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•LA MITOLOGIA •LA MITOLOGIA GRECA

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Mitologia è il termine con cui si indica lo studio dei miti. Ciò che accomuna la storia dei vari popoli tanti racconti di dei e d'eroi con altrettanti miti e leggende, attraverso i quali era spiegata ogni cosa del creato. La mitologia è una disciplina considerata fenomeno culturale molto complesso, può essere analizzata sotto diverse prospettive; quasi sempre orali, spesso letterarie e da drammatizzazioni e rappresentazioni di tipo figurativo che mettono a fuoco le vicende di personaggi esterni al tempo inteso in senso storico. L'intersecarsi, il comporsi delle vicende mitologiche che

è possibile vedere sotto una diversa prospettiva a seconda di una narrazione o rappresentazione rispetto ad il patrimonio di una determinata cultura. Può darsi che le civiltà antiche abbiano considerato i loro miti come la memoria di avvenimenti realmente accaduti, spesso legati all'origine stessa del mondo. Di certo, le culture storiche molto spesso hanno messo in dubbio la verità letterale dei miti, interrogandosi sulle ragioni e sui modi della nascita di questi antichi racconti.

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La mitologia greca, probabile sviluppo delle credenze primitive cretesi, comprende un insieme vastissimo di leggende, spesso collegate tra loro, riguardanti dei immortali dalle sembianze e sentimenti umani, che dimoravano sul monte Olimpo e che avevano ruoli precisi e per questo venivano adorati dai mortali con riti differenti.Su tutti governava Zeus, il signore degli dei.Gli altri undici dei principali erano Afrodite, Apollo, Ares, Artemide, Atena, Demetra, Efesto, Era, Ermes, Estia, Poseidone.Ogni dio aveva poteri derivanti dal proprio ruolo e veniva spesso accompagnato da divinità minori. Per questo motivo proliferavano templi in ogni città e si organizzavano sovente feste in loro onore in cui poeti cantavano le loro gesta leggendarie contribuendo così a divulgare oralmente la conoscenza degli dei nel popolo.I Greci erano molto timorosi nei confronti dei loro dei, poiché sapevano che sarebbero stati puniti severamente se non avessero mostrato umiltà e devozione.Per continuare ad avere la benedizione dei loro dei, i greci erano soliti pregarli ed onorarli con sacrifici di animali, naturalmentela magnificenza del sacrificio era proporzionale ai potenziali vantaggi che ne sarebbero seguiti se le divinità li avessero ascoltati.La mitologia greca, probabile sviluppo delle credenze primitive cretesi, comprende un insieme vastissimo di leggende, spesso collegate tra loro, riguardanti dei immortali dalle sembianze e sentimenti umani, che dimoravano sul monte Olimpo e che avevano ruoli precisi e per questo venivano adorati dai mortali con riti differenti.Su tutti governava Zeus, il signore degli dei.

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Pegaso è una figura della mitologia greca. È il più famoso dei cavalli alati. Secondo il mito, nacque dal terreno bagnato dal sangue versato quando Perseo tagliò il collo della Medusa. Secondo un'altra versione, Pegaso sarebbe balzato direttamente fuori dal collo tagliato della Medusa, insieme a Crisaore. Animale selvaggio e libero, Pegaso viene inizialmente utilizzato da Zeus per trasportare le folgori fino all'Olimpo. Grazie alle briglie avute in dono da Atena, viene successivamente addomesticato da Bellerofonte, che se ne serve come cavalcatura per uccidere la Chimera. Dopo la morte dell'eroe, avvenuta per essere caduto da Pegaso, il cavallo alato ritorna tra gli dei. Terminate le sue imprese, Pegaso prende il volo verso la parte più alta del cielo e si trasforma in una nube di stelle scintillanti che hanno formato una costellazione

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Nella mitologia greca Era o Hera (dal greco Ἥρα o Ἥρη Hera o Here, pron /hɛːra/) era moglie, nonché sorella maggiore, di Zeus.Figlia di Crono e Rea, sorella e poi moglie di Zeus, era considerata, la sovrana dell'Olimpo. Fu brutalmente ingoiata dal padre appena nata, che intendeva ucciderla. Come tutti i suoi fratelli fu restituita alla vita grazie allo stratagemma ideato da Meti e attuato da Zeus. Fu allevata nella casa di Oceano e Teti, e poi nel giardino delle Esperidi o sulla cima del monte Ida sposò Zeus. Zeus amava segretamente Era già dal tempo in cui Crono regnava sui Titani, ma, come spesso accade ai giovani, non sapeva come fare a dichiararle il suo amore.

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Era la dea del matrimonio e la sua continua lotta contro i tradimenti del consorte diede origine al tema ricorrente della "Gelosia di Era" che rappresenta lo spunto per quasi tutte le leggende e gli aneddoti relativi al suo culto. La figura a lei corrispondente nella mitologia romana fu Giunone. I suoi simboli sacri erano la vacca ed il pavone.Era veniva ritratta come una figura maestosa e solenne, spesso seduta sul trono mentre porta come corona il "Polos", il tipico copricapo di forma cilindrica indossato dalle dee madri più importanti di numerose culture antiche. In mano stringeva una melagrana, simbolo di fertilità e di morte usato anche per evocare, grazie alla somiglianza della sua forma, il papavero da oppio. Omero la definiva la Dea dagli occhi "bovini" per l'intensità del suo regale sguardo.

