beethoven non è ancora il musicista che conosce megliosofocle dell’armonia, come segnalerà con apprensione l’ambros a metà otto-cento; è ancora prima di tutto un tecnico: considera il suo orecchio (malato) la«parte più nobile» di sé, nessuno strumento ha segreti per lui; i suoi amici sonoesecutori, cantanti, violinisti, chiamati «fratelli in arte» (tutta la parabola deisuoi quartetti è collegata alla pratica concertistica viennese del violinista ignazschuppanzigh); della sua musica parla poco, e solo in termini tecnici. ma pro-prio per questo, perché muove dal centro del massimo professionismo possi-bile, quella spinta verso la cultura acquista un valore simbolico ancorasconosciuto, quale non potevano pretendere i multiformi interessi di un rei-chardt, di un rochlitz, o di quanti altri, specie nei paesi tedeschi, già avevanofatto di musica e cultura un utile abbinamento. da quella cultura, sentita cometerra di conquista fin dai primi anni di Bonn, Beethoven trae i fondamenti delnuovo posto da assegnare alla musica, al vertice delle attività umane; anche la

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34 a questo proposito, seguiamo l’argomentazione che colin sample svolge nel suo brillantesaggio Adorno on the Musical Language of Beethoven, contenuto in “the musical Quarterly”,vol. 78, n. 2, summer 1994, p. 381.

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“Jupiter” di mozart testimonia una concezione altissima della musica, ma Bee-thoven la dice con parole, ispirandosi a un romantico neoplatonismo che vedeil bello e il buono irraggiare i loro riflessi sull’uomo attraverso l’arte; mentrel’erudito Villoteau (1807) propone l’étimo di musica dall’ebraico mou-isès =saggezza, Beethoven con la sua statura apre un credito incondizionato all’esi-genza della musica di partecipare da protagonista all’educazione dell’uomo.

adorno compara esplicitamente la struttura dell’armonia tonale in Bee-thoven al sistema epistemologico kantiano, ed è proprio il parallelo con Kanta stabilire le basi della concezione adorniana dello status filosofico di Beetho-ven. Kant aveva infatti preservato la struttura razionale della conoscenza og-gettiva dagli attacchi dello scetticismo empirico trasferendola dall’ordinenaturale in quanto tale alla struttura necessaria, a priori, dei processi mentali,ricollocando il fondamento dell’oggettività nel sistema conoscitivo del sog-getto. esattamente allo stesso modo, secondo adorno, Beethoven preserval’oggettivo sistema formale della tonalità all’interno dello stile classico trasfe-rendo i suoi fondamenti nel soggetto compositore34. soltanto il carattere “uni-versale” della tonalità, come ribadisce più volte adorno, garantirà poiall’ascoltatore responsabile di poter quasi doppiare il processo compositivo edi impadronirsi così del senso della musica riferendolo allo stesso sistema ca-tegoriale che ha permesso all’autore di strutturarlo.

un aspetto importante dell’esperienza estetica legata alla musica, singo-larmente trascurato nelle ricerche musicologiche, concerne il tema dell’ascolto.L’interesse dello storico della musica si rivolge, infatti, preferibilmente agliautori e alla loro produzione musicale, all’alternarsi di generi, stili, tecniche.

La problematica dell’ascolto, invece, nonostante tocchi un argomento con-tiguo e sollevi una questione decisiva dal punto di vista della psicologia e/osociologia della musica, non viene ritenuta altrettanto significativa sul pianostoriografico.

L’analisi musicale è ossessivamente intenta a scoprire la trama segretadelle tecniche compositive e della notazione; l’estetica mira a decifrare, comeun sismografo, le coordinate concettuali del firmamento della musica, – ma ilmedium attraverso il quale il mondo dei suoni viene interiorizzato soggettiva-mente non ha quasi mai costituito un problema, pur ponendo oggettivamenteun rompicapo che retroagisce sollevando, in definitiva, la questione del signi-

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35 h. BesseLer, L’ascolto musicale nell’età moderna, trad. it. di m. Giani, introd. di a. ser-ravezza, il mulino, Bologna 1993.

36 ivi, p. 42.37 ivi, p. 39.38 r. descartes, Oeuvres, a cura di ch. adam e P. tannery, Paris 1908, x, pp. 79-150, trad.

it. di L. zanoncelli, Breviario di musica, Passigli, Firenze 1990.

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ficato complessivo della musica, la specificità dei suoi mezzi espressivi e ladeterminazione della loro efficacia.

si può capire allora perché, quando si assume il tema dell’ascolto a os-servatorio privilegiato per ripercorrere la storia della musica – come nel casoisolato di un prezioso volumetto di heinrich Besseler35 –, si possono fare dellescoperte di enorme interesse.

i primi musicologi, che nel secolo scorso si posero il problema, facevanoriferimento al repertorio del classicismo viennese e all’ascolto nelle sale daconcerto, elevando a valore normativo queste circostanze storicamente deter-minate. Besseler ha avuto il merito di mostrare come in realtà la costituzioneformale e tecnica delle opere musicali dal xV al xix secolo postuli abiti diascolto profondamente diversi.

secondo la ricostruzione proposta da Besseler, nei quattro secoli presi inconsiderazione, si succedono – e talora si intrecciano – quattro tipi di ascolto.Nel cinquecento predomina un modello orientato alla «percezione» del signi-ficato del testo, in prevalenza religioso. si tratta essenzialmente di un approcciodiretto a «raggiungere una comprensione spirituale», giacché «l’ascoltatorenon può limitarsi ad ascoltare con i sensi, ma deve in pari tempo anche perce-pire con la mente»36. Nelle composizioni che ne costituiscono il correlato «ildato primario non è l’aspetto sonoro-musicale, bensì è un contenuto formulatoconcettualmente»37, rivestito di volta in volta di suoni.

Nel secolo successivo si afferma invece un modello di comprensione dellamusica che presuppone un esercizio di altro genere: la capacità di distinguere,collegare, avvertire corrispondenze e contrasti tra gli elementi sonori, in brevedi seguire la musica nel suo piano morfologico come costruzione autonoma,non in quanto portatrice di un testo e dei suoi significati. a ciò fa riscontro unaproduzione che tende a strutturarsi secondo specifici principi di organizzazioneformale, stimolando un’evoluzione linguistica che dalla «melodia prosastica»del cinquecento conduce a formazioni sonore caratterizzate da un decorso uni-tario e da relazioni interne. il Compendium Musicae di cartesio rappresenta lapiù nitida espressione teorica della nuova situazione, dal momento che in essoviene descritto un «ascolto attivo» capace di cogliere nei suoni un ordine cor-rispondente a principi razionali38.

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39 h. BesseLer, L’ascolto musicale nell’età moderna, cit., p. 69.40 a. serraVezza, introduzione a h. BesseLer, L’ascolto musicale nell’età moderna, cit.,

p. 12.

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Questi aspetti si accentuano nel settecento, in concomitanza con la fasedecisiva del passaggio dalla «musica-relazione» (Umgangsmusik) alla «mu-sica-rappresentazione».

tale condizione favorisce lo sviluppo di funzione attive dell’ascolto; perrapportarsi alla musica, è ora indispensabile una capacità di sintesi: si tratta diconfrontarsi con forme articolate in cui è essenziale ricondurre ad unità i diversielementi, a partire dai più semplici, quelli costituenti il materiale tematico, finoalle entità più estese, all’intero movimento. La costruzione per semifrasi, adesempio, postula la capacità di associare antecedente e conseguente, attraversoun atto sintetico che ritrova un’«unità di senso musicale»39 nell’appaiamentodi segmenti che si corrispondono.

il modello dell’ascolto sintetico è dunque connesso ad un’evoluzione este-tica e formale che culmina nell’età del classicismo. in epoca romantica, ac-canto ad esso, si diffonde un tipo di rapporto con la musica del tutto differente.si tratta dell’«ascolto passivo», di una situazione in cui si è, per così dire, im-mersi nella corrente sonora e disponibili a lasciarsene trasportare: si va dallo«sprofondamento» nell’opera teorizzato da Wackenroder e dal romanticismoal «naufragio mistico» vagheggiato da Wagner; la musica viene ora, insomma,esperita nell’immediatezza, non più seguita attivamente nel processo in cui sicostituisce come unità articolata. La nuova esperienza d’ascolto trova riscontroin nuovi elementi linguistici, in particolare conferisce alla musica il caratteredi un flusso, di una «corrente sonora» atta a coinvolgere passivamente il frui-tore in un’atmosfera.

e’ stato acutamente osservato, a questo proposito, che «la ricostruzionedell’itinerario che conduce a questo risultato non è esente da forzature»40.

La prospettiva che si dischiude è quella di passare dall’attenzione almondo sonoro inteso come complesso di «oggetti» alla possibilità di articolareun’interpretazione «esistenziale» della musica, utilizzando l’ascolto come unodegli strumenti che consentono di elaborarla.

il richiamo all’ascolto come perno su cui far leva per teorizzare un’espe-rienza integra, cioè autentica, con un coinvolgimento «esistenziale», della mu-sica, non è stato fatto a caso. in un senso da approfondire, lo stesso Besseleresplicitamente riconosce un debito nei confronti dell’analitica dell’esistenzaapplicata ai fenomeni dell’ascolto, del conversare, ecc., «così come si mo-strano» nella loro effettiva incidenza e nel loro radicamento nel mondo

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41 h. BesseLer, L’ascolto musicale nell’età moderna, cit., p. 30.42 m. heideGGer, Essere e tempo, trad. it. di P. chiodi, utet, torino 1969, p. 264.43 e. haNsLicK, Vom Musikalisch-Schönen. Ein Beitrage zur Revisian der Aesthetik der Ton-

kunst (1854), trad. it. di m. donà Il bello musicale, introduzione di L. rognoni, a. minuzianoed., milano 1945, p. 87.

44 W. VoN humBoLdt, Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbanes und ihrenEinfluss auf die geistige Entwicklung des Menschengeschlechts (1836), trad. it. e introduzionea cura di d. di cesare, La diversità delle lingue, Laterza, roma-Bari 1991, §1. «il linguaggio èuno degli aspetti nei quali la forza spirituale umana nella sua universalità appare in operositàperennemente attiva» (§3). anche l’analisi humboldtiana delle varie forme di lingua in relazionealla «peculiarità dello spirito» degli individui (§7) può essere accostata alla accentuazione han-slickiana, in polemica con hegel, della individualità delle creazioni musicali, «poiché lo spiritoche produce soggettivamente appare essenzialmente individuale» (cit., p. 199). La lingua perciò,come aveva intuito herder, non è mai per humboldt un meccanismo inerte, un puro strumento,non è mai opera (érgon) ma attività (enérgheia) organica, vivente e storica (§8). ogni lingua ècaratterizzata da una «forma interna» (innere Sprachform) che esprime la concezione del mondo(Weltanschauung) propria di chi la parla. ed è inutile continuare: è evidente che gli elementi difondo dell’impostazione humboldtiana si ritrovano attivamente all’opera nello schema concet-tuale di hanslick, caratterizzato anch’esso dall’esigenza di cogliere la «forma interna», anchese relativamente alla musica.

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umano41. il riferimento è ovviamente diretto alle pagine di Essere e tempo incui heidegger distingue i diversi modi dell’udire, dal «sentire» al «dareascolto»; se tali distinzioni non possono essere poste in corrispondenza direttacon la tipologia dell’ascolto musicale nell’età moderna, la visione che le ispiraè la medesima che guida le scelte centrali di Besseler.

«L’ascoltare – scrivere heidegger – è fenomenicamente più originario diciò che ‘psicologia’ definisce innanzitutto come ‘udito’, cioè la ricezione deisuoni e la percezione dei rumori»42.

si torna così al cuore problematico dell’ascolto, inteso come un prodottoculturale della modernità, la cui genesi e la cui convivenza con altre modalitàfruitive obbligano a tener conto di quanto si colloca oltre i suoi confini, in unorizzonte scandito dall’incombente presenza dell’«altro» e dell’«oltre».

«Nella musica c’è senso e logica, ma “musicale”; essa è una lingua chenoi parliamo e comprendiamo, ma che non siamo in grado di tradurre»: cosìscriveva nel 1854 eduard hanslick nel celebre saggio Del bello musicale. Con-tributo alla revisione dell’estetica della musica43, che può ben a ragione esserconsiderato il manifesto teorico dell’estetica musicale come disciplina auto-noma. in esso l’autore, opponendosi alla concezione musicale romantica (se-condo la quale la musica è il linguaggio dei sentimenti) e accostandosi allafilosofia del linguaggio di Wilhelm von humboldt (secondo il quale la linguaè il «rivelarsi della forza spirituale umana in una varietà di forme»44 dava ori-

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45 e. haNsLicK, Il bello musicale, cit., p. 86.46 ivi, p. 82.47 ivi, pp. 82-85.48 ivi, pp. 89 e 84.49 ivi, p. 90.50 ivi, p. 107.51 ivi, p. 188.

37

gine e fondamento all’odierno concetto di linguaggio musicale.il bello musicale non consiste nella rappresentazione di sentimenti (la

«teoria del sentimento» trascura la sensazione uditiva come cosa triviale e«prende in considerazione immediatamente il sentimento»), ma è qualcosa dispecificamente attinente alla musica: «è straordinariamente difficile descriverequesto bello indipendente della musica, questo elemento specificatamente mu-sicale»45. tentando di definirlo, hanslick osserva che si tratta di «un bello che,senza dipendere e senza abbisognare di un contenuto esteriore, consiste unica-mente nei suoni e nel loro artistico collegamento»46. Questo collegamento deisuoni («forme sonoramente mosse») è paragonabile ad un arabesco mobile ecangiante in un processo di continua autoformazione, o al mutevole gioco dicolori e di forme di un caleidoscopio, con la differenza che «un tale caleido-scopio sonoro si presenta al nostro orecchio come immediata emanazione diuno spirito artistico creatore»47. infatti il materiale musicale, il sistema musicale(nel quale «la razionalità è inserita mediante leggi naturali»), ogni singolo ele-mento musicale (intervallo, accordo, timbro, ritmo, ecc.) è «spiritualizzabile».il comporre è un «lavoro dello spirito su un materiale spiritualizzabile», leforme sonoramente mosse sono «attiva estrinsecazione di uno spirito arti-stico»48. ma questo contenuto spirituale dell’opera d’arte musicale «non lo ri-cercheremo in alcun altro momento di essa, se non nella “forma musicale”stessa»49.

La lingua dei suoni è «eternamente intraducibile»50, perché «i suoni nonsolo sono ciò con cui la musica si esprime, ma sono anche l’unica cosaespressa»51.

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iii.Aspetti della filosofia della musica di Th.W. Adorno

1. Introduzione

a me sembra opportuno mettere bene a fuoco i due pilastri tra cui si reggel’imponente impalcatura messa in essere ad adorno per intendere il senso na-scosto della musica, la sua struttura e il suo ambiguo rapporto con le realtà sto-rico-sociale, di cui è al tempo stesso mimesi e ricostruzione critica.

un primo essenziale pilastro concerne il significato filosofico attribuito allastoria della musica.

il percorso della storia della musica di adorno prende le mosse da unoscacco originario. esso è rappresentato dalla crisi del paradigma beethoviano,da cui, in termini schematici, potremmo riconoscere l’inizio di due strade: laprima corre lungo il binario della ripetizione, del tempo-spazio, la secondacontinua a muoversi sotto la spinta dialettica. tra di esse serpeggiano i tracciatidella decadenza, dominati dalla sparizione della forma chiusa e dal propositodi convertire la ferrea logica della totalità, di correggere il vincolo della dia-lettica affermativa.

da un punto di vista tecnico, si potrebbe dire che il principale risultato diquesta lettura consiste nell’aver chiarito gli spostamenti di rotta della musicamoderna in un ventaglio di deviazioni dal modello classico di una totalità for-male basata sullo sviluppo dei caratteri tematici. Qui sta la forza, il potere dipenetrazione di uno strumento che, d’altra parte, mostra il lato debole nel modocon cui vengono separate e rimosse alcune false piste. deciso è in adorno ilrifiuto di accettare l’esempio di una variazione che non si identifichi con lalinea «orizzontale» del tema, e su questa cecità si regge il rigorismo etico dellacritica anti-ideologica. ma come osserva dahlhaus – le cui glosse all’interpre-tazione di Wagner risultano illuminati in proposito – nella differenza tra Ver-dinglichung e Entäusserung si avverte la precarietà di un giudizio estetico cheha preso in prestito con fin troppa disinvoltura la terminologia della teoria eco-nomico-sociale. anche se criticava aspramente «gli editti covati dal signor Žda-nov», adorno non poteva immaginare i danni che avrebbe provocato un certouso dogmatico e intollerante del determinismo dialettico52. all’insegna del

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52 th.W. adorNo, Dissonanze, trad. it. di G. manzoni, Feltrinelli, milano 1990, pp. 53-73.

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nuovo si sarebbe spacciato senza troppi scrupoli l’effetto di facile consumo,purché potesse considerarsi una novità sul piano linguistico. soprattutto, si sa-rebbe bollato di «conservatorismo» tutto ciò che non recava il marchio del-l’avanguardia, magari vantandosi di aver saputo ripescare quel messaggio che– al termine della Filosofia – era stato racchiuso in una bottiglia, incautamenteaffidata agli spostamenti della maree.

del resto, non dovremmo dimenticare che la stessa critica di adorno rimasesovente imprigionata in una catena di idiosincrasie e preferenze personali lacui incidenza sul giudizio estetico non risulta così trascurabile come le ragionidi metodo vorrebbero indurci a ritenere. a parte il caso di Wagner, su cui, con-siderato il frangente storico, è comprensibile che adorno riversasse lo sdegnoper l’antisemitismo nazista, andrebbero citati i compositori liquidati in pochebattute, come Britten o sibelius, oppure i generi di consumo, come la musicaleggera e il jazz, qualificati come «sotto-prodotti» affatto insignificanti sulpiano estetico. in questi casi sembra legittimo ritenere che l’indifferenza e ilgusto personale venissero scambiati per insufficienze sul piano oggettivo dellacostruzione, stabilendo il limite “esterno” di una visione che già si costringevaa indossare troppi paraocchi. ma questo limite, tutto sommato, sembra averprodotto danni minori. Non furono le scelte dettate dal gusto ma soprattutto leragioni di metodo a generare la logica dello schieramento.

tra queste ultime non può non colpire in ogni modo l’unilateralità del ten-tativo di stabilire il valore di una differenza tematica intesa come indice supe-riore della costruzione, centrando la discriminazione tra «autentico» e«inautentico» sulla convalida di una forma concepita come continua variazionelineare delle componenti. affrontando l’analisi dei materiali, adorno era con-vinto di poter stabilire la «falsità» della manovra metafisica di Wagner, de-bussy, strawinsky, ecc., rilevando la loro inclinazione a ripetere, vale a dire aschernire, a demotivare le duttili trasformazioni di una temporalità «vivente».La sua idea di un «movimento oggettivo del materiale», per cui anche tali de-viazioni si giustificano nella visione di una rotta negativa, punta costantementeal confronto con il paradigma beethoveniano dello sviluppo, unico luogo incui questa temporalità sembra essersi realizzata.

Questo confronto stabilisce lo scarto di un angolatura critica a cui sfuggonole culture musicali non rientranti nella specifica trasformazione della normati-vità classica viennese e il cui limite più evidente si manifesta proprio nel ten-tativo di costringere in un unico binario le successive rotte della decadenza.come non vedere, in effetti, che la ripetizione che adorno censura funzionamolto spesso, nell’ambito delle deviazioni bollate di «arbitrio», di «conformi-

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smo» o di «ideologia», come un fattore integrativo in grado di sostenere l’av-vento di una differenza imperniata su livelli diversi da quello tematico, ma chetestimoniano nondimeno la speranza di uno sguardo sulla totalità? adorno nonvede, potremmo dire con dahlhaus, che il dramma musicale di Wagner è«drammatico», cioè, letteralmente, fondato sull’azione, in un senso diverso dalmodo in cui possiamo ritenere «drammatica» una sinfonia di Beethoven, sicchéanche il suo sviluppo si rapporta alla necessità di collegarsi all’azione e di in-dividuare la variazione a un livello armonico, sonoro, contrappuntistico, ecc.e non esclusivamente (o principalmente) tematico? e d’altra parte, saremmoproprio sicuri che il suono di debussy debba considerarsi meramente stazio-nario, sottratto a una prospettiva in divenire?

Questi interrogativi fanno vedere il limite di una lettura che, a prescinderedalle dichiarazioni di principio, non riusciva sempre ad avventurarsi nella spe-cifica configurazione dei materiali, accettando surrettiziamente di subordinarlia una superiore tendenza «storico-obbiettiva».

un secondo importante pilastro, nelle costruzione adorniana, riguarda ilconcetto di utopia negativa.

in virtù del carattere di apparenza sensibile, la musica è concepita daadorno come una particolare forma di negazione dalla realtà. Vi si sottrae inquanto atto specifico, movimento concreto. il suo distacco qualifica lo sposta-mento a un regime ontologico che sfugge all’irriflessa «presenzialità» dell’ente,avvicinandosi all’ipotesi di un divenire inarrestabile e richiamando una con-cezione dell’essere come temporalità differenziale. il negativo non è solo con-dizione di possibilità dell’opera bensì suo contenuto critico immanente, capacedi collegarla a una memoria intesa come immagine irrealizzante del presente.Fino a che punto potremmo dire che questa considerazione rimette in gioco lasua «storicità»?

L’essenza della musica è una chimera. solo la storia reale con tutte le suedifficoltà e le sue contraddizioni, costituisce la verità della musica53.

il primo riconoscimento riguarda il fatto più evidente che la storia condi-ziona la musica determinando la sua funzione sul piano sociale, ovvero la suaautonomia sul piano estetico. Quest’ordine di motivi ci rimanda al criterio spe-rimentato nella Filosofia che sostiene, attraverso l’analisi, la storicità dei ma-teriali disposti lungo una complessiva linea di tendenza in grado dicondizionare la curvatura del tracciato.

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53 th.W. adorNo, «musica e linguaggio e loro rapporto nelle composizioni contemporanee»,trad. it. di c. Lacorte, in «archivio di Filosofia», a cura di e. castelli, Bocca, milano 1956, p. 38.

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adorno avvertì il limite di questa lettura. Nel ritrattare l’opera di strawinskye di Wagner – casi in cui la severa censura dialettica aveva finito per coinvol-gere in misura diretta l’esame della struttura – una vera e propria inversione dirotta si sarebbe dimostrata tuttavia improduttiva. Nell’ordine del ripensamento,e non della revisione, si inscrivono le sue continue riletture, nelle quali figurala crisi della visione «storico-dialettica» della Filosofia.

Prendendo in considerazione l’opera di mahler questa visione si convertenel propositi (già manifestatosi nel saggio giovanile su schubert e in molti altriluoghi) di mettere a fuoco quel tratto singolare, quella destrezza della scritturacapace di salvare l’utopia di un tempo dialettico anche attraverso il più abba-cinante discredito dei materiali. si manifesta così al tendenza a formulare unalegge di organizzazione del «logos» musicale basata sul criterio della varia-zione ma in rapporto ad alcune precise scelte sintattiche e strutturali. Nella Er-füllung, in particolare, si registra il movimento di quel «non ancora divenutoin divenire» che è qualcosa in più di un semplice telos della costruzione:l’adempimento, per compiersi, ha bisogno di un processo articolato nel tempo.La sua visibilità dipende da una tensione della scrittura, che ne stabilisce laproduttiva vicinanza al particolare. Le narrazioni di mahler assomigliano aquelle del romanzo, «in quanto il suo materiale musicale è pedestre ma il mododi presentarlo sublime»54.

La subordinazione del suono alla dimensione del tempo narrativo «super-visiona» così il supporto materiale, lo setaccia fino a trasformarlo in una va-riabile collegata al tempo del racconto. ad adorno sembrò di non aver maiinsistito abbastanza su questo principio. È solo la discorsività di un’opera agarantire la sua coesione formale, e ben più a fondo, il suo valore per la cono-scenza. La musica è linguaggio non in quanto possieda un vocabolario, manella misura in cui si articola, si organizza nel tempo e nell’articolazione rifletteun contenuto dialettico essenziale. ma al contempo la musica risponde alla suapiù autentica natura proprio laddove non si lascia risucchiare da questo rap-porto. attraverso la scrittura, essa ha la facoltà di imprimere un taglio nel co-dice linguistico, di forzarlo verso un nuovo orizzonte.

tra i motivi di un probabile avvenire individuabile oggi nella musica, non èultimo quello della sua emancipazione dal linguaggio, cioè la restaurazione dellasua essenza fonica priva di intenzione, di quell’essenza appunto che il concettodel nome, per quanto insufficiente, voleva abbracciare55.

