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1 LA MODALITÀ ISOINERZIALE COME METODICA D’INDAGINE NELL’AMBITO DELLA FUNZIONALITA’ BIOMECCANICA MUSCOLARE Bisciotti Gian Nicola Ph.D Dipartimento “Entraînement et Performance “ Facoltà di Scienze dello Sport, Università di Lione (F) Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie di Torino (I) Consulente Scientifico Internazionale Football Club COME VALUTARE LA FUNZIONALITA’ DI UN ARTO? Valutare lo stato funzionale di un arto significa, soprattutto nel caso di uno sportivo, stimare le sue possibilità di espressione di movimento durante un naturale pattern di attivazione neuromuscolare. In questa definizione, il termine effettivamente importante è “naturale”, nel senso che la valutazione effettuata normalmente, e d’altro canto giustamente, in condizioni standardizzate e quindi abbastanza lontane da quello che è il comportamento neuro muscolare richiesto nella situazione tecnico-sportiva specifica, deve comunque poter fornire dei dati tali da offrire l’opportunità di estrapolare con la massima affidabilità possibile il comportamento neuromuscolare dell’arto testato, in condizioni per così dire “asettiche”, quando quest’ultimo sia calato nel movimento tecnico specifico. Per questo motivo nella concettualizzazione di questa nuova batteria di test mi sono in un primo momento essenzialmente concentrato su di un’analisi critica della metodologia di valutazione isocinetica e sulla sua affidabilità nel poter fornire risposte idonee in questo senso. Solamente dopo questo tipo di riflessione mi sono posto il problema di come creare una batteria di test isotonici che potessero costituire una valida alternativa alla metodica d’indagine isocinetica che, come ho cercato di sintetizzare nelle poche note che seguono, in effetti mostra dei grossi limiti concettuali ed interpretativi per ciò che riguarda l’indagine del comportamento neuromuscolare in una situazione di attivazione naturale.

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LA MODALITÀ ISOINERZIALE COME METODICA D’INDAGINE NELL’AMBITO DELLA FUNZIONALITA’ BIOMECCANICA MUSCOLARE Bisciotti Gian Nicola Ph.D Dipartimento “Entraînement et Performance “ Facoltà di Scienze dello Sport, Università di Lione (F) Scuola Universitaria Interfacoltà in Scienze Motorie di Torino (I) Consulente Scientifico Internazionale Football Club

COME VALUTARE LA FUNZIONALITA’ DI UN ARTO?

Valutare lo stato funzionale di un arto significa, soprattutto nel caso di uno sportivo, stimare le sue

possibilità di espressione di movimento durante un naturale pattern di attivazione neuromuscolare.

In questa definizione, il termine effettivamente importante è “naturale”, nel senso che la valutazione

effettuata normalmente, e d’altro canto giustamente, in condizioni standardizzate e quindi

abbastanza lontane da quello che è il comportamento neuro muscolare richiesto nella situazione

tecnico-sportiva specifica, deve comunque poter fornire dei dati tali da offrire l’opportunità di

estrapolare con la massima affidabilità possibile il comportamento neuromuscolare dell’arto

testato, in condizioni per così dire “asettiche”, quando quest’ultimo sia calato nel movimento

tecnico specifico. Per questo motivo nella concettualizzazione di questa nuova batteria di test mi

sono in un primo momento essenzialmente concentrato su di un’analisi critica della metodologia di

valutazione isocinetica e sulla sua affidabilità nel poter fornire risposte idonee in questo senso.

Solamente dopo questo tipo di riflessione mi sono posto il problema di come creare una batteria di

test isotonici che potessero costituire una valida alternativa alla metodica d’indagine isocinetica che,

come ho cercato di sintetizzare nelle poche note che seguono, in effetti mostra dei grossi limiti

concettuali ed interpretativi per ciò che riguarda l’indagine del comportamento neuromuscolare in

una situazione di attivazione naturale.

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VALUTAZIONE ISOCINETICA OD ISOTONICA?

Un importante progresso nell’ambito dell’esplorazione funzionale dell’attività muscolare è stato

l’introduzione dei dinamometri isocinetici, che hanno reso possibile la registrazione dell’attività

muscolare, in condizioni di velocità di movimento costante, nel corso di un movimento dinamico

(Perrine, 1968 ; Hislop et Perrine, 1967). Questo tipo di indagine biomeccanica, può fornire delle

importanti informazioni sul comportamento dinamico del muscolo, tuttavia la contrazione

muscolare riscontrabile nel corso di un movimento naturale presenta delle importanti differenze

rispetto ad una contrazione di tipo isocinetico.

La prima sostanziale differenza è costituita dal fatto che, nel corso di un movimento isocinetico, il

muscolo contraendosi a velocità costante, non può generare accelerazione, che al contrario,

costituisce una delle caratteristiche principali del movimento naturale.

Secondariamente, occorre sottolineare come la maggior parte dei movimenti umani, sia

caratterizzata da un’attivazione muscolare che comporta una fase di contrazione muscolare di tipo

eccentrico, immediatamente seguita da una fase concentrica (Goubel, 1987; Komi, 1987).

Questo particolare tipo di attivazione, viene comunemente definito come ciclo stiramento

accorciamento (SSC) (Norman e Komi, 1979; Komi, 1984), il risultato ottenuto da una fase di pre-

stiramento, immediatamente seguita da una contrazione concentrica, è un accumulo di energia

elastica potenziale che viene restituita sotto forma di lavoro meccanico, durante la fase concentrica

stessa (Goubel, 1987). Nell’esercizio isocinetico non è possibile accumulare energia elastica

durante la fase eccentrica del movimento proprio perché la resistenza offerta dall’apparecchiatura è

proporzionale alla forza espressa dal soggetto, per questo motivo nel momento in cui, alla fine della

fase eccentrica, l’atleta cessa di spingere contro la resistenza offerta dalla macchina , la resistenza

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stessa cade a zero, in tal modo non è necessario esercitare nessuna forza eccentrica per frenare il

carico che non tenderà di ritornare alla posizione di partenza per effetto della gravità.

Occorre poi ricordare come il muscolo, nel corso di un movimento che preveda uno SSC, sia in

grado di sviluppare delle velocità angolari molto rilevanti, che possono raggiungere i 15-16 rad.

sec-1 (Bosco, 1997) e che nel caso dell’articolazione della spalla possono anche superare i 34 rad.

sec-1 (Respizzi, 1997), mentre le velocità angolari raggiungibili nel corso di un movimento

effettuato su di un apparecchiatura isocinetica possono essere al massimo dell’ordine dei 6 rad. sec-

1.

Inoltre anche le più moderne apparecchiature isocinetiche, permettono al massimo un tempo di

inversione dalla fase eccentrica alla fase concentrica (coupling time) di circa 50-100 ms, mentre nel

corso di uno SSC effettuato in condizioni di attivazione naturale, quest’ultimo è di circa 10 ms.

Un ulteriore differenziazione tra il movimento eseguito in forma isocinetica, rispetto all’attivazione

di tipo isoinerziale, è costituita dal diverso pattern di attivazione neuromuscolare.

