La mia città è Cagliari

Versi e pensieri di

Francesco Verona

Francesco Verona, studi classici, laurea in medicina, specializzazione in cardiologia. Pittore. Studioso dell’arte antica e moderna, con particolare riguardo alle espressioni artistiche orientali e africane. Appassionato di musica. Poeta. Diverse pubblicazioni, diversi premi. Per stile, per temi per lessico dimostra una profonda fecondità creativa. Il dialogo lirico è efficace, moderno, attuale, si fonde con visioni cromatiche e risonanze razionali in echi psicologici e sentimenti lirici. Si sviluppa su paradigmi d’amore e sofferenze, delusioni ma anche speranze. (Giuria del premio letterario “Il platano d’oro”)

In copertina: Kar El la città di Dio. Olio su tela di F. Verona (Particolare)

Nella mia finitudine io sono infinito come la formica che può perire sotto le ruote sgonfie di una bicicletta. Cerco i contrasti che non trovo fra gli accordi perduti del mio secolo e la linea si disunisce in frammenti simboli d’intelligenza del mio tempo astrale.

Una barca di legno conchiglia di legno. Cominciai a remare nell’acqua serena. Cominciai a volare nel cielo cinerino nel sole fra il sole e la luna raggiunsi le stelle belle stelle con creature del sogno. C’erano Brunilde e Sigfrido Venere e Adone Osiride e Net. Mi sedetti fra loro per bere una coppa di vino. Si avvicinò una silfide che tra vesti di seta mi diede l’amore profano. Cercai la Madonna, non era tra loro. Trovai un angelo con ali dorate aveva belle sembianze i capelli biondi sul collo e un’aria verginale.

Gli chiesi qualcosa ma lui non parlava. Sparì nella luce più forte che non era del sole, la luce veniva di lontano ed erano tante farfalle con ali dorate con belle sembianze e un’aria musicale. Non chiesi più nulla per lasciarmi cullare nel pentagramma della loro esistenza.

Beati i poveri di spirito perché toccano il cielo con un dito. Felicità della stoltezza umana! Chi mai poté toccare l’essere senza sentire brividi chi la sapienza senza insonnia chi travisare il male per il bene, andare felici vestiti di stracci per una meta che ha solo un sacrario d’apparenza e d’ossa. Non toccare il cielo con il dito per non bruciarti l’esistenza. Ma la felicità è portare la croce dell’amore sacrale che con l’universo fonde nell’unica certezza.

Il silenzio della notte è una porta dell’antro fra me e l’assoluto. Quando tutto dorme il mio pennello scorre sulla tela a comporre le note del creato.

L’ulivo del mio giardino non mi dà pace con il suo stormire. *

Un gatto miagola lontano nel buio. Non so se lanciargli un sasso o accarezzarlo. *

Voglio che gli uccelli dell’alba facciano strepiti per riportarmi alla vita.

Stanotte m’infilerò nel letto per svegliarmi nell’altra dimensione. *

Il sogno è la mia realtà. Cavalli, polvere, praterie e in cima alla montagna Mio Padre. *

Ho perduto la mia gente in tutti questi anni passati. Mi sono svegliato e non ero circonciso.

Giulia non era una ragazza piacente, aveva il naso all’insù e due mandorle d’occhi. Giulia che amava al calar della notte quando le stelle si nascondono dietro le nuvole. Giulia un giorno prese il timone. La barca navigava di bolina. Giulia non sapeva navigare nel mare della vita.

Cagliari con le luci antelucane riporta alla greppia Barbara, Paola e Santa Maria. Barbara Paola e Santa Maria sono legate con l’ancora a poppa. Le svuotano nel ventre braccia di sirene velieri e cuori trafitti per Anna. S’inuna la torre avvolta da un cielo cilestrino e vortici di rondini. Un tempo gli strilloni svegliavano Barbara Paola e Santa Maria con le loro notizie.

Cagliari fu fondata dai Fenici. Ora viene sfondata dagli assessori regionali. I Signori del Palazzo si sono costruiti un castello per dirsi le loro parolacce. Mi hanno tolto la vista al mare. Non vedrò mai più Barbara Paola e Santa Maria. Forse le bruceranno. La darsena ha allineato tante barche sui moli. Non gridate di notte potreste svegliarle. E pensare che la vita non è un sogno.