54 th.W. adorNo, Wagner, Mahler. Due studi, trad. it. di m. Bortolotto e G. manzoni, ei-naudi, torino 1975 p. 193.

55 th.W. adorNo, «musica e linguaggio e loro rapporto nelle composizioni contemporanee»,cit., p. 38.

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L’ipotesi nominalistica sottrae la musica al regime dell’identificazione con-cettuale: in un luogo anteriore alla sintassi, il nome salva la sua unicità, recu-pera la sua natura antepredicativa, non-intenzionale, essenzialmente mimetica,prossima alla natura inconsapevole. La nozione di musica informale, nell’ab-bandono della forma precostituita, concepita dall’alto, attraverso quel suo «faredelle cose che non sappiano cosa siano», sembra confermarlo. Non era tra gliintendimenti di adorno barattare il rigore del metodo dialettico con l’ipotesiarbitraria dell’alea. era necessario invece spingere la dialettica in una fessurarimasta fino a quel momento chiusa allo sguardo teoretico e dove solo le im-magini dell’arte erano state capaci di avventurarsi:

al caso [...] l’arte non rende giustizia incorporandosi fittiziamente elementiintenzionalmente casuali per depotenziare in tal modo le proprie mediazioni sog-gettive. Piuttosto essa rende giustizia al caso mediante quell’andare a tentoninel buio della via della propria necessità. Quanto più fedelmente la segue, tantomeno l’arte è a se stessa limpida. essa si oscura. il suo processo immanente haqualcosa di rabdomantico. andare lì dove la mano tira è mimesi in quanto adem-pimento dell’obbiettività [...]56.

L’esperienza della musica passa attraverso questo oscuramento. una voltariconosciuto il dissolversi di una certa ipotesi del tempo come crescita lineare,si tratta di inseguire una traccia sotterranea, lasciando che l’intenzione vengacome intorbidita da un‘energia rabdomantica, capace di mantenere salda la suainteriore necessità. in questa direzione vanno riprese e rimesse in discussionela pagine di adorno, rivolgendosi all’orizzonte in cui si manifesta lo scartoutopico di una possibile conversione del paradigma dialettico.

Per il più persuaso sostenitore della nuova musica, il «compositore dialet-tico» si distingueva non tanto per aver ideato la dodecafonia, ma perché avevasaputo dimenticare questa tecnica, traducendolo nella solitudine dell’ora storicae immaginando questa la solitudine come «stile». certamente sarebbe ingan-nevole ritenere lo stile un’alternativa opposta alle novità di linguaggio. adornonon ha mia cercato di teorizzare questo dissidio57. ma nei luoghi cruciali del-l’argomentazione, introducendo la questione dello stile ha lasciato intendereuna decisiva volontà di scartare la direzionalità «storica» del linguaggio. cosìin schubert, nei paesaggi perlustrati dal viandante, i minimi spostamenti diluce, fondati sull’espressione di un «dialetto senza terra», indicano il proposito

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56 th.W. adorNo, Teoria estetica, a cura di e. de angelis, einaudi, torino 1975, p. 195.57 ivi, pp. 344-345.

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di accedere all’alterità, configurata nei termini di una «natura» che si sottraeal dominio del volere razionale. Questa via si individua nella «configurazione»dei materiali ma a spese del dettaglio tecnico, in un tratto della scrittura, neldisegno di una irriducibile fisionomia.

ciò spiega in un certo modo gli infuocati dardi lanciati nell’altro verso allamusica di Wagner e di strauss, lasciate affogare nella «pseudomorfosi», in uno«psicologismo» deteriore che vorrebbe declassare l’espressione ai moti più la-bili e improduttivi della soggettività. Questa idea dello stile come sfumaturadel carattere psicologico ripugnava in special modo ad adorno. il rifiuto ri-guardava il proposito di deridere il soggetto e al tempo stesso di stupire, dicommuovere attraverso la sua parodia. adorno, per così dire, fece sempre sulserio. La finzione e il dileggio non rientrano fra le qualità della sua scrittura,che pure seppe avvalersi del taglio di una sottile ironia. Le mancava forse unacerta leggerezza, il senso della superficie e forse per questa ragione la musicapiù recente, di fatto svincolata da imperativi morali e superiori costrizioni «sto-rico-dialettiche», sembra aver scartato l’intransigenza della visione determini-stica esposta nella Filosofia. oggi vorremmo credere che non esiste più ilrischio di apparire così «falsi» o «reazionari» di fronte a un processo obbiettivodei materiali.

il passaggio dalla dialettica affermativa all’utopia negativa è una questioneche si individua tuttavia a monte della problematica – più esteriore ma in fondopiù discussa – di progresso e restaurazione.

L’utopia di adorno non deve essere presa come l’estremo approdo di unaricerca contrassegnata dall’aberrante ipotesi di una “catastrofe finale”58 e nem-meno come il rifugio nella “fede” e nella “speranza”, surrettizie mete di ripiegodi una “prassi mancata”59. a prescindere dalla curvatura ideologica, questi ri-conoscimenti manifestano l’imbarazzo per le conclusioni «apocalittiche» diun testo che non rendeva giustizia a una visione spinta oltre quel «progresso»

58 cfr. L. saNtoro, La filosofia della musica nel pensiero di Th. W. Adorno, universitasGregoriana, roma 1972.

59 così si esprimeva il disorientamento di renato solmi di fronte all’aporetico pessimismodei Minima moralia, introducendo una critica che verrà ripresa dal filone critico di indirizzomarxista, da Luigi Pestalozza a Giacomo manzoni. Più cauto, ma ugualmente rassegnato, il pa-rere con cui antonio serravezza conclude il suo libro: «alla necessità non può contrapporsi chela fede: se si ritiene che il linguaggio musicale sia anche portatore di valori autonomi, che nonsi desidera veder tramontare, non rimane che sperare nell’utopica sopravvivenza del mezzo mu-sicale pacificato con la conoscenza» (a. serraVezza, Musica, filosofia e società in Th. W.Adorno, dedalo, Bari 1976, p. 235).

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che intendeva legittimare. È nel progetto di una dialettica negativa che l’utopiadella musica trova il suo autentico sbocco.

un rapporto assai stretto e «a doppio legame» unisce la musica moderna alpensiero dialettico, entrambi coinvolti nella crisi della nozione di totalità. Èinnegabile che la differenza fra totalità «speculativa» e «musicale» debba va-lere, già da un punto di vista hegeliano, a garanzia dell’autonomia dell’operanel suo offrirsi al livello dell’apparire sensibile60. L’affinità della musica alpensiero concettuale introduce tuttavia una questione essenziale. Per riassu-mere le tappe del percorso stabilito da adorno, dovremmo servirci di alcunemetafore hegeliana. Fino a Beethoven, si può dire che la musica tende, ideal-mente, al raggiungimento di una dialettica affermativa, preannunciata dal-l’esempio di Bach. con Beethoven questa meta è raggiunta attraversol’ideazione di una forma chiusa, che si inscrive nel regime dell’identità. Losviluppo stabilisce una prospettiva in divenire che si arresta al momento finaledella ripresa. dal tardo stile di Beethoven in poi la musica supera questo pa-radigma e si sviluppa in due direzioni contrapposte, il cui senso si chiariscenel distacco dal modello chiuso e totalizzante della forma-sonata.

se la decadenza raccoglie le deformazioni moderniste, che dissimulano lacrisi come definitivo congedo dalla tradizione, in essa si avvertono contempo-raneamente alcune importanti spinte centrifughe. Queste deviazioni stanno par-ticolarmente a cuore ad adorno perché rispondono all’idea di una dialetticadisposta al «dialogo con l’essente», capace di fermare lo sguardo sui frammentidella totalità. La «filosofia atonale»61 trova così nella musica la sua origine e,come sospettava schönberg, la sua conferma. È il libro su mahler a indicarcicome le principali categorie del pensiero negativo si generino a contatto conla problematica della composizione62, nel tentativo di sciogliere alcuni suoispecifici «rompicapi», per dirla con Kuhn. La definizione di una nuova ideadel tempo sottende l’ipotesi di una dialettica della musica capace di esprimere

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60 osserva martin Jay: «il momento irriducibilmente mimetico presente nella musica fa sìche essa non possa mai essere completamente una costruzione del soggetto dominante, comeinvece può succedere per la filosofia, sia idealista che positivista. in questo senso Beethovenera vicino ad un olismo materialistico utopico, più dei grandi filosofi del suo tempo, con la loroostilità per la “preponderanza dell’oggetto”» (m. Jay, Theodor W. Adorno, trad. it. di s. Pom-pucci rosso, il mulino, Bologna 1987, p. 151).

61 cfr. G. Picht, «atonale Philosophie», in aa.VV., Theodor W. Adorno zum Gedadchtnis,Frankfurt, 1971 e m. Jay, Theodor W. Adorno, cit., p. 61.

62 cfr. m. zeNcK, Kunst als begrifflose Erkenntinis. Zum Kunstbegriff de äshetischen TheorieTh. W. Adornos, Wihlelm Fink Verlag, münchen 1977, p. 139.

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il movimento del «non ancora divenuto in divenire». il suo impulso prende lemosse da un radicale ripensamento del regime dialettico affermativo di Bee-thoven. ma ora questo movimento andrà inseguito a un livello ancora più cu-taneo, più «micrologico» di quanto adorno avesse potuto pensare. un buonuso della sua prospettiva passa attraverso questa sottigliezza dello sguardo.Posto che la differenza stabilita dall’opera si regga su un raddoppiamento mi-metico in cui il soggetto stabilisce e ridimensiona il suo rapporto con l’oggetto,sarà opportuno indagare più da vicino lo scarto della mimesi, all’interno delmateriale. Ben inteso, senza pretendere di risalire a un suo stato ‘originario’.senza pensare nemmeno alla sua appartenenza alla «monade sociale» (o «sto-rico spirituale» che dir si voglia). spingendosi forse verso regioni caratterizzatedalla sua massima rarefazione, dove appare come quel «sostrato» non spiri-tualizzato, non più così «pesante», pretenziosamente «supersoggettivo» comesi era creduto.

una filosofia della musica deve partire oggi da questa esatta rarefazione,da questo “alleggerimento”. si tratta di togliere peso al materiale, di polveriz-zare il suo carattere di sostanza, permettendogli una reale mobilità. il materialenon è la materia. Non è nemmeno il «processo lavorativo». e dopo aver re-spinto il pregiudizio che individuava nella differenza tra «antecedente» e «con-seguente» di una linea tematica l’unica variabile rilevante per l’esame dellastruttura, il tentativo dell’interpretazione dovrà spingersi a indagare l’ordinedelle consequenzialità temporali a un livello più stretto: nella fessura di un em-brione dialettico che si indovina sotto l’apparente amorfità del suono, ripresonella sua esistenza scivolosa, inerte ma aperta verso il futuro. a suggerirlo nonè il metodo della Filosofia bensì il programma di Dialettica negativa, che vor-rebbe indurci a ripartire «dal basso», non da configurazioni imposte dalla di-rezionalità lineare ma pericolosamente retorica del discorso. attraverso leduttili infrazioni del comportamento mimetico la musica si avventura nellospazio che separa il soggetto dal suo altro. con un rapido spostamento circolarepolverizza, decompone il discorso in un pulviscolo sonoro che rimanda allatotalità silenziosa da cui era scaturito.

La musica punta a questo luogo incerto. Per questo echeggia torbidamente,come un rumore di fondo avvertito nei luoghi della memoria. Vi si intravedela «rabdomantica» necessità di un pensiero che intende precedere il concetto,che vorrebbe forzarlo verso un’irriducibile eccedenza, senza mai rinunciarealla sua determinatezza. Questa condizione squilibra il movimento del pensieroidentificante, conservando la produttiva distanza dall’«altro», rispettandone lavirtuale mobilità. Nelle deviazioni dalla legge di organizzazione della totalità

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formale e nell’avvicinamento a un «sostrato sonoro» privo dei caratteri dellasostanza si gioca questa importante scommessa della musica.

2. Critica delle dimensioni verticali

La complessità, la pregnanza dell’articolazione e quel particolare «divenireimmanente» che stabiliscono l’unicità dell’opera musicale lasciano affiorare,più di ogni altro fattore esterno, il suo «contenuto di verità». Potremmo direche un attento uso della prospettiva di adorno passa attraverso il chiarimentodi questa tesi.

È vero che all’apice critico delle sue pagine sull’avanguardia appare inprimo piano l’invecchiamento di un concetto che puntava all’individuazionedelle contraddizioni «storico-sociali». ma si affaccia al contempo l’ipotesi direstituire quella singolare forma di pensiero che è in atto nella configurazionedell’opera, a prescindere dal suo aspetto ideologico. Per chiarire questo spo-stamento, può essere utile considerare il modo in cui si definisce la critica del-l’armonia e del suono. sarebbero questi, come testimonia soprattutto l’esamedell’opera di Wagner e di strauss, i materiali che trasmettono in modo più di-retto il destino della musica moderna.

Partiamo da un esempio. L’accordo di settima diminuita che – secondo unparere esposto nella Filosofia – era «giusto e pieno di espressione» all’iniziodella Sonata op. 111 di Beethoven, si è poi dimostrato retorico. stando al modoin cui la nozione di materiale viene adoperata in quel libro, la ragione sarebbeda ricondursi all’irreversibile trasformazione della dimensione armonica. unaccordo va ritenuto come il frutto di una scelta interna alle leggi di evoluzionedel materiale: «Nessun accordo è sbagliato ‘in sé’, già per il fatto che non esi-stono accordi ‘in sé’ e che ciascun accordo porta con sé l’insieme e anche tuttala storia»63. il riconoscimento del fatto che ogni accordo deriva da un processodi «sedimentazione» del tempo storico lasciava emergere le ragioni del distaccodai principi di una teoria che, da zarlino a hindemith, si era fondata sull’origine«naturale» dell’armonia. La natura di ogni accordo non può che essere «naturaseconda», il risultato di un’azione più o meno consapevole del compositore,nella scelta – avrebbe aggiunto adorno – fra le possibilità offerte da un certogrado di sviluppo dell’orecchio musicale.

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63 th.W. adorNo, Filosofia della musica moderna, trad. it. di G. manzoni, einaudi, torino1959, p. 43.

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in questa visione divenne chiaro ben presto che l’uso di nuovi materiali ar-monici non precedeva unilateralmente all’idea di progresso. il cammino storiconon garantiva cioè la «scoperta armonica», semmai la sconfessava. così, men-tre in Wagner o in schönberg era ancora ravvisabile la possibilità di inaugurareun’intera gamma di possibilità accordali, anche in virtù dell’abbandono del-l’uso rigoroso del principio della variazione in divenire, nel considerare l’operadelle avanguardie degli anni cinquanta ad adorno venne da registrare che«Non c’è oggi nessuna sonorità che possa facilmente elevare la pretesa di nonessere mai stata udita»64. L’affermazione non nasconde una punta polemicadettata dal timore di sottoscrivere una meta-storica astrazione di contenuti af-fatto retorici. Vorrebbe esporre insomma la contraddittorietà cui approda unpensiero armonico e coloristico sganciato dalla relazione dialettica. ma con-temporaneamente riflette un ripensamento interno alla visione di partenza: serealmente non possiamo più ritenere che si possano inaugurare sonorità «maiudite», allora è vero che lo sguardo dialettico dovrà costringersi in una piùstretta fessura dell’opera, ferma la rinuncia a stabilire la sua appartenenza a uncerto grado di sviluppo «oggettivo» dei materiali.

ritorniamo ancora un momento alle tesi della Filosofia, dove un ulteriorelivello dell’analisi veniva incentrato sul significato del collegamento armonico.Le leggi dell’armonia funzionale appaiono in genere ad adorno basate sullaiterazione di formule convenzionali, incapaci di produrre un’autentica ipotesidi sviluppo: è solo la condotta autonoma delle componenti che può sostenereun nuovo contesto armonico65. ma ciò significa che l’armonia è falsa quandopresuppone un contesto astratto dalla visione formale. essa assume allora unsignificato analogo al valore di scambio, generatosi nel momento della trasfor-mazione della merce in denaro:

Le armonie perfette vanno paragonate alle espressioni occasionali del lin-guaggio, e ancor più al denaro nell’economia. Grazie alla loro astrattezza possonofarsi avanti in ogni momento con una funzione mediatrice, e la loro crisi è pro-fondamente attinente a quella di tutte le funzioni mediatrici nella fase presente66.

63 th.W. adorNo, Filosofia della musica moderna, trad. it. di G. manzoni, einaudi, torino1959, p. 43.

64 th.W. adorNo, Dissonanze, cit., p. 171.65 il celebre Tristan-accord andrebbe spiegato per esempio sulla base dell’intreccio polifo-

nico e non a partire dall’analisi armonica, come per ernest Kurth. La considerazione viene av-valorata da un’ipotesi generale: «L’ultimo Beethoven, Brahms e in un certo senso anche Wagner,hanno impiegato la polifonia per compensare la perdita della forza formatrice della tonalità e ilsuo irrigidimento in formule» (th.W. adorNo, Filosofia della musica moderna, cit., p. 64).

66 ivi, p. 63.

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67 ivi, p. 85.68 th.W. adorNo, Quasi una fantasia. Musikalische Schriften II, suhrkamp Verlag, Frankfurt

a.m. 1963, p. 519.69 «tuttavia la musica coloristica, superflua e settaria, come sono non di rado i tentativi apo-

crifi, ha comunicato un’esperienza nuova e genuina in una forma distorta. anche il programmaschönbergiano della Klangfarbenmelodie, sulla cui autenticità non vi sono dubbi, non è com-pletamente privo di quell’elemento apocrifo» (th.W. adorNo, «su alcune relazioni di musicae pittura», in «il Verri», n. 3, 1969, pp. 6-18, qui p. 14).

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Per sottrarre l’armonia al suo uso «reificato» è necessario pensare di inse-rirla in un sistema complesso. È con il tardo stile di Beethoven – o più in ge-nerale con ogni autentico tardo stile – che secondo adorno si annuncia unasoluzione, avvertita nel congedo dell’armonia funzionale. ciò che appare sta-tico, ripetitivo, il «gettone grammaticale» viene privato della sua funzione esubordinato alla condotta lineare delle componenti. L’idea viene ripresa nel-l’opera di debussy e strawinsky e consiste nel formulare l’ipotesi di un’armo-nia di tipo «complementare», dove i suoni non vengono sintetizzati in un’unitàindistinta e il loro urto evidenzia la complessità della struttura:

Nell’armonia “complementare” ogni accordo è costruito complessamente:esso contiene i suoni singoli come momenti autonomi e differenziati dell’in-sieme, senza far scomparire, come succede nell’armonia perfetta, le loro diffe-renze67.

La constatazione trova conferma nelle più interessanti pagine di mahler, dischönberg, della neue Musik. una sensibilità verticale che si fonda non tantosul raggiungimento dell’unità dei blocchi armonici, quanto sulla messa in lucedelle loro differenze interne. L’armonia si trasforma così in un fattore della co-struzione che rende visibile il dettaglio, pur portando alimento alla totalità.

anche il suono, in quanto dimensione non capace di integrazione, va con-cepito in relazione all’edificio della totalità. il «puro suono» è solo un «valorelimite anti-ideologico», una tappa del movimento critico inaugurato dalla mu-sica nuova. «ma per diventare musica abbisogna di quelle configurazioni chenon può produrre da sé»68. Persino il progetto schönberghiano di una Klan-gfarbenmelodie – vale a dire uno dei tentativi più autentici, secondo adorno,di produrre una dialettica fondata unicamente sul materiale sonoro – è in parteapocrifo69. Per raggiungere un risultato, la composizione ha bisogno di «trac-ciare delle linee», non può limitarsi a raccogliere disorganicamente dei «bloc-chi». Nella situazione di trent’anni fa sembra che questa strada non venisseaffatto battuta: «ma in questa musica non c’è più nessun vero ‘risultato’ edessa regredisce alla sfera del suono pre-musicale: ecco perché alcuni dei suoi

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adepti si cimentano con la musica concreta o con quella elettronica»70. certo,la sbrigatività con cui, nel 1955, adorno sentenziò che le composizioni elet-troniche sembrano un «Webern suonato all’organetto elettronico» andrebbe al-quanto ridimensionata, specie in vista degli ultimi sviluppi, lontani dalla fasedella pura sperimentazione. adorno stesso si accorse di aver liquidato il pro-blema con troppa disinvoltura. ma, malgrado si dichiarasse incompetente a va-lutare le tecniche di composizione elettronica71, la sua lettura non cambiava disegno, finendo per riconoscere:

È come se la musica volesse compensare in un certo modo col rumore, congli effetti ‘bruttistici’ e anche ricorrendo a mezzi ottici e specialmente mimici,quel dispiegarsi immanente che le è innegato72.

3. Il suono nel tempo

il potere peculiare della musica è una potenza ele-mentare, cioè risiede nell’elemento del suono, incui l’arte qui si muove. G.W.F. heGeL, Estetica.

L’atteggiamento di adorno nei riguardi del «suon puro» resta contrasse-gnato da un cauto scetticismo di fondo. mentre il tempo indica la promessautopica di una composizione di Beethoven, il suono è per sua natura incline abloccare il movimento dinamico delle componenti lineari del discorso in unpresente «spaziale», dove si incontrano le false vie dell’oggettivismo moder-nista e di un vago irrazionalismo di stampo romantico.

ma il suono, si potrebbe dire con schelling e hegel, non si offre di per sé,prima ancora di tradursi in discorso, come quell’unità semplice, «negativa» ingrado di sottrarsi alla coesistenza spaziale e di vivere unicamente nel tempo?effetto della vibrazione elementare, esso non è già da sempre il risultato di unprocesso di elaborazione del soggetto, che sintetizza l’unità temporale? NellaFilosofia questa tesi passa attraverso un globale ripensamento: suono e tempo

70 th.W. adorNo, Dissonanze, cit., p. 177.71 «io stesso non mi sono occupato di elettronica, e non sono perciò qualificato in base ad

un’esperienza diretta per dare un giudizio sulla relazione tra l’elettronica e il significato musi-cale» (th.W. adorNo, Quasi una fantasia. Musikalische schriften II, cit., p. 491).

72 th.W. adorNo, Improptus. Saggi musicali 1922-1968, trad. it. di c. mainoldi, Feltrinelli,milano 1973, p. 106.

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si rapportano a un livello che viene sensibilmente sbilanciato a favore dellatemporalità, che tende cioè ad accogliere, a «sussumere» il suono a livello deldiscorso piuttosto che a concepirlo in base alla sua immediatezza. ciò si spiegacon il fatto che l’idea di temporalità posseduta da adorno è basata sul caratterelinguistico – sia pure in un senso autonomo dal linguaggio verbale – della mu-sica. essa verte perciò sull’esame del discorso musicale afferrato nella strutturadell’opera (e non di un carattere della musica in genere) e qui viene fatta fun-zionare assieme alla tesi hegeliana relativa al carattere mediato di ogni comin-ciamento. riconoscendo che ogni immediatezza è già, nell’ambito estetico, ilrisultato di un processo di mediazione, il suono viene concepito sin da principioassieme al tempo, vale a dire dentro alla totalità formale del discorso e non peril suo originario potere di coinvolgere la coscienza soggettiva.

Per chiarire questa posizione, dobbiamo ritornare alla concezione dellamusica come arte di «rappresentazione del puro movimento come tale, sot-tratto all’oggetto», esposta da schelling nella sistematica della Philosophieder Kunst. La musica veniva considerata da schelling nell’ambito delle artifigurative, ma la sua «figuratività» non andava confusa con la capacità di raf-figurare un oggetto esteriore; consisteva piuttosto nella evidenza del suo rap-porto con la materia, con ciò che è fisico e perciò «figurabile». assieme allapittura e alla plastica, la musica si mantiene in relazione alla materia da cuitrae le forme e l’elemento sensibile su cui si basa la sua strutturazione, il con-tenuto che le permette di allaciarsi alle arti reali è il suono. ma il «suono ar-monico» (Klang) va distinto per schelling dalla griglia di riferimentodell’esteriorità spaziale: «[...] esso è da un lato vivente – in sé e per sé – dal-l’altro è una semplice dimensione del tempo, ma non nello spazio»73. il suolato produttivo è esclusivamente nel movimento temporale e «La forma ne-cessaria della musica è la successione. infatti il tempo è la forma generaledell’immagine dell’infinito nel finito in quanto considerata come formaastratta dal reale»74. il suono ha dunque valore nella misura in cui si inscrivein una successione articolata, vale a dire in una connessione «vivente» ingrado di riflettere il movimento dell’autocoscienza, intesa come unione idealedella particolarità del reale.

secondo schelling la musica, esprimendo «l’unità nella molteplicità», ha

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73 F. scheLLiNG, Philosophie der Kunst, in Werke: auswahl in drei Bänden a cura di o.Weiss, Leipzig 1907; trad. it. di G. Guanti in Romanticismo e musica. L’estetica musicale daKant a Nietzsche, (antologia a cura di G. Guanti), edt, torino 1981, p. 157.