Tempio di Era Paestum

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Afrodite nacque dalla spuma del mare davanti alla spiaggia di Paphos (Cipro), dopo che Crono aveva tagliato i testicoli di Urano e li aveva gettati in mare. La Teogonia di Esiodo descrive che i genitali "vennero trascinati dal mare per un lungo periodo, e spuma bianca sorse dalla carne immortale; dentro ad essa crebbe una ragazza" che divenne Afrodite. Quindi Afrodite cronologicamente è la prima dea esistita. Nell'Iliade (Libro V) si esprime un'altra versione delle sue origini, secondo la quale era considerata una figlia di Dione, che era l'originale dea oracolare ("Dione" è semplicemente "la dea, la forma femminile di Δíος, "Dios", il genitivo di Zeus) a Dodona. In Omero, Afrodite, avventurandosi in battaglia per proteggere suo figlio Enea, viene ferita da Diomede e ritorna dalla madre, per chinarlesi in grembo e essere confortata. "Dione" sembra essere un equivalente di Gea, la Madre Terra, che Omero ha rilocato nell'Olimpo, che a sua volta fa riferimento ad un ipotetico pantheon originale proto indo-europeo, in cui la principale divinità maschile è rappresentata dal cielo e dal tuono, e la principale divinità femminile (forma femminile dello stesso dio) è rappresentata come la terra o il suolo fertile. La stessa Afrodite viene talvolta indicata come "Dione". Una volta che il culto di Zeus usurpò quello dell'oracolo di Dodona, alcuni poeti lo resero il padre di Afrodite.

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Psiche è una bellissima principessa, così bella da causare l'invidia di Venere. La dea invia suo figlio Cupido perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della terra, perché Psiche sia coperta dalla vergogna di questa relazione. Ma il dio si innamora della mortale, e con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo, dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua. Ogni notte Eros va alla ricerca di Psiche, ogni notte i due bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto. Psiche è dunque prigioniera nel castello di Cupido, legata da una passione che le travolge i sensi. Una notte Psiche, istigata dalle sorelle,con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, pronta a tutto, anche all'essere più orribile, pur di conoscerlo. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante: Il dio vola via e Venere poco dopo cattura Psiche per sottoporla alla sua punizione. Venere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, per esempio deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che intendevano ingraziarsi il suo innamorato. L'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio arrivando molto vicino a gettarsi dalla cima di una torre. Improvvisamente, però, la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione.

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Durante il ritorno, mossa dalla curiosità a lei tanto cara, aprirà l'ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà contiene il sonno più profondo. Ancora una volta verrà in suo aiuto Amore, che la risveglierà dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera (uscita dalla ampolla). Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve l'aiuto di Giove. Mosso da compassione il padre degli dei fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una dea e sposa Amore. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fa da coppiere, le tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.Al termine del banchetto i due giovani bruciarono per tutta la notte la loro incontenibile passione e da questa unione nacque un figlio, Piacere, identificato dai latini con Voluptas

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Dopo aver ucciso il serpente Pitone, Apollo si sentì particolarmente fiero di sé, perciò si vantò della sua impresa con Cupido, dio dell’Amore, sorridendo del fatto che anche lui portasse arco e frecce, ed affermando che quelle non sembravano armi adatte a lui. Cupido indignato, decise allora di vendicarsi: colpì il dio con la freccia d’oro che faceva innamorare, e la ninfa, di cui sapeva che Apollo si sarebbe invaghito, con la freccia di piombo che faceva rifuggire l’amore, per dimostrare al dio di cosa fosse capace il suo arco. Apollo, non appena vide la ninfa chiamata Dafne, figlia del dio-fiume Peneo, se ne innamorò.

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Tuttavia, se già prima la fanciulla aveva rifiutato l’amore, dedicandosi piuttosto alla caccia come seguace di Diana, essendo stata colpita dalla freccia di piombo di Cupido, quando vide il dio, cominciò a fuggire. Apollo iniziò allora ad inseguirla, elencandole i suoi poteri per convincerla a fermarsi, ma la ninfa continuò a correre, finché, ormai quasi sfinita, non giunse presso il fiume Peneo, e chiese al padre di aiutarla facendo dissolvere la sua forma. Dafne si trasformò così in albero d’alloro prima che il dio riuscisse ad averla, egli, tuttavia, decise di rendere questa pianta sempreverde e di considerarla a lui sacra: con questa avrebbe ornato la sua chioma, la cetra e la faretra; ed inoltre, d’alloro sarebbero stati

incoronati in seguito i vincitori e i condottieri. 