Le porte del Liceo si aprono ancora al suono della campana. Io aspetto sempre che esca Maria coi libri sottobraccio e che mi venga incontro con la sua giovinezza.

Dov’era la libreria ora c’è una pizzeria. Meno male che non hanno pensato ancora al fast food.

Non ho più visto la statua di Carlo Felice col cappellino delle matricole... forse non ci sono più matricole.

Al mercato di San Benedetto i pesci non puzzano più chissà se è magia della chimica o dei Rolex d’oro.

Ai tempi del Liceo mi avevano convinto che l’Ente Supremo è Dio. Ora so che è l’INPS.

Vi sono molti negozi a Cagliari che ricordano Wall Street o Piccadilly. Anche l’annunciatore della televisione locale che ritiene la questione... sab giadis (sub judice)

Le vie di Cagliari pullulano di ragazzi col serto dell’alloro. Per fortuna ogni tanto qualcuno trova una bacca matura e la contende all’augellino che comunque non l’avrebbe mangiata.

Il sole ha dimenticato via del Fossario

e chi vi abita. Un fulmine ha colpito la Cattedrale. Riparatela perché non crolli come un castello di carta. I Vescovi si riuniscono in concilio. Bisogna riparare l’ovile.

I Sanculotti hanno occupato i primi posti in platea. Sarà un bel da fare domani per gl’inservienti. Si può capire una lingua sconosciuta se il gesto è perfetto. Se si sfronda un albero fino all’osso non resta che l’osso. Non ho pretese di insegnar niente a nessuno se non l’abbecedario.

Con gli ultimi scavi fatti in Viale Trieste hanno capito che i nostri antenati avevano il primario problema di costruire statue e convogliare la cacca al mare

Signore Dio Eterno Padre Madre

hai costruito l’uomo come hai creduto.

Giusto! E ti sei dilaniato

per rifarlo. *

Un ragno si è impigliato

nella sua tela ha cercato di liberarsi.

Poi l’ho visto impiccato.

Nel freddo del freezer conserviamo i nostri pensieri

il sole potrebbe dissolverli.

*

Ieri tornando dalla calca

della banca ho visto un cieco Aveva una visione perfetta

del mondo.

All’Università conobbi Luce. Spaccavamo le reni alle cavie noi due per la sapienza e andammo avanti dimenticando Dio in un angolo dello stabulario. A Luce dissi Tu eri

quando ancora l’elitre lambivo per non vibrare luci antelucane vetta

fra nubi di celeste cristallino.

Una pioggia fine che distorce

storia e tempo che contorce Spazi

Amore Luce

che scuce tessuto antico di colori e gesti. Fosti dall’acque e dalla terra

emersa e poi dispersa.

L’aria ti raccolse cuore che non geme

e spreme linfe d’eterno.

Poi volò verso il sole e mi lasciò col bicchiere vuoto al bar dell’angolo.

La poesia è qualcosa che dal profondo sale se lo è chiesto anche Montale. O son parole spicciole importanti, significanti contrastanti messe qua e là nel rigo o nello spazio d’un pentagramma per un’assonanza. Dire

fare guardare

amare Poem

La musa dà l’ispirazione sullo scoglio, al tramonto * All’improvviso

vedo una vela vera su mare argento

andare. Oleandri

profumo di silfidi vaghe albagianti intorno a me graziosamente. Seduto sulla roccia

rosa dall’onda lascio ai pensieri di scivolar

col sole all’orizzonte

e su di me si fa dell’infinito

il buio.

Le Sacre Scritture dicono che l’uomo è una bussola A= Arthus D= Disi A= Anatol M= Mesembria ciò significa Nord - Ovest Est - Sud. Dovremmo riuscire ad orientarci meglio

Aveva ragione Monod? Se Monod aveva ragione nondimeno Democrito era nel vero. Essere nella misura questa è la Càbala. Chissà cosa significa ciò pregno di significato significante. Il fatto è che l’assurdo è l’assurdità della vita.