Infatti un movimento di tipo isoinerziale, è caratterizzato da una forte attivazione mioelettrica

iniziale, corrispondente al momento in cui occorre vincere l’inerzia del carico, seguita da un

marcato decremento mioelettrico, dovuto anche ad un probabile effetto inibitorio da parte dei

Corpuscoli Tendinei del Golgi ( Angel, 1974; Bosco e coll., 1982).

Al contrario, durante una contrazione di tipo isocinetico, l’attività elettromiografica (EMG) si

mantiene sostanzialmente alla stessa magnitudo lungo tutto l’arco del movimento, inoltre

normalmente l’EMG registrato durante un movimento isoinerziale, anche nella sua fase di minor

magnitudo, si presenta comunque più alto rispetto all’EMG registrato durante lo stesso tipo di

movimento eseguito in modalità isocinetica a parità di carico ( Hislop e Perrine, 1967).

Ma anche altri dettagli devono indurci ad un’attenta considerazione della valutazione isocinetica,

volendo ricordarne i principali possiamo ulteriormente incentrare la problematica nei seguenti

punti:

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- La condizione isocinetica non è sempre rispettata durante un movimento definito come tale,

infatti durante la fase iniziale, definita come “fase oscillatoria”, l’apparecchiatura richiede

un certo intervallo di tempo per poter regolare la velocità impostata, intervallo di tempo

durante il quale il movimento non avviene ad isovelocità. Durante la fase oscillatoria inoltre,

quanto maggiore risulta essere la velocità impostata, tanto maggiore risulterà il tempo

necessario al controllo di quest’ultima da parte dell’apparecchiatura. Per questo motivo, se

la velocità impostata è relativamente elevata, la velocità effettivamente raggiunta durante la

prima fase del movimento, può in effetti risultare maggiore anche del 50% rispetto a quella

programmata (Gransberg e Knutsson, 1983). La condizione isocinetica non viene rispettata

nemmeno nella fase finale del movimento, definita “fase decelerativa”, (Gransberg e

Knutsson, 1983), per cui, in un arco di movimento piuttosto limitato, come ad esempio un

movimento di estensione della gamba sulla coscia effettuato al leg extension il cui ambito

angolare è di solamente 90°, la parte effettivamente isocinetica si riduce solamente ad una

ristretta parte centrale del movimento stesso (Respizzi, 1997).

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Fase iniziale(fase oscillatorianon isocinetica)

Vel. raggiunta >50% Vel. impostata

Il rispetto della condizione isocineticaGransberg e Knutsson, 1983.

Vel. Impostata = Tempo X controllo

Fase isocinetica

Figura 1: Nella prima fase di un movimento isocinetico, definita fase oscillatoria, di fatto il parametro di isovelocità non viene rispettato a causa del ritardo di regolazione dell’apparecchiatura.

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Fase iniziale(fase oscillatorianon isocinetica)

Il rispetto della condizione isocineticaGransberg e Knutsson, 1983.

Fase isocinetica

Fase finale(fase decelerativanon isocinetica)

Figura 2 : Sia nella fase iniziale oscillatoria, che nella fase finale decelerativa, il movimento non avviene a velocità costante. La vera fase isocinetica si riduce quindi solamente alla fase centrale del movimento stesso.

-Durante un movimento isocinetico non è inusuale il verificarsi dei cosiddetti “artefatti da

tamponamento”, ossia la registrazione di alterati valori nella curva di forza che possono verificarsi,

sia in concomitanza al fatto che nel momento in cui il soggetto supera la velocità prefissata, il

sistema di controllo di fatto “frena” l’arto in movimento, sia quando, al contrario, la velocità di

esecuzione del movimento risulti essere inferiore a quella pre-impostata, in questo secondo caso il

sistema di controllo dell’apparecchiatura isocinetica facilita la spinta dell’arto lasciando “correre” il

movimento. In entrambi i casi si registrano degli artefatti sulla curva di registrazione della forza

definiti appunto “da tamponamento” (Dal Monte e Faina, 1999).

-La produzione di potenza viene di fatto sistematicamente sottostimata durante un test isocinetico.

E’ noto infatti come nella relazione forza-velocità riguardante il muscolo in vitro, la massima

potenza si ottenga grazie a tensioni che costituiscano circa 1/3 della forza massimale del soggetto ed

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a velocità di accorciamento che siano ugualmente circa 1/3 rispetto alla massima velocità di

contrazione (Hill, 1938). Tuttavia nel muscolo in vivo, ossia in condizioni di attivazione naturale, la

relazione forza-velocità si presenta di tipo lineare (Brue e coll., 1985; Sargeant e coll., 1981; Mc

Cartney e coll. 1983a-b; Catlaw e coll. 1996; Peres e coll., 1992; Cress e coll., 1992; Labrecque e

coll. 1983; Jaskólska e coll., 1999; Driss e coll., 1998; Bisciotti e coll. 1997, 1999) ed il picco di

potenza si ottiene attraverso una tensione ed una velocità di contrazione entrambe pari al 50% del

valore massimale (Vandewalle, 1992). Dal momento che nei migliori dinamometri isocinetici le

massime velocità angolari ottenibili sono dell’ordine di circa 400-450° · s-1, a fronte di velocità

massimali di oltre 1000° s-1 nel caso di estensioni della gamba o di circa 2000° s-1 nel caso

dell’articolazione della spalla, è facilmente comprensibile come, durante una valutazione

isocinetica, si sottostimi sistematicamente la massima potenza del gruppo muscolare testato.

-Durante un movimento che avvenga su di un piano verticale, come nel caso ad esempio di

un’estensione della gamba sulla coscia, la forza gravitazionale può risultare “contrastante” (durante

la fase concentrica di estensione), oppure facilitante (durante la fase eccentrica di flessione). Se le

forze gravitazionali non vengono considerate, si possono generare gravi errori nel calcolo della

forza espressa , tanto più gravi quanto minori siano le capacità di forza del soggetto testato (Winter

e coll, 1981). L’errore in cui si può incorrere, non tenendo conto del momento gravitazionale, è

compreso tra il 26 ed il 43% per ciò che concerne gli estensori della gamba e tra il 55 ed 510% per i

flessori (Kaufman e Chao, 1995; Wong e coll., 1984). L’errore maggiore che si registra durante la

valutazione dei flessori può risultare, sia dal fatto che questo gruppo muscolare riesce a sviluppare

un momento di forza minore e meno omogeneo rispetto agli estensori, sia dal fatto che la forza di

gravità, che agisce in favore dell’azione biomeccanica espletata da questo gruppo muscolare,

renderebbe relativamente difficile una loro piena sollecitazione (Roi e coll., 1998). In effetti questo

tipo di problema è stato superato nelle macchine isocinetiche di nuova generazione che calcolano

automaticamente il momento gravitazionale dopo aver quantificato preventivamente il peso

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dell’arto e del braccio del macchinario nella posizione di estensione massimale. Grazie a questa

procedura di calcolo l’errore concernente il picco del momento di forza a carico della muscolatura

estensoria si riduce di 5 Nm e di 25-29 Nm per quello che riguarda i flessori (Kaufman e Chao,

1995).