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Icaro, era figlio di Dedalo e Neucrate.Il padre Dedalo era un ottimo fabbro, infatti Atena stessa l’aveva iniziato a quell’arte.Uno dei suoi apprendisti, era suo nipote Talo, figlio di Policasta, sorella di Dedalo che già a sedici anni aveva superato suo zio in abilità, aveva infatti inventato la sega .   Essendo geloso perché tuttavia la fama andava a Talo, Dedalo decise di ucciderlo, spingendolo dal tetto del tempio d’Atena. Dedalo chiuse il corpo di Talo in una sacca, per seppellirlo in un luogo deserto. Interrogato dai passanti, Dedalo rispose che nel sacco c’era un serpente, ma camminando apparvero delle macchie di sangue sulla sacca. L’anima di Talo vola sotto forma di pernice, e l’aereopago lo condanna all’esilio. Dedalo fu accolto a Cnosso, a Creta, dal re Minosse.Egli visse per molto tempo a Cnosso, fino a quando il re Minosse seppe che egli aveva aiutato Pasifone ad accoppiarsi con il toro bianco di Poseidone. Dedalo e Icaro furono così rinchiusi nel labirinto. Pasifone li liberò. Fuggire da Creta non era un’impresa facile.   Dedalo dopo aver visto il volo degli uccelli costruì delle ali per la fuga.Dedalo raccomandò ad Icaro di non avvicinarsi nè troppo al sole nè troppo al mare  . Mentre si allontanavano dall’isola in volo tutta la gente li guardava come se fossero delle divinità. Icaro volle avvicinarsi al sole ma ad un certo punto le sue ali andarono a fuoco e precipitò . Dedalo se ne accorse quando vide in mare un po’ di piume che galleggiavano. Infatti il calore aveva sciolto la cera, e Icaro era finito in mare annegandovi.Dedalo portò suo figlio per seppellirlo su un isola che venne chiamata Icaria.Una pernice lo osservò scavare e squittì di gioia, era Talo finalmente vendicato.

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Orfeo era un poeta e un musico. Le Muse gli avevano insegnato a suonare la lira, ricevuta in dono da Apollo. La sua musica e i suoi versi erano così dolci e affascinanti che l'acqua dei torrenti rallentava la sua corsa, i boschi si muovevano, gli uccelli si commuovevano così tanto che non avevano la forza di volare e cadevano, le ninfe uscivano dalle querce e le belve dalle loro tane per andare ad ascoltarlo . La sua sposa era la ninfa Euridice, ma non era il solo ad amarla: c'era anche Aristeo e un giorno Euridice, mentre correva per sfuggire a questo innamorato sgradito, era stata morsa da un serpente nascosto tra l'erba alta ed era morta all'istante. 

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Orfeo allora aveva deciso di andare a riprendersela ed era sceso nell'Ade, nell'oscuro regno dei morti. Con la sua musica era riuscito a commuovere tutti: Caronte lo aveva traghettato sull'altra riva dello Stige, il fiume infernale; Cerbero, l'orribile cane con tre teste, non aveva abbaiato; le Erinni, terribili dee infernali (Aletto, Tisifone e Megera), si erano messe a piangere. I tormenti dei dannati erano cessati (Tantalo non aveva più fame e sete...) e ogni creatura, compresi il dio Ade e sua moglie Persefone, aveva provato pietà per la triste storia dei due innamorati. Così Ade aveva concesso ad Orfeo di riportare Euridice con sé, ma a un patto: Euridice doveva seguirlo lungo la strada buia degli inferi e lui non doveva mai voltarsi a guardarla prima di arrivare nel mondo dei vivi . Avevano iniziato la salita: avanti Orfeo con la sua lira, poi Euridice avvolta in un velo bianco e infine Hermes, che doveva controllare che tutto si svolgesse come voleva Ade.Orfeo resterà fedele al suo amore per Euridice e morirà ucciso dalle Menadi, le sacerdotesse di Dioniso, che lo faranno a pezzi, gettando i suoi resti nel fiume Ebro. La  sua testa, caduta sulla lira, resterà a galla sull'acqua. Così Zeus, commosso, deciderà di mettere la testa di Orfeo in mezzo al cielo, nella costellazione della Lira.

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Fu così che per volontà della Pizia, sacerdotessa di Apollo, Ercole dovette andare esule presso il re Euristeo di Tirinto, che gli impose una serie di prove da affrontare per espiare la sua colpa. Sono le dodici famose fatiche, che Ercole riuscì a portare a termine, ottenendone in premio l'immortalità.Tali imprese, pur con varianti nella loro successione, in età ellenistica, sono:1) L'uccisione del leone di Nemea, mostro dalla pelle invulnerabile, che devastava il paese e divorava gli abitanti e i loro armenti. Eracle lo strozzò con le mani e dopo averlo scuoiato si rivestì della sua pelle come di un impenetrabile corazza, usandone la testa come elmo (questa, insieme alla grande, nodosa clava, che egli stesso si era fabbricata, fu poi la sua "divisa" nell'iconografia greca e romana).2) L'uccisione dell'Idra di Lerna, un drago mostruoso con cinque o sette o più teste esalanti alito mortale, che distruggeva i raccolti e le greggi. Quando Eracle cominciò a tagliare le teste con la spada si accorse che da ognuna ne ricrescevano due, per cui, con l'aiuto dell'auriga Iolao, che fu suo compagno e aiutante, le bruciò con tronchi infuocati; la testa centrale, che era immortale, la schiacciò con un masso; infine intinse nel sangue del mostro le sue frecce, che da quel momento, quando andavano a segno, provocavano ferite che non si rimarginavano mai.