74 ivi, p. 159.

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bisogno di negare lo spazio nel movimento75. La tesi riaffiora in hegel, chedovette considerare il suono come un’importante via di accesso all’interioritàsoggettiva, riproducibile nella negazione della coesistenza spaziale. attraversola successione ordinata di un ritmo, la musica possiede la virtù di delinearel’essere stesso della soggettività. il soggetto affonda nella dimensione delsuono, che si riproduce attraverso il suo prolungamento nel tempo:

L’io è nel tempo e il tempo è l’essere del soggetto stesso. ora giacché è iltempo, e non la spazialità, l’elemento essenziale in cui il suono acquista esistenzarispetto alla sua validità musicale ed il tempo del suono è al contempo quellodel soggetto, già su questa base il suono penetra nell’io stesso, lo prende nellasua esistenza più semplice e lo pone in movimento attraverso il movimento tem-porale ed il suo ritmo, mentre l’ulteriore figurazione dei suoni come espressionedei sentimenti arreca, oltre a ciò, anche un compimento più determinato per ilsoggetto, che ne è ugualmente colpito e trascinato76.

Nel movimento musicale il soggetto è come catturato e “messo in moto”dall’oggetto. indagare il significato della musica significa dunque specificarele modalità del suo rapporto con il soggetto, vale a dire il modo in cui vienecoinvolto nella dialettica del materiale sonoro. tuttavia, nonostante le pre-messe, in hegel l’attenzione è puntata principalmente sul soggetto e il suoesame tende a chiarire l’avvento di una dialettica della particolarizzazione cheregistrava l’irretimento della coscienza in un’interiorità astratta, favorendo ilpassaggio alla superiore forma d’arte della poesia.

in adorno l’attenzione si sposta dal soggetto al «campo di forze» intermediotra il soggetto e l’oggetto. È questa la regione del linguaggio, ovvero il luogoin cui le tensioni passano attraverso l’unità linguistica. La musica è linguaggioin un senso non solo metaforico del termine. ciò non vuol dire che dipendadal linguaggio verbale: in quanto discorso autonomo, essa possiede sufficienteenergia per rigettare al soggetto le contraddizioni in cui è coinvolto. di conse-guenza il movimento avviene nella direzione opposta: la dialettica della parti-

75 «trasformazione della accidentalità della successione nella necessità = ritmo per cui l’in-tero non è più soggetto al tempo ma lo ha in se stesso. L’articolazione della musica è la forma-zione lineare di componenti (...)» (ibid., p. 161; il secondo corsivo è nostro). in particolare lasuccessione, il concatenamento si traducono per schelling in un ritmo inteso come principio diorganizzazione del movimento. Nel ritmo, il suono si trasforma in un sistema organico, unifi-cante il particolare nell’ambito della totalità. di conseguenza «Il ritmo è la musica nella musica»,incarnazione essenziale, e «la peculiarità della musica si fonda sul fatto che essa è l’immaginedell’unità nella molteplicità».

76G.W.F. heGeL, Estetica, trad. it. di N. merker e N. Vaccaro, einaudi, torino 1972, p. 1013.

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colarizzazione, in grado di registrare lo spostamento dal classico verso il ro-mantico (vale a dire al «moderno») interessa la vita dell’oggetto da cui affioraed è proprio ciò che determina la scissione degli estremi dialettici, dove la ten-denza della musica come discorso articolato nel tempo non è di rinchiudersinella soggettività, semmai al contrario di perdere il rapporto con essa. È cosìche essa regredisce al rumore pre-musicale, a quel «cri-animal» che già rous-seau aveva bandito dalla sfera della conoscenza.

il suono, per adorno, «vive» nel tempo del discorso, luogo deputato al con-flitto dinamico tra il soggetto e l’oggetto. esso non può riflettere l’immedia-tezza di un ente, se non al rischio di cancellarsi in una ripetizione, in un falsomovimento. L’autentico movimento si offre solo in una produttiva tensionedegli estremi, capace di conferire ordine alla molteplicità. il suono musicale,insomma, non è «armonico», né tantomeno «naturale»: potremmo dire che ènecessariamente «linguistico», in quanto vive solo in quello spazio intermedio.cerchiamo di sviluppare quest’ordine di considerazioni. se il suono va pensatonell’unità linguistica del discorso, il tempo dell’opera musicale non potrà venirdisgiunto dallo spazio, come riteneva schelling. La sintassi musicale ha biso-gno di procedere nel costante impiego di queste due categorie, poste in un certosenso a garanzia del processo di oggettivazione. il suono che «vive» nel temponon può sottrarsi allo spazio in quanto richiede una certa discontinuità, un’al-ternanza originaria dove il tempo rappresenta il decorso progressivo dei mo-menti di tensione, determinando lo sviluppo «necessario» dei rapporti dinamicidell’opera, lo spazio il culmine del processo formativo. in contrasto con il con-cetto bergsoniano di «durata», ritenere che il tempo non sia altro che lo scorreredi un flusso significa renderlo assolutamente statico, amorfo. La «spazializza-zione» resta un momento necessario al movimento temporale della musica el’implicazione dialettica di queste categorie è esposta da adorno attraverso lanozione di «scrittura», ritenuta indispensabile allo loro coesistenza:

La scrittura, come raffigurazione della temporalità, è un’entità atemporale.come la scrittura fissa la temporalità, così viene ritradotta in termini temporalimediante l’atto della lettura che essa prescrive77.

È nella scrittura che la temporalità acquista il carattere della concretezza,vale a dire una «storicità» oggettiva e immanente:

Per la musica di von Webern e quella di Bach, l’esperienza del tempo adesse specificatamente propria, e caratterizzante le loro scritture, è certamente

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77 th.W. adorNo, «su alcune relazione tra musica e pittura», cit., p. 11.

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più essenziale del fatto stesso che in entrambe il tempo regolato musicalmentenon coincide col corso cronometrico78.

Per sua natura «storicamente condizionata», la scrittura che presiede all’attocreativo del comporre, specifica adorno, rifiuta di aderire agli stereotipi dellacomunicazione. È piuttosto «scrittura cifrata della verità storica»79. in questocarattere enigmatico, refrattario a tradursi in un codice culturale, risiede il suosignificato simbolico, vicino alla verità più della chiarezza del sapere concet-tuale. il dire, in musica, è sempre un non-dire. Questa opacità, questa mancanzadi trasparenza ideale è la sua forza:

se la musica giungesse per un istante al punto intorno al quale volteggianoi suoni, questo sarebbe il suo compimento e la sua fine. il suo rapporto con quelloche essa non vuole raffigurare, ma solo evocare, è quindi infinitamente me-diato80.

La scrittura musicale è capace di afferrare la memoria di un oggetto chenon sembra abbia potuto offrirsi facilmente allo sguardo. Forse proprio perchénon si tratta di un oggetto, ma di un’immagine prodottasi nel campo di forze.Nella scrittura musicale il tempo, lo spazio e la causalità, i principia indivi-duationis di schopenhauer si comportano in modo singolare: introducono unaforma di pensiero che non mira alla dialettica speculativa, procedendo attra-verso un intermittenza fra particolare e universale che sembra eludere il trac-ciato di una pura e semplice unidirezionalità storica.

Per afferrare il senso di questa oscillazione, è necessario mettere a fuocol’instabilità del «campo di forze» che si individua nella scrittura musicale. seil tempo si offre come una qualità inerente al soggetto nel suo rapporto feno-menico con il mondo, la sintesi del tempo che si esprime attraverso il suononon può, a dispetto di un celebre assioma kantiano, sottrarsi a un divenire im-manente. riconoscendo nel tempo una forma pura dell’istituzione sensibile,l’estetica trascendentale ne stabiliva la fissità. ma al contrario, se il tempo èuna categoria strettamente allacciata all’oggetto prodotto, il suo stesso esserecome potrà venir disgiunto dalle metamorfosi dell’oggetto? L’interrogativoviene trasferito sul piano di un’ermeneutica della scrittura che espone una pre-cisa sentenza normativa:

79 th.W. adorNo, Teoria estetica, cit., p. 211.80 th.W. adorNo, «musica e linguaggio e loro rapporto nelle composizioni contemporanee»,

cit., p. 34.

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[...] la musica non deve essere organizzata semplicemente dall’alto, dallacostruzione, bensì anche dal basso, dal singolo impulso immanente al tempo.Questo è il vero intervento del soggetto nella musica come una determinazioneoggettiva nei suoi riguardi81.

il tempo musicale, per sua natura scivoloso e inafferrabile, si differenzia dauna successione misurabile di eventi, in cui la consequenzialità degli istanti sioffre come una concatenazione determinata, così come da un flusso uniformein cui lo scorrimento sovrasta l’istante di oggettivazione. Nell’opera riuscita,gli avvenimenti non si succedono semplicemente nel tempo: essi stessi creano,producono il tempo attraverso la tensione e la distensione del flusso. Nono-stante gli avvenimenti musicali debbano rapportarsi a quelli empirici dell’ese-cuzione, la loro differenza è dunque essenziale. a sostegno di questa tesi,adorno osserva che

se un esecutore si interrompe per ripetere o ricominciare un passaggio, iltempo musicale resta per un tratto indifferente nei confronti di ciò, che non lotange affatto; in un certo senso sta fermo e prosegue solo non appena il decorsomusicale viene proseguito. il tempo empirico disturba quello musicale se mai acausa della sua eterogeneità: i due non scorrono insieme82.

in virtù del modo in cui si stabilizza nell’opera, il tempo avvicina la musicaalle altre arti, anziché allontanarla, delegittimando la tradizione distinzione fraarti del tempo e dello spazio: in polemica con i sistemi metafisici di hegel e dischopenhauer, viene allora da osservare che «i quadri più riusciti sono quelliin cui ciò che è assolutamente contemporaneo appare come una successionetemporale che trattiene il respiro»83.

Nel «campo di forze» è implicato uno svolgimento, dal momento che «Nonè possibile immaginare la tensione senza il momento della temporalità»84. LaSpannung ha bisogno di esprimersi discorsivamente se non vuole ridursi a unadisorganica giustapposizione di suoni, colori, blocchi di marmo. ciò determinala comune tendenza di tutte le arti, mentre al contempo la loro specificità è ga-rantita dalla differenza dei materiali:

Nessuna opera d’arte, neppure la più soggettiva, si risolve nel soggetto checostituisce tale opera e il suo contenuto. ciascuna comprende dei materiali chesi contrappongono eterogeneamente al soggetto, dei procedimenti che derivanotanto da quei materiali quanto dalla soggettività85.

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81 th.W. adorNo, «su alcune relazioni tra musica e pittura», cit., p. 9.82 th.W. adorNo, Teoria estetica, cit., pp. 232-233.83 th.W. adorNo, «su alcune relazioni tra musica e pittura», cit., p. 7.84 ivi, p. 9.85 ivi, p. 178.

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identità e differenza si incontrano all’incrocio tra strutturazione linguisticae la resistenza del materiale. adorno avrebbe facilmente potuto sottoscriverela nota affermazione di hanslick secondo cui «Le leggi del bello di ogni artesono inseparabili dalle caratteristiche particolari del suo materiale, della suatecnica»86. distinte sulla base dei materiali, le varie arti possiedono tuttaviaper lui un elemento comune nel farsi linguaggio autonomo, «scrittura cifrata»che si distacca criticamente dalla realtà, rifiutando la «pseudomorfosi» del sog-getto autoritario. Qui si ravvisa la loro necessaria spazialità, quello spazio dellascrittura in cui viene a sedimentarsi la frazione di tempo che appartiene all’attoformativo. Nella scrittura si registra il distacco dall’ipotesi di una temporalità«vivente». ma questo distacco conserva le tracce della tensione originaria. Èper questo che nella differenza stabilita dalla fissazione grafica della continuitàtemporale può ancora rinnovarsi la promessa di un tempo utopico.

4. Musica e dialettica negativa

«e’ avvenuto qualche cosa». Questa è la parola dicristo, e questa è l’impressione della musica: c’èqualcosa di trascendente, di concreto, che nonpotrò non considerare, che m’incute rispetto e«vergogna di me» c. micheLstaedter, Scritti vari

il significato di questo distacco può essere indagato riprendendo l’intrecciodi questioni che si individuano nella nozione di negativo. tale qualifica si offreanzitutto, come abbiamo osservato, nella differenza che l’opera musicale (cosìcome in generale l’opera d’arte) è tenuta a mantenere rispetto al mondo empi-rico. c’è un contenuto polemico, una sorta di iconoclastia originaria in tutte legrandi opere del passato, persino quelle riconosciute come maggiormente af-fermative. significativa, in proposito, la posizione di mozart:

anche in artisti all’apparenza non così polemici, muoventisi in una sferadello spirito che l’opinione convenzionale considera pura, come mozart, e pre-scindendo dai temi letterari che egli scelse per le sue maggiori opere liriche, ilmomento polemico è centrale, e centrale è la forza del distanziamento che taci-tamente condanna la meschinità e la falsità di ciò da cui si distanzia. La forma

86 e. haNsLicK, Il bello musicale, trad. it. a cura di L. rognoni, minuziano, milano 1945, p.27.

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conquista in lui la sua forza come negazione determinata; la conciliazione cheessa illustra ha la dolorosa dolcezza che ha poiché la realtà fino ad oggi l’ha ri-fiutata87.

a questo rilievo adorno aggiunge però un’ulteriore avvertenza in cui chia-risce il ruolo, il compito «storicamente determinato» che l’opera d’arte pos-siede di fronte alla società. Non ogni opera, per il solo fatto di esistere, è ingrado di offuscare il potere della ragione dominante. solamente quella dischönberg, di Webern, per intenderci. Vale a dire, solo la musica che rispondea un imperativo morale, che infrange le regole della tradizione, che sa imporsicome negativa. Quest’ordine di considerazioni sembrerebbe circoscrivere lanegatività alla risposta critica dell’arte nel frangente in cui più esplosiva appa-riva la denuncia della crisi della società borghese e dei regimi totalitari. Nonstupisce che una volta ritornato in europa dopo il periodo americano, adornosi sia trovato a constatare un raffreddamento, una preoccupante dissipazionedelle energie, vale a dire un «invecchiamento» della nuova musica. il decadi-mento coinvolgeva le mire di una poetica che prendeva congedo dai motividella denuncia morale e l’imbarazzo di adorno metteva in luce il carattere al-trettanto «invecchiato» della sua definizione del negativo come tensione, do-lore, dissonanza. tuttavia, come nel caso della dialettica di soggetto-oggettoin atto nel «materiale», anche qui il discorso sembra procedere in una incertafluttuazione. il fatto che per rispondere a un contenuto di verità l’opera debbanecessariamente apparire «negativa» sembra infatti comunque collegato al pa-radosso estetico secondo cui anche le opere più «affermative» contengono unmotivo polemico, un criptico messaggio di rottura che squadra l’asse della tra-dizione:

tutte le opere d’arte, anche quelle affermative, sono a priori polemiche.L’idea di un’opera d’arte conservatrice è un controsenso. separandosi enfatica-mente dal mondo empirico, dal loro altro, esse rivelano che questo stesso mondodeve diventare altro - schemi inconsapevoli della sua trasformazione88.

ma se l’opera musicale deve rispondere a questo imperativo, allora comepotremmo evitare – alla luce del movimento oggettivo dei materiali – di im-batterci nel preoccupante processo di «neutralizzazione» che accompagna ildecadimento della promessa utopica e interpretare la morte della musica come

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87 th.W. adorNo, Teoria estetica, cit., p. 207.88 ivi, p. 297.

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esito collegato alla dissoluzione della sua forza negativa? La musica, in talsenso, interpreterebbe il passaggio al regime della comunicazione, dove si sta-bilisce definitivamente la sua appartenenza al codice sociale e si dissolve qual-siasi tensione verso il nuovo89. Naturalmente adorno non si arrende di frontea questa alternativa e sfodera un ricco campionario di sentenze per nutrire l’op-posizione alla normativa del sistema: alle «falsità» di strawinsky contrapponel’«autenticità» di schöberg, alla «restaurazione» il «progresso» dei materiali,anche al prezzo di toccare l’ipotesi limite del silenzio. Possiamo considerarein questo senso la teleologia dei materiali come uno degli andamenti suggeritidalla nozione di negativo, forse il più isolato dall’esame dell’opera musicalevera e propria ma certamente il più «esplosivo» nella griglia di riferimento cri-tico-ideologica (e quindi il più funzionale agli occhi di molti lettori).

seguendo alcune possibili tracce, spostiamoci ora al di fuori di questo per-corso di cui adorno stesso, sotto diversi aspetti, avvertì il carattere vincolante.se per negazione dobbiamo intendere lo spostamento dal significato stabile edefinitivo attribuito dalla convenzione all’oggetto visibile nella sua semplicepresenza, allora tutta la musica, per il fatto stesso di svolgersi nel tempo e dipossedere il carattere dell’apparenza sensibile, può dirsi negativa. essa negauna mera riproduzione del mondo empirico così come una teoria degli affetti,una segnaletica degli umori soggettivi di cui non saprebbe rappresentare uni-vocamente il significato. in musica, un primo livello del negativo viene a coin-cidere con lo statuto a-semantico e per, così dire, «irrealizzante»dell’immaginario musicale. Per questa ragione la musica è anzitutto per adornounità negativa nel senso hegeliano, per usa natura costretta a risolvere la sem-plice, irriflessa presenza dell’ente in un movimento privo di materia, sottrattoalla coesistenza spaziale.

89 È stato osservato che la soluzione si inserisce a forza in un binario teorico conoscitivo chetrascura il ruolo formativo dell’esperienza estetica. Probabilmente adorno non si sarebbe rico-nosciuto in questa critica. È vero però che la sua lettura dovette mantenere l’idea di un’«espe-rienza estetica» solo sullo sfondo della considerazione filosofica (cfr. h.r. Jauss, Esperienzaestetica ed ermeneutica letteraria, vol. i: Teoria e storia dell’esperienza estetica (1982), trad.it. di B. argenton, il mulino, Bologna 1987, p. 61). si può osservare, per inciso, che non è raroil caso il cui l’esperienza dell’ascolto abbia prodotto il lui conclusioni opposte a quelle formulatein chiave speculativa. Ne fanno fede le sue relazioni a carattere introduttivo, oppure i testi dellesue conferenze radiofoniche, dove si ravvisa una minore intransigenza per i luoghi affermativi,vale a dire una certa volontà di accogliere nel discorso opere e compositori sottratti alla consi-derazione teorica (cfr. h. haacK, «adorn’s sprechen über musik», in aa.VV., Adorno und dieMusik, a cura di o. Kolleritsch, universal edition fur institut fur Wertungsforschung, Graz 1979,pp. 37-51).

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ma all’interno di questa condizione «trascendentale» affiora un ulteriore li-vello del concetto che si definisce all’interno del percorso storico, pur senzarimetterne in gioco l’imperativa direzionalità. esso verte su alcune specifichedeviazioni visibili nella trasformazione dei materiali, non necessariamentecoinvolte nel loro degrado ma distintamente avvertibili nel momento della lorostrutturazione. in musica il negativo è sempre, nella sua essenza, il nodo cen-trale del pensiero della totalità. di una totalità chiusa, «monumentale», comenel caso di hegel o di Beethoven, dove è subordinato alla Versöhnung affer-mativa; ma anche di una totalità aperta, disposta ad assecondare il particolare,a seguire il suo invecchiamento, ricusando la sua completa integrazione. inmahler, la dialettica musicale suggerisce l’ipotesi di un pensiero mobile, cheprocede per intermittenza, in una rapida oscillazione: da un lato mantiene l’oc-chio sulla visione globale, cercando il limite di un orizzonte in cui inscrivere i«mattoni della costruzione»; dall’altro si spinge nel dettaglio, fin nel più pic-colo frammento, per seguire il suo movimento virtuale, la sua inquietudine in-terna.

La questione è introdotta dall’opera dell’ultimo Beethoven, di schubert,mahler, Berg. solo la continua, incessante negazione del particolare rende giu-stizia alla totalità, ma questa negazione – è bene chiarirlo – va distinta dallanegazione determinata della logica hegeliana, proiettata verso il raggiungi-mento dell’identità. È solo nel rispetto e nella conservazione del particolare,mantenuto nella sua insolubile opalescenza, che si realizza questa dialettica,in un pensiero che non nega la razionalità, cercando piuttosto di convertire isuoi esiti in una forma più fluida, deformabile in base alla realtà dell’essente,prossima e con-fusa all’oggetto90.

testimoniando l’inadeguatezza del pensiero identificante, la musica si offrecome l’esempio di una dialettica negativa, guidata dal «comportamento mi-metico». Questo singolare atteggiamento non può ricondursi a una legge ditrasformazione del materiale. si manifesta in esso, attraverso i motivi struttu-rali, sintattici, armonici, ecc., ma solo nelle «configurazioni specifiche», neisuoi irriducibili tratti fisionomici. Non direttamente nel linguaggio, ma forsenella scrittura, nello stile di un’opera, inteso nel senso più profondo del suorapporto con la verità.

il cammino della musica in occidente sembra contenere i segnali di un’uto-pia che è l’origine e il fine a cui tende la scommessa filosofica di adorno. La

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90 in senso più generale: «L’arte mobilita la tecnica nella linea di tendenza opposta a quellasu cui la tecnica viene messa dal dominio» (th.W. adorNo, Teoria estetica, cit., p. 92).

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domanda speculativa del negativo sembra nutrirsi assorbendo la sotterraneainquietudine dell’opera musicale. Nelle cifre enigmatiche del tardo stile si al-lentano le redini della ragione illuminista e si produce il distacco dal presentestorico, coniugato alla rivisitazione della memoria. il tardo stile contiene sem-pre il riferimento a una prospettiva non-presente, un luogo irreale in cui avvienela trasfigurazione del linguaggio in grado di spezzarne l’integrità e spingerlovicino alla natura dell’oggetto. Narrando l’avventura di un soggetto che si ab-bandona al gioco delle apparenze, adorno sposta l’interesse in regioni contras-segnate da una singolare rarefazione ontologica.

La nozione di «totalità musicale» può permetterci di afferrare le spinte cen-trifughe dello Spätstil. in esso, i momenti di tensione sono regolati da un «com-portamento mimetico» che solo nell’ambito di una totalità «illusoria», operanteal livello dell’apparenza sensibile, salva il contenuto della rappresentazione.ma per chiarire questo rapporto è necessario risalire al concetto di mimesi, ado-perato per spiegare il modo in cui nell’opera d’arte la rappresentazione si av-vicina al suo contenuto.

[Nella mimesi] il soggetto, nei diversi gradi della sua autonomia, prende po-sizione nei confronti del suo altro stando da questo bensì separato, ma tuttavianon completamente91.

La mimesi stabilisce una prossimità all’oggetto. Nel suo «raddoppiamento»è visibile un sostanziale scarto rispetto al paradigma dell’espressione: la ripresadell’oggetto nell’immagine salva e trasforma al tempo stesso il contenuto dellarappresentazione. come dire che l’opera non può essere concepita come risul-tato formale di un impulso espressivo. Piuttosto come traccia di quel tendere,quello sforzarsi di penetrare in quella esistenza virtuale. un tendere che è undis-tendere la volontà, uno spingersi oltre il muro della coscienza.

È questa la direzione suggerita dal «comportamento mimetico» di schubert,che nella sua umiltà priva di retorica, appare più vicino alla verità del sistemafilosofico. si può risalire all’immagine evocata da questa musica, quella del«rabdomante». egli è attratto da un oggetto che non può vedere e dominato, inquesta attrazione, dalla paradossale necessità di un gesto involontario. il motivoè vagamente schellinghiano: la musica ha origine in un’attività semi-cosciente,una disposizione del soggetto fiducioso di affondare nell’alterità del negativo,nella natura, dove riconosce la tensione di una trascendenza.

91 ivi, p. 91.

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È essenziale tuttavia un chiarimento: questa singolare alternativa non devevenire scambiata per un ente, una presenza metafisicamente opposta alla co-stituzione storico-trascendentale della soggettività. in qualità di «eccedenza»dall’effetto corrosivo, deve manifestarsi proprio dal suo interno. come osservamartin Jay, nel capitolo della Dialettica dell’illuminismo dedicato all’antise-mitismo (scritto a quattro mani con horkheimer), adorno lascia intendere chel’autentica forza antagonista in grado di opporsi al principio del dominio dellarazionalità non sia da considerarsi la natura in sé, bensì la memoria della na-tura92. La memoria è lo specifico terreno di mediazione, il doppio legame conil non-identico instaurato dal processo della mimesi.

il non-identico, la natura, l’«essente» vivono nella dimensione del ricordo.in altre parole, si potrebbe dire che questa singolare trascendenza sprigionaproprio dall’immanenza del soggetto. il «comportamento mimetico» comportaun ribaltamento complessivo del senso della soggettività che dalla prospettivadella memoria si rapporta al suo altro evitando di sopprimerlo nel suo orizzontecategoriale93. osserviamo questo atteggiamento in funzione in un passo nellaFilosofia:

come il fine, anche l’origine della musica va oltre il regno delle intenzioni,del senso e della soggettività, ed è imparentata al gesto, strettamente affine alpianto. È il gesto dello sciogliere: la tensione della muscolatura facciale cede,quella tensione che, nel volgere il viso verso l’ambiente in vista dell’azione, loisola al tempo stesso da questo94.