Mi sono innamorato di cento ragazze e cento ragazze si sono innamorate di me. Io non posso amare cento ragazze e il mio cuore geme. Fu la notte di Natale che conobbi Bianca. *

Tu non eri l’angelo che credevo quando in chiesa nell’ora del mistero volgesti gli occhi al cielo forse a cercare una crepa nel muro od una ragnatela che coprisse le nudità di nostro Signore per meglio risaltarne gli effetti del pennello. Ma mi apparivi in estasi. E poi, confusa fra le suore, intonasti con grazia un canto gregoriano con voce bianca e assorta alla verginità non so se per te morta anche nel vago. Eri bianca di nome e di drappeggio e in quella colorita folla un dipintore avrebbe visto in te monna Madonna.

Così io feci ignaro e ti seguì il mio passo fino al colle sotto i tigli e i silenzi del ruscello che aveva occhi azzurri e trasparenti come i tuoi e come tue forme sinuose e lisce. Qui sprofondai nella bellezza e l’anima rapita nevicò su quel colle e fu l’ebbrezza. Ma un vento che zufolava tra i merli di un castello appresso si portava un rabido vociare di pastori. Tu mi lasciasti sotto la mia neve e l’illusione ad ascoltar fra i tigli il roco ripetersi d’un nome. Bianca che non si spegne ti rividero al porto poi nel torto angiporto e dietro un orto. Di te non seppi più ma un giorno cogliendo un fiore azzurro fra i cipressi un’anima di grazia nevicò e fu candore intorno bianco com’eri tu che ormai sei spenta.

Il poetare può variare esaltare sfrondare salare parole disposte riposte per interposti significati. *

In un campo di sei are v’era la vite e il grano, di giugno era già alto (il grano) e d’oro e preziose eran le teste come vichinghe alle feste. Di sotto la vite grigia con testa china odorosa di lumache e un contadino con le verdi brache raschiava la collina col rastrello. In alto il castello col signore in trono, in basso il contadino sul lavoro prono. Il grano biondo suonava un madrigale e l’anima del passero attraversò lo strale del sole di quel giugno. Lo presi in pugno il passerotto grasso

che di grano e di mirto era ingozzato. Spaventapasseri con stecche d’alluminio e panni di soldato. L’afferrai, lo spennai e allo spiedo lo riposi d’alluminio e stagno. Sotto un fragno. Spaventapasseri d’alluminio e stagno con stracci di soldato e fischio di maestrale. Riprese a lavorare il contadino con lo strale del sole sopra il capo. Venne luglio, agosto e poi settembre, le vichinghe fuggirono per sempre; un motore tagliò le loro teste e le ripose in un canterano molte miglia dal campo lontano. Le viti con odore di lumache riconobbero allora quelle brache e turgide fatte di liquore sfatte aprirono le bocche di color scarlatte. La terra i gemiti assaporò vermigli per i figli gemme del prossimo aprile avaro d’acqua chiara che non stagna. Un fico di lontano non capiva. Un’onda squassava la riva.

Pensate che Giorgio Barberi Squarotti ha visto gli Americani che infilavano le loro mani sotto le camicette delle Americane per toccare il loro seni addormentati. In realtà seno significa insenatura. Quindi spazio intangibile. Uno spazio non ha corpo quindi i seni delle americane non potevano essere toccati. Meglio avrebbe fatto a dire le loro mammelle. Ma che poca poesia! Tettine è il termine giusto anche se non si trova nel vocabolario. Una giovane americana sul sedile di un treno con i blue jeans attorno alle gambe lunghe

poggiate di fronte e con la camicetta un poco sbottonata può far pensare alla formula E = mc2 Ma chi se ne frega in una notte destate! Immaginate ora una calda notte di luglio, una rotonda sul mare la voce di Fred Bongusto per associazione e un odore di pesce fritto che discreto si spande per l’aria. Tout court ci viene in mente luglio e la sua calda estate di Claudio Mancini a dispetto dell’acido desossiribonucleico e del fatto che cinquanta comete ci girano attorno per dissetarci con le loro acque.

Improvvisazione 1 Sulla spiaggia popolata di silenzi un gabbiano sfida la tempesta. Non vele al mare non suoni di motori. Solo il gabbiano e il vento. Gabbiano è la parola più usata in poesia. E’ il simbolo della libertà che si libra nell’aria libera. Improvvisazione 2 Maestrale tra le fronde degli eucalipti fra ali di passeri fra spighe ricurve fra tetti rossi

fra il fumo che sale fra la gente che passa fra i miei capelli. Maestrale portami l’odore del fieno tagliato e dei mosti. Maestrale fra il fumo che sale fra la pioggia che cade sulla terra assetata che avvampa di stoppie infuocate di carri bruciati di tiri incrociati di case incendiate di anime morte. Maestrale portami nel sole

che m’accechi di luce.