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3) La cattura della cerva di Cerinea (monte tra l'Arcadia e l'Acaia), che aveva le corna e gli zoccoli d'oro ed era sacra ad Artemide; per questo doveva essere catturata viva. Eracle le diede la caccia per un anno, inseguendola fino alla terra degli Iperborei, e alla fine riuscì a catturarla.4) La cattura del cinghiale di Erimanto, che infestava e recava gravi danni nelle regioni vicine: Euristeo gli aveva comandato di catturarlo e portarglielo vivo. Eracle riuscì ad afferrarlo e immobilizzarlo, poi lo legò per bene e se lo caricò sulle spalle. Mentre l'eroe si trovava sulla via per il compimento di questa impresa, era stato ospitato dal centauro Folo, che gli aveva offerto del vino, il cui odore aveva attirato altri Centauri; ne era nata una zuffa durante la quale Eracle ne aveva uccisi alcuni e altri li aveva ricacciati a Malea, presso il centauro Chirone, ridotto in fin di vita perché ferito per errore da Ercole durante la colluttazione.5) La pulizia delle stalle di Augia, re degli Epei nell'Elide: erano piene del letame accumulatosi da anni dagli immensi armenti del re. In un solo giorno Eracle riuscì a ripulirle, immettendovi la corrente di due fiumi, che portarono via tutta la sporcizia con l'impeto dell'acqua.

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6) L'annientamento degli uccelli di Stinfalo (lago dell'Arcadia), che avevano artigli, becco e anche penne di bronzo, che scagliavano come frecce, e si nutrivano di carne umana. Eracle ne uccise alcuni con le armi di cui disponeva: frecce, clava e pietre, e gli altri li cacciò spaventandoli con alcuni sonagli di bronzo, opera di Efesto, che gli erano stati donati da Atena.7) La cattura del Toro di Creta (da non confondersi con il Minotauro), che era stato mandato da Poseidone al re Minosse, e poi, reso furioso dal dio perché Minosse non gliel'aveva sacrificato secondo la promessa, seminava il terrore nell'isola distruggendo le campagne. Eracle riuscì a catturarlo e a riportarlo vivo a Micene.8) La cattura delle cavalle di Diomede, re dei Bistoni in Tracia, che si nutrivano di carne umana, fornita loro dal re attraverso l'uccisione di tutti gli stranieri che passavano per la sua terra. Eracle le legò, diede loro in pasto lo stesso Diomede, e le portò vive al re Euristeo, come egli aveva richiesto.

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9) La conquista della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, che era stata un dono di Ares per simboleggiare il potere; ma era desiderata da Admeta, figlia di Euristeo la desiderava e ad Eracle fu comandato di impadronirsene. Egli si recò quindi a Temiscira, la città delle Amazzoni, accompagnato da altri eroi come Teseo, Peleo, Telamone. Le Amazzoni presero subito le armi e ne nacque una zuffa in cui Ippolita fu uccisa ed Eracle portò via la cintura. Secondo un'altra tradizione, ottenne la cintura, ma non uccise Ippolita, bensì la dette in sposa a Teseo.10) I buoi di Gerione, mostro orrendo che dalla cintura in su aveva tre corpi, erano custoditi in grandi armenti nell'isola di Eritea (collocabile in qualche punto del Marocco) da un gigantesco pastore e da un cane bicipite. Per prenderli Eracle si recò nell'estremo Occidente sul carro del Sole, ammazzò i guardiani e portò via i buoi; trafisse con le frecce anche Gerione, che l'aveva inseguito, e riuscì a guidare le bestie fino alla reggia di Euristeo, facendo fronte a vari imprevisti, tra cui un assalto dei briganti liguri Alchione e Dercino, figli di Poseidone, che gli volevano rubare i buoi, e un tafano inviato dalla solita Era, che innervosì e disperse parte dell'armento.11) I pomi d'oro delle Esperidi erano stati regalati da Gea ad Era per le sue nozze con Zeus; erano custoditi dalle Esperidi in un giardino nell'estremo Occidente presso il monte Atlante, e guardati dal drago Ladone. Eracle si recò in quell'estremo paese, uccise Ladone, prese tre pomi e li portò a Euristeo. Tale racconto si arricchì poi di molti particolari: l'uccisione del gigante Anteo che l'aveva sfidato a combattimento, la cui caratteristica era di essere invincibile finché teneva i piedi ben saldi sulla terra; Eracle lo afferrò, lo sollevò in aria e infine lo soffocò.

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Poi, giunto al Caucaso, trovò Prometeo incatenato ad una rupe per la condanna di Zeus, avendo egli osato donare agli uomini il fuoco divino, e lo liberò. Nel prosieguo del viaggio incontrò Atlante, condannato da Zeus a reggere sulle spalle la volta del cielo; Eracle si offrì di sostituirsi a lui purché Atlante lo aiutasse a rubare le mele e uccidere il drago; ma dopo dovette giocare di astuzia per ristabilire i ruoli - perché Atlante non voleva riprendersi il proprio carico - e fuggire con i pomi. Questi ultimi, però, dopo poco tempo furono riportati da Atena al loro posto, dove sarebbero rimasti per sempre, perché a nessun mortale era concesso il possesso di quei frutti che davano al loro proprietario la conoscenza degli arcani e la percezione del bene e del male.12) La cattura di Cerbero, il mostruoso cane tricipite che stava a guardia dell'Ade, fu l'ultima fatica di Eracle, quella che l'avrebbe finalmente liberato dalla servitù di Euristeo. L'eroe fu per ordine di Zeus aiutato da Ermes e da Atena, che gli permisero di giungere alle porte degli Inferi dove ebbe molti incontri e avventure: l'incontro con la gorgone Medusa, l'incontro con Meleagro, la liberazione di Teseo, la zuffa col pastore di Ade. Ade gli impose di catturare Cerbero senza fare uso delle armi: permetteva all'eroe di portare il mostruoso animale verso la luce, con l'impegno che lo restituisse subito al regno al quale per sempre doveva appartenere. Eracle dette la sua parola: strinse alla gola Cerbero, lo condusse da Euristeo ma poi lo riportò indietro.