La distensione si configura come un oblio, la restituzione alla soggettivitàdi una spinta oltre i confini del senso, «al di là della coerenza ed esattezza del-l’immagine, che consiste nel ricordo onnipresente di se stessa»95. La musica

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92 m. Jay, The dialectical Imagination. A History of the Frankfurt School and the Institut ofSocial Research. 1923-1950, Boston, 1973; trad. it. di N. Paoli, einaudi, torino 1979, L’imma-ginazione dialettica, p. 421; su questo rilievo cfr. anche t. PerLiNi, «dialettica e utopia», in«Aut aut», 1970, n. 119-120, pp. 135-136.

93 L’alterità non rappresenta un ente concreto, è piuttosto un Grenzwert, un valore limite.offrendosi come Natur, essa rappresenta, secondo martin zenck, un principio sfuggente alleaporie di una prospettiva totalizzante, dal momento che la «spaltung von Natur und subject»con cui incomincia la storia non può rivendicare a sua volta un carattere storico: la crisi, la rot-tura, la discontinuità sono momenti di una Weltgeschichte fondata sul principio della naturher-rschaft, nozione che contiene un doppio genitivo. esso esprime l’idea della natura come soggettoe oggetto del dominio. da questo Doppelcharakter consegue una dialettica di scompensi e am-biguità. (m. zeNcK, cit., pp. 22-27).

94 th.W. adorNo, Filosofia della musica moderna, cit., pp. 129-130.95 ivi, p. 161.

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finisce così per trovarsi, per così dire, con lo sguardo rivolto all’indietro, conil compito di indagare gli sfaldamenti della memoria e di indicare lo scartoutopico implicito nel progresso di quella razionalità da cui prende le mosse.

il «tremito della preistoria della soggettività» non comporta la riabilitazionedi una condizione originaria, una sorta di «stato di natura» antecedente la storia,né un’alternativa «storicamente determinata». È il richiamo di un’intenzioneremota, dove la musica è «il ricordo del possibile contro il reale che ha sop-presso il possibile». Nella filosofia della musica di adorno il passato mantienequesto carattere virtuale: è il riaffiorare di un ricordo, un’immagine del tuttoirreale che getta scompiglio nella logica del presente. ma è appunto la meta-morfosi che il passato subisce nella mimesi che lo rende utopico, riottoso alleclassificazioni, teso vero il futuro.

È nell’orizzonte della memoria che si rifrangono le figure dell’utopia mu-sicale, dove si innesca il «campo di forze» della relazione dialettica. Già nel-l’opera di Bach l’anacronismo si fa paradossalmente portatore di novità, ilfuturo viene a trovarsi in stretta vicinanza al passato e alle sue «zone d’ombra».in mahler il ricordo è già il riconoscimento di una distanza rimossa e l’imma-gine del vissuto, il déjà vu dell’infanzia, riappare testimoniando la prossimitàdegli scarti. il riconoscimento di questa insolubilità del passato rappresenta unmotivo di riavvicinamento del soggetto alla sua natura temporale, al suo «es-sere storico», una rivalutazione complessiva del suo movimento verso l’og-getto. La musica di mahler non rende al non-identico, alla natura un dirittoall’esistenza an sich, ma una incessante dialettica di relazione. Quella di schön-berg, il «compositore dialettico», rallenta il regime della ripetizione, per recu-perare e trasfigurare un passato che porta con sé i segni del propriodecadimento, che rappresenta un monito al pensiero della totalità.

Questa musica è per adorno mnemosyne del «brivido originario», un se-gnale puntato sulla instabile finitezza dell’essere soggettivo. i cristalli di schu-bert e le narrazioni di mahler sono tappe di un suo coraggioso spostamentonella memoria, dove il non-identico viene profuso a un’identità che reca i segnidell’invecchiamento. il rimpatrio si accompagna a un ricordo le cui tracce sonoimpresse nella densità della memoria. anche la «tecnica del dimenticare» dischönberg – dove ciò che viene dimenticato è l’immagine del presente – si in-scrive in questa ricerca.

il tempo e la memoria rappresentano due importanti chiavi per la compren-sione del modo in cui il movimento della dialettica negativa si innesca nel-l’opera musicale. La memoria si accende in una temporalità fluttuante, dovesi assiste a una singolare rarefazione del linguaggio, o perlomeno a una sua

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crisi immanente. si può riconoscere qualcosa di vagamente bergsoniano inquesta «accensione»: è nel ricordo, nella sua virtualità priva di consistenza chedissolve il carattere ontico del materiale, il suo offrirsi come ente concreto,mentre si rende visibile il suo significato immateriale, valido unicamente nellarelazione con il soggetto, nelle fessure della parola.

col vedere nella memoria un ponte di mediazione tra il soggetto e la natura,adorno sembra spingersi sulla tangente di una traiettoria filosofica da cuiavrebbe volentieri dissimulato la parentela. L’accostamento a Bergson va inogni modo ridimensionato. in Dialettica negativa, nel prendere in considera-zione il problema della temporalità, le tesi sulla durée vengono liquidate rico-noscendo nella separazione di una «durata pura» da un «tempo-spazio» unframmento di dialettica bloccata:

L’inconciliatezza di temps durée e temps espace è la ferita di quella co-scienza scissa, che in qualche modo è unita solo tramite scissione. ciò dominatanto poco l’interpretazione naturalistica del temps espace quanto l’ipostasi deltemps durée, in cui il soggetto che si ritira di fronte alla reificazione spera invanodi conservare se stesso come assolutamente vivente96.

il dualismo temporale, vale a dire il ritmo binario su cui si offre l’esperienzadella durata, non può insomma che rappresentare una contrapposizione astratta.Non è nell’ipotesi di un «continuo temporale» che adorno punta lo sguardo.una diversa considerazione regola però il problema della memoria. Bergsonha indicato nella memoria un «cono» conglobante le opposte dimensioni dellospirito e della materia, dimensioni che dialogano nel suo «preciso esempio»,dove l’astrattezza inconciliante della dicotomia è sciolta a favore di una mol-teplicità di piani virtuali. ora, le aperture di questa memoria «mediatrice» siavvicinano ai contenuti dell’opera musicale in adorno: si offrono come quellezone d’ombra, quei desideri rimossi, quel «dimenticato» che scompagina lapercezione. È un rumore di fondo, prossimo al silenzio, che fa tremolare l’im-magine, che rallenta la dialettica del presente. azzardiamo ancora un’ipotesi.La facoltà di avvicinarsi a questa «totalità silenziosa» era per Bergson l’«in-tuizione», contrapposta all’«intelligenza» del sapere scientifico. L’intuizionepunta all’immediatezza ma conserva il carattere consapevole della conoscenza.È attraverso una immediata globalità, una organica visione del tempo che af-fiora quell’indistinto pullulare della memoria che mette in crisi la dialettica

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96 th.W. adorNo, Dialettica negativa, trad. it. di c.a. donolo, einaudi, torino 1970, p.300.

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«pratica» dell’intelligenza. Vorremmo riconoscere qualcosa di analogo nelgesto mimetico perseguito dalla filosofia della musica di adorno: un afferra-mento globale e riassuntivo della temporalità, in grado di salvare la memoriasenza appiattirla sulla superficie del presente. il tempo utopico è irreversibiletensione dei momenti, progressione continua, anche se per studiarlo è neces-sario decomporlo in unità specifiche. Bergson vedeva nel linguaggio un limitea questo afferramento. ma la musica su cui punta l’attenzione di adorno è af-fine, non identica, al linguaggio del concetto. il suo essere è mediato ma capaceal contempo di raggiungere in un solo istante il nome, di toccare attraverso lepiù segrete risonanze la virtualità intangibile del ricordo. il grado di media-zione, la complessità, l’articolazione interna: tutti questi fattori sono raccoltidal «comportamento mimetico», capace di trasfigurarli in un gesto unico e ir-ripetibile. il rapporto con l’altro dal concetto sembra prodursi nei luoghi dellamemoria, dove è ancora possibile l’immediatezza di un gesto raggiunto al cul-mine del processo di mediazione.

i motivi di questa filosofia si avvertono nell’opera di Berg, portata a volgersidel tutto spontaneamente al passato:

La sua concretezza, la grandezza della sua umanità, sono dovute alla tolle-ranza nei confronti del passato, cui egli dà spazio, ma non accogliendolo allalettera, bensì ritornandovi in sogno e nel ricordo spontaneamente affiorante97.

La dialettica tra passato e presente si realizza in un’arte che evita di sbilan-ciare il rapporto tra il soggetto e l’oggetto e trasforma il recupero del passatonel riconoscimento della sua parziale irrecuperabilità. il «lungo sguardo» dimahler si appunta proprio su ciò che non è del tutto «presentificabile»: in que-sto invecchiamento, in questa distanza si perdono le mire della totalità affer-mativa. Nella sua musica, la memoria è il luogo virtuale della trasformazionedel pensiero identificante nella mimesi dell’oggetto.

97 th.W. adorNo, Alban Berg. Il maestro del minimo passaggio, trad. it. di P. Petazzi, Fel-trinelli, milano 1983, p. 20.

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Capitolo secondo

musica, suoNo ed esPerieNza

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i.Verso una concezione linguistica della musica

1. Premessa

La vera chiave per cogliere la sostanza significante della musica sta nellacapacità di accertare una sua peculiare, specifica semanticità, che non ha nullaa che fare con quanto si esprime con i mezzi verbali; così che parlare, poniamo,di “eroismo” o “napoleonismo” della terza sinfonia di Beethoven significheràrimanere pur sempre nell’ambito di una illusione e d’un travisamento dellavera, specifica logica-espressione della musica98.

sembra così indispensabile, a questo punto, cercare di studiare quali sonogli specifici aspetti linguistici della musica, in modo da abbozzare, sulla basedi quanto può essere accertato, uno schema teorico-descrittivo che, abbando-nando il terreno degli intuizionismi così come del mero tecnicismo, offra unafondata giustificazione di certe procedure della critica, e le consenta se possi-bile di aprirsi a strategie d’intervento più articolate e coordinate, prospettandolateralmente alla didattica musicale un quadro più consapevole di contenuti edi finalità.

Per avviare un esame di questo tipo, non si può fare a meno di ricorrere adun raffronto con la teoria linguistica, così come essa si è venuta sviluppandonei tempi più recenti99. Vedremo così anzitutto quali sono gli aspetti essenzialiche definiscono un linguaggio, e di qui potremo poi proseguire accertando i

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98 così, ad es., l’assegnazione a certe categorie storico-ideologiche come la resistenza, puòessere legittima nella misura in cui si tenga presente che essa è di natura extra-musicale, comesi andrà chiarendo nelle pagine successive.

99 La linguistica moderna, anche se ha i suoi antecedenti nei fratelli Grimm o in von hum-boldt, si fa normalmente iniziare col Cours de linguistique générale del de saussure (Paris,1922). da allora gli studi si sono moltiplicati, producendo un numero vastissimo di ricerche epervenendo a risultati descrittivi e metodologici che per rigore e compiutezza hanno fatto assu-mere alla linguistica il ruolo di disciplina-guida nel campo delle scienze dell’uomo. Non pos-siamo che limitarci in questa sede, evidentemente, alla citazione di pochi testi generali: e. saPir,Language. An Introduction to the Study of Speech (New york, 1921), trad. it. Il linguaggio, acura di P. Valesio, einaudi, torino 1969; F. de sassure, Cours de linguistique générale (Paris,1922), trad. it. di t. de mauro, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 1967; L. BLoomFieLd,Language, henry holt & co., New york 1933; N.s. thouBetzKoy, Grundziige der Phonologie,cerele Linguistique de Prague, Prague 1939; c. BaLLy, Linguistique générale et linguistique

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punti di contatto e di dissimiglianza con la musica, i possibili significati di que-st’ultima, la sua natura specifica, sulla scorta, è evidente, delle ricerche che suquesti aspetti sono state condotte.

il ricorso alla linguistica è doppiamente motivato; da una parte, occorredare una giustificazione ed un contenuto preciso all’espressione “linguaggiomusicale”, che altrimenti rischia di rimanere vuota metafora, e non si può ac-certare in che misura e in che senso l’arte dei suoni sia un linguaggio, se nonattraverso un raffronto con il linguaggio tout court. in secondo luogo, è notoche oggi la linguistica è diventata un po’ la scienza pilota nel campo delle ri-cerche di tipo “umano”, per la raffinatezza dei metodi che ha saputo elaborare,e l’imponenza dei risultati descrittivi a cui è pervenuta. con ciò si debbonofare i conti, anche se andrà evitata qualsiasi meccanica trasposizione, e si ter-ranno presenti, per quanto ci possono illuminare, altri settori di ricerca affinicome la semiologia, la antropologia, le teorie letterarie più aggiornate100.

2. Linguaggio e musica

i rapporti fra musica e linguaggio, bisogna sottolinearlo, possono essereprospettati in vari modi: da un punto di vista fenomenologico, si possono con-siderare gli aspetti sensibili (suoni, ritmi, ecc.); da un punto di vista semiotico,

française, (Berna 1950), trad. it. di G. caravaggi, Linguistica generale e linguistica francese,il saggiatore, milano 1963; N. chomsKy, Syntactic Structures (the hague-Paris 1957), trad. it.di F. antinucci, Le strutture della sintassi, Laterza Bari 1970; L. hJeLmsLeV, Prolegomena to aTheory of Language, (Wisconsin 1961), trad. it. di G.c. Lepschy, I fondamenti della teoria dellinguaggio, einaudi, torino 1968; a. martiNet, Eléments de linguistique générale (Paris 1961),trad. it. di G.c. Lepschy, Elementi di linguistica generale, Laterza, Bari 1967; r. JaKoBsoN, Es-sais de linguistique générale (Paris 1963), trad. it. di L. heilmann e L. Grassi, Saggi di linguisticagenerale, Feltrinelli, milano 1966; r.h. roBiNs, General Linguistics. An Introductory Survey(London 1964), trad. it. di r. simone, Manuale di linguistica generale, Laterza, Bari 1969; J.LyoNs, Introduction to Theoretical Linguistics (London 1968), trad. it. di e. mannucci e F. an-tinucci, Introduzione alla linguistica teorica, Laterza, Bari 1971. Per una informazione generaledal punto di vista della storia e dei problemi, ricordiamo fra gli altri: G.c. LePschy, La linguisticastrutturale, einaudi, torino 1966; r.h. roBiNs, A Short History of Linguistics (London 1967),trad. it. di G. Prampolini, Storia della linguistica, il mulino, Bologna 1971.

100 in particolare, per la semiologia – che dalla linguistica si è sviluppata allargando l’inte-resse all’intero campo delle comunicazioni umane – bisognerà ricordare almeno: r. Barthes,Eléments de sémiologie, communications 4 (trad. it. di a. Bonomi, Elementi di semiologia, ei-naudi, torino 1966); L. Prieto, Messages et signaux, (Paris 1966), trad. it. di Lineamenti di se-miologia. Messaggi e segnali, Laterza, Bari 1971; u. eco, La struttura assente, Bompiani,milano 1968; dello stesso autore: Le forme del contenuto, Bompiani, milano 1971.

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possono essere invece tenuti presenti soprattutto gli aspetti linguistici, signifi-cativi, organizzativi. detto in altri termini, possiamo vedere una serie di ele-menti più o meno comuni (e potremo parlare di “contatti” fra musica elinguaggio) e una seconda serie, più significativa, di strutture analoghe (e par-leremo qui di “analogie” funzionali). ci atterremo in primo luogo a questo se-condo criterio, verificando, punto per punto (confronta il precedente paragrafo)le analogie fra linguaggio verbale e linguaggio musicale101.

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101 Lo studio della musica in una prospettiva linguistica ha assunto, negli ultimi tempi, unparticolare sviluppo. diamo di seguito una bibliografia generale, non esaustiva ma sufficiente-mente ampia, dei contributi più recenti, fra i quali più d’uno ad indirizzo strutturalista: e. saPir,Representative Music, in: «selected Writings of edward sapir in Language, culture and Perso-nality», university of california Press, 1951; parte di questo volume è stata tradotta in italiano(Cultura, linguaggio e personalità, einaudi, torino 1972), ma manca però il saggio citato; m.d’oLLoNe, Le langage musical, La Palatine, Paris-Genève 1954; L.B. meyer, Emotion andMeaning in Music, chicago university Press, chicago 1956; s.V. WaesBerGhe, Phonetcs in hisRelation to Musicology, in: «manual of Phonetics», Kaiser, amsterdan 1957 (pp. 372 sgg.); d.cooKe, The Language of Music, oxford university Press, oxford 1959; N. castiGLioNi, Il lin-guaggio musicale dal Rinascimento a oggi, ricordi, milano 1959; e. emery, La gamme et lelangage musical, PuF, Paris 1961; e. KarKoschKa, Musik und Semantik, in «melos», 32, 7-8,1962, pp. 252 sgg.; r. siohaN, La musique comme signe. Colloque sur les signes et les systèmesde signes, royaumont, 12-15 aprile 1962; in: «e.P.h.e.» 6a sezione, ix; a. Busch, Ce qu’ex-prime la musique, Recherches internationales à la lumière du marxisme, in «esthétique», n. 38,1963; c. LÉVi-strauss, Le cru et le cuit (Paris 1964), trad. it. di a. Bonomi, Il crudo e il cotto,il saggiatore, milano 1966, pp. 38 e sgg.; G. saiNt-GuiroNs, Quelques aspects de la musiqueconsiderée d’un point de vue linguistique (Recherche d’un analyse musicale distinctive), in «Étu-des de linguistique appliquée», n. 3, 1964, pp. 12-35; c. deLiÈGe, La musicologie devant lestructuralisme, in «L’arc», n. 26, 1965, pp. 45-52; P. schaeFFer, Traité des objets musicaux,seuil, Paris 1966; N. ruWet, Méthodes d’analyse en musicologie, in «revue Belge de musico-logie», xx, 1966, pp. 65-90); L.B. meyer, Music the Arts and Ideas, chicago university Press,chicago 1967; r. ruWet, Musicologie and Linguistique, in «revue internationale des sciencessociales», xix, 1967; a. daNiÉLou, Sémantique musicale, hermann, Paris 1967; u. eco, Lastruttura assente, Bompiani, milano 1968, pp. 303 sgg., 398-99; t. WiNoGrad, Linguistics andthe Computer Analysis of tonal Harmony, in «Journal of music theory», 12, 1968, pp. 2-49; F.B.mache, Langage et musique, in «Nouvelle revue Française», i aprile 1969, n. 196, pp. 586-594; m.m. LaNGLeBeN, La musica e il linguaggio naturale, in aa.VV., I sistemi di segni e lostrutturalismo sovietico, a cura di u. eco e r. Faccani, Bompiani, milano 1969, pp. 383 sgg.;id., Descrizione del sistema della notazione musicale, ibid., pp. 287 sgg.; z. Lissa, AesthetischeFunktionen des musikalischen Zitas, in «sign, Language, culture», mouton, La haye 1971; r.court, Langage verbal et langage esthétique, in «musique en jeu», seuil, n. 2, Paris marzo1971, pp. 16 sgg.; h. LeFeBVre, Musique et sémiologie, in «meJ», 4, ottobre 1971, pp. 52 sgg.;Sémiologie de la musique, (numero monografico), in «meJ», n. 5, novembre 1971, con interventidi J.J. Nattiez, r. harweg, G. P. springer, u. eco, r. Jakobson, B. Nettl, W. Bright, F. B. mache;d. osmoNd-smith, The iconic process in musical communication, in «Versus», n. 3, settembre1972; e. FuBiNi, Musica e linguaggio nell’estetica contemporanea, einaudi, torino 1973.

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a) La musica è un mezzo di comunicazionePossiamo, difatti riscontrare, in essa, gli elementi fondamentali di ogni pro-

cesso comunicativo: una fonte che produce il messaggio, il messaggio stesso,un destinatario che lo riceve. La presenza, accanto all’autore, di un esecutorepuò rendere il processo più complicato, ma ciò non cambia i termini della que-stione, dal momento che anche certi messaggi linguistici (ad esempio, un pezzoteatrale) possono prevedere l’intervento di interpreti. Piuttosto, va rilevato chementre la comunicazione linguistica è normalmente di tipo, logico-referenziale(si riferisce cioè a cose, oggetti, idee, persone di cui parla) e solo in casi parti-colari di tipo estetico (più che riferirsi, per fini pratici, ad oggetti esterni, lapoesia dirige l’attenzione su se stessa, sulle proprie combinazioni ritmiche everbali, che acquistano un’importanza prevalente102, la musica non dà mailuogo a comunicazioni del primo tipo – se si escludono certe “segnalazioni”sonore come quelle in vigore negli eserciti, quali il “silenzio”, la “sveglia” ecc.– ma dà luogo solo a comunicazioni di tipo estetico, tali cioè che il messaggio,prima di parlarci di altre cose, parla di se stesso.

b) La musica, come il linguaggio, si sviluppa in senso lineare-temporale. isuoni si susseguono nel tempo. Vi è però, anche qui, una differenza sostanziale:la musica presenta uno sviluppo anche in senso verticale, contrappone cioè,alla mono-dimensionalità del linguaggio, una bi-dimensionalità. come il lin-guaggio, la musica ha elaborato un sistema di trascrizione grafica.

c) Ha carattere auditivo. si avvale difatti di suoni, percepibili acusticamente(utilizza quindi lo stesso canale). tali suoni non sono solo vocali, come avvienenel linguaggio, ma vengono, emessi anche da strumenti artificiali. si tratta co-munque di suoni prodotti dall’uomo (ciò si verifica pure nella musica concreta,attraverso la manipolazione al registratore o denaturazione e, quindi, la “uma-nizzazione” del rumore bruto). L’aspetto auditivo rientra più propriamente frai “contatti”, ove sarà ripreso.

102 Jakobson parla di «funzione poetica», in cui l’accento è posto sul «messaggio per sestesso» (r. JaKoBsoN, cit., p. 189).