Errore “gravitazionale”(Winter e coll., 1981)

Flesso-estensioneg = facilitante

g = contrastante

Figura 3: Durante un movimento, come ad esempio l’estensione della gamba sulla coscia, la forza di gravità può essere contrastante (durante la fase concentrica), oppure facilitante (durante la fase eccentrica). - Il momento in cui si registra il picco di forza in un movimento isocinetico differisce

completamente da quello in cui si verifica la massima espressione di forza durante un movimento

isotonico. Nell’esercizio isotonico (che in verità sarebbe meglio definibile come eterotonico od

auxotonico, dal momento che a differenti angoli del movimento corrispondono diversi valori di

forza) il movimento delle leve ossee avviene a velocità variabile ed a carico costante (per questo

motivo questo tipo di movimento può essere anche definito isoinerziale, in ragione del fatto che

l’inerzia gravitazionale del carico rimane costante durante tutto l’arco del movimento stesso). In

questo tipo di movimento, dal momento che alla variazione delle leva articolare varia l’espressione

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di forza muscolare, il valore di quest’ultima risulterà massimo nel momento più sfavorevole della

leva stessa. Nelle apparecchiature isocinetiche la forza muscolare viene espressa come “momento di

forza” e corrisponde quindi al prodotto tra la forza e la distanza tra il punto di applicazione della

forza ed il centro di rotazione (momento di forza (Nm ) = forza X braccio di leva). Per questo

motivo, durante un movimento isocinetico il picco del momento di forza (PMF o peak torque),

viene registrato, al contrario di quanto invece avvenga durante un movimento isotonico, nel punto

più favorevole della leva articolare (Respizzi, 1997).

-In molte apparecchiature isocinetiche è possibile effettuare una registrazione dei valori di forza

eccentrica della muscolatura testata. Questo tipo d’indagine risulterebbe particolarmente importante

per quei muscoli, come ad esempio la muscolatura flessoria della coscia, che vengono

particolarmente sollecitati in eccentrico durante i movimenti naturali di tipo balistico. Tuttavia,

come d’altro canto avviene anche durante la modalità concentrica, il valore di forza eccentrica così

registrato si riferisce ad un movimento effettuato a velocità costante, modalità di comportamento

muscolare molto diversa da quella osservabile durante un movimento eccentrico naturale che si

svolge invece a velocità di allungamento muscolare variabile.

Tutta queste serie di valutazioni, deve indurci a considerare seriamente la grossa diversità di

comportamento neuromuscolare ritrovabile sia nelle esercitazioni, che nei test isocinetici, in

rapporto al tipo di attivazione neuro muscolare ritrovabile nel corso di un movimento naturale.

Estrapolare il possibile comportamento di un muscolo in una situazione di tipo balistico, come

avviene nel caso della maggior parte dei movimenti sportivi, partendo da un tipo di valutazione di

tipo isocinetico, può quindi costituire una grave fonte di errore che comporta un rischio valutativo

non sottovalutabile.

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LA COSTRUZIONE DELLA RELAZIONE FORZA-VELOCITA’ NELLA MODALITA’

ISOTONICA: IL TEST FVR.

La relazione forza-velocità registrata su di un muscolo in situazione di attivazione naturale, oltre a

costituire un interessante metodo di monitorizzazione degli effetti dell’allenamento (Vandewalle e

coll., 1988), può rivelarsi particolarmente utile nel confronto delle caratteristiche riguardanti la

forza massimale e la massima velocità contrattile di un arto insultato traumaticamente ed il

controlaterale sano (Bisciotti e coll., 2000).

Le grosse differenze inerenti soprattutto la diversità dei pattern di attivazione neuromuscolare tra la

contrazione isocinetica e quella isoinerziale, dimostrano come nella costruzione della relazione

forza-velocità effettuata attraverso una metodica di tipo isocinetico, il quadro neuromuscolare di

riferimento sia estremamente limitato.

La relazione forza-velocità ricavata da una contrazione isocinetica (la cui interpretazione è

comunque inficiata da tutte le considerazioni già citate), è infatti solamente limitata alla porzione

sinistra della relazione stessa considerata nella sua globalità, come mostrato in figura 1, per le

ragioni poc’anzi esposte relative alla limitazione delle velocità di registrazione delle

apparecchiature isocinetiche.

.

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Figura 1: La relazione forza-velocità ottenibile attraverso la modalità isocinetica è fortemente limitata sia dal range di velocità registrabili dagli strumenti isocinetici , che dai diversi pattern di attivazione neuromuscolare in rapporto alla contrazione isotonica. IL TEST FVR COME METODO DIAGNOSTICO: L’ESEMPIO DELL’ARTICOLAZIONE DEL GINOCCHIO

La relazione forza-velocità costruita attraverso la metodica isoinerziale, può invece costituire un

importante mezzo di informazione per ciò che riguarda i parametri neuromuscolari tipici di un

pattern di attivazione naturale di tipo balistico.

La costruzione di una relazione forza velocità di tipo isoinerziale può essere effettuata sia attraverso

un movimento di tipo concentrico, eccentrico (come riportato nel paragrafo riguardante l’Eccentric

Test), oppure attraverso una modalità che preveda uno SSC, monitorizzando l’azione muscolare

attraverso tutto il possibile range di relazione forza-velocità, in altre parole attraverso tutti i possibili

rapporti di velocità di contrazione e di produzione di forza.

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Nel caso di una relazione forza velocità isoinerziale costruita attraverso un movimento puramente

concentrico avremmo naturalmente delle informazioni di tipo meccanico inerenti il solo

comportamento della Componente Contrattile (CC), mentre nel caso di una relazione forza-velocità

costruita attraverso dei movimenti che comportino una fase di SSC, avremmo delle informazioni

anche sul comportamento meccanico della Componente Elastica in serie (SEC), il confronto tra le

due curve può fornire quindi importanti informazioni sul comportamento elastico della muscolatura

considerata (per maggiori dettagli vedere il capitolo riguardante l’Ealsticity Test).

In campo diagnostico-sportivo la relazione forza-velocità può dare importantissime informazioni

soprattutto nell’ambito di due aspetti principali:

-il primo costituito dalla possibilità di “fotografare biomeccanicamente” il comportamento

neuromuscolare di un distretto muscolare sano, in previsione, in caso di trauma, di poter avere , in

fase riabilitativa, un comparativo di biomeccanica muscolare ottimale al quale fare riferimento

durante la fase riabilitativa stessa.

-il secondo costituito dal monitoraggio costante, operabile sempre in fase riabilitativa, attraverso il

quale sia possibile ricavare dati utilizzabili nella stesura e nel controllo della fase fisioterapica.

L’alta riproducibilità della relazione forza velocità (r=0.85-0.96) (Bosco, 1991; Bosco e coll., 1995;

Murphy e Wilson, 1994; Bisciotti e coll. 1999) garantisce l’affidabilità scientifica di questo metodo

di indagine.