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Il re della Colchide odiava gli stranieri. Li odiava talmente che uccideva chiunque mettesse piede nel suo paese. Ma quando seppe che Giasone e la sua banda di eroi erano appena approdati in cerca del vello d'oro, fece un sorriso maligno. «Affiderò a questo grande eroe un'impresa impossibile e solo dopo ucciderò lui e i suoi seguaci» disse alla figlia, la maga Medea. Così il re li accolse benevolmente e, quando gli spiegarono la ragione del loro arrivo, fece finta di essere sorpreso. «Non lo sapete che chiunque voglia prendere quel vello deve prima fare qualcosa per me? Ho un campo che dev'essere arato e seminato, vuoi pensarci tu, visto che sei il loro capo?» disse, rivolto a Giasone. Giasone accettò subito, ma fu sbalordito quando vide gli animali che tiravano l'aratro e ancor più sconcertato quando vide che cosa doveva seminare. L'aratro era aggiogato a due tori che mandavano fiamme dalle narici, bruciando chiunque si avvicinasse, e i semi erano denti di drago. «Hai tempo fino a domani all'ora del tramonto» disse il re.

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Era sapeva che Giasone non ce l'avrebbe mai fatta da solo, allora chiamò Afrodite. «Fà in modo che la figlia del re si innamori di Giasone» le ordinò. «Lei saprà come aiutarlo.» Afrodite spedì subito il figlio Eros a colpire la fanciulla con le sue piccole frecce d'amore e poco dopo ecco Medea che strisciava furtiva nella stanza del giovane. «Ti amo» gli sussurrò. «E posso aiutarti. Prendi questo unguento e spalmatelo sul corpo: cosi sopporterai il calore emanato dai tori e potrai arare il campo.» Protetto dall'unguento, Giasone completò il lavoro e si accinse a seminare i denti di drago. D'improvviso, dai solchi spuntarono centinaia di guerrieri di pietra, ma Giasone li prese a sassate e cominciarono a combattersi tra loro. All' ora del tramonto erano tutti morti. Furibondo, il re ordinò ai suoi soldati di uccidere Giasone e i compagni l'indomani all'alba. Ma Medea lo aveva spiato e corse subito da Giasone. «Devi andartene!» gli disse. «Ti guiderò al bosco sacro e userò le mie arti magiche per addormentare il drago che custodisce l'albero. Così potrai rubare il vello d'oro e poi fuggiremo insieme!» Giasone le diede un bacio e uscirono dal palazzo in punta di piedi. Il bosco era cupo e tenebroso, ma lassù, appeso ai rami più alti, il vello d'oro splendeva come mille soli

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Rapidamente Medea cominciò a recitare una filastrocca magica e poco dopo il terribile drago chiuse i suoi enormi occhi con un sospiro beato. Giasone scavalcò il gigantesco corpo squamoso e strappò dal ramo il prezioso vello. Mentre correva con Medea verso la nave, squillarono cento campane d'allarme e cominciò a rimbombare uno spaventoso frastuono di passi: erano i soldati del re che li inseguivano. Appena in tempo saltarono sul ponte e gli Argonauti si gettarono sui remi finché la Colchide fu lontanissima. Con il vello d'oro finalmente conquistato, Giasone poté tornare a lolco e riprendersi il trono usurpato dal perfido zio Pelia.

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Molto tempo fa, vivevano le Ninfe, bellissime fanciulle, vestite di veli impreziositi da fili d'oro e d'argento. Esse avevano lunghissimi capelli, che pettinavano specchiandosi nei laghetti e nei ruscelli. Amavano ballare e cantare e la loro voce era talmente melodica che incantava chiunque le sentisse. Oltre alle Ninfe, c'erano anche i Satiri, giovani fannulloni, sempre pronti a divertirsi ed uno di loro si chiamava Pan. Pan, era il dio dei pastori, il suo aspetto era orribile e deforme; al posto dei piedi aveva due zoccoli da caprone, il suo viso era rugoso e le sue orecchie erano appuntite.

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Inoltre sulla fronte, aveva due corna da capra che lo rendevano pauroso. Pan trascorreva intere giornate a suonare il suo flauto fatto di canne e spesso cantava.Un giorno, egli udì una bellissima voce provenire da un cespuglio; subito si mise a sbirciare e vide una bellissima Ninfa che raccoglieva fiori. Il suo nome era Eco e Pan, fu talmente incantato dalla sua bellezza che le si avvicinò e disse:" Oh, stupenda creatura, tu sarai la mia sposa!". Eco rimase terrorizzata alla vista di quell'essere mostruoso e subito corse via urlando e pregando Pan di lasciarla in pace.Ma Pan non smetteva di inseguirla e la Ninfa cercava di nascondersi nel bosco, finché sfinita trovò una caverna ed entrò per rifugiarsi. Eco era innamorata di Narciso, un bellissimo giovane, che amava la caccia, e, ancora piena di spavento incominciò a chiamarlo sperando che accorresse in suo aiuto.