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ii.Società multiculturale, educazione, musica

Nell’arco temporale di poco più di un secolo in italia si sono pressoché ca-povolte le regole dei flussi migratori. si è infatti passati da una prima fase dipaese che si svuotava di milioni di individui (le migrazioni massicce tra ’800 e’900 verso l’america) ad una seconda caratterizzata dagli spostamenti internidal sud al nord (iniziata negli anni ’50) il cui termine è coinciso, da pochi anni,con la terza dell’immigrazione comunitaria. Nella seconda fase le problemati-che educative hanno coinvolto tutte le discipline dell’insegnamento nella rea-lizzazione dell’obiettivo unico dell’acculturazione nazionale, nell’adattamento-apprendimento di una cultura che nella sua necessaria unicità comunicazionalepotesse coagulare tutte le pseudoetnie. anche l’educazione musicale ha dato ilsuo contributo, sebbene tardivamente rispetto ad altri linguaggi verbali e nonverbali. ma nella terza fase sorge spietatamente e urgentemente il problema dicome essa dovrebbe qualificarsi metodologicamente, didatticamente e pedago-gicamente nella prospettiva di una società multietnica caratterizzata dalla plu-ralità comunicazionale e culturale. oramai ogni singolo operatore della fasciadell’obbligo scolastico compresa in un arco d’apprendimento e di sviluppo cheva dai 3 ai 14 anni (per non dire ai 16 in un futuro speriamo non troppo remoto)può trovarsi a lavorare in qualche gruppo classe in cui è presente un alunno ci-nese, un nordafricano e così via. È così costretto a modificare e aggiornare lapropria professionalità. Nel caso degli anni ’80 la consapevolezza pedagogicagenerale attraverso le sperimentazioni è andata crescendo, ma dal punto di vistaeducativo-musicale ancora non ci si può appoggiare ad applicazioni consolidatee ad esperienze provate, stabili ed oggettive. Gli stessi programmi che riguar-dano la disciplina musicale nella scuola media inferiore (1979), o i più recentidella scuola elementare, non prevedono suggerimenti sufficientemente confor-tanti. il legislatore del resto si è messo in linea di principio con l’emanazionedi decreti e circolari che danno indicazioni di massima riferite sia all’immigra-zione sia al modo d’accoglienza per un’educazione integrativo-interattiva (utiliper le singole sedi scolastiche nel confezionare il “Progetto triennale d’istituto”o nel suggerire le linee generali del “Piano educativo d’istituto”): non specificaperò quali potrebbero essere i moduli d’incastro per una disciplina come l’edu-cazione musicale che appare di primo acchito sottovalutata nelle sue potenzia-lità applicative in ambito multiculturale. L’operatore-educatore non può ancora

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contare sul supporto di una bibliografia collaudata e specifica, poiché i vari in-dicatori disciplinari sono stati indirizzati (giustamente?) verso lo sviluppo diuna musicalità condizionata concettualmente e intellettualmente dall’eurocen-trismo. si è superato lo scoglio di una cultura “nazionale”, ma non quello et-nocentrico, o meglio: che i paesi europei debbano essere depositari di unapresunta cultura “superiore” da imporre agli altri. un eurocentrismo che, se silegittima e si giustifica nei suoi universalmente riconosciuti valori storici (mo-zart...), non è altrettanto tollerabile negli appiattimenti culturali e nelle esaspe-razioni consumistiche che hanno iniziato a caratterizzarlo da alcuni decenni,perché non permettono la conservazione-valorizzazione delle diversità, cancel-lano l’identità originale per costruirne una artificiale funzionale soltanto ai pro-cessi speculativi-economici. soltanto recentemente (1992) sono stati pubblicatigli atti del convegno dedicato all’Educazione musicale in una società multiet-nica dal quale è possibile trarre spunti (in senso lato, generalizzati) utili pertentare di correlare la specificità dell’educazione musicale con le esigenze diun insegnamento di tipo multiculturale. i quesiti e le esperienze che il convegnoha messo in luce, sul piano della riflessione e della significanza pedagogicarappresentano un tessuto importante sul quale imbastire la progettualità forma-tivo-musicale, fungono da retroterra concreto nel prosieguo educativo e sonoin grado di determinare e prospettare nuovi orizzonti metodologici, di forgiarealternative nelle prospettive d’intervento. stimolanti (e attuali), varie, sonoquindi le tematiche che il convegno ha elaborato: dalle strategie d’accoglienza(da studiare e mettere in atto) alle connessioni tra educazione musicale e realtàpolitico-economica, dalla complessità-molteplicità del mondo degli immigratiai pericoli di “chiusure etniche e nazionaliste senza che ci sia la costruzione diqualcosa di nuovo”, dai moduli d’approccio alla musica, alla scelta e all’usodidattici del materiale etnico-popolare. in questa direzione appare prezioso ilsuggerimento che mario Piatti ha riportato in coda agli “atti”, ossia l’attivazionedi un “osservatorio” sull’educazione musicale interculturale volto a raccogliereinformazioni, dati, materiali.

1. Una società in metamorfosi

siamo tutti testimoni, in questi anni, del cambiamento che lentamente sta av-venendo in italia con l’inserimento di grandi masse di immigrati, con la conse-guente destrutturazione dei rapporti sociali che in passato regolavano la vita diogni singolo individuo. Le tipologie culturali che fanno da specchio a questi in-

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nesti si caratterizzano per le diversità, per le divergenze linguistico-espressive,per l’iniziale forte radicamento, spesso quasi disaroccabile, con la tradizione(folclorica) dei luoghi di provenienza. molte città, che fino a poco tempo fa eranoda considerarsi “pure” perché non intaccate dal fenomeno immigratorio (se nonturisticamente, cioè di passaggio), ora si stanno modificando socialmente dive-nendo “multirazziali” o – termine forse più soft – “multietniche”. un approdonon sempre guidato, spesso selvaggio, clandestino e scoordinato, che crea squi-libri e metamorfosi comunicazionali difficili da controllare, che ha provocatopolemiche (anche razzistiche) e reazioni (pensiamo alla nascita di gruppi estre-misti o al rifugio partitico “Lega Nord”), ma che sposta l’idea finora dominante(e “nazionale”) che una cultura centralizzata, sovrastrutturale e assolutisticapossa continuare ad imporsi su una periferia culturale sempre più variopinta equindi incontrollabile ma che ha il diritto democratico di essere quello che è. equesto per noi è l’aspetto più interessante del fenomeno e per certi versi positivoprofessionalmente per le nuove stimolanti prospettive educative che ci offre. Giàaltri paesi europei, prima di noi, hanno dovuto affrontare il gravoso problema diun’educazione multiculturale, essendosi trovati soprattutto nei grossi centri ur-bani e industriali un contesto scolastico plurietnico. mentre in italia la popola-zione scolastica straniera, stando ai dati relativi all’anno 1992, è di circa 27.000unità, in paesi come la Francia si registrano in tutti gli ordini scolastici ben1.005.258 alunni stranieri (al 1989-1990) e in Germania sono quasi un milione.

È facile intuire che in futuro anche per noi sarà difficile sottrarci alla logicadell’inserimento di centinaia di migliaia di studenti stranieri nelle scuole statalio private. Va da sé il nostro convinto allineamento con chi sostiene che anchel’italia si stia trasformando in una nazione multietnica.

2. Tipologie culturali

dal punto di vista essenzialmente musicale possiamo definire e incanalarele principali etnie immigratorie in tre diverse categorie:

l’immigrato che già è portatore di una cultura affine (o simile) alla nostra.ad esempio: sia per noi che per un polacco chopin e Giuseppe Verdi sonograndi compositori. Nell’ascoltarli, italiano e polacco provano le stesse intensesensazioni. il polacco suona gli stessi strumenti che suoniamo noi... l’immi-grato che, pur nella diversità comunicazionale o linguistica, indirettamente èda considerarsi legato alla nostra cultura, portatore lontano di una memoria diderivazione europea. siamo già abituati inoltre a presenze musicali sue perchéda tempo esse si sono infiltrate nelle nostre abitudini fruizionali attraverso i

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canali aperti dai mass-media (samba, tango, cha cha cha...). anch’esso utilizzai nostri codici grafici e operativi;

il portatore di una cultura divergente, completamente diversa dal punto divista concettuale, rimasta “pura” dato il radicamento totale al proprio contestostorico e antropologico: l’islamico, il senegalese, il cinese, il pakistano... inquesto caso sembra non esserci nulla che si possa tenere in considerazionenell’immediato o che si avvicini minimamente alla nostra mentalità corrente.i caratteri sono tali da essere per noi totalmente incomprensibili e la sensibilitàdi cui questi extracomunitari sono portatori non è al primo impatto sufficienteper renderli fruitori dei nostri messaggi musicali, fatto che può verificarsi sol-tanto dopo un lungo lavoro integrativo.

Nel quadro che abbiamo delineato l’incontro e l’interazione fra le diverseetnie comportano la progettazione e lo sviluppo di un nuovo universo meto-dologico, l’acquisizione di conoscenze pedagogiche in grado di offrire solu-zioni concrete e valide e, particolarmente, la ri-edizione dell’insegnante o lasua riconversione in una nuova identità educativa caratterizzata da competenzepoli/transculturali e spogliata da aspettative e presupposti vecchio stampo. Lascuola dovrà così dotarsi di strumenti d’attrazione-accoglienza più efficaci, ri-vedere la propria organizzazione interna, la funzionalità strutturale (spazi, la-boratori, risorse umane, collaborazione con enti esterni), rimescolare le proprierisorse. altrimenti sembra impossibile riuscire ad essere determinanti nel rap-porto educativo con i soggetti immigratori più enigmatici, come quelli che ri-sentono – per fare un esempio – della mancanza di stanzialità, che sonoobbligati ad un forzato e continuo spostamento interno (a volte di poche decinedi chilometri) a causa dell’instabilità occupazionale. in questi (e non solo) lascuola sarà invitata, per quanto possibile, a garantire un minimo di continuitàmetodologico-educativa, sia per proseguire senza traumi i percorsi d’appren-dimento via via intrapresi, sia per “fornire al cittadino straniero gli strumentipiù opportuni perché possa interagire in condizioni di parità, conservando allostesso tempo al pari del cittadino italiano le proprie radici culturali, e possacondividere gli strumenti necessari per la comunicazione culturale e la com-prensione dei problemi. Lo scambio di esperienze fra gli operatori (culturali,educativi) diventa essenziale, seppure distante geograficamente (ostacolo cheoggi tramite l’intervento massmediale dovrebbe essere quasi del tutto supe-rato), per mantenere vitali nel fruitore le basi del lavoro intrapreso nella for-mazione evolutiva del tessuto culturale.

compartecipando allo sviluppo dei concetti della multiculturalità e dellainterculturalità la musica entra in uno scenario di grande ampiezza e spessore,

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nel quale può assumere la parte del protagonista perché è un linguaggio cheper sua stessa natura favorisce l’approccio, l’intesa, il dialogo, la solidarietà ela collaborazione fra diverse etnie.

3. Musica come esperienza universale

Nelle sue variegate forme estetico-espressive, affettivo-emozionali (dallameno impegnativa alla più intellettuale o artistica), la musica è un valore so-ciale comune a tutti i popoli del mondo, a tutte le civiltà del passato, è presentein tutti gli strati umani. Nella storia, le reciproche infiltrazioni semantiche, icondizionamenti compositivi, gli interscambi sonori e gli ibridi musicali sonostati di così grande numero che ci risulta impossibile spesso ritrovare i trattifondamentali delle culture che li hanno originati. e questo è avvenuto nono-stante la “uniformità conformistica del prodotto imposto” e la scomparsa diuna enorme molteplicità di culture causata dall’annientamento colonialistico.La circolazione delle informazioni musicali si è sviluppata nella stessa misurae quantità delle merci, provocando la nascita e l’evoluzione di linguaggi mul-tiformi o l’elaborazione di modelli compositivi sempre diversi: fenomeno cheancora non si arresta (pensiamo all’occidentalizzazione della musica africana,araba o sudamericana, al jazz, ai timbri ed alle sovrapposizioni sonore di tipoorientale che hanno ispirato compositori importanti come debussy, Puccini equant’altri, all’utilizzazione della folk-musica nel linguaggio colto ecc.) e cheanzi appare in grande accelerazione. La musica dunque si presta ad operazionidi fusione culturale che esaltino il senso della tolleranza, della solidarietà, cheaiutino a superare le limitazioni e le chiusure dei rigidi localismi e dei regio-nalismi culturali. e grazie alla sua natura comunicazionale, calata nel contestodella didattica per l’interazione, essa è facilitata nel dare il suo contributo per“mettere in luce le corrispondenze oltre che le differenze, ciò che è comune,sotto il profilo psicologico, a tutti (a prescindere dalle latitudini di provenienza),e ciò che è fattore di dissomiglianza: ciò che è tratto universale e ciò che è pa-lesemente locale e specifico”.

in questo quadro, anche le ultime frontiere della ricerca musicoterapicasembrano allinearsi alla generale tendenza a fare del multiculturalismo non unproblema, bensì un vantaggio e un arricchimento103.

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103 cfr. L. chiaPPetta caJoLa, P. esPersoN Pecoraro, a. rizzo, Musicoterapia per l’inte-grazione. Metodologie didattiche e procedure valutative, Franco angeli, milano 2008.

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iii.Il suono e l’ineffabile

all’inizio della loro storia gli uomini si raccolsero intorno al fuoco.un gruppo di uomini si raccolse però intorno al grido: grido di guerra, grido

di terrore, grido di gioia, grido d’amore, grido di dolore, grido di morte cosìl’urlo primordiale è divenuto l’atto fondativo delle prime comunità. L’uomocreò poi quel ritmo uno/due uno/due che riproduce il ritmo della vita intraute-rina, il battito del cuore, il ritmo sonno/veglia, sazietà/fame.

anche gli animali gridano, anche il vento quando minaccia tempesta, ancheil mare, ma solo l’uomo si raccoglie intorno al proprio grido e quando non loprovocano gli eventi lo costruisce per rintracciare le trame profonde che lo gui-dano. interprete di questo, di questa trama profonda è la musica che, nel suoritmo originario, precede la parola e concede all’uomo brevi istanti per acco-gliere l’eterno.

anche il linguaggio è suono e richiama immagini o simboli cui è stato pre-cedentemente attribuito un valore evocativo. È quindi un suono, sebbene informa altamente elaborata e con eccezionali implicazioni, che funge da liaisontra noi e il nostro pensiero, il quale forma compiuta appunto nella parola. Lapsicologia, l’antropologia, la sociologia concordano nell’affermare che il pen-siero si compie con la parola e che il linguaggio dunque non è solo suono, macompiutezza dell’attività mentale.

esprimere un suono significa scegliere fra suono e silenzio, e ci consentedi risvegliare la nostra dimensione più profonda, quella che non si identificanella più vuota astrazione, ma coincide con quello che in noi c’è di più irridu-cibile e che in un certo senso è lo scarto che esiste tra noi e ciò che di noi sap-piamo. Quindi è il mezzo che ci trasporta nello strato più profondo ed interioredi noi stessi. La musica copre questa lontananza da noi stessi, che nulla rag-giunge perché è puro suono del sentimento e ascoltarla diviene autoascolto edun muoversi dall’intimità del soggettivo all’assoluto.

anche per questa ragione, e forse soprattutto per questa, il suono è lo spaziofra noi e ciò che sappiamo di noi e l’armonia del suono non è l’equilibrio dellenote ma l’armonia che si crea fra noi e l’infinito: il concetto di armonia non ètanto il buon accordo dei suoni quanto la corrispondenza tra la sonorità cosmicae la percezione dell’anima umana. La musica riempie l’infinito e l’anima l’av-verte. La musica riproduce l’armonia delle sfere celesti e la dissonanza rap-

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104 cfr. V. JaNKÉLÉVitch, La musica e l’ineffabile, trad. it. di e. Lisciani Petrini, Bompiani,milano 1998.

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presenta l’inquietudine dell’uomo che tende sempre comunque alla ricercadella consonanza. si tratta di quel movimento che accorda la nostra anima coni punti dell’universo e con mondi lontanissimi; è la corrispondenza tra l’animadell’uomo e l’anima dell’universo; quella pulsazione cosmica che diventa pul-sazione dell’anima e rende intimamente presente ciò che è lontano. il suono,la musica, ci rapisce per dei sensi e dei significati che stanno al di là di tutti isignificati codificati dalle parole; ci immette nella trascendenza lasciandolanella sua inesplicabilità. La musica testimonia che l’essenziale in tutte le coseè un non so che d’inafferrabile e d’ineffabile, inesprimibile con le parole. Lamusica non è fatta per rivelare il senso, piuttosto lo rende volatile e fugace perportarlo alla percezione dell’uomo. ci rende percettibile la contraddizione dellavita: lo stare continuamente e contemporaneamente fra senso e non senso, fraespressione ed inesprimibile, fra detto ed ineffabile: esprime l’inesprimibileall’infinito104.

Pensiamo alla differenza fra il suono delle sirene ed il suono di orfeo; en-trambi sono suono, musica, ma esprimono sentimenti contraddittori: scono-sciuto e conosciuto – vita e morte. È di nuovo la contraddizione della vitaespressa dal suono.

il suono conosce poi l’eco che è il riflesso del suono stesso, ne è il prolun-gamento. È il contrario di un riempitivo o di un pleonasmo. La “seconda volta”offre un seguito all’istante e gli permette di sopravvivere. secondo Puskincome il poeta fa eco alla natura, così la musica fa eco a se stessa e nella ripe-tizione acquista un senso più profondo e dispiega una forza ammaliatrice. trala prima e la seconda volta si verifica la magia, l’incantamento e mentre ascol-tare sempre le stesse cose è noioso, ascoltare la stessa musica è piacevole, per-ché cambiano i canoni dell’ascolto. il riascoltare è un emozione talmente forteche ci fa sentire a casa, dentro di noi. Nella poesia e nella musica ciò che èstato detto è da dire e ridire, ancora e ancora.

ricreare qui è creare, rifare è fare.come il linguaggio prima di essere espresso deve essere pensato, così anche

nella musica il senso del principio deve pre-esisterle per poter essere espresso.Prima della musica intesa come messaggio acustico avvertito dall’orecchioumano, ci sarebbe una musica, una sonorità, soprasensibile, come una musicainespressa, anteriore agli strumenti. si ipotizza, insomma, un musica metafi-sica: quella musica delle sfere celesti che i nostri predecessori intuivano e che

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arriva fino a noi in una forma che possiamo percepire attraverso le orecchie eche ci conduce spesso verso una bellezza imprevista e, per dirla con Platone,la musica penetra nell’interiorità dell’anima e s’impadronisce di essa.

La musica non esprime punto per punto, parola per parola, ma suggeriscea grandi linee; così come l’anima non è localizzabile in nessuna parte del corpoma piuttosto è una presenza diffusa in tutto il corpo. il suono, la musica, sonofascino e non si frazionano, sono sempre una totalità mai una somma delleparti, ma un insieme impalpabile ed indiviso: tanto che basta spostare un tas-sello per vanificare l’originalità qualitativa.

La musica significa qualcosa in generale non nel particolare; è l’essenzapura ed indeterminata della mobilità ed è efficace sia quando comunica il sensoche vorrebbe suggerire sia quando esprime l’emozione che sorge spontanea-mente. come suggerisce schopenhauer la musica non esprime una gioia de-terminata o una tristezza particolare, ma la Gioia, la tristezza, l’amore. Èl’emozione nella sua assoluta indeterminatezza, la pura capacità emozionaledell’anima. si distende davanti a noi l’infinito, il possibile, l’indeterminato elo spirito percorre biforcazioni biforcate e significati inesprimibili e toccaquella profondità che è l’immenso divenire delle riflessioni suscitate. il misteroche la musica ci comunica non è la sterilità della morte, ma la fecondità dellavita, della libertà. il mistero della musica non è indicibile, ma ineffabile. L’in-dicibile infatti è il desolante non-essere e la tenebra ci impedisce di accedereal suo mistero: indicibile dunque perché non c’è nulla da dire e l’uomo rimanemuto. L’ineffabile è l’inesprimibile perché su di esso c’è molto da dire: è l’in-sondabile mistero dell’amore.

Quando manca la parola inizia la musica che ha senso solo indirettamentee suggerisce senza fissare significati. È la voce del ricordo irreversibile chesussurra all’orecchio del nostro animo cose segrete. Non consiste il suonoanche in questo turbamento? il giorno e la notte, le stagioni, gli usignoli ed ilfruscio delle foglie sussurrano un segreto a coloro che sanno ascoltare: la mu-sica inudibile delle sfere celesti, le armonie invisibili. e l’uomo ascoltandol’ineffabile non sa cosa fare per portarsi all’altezza di ciò che prova e scoprel’umiltà di fronte all’incomprensibile.

come la danza (moto senza scopo), il dramma (azione fittizia) o come igesti poetici o rituali, la musica è un gesto nascente.

il rumore è connesso alla presenza umana, che comunque non è un sospiroappena udibile nel silenzio eterno degli spazi infiniti. il silenzio dice Baconeè il sonno che nutre la saggezza, la fermentazione del pensiero. È insommauna grandezza negativa, nel senso di negazione della presenza umana, che è

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però positiva perché in esso vive il pensiero. di fatto il silenzio non è il non-essere, ma esclude un solo senso: l’udito. e non solo annulla un solo senso manon è mai assoluto. il silenzio più comune è quello delle parole: esiste il silen-zio che ci riposa dalle chiacchiere e la parola che ci riposa dal silenzio oppri-mente. La musica proprio è quest’ultimo tipo di silenzio: è una presenza sonorapur essendo una forma di silenzio. È il silenzio relativo che consiste nel cam-biare tipo di rumore, nel passare dal chiasso all’ordine sonoro. Questo rumoremelodioso, misurato, incantato deve essere circondato di silenzio per essereascoltato ed essa lo impone al ronzio delle parole.

L’istante che precede l’inizio della musica è chiamato “pianissimo antece-dente” ed è quella emergenza dal silenzio precedente della musica appena udi-bile. È una voce sconosciuta e ignota che si nasconde dietro al silenzio: perciòl’uomo attento scava attraverso lo spessore rumoroso che lo circonda per por-tare allo scoperto le pieghe trasparenti del silenzio, quindi penetra all’infinitonella profondità del silenzio per scoprirvi la più segreta delle musiche – se ilsilenzio è al di là del rumore, l’armonia invisibile è al di là del silenzio stesso.È come se l’uomo ascoltasse un messaggio appena percettibile da qualche lon-tano pianeta: col cuore che batte tratterrebbe il respiro per percepire il messag-gio sconosciuto che giunge attraverso il silenzio degli spazi infiniti. La musicaè un silenzio udibile e sussurra nell’orecchio mentale dell’uomo e nel silenzioprofondo, nelle vaste solitudini, l’orecchio dell’anima e quello del corpo ascol-tano suoni remoti, rumori infinitesimali della presenza universale. come lanotte fa apparire le stelle nel cielo, così l’acquietamento del tumulto fa sorgereil canto magico dell’interiorità: “è tardi: un campanile di lontano scandisce leore della notte, un filo d’erba sospira, una goccia di rugiada cade, uno zampillod’acqua mormora sottovoce, la brezza fa scricchiolare le foglie secche… si po-trebbe sentire l’acqua che dorme”.

come i chiaroveggenti con questo tipo di sensibilità vedono essenze invisi-bili, il silenzio sviluppa una finezza di udito grazie alla quale si odono i mor-morii più leggeri. il silenzio è un buon conduttore: trasmette all’uomo i sottintesinascosti e lo fa giungere al suono del mistero universale. il suono acquista dun-que energia alle sorgenti del silenzio, che non è un non-suono ma “altro suono”.La voce altra, la voce che il silenzio ci fa sentire, si chiama musica. entrambici ricordano il mistero che portiamo in noi stessi. concludo ricorrendo all’aiutodel maestro riccardo muti: «nella musica i contrasti sono in funzione dell’ar-monia e l’accordo dove immediato è il sussulto dell’inquietudine invoca l’ac-cordo dove si distende la quiete che accoglie e immette in quell’atmosferatrasognata, e quindi anche un po’ irreale, che siamo soliti chiamare “pace”».

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105 cfr. u. amaLdi, Immagini della fisica. Le idee e gli esperimenti dal pendolo ai quark,zanichelli, Bologna 1992, pp. 214-220 (ed. ridotta da u. amaLdi, Dal pendolo ai quark, zani-chelli, Bologna 1991).

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iV.Alla scoperta del suono

1. L’aspetto fisico dell’uomo

La “materia prima” della musica è il suono. esso è per il musicista ciò cheil marmo e il bronzo sono per lo scultore, l’acquerello e l’olio per il pittore, laparola per il poeta. ogni artista si esprime plasmando determinate materieprime. in sintesi, la musica è l’arte dei suoni.

dal punto di vista fisico il suono è una sensazione105, o meglio un fenomenoacustico, prodotto dal moto della materia, ossia dalle “sue” vibrazioni. tutti ifenomeni acustici segnalano la presenza di movimento, di vita: la natura conil vento, le onde, il tuono, i richiami degli animali, le città con il traffico, le of-ficine, le stazioni, i porti. al silenzio corrisponde invece l’immobilità, l’attesae, se nulla interviene a romperlo, la solitudine totale, il vuoto.

tuttavia l’essenza della musica, ciò che la rende diversa dalle altre arti, èproprio questa sua singolare materia prima – la vibrazione –, vera e propriaenergia fisica che, convertita in suono, riesce a destare le vibrazioni profondedell’animo umano.

Viviamo immersi in un vero e proprio universo di suoni e di rumori. Feno-meni acustici di ogni genere sono infatti presenti dovunque, deboli, forti, brevi,lunghi: il ticchettio dell’orologio, l’urlo di una sirena, lo sbattere di una porta,ecc. Per abitudine siamo soliti attribuire ai suoni delle qualità gradevoli, o, permeglio, dire musicali, mentre consideriamo i rumori generalmente sgradevolio comunque estranei alla musica.

a parte le sensazioni più o meno soggettive, la distinzione tra suono e ru-more è fondata su differenze fisiche ben precise. Qualsiasi fenomeno acustico,dunque, è prodotto dalle vibrazioni di un materiale elastico. una lamina me-tallica, per esempio, produce, vibrando, un lieve ronzio che ricorda vagamentequello di un insetto in volo. Le vibrazioni del metallo, trasmesse dalle particelledell’aria sotto forma di onde concentriche, colpiscono l’organo dell’udito cau-sando una particolare sensazione definita suono. il suono è perciò dato dal sus-seguirsi rapidissimo di vibrazioni di un corpo elastico, che deformato eabbandonato a se stesso, assume un movimento oscillatorio attorno ad una po-sizione di equilibrio.

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106 a. BruNo, c. caLducci, Guida alle osservazioni scientifiche, a. signorelli, roma 1974,p. 300.

107 u. amaLdi, Immagini della fisica. Le idee e gli esperimenti dal pendolo ai quark., cit., p.212.