Un’affidabile calcolo della relazione forza-velocità può essere effettuato attraverso solamente tre

prove effettuate a carichi progressivi che quindi determinino una produzione di forza crescente ed

un parallelo decremento della velocità di spostamento del carico stesso. Attraverso il calcolo

dell’equazione della retta di regressione lineare interpolante i punti stessi (y = ax + b) è possibile

determinare, sia il valore di forza isometrica massimale (F0), che quello di velocità di contrazione

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massimale teoricamente ottenibile a carico nullo (V0) (Bisciotti e coll., 1999) come mostrato in

figura 2 e 3.

Figura 4: Relazione forza velocità calcolata attraverso i dati desunti da tre movimenti effettuati con altrettanti carichi crescenti in un movimento di estensione della gamba sulla coscia effettuati in catena cinetica aperta. Nell’equazione della retta il coefficiente b esprime il valore di forza isometrica massimale (F0) espresso in Newton.

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Figura 5 : La stessa relazione forza velocità di cui sopra, in cui in ascissa compaiono i valori di forza ed in ordinata quelli relativi alla velocità di spostamento del carico. In questo secondo caso, il valore del termine b dell’equazione relativa alla retta di regressione lineare interpolante i 3 punti considerati, rappresenta il valore di velocità massimale (V0) ottenibile a carico nullo.

E’ inoltre interessante notare che in una relazione di tipo lineare, come quella ottenibile durante una

contrazione di tipo naturale, il valore di potenza massimale sia uguale a 0.5 F0 · 0.5 V0 altrimenti

esprimibile come 0.25 (F0 · V0) (Vandewalle, 1992), anche se per una visione maggiormente precisa

di questa caratteristica biomeccanica è possibile effettuare un test specifico denominato Power Test

(vedi il paragrafo dedicato).

Attraverso la costruzione della relazione forza-velocità tramite la modalità isoinerziale, è quindi

possibile calcolare anche la massima potenza teorica esprimile nel corso del movimento indagato.

Quest’ultimo dato può costituire un ulteriore importante parametro di valutazione e controllo in

ambito funzionale e riabilitativo.

La costruzione della relazione forza-velocità isoinerziale tramite il test FVR presenta quindi un

indubbio valore di tipo diagnostico in ambito riabilitativo soprattutto per la totale attinenza con i

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pattern di attivazione neuromuscolare che si ritrovano nel corso di un movimento naturale di natura

balistica, tipico del gesto sportivo, attinenza al contrario disattesa nel caso di test di tipo isocinetico.

La possibilità di effettuare in maniera estremamente semplificata questo tipo di test, su articolazioni

ad alto rischio traumatico in ambito sportivo,come quella del ginocchio, riportata nell’esempio

precedente, attraverso un’apparecchiatura specificatamente concepita (Real Power, Globus Italia),

costituisce un importante metodo di indagine a disposizione del fisioterapista, del tecnico della

riabilitazione e del medico sportivo, al fine di ottimizzare e monitorizzare con precisione scientifica

gli effetti dei piani fisioterapici di lavoro adottati

L’ELASTICITY TEST.

L'elasticità è definibile come la proprietà dei corpi, che subiscono una deformazione per effetto di

una sollecitazione esterna, di riprendere, almeno parzialmente, la forma ed il volume iniziali, al

cessare della sollecitazione stessa.

Il muscolo umano possiede notevoli proprietà elastiche, infatti nella fase eccentrica del movimento,

il muscolo, immagazzina energia elastica, che poi restituisce, sotto forma di lavoro meccanico, nella

successiva fase concentrica.

Nell’analisi del comportamento muscolare, effettuata attraverso l’adozione di un modello

meccanico a tre componenti (Chapman, 1985; Huijing, 1992), il ruolo di stoccaggio e restituzione

dell’energia elastica, durante un movimento che comporti una fase di allungamento muscolare

immediatamente seguita da una fase di accorciamento, è da attribuirsi all’elemento elastico in serie

(SEC), che da un punto di vista anatomico, vede la sua parte passiva identificabile essenzialmente

nel tendine (che stocca circa il 72% dell'energia elastica totale) e la sua parte attiva principalmente

nella porzione S2 della testa miosinica (che immagazzina il restante circa 28% dell'energia elastica

totale). Sempre adottando lo stesso tipo di modellizzazione muscolare, il ruolo di “generatore di

forza” è invece attribuibile alla componente contrattile (CC), che si identifica anatomicamente a

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livello dei sarcomeri. Così, durante la fase eccentrica della corsa ad esempio, il tendine di Achille,

viene allungato di circa il 6%, pari a circa 1.5 cm rispetto alla sua lunghezza iniziale, e restituisce

circa il 90% dell'energia elastica potenziale immagazzinata, sotto forma di lavoro meccanico, nella

successiva fase concentrica del movimento.

In tal modo il rendimento muscolare passa dal 25% ad oltre il 40%, l'energia elastica costituisce

infatti energia "metabolicamente gratuita", per questo motivo riveste un ruolo essenziale, sia nel

potenziamento, che nell'economia del gesto.

Tuttavia, l’intervento della restituzione dell’energia elastica, influenza l’andamento della

produzione di forza, velocità e potenza solamente durante la prime parte della fase concentrica

(Wilson e coll., 1991; Bisciotti e coll, 2000 b). Inoltre è interessante notare che il valore di potenza

massima raggiungibile in un movimento effettuato grazie ad una fase di SSC, non differisce

statisticamente dal valore di potenza massima registrabile durante l’esecuzione dello stesso

movimento eseguito senza una preventiva fase di stiramento. Infatti solamente la potenza media del

movimento risulta maggiore in un movimento eseguito in SSC nei confronti dello stesso eseguito

tramite un ciclo puramente concentrico, questo grazie all’aumento della produzione di potenza nella

prima parte della fase concentrica (Bisciotti e coll., 2000 b). Il potenziamento della fase concentrica

di un movimento, dovuto all'effetto di una precedente condizione di pre-stiramento, sarebbe in

definitiva attribuibile, sia a fenomeni prettamente inerenti l’accumulo e la restituzione di energia

elastica da parte della SEC, sia a fattori riguardanti l’ottimizzazione delle caratteristiche

meccaniche dell'unità muscolo tendinea (UMT). Entrambi questi parametri ottengono come

risultato l’aumento del livello di forza al quale ha inizio la fase di concentrica. Tutti questi aspetti,

sono comunque caratterizzati da una forte transitorietà ,che di fatto induce ad una modificazione

limitata, da un punto di vista temporale, dei parametri di forza, velocità e potenza, del movimento

considerato, tale comunque da modificare positivamente la totalità dei parametri biomeccanici

relativi alla fase concentrica del movimento stesso (Bisciotti e coll., 2000 b).

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Alla luce di queste considerazioni si può affermare che il comportamento elastico del muscolo

comporti non tanto un aumento dell’energia del muscolo stesso, quanto piuttosto un aumento

transitorio della produzione di potenza, inducendo in tal modo un sensibilmente miglioramento

del rendimento muscolare.