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Eco lo chiamò per ore ed ore, ma Narciso non arrivava. La povera Ninfa trascorse così giorni e giorni nascosta nella buia caverna chiamando continuamente il suo amato, ma inutilmente. Narciso,aveva un cuore arido ed era talmente pieno di superbia e fiero di sé che non aveva attenzioni per nessuno tranne di sé stesso. Un giorno, mentre cacciava, udì le invocazioni di Eco e, quando capì dalla voce che si trattava di lei, si avvicinò alla caverna e disse:" Devo continuare la caccia, non posso perdere tempo... poi per una Ninfa" e proseguì. Gli dei, che dall'Olimpo avevano visto il comportamento di Narciso, decisero che una simile crudeltà non poteva rimanere impunita.Così decisero che, Narciso, dal cuore di pietra, dovesse provare sentimento soltanto per sé stesso e per la sua bellezza. Trascorsero giorni e intanto faceva molto caldo e, il giovane, stanco e assetato si mise in cerca di uno stagno per dissetarsi.

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Quando lo trovò si sporse per bere e vide la sua immagine riflessa nell'acqua e,sbalordito esclamò:" Che sublime bellezza, non posso più vivere senza che essa risplenda continuamente nei miei occhi".Narciso s'innamorò all'istante di sé stesso e da quel momento rimase fermo immobile senza mai staccare il suo volto riflesso nello stagno, come in preda ad un incantesimo. Intanto il sole iniziava a calare e, Narciso cominciava a perdere le forze, non riusciva a muoversi e il suo viso piano piano impallidiva sempre più. Rimase così a lungo finché non morì.

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Bella, fiera, saggia, La Dea Minerva amava i tumulti delle battaglie, dove i volti degli eroi sembravano trasfigurati da una luce gloriosa. Ma Minerva, era donna e amava anche e, non meno, le tranquille gioie della pace. Le sue instancabili dita sapevano tessere meravigliosamente bene e sapevano creare ricami preziosi arazzi di mirabile fattura. Nessuna dea, nessuna Ninfa, nessun mortale potevano starle a paragone e, le donne di Grecia si vantavano di essere abili a ricamare perfettamente, perché lo avevano appreso dall'arte incomparabile della dea guerriera. Ma nella Lidia abitava una  fanciulla orgogliosa, Aracne, la quale non voleva saperne di dovere la propria bravura agli insegnamenti divini. Tesseva, cuciva, e ricamava così bene che, per ammirare le sue tele smaglianti,le Ninfe scendevano dai verdeggianti recessi dei boschi e, curvandosi stupite sul telaio di Aracne, le chiedevano: "Ti ha insegnato la saggia Minerva a tessere così, o Aracne dalle dita divine?" "Nessuno mi ha insegnato." rispondeva la fanciulla. "Io ricamo col mio cuore e con l'abile pazienza delle mie dita".

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Minerva seppe dalle Ninfe pettegole la risposta orgogliosa della fanciulla di Lidia e scese sulla terra sotto forma di una vecchia rugosa."Toc toc!..." fece la Dea picchiando alla porta della fanciulla. "Hai un tozzo di pane per questa vecchina stanca?" "entra pure nonnina" rispose Aracne, che stava come al solito tessendo al telaio. "Che tele meravigliose!" esclamò la vecchietta accostandosi. "E che merletti fini e leggeri!" Solo la guerriera figlia di Giove,la saggia Minerva, potrebbe farne di così belli". "Vorrei che venisse qui a misurarsi con me! Credo che la vincerei la dea che si crede invincibile!". disse Aracne. "Tu credi? Ascolta la saggezza dei miei capelli bianchi, Aracne; non essere così orgogliosa e non sfidare gli dei, potresti pentirtene!" "E perché? Né dea né donna può superare la mia abilità sul telaio! Perché pentirmene?" ribatté sicura la fanciulla, accarezzando le sete smaglianti che le servivano  a ricamare

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 "E allora accetto la sfida!" gridò indispettita la dea. E nello stesso attimo le sue rughe cave scomparvero, i capelli bianchi si accesero di bagliori dorati, la schiena curva si raddrizzò. Dinanzi agli occhi stupiti di Aracne,  il corpo della dea si erse, splendido di bellezza, e un lampo di minaccia folgorò la tessitrice tremante."Siediti, cominciamo la gara!" impose la dea. E le due fanciulle ciascuna dinanzi ad un telaio si misero al lavoro. Per giorni e notti silenziose, instancabili, rimasero chine sugli arazzi da ricamare. Aracne, istoriò gli episodi più belli della vita dei Numi e Minerva la magnificenza dell'Olimpo. Alla fine i due lavori avevano raggiunto una tale bellezza da sembrare viventi scene da sogno; sugli sfondi vellutati delle sete le figure e gli alberi e i fiori balzavano stupendamente in rilievo e nessuno avrebbe potuto dire se la palma spettasse alla dea o alla fanciulla di Lidia. Ciascuna tela aveva una propria magnificenza.