108 Ibid.

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si può concludere dunque che «un corpo, ogni qualvolta vibra, produce unsuono»106.

il movimento oscillatorio del corpo sonoro è descritto da alcune parolechiave:

vibrazione: una oscillazione completa nei due sensi;periodo (T)107: la durata di un’oscillazione completa;frequenza (f)108: il numero delle vibrazioni compiute in un minuto secondo.Perché il nostro orecchio avverta la sensazione sonora, cioè il suono, è ne-

cessario che fra il corpo vibrante e l’orecchio vi sia un mezzo elastico che simetta a vibrare. di solito, il mezzo elastico è l’aria, ma può essere anche un li-quido o un solido. dunque con l’azione del vibrare, l’aria compie una seriesuccessiva di onde concentriche, dette onde sonore, che, partendo dalla sor-gente sonora, arrivano all’orecchio di chi ascolta, facendo vibrare a loro voltala membrana del timpano.

2. Accenni storici sull’utilizzo della musica

certamente la cultura greca era permeata del pensiero dei filosofi del-l’epoca, soprattutto da ciò che Pitagora e i suoi allievi attribuivano alla musica.i pitagorici credevano che il cosmo fosse regolato dai rapporti numerici sem-plici del mondo musicale. essi erano convinti che i pianeti si muovessero susfere le cui distanze corrispondevano in maniera rigida agli intervalli musicali,e la cui rotazione provocava suoni e melodie in funzione della velocità e del-l’ampiezza del giro.

che la musica avesse una sua funzione nella società greca e che questa tra-dizione si sia sposata nel cristianesimo primitivo è un fatto conosciuto. Nelcristianesimo, la musica ha una funzione di grande aiuto liturgico e, come inostri padri ricordano bene, ciò è accaduto fino ai tempi recenti. La musicanelle liturgia cristiana faceva parte di un’esperienza collettiva che svolgevauna forte influenza suggestiva su ciascun partecipante. Vi sono ancora in certipaesi italiani delle cantilene professionali alle quali diventa quasi impossibilesottrarsi. si incomincia così a far strada una delle concezioni che interesserà iprossimi capitoli: la musica diventa un modo di comunicare tra gli uomini.

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Capitolo terzo

La musicoteraPia

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109 V.e. NeGus, «Purposive use of sound», in id., The mechanism of the larynx, the c.V.mosby company, st. Louis 1929. La frase di Negus è tratta da a. tomatis, Dalla comunicazioneintrauterina al linguaggio umano, trad. it. di L. merletti, ibis, como 2001, p. 26.

110 a. tomatis, La notte uterina. La vita prima della nascita e il suo universo sonoro, trad.it. di G. cimino, rev. di e ciceri e F. Gianni, p. 19.

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i.Dalla musica alla musicoterapia

1. L’ascolto fetale

diversi studi hanno rilevato che la musica favorisce la formazione di en-dorfine, sostanze naturali che allontanano lo stress e favoriscono uno stato ge-nerale di benessere. durante la gravidanza questo benessere serve sia alla futuramamma sia al bambino. in questo caso, la musica contribuisce ad alleviare idisturbi tipici dell’attesa. il rilassamento che deriva dall’ascolto infatti contri-buisce ad abbassare le tensioni, a regolarizzare il battito del cuore e la pressionedel sangue. Grazie alla produzione di endorfine, ecco che la musicoterapia con-trasta la stanchezza e il malumore, e aiuta a vivere più serenamente un periodoche può essere accompagnato da ansie e preoccupazioni sulla salute del bam-bino, sul momento del parto, sulla capacità di essere mamma.

dire che il feto sente, affermare che ascolta e, ancor di più, pretendere chesi esprima sono ipotesi da lungo diffuse, sostenute in particolare dal dr. alfreda. tomatis (1920-2001).

tomatis ha iniziato studiando il linguaggio. durante i suoi studi, scorrendoun saggio sui meccanismi della laringe, scritto da Negus (autore inglese moltofamoso all’epoca), lesse un passaggio, a suo parere, molto interessante. tomatisvolle verificare una affermazione di Negus: «the eggs of song-birds hetchedunder silent foster-mothers produce songless youngs»109 (le uova degli uccellicanterini covate da uccelli che non cantano danno origine ad uccelli privi dellacapacità di cantare). L’autore riferiva che una trasmissione informativa era pos-sibile in ovo110, provenendo dalla mamma chioccia verso i futuri pulcini. a que-sto punto, alfred tomatis pensò che, se tutte queste informazioni potevanoessere trasmesse attraverso il guscio dell’uovo, probabilmente anche la pareteuterina era in grado di offrire le stesse opportunità. da qui iniziarono i primipunti di domanda su quello che poteva succedere nell’utero tra il feto e la madreda una parte e la madre e il mondo esterno dall’altra. così, lo studioso ha ipo-

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tizzato che, come l’uccello in ovo, il feto in utero poteva ricevere delle infor-mazioni e che queste giungendo attraverso strati di liquido, dovevano passareper l’involucro amniotico.

Nell’utero il feto comincia a percepire i rumori grossolani alla 18a settimanae alla 24a è già in grado di percepire i suoni, sviluppando completamente ilsenso dell’udito nel corso della gravidanza. il bambino, infatti, nei nove mesivive in un ambiente in penombra, ma pieno di suoni. i rumori prodotti dal pas-saggio del cibo nell’apparato digerente, il ritmo della respirazione, il battitoritmato del cuore della mamma e lo scorrere del sangue attraverso la placentaaccompagnano il bambino dall’inizio alla fine della gestazione.

Le impressioni destate dal contatto liquido e parietale si accentuano manmano che crescono le dimensioni del rivestimento uterino, estensibile fino alnono mese. altri stimoli percepiti precocemente sono provocati dai suoni; gliimpulsi sonori liquidi suscitano nel feto mille impressioni: dai rumori visceralidi ogni tipo al battito rassicurante del cuore della madre.

La madre contiene il frutto che porta a maturazione animale e che riesce atrasformare attraverso un’unione elaborata a livello di comunicazione prever-bale. e’ un vero duetto d’amore che si stabilisce tra la madre e il bambino, ilsolo vero e puro, fatto di carne, di creazione e che prepara l’essere al suo de-collo umano nel gruppo sociale.

in questo mondo ovattato, il feto è protetto, custodito e nutrito dal grembomaterno ma nello stesso tempo non è isolato dal mondo esterno del quale, apartire dal quinto mese di gravidanza, è in ascolto. Già dalla 20a settimana digestazione l’apparato uditivo è funzionante, anche se da indagini ecografichesi è rilevato che le prime risposte fetali ai suoni sono state registrate alla 24a e25a settimana. inoltre, è stato dimostrato che negli ultimi tre mesi di gravidanzai feti modificano la loro attività motoria e cardiaca in risposta a stimolazionidi tipo uditivo. infatti, da ciò è possibile anche affermare che il feto riconoscee memorizza gli stimoli uditivi proposti; questo sta a indicare che, dopo averpercepito lo stesso suono diverse volte e si sono notate risposte cardiache emotorie, il feto, riconoscendo il suono e non essendo più in allarme per questo,non reagisce più. Queste affermazioni portano ad un concetto fondamentale:il feto, nelle ultime settimane di gestazione, è capace di un rudimentale ap-prendimento.

sono state effettuate numerose prove, sui neonati, a proposito delle loropossibilità di riconoscere melodie, frasi musicali e persino favole lette dallamadre nelle ultime settimane di gravidanza: da ciò sono scaturiti dei risultatiche confermano sempre queste precoci capacità di discriminare, riconoscere e

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111 un’analisi delle capacità ritmiche dei bambini in età prescolare cfr. e. raiNBoW, Ricercatriennale sulle capacità ritmiche dei bambini in età prescolare, in J. taFuri (a cura di), Psico-logia genetica della musica, Bulzoni editore, roma 1991.

112 J. BoWLBy, Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, trad.it. di m. magnino, raffaello cortina editore, milano 1989.

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preferire gli stimoli conosciuti. Quindi, di fondamentale importanza è la vocematerna che viene udita distintamente dal feto e riconosciuta, ormai senzaombra di dubbio, al momento della nascita.

ecco che l’usanza delle gestanti, diffusa da sempre, di cantare ai propribambini prima e dopo la nascita si dimostra, ad ogni tempo e latitudine, praticasaggia e utile: i fattori del canto, associati al gesto del cullare, restituiscono alneonato una sensazione di sicurezza perché elementi conosciuti e riconosciuti.Non bisogna sottovalutare la somministrazione di stimoli rumorosi al feto, so-prattutto tra il sesto e il settimo mese di gravidanza, in quanto allarmanti sonoi dati che emergono dai dati effettuati su donne che durante la gravidanza hannocontinuato a lavorare in fabbriche tessili estremamente rumorose: in questocaso sono stati riscontrati a livello dell’udito del bambino deficit evidenti. Per-ciò, tutto il periodo della gestazione è comunque un momento delicato nel qualeil feto va protetto dai pericoli legati all’inquinamento acustico e da altre mi-nacce.

da numerose ricerche scientifiche si crede che, oggi, sia più che mai im-portane recuperare un rapporto di accadimento intimo e gioioso, a partire dallagestazione fino a tutto il periodo dello sviluppo del bambino, in cui possanotrovare spazio momenti di ascolto, gioco, scambio affettivo tra madre e figlio.Le varie attività offerte, per esempio, dal contesto non-verbale della musico-terapia durante la gestazione (canto, improvvisazione vocale, movimento) fa-voriscono il dialogo tra la gestante e il feto e, se continuate dopo la nascita,costituiscono un ponte tra prima e dopo di grande importanza per favorire unarmonioso sviluppo del bambino. infatti, come è noto, le capacità di ricono-scimento del neonato sono straordinarie, gli elementi ritmici, sonori che glivengono proposti a partire dal momento della nascita hanno la capacità di col-legarlo in qualche modo al conosciuto, rendendo il nuovo mondo meno ostilee misterioso. e’ nell’elemento ritmico-sonoro che si individuerebbe un fattoreportante dell’attaccamento, cioè di quel rapporto primario che si crea tra madree figlio e che sta alla base di uno sviluppo sereno ed equilibrato dell’indivi-duo111. se l’attaccamento tra madre e figlio sarà di tipo sicuro, cioè basato suascolto, disponibilità, amore e non intrusione da parte della madre, il bambinopotrà costruire la propria personalità a partire da una base sicura112. Questo si-

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113 La prevenzione primaria consiste nell’evitare dell’insorgere di un problema; rappresentala prevenzione nel senso stretto della parola. La prevenzione secondaria consiste nell’evidenziareprecocemente l’eventuale problema e attivare strategie d’intervento che ne riducano e ne evitinole complicanze. La prevenzione terziaria consiste nell’evitare l’evoluzione e la cronicizzazionedi un problema dopo che questo si è manifestato.

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gnifica che il bambino, certo dell’affetto e dell’appoggio materno, non avràpaura di esplorare il mondo circostante per fare le prime esperienze e scoperte,e con la crescita svilupperà caratteri quali sicurezza, autonomia, e indipen-denza. Quindi, il ritmo e l’elemento sonoro-musicale potrebbero aiutare lamadre, soprattutto nei primi mesi di vita, a creare con suo figlio un buon rap-porto di attaccamento attraverso la riproposta del canto prenatale, delle canzonie delle coccole sonore già sperimentate durante la gravidanza.

a questo punto, è arrivato il momento di approfondire nello specifico laprevenzione in gravidanza. Partendo dall’etimologia di questa parola, e cioèdal vocabolo latino composto da prae, che significa avanti, oltre, e venire, sicapisce il rinvio ad una dimensione temporale del “venire prima”, ovvero an-ticipare, quindi l’insorgere di un problema, sia esso fisico, psichico o sociale.Nel termine si individuano tre tipologie di prevenzione che si riallacciano adiverse modalità di intervento113. La musicoterapia in gravidanza fa parte dellaprevenzione primaria: non più un corpo da curare, ma un individuo possibil-mente sano, da educare nella conservazione del suo stato di benessere. da unpunto di vista fisiologico, quale quello della gravidanza, si sono sviluppate neltempo attente osservazioni scientifiche volte primariamente a evitare l’insor-genza di problematiche sulla salute del nascituro e della gestante e, in secondoluogo, a intervenire per evitare le complicazioni là dove tali problematiche sisono manifestate. senza dubbio, la prevenzione inizia prima del concepimento,per la coppia che decide di avere un figlio, tramite una serie di analisi.

ogni intervento attuato prima e dopo la gravidanza ha lo sguardo rivolto aldopo, al momento della nascita del bambino, al fine di creare i presupposti peruna vita sana sia per il bambino che per la madre. il contributo della musico-terapia in questo contesto permette alla donna di utilizzare il suo corpo e il suosentire nel fare musica, di sperimentarsi su un piano sia simbolico sia concretocontemporaneamente. dunque, il percorso musicoterapico, oltre ad avvicinarele esperienze attraverso la comunicazione non-verbale e a favorire la scopertadi mondi e di saperi che oggi si tende a sottovalutare, aiuta ad autocentrarsiper concorrere alla prevenzione dei disagi comunicativo-relazionali che pos-sono verificarsi. in questo cammino, il primo aspetto da considerare è ciò chela madre si procura nella musicoterapia: uno spazio espressivo in cui manife-

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stare liberamente il proprio stato d’animo e, soprattutto, dove attivare un pro-cesso creativo in cui riconoscersi e percepirsi. tramite il suono, la musica, l’og-getto sonoro presenti nella musicoterapia, si attiva la possibilità di ascolto e diauto-ascolto: attraverso l’espressività corporeo-sonoro-musicale, la madrecompie un cammino di propriocezione e di accoglienza delle sue manifesta-zioni. ciò porta la gestante a costruire spazi mentali di accoglienza del bam-bino, fondamentale è il dialogo della diade madre-bambino. infatti, nei percorsidi musicoterapia la madre impara a cantare per il proprio bambino e inizia ariconoscere le risposte motorie al suono attribuendo ad esse competenze nellacomunicazione. ecco perché la proposta del percorso musicoterapico è di fon-damentale importanza, in quanto è quella di sostenere la gestante aiutandolanella percezione di sé attraverso la percezione del corpo che cambia, nel-l’ascolto di sé, favorendo la riappropriazione delle emozioni tramite l’espe-rienza concreta del fare musica, sollecitando l’instaurarsi di una buonarelazione con il bambino.

a livello pratico, quando la mamma parla, o meglio, canta e mette in mo-vimento il diaframma, che modifica la pressione del liquido amniotico. Questomeccanismo genera nel feto, oltre che una stimolazione uditiva, contempora-neamente una tattile. Perciò, il massaggio sonoro è un evento concreto e realeche offre ai genitori la possibilità di nutrire il loro legame con il nascituro.

2. Sviluppi positivi a livello cognitivo

al momento della nascita, per il neonato iniziano i primi cambiamenti, tracui quello più importante e primo in assoluto è il mutamento da un ambienteacquatico i cui confini sono le pareti calde, confortevoli e sicure del ventre ma-terno, a un ambiente dai confini estesi, sconosciuto, sovrabbondante di stimoliaritmici e inconsueti. condizione sicuramente estranea per il neonato che,prima di nascere, sentiva solo suoni ovattati; però, recuperare i suoni acquisititramite l’esperienza musicale fatta dalla madre in gravidanza è il modo per re-cuperare il legame con la madre, permettendo quella continuità tra esperienzapre e post-natale, così indispensabile per l’avvio di una relazione armoniosatra madre e bambino. ciò è dimostrato dal fatto che gli stimoli ritmico-acusticiascoltati nel grembo materno, nel periodo post-natale il riascolto di questi ul-timi hanno il potere di rassicurare il bambino, passando da uno stato di agita-zione a quello di tranquillità. alla nascita, madre e bambino ritrovano questipercorsi di vocalità libera e non convenzionale; le ninnananne e le prime fila-

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strocche vengono dedicate al piccolo che rimane incantato e avvolto dalla voceche lo aveva contenuto e rassicurato nella vita pre-natale.

Per riprovare le stesse sensazioni della gravidanza, e quindi di consentireal neonato la sua voce, la madre appoggia il bambino sul petto, ricreando quellaparticolare condizione di contatto fisico, vocale ed emotivo. in questo modo,la madre comunica con il proprio bambino e contemporaneamente lo massag-gia grazie alle vibrazioni prodotte dalla sua voce. sin dalla gravidanza, moltemamme recuperano con gioia i brani musicali della propria infanzia, che pen-savano di aver dimenticato per sempre. il prezioso ricordo del repertorio tra-dizionale, utilizzandolo, offre la possibilità di arricchire la comunicazione tramadre e bambino dal punto di vista ritmico, sonoro e motorio, ma per il piccoloè anche un utile strumento di crescita culturale e di apprendimento. e’ propriola crescita che man mano rafforza la sua attività spontanea di produzione so-nora, vocale e motoria, consistente nell’acquisire sempre più competenze conil sostegno della madre che prima lo imita, poi inizia a proporre qualcosa dinuovo, in modo tale che il bambino vari e cambi le sue risposte.

in questi “giochi sonori” anche i genitori mostrano una maggiore disponi-bilità al gioco musicale, una capacità di relazione più profonda e paziente conil proprio bimbo, un arricchimento del proprio patrimonio ludico-musicale, ladisponibilità ad affrontare situazioni di tensione (capricci) con giocosità e se-renità. Questo processo di nutrimento sonoro costituisce un’esperienza signifi-cativa e determinante che, se viene condotta con consapevolezza ed equilibriodalla madre, può essere per il figlio una possibilità unica di crescita e di svilupposotto il profilo psichico, emotivo, psicologico-relazionale, musicale e sociale.dal punto di vista cognitivo, il vantaggio più importante è l’apprendimento.apprendere è partecipare a un continuo scambio senza una fine, giocando conl’altro, con se stesso, con il contesto. L’interazione crea legami e strutture.

L’apprendimento è caratterizzato da due fattori:– gli organi di senso, attraverso cui ogni essere vivente percepisce diffe-

renze e reagisce trasformandole in informazione;– la memoria selettiva, facendo una distinzione fra informazioni primarie e

secondarie, assimila e stabilizza le prime, lasciando che le seconde si perdano.

3. La memoria

il sapere mnemonico si distingue dal sapere concettuale perché contiene unriferimento al proprio passato, caratterizzandosi quindi come evocazione. il ri-

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cordare consiste nel riconoscere qualcosa, ossia in una ripetizione di ciò che èaccaduto in precedenza; nel ricordare si avrebbe una specie di rappresentazionedi ciò che è già stato percepito. oltre al momento della rievocazione della rap-presentazione, ne esistono altri due: la latenza e il terzo momento è quello incui avviene il riconoscimento che si tratta di una esperienza già vissuta in noi.il momento della latenza sembrerebbe capace di indicare la misura dell’inten-sità con cui una certa rappresentazione viene a far parte del nostro patrimoniomnemonico.

Nel campo musicale, in particolar modo in quello in cui è attivo il processodi musicoterapia, fin dalla gravidanza e proseguendo dalla nascita in poi, siparla di memoria affettiva, poiché nella rievocazione rappresentativa dell’espe-rienza passata vi è anche il vissuto sentimentale.

La memorizzazione della musica si divide in tre livelli di memoria: senso-motoria, sociale e soggettiva:

– la memoria senso-motoria implica lo stimolo a cui corrisponde l’azione:si tratta di un riconoscimento operativo e non legato al pensiero;

– la memoria sociale implica una organizzazione intenzionale del contenutoe una rappresentazione stabile: essa è una memoria logica;

– la memoria soggettiva si identifica con tutto ciò che si accompagna al vis-suto sentimentale, sia esso piacevole o spiacevole.

il primo approccio con la musica è di tipo imitativo; infatti, il bambino nonanalizza i caratteri specifici della musica, ma riesce solo a ripetere il brano insé.

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115 cfr. r. coLuzzi (a cura di), Musicoterapia e gravidanza, il minotauro, roma 2004, p.13.

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ii.Giocare con la musica

il ritmo e la musica, grazie al loro carattere sentimentale,sono particolarmente atti a penetrare nell’anima e a com-muoverla; allo stesso tempo, mitigano l’elemento irasci-bile presente nell’anima114.PLatoNe, La Repubblica

La parola non è il solo mezzo di comunicazione che distingue l’uomo fratutti gli abitanti del mondo animale. Ne esiste un altro: la musica.

di fondamentale importanza la parola chiave: la musica. essa coinvolge,trascina ed per questo che va vissuta sia fisicamente che emotivamente, cosìda contribuire alla crescita individuale. musica è arricchirsi l’un l’altro e scam-biarsi stati d’animo ed esperienze, crescere e star bene con gli altri, ma nellostesso tempo stimolare e conservare la propria esperienza individuale. essa èuno stimolo che tocca sensibilità ed emozioni, influendo sull’equilibrio psi-chico, e, in certi casi, agendo come condizionante anti-stress.

La musica si presenta come uno dei terreni più adeguati allo sviluppo dellapersonalità del bambino con le sue facoltà creative, con la sua sensibilità, conla sua corporeità, capacità di progettare e diventare attore del proprio appren-dimento. i bambini hanno tante cose da dire con le parole, coi disegni, maanche con i suoni. ed è proprio il suono, con le sue caratteristiche, che, unitoad altri suoni, fa nascere la musica vera e propria. La musica non viene ascol-tata solo da un certo tipo di pubblico, ma è universale; infatti, ognuno di noi,quotidianamente, è a contatto con suoni, rumori, e non manca la musica verae propria: dai clacson delle auto all’ascolto della radio nei supermercati e, comesottofondo, anche da fisioterapisti, dentisti, insomma ovunque ci si trovi, c’èsempre una fonte sonora che ci accompagna nel corso delle nostre giornate. inmodo particolare, la musica ha un effetto benefico nel bambino fin da picco-lissimo, o meglio, da quando è nel grembo materno; gli effetti positivi che com-porta l’ascolto musicale, prima nel feto e poi successivamente, si trovano alivello percettivo, affettivo, motivazionale, creativo e, più di tutti, comunica-

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116 www.bintmusic.it117 G. orFF, Musicoterapia-Orff. Un’attiva stimolazione dello sviluppo del bambino, trad.

it. di L. mauro, riv. da a. dal Bianco, cittadella, assisi 20053.

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tivo. rumori e suoni sono parte inscindibile dell’infante già dalle prime setti-mane di gestazione e, per il resto della vita, saranno fonte di emozioni, curaper l’anima e per il corpo, nutrimento per il cervello.

infatti, dalle ultime ricerche effettuate in campo scientifico, anche in gra-vidanza la musicoterapia è vista come tecnica di prevenzione: il nucleo degliinterventi effettuati prima e durante la gravidanza, in un sistema che nasce gra-zie ad un nuovo modo di concepire il concetto di salute e dello star bene. L’iti-nerario musicoterapico115 si pone completamente nella prevenzione del disagiocomunicativo e relazionale; in effetti, grazie ad un punto importante della mu-sicoterapia attiva, il corpo è il primo strumento a disposizione della donna chei percorsi di musicoterapia aiutano a percepire quale mezzo privilegiato di co-municazione con il bambino.

da quanto è stato finora evidenziato, la musica, o meglio, la musicoterapia,è stata al centro di molte ricerche indirizzate allo sviluppo positivo del livellocognitivo, che molti ricercatori hanno confermato già presenti nel nascituro,perché sviluppati durante la fase gestazionale.

Negli anni ci sono state molte scoperte che riguardano il suono e i suoi ef-fetti; infatti, qualche anno fa alcuni ricercatori si dissero convinti di aver sco-perto quello che poi è stato definito l’effetto Mozart116: subito dopo averascoltato una sonata del compositore, alcune persone sembravano in grado disvolgere meglio certi compiti cognitivi. anche se oggi la maggior parte dei ri-cercatori è abbastanza scettica sull’esistenza di una specifica funzione dellamusica di mozart, nel frattempo è diventata talmente famosa che i cd del com-positore hanno fatto la loro apparizione anche nei corsi pre-parto, sperando disviluppare l’intelligenza dei nascituri.

in qualche modo già si intravede, in questi esempi, la funzione di quellache chiamiamo musicoterapia. il termine, in sé, potrebbe confondere la personacomune, in quanto letteralmente assume un unico significato, appare come unaterapia che cura solo delle patologie particolari, e invece esiste un ulteriore uti-lizzo di tale tecnica: la prevenzione del disagio nella scuola dell’infanzia. Primadi introdurre il progetto che ho ideato per la scuola dell’infanzia, è doverosopreparare il terreno, cercando di spiegare le basi della musicoterapia. i riferi-menti sicuri in questo campo sono da attribuire ai fondatori di questa disciplina,e in particolare a carl orff e al suo strumentario117.