Per meglio chiarire questo effetto di “transitorietà” nel cambiamento dei parametri biomeccanici del

movimento (quali appunto la forza, la velocità e la potenza del movimento stesso) , dovuto alla

restituzione di energia elastica, è possibile osservare i grafici sottoriportati..

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Nel grafico A è possibile osservare l’andamento della produzione di forza durante la fase

concentrica di un movimento di estensione della gamba sulla coscia. La curva CC si riferisce ad un

movimento effettuato senza una preventiva fase eccentrica di stiramento, durante il quale quindi la

forza è prodotta essenzialmente dalla componente contrattile. Al contrario, la curva CC+SEC si

riferisce allo stesso tipo di movimento effettuato grazie ad una preventiva fase eccentrica di

allungamento. Si può chiaramente notare come, grazie ad i fenomeni prima descritti, inerenti sia il

riuso di energia elastica, che la modificazione delle caratteristiche meccaniche dell’UMT, il livello

di forza da cui ha inizio la fase concentrica del movimento nella curva CC+SEC, sia

significativamente maggiore rispetto al livello di forza da cui ha inizio lo stesso tipo di movimento

eseguito senza la fase di pre-stiramento (curva CC).

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A questo consegue un maggior incremento della velocità di movimento, evidenziabile soprattutto

dalla maggior pendenza della curva di velocità del movimento CC+SEC rispetto a quella relativa al

movimento CC (grafico B). L’aumento dei valori di forza e velocità comporta logicamente un

incremento della potenza sviluppata nel movimento stesso. A questo punto è interessante notare

come le due curve di potenza riportate nel grafico C, differiscano solamente nella prima parte

iniziale del movimento. La pendenza della curva CC+SEC si presenta infatti più ripida rispetto a

quella riguardante la curva CC, sottolineando in tal modo la maggior potenza iniziale sviluppata

durante la fese concentrica di un movimento che comporti un fase di pre-stiramento. Tuttavia, è

altresì osservabile come il picco di potenza dei due tipi di movimento non differisca, sottolineando

in tal modo come l’effetto potenziativo della fase di pre-stiramento si esaurisca nella prima parte

(circa 100 ms) della fase concentrica del movimento (Wilson e coll., 1991; Bisciotti e coll., 2000

b).

IL RUOLO “PROTETTIVO” DELL’ ELASTICITÀ MUSCOLO-TENDINEA

Molti dati disponibili in bibliografia dimostrano come, durante un movimento balistico che preveda

una fase di allungamento-accorciamento, la restituzione dell'energia elastica, accumulata durante la

fase eccentrica, sia in grado di spostare la relazione forza-velocità in alto e verso destra. In altre

parole, l'intervento dell'energia elastica restituita dalla SEC, permetterebbe al muscolo di generare,

a velocità di contrazione elevate, delle forze molto superiori di quanto non potrebbe fare, nelle

stesse condizioni, la sola componente contrattile (Bosco, 1985; Wilson e coll.,1991).

Oltre a questo ruolo di "potenziamento" della produzione di forza, comunque non sottovalutabile,

visto che lo stoccaggio di energia potenziale può essere dell'ordine di 40-60 J per dei gruppi

muscolari in condizioni di contrazione massimale, la SEC svolge anche un ruolo di tipo protettivo,

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nei confronti delle strutture articolari e periarticolari, in caso di brusche e repentine contrazioni

muscolari (Bouisset e Maton, 1995).

A questo proposito, è interessante ricordare come in alcune tipologie di atleti, vedi i calciatori, che

si trovino a lavorare su terreni morbidi, che limitano fortemente lo stoccaggio e la restituzione di

energia elastica da parte della SEC, si possano registrare delle perdite delle caratteristiche elastiche

muscolari, che li esporrebbero ad un maggior rischio di lesioni in caso di eventi di tipo traumatico

(Bosco, 1997), soprattutto nel corso della fase eccentrica del movimento (Armstrong, 1990; Garret,

1990).

Figura 6: L'interposizione di una molla lungo un cavo vincolato ad una struttura, sul quale viene applicata una forza in modo repentino, svolge un ruolo di "smorzatore" ed è in tal modo in grado di preservare da eventuali danni la struttura stessa. Nell'ambito biologico, la componente elastica

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seriale, svolge anche questo secondo ruolo, oltre a quello di stoccaggio e restituzione dell'energia elastica, nei confronti delle strutture articolari e periarticolari.

L’INSULTO TRAUMATICO E LA PERDITA DELLE CARATTERISTICHE

MECCANICHE DEL MUSCOLO

In seguito ad un trauma è possibile registrare tutta una serie di eventi a livello muscolare che

possono essere sostanzialmente ricondotti ad una degenerazione delle fibre muscolari, caratterizzata

da una distruzione miofibrillare unita ad un danno, sia a livello mitocondriale, che del reticolo

sarcoplasmatico (Byrd, 1992). Inoltre, in questo stato di alterazione dell’ultrastruttura muscolare,

si può anche verificare un’interruzione nella continuità del sarcolemma (Carlson e Faulkner, 1983).

La perdita d’integrità del sarcolemma, unita al danno del reticolo sarcoplasmatico, può comportare

un’elevazione della concentrazione intracellulare di Ca++. La conseguente alterazione nella capacità

di pompaggio del Ca++ dal sarcoplasma, comporterebbe una parallela alterazione dell’omeostasi del

Ca++ stesso, che avrebbe come conseguenza una contrazione non controllata dei sarcomeri

(Armstrong e coll., 1991). Questa contrazione incontrollata delle fibre muscolari può perdurare,

anche in assenza di un potenziale di azione che depolarizzi le fibre stesse, sino a quando la

concentrazione intracellulare di Ca++ rimane elevata e la disponibilità di ATP è sufficientemente

adeguata (Armstrong e coll., 1991; Travell e Simons, 1983).

Le forze meccaniche, causate da questa catena di eventi, che perdurerebbero a livello miofibrillare

dopo l’insulto traumatico, potrebbero comportare un aggravamento del danno strutturale subito

dalla componente contrattile (Armstrong, e coll., 1991).

Nel caso in cui il danno subito dal tessuto muscolare sia di una certa severità, i sintomi clinici

riscontrabili sono il riferimento di una più o meno intensa sintomatologia dolorosa, sia in caso di

allungamento passivo che di contrazione attiva (Garret, 1990), gonfiore, risposta infiammatoria od

edematosa all’interno del tessuto muscolare stesso (Garret e coll., 1989), diminuzione della capacità

di forza del distretto muscolare considerato ed alterazione degli schemi propriocettivi (Herring,

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1990; Garret, 1990; Nikolaou e coll., 1987; Russel e coll., 1992; Taylor e Dalton, 1993). Appare

quindi chiara l’esigenza di controllare durante tutta la fase fisioterapica di riabilitazione il

comportamento meccanico della muscolatura lesa, avendo come secondo termine di paragone il

comportamento meccanico della muscolatura dell’arto controlaterale sano (Bisciotti e coll., 2000).