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Minerva, irritata, strappò in cento pezzi il lungo lavoro di Aracne, gridando: "Orgogliosa donna, tu devi morire, poiché hai sfidato oltraggiosamente una dea!". Ma poi, impietosita dalle lacrime della fanciulla, che, dopo aver visto il suo paziente ricamo di tante notti finire in brandelli, attendeva terrorizzata la morte aggiunse:"Invece di darti la morte, voglio essere generosa  con te, tu vivrai, ma la tua vita sarà eternamente appesa ad un filo!"La toccò sulle spalle con la lancia dorata e la tessitrice si fece piccola piccola, il corpo le si aggrinzì, il capo divenne un peloso batuffolino nero, le gambe snelle si trasformarono in tante zampette sottili. La fanciulla era diventata un grosso ragno nero! E da quel giorno, eternamente, tessé le sue tele sottili negli angoli tranquilli, le tese tra i rami e i cespugli, ove l'ombra cupa dei boschi le circondava di umidi vapori, le tese ove il Sole, sfolgorando lieto sul mondo, le faceva scintillare di riflessi cangianti.

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Paride è una figura della mitologia greca, figlio secondogenito di Priamo, re di Troia.Principe troiano, esposto ancora neonato sul monte Ida a causa delle profezie funeste che lo accompagnarono sin dalla nascita, visse da pastore fino a quando non fu scelto dagli dèi affinché desse il suo giudizio sulla più bella fra le dee Era, Athena ed Afrodite.Riconosciuto dal padre, rientrò a corte e partì in missione diplomatica per Sparta, dove conobbe Elena, moglie di Menelao, la donna più bella del mondo. Paride rapì quindi Elena e la portò con se a Sparta.Nel corso della guerra che ne seguì, affrontò Menelao in duello e fu salvato dalla morte per intervento di Afrodite; in battaglia si distinse tra i migliori nel tiro con l'arco e fu destinato ad uccidere Achille.

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Figlia o sorella di Fenice, sovrano eponimo della Fenicia, o di Agenore, padre di Fenice, Europa è presente nella mitologia greca per le sue leggendarie nozze con Zeus. Racconta il mito che il dio vide un giorno Europa mentre raccoglieva fiori in un prato vicino al litorale fenicio e se ne invaghì. Per farla sua, si trasformò in un toro dall'aspetto meraviglioso e odorante di zafferano e si avvicinò alla fanciulla invitandola a salire. Presa dal suo fascino, Europa salì sul dorso del toro-dio, che la portò con sé a Creta e la sposò. Dalle nozze di Europa e Zeus nacquero tre figli: Minosse, Radamanto e Sarpedonte. "Gli studiosi hanno riconosciuto in questa vicenda una storia sacra connessa con il dio celeste cretese, identificato spesso con Zeus; in particolare lo sposo di Europa configurerebbe l'aspetto taurino ed oscuro di quel dio. Il Ratto di Europa, tratto da un mosaico di Sparta del III secolo d.C., è stato scelto dalla Grecia per decorare la faccia nazionale della moneta da 2 €.

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Artemide (in greco: Ἄρτεμις, Ἀρτέμιδος), nella mitologia greca è figlia di Zeus e Latona e sorella gemella di Apollo. Fu una tra i più venerati dei dell'Olimpo oltre ad essere una delle divinità la cui origine può essere fatta risalire ai tempi più antichi. Il cervo e il cipresso erano i suoi simboli sacri. Artemide era adorata e celebrata allo stesso modo in quasi tutte le zone della Grecia, ma i più importanti luoghi di culto a lei dedicati si trovavano a Delo (sua isola natale), Braurone, Munichia (su una collina nei pressi del Pireo) ed a Sparta. Era la vergine dea della caccia, della selvaggina e dei boschi. Era adorata anche come dea del parto e della fertilità perché si diceva avesse aiutato la madre a partorire il fratello Apollo. Durante l'epoca classica ad Atene veniva identificata con Ecate.

La moglie di Zeus, Era, per poter mettere al mondo apollo e artemide era costretta a trovare un luogo che non avesse mai visto la luce del sole: per questo motivo Zeus fece emergere dal mare un'isola fino ad allora sommersa che, il sole non aveva ancora toccato. Si trattava dell'isola di Delo e Latona. Vi partorì aggrappata ad una palma sacra. Artemide nacque per prima, dopo soli sei mesi di gestazione ed aiutò quindi la madre a dare alla luce Apollo che nacque invece il settimo mese.

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Un giorno Artemide stava facendo il bagno nuda in una valle sul monte Citerone quando arrivò il principe tebano Atteone, che stava andando a caccia. Si fermò a guardarla, affascinato dalla sua incantevole bellezza, e ne fu talmente incantato che, senza accorgersene, calpestò un ramo e per il rumore Artemide si accorse di lui. Restò così disgustata dal suo sguardo fisso sul suo corpo nudo che decise di lanciargli addosso dell'acqua magica e trasformarlo in un cervo: in questo modo i suoi cani, scambiandolo per una preda, lo uccisero sbranandolo. Una versione alternativa della storia narra che Atteone si fosse vantato di essere un cacciatore migliore di lei e che quindi la dea lo trasformò in cervo, facendolo divorare per vendetta.