Ritratti

Ritratto di Anna. Anna con occhi di mandorla. Anna con bocca aperta. Anna con guance di pesca. Anna bella Anna libera. Anna con cuore di passero. Ritratto di Tina. Tina piccola con cuore grande che geme.

Ritratto di Luisella Luisella che mi sorride quando attraverso la strada per incontrarla. Ritratto di Lella. Ragazza con dita lunghe per dare vita alla terra che informa del suo sentimento. Fra bianchi odorosi gelsomini la sua vita effonde per l’aria come il loro profumo.

R

itratto di Sisa

Ti ho sognato eri seduta sul mare freddo destate Poi una nuvola ti portò via lontano là dove arriva il pensiero. Ritratto di Franca Perché non ritorniamo

in quel campo giallo dove l’unico vermiglio

è un papavero antico?

Quando lo colsi e tu lo assaporasti

e impazzivi di gioia all’alba

in un raggio di luce il vermiglio sparì

nel tempo quel tempo

che solca la pelle che scalza memorie

che muta sudori di fatiche ribelli che confonde la vita

con rami contorti di querce appassite ed allori.

Spazi finiti ci racchiusero in un cerchio

sempre più stretto per restringersi nel punto senza eternità né fine

e ci sfuggì la mano.

Ritratto di mia moglie Se tu mi dai la mano rivedremo i Boulevards di Parigi quando le luci serali del sole si confondevano con le insegne dei caffè e la nebbia coi fumi delle castagne fino a fondersi col profumo dell’inverno. Quante facce senza occhi ne bocca, per dire che cosa? Noi due con le parole di sempre antiche, ma nuove di verginità nel tempo che non trascorreva. E se la mano mi stringi forte al tuo petto sentirò lo scandire del tempo nel tuo cuore e l’estasi della vita che ci avvolge di colori e note che veloci si spiccano dalle tastiere del bistrot.

E se ci faremo scalzi questi ciottoli duri di pietra saranno prati di festuca morbida e vellutata, come la tua pelle come la tua grazia. E se poi la tua testa flessa poggerai sulle mie mani inguantate in questo freddo che intorpida i riflessi si accenderà del sorriso il tuo viso che non dimenticherò mai nell’aereo del cielo dove siamo da sempre librati tu ed io, per sempre.

Volevo accarezzare la luna la luna bella d’agosto. Sono salito sul pino alto e ho teso la mano tra le nuvole.

La barca ritorna come un sogno se vaga sola dopo la tempesta. * Felicità è amare

ed essere amati.

*

Mi accendo una sigaretta perché il suo fuoco mi protegga.

Dal nord viene un vento che porta urla di gabbiani e voci di marinai che s’infrangono sulla rena Cinque ragazze col petto nudo giocano a palla Una vela lontana delinea l’orizzonte Siamo approdati in un porto senza tempo Abbiamo trovato Ulisse e i suoi compagni Si accende un fuoco con sterpi raccattati e qualcuno fa un fumo che sale dritto alle stelle all’orsa maggiore Dube e Merah che segnano il Nord Torna il vento. Un vento forte che schiuma che riporta voci di gabbiani e urla di marinai.

Siamo nel ventesimo secolo ma è la voce di Larsen che sento Larsen che cammina con la gamba di legno e la mano ad uncino Bella fanciulla col petto nudo la tua luna è tramontata Il vento l’ha spinta oltre le montagne. Sediamo vicino al fuoco che aggiorna la nostra solitudine. Senti quest’odore di cisti e di lentisco. Smorza l’ultimo tizzone che il sole è vicino. La vita ritorna.