La possibilità di quantificare in che misura l’insulto traumatico abbia diminuito le capacità elastiche

della muscolatura lesa, diviene quindi un importantissimo parametro valutativo in ambito

riabilitativo. L’importanza del recupero delle caratteristiche elastiche della muscolatura insultata, è

sottolineata dal fatto che raramente nell’uomo, come d’altronde nell’animale, un movimento

comporta un’attivazione muscolare di tipo puramente isometrico, eccentrico oppure concentrico. La

maggior parte dei movimenti umani, è caratterizzata infatti da un’attivazione muscolare che

comporta una fase di contrazione muscolare di tipo eccentrico, immediatamente seguita da una fase

concentrica (Goubel, 1987; Komi, 1987).

COME ATTRAVERSO L’ELASTICITY TEST È POSSIBILE

QUANTIFICARE LE CARATTERISTICHE ELASTICHE MUSCOLARI

La quantificazione delle caratteristiche elastiche muscolari, vede in primo luogo l’identificazione

del miglior movimento, effettuato in catena cinetica aperta oppure chiusa, adatto ad evidenziare

l’azione biomeccanica della muscolatura lesa. Lo stesso movimento deve essere eseguito dal

paziente, senza soluzione di continuità, attraverso due modalità: il primo movimento deve essere

effettuato partendo da una posizione statica, facendo intervenire quindi nella produzione di forza

solamente la componente contrattile (CC), alla fine del primo movimento il paziente continua ad

eseguire una serie di movimenti identici al primo ma effettuati grazie ad un ciclo stiramento-

accorciamento (CC+SEC). I parametri biomeccanici dell’esercizio vengono registrati in tempo reale

dal Real Power Total Rehabilitation, in tal modo è possibile calcolare gli integrali della produzione

di forza, potenza e velocità relativi alla prima parte della curva (normalmente i primi 100 ms), sia

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per ciò che riguarda il movimento eseguito con partenza statica (CC), sia per il miglior movimento

eseguito in modalità stiramento-accorciamento (CC+SEC). La differenza tra i vari valori permette

di calcolare l’aumento della forza contrattile, della velocità di contrazione e della produzione di

potenza dovuto alla fase di pre-stiramento e quindi, in ultima analisi, di quantificare le

caratteristiche elastiche della muscolatura dell’arto leso e del controlaterale sano.

Il continuo e sistematico monitoraggio delle caratteristiche essenziali del movimento quali la forza,

la velocità di contrazione la produzione di potenza e quindi le caratteristiche elastiche del muscolo

leso, costituisce un esigenza imprescindibile ed una garanzia di riuscita nell’ambito di ogni

protocollo riabilitativo. La possibilità di utilizzare delle specifiche apparecchiature che, grazie a

semplici protocolli di test, possano fornire tali dati in modo affidabile e preciso, costituisce il

superamento di un livello di professionalità importante, quello che distingue l’empirismo dalla

rigorosità scientifica.

Figura 7: Nelle due schermate sono riportati i parametri biomeccanici di un movimento di

estensione della gamba sulla coscia, effettuato in catena cinetica aperta (leg extension), a carico

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dell’arto sano (riquadro superiore) e dell’arto leso (riquadro inferiore). Appare evidente la perdita

di aumento di velocità di contrazione (4.7% versus 22.7%), forza contrattile (2.4% versus 11.4%) e

di produzione di potenza (7.1% versus 28.6%) nell’arto leso rispetto al controlaterale sano, nei due

tipi di movimento testati (CC e CC+SEC). Si tratta di un classico quadro post-traumatico

(ricostruzione di LCA in 90° giornata), che sottolinea l’importante perdita delle caratteristiche

elastiche della muscolatura estensoria dell’arto inferiore in seguito all’insulto traumatico ed

all’evento chirurgico ricostruttivo.

IL POWER TEST

La potenza è una funzione parabolica della forza e della velocità di contrazione, ed abbiamo visto

precedentemente come nel corso di un movimento naturale il picco di potenza si registri ed il picco

di potenza si ottenga attraverso una tensione ed una velocità di contrazione entrambe pari al 50%

del valore massimale (Vandewalle, 1992). Grazie al Power Test attraverso l’esecuzione di soli 3

carichi sub-massimali è possibile costruire la relazione carico-potenza e calcolare in tal modo, sia la

potenza massimale teorica del gruppo muscolare testato, sia il carico con il quale tale valore di

potenza possa essere prodotto. Il protocollo del test è molto semplice, si tratta di effettuare tre

movimenti (l’esercitazione adottata può essere , sia in catena cinetica aperta, che chiusa ) alla

massima velocità esecutiva con tre diversi carichi, che corrispondono al 30%, 50% ed 85% della

forza massimale dinamica. In tal modo si costruirà una parabola (figura 8) il cui vertice (che viene

calcolato automaticamente) ci indicherà , sia il carico con il quale si riesce a produrre la massima

potenza, che il valore di quest’ultima

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Figura 9 : La prova si riferisce ad un atleta che abbia un valore di carico massimo dinamico pari a 100 kg. Durante la prima prova effettuata con il 30% del carico massimo dinamico (30 kg) si è registrato un valore di potenza media pari a 400 W , durante la seconda prova effettuata con un carico pari al 50% del carico massimo dinamico (50 kg) la potenza media registrata è stata uguale a 650 W, infine nell’ultima prova eseguita con un carico pari all’85% del carico massimo dinamico (85 kg) la potenza media registrata è stata di 500 W. Calcolando il vertice della parabola che è possibile costruire attraverso i dati registrati durante il test, otteniamo il carico con il quale è possibile esprimere la massima potenza (pari 60.5 kg) ed il valore di quest’ultima (683.5 W). Un metodo semplice e pratico per calcolare il picco di potenza ed il carico da utilizzare per produrla in qualsiasi tipo di esercitazione (Bisciotti, 1999).

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Figura 10: L’esercitazione adottata come test di valutazione funzionale può essere effettuata , sia in catena cinetica aperta ( come ad esempio nel caso del leg extension), oppure chiusa ( come nel caso della pressa oppure dello squat): Nel caso dell’arto inferiore occorre sempre considerare il problema inerente la traslazione anteriore di tibia che l’esercizio in catena cinetica aperta comporta.

L’ECCENTRIC TEST.