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Un poema di Callimaco : "la dea che si diverte usando l'arco sulle montagne" – immagina un suggestivo aneddoto sulla sua infanzia. Giunta all'età di tre anni Artemide, sedendo sulle ginocchia del re degli dei, chiese al padre Zeus di far avverare alcuni suoi desideri: per prima cosa chiese di restare per sempre vergine, poi di non dover mai sposarsi e di avere sempre a disposizione cani da caccia con le orecchie basse, cervi che tirassero il suo carro e ninfe come compagne di caccia (" sessanta fanciulle danzanti, figlie di Oceano, tutte di nove anni, tutte piccole ninfe di mare"). Il padre la assecondò e realizzò i suoi desideri. Tutte le sue compagne rimasero così vergini ed Artemide vigilò strettamente sulla loro castità.

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Zeus (in greco Ζεύς) nella mitologia greca è il re degli Dei, il sovrano dell'Olimpo, il dio del cielo e del tuono. I suoi simboli sono la folgore, il toro, l'aquila e la quercia.Figlio di Crono e Rea, era il più giovane dei suoi fratelli e sorelle: Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Nella maggior parte delle leggende era sposato con Era, anche se nel santuario dell'oracolo di Dodona come sua consorte si venerava Dione: secondo l'Iliade Zeus è il padre di Afrodite, avuta con Dione. È comunque famoso per le sue frequentissime avventure erotiche extraconiugali, tra le quali si ricorda anche una relazione omosessuale con Ganimede, e anche un'altra con Euforione, figlio immortale nato da Achille. Il frutto dei suoi numerosi convegni amorosi furono i suoi molti celeberrimi figli, tra i quali Atena, Apollo e Artemide, Hermes, Persefone, Dioniso, Perseo, Eracle, Elena, Minosse e le Muse. Dalla moglie Era secondo la tradizione ebbe Ares, Ebe, Efesto ed Ilizia.Zeus è noto per l'abitudine a punire coloro che finivano fuori dalle sue grazie colpendoli con le sue saette oltre che, al pari di altri dei, trasformandone le sembianze.

Zeus

Tempio di Zeus Paestum

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Nella mitologia greca, Atena figlia di Zeus e della sua prima moglie Metide, era la dea della sapienza, particolarmente della saggezza, della tessitura, delle arti e, presumibilmente, degli aspetti più nobili della guerra, mentre la violenza e la crudeltà rientravano nel dominio di Ares. La sapienza rappresentata da Atena comprende le conoscenze tecniche usate nella tessitura e nell'arte di lavorare i metalli. I suoi simboli sacri erano la civetta e l'ulivo. In tempo di pace gli uomini la veneravano poiché a lei erano dovute le invenzioni di tecnologie agricole, navali e tessili, mentre in tempo di guerra, fra coloro che la invocavano, aiutava solo chi combatteva con l'astuzia (Metis) propria di personaggi come Odisseo. Atena ha sempre con sé la sua civetta, o nottola, indossa una corazza di pelle di capra chiamata Egida (per alcuni storici l'Egida è in realtà uno scudo) donatale dal padre Zeus, ed è spesso accompagnata dalla dea della vittoria Nike. Quasi sempre viene rappresentata mentre porta un elmo ed uno scudo cui è appesa la testa della Gorgone Medusa, dono votivo di Perseo. Atena è una dea guerriera e armata: nella mitologia greca appare come protettrice di eroi quali Eracle, Giasone e Odisseo. Non ebbe mai alcun marito o amante, e per questo era conosciuta come Athena Parthenos (la vergine Atena); da questo appellativo deriva il nome del più famoso tempio a lei dedicato, il Partenone sull'acropoli di Atene. Dato il suo ruolo di protettrice di questa città, è stata venerata in tutto il mondo greco anche come Athena Polis (Atena della città). Il suo rapporto con Atene era davvero speciale, come dimostra chiaramente la somiglianza tra il suo nome e quello della città

Tempio di Atena Paestum

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Atena fu la dea delle arti femminili del tessere, del filare, del cucinare, ed anche dea della guerra che, però, a differenza di Ares non ebbe un carattere violento ed aggressivo. A differenza degli altri dei, la dea Atena nacque senza madre, infatti, lei venne al mondo uscendo dalla testa di Zeus. Prima di Sposarsi con Hera, Zeus ebbe diverse mogli tra cui Temi, Mnemosine e Meti. Meti era la signora della prudenza, e quando era ancora la moglie di Zeus, gli annunciò di aspettare un figlio, lui rallegratosi della buona notizia andò dalla madre Rea per condividere la gioia con lei. Rea gli profetizzò che Meti avrebbe avuto una figlia, ma se avesse avuto un altro figlio, questo l’avrebbe spodestato proprio come lui fece con Crono. Zeus terrorizzato dalla notizia profetizzata dalla madre, decise, di sacrificare l’amore di Meti e, un giorno, mentre i due stavano riposando, egli aprì la bocca e la inghiottì. Nessuno seppe quale fine capitò a Meti, ma Zeus dopo un po’ di tempo iniziò ad avvertire forti mal di testa e mentre passeggiava lungo le rive di un fiume, il dolore si fece più acuto. Dall’Olimpo, scesero tutti gli dei ed Ermes, che era astuto, indovinò subito l’origine del male, quindi prendendo una lama affilata fece una piccola fenditura nel cranio di Zeus, dove, da questa, uscì Atena. Essa fu venerata come protettrice della città d’Atene alla quale assegnò il nome, e dove fu anche nominata Atena degli ulivi perché, fu proprio quest’albero che la

dea fece crescere attorno alle mura di cinta della città.

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A CURA DELLA CLASSE 1 sez. cAnno scolastico 2009 - 2010