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ma per poter parlare di possibili proposte didattiche, c’è la necessità di fareun passo indietro nel tempo e vedere quali siano stati i passaggi che hanno por-tato alle norme attuali. Quindi si tratterà di riassumere la storia degli orienta-menti didattici e la pedagogia musicale elaborata dagli studiosi, in generepedagogisti famosi che in passato hanno inteso la musica come pratica speci-fica per l’educazione. oltre ai riferimenti storici alle esperienze passate nellascuola dell’infanzia, anche a quelle contemporanee e alle scoperte successive,si sono potuti notare anche i metodi migliori e sicuramente più adeguati perl’educazione all’ascolto, seguiti dalle esperienze già sperimentate da GiordanoBianchi e dall’invenzione musicale di monique Frapat.

in questo quadro, la mia proposta di progetto è indirizzata ai bambini di etàcompresa tra i tre e sei anni come prevenzione del disagio nella scuola dell’in-fanzia, ed ha come obiettivo quello di creare un gruppo che “giochi” con isuoni cercando di ascoltare, produrre, imitare, inventare, con tutto ciò che sipuò definire musica, sempre ricordando che in bambini così piccoli il concettoè collegato ad attività molto concrete con una connotazione però magica e fan-tastica. un linguaggio gioioso che tende a far dimenticare le difficoltà del re-lazionarsi agli altri mediante espressioni che possono utilizzare senza sforzo ein differenti modi, senza competizioni e contatti del tipo giusto-sbagliato, maaccettando tutti i possibili stili espressivi messi in atto dai bambini stessi. in-somma, il linguaggio musicale, in quanto linguaggio universale, facilita l’in-tegrazione di alunni con difficoltà d’apprendimento, alunni con disagio e alunniappartenenti a diverse culture.

uno degli obiettivi principali è quello di stimolare la naturale fantasia deibambini per attuare un processo il più possibile creativo, tenendo conto delledifficoltà di verificare quanto c’è di guidato e quanto c’è di spontaneo. il lavoroè basato su un principio elementare: il bambino apprende fin dalla nascita (inrealtà da molto prima) dall’ambiente circostante e la sua mente si struttura pianpiano in un continuo gioco di scambi principalmente con le figure per lui piùsignificative. egli sarà in grado di elaborare, mediante connessioni sempre piùcomplesse, la realtà che lo circonda, la quale diverrà la sua “realtà”, in modoche possano essere in lui stimolate fantasia e creatività. inoltre la musica, es-sendo uno dei famosi linguaggi non-verbali, stimola l’espressione e la comu-nicazione e contribuisce perciò a far sì che il bambino stia bene con se stessoe con gli altri: come ogni attività artistica, stimola l’autonomia e la creatività,ma nel frattempo si avvantaggia della cooperazione (pensiamo ai giochi mu-sicali d’insieme, al cantare in coro, all’animazione di gruppo) e incoraggia dun-que alla socializzazione e alla collaborazione. come per tutti i linguaggi, anche

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quello musicale si può sviluppare solo in presenza di un gran numero di stimoliper poter essere poi elaborato originalmente.

Questo progetto implica un percorso creativo con un altro, più strutturato eguidato, in cui il bambino apprende principalmente per imitazione; questo èanche il modo in cui impara a parlare: ascolta i genitori e tutti gli altri e pianpiano cerca di imitarli, e ciò avviene grazie all’utilizzo di canzoni adatte agliobiettivi che si vogliono raggiungere. ideato per mettere alla prova i sensi e lacapacità del bambino, l’educazione musicale è rivolta a migliorare ulterior-mente i fattori fondamentali per il pieno sviluppo del bambino. infatti, le atti-vità dei giochi sonori, le canzoncine accompagnate da esercizi di psicomotricitàe simili, affinano nel bambino la capacità di operare discriminazioni tattili;inoltre le attività di animazione, svolgendosi essenzialmente con movimentidel corpo, delle dita delle mani, delle braccia, contribuiscono alla struttura del-l’immagine e al miglioramento della coordinazione (ad esempio tra l’occhio ela mano, tra una mano e l’altra, tra mani e piedi, ecc..). i giochi, le attività sonosempre diverse, poiché i bambini si stancano di fare sempre le stesse cose evogliono cambiare gioco. Perciò, questo intreccio di attività non è solo bello edivertente per loro, ma è un modo per stare insieme e scoprire tante cose. di-venta così un modo per parlare e relazionarsi agli altri.

tale progetto è solo l’inizio di un percorso che continuerò a seguire nelcorso dei miei studi futuri, perché è un mondo che va scoperto continuamentenelle sue sfaccettature, come il bambino: va osservato attentamente, per sco-prirne lati sempre nuovi. tutto ciò è la chiave di una passione verso il mondoinfantile, che mi accompagna fin dai primi studi pedagogici e psicologici, se-guiti con un interesse particolare sempre maggiore.

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118 e. Lecourt, La musicoterapia, a cura di G. manarolo, cittadella, assisi 1992.

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iii.La musicoterapia

1. Origini e caratteri della musicoterapia

«La musicoterapia è una modalità d’approccio sensoriale che utilizza l’ele-mento sonoro con finalità terapeutiche per intervenire su di un certo numerodi disagi psicologici e di quadri psicopatologici»118.

La musicoterapia è un tipo di intervento di natura preventiva e terapeutico-riabilitativa che utilizza l’espressione musicale, finalizzandola alla stimolazionee allo sviluppo di funzioni legate all’affettività, alla motricità, al linguaggio,ecc. Non si tratta, in senso stretto, di intervento terapeutico, dal momento cheesso è di competenza medica e, ancora più precisamente, neuropsichiatrica. insede preventiva e riabilitativa, invece, la musicoterapia risulta una competenzache può essere assunta da operatori di varie discipline.

in musicoterapia, la relazione terapeutica comprende le interazioni fra ilpaziente, la musica e il terapeuta. essa, negli ultimi dieci anni, è stata oggettodi numerose discussioni, sia in Francia che in altri paesi. in effetti, questa mo-dalità d’approccio ha il vantaggio, ma anche l’inconveniente, di essere, per viadella propria terminologia più culturale che scientifica, molto evocatrice. Lacongiunzione dei due ambiti eterogenei su di un piano epistemologico, comelo sono la musica e la terapia, creano un grado di ambiguità che, se mette in ri-salto la dimensione metaforica, ostacola ancora troppo spesso l’accesso ad unaelaborazione scientifica. inoltre, si osserva la tendenza a far derivare le praticheessenzialmente dall’uno o dall’altro dei due termini:

– a partire dal polo musicale si sviluppano delle tecniche basate sull’ani-mazione e sulla pedagogia musicale;

– a partire dal polo terapeutico vengono elaborati interventi psicoterapiciche usufruiscono di un supporto musicale.

La musicoterapia agevola i processi creativi conducendo alla maturazionedel sé, sviluppando la capacità e la volontà di utilizzare le potenzialità indivi-duali per un personale benessere in campi quali l’indipendenza, la libertà dicambiamento, l’adattabilità, l’equilibrio e l’integrazione.

Le varie forme d’intervento possono essere utilizzate come coadiuvanti co-

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119 Per una panoramica sui concetti e le teorie che caratterizzano la musicoterapia, con l’au-silio di numerosi riferimenti ai principali autori che hanno fondato questa giovane disciplina,cfr. r. FrumeNto, Elementi di musicoterapia. Dalla teoria alla pratica, Bonanno, roma 2008.

120 uno studio sul carattere scientifico della musicoterapia è contenuto in a. raGLio, Musi-coterapia e scientificità. Dalla clinica alla ricerca, Franco angeli, milano 2008.

121 teoria, clinica, ricerca, educazione: sono queste le suddivisioni principali che contraddi-stinguono la “nuova musicoterapia” ed è all’analisi di tali sviluppi che è dedicato il volume r.o.BeNeNzoN, V. GaiNza, G. WaGNer, La nuova musicoterapia, il minotauro, roma 2006. si trattadi un volume che, dopo trent’anni di sviluppo della disciplina, esamina gli elementi essenzialidel processo musicoterapeutico ed evidenzia le ragioni per le quali la metodica risulta efficace.

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ordinati a trattamenti di altro genere, oppure in modo più esclusivo. Vi sonoessenzialmente due procedimenti fondamentali di approccio musicoterapico:uno recettivo e uno attivo. il primo consiste nell’ascolto di messaggi sonori,ritmici e musicali scelti nell’ambito della letteratura musicale oppure realizzatidal terapeuta. il procedimento attivo, invece, consiste nel creare la musica, uti-lizzando strumenti, parti del corpo, oggetti, ecc. inoltre, si distinguono diversesfere d’intervento musicoterapico, ognuna legata ad una particolare problema-tica: sfera relazionale, sfera motoria, sfera verbale e sfera sensoriale119.

La storia recente della musicoterapia, a cui si aggiunge il suo carattere in-terdisciplinare, rende difficile l’individuazione di criteri e caratteri epistemo-logici riconosciuti unanimemente120. ad ogni modo, le scuole musicoterapichepiù rilevanti a livello internazionale sono quella argentina (r. Benezon), quellaaustriaca (a. schmolz), quella inglese (J. alvin), quella statunitense (e. hil-mann Boxill) e quella francese (Verdeau-Pailles, Jost e Lecourt)121.

L’istituzionalizzazione degli studi di musicoterapia in italia è recente. Nel1973, infatti, si tenne a Bologna il primo seminario di musicoterapia e nel 1975venne istituita l’aismt (associazione italiana studi di musicoterapia). Nel1980 nasce, presso il centro educazione Permanente (sezione musicale dellaPro civitate christiana di assisi) il Primo corso Quadriennale di musicotera-pia.

2. Principali approcci con la musicoterapia e loro attinenza con l’infanzia

La musicoterapia comprende tutto l’insieme di idee, di pratiche, di orienta-menti nati dalla convinzione che l’esperienza con il suono abbia proprietà pre-ventive, riabilitative e curative. Fin dall’antichità si è ritenuto che la musicapotesse avere carattere terapeutico; ad esempio, presso gli antichi egizi si pen-sava che il fascino della musica potesse influenzare la fertilità femminile (se

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122 samuele 1,16-23.123 G.P. GuaraLdi, Situazione della musicoterapia in Italia, in aa.VV., La musicoterapia in

Italia: problemi e prospettive, Pro civitate christiana, assisi 1977, pp. 11-24.124 cfr. a. aNtoNietti, P. Lazzati, Musicoterapia cognitiva, schede per l’attivazione di ope-

razioni mentali di base attraverso il suono, omega, torino 1992.

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ne trovano testimonianze in papiri medici del 1500 a.c.). anche la Bibbia ri-porta un caso di guarigione con la musica, cioè la follia del re saul curata emiracolosamente guarita dal suono della cetra del giovane davide: «e così,ogni qualvolta il cattivo spirito venuto da dio investiva saul, davide prendevala cetra e si metteva a suonare; saul si calmava e stava meglio poiché lo spiritomaligno si ritirava da lui e lo lasciava in pace»122. anche presso gli antichigreci, che attribuivano alla musica un ruolo determinante nelle loro teorie me-tafisiche, la relazione con i suoni veniva utilizzata nella cura e nella preven-zione delle malattie.

ormai queste antiche intuizioni sono supportate da un cospicuo patrimoniodi studi e ricerche che hanno dato dignità scientifica al curare con la musica,affiancando alle opere pionieristiche dei primi operatori, principalmente mu-sicisti, più precise nozioni psicologiche e pedagogiche.

in italia, una delle prime definizioni di musicoterapia proposte è la seguente:«per musicoterapia si intende il ricorso ad esperienze musicali attive (in cui siproduce musica coltivando l’espressione creativa individuale o di gruppo inuna prospettiva di comunicazione socializzante) oppure passive (in cui predo-mina l’ascolto o l’assunzione di stimoli ritmico-musicali). Queste esperienzesono finalizzate al recupero, alla risocializzazione, all’integrazione sociale dipersone, siano queste adulti o bambini, affetti da handicap di diverso tipo chene limitano l’espressione relazionale e sociale»123.

in questa definizione sono presenti tre campi d’intervento:– un primo indirizzo a orientamento psicopedagogico o pedagogico, che

trova utilizzo nelle strutture educative (soprattutto scolastiche);– un secondo indirizzo di tipo clinico e psichiatrico usato in ospedali, case

di cura, centri di assistenza;– un terzo indirizzo che riguarda l’animazione in luoghi di socializzazione124.il terzo indirizzo è quello che riguarda l’argomento di questa tesi, per cui

d’ora in avanti si farà riferimento solamente ad esso e agli autori che si sonooccupati di questo ambito di attività.

La musicoterapia in campo infantile ha fatto la sua comparsa non primadegli anni sessanta con le esperienze condotte da Juliette alvin con bambiniaffetti da ritardo mentale e autismo. La alvin è la fondatrice della scuola inglese

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125 J. aLViN, La musica come terapia, trad. it. di G. Nardi, armando, roma 1968; id., Terapiamusicale, trad. it. di o. Buonomini, armando, roma 1981.

126 cfr. G. orFF, Musicoterapia-Orff. Un’attiva stimolazione allo sviluppo del bambino, cit.

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di musicoterapia e il suo metodo insiste sugli aspetti sociali dell’attività musi-coterapica, tesa così a favorire la comunicazione e l’inserimento degli svan-taggiati125.

un altro approfondimento si ha con Gertrud orff126, moglie di carl orff,compositore ed ideatore di un originale metodo di educazione musicale. Questoapproccio coniuga appunto l’educazione musicale nella prima infanzia con isuoi aspetti terapeutici. di qui in avanti si parlerà quindi anche di educazionemusicale e dei principali metodi elaborati. Questo perché, parlando di preven-zione nella prima infanzia attraverso la musica, non si può prescindere dai prin-cipali approcci educativi, dal momento che non si tratta di curare determinatepatologie ma di favorire attraverso l’esperienza musicale lo sviluppo della crea-tività, della vita sociale e del benessere generale del bambino.

3. La musicoterapia di Orff

La musicoterapia orff si è sviluppata a partire dall’opera didattica di carlorff, la cui idea era di procurare al bambino una dimensione musicale completanella quale esprimersi, prendere coscienza di sé, fare musica insieme agli altri.

sull’idea di dimensione musicale si è sviluppata anche la terapia, che usagli stessi mezzi, cioè le forme d’espressione infantile: parola, ritmo, melodia,movimento, conoscenza dello spazio. L’espressione creativa infantile, propostanell’orff-schulwerk (la metodologia didattica di carl orff), nella terapia è di-ventata “stimolo”, dal momento che al bambino minorato non è possibile unacorretta esecuzione degli esercizi ritmici, melodici e armonici proposti da carlorff.

La parola Schulwerk (azione didattica) indica la scuola che intende assu-mersi funzioni pedagogiche; con questa didattica si può iniziare dalla scuoladell’infanzia. Parlando dello Schulwerk, oltre al suo significato di laboratorio(werk), esso ha per sottotitolo musica per bambini. Lo stesso carl orff sostieneche il richiamo, la rima, la parola, il canto costituiscono il decisivo punto dipartenza. movimento, canto, suono formano un tutto unico: musica elementare,strumentario elementare, forme elementari di linguaggio e di movimento. Lamusica elementare non è mai soltanto musica, essa è legata al movimento, alla

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danza, alla parola; è una musica che si deve fare spontaneamente, nella qualesi è coinvolti come collaboratori, non come ascoltatori. essa è pre-mentale,non conosce le grandi forme, è terra-terra, naturale, fisica, può essere appresada ognuno, vissuta da ognuno, a misura di bambino.

La musicoterapia orff si è organicamente sviluppata dall’opera didattica diorff. L’idea fondamentale dell’orff-schulwerk era di procurare al bambinouna dimensione musicale completa nella quale esprimersi, prendere coscienzadi sé, fare musica insieme, agli altri.

il punto di partenza è sempre il bambino, in modo tale che si trovino metodimigliori per avvicinarsi a lui; ciò vale tanto per il singolo quanto per un gruppodi bambini. La comunicazione, in tutti i casi, non si può importare, ma si deveinstaurare spontaneamente. anche il contatto visivo, come la comunicazione,non potrà essere imposto costringendo il bambino ad un tale contatto, ma devevenire da sé. il primo sguardo vero dovrebbe partire dal bambino.

La comunicazione non basta a creare un contatto fra i bambini stessi e questiultimi con il terapeuta; infatti è il materiale offerto dal terapeuta che aiuta astabilire la comunicazione; in questo caso, il materiale, cioè lo strumentario,ha acquisito nel tempo una triplice possibilità di impiego:

– esiste la possibilità di un’attività acustica pratica;– può funzionare da intermediario tra terapeuta e bambino, distanziando

oppure unendo;– attraverso il materiale il bambino può comunicare, può avviarsi alla

socialità; anche in questo caso il materiale può avvicinare o allontanare.inoltre, utilizzando questo materiale, è possibile una triplice comunicazione

di tipo non verbale:– comunicazione tra bambino e materiale;– comunicazione tra il bambino e il terapeuta tramite il materiale;– comunicazione tra bambino e bambino.

4. L’agente specifico della musicoterapia e la sua applicazione: lo strumenta-rio

Lo strumentario, ossia il materiale strumentale che viene preso dall’orff-schulwerk, è il punto chiave della terapia. esso può essere considerato sottotre aspetti: tattile, ottico e acustico. L’unione delle tre categorie sensoriali rendepossibile un triplice effetto terapeutico: può compensare con gli altri l’assenzadi uno dei sensi.

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L’uso tattile degli strumenti: dal punto di vista tattile si possono distinguerealcune caratteristiche. esse si differenziano secondo i seguenti riferimenti:

– calore (più freddo il metallo, meno freddo il legno);– struttura della superficie (liscia nel legno e nel metallo, leggermente ru-

vida nella pelle);– durezza (più duri legno e metallo, meno la pelle); – tonalità.L’uso ottico degli strumenti: la differenza riguarda la loro rispettiva gran-

dezza, grande-media e piccola, e la loro forma, che può essere rotonda, rettan-golare, triangolare, ecc.

L’uso acustico degli strumenti: dallo specifico timbro di materiale si arrivaalla caratteristica di sonorità mediante una tecnica di fabbricazione degli stru-menti (come, ad esempio, delle corde tese sopra una cassa di risonanza dandovita ad una chitarra).

Nel momento in cui il bambino viene a contatto con lo strumentario, i suoisensi vengono sollecitati in tre diverse maniere e in esse stesse reagisce: ve-dendo, udendo, agendo.

dell’opera didattica dell’orff-schulwerk parte essenziale è il linguaggio:come elemento ritmico-sonoro. spesso però, il linguaggio manca oppure nonc’è la sua comprensione. allora, a quel punto, il terapeuta deve instaurare unclima stimolante acustico-verbale, con un appoggio significativo di natura ot-tica. Perché ciò avvenga, il bambino deve essere teso verso un avvenimento,così almeno la sua attenzione è orientata in maniera concreta.

a completare l’opera didattica, bisogna aggiungere un altro termine atti-nente: movimento. Lo stretto legame tra musica e movimento è utile a en-trambi: si condizionano come la chiave e la serratura.

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Capitolo quarto

musica e strateGie didattiche

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127 s. VaLsecchiNi, Psicologia della musica e musicoterapia, armando editore, roma 1983.

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i.La musica e i suoi effetti nel bambino

1. La musica e le sue variabili: percezione, affettività, motivazione e creatività

al termine musica sono state attribuite diverse definizioni in riferimentoalla sua origine; alcune possono apparire più affascinanti di altre, ma una cosarimane certa: è che la musica – come percezione, affettività, motivazione, crea-tività, e, soprattutto, comunicazione – accompagna da sempre l’esistenzaumana.

Principio fondamentale per introdurre quest’argomento è specificare la dif-ferenza sostanziale tra la percezione e la sensazione127. con il termine sensazionesi intende il fenomeno fisiologico di raccoglimento del segnale da parte degliorgani sensoriali periferici e della sua trasmissione al sistema nervoso. mentrepercezione è la consapevolezza soggettiva di tale sensazione. esempio tipicodel concetto di differenza tra i due termini è quello della puntura di un dito: ciòaccade quando vengo punto da un ago; i miei recettori sensoriali periferici, ca-paci di raccogliere l’informazione dolorosa, vengono stimolati e le fibre nervoseconducono tale stimolo al mio cervello: questa è la fase della sensazione. Nelmomento in cui mi rendo conto di essere stato punto, e cioè di aver provato do-lore, allora riconosco la percezione, quando non è più un fatto fisiologico, mapsicologico. allo stesso modo, la stimolazione del mio apparato uditivo con uncomplesso di onde sonore diventa nel mio cervello un fatto percettivo quandoio raccolgo questi dati e do loro un significato che si distingue per me.

Non è solo percezione, l’ascolto è anche affettività che nasce dall’intera-zione tra soggetto e ambiente; le sue caratteristiche si possono riassumere neiconcetti di allontanamento dell’oggetto da sé, di avvicinamento all’oggetto, diinvito a venire a sé e di invito ad allontanarsi da sé. il termine affettività si ri-ferisce a qualcosa di primitivo, alla molla che provoca le reazioni organiche eil vissuto oggettivo o soggettivo di dispiacere; questo concetto è quello che co-munemente chiamiamo sentimento. infatti, esso è una specie di reazione affet-tiva, cioè di risposta ad uno stimolo, ma integrata da un elemento intellettivo.si potrebbe dire che il sentimento sta alla percezione come l’affettività sta allasensazione.

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128 ivi, p. 14.

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i sentimenti più provocati di sensazioni sono delle percezioni soggettive digradevolezza o di sgradevolezza, capaci di rievocare, attraverso rappresenta-zioni di fatti o di luoghi, anche stati psicologici precedentemente vissuti. Quindii sentimenti sarebbero una specie di stato passivo, vissuto con immediatezzain modo piacevole o spiacevole, ma sempre consapevole, sempre non neces-sariamente giustificato con la ragione.

alcuni sentimenti si collocano tra la persona che li prova e il suo mondoesterno. ascoltare un brano musicale significa tener presente che esso si vasvolgendo oggettivamente nello spazio, ma che lascia anche una impressionesul mio orecchio.

ascoltare significa anche aver trovato un motivo in più per ascoltare; in ef-fetti, si ascolta perché si è motivati ad ascoltare un determinato brano piuttostoche un altro. infatti, la parola motivazione128 rappresenta una serie di forze piùo meno complesse e consapevoli che spingono l’uomo verso un determinatocomportamento o anche più semplicemente verso il desiderio di esso. sicura-mente, l’istinto e l’impulso hanno importanza nella motivazione.

importante, in questo caso, è la motivazione sociale della musica. con iltermine sociale si intende: oggettivo, esterno, capace di generare percezioninell’ascoltatore. L’influenza nella società della motivazione musicale è evi-dente quando ci si riferisce alla musica di consumo. La musica è organizzatadai centri discografici che condizionano certi modelli produttivi, generano uncircolo vizioso nel quale autori ed ascoltatori diminuiscono sempre più la pro-pria libertà di scelta. ma non sempre è così, poiché ritengo che non sia così fa-cile obbligare la gente a gradire ciò che è inaccettabile. La creazione musicalegenera, produce un’espressione sonora che diventa adeguata solo se il suo au-tore vi riconosce un significato e può farlo riconoscere agli altri. Quindi, sitratta di capire una organizzazione strutturale musicale valida in se stessa e ri-conosciuta tale dal compositore e dall’ascoltatore. L’organizzazione delle fun-zioni di conoscenza del compositore nascerebbe già fin dall’infanzia attraversouna particolare modalità di percezione sensoriale che mette in rapporto gli og-getti del mondo con il soggetto che ascolta.

il processo creativo si basa sulla capacità di cogliere quella somiglianza chel’uomo comune non avverte e che sono presenti in molte esperienze; infatti,dal punto di vista dinamico, la creazione musicale è un incontro spesso fortuitotra le strutture affettive e le strutture logiche intellettuali.

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129 G. Greco, r. PoNziaNo, Musica è comunicazione. L’esperienza della musica e della co-municazione, Franco angeli, milano 2007.

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2. Musica è comunicazione

La musica è un’arte, praticata universalmente, che si basa sulla combina-zione di suoni la cui forma cambia col variare delle epoche e delle culture, mail cui senso rimane quello di mettere la persona in relazione con il propriomondo interiore e l’ambiente circostante. da ciò la musica si configura comeun comportamento umano universale, osservabile in molteplici attività che va-riano col mutare delle tradizioni di ogni cultura. Più che negli usi, le ragionidell’esistenza della musica risiedono nelle funzioni che essa assolve, le qualipossono essere rintracciate solo all’interno dello specifico ambiente culturaleche le dà forma, in quanto è da questo che inizia il processo di concettualizza-zione di essa, la quale risponde a determinate esigenze che sono differenti perogni società. a tal proposito merriam, nel tentativo di analizzare ciò che lamusica provoca nella società umana129, le attribuisce le seguenti funzioni uni-versali:

funzione comunicativa: la musica comunica qualcosaespressione delle emozioni: la musica è un mezzo di espressione delle emo-

zioni individuali o collettive alle quali è vincolata, e delle quali è veicolo inrelazione a fenomeni sia specifici che generali;

funzione d’intrattenimento: la musica svolge in tutte le società una funzioned’intrattenimento, che è puro e tipico della musica occidentale;

funzione della rappresentazione simbolica: la funzione simbolica rappre-senta qualcosa (idee, sentimenti, comportamenti, ecc.);

contributo alla integrazione sociale: essa soddisfa il bisogno di parteciparea qualcosa che è a tutti familiare, in modo tale da dare la certezza di apparteneread un gruppo che condivide valori, modi di vita e forme artistiche. dunque,essa tende a rinnovare costantemente la solidarietà, a ridurre le disuguaglianzesociali e ad unificare la società.