Il muscolo scheletrico durante una contrazione di tipo eccentrico lavora come un vero e proprio

“freno”, che rallenta la caduta del carico imposto. Nella relazione forza-velocità in vitro, il muscolo

allungato e contratto produce dapprima, per velocità di allungamento relativamente modeste, una

tensione che risulta crescente in rapporto all’aumento della velocità di allungamento, per poi

attestarsi, per velocità di allungamento superiori, ad un plateau di produzione di forza costante (Hill,

1938). Tuttavia, nel corso di un movimento naturale, il comportamento muscolare, e quindi di

conseguenza la produzione di forza, durante un movimento eccentrico, non collimerebbero con il

comportamento osservabile nel muscolo isolato. Ad alte velocità di accorciamento infatti il muscolo

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non sarebbe in grado di esprimere forti tensioni, questa diversità di comportamento sarebbe

essenzialmente imputabile a fenomeni di tipo inibitorio posti in atto al fine di preservare l’integrità

della struttura muscolare stessa. Il fenomeno inibitorio, che limiterebbe la produzione di forza

durante una contrazione eccentrica, diverrebbe particolarmente evidente nel momento in cui i livelli

di tensione superino del 40% i livelli di forza che si otterrebbero in condizioni concentriche, inoltre

non sarebbe da escludere una co-contrazione da parte di gruppi muscolari antagonisti (Kellis e

Baltzopoulos, 1995), anche se in verità i dati disponibili in letteratura a riguardo sono alquanto

scarsi. Classicamente la forza eccentrica veniva, e viene tuttora, misurata grazie a delle

apparecchiature di tipo isocinetico, tuttavia le macchine isocinetiche, come già detto, impongono al

muscolo un movimento molto diverso rispetto a quello riscontrabile durante un movimento naturale

e non si prestano affatto all’indagine del comportamento muscolare, soprattutto nello sportivo

(Bisciotti e coll., 2000). La forza espressa durante una contrazione eccentrica, come comunque

d’altronde anche durante una contrazione concentrica, andrebbe misurata durante una contrazione

isotonica, proprio per poter osservare e registrare il comportamento del muscolo in una situazione di

attivazione naturale. Il Real Power Total Rehabilitation, misura la forza espressa durante una

contrazione eccentrica grazie ad una specifica procedura di calcolo (Bisciotti, 2000), che quantifica

la forza “frenante” espressa dal soggetto durante il rallentamento di un carico di entità sovra-

massimale (ossia superiore al 100% del carico massimale). La forza eccentrica espressa è infatti

uguale a :

Fecc= M · (g-a) (1)

nella quale M è la massa del carico utilizzato, g l’accelerazione di gravità pari a 9.81 m · s-2 ed a

rappresenta l’accelerazione registrata durante la fase di discesa del carico, corrispondente appunto

al movimento eccentrico considerato. Dalla (1) risulta evidente come la forza eccentrica registrata, a

parità di carico, risulterà tanto maggiore quanto minore sarà il valore di accelerazione negativa

(perché il movimento è verso il basso) registrato.Il protocollo del test è semplice e snello: si

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domanda al soggetto di frenare massimamente due carichi super-massimali (normalmente il 105 ed

il 120% del carico massimale), si otterranno in tal modo, come è osservabile dal grafico che segue,

due punti caratterizzati da valori di forza eccentrica e di velocità di allungamento crescenti.

Partendo dai dati ottenuti, il programma calcolerà automaticamente il valore del carico con il quale

l’allungamento avverrebbe ad un accelerazione pari a g, che come è desumibile dalla (1)

corrisponderebbe ad un valore di forza eccentrica pari a zero; in altre parole in tal modo si calcola

indirettamente il carico con il quale si manifesterebbero in modo evidente i meccanismi inibitori

sopra descritti, che comporterebbero la caduta a zero dei valori di forza eccentrica. Grazie

all’individuazione su di un piano cartesiano dei tre punti ottenuti, è possibile descrivere una

parabola il cui vertice, che viene calcolato automaticamente dal programma, corrisponderà al

valore teorico di forza massimale eccentrica ed al carico con il quale può essere prodotto. In tal

modo il soggetto, non solo testerà i suoi valori di forza eccentrica, potendo così paragonare le

capacità dell’arto leso e di quello sano ma avrà anche delle precise indicazioni del carico da

utilizzare in allenamento od in riabilitazione.

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Figura 11 : I primi due punti del grafico corrispondono a due diversi valori di forza eccentrica, a carico dei flessori della gamba, espressi dal soggetto testato durante il rallentamento di altrettanti carichi progressivamente crescenti al leg curl. Il terzo punto corrisponde al valore di carico che comporterebbe una caduta a zero del valore di forza eccentrica espresso. Il vertice della parabola rappresenta il valore teorico di massima forza eccentrica ed il carico con il quale può essere prodotto.

Figura 12: il test di forza eccentrica eseguito in modalità isoinerziale riveste un importanza particolare per alcuni gruppi muscolari, come i flessori della gamba, per i quali il rapporto forza eccentrica flessori/forza concentrica estensori costituisce un importante indice di equilibrio artromuscolare. Il WORK TEST

Un evento traumatico a livello artro-muscolare, comporta di norma una marcata amiotrofia della

muscolatura insultata ed una perdita di funzionalità, sia muscolare che articolare.

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Nel caso ad esempio di rottura traumatica isolata od associata del LCA, a cui consegua una sua

ricostruzione chirurgica, normalmente effettuata in artroscopia tramite utilizzazione del tendine

rotuleo, si verifica una marcata amiotrofia della muscolatura della coscia in toto (Gremion e coll.,

1992). L’ipotonotrofia muscolare coinvolge, sia la muscolatura flessoria, che quella estensoria,

anche se la sofferenza muscolare a carico degli estensori appare notevolmente maggiore (Poty e

coll., 1985). La lesione associata del menisco interno sembra aggravare il deficit funzionale

dinamico in flessione, mentre le lesioni a carico del menisco esterno aggraverebbero il quadro

funzionale dinamico estensorio (Poty e coll., 1985). La perdita di tono muscolare, registrabile

soprattutto a carico degli quadricipite femorale si traduce in una perdita di capacità contrattile, sia

durante la contrazione muscolare effettuata secondo la modalità isocinetica, che isometrica (Poty e

coll., 1985; Zaccherotti e coll., 1997). La perdita di forza a carico degli estensori, in pazienti che

abbiano subito un intervento di chirurgia ricostruttiva del LCA, appare essere correlata alla velocità

di contrazione richiesta e diverrebbe particolarmente evidente a basse velocità di contrazione

muscolare (Gobelet e coll., 1984). Il quadro d’ipofunzionalità che si viene a creare comporta quindi

una perdita di forza , potenza e lavoro (inteso come l’integrale della curva forza/spostamento)

dell’arto leso rispetto all’arto sano. Il Work Test permette appunto di quantificare agevolmente ed

obbiettivamente l’entità di tale deficit. Il protocollo del test prevede che il paziente esegua, con un

carico determinato dal terapista, una serie di ripetizioni ad esaurimento muscolare completo

dapprima con l’arto leso, successivamente lo stesso carico e lo stesso numero di ripetizioni vengono

proposte sull’arto sano. Viene in tal modo calcolato il deficit percentuale a carico della forza, della

potenza e della velocità dell’arto leso rispetto al controlaterale sano. Attraverso il Work Test è

possibile inoltre calcolare, sia per l’arto leso, che per l’arto sano la perdita di forza, potenza e lavoro

all’interno della serie effettuata (IR: indice di resistenza ), grazie al rapporto tra la media di tali

valori registrati durante le prime tre ripetizioni e le ultime tre ripetizioni delle serie stessa. L’indice

IR può fornire un’informazione indiretta sul tipo di reclutamento e/o di composizione delle fibre

muscolari costituenti la totalità del muscolo testato. In effetti, dal momento che durante un test

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effettuato ad esaurimento, grazie ad un fenomeno di turn-over delle unità motrici, vi è un

reclutamento di tutti i tipi di fibre muscolari che costituiscono il muscolo considerato, un rapido

decremento dei valori di forza e di potenza sarebbe quindi da attribuirsi ad un fenomeno di

affaticamento selettivo delle fibre di tipo rapido, che potrebbe sottoindere ad un diverso pattern di

reclutamento o di composizione di fibre tra l’arto leso ed il controlaterale sano (Synder-Mackler e

coll., 1993).