Integrazione Non me ne importa più niente del formaggio e dei cestini di ferula Ma anche i sardi sono poeti: Notte de Sant’Antine, profumada de fiores e de grillos chi càntana su dillu ’e su bandidu in sas tancas de murta e de murdegu. Sa manu ch’istringhet sa leppa s’aberit a sos carignos pro Maria. Ma s’urulu orrorosu de sos canes istremutit su cantigu e sos grillos e sa manu amorosa ’e su bandidu. Landes siccadas candidos giasminos pianghene tristos sonos; a sos antigos luttos torrat su bandidu disisperadu amante.

Canes famidos fusiles de fogu frimman s’umana fera. Unu sordadu brundu, cun boghe furistera, li preguntat: “Cale violeras, sardu, Uie has fattu si da-e domo nostra a custas làcanas tristas nos han mandadu cun ferros e cadena?” Hapo mortu a chie mi hat mortu su frade meu, sigo s’antiga leze, ma, bois, sordados brundos, cale leze sighides? Gai narat su bandidu abbaidende s’arvéschida ’e su die chi de lentore faghet in sa terra camineras de prata: su bandidu toccat sos giasminos cun manu aberta e durche comente a sos carignos pro Maria. (Con la supervisione linguistica di Franziscu Masala)

Che palle l’azzurro verticale che si èleva fra bioccoli di non so che per dare senso alla vita. *

La vita che credevo un’onda che si rovescia alla rena è un circuito stampato e Dio, colui che l’ha inventato. * Troveremo Dio fra qualche ingegnere galattico che gioca col flipper della nostra esistenza.

Le poetiche case calcinate in realtà sono abusive deturpano il paesaggio e non pagano tasse.

Si può entrare in un tempio e trovarlo odoroso d’intonaco fresco, accennare un inchino di fronte all’altare e quasi in punta di piedi passare vicino al confessionale. Sentire il bisbiglio del prete che pensa a come sbarcare il lunario e dare consigli su come ripetere il pateravegloria alla povera zitella verginella che molto ha peccato in pensieri non avendo trovato occasione di fatti concreti. Più in là sull’altare sapere che dentro una pisside d’oro s’impilano cialde non calde sfornate dalla ditta Costa & C con farina 00 di puro grano tenero.

C'è un Tiglio o un Bosso od altro, non so, che ha forma di Cristo sospeso sull’ara. Qui tutto è silenzio, assorto. Ma è solo il silenzio per l’uomo che cerca qualcosa di più lontano dai supermercati dalle schede dell’urna dalle movenze gentili degli imbonitori che pur di spillarti quattrini ti offrono viaggi in paesi lontani e TV color a suon di milioni in gettoni. Un’offerta per le luci un’offerta per i fiori un’offerta per le offerte da offrire a chi offre le sue sofferenze sotto il sole africano. A chi. Aqui està un loco de paz Chissà se si dice così. Ohi marì ohi marì.

Toc toc chi bussa alla porta E’ la guerra dice di chiamarsi nucleare! Non fatela entrare non c'è più cibo in tavola, forse è aperta l’osteria dell’angolo. Toc toc chi bussa al portone è la guerra, fatela entrare perché resti con noi a giocare al tavolo rotondo. L’intelligenza dell’uomo ha racchiuso l’universo in una sfera di cristallo. Non c’è più spazio nell’universo per la stupidità degli uomini.

Non chiedermi se angeli proteggono il tuo volo, ora che la letizia è passata e l’estate precipita. Non so dirti di più! Forse troverai parole sotto un sasso o dentro il ventre d’un pesce. Non ho libri da darti né scritti d’altri

incisi alla storia.

La mia Sardegna

Amo vivere in questa terra profumata di mirto. Guardare un cielo d’azzurro infinito e stare in attesa del vento che porta fragranze d’elicriso e mare odoroso di scogli e di pesci. Voglio vivere ancora i giochi di storni i lunghi triangoli che fanno le anatre quando finisce l’estate e l'araba fenice come nota di un pentagramma in rossi stagni di primavera. Sentire il fremito che dà lo scampanio delle greggi lontane e l’ombra dell'olivastro ricurvo su cisto e lentischi. Vedere le aspre colline che avvolgono piccole valli in arie di mistero e prati molli di grano e d’avena. Non cederò la mia spada al cemento ma chiamerò i cervi dei boschi e il falco e il cinghiale ed essi saranno compagni di guerra. E quando cadrò a te madre affiderò il mio corpo al tuo caldo ventre al tuo silenzio.