Queste funzioni sintetizzano il nucleo centrale della caratteristica più im-portante della musica: la comunicazione.

Qualunque siano gli strumenti che utilizziamo per comunicare, essa avvienein un processo nel quale siamo profondamente implicati, in quanto esseri vi-venti che attraverso il linguaggio viviamo gli uni con gli altri e con l’ambienteche ci circonda. il termine comunicare proviene dal verbo latino comunico erimanda all’idea di costruzione di comunità. infatti, entrambe le parole hanno

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130 Nel termine “comunicazione” la radice munus è portatrice, al tempo stesso, dei valoriutilitaristici dell’incontro o dello scambio tra individui e del valore comunitario della condivi-sione (cfr. m. Giacomarra, Al di qua dei media. Introduzione agli studi di comunicazione e in-terazione sociale, meltemi, roma 2000, p. 13).

131 a. PiromaLLo GamBardeLLa, Le sfide della comunicazione, Laterza, roma-Bari 2001,p. ix (corsivo mio).

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la comune radice munus130, communus/ne, riporta i termini nella stessa area se-mantica: comunicazione è far comunità e quest’ultima è mettere in comune.

Quindi, oggi come ieri, comunicare implica sempre la costruzione di legamiche si fondano su affetti, interessi, solidarietà e linguaggi comuni.

«comunicare è la grande sfida nella quale siamo tutti implicati anche sespesso in maniera inconsapevole: è l’esplorazione dei cammini del senso, è ilgioco inevitabile e rischioso di entrare in contatto con l’altro, di comprenderloe di essere da lui compreso, è il comportamento di quell’avventura di essere,che bisogna continuamente oltrepassare nella gratuità del fuor-di sé-per-l’altro.comunicare è uscire dal proprio magico cerchio e stabilire con gli uomini rap-porti brevi o lunghi, intensi o effimeri ma il cui esito non è mai pre-definito;perciò la comunicazione è la grande avventura dell’esistere: rischiosa, infinita,dal ritorno incerto. oggi comunicare costituisce un’avventura ancora più com-plessa e affascinante perché le nostre possibilità di interagire con gli altri sisono enormemente dilatate nello spazio e nel tempo, grazie soprattutto al-l’esplosione tecnologica che sta trasformando rapidamente il nostro habitat enoi con esso. ma la comunicazione è stata sempre trasformazione dei terminidel gioco – dall’io-tu del rapporto duale ai dispositivi più complessi che deter-minano i nostri immaginari e i nostri comportamenti – per cui una riflessionesu di essa non può essere disgiunta dalle modalità con cui si sviluppano la no-stra comprensione dell’ambiente naturale e sociale»131. ciò che persiste al dilà delle trasformazioni continue nel tempo e nello spazio è il senso delle mo-tivazioni che hanno dato vita al dialogo e alla narrazione. esse sono le primeforme che l’essere umano ha costruito per rapportarsi ai propri simili e almondo: «si dialoga per organizzare insieme agli altri il proprio habitat; si rac-conta per conferire senso a eventi, situazioni, persone. La comunicazione sot-tende sempre un dialogo, e dunque la presenza di un altro, compreso l’altroche è dentro di noi, è la possibilità di una risposta. se la dimensione dialogicaci ha consentito all’inizio di sopravvivere, quella narrativa ci è servita e tutt’oraserve per vivere, poiché è la nostra conoscenza fondamentale della conoscenza:la narrazione è stata la prima forma di comunicazione che ha dato la possibilitàall’uomo di chiedere e sapere tutto ciò che riguarda la propria esistenza nelmondo.

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ii.Musica e didattica

1. Richiami storici e didattici

Percorrendo a ritroso la storia dell’istituzione scolastica infantile in italia,non si trova eccessivo affollamento nel settore dell’attività e della disciplinamusicale. Le ragioni sono senza dubbio di ordine sociale e culturale, prima an-cora che educative e pedagogiche.

tuttavia, è stato significativo che la prima ad affrontare modernamente ilproblema sistemandolo negli ambiti graduali di un metodo sia stata rosaagazzi, che percorse molte esperienze, diffuse soprattutto all’estero e rimbal-zate in italia dopo lunghe decantazioni, quando esse erano già in tutto o in partesuperate. in effetti, è significativo che l’attenzione al problema sia nata da unquotidiano lavoro di esperienza didattica, nel diretto incontro con i bambini,da parte di un’educatrice che avvertiva con estrema sensibilità l’importanzadella componente musicale nella vita dell’uomo, così da tentare un discretoaccostamento al mondo della musica con adeguate e accorte provocazioni, congraduali espansioni delle pur semplici difficoltà, con chiarezza estrema di lin-guaggio, infine, affinché il messaggio didattico riuscisse immediato e di attua-zione possibile.

insieme a rosa agazzi, anche Ferrante aporti e maria montessori hannomostrato interesse nello studio di un approccio, nuovo a quei tempi, validonell’educazione del bambino, per promuovere il suo sviluppo in modo armo-nioso e gioioso.

2. Ferrante Aporti e il canto religioso

Quando l’aporti istituì i suoi asili infantili, si preoccupò di considerarel’elemento musicale individuandone l’importanza formativa nel canto, in par-ticolare in quello religioso. La prima considerazione che si presenta immediatapuò essere proprio l’attenzione che viene rivolta alla musica come fattore diineludibile formazione, proposta non soltanto ad alcuni dotati bensì a tutti ifanciulli; mentre una seconda considerazione avanza ragioni più propriamenteculturali, poiché sembra evidente che l’aporti non disdegnò di valutare in

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132 F. FraBBoNi, La scuola dell’infanzia, La Nuova italia, Firenze, 1974, p. 19.133 a. aGazzi, Il canto ossia l’educazione musicale, in L’educazione musicale nella scuola

materna.

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modo opportuno la funzione che il canto aveva nella cultura e nel comporta-mento popolare.

studio e applicazione corretta dei salmi e dei canti religiosi diventano ele-vazione e spinta all’acquisizione, all’intuizione, spesso alla comprensione dialti valori ideali e umani; questo modello educativo, grazie ad una opportunadiffusione, viene perseguita negli asili aportiani dove la musica diventa com-ponente di un progetto di asilo scolastico-assistenziale, come lo definisce Frab-boni132, in cui il rilievo sociale e pedagogico è assai più definito di quellodell’asilo meramente custodialistico. siamo ancora nell’ ottocento, e già si in-dividuano approcci di un rinnovamento non solo della didattica e del metodo,ma della struttura stessa dell’asilo, dove anche la musica subirà un processo diadeguamento, di una espansione considerevole che porterà ad un approfondi-mento di contenuti e finalità, e se ne individueranno i collegamenti assai stretticon altre attività espressive e cognitive e se ne valuteranno gli apporti forma-tivi.

3. Rosa Agazzi e il canto educativo

L’insegnamento della musica di rosa agazzi ha assunto, in coerenza contutte le attività proposte nella scuola materna da lei sperimentata, un valore edun segno di importante novità, tanto più meritorio in quanto a quel tempo eranoassolutamente inesistenti le ricerche sulla musica intesa in senso educativo.

rosa agazzi sviluppò la sua metodologia soprattutto sul canto educativo.L’agazzi basa il suo metodo di educazione musicale sostanzialmente sul canto,valorizzandolo come elevazione e come bisogno espressivo dell’uomo. rosaagazzi non parte dalla disciplina, ma dal bambino, e su di esso modella le pro-poste, formula le ipotesi, struttura gli esercizi. inoltre, vengono offerti consiglipuntuali e precisi sull’uso e la funzione del canto che è in funzione dell’edu-cazione e della crescita della persona133. una finalità che non toglie nulla allagioiosa e spontanea partecipazione del bambino, poiché ogni momento ed ogniaspetto del progetto didattico sono visti sempre nell’ambito di serene dimen-sioni ludiche, in cui l’apparente facilità ed improvvisazione del gioco si legaad un’invisibile ma presente e puntuale trama metodologica, che sviluppa se-

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134 r. aGazzi, L’Abbiccì del canto educativo, prefazione alla seconda edizione, La scuola,Brescia 1936.

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quenze integrate sapientemente in ogni momento della giornata didattica, benfunzionali e ben costruite con gradualità e prudente espansione.

il primo richiamo ad una modernità del metodo agazziano, ed anche unacontemporaneità con la ricerca e la sperimentazione pedagogica attuale, lo sipuò individuare dalle stesse parole dell’educatrice, che scrive nella prefazionealla seconda edizione del suo libro: «il canto, nella scuola materna, non è,come qualcuno suppone, una materia a sé, isolata dalle giornaliere occupazioni,una materia che nell’orario ha la sua funzione di tempo fissata e controllata,da effettuarsi in quel dato ambiente, con quelle date formalità, eppoi messa daparte fino al giorno successivo o da stabilirsi; tanto meno può diventare la stuc-chevole ripetizione di un esercizio sfociante, a tempo indeterminato, in unacantilena… si sappia invece che, nella odierna scuola materna, il canto puòsbocciare dalla favola come dal gioco, da un’espressione che disponga l’animaal ricordo di una nota frase cantata, come dal desiderio dei bimbi di riudiredall’educatrice un motivo che piace»134.

Per attuare un programma educativo appropriato al canto, occorre una in-troduzione graduale ad esso, che presuppone le modalità, i tempi di apprendi-mento individuati dall’agazzi in una serie propositiva di giochi respiratori,ritmici, di intonazione, di graduale accostamento ad intrecci sonori in cui ledifficoltà si succedano in espansione.

a questo punto, ci sono alcuni aspetti che devono essere messi in risalto: ilrispetto per l’età del bambino, il richiamo alla cultura dell’ambiente ed alla ri-valutazione del canto infantile come genuina espressione musicale del bambinostesso; infine, il rapportare situazioni propriamente musicali, quali il ritmo,l’attenzione e l’ascolto, l’educazione dell’orecchio, la percezione e la memoriauditiva, ecc. a reali comportamenti infantili, finalizzando tutti questi aspettialla crescita e alla formazione del bambino, e correlandoli nel tempo stessoalle sue capacità e possibilità psicologiche.

Per quanto riguarda il primo aspetto, e cioè l’attenzione premurosa all’etàdel bambino, scriveva rosa agazzi: «il bimbo può cantare quando gli piace,ma noi dobbiamo avere il senno di saper giudicare se e come i suoi mezzi vo-cali siano in grado di sottoporsi all’apprendimento dei suoni. a tre anni la vocedel bambino è di poco dissimile a quella del neonato. che cosa volete che canticon tre o quattro note informi che porta nella trachea? e’ ridicolo vedere come

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135 ivi, pp. 29-30.136 sull’opera educativa delle sorelle agazzi si può leggere il fondamentale lavoro di a.

aGazzi, Il metodo delle sorelle Agazzi, La scuola, Brescia 1978.

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in molti asili si insegnino a molti piccini dei canti estesi all’ottava, infioratispesso di intervalli enormi»135. si intende far riferimento a canzonette futili,sciocche nelle parole e sgraziate nella musica. a tre anni è invece possibile uti-lizzare la voce, ma con esercizi e giochi opportuni.

Per quanto riguarda la cultura dell’ambiente e l’uso di ninnananne, cantilenee filastrocche, appare innovativa l’idea dell’educatrice di compiano di partiredalle semplici e quotidiane esperienze canore del bambino (anche se essa in-siste su quelle che hanno un senso logico, trascurando il fondamentale apportodel fantastico, che nel bambino assume invece valore di originalità proprio per-ché irrazionale, o meglio costruito su parametri di una logica che esce daglischemi di quella adulta, e che ha una sua dimensione ed un suo ambito) recu-perandole dalla realtà circostante, raccogliendole all’esperienza popolare, o ri-prendendone comunque l’autentica struttura per idearne altre sugli stessiparametri e scansioni melodiche e ritmiche.

Quanto agli specifici contenuti, quali il ritmo, l’impostazione e l’educazionedella voce, la scelta di repertori di far cantare ai bambini, e così via si puòinfine notare che i suggerimenti dell’agazzi, ripresi dai manuali dell’epoca,rispondono spesso a progetti che in seguito vennero poi organizzati in modopiù avanzato ed organico.

tuttavia, in un periodo in cui il solo momento musicale possibile per tuttiera il canto, l’averlo proposto secondo un ordine sistematico seguendo regolee modalità dell’apprendimento ritmo-musicale è già merito non secondario,che va rilevato e giustamente apprezzato. inoltre, discutendo anche sul canto,emergono indicazioni che suppongono l’approccio ad esercizi e giochi ritmici,al movimento ed all’animazione, al gioco musicale, al girotondo, alla sceneg-giatura dei canti stessi e così via. mentre rosa agazzi insisteva quasi esclusi-vamente sul canto, oggi si compie l’operazione inversa, trascurandolo spessoper favorire altre attività che, se pur interessanti e valide per lo sviluppo dellamusicalità del bambino, non sono complete mancando di quell’apporto sug-gestivo e vivace che può essere appunto il cantare in coro, momento di parte-cipazione e di espansione personale136.

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4. Maria Montessori e la percezione sonora come base dell’intelligenza musi-cale

un breve accenno all’educazione musicale, la montessori lo fa nel libro Lascoperta del bambino137. Non si tratta, però, di uno scarso apprezzamento dellamusica nell’educazione, ma al fatto che la musica nei bambini di tenera età sipuò soltanto iniziare ed ha il suo svolgimento solo un poco più tardi138.

La montessori, sulla base di questa convinzione insiste soprattutto nello svi-luppare un senso e una intelligenza verso l’evento musicale in coerenza con tuttala sua proposta metodologica che si basa appunto sullo sviluppo e sulla matura-zione di un’accurata educazione sensoriale, elemento fondamentale e prioritarioper sviluppare nel bambino la conoscenza e la capacità di comprendere i diversifenomeni della cultura e della vita sociale mediante accorti ragionamenti. in par-ticolare, l’attenzione si incentra sull’educazione dell’orecchio, che ella proponesuggerendo l’utilizzo di espedienti interessanti come l’individuazione dei rumoriad intensità varianti in sfumature e gamme diverse, il riconoscimento di fontisonore nascoste, il rinvenimento di materiale acustico sapientemente nascostoe mosso poi a comando per attivare l’attenzione del bambino.

5. Dagli orientamenti educativi per la scuola materna. Orientamenti dell’atti-vità educativa nelle scuole materne statali, emanati con D.P.R. 10 settembre1969, n. 647 (art. 2 della legge 18 marzo 1968, n. 444)

L’educazione musicale va dalla ritmica, dalla danza all’ascolto, all’esecu-zione e all’invenzione di musiche e canti, ed offre al bambino occasione dievocare sentimenti di significato personale e collettivo, sviluppando il suosenso dell’armonia e dell’ordine.

i canti per i bambini devono essere semplici e brevi. Nel momento in cui sivuole insegnare un canto, l’educatrice, accompagnata possibilmente da unostrumento, è opportuno che faccia percepire al bambino la struttura del cantoed entri nel suo spirito; il suo ruolo è quello di cantare con i bambini fino aquando essi non abbiano bene assimilato melodia e parola, e raggiunta unacerta sicurezza nell’esecuzione. il canto oltre ad avere un senso ed un signifi-cato, deve nascere da una esigenza affettiva dei bambini, e può assumere quindiforme collettive di gruppo e individuali. se si avvertono segni di stanchezza ose i bambini mostrano interesse per altre attività, il canto collettivo va sospeso.Nessun bambino deve essere tenuto in disparte nella esecuzione dei canti,anche se ritenuto stonato.

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La musica può assumere altri ruoli, come quello di essere adoperata comesottofondo durante altre attività scolastiche, ad esempio quando i bambini sonointenti ad occupazioni tranquille, può creare un’atmosfera di intimità e di di-stensione.

Figura centrale nell’educazione musicale è l’educatrice, la quale deve pos-sedere una particolare sensibilità ed una specifica capacità didattica, oltre aduna preparazione culturale e tecnica e alla conoscenza di un copioso repertoriodi testi musicali adatti all’infanzia.

6. Nuovi orientamenti programmatici della Scuola dell’infanzia (luglio 1990)

«Le attività sonore e musicali mirano a sviluppare la sensibilità musicale,a favorire la fruizione della produzione presente nell’ambiente, a stimolare esostenere l’esercizio personale diretto, avviando anche alla musica d’in-sieme»139.

il bambino vive in un mondo caratterizzato dalla compresenza di stimolisonori diversi, il cui eccessivo e disorganico sovrapporsi può comportare il ri-schio sia di una diminuzione dell’attenzione e dell’interesse per il mondo deisuoni sia un atteggiamento di ricezione soltanto passiva. La scuola dell’infan-zia può quindi svolgere un essenziale funzione di riequilibrazione, di attiva-zione e di sensibilizzazione, offrendo ai bambini proposte che consentano lorodi conoscere la realtà sonora, d’orientarvisi, di esprimersi con i suoni e di sta-bilire per il loro tramite relazioni con gli altri.

L’intervento didattico si concretizza nelle attività di esplorazione, di pro-duzione e di ascolto.

«L’elaborazione degli itinerari di lavoro può tener conto di alcune tracceorientative particolari: scoperta e conoscenza della propria immagine sonora;ricognizione esplorativa dell’ambiente sonoro; uso dei suoni delle voci e diquelle che si possono produrre con il corpo; uso di oggetti e strumenti tradi-zionali ed elettronici; uso di strumenti di registrazione ed amplificazione; uti-lizzazione di strumenti musicali adatti ai bambini (ad esempio strumentariodidattico); apprendimento di canti adatti all’estensione vocale dei bambini; in-venzioni di semplici melodie; sonorizzazione di fiabe o racconti; attività rit-mico-motorie; forme elementari e ludiche di rappresentazione dei suoni; giochiper la scoperta e l’uso di regole musicali»140.

Nel nuovo testo programmatico degli orientamenti del 1990, l’educazionemusicale si evolve in un più complesso e variegato ambito di esperienze cen-

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trate sul fenomeno acustico. tali esperienze, che il bambino dovrebbe gradual-mente acquisire mediante realizzazioni ludiche, assumono la denominazionedi attività sonore e musicali. rispetto ai precedenti orientamenti, si può notareche il paragrafo assegnato alla musica espone l’ampliamento dell’ambito delleopportunità di solito credute possibili con la musica. si sollecita al gioco crea-tivo, favorendo l’invenzione di piccole melodie, e si suggerisce anche di pro-muovere – naturalmente in forma ludica – tentativi di riproduzione del suono,mediante scritture informali e modalità di simbolizzazione; inoltre si alludealle molte e diverse possibilità di esperienze sonore, realizzate manipolandosuoni e scoprendoli via via mediante esplorazione e ricerca in sé e nell’am-biente.

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Per elaborare “giochi sonori”, o comunque attività che si caratterizzano perl’utilizzo della musica e delle sue proprietà, è stato necessario partire dallafonte: il suono.

Perciò, il lavoro inizia con l’argomentare l’aspetto fisico del suono, per poiintrodurre il suo utilizzo nella storia della musica. il singolo suono provocasemplici sensazioni all’individuo che lo ascolta, ma se esso viene unito ad altrisuoni, allora si ascolta la musica vera e propria.

Fare musica non vuol dire solo suonare uno strumento o cantare una can-zone, ma può dare di più: percezione, affettività, motivazione, creatività e, so-prattutto, comunicazione. sono questi gli aspetti che ho voluto sottolinearecome fattori fondamentali per l’approccio relazionale e comunicativo tra edu-catore e bambino, che in questo percorso di approfondimento, ma soprattutto,nel progetto finale, ho voluto che fossero sempre tenuti presenti.

infatti, si inizia a comunicare fin da quando si è nel grembo materno. il fetoè capace di percepire i rumori interni (della pancia e degli altri organi) edesterni (come la voce della madre e gli altri suoni-rumori che la circondano).di solito, la comunicazione tra madre e feto è un fatto naturale, ma è da quiche comincia il dialogo sonoro (un dialogo fatto di suoni), grazie alla musicae in particolar modo alla musicoterapia.

La musicoterapia è una nuova modalità di utilizzo della musica e non parlosolo di coccole sonore (carezze sulla pancia armonizzate dalle ninnananne),ma è importante anche come prevenzione. infatti, la musicoterapia ha degli ef-fetti positivi a livello cognitivo, nel momento in cui un bambino nasce e quindi,dal mondo ovattato delle pareti calde del grembo materno ad un ambiente daiconfini estesi, dovrà recuperare i suoni acquisiti durante l’esperienza musicalefatta dalla madre in gravidanza. Perciò, sia la madre che il bambino, per recu-perare le emozioni vissute nella gravidanza, lei appoggerà il bambino sul pettoricreando quella particolare condizione di contatto fisico, vocale ed emotivo,che il bambino riproverà e quindi “ricorderà”.

Grazie a questa interazione, e ad altri fattori implicati, come le ninnanannee le filastrocche, il bambino comincerà a riconoscere qualcosa, ossia una ripe-tizione che è già accaduta in precedenza, ecco che si inizia a parlare di memo-ria.

dalla nascita alla scuola dell’infanzia, il bambino inizia a svilupparsi siafisicamente che cognitivamente; in effetti, grazie anche all’uso della musico-terapia, che comprende tutto l’insieme di idee e orientamenti nati dalla con-vinzione che l’esperienza con il suono abbia proprietà preventive, riabilitativee curative, si possono utilizzare metodi adeguati per esprimersi con la musica.

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dalla ricerca sono emersi diversi modi di fare musica; questi possono essereraggruppati in tre aree: la prima basata sulla didattica (Ferrante aporti, rosaagazzi e maria montessori), la seconda pedagogica (dalcroze, Kodaly, orff,Willems), e la terza e ultima relativa all’invenzione musicale (Giordano Bian-chi e monique Frapat).

obiettivo finale di questo lavoro è il progetto che ho “inventato” ed elabo-rato per bambini della scuola dell’infanzia. Formare un gruppo di bambini, nonper forza di età uguali, ma anche di fasce di età diverse, in modo tale che leesperienze che ognuno di loro ha avuto possano essere rappresentate agli altrie quindi i più piccoli ascoltino quelle dei più grandi, non solo l’esperienza insé, ma il codice più elaborato del loro, le emozioni diverse e nuove dalle loro,e tutto ciò che di nuovo possono scoprire e acquisire. e’ il confronto che è im-portante in questa fase; anche i “grandi” possono ascoltare e imparare qualcosadai più piccoli.

il percorso formativo proposto permette di far sviluppare attività mirate chesviluppino la sensibilità della persona, favoriscano la fruizione dei messaggiprovenienti dall’ambiente circostante, contribuiscano, stimolino e sostenganol’esercizio all’ascolto. inoltre, questo tipo di compito non è solo utile al recu-pero del disagio, ma è di supporto, anche, al processo educativo attuato dagliinsegnanti. Favorire, attraverso l’attività musicale, il pieno sviluppo delle po-tenzialità, incrementa la capacità di socializzazione e cooperazione attiva, va-lorizza “la diversità” per un reciproco arricchimento.

si può partire da un “gioco con i suoni” che consiste in varie forme di atti-vità di giochi sonori che si possono mescolare insieme ad ogni incontro o le-zione. Questo perché i bambini si stancano in fretta di fare la stessa cosa evogliono cambiare gioco.

e’ un cammino fatto di scambi reciproci! Questo riassume la finalità delprogetto, come si può notare anche nell’esempio riportato nei capitoli prece-denti, che rappresenta un modo (la musica) per guardare e osservare (i disegni),sentire e ascoltare (le emozioni) e condividere (comunicare agli altri) i senti-menti e gli stati d’animo che sono emersi. ogni bambino che parla e si esprimeall’interno di un gruppo di coetanei ha diritto di essere ascoltato e accolto datutti, con la massima attenzione.

si è parlato di ascolto empatico, cioè di quella forma di ascolto che coin-volge il bambino non solo a livello intellettuale, ma anche fisico, corporeo,emozionale e spirituale. ascoltare significa entrare nel mondo dell’altro, met-tersi nei suoi panni, condividere le sue emozioni.

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