Figura 13: Attraverso il Work Test è possibile raffrontare, per un determinato carico, la produzione di forza, potenza e lavoro, tra l’arto leso ed il controlaterale sano, oltre a quantificare l’Indice di Resistenza (IR), relativo a questi parametri, all’interno della serie, per i due arti separatamente.

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L’ EMG TEST

L’elettromiografia di superficie è normalmente utilizzata nell’indagine clinica e funzionale come

una metodologia strumentale idonea a fornire informazioni riguardanti i patterns di attivazione

neuromuscolare dei distretti muscolari considerati (Hodgson JA., 1983; Hutchison e coll., 1989;

Hutton e Atwater, 1992; Bouisset e Maton, 1995).

Il segnale elletromiografico ricavabile attraverso la tecnica dell’elettromiografia di superficie,

dipende infatti ad ogni istante dal numero di unità motorie (UM) attive, dalla loro frequenza di

scarica, dal loro grado di sincronizzazione e dalla forma del loro potenziale di azione (Bouisset e

Maton, 1995).

L’insulto traumatico subito a livello muscolare, può essere la causa di un alterazione del segnale

EMG, in particolare della Ratio Forza/EMG (F/EMG), a carico dell’arto leso nei confronti di quello

registrabile nel controlaterale sano durante l’esecuzione di una contrazione muscolare (Edgerton e

coll., 1996). Questa alterazione del segnale EMG può essere causata essenzialmente da due tipi di

meccanismi, il primo dei quali legato alla sensazione dolorosa percepita durante la contrazione

stessa.

La risposta nocicettiva può essere infatti responsabile di un’alterazione della risposta di molteplici

pool motoneuronici, la cui attivazione sarebbe condizionata, sia dal sito anatomico della lesione

muscolare subita, che dall’intensità della sensazione dolorosa percepita (Schouenborg e coll., 1994;

Edgerton e coll., 1996).

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Il secondo meccanismo che può causare un alterazione della ratio F/EMG, non è necessariamente

legato alla percezione della sensazione dolorosa da parte del paziente. In alcuni casi infatti la

severità della lesione e la conseguente limitazione funzionale ad essa correlata, non sono

necessariamente accompagnate da una sensazione dolorosa di pari gravità (Edgerton e coll., 1996).

Nell’ambito di questo particolare quadro clinico l’alterazione della ratio F/EMG, a carico dell’arto

leso rispetto al controlaterale sano, può essere imputabile ad un aumento del numero di

motoneuroni reclutati al fine di compensare il deficit di forza del gruppo muscolare leso (Edgerton e

coll., 1996).

Questo particolare tipo di meccanismo compensativo può interessare delle UM appartenenti ad un

area dello stesso gruppo muscolare non direttamente toccata dall’insulto traumatico, oppure

coinvolgere delle UM appartenenti ad altri gruppi muscolari sinergici, che siano in grado di

svolgere lo stesso tipo di azione biomeccanica (Gardiner e coll., 1986; Roy e coll., 1992; Edgerton e

coll., 1996). Nel caso ad esempio di ricostruzione del LCA, di traumi a carico del tendine rotuleo

oppure di patologie rotulee, l’ipotonotrofia e la conseguente perdita di forza, colpirebbe soprattutto

il Vasto Mediale Obliquo (VMO) (Wirhed, 1986), fatto che potrebbe comportare un’alterazione

della ratio EMG Vasto Mediale Obliquo / Vasto Laterale (VMO/VL), compromettendo in tal modo

il pattern di attivazione neuromuscolare dinamico (Edgerton e coll., 1996). In effetti una delle

principali cause d’instabilità del ginocchio conseguente ad intervento ricostruttivo del LCA, in

seguito ad una sua rottura isolata od associata, o del tendine rotuleo, è proprio costituita dall’

ipotonia e dall’ipotrofia del quadricipite femorale, ed in particolar modo del VMO, conseguente al

periodo di ipofunzionalità successivo all’atto operatorio (Brunet-Guedj e Genéty, 1987; Poyhonen e

coll., 1991). In questo particolare contesto, l’indagine EMG può quindi fornire importanti

informazioni che possono quantificare obbiettivamente il deficit muscolare causato dal periodo di

ipofunzionalità successivo all’atto operatorio (Brunet-Guedj e Genéty, 1987; Poyhonen e coll.,

1991; Poty e coll., 1985; Zaccherotti e coll., 1987). Appare soprattutto interessante, ai fini

diagnostici e preventivi, poter comparare la Ratio VMO/VL dell’arto sano nei confronti del

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controlaterale leso, un’alterazione di quest’ultima comporta infatti una contemporanea alterazione

dei patterns di attivazione neuromuscolare che potrebbe, in ultima analisi, esporre l’arto leso al

rischio di una recidiva traumatica, soprattutto nella fase in cui il soggetto praticante un’attività

sportiva, alla fine del periodo riabilitativo, si riavvicini attivamente a quest’ultima ( Edgerton e

coll., 1996; Freiwald e coll., 1993). La semplice riacquisizione di forza dell’arto leso nei confronti

del controlaterale sano, testabile attraverso modalità isometriche, isotoniche od isocinetiche, infatti

non garantisce, a nostro parere, un parallelo ripristino dei patterns di attivazione neuromuscolare,

che potrebbero essere comunque sostanzialmente diversi, anche in presenza di un’eguale

espressione di forza, grazie a dei meccanismi muscolari di compenso ( Edgerton e coll., 1996). Una

contemporanea valutazione dinamometrica ed elettromiografia, effettuata grazie all’EMG Test

permette invece di poter disporre di un quadro valutativo della situazione artro-muscolare

sicuramente più completo ed attendibile.

CONCLUSIONI

Per concludere vorrei citare un esempio, forse banale ma a mio parere molto delucidante in

proposito. Effettuare una valutazione funzionale costituisce, in ultima analisi, un compito molto

simile a quello che si può incontrare durante la costruzione di un puzzle: più tasselli si riescono a

far combaciare tra loro, maggiormente chiara diviene la visione d’insieme finale, inoltre i tasselli

per poter combaciare debbono necessariamente essere tra loro coerenti, ossia incastrabili. Questo ci

può aiutare a capire come nella valutazione funzionale di un arto leso, non esista un test esaustivo

che possa completamente renderci edotti sulla situazione fisiologica indagata, occorre al contrario,

con molta più pazienza, “mettere insieme” numerosi tasselli, che ci permettano una visione

d’insieme finale chiara e coerente.

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