La metodica De Rosa

79

description

Originale tecnica di ingegneria naturalistica da impiegarsi nei suoli piroclastici o chimicamente, biologicamente e fisicamente inerti.

Transcript of La metodica De Rosa

Page 1: La metodica De Rosa
Page 2: La metodica De Rosa

1

Pensiero e Azione.(G. Mazzini)

A mio figlio Antonio

E, quando si appresta la notte,foriera dell’Alba radiosa,

ti rallegri il Divino lignaggio:seppur sembriamo sol polvere,

siam polvere di Stelle.(da “Appunti di Viaggio” - Pellegrino De Rosa)

Siam polvere di StelleSchiva il fango,

resisti alla tormenta,loda l’Arte e il Creato

e sorridi all’AmoreSe cadi, rialzati da solo:

raccatta i tuoi sogni e,a fronte alta, riprendi la via.Pria che ti sorprenda la sera.

Page 3: La metodica De Rosa

2

colophonisbn

diritti riservati

Page 4: La metodica De Rosa

3

LA GESTIONE DELL’AMBIENTEE DEL TERRITORIO

Geopedologia - Ecologia - Selvicoltura e Ingegneria Naturalistica(Aspetti tecnico-scientifici e applicazioni pratiche)

Pellegrino De Rosa

EDIZIONISIMPLE

ELA “METODICA DE ROSA”

Page 5: La metodica De Rosa

4

Palificata arborata “DE ROSA”

Page 6: La metodica De Rosa

5

Indice

PrefazioneIntroduzione

Descrizione dell’area di riferimentoOrogenesi e aspetti geopedologiciAspetti idrograficiAspetti idrologiciFenomeni carsiciAspetti naturalistici (habitat, flora, funghi, fauna)Aspetti climatici

La conservazione del bosco e del suoloLe funzioni ecologiche ed economiche del boscoAspetti agronomici e pedologiciEffetti stabilizzanti degli apparati radicali delle pianteRichiami sull’instabilità delle coltri piroclastiche

Ingegneria naturalistica e “Metodica De Rosa”

Lo studio integrato del territorio

Esempio di valutazione di impatto ambientale

Bibliografia

11. 11. 21. 31. 41. 51. 6

22. 12. 22. 32. 4

3

4

5

79

13131719212529

3232343840

47

51

58

72

Page 7: La metodica De Rosa

6

Page 8: La metodica De Rosa

7

Prefazione

La gestione del territorio è un argomento talmente complesso da nonpoter essere certamente esaurito nelle poche pagine della presente pubbli-cazione o in quelle di altre singole trattazioni, seppur più corpose. E ciòperché gli aspetti da tenere in considerazione spaziano da quelli tecnico-ambientali (di per sé già piuttosto complessi), a quelli di natura socio-economica, a quelli connessi al becero opportunismo politico che, talora,vanifica quanto accuratamente pianificato dai tecnici del settore.

Tuttavia, la presente pubblicazione ha il pregio di portare alcuni fattivicontributi tecnico-scientifici e alcuni personali punti di vista derivanti siadalla specifica e approfondita formazione dell’autore sia dalla sua espe-rienza “sul campo”, entrambe di tutto rispetto.

Egli, infatti, è in possesso della laurea magistrale in Scienze e Tecnolo-gie Agrarie, dell’abilitazione all’esercizio della professione di DottoreAgronomo e Forestale senior, di alcuni ulteriori corsi di approfondimentoin Scienze Forestali e Ambientali e di un Master in Gestione e Difesa delTerritorio (geopedologia, geotecnica, cartografia GIS, ecologia) - titoliconseguiti tutti presso la prestigiosa Facoltà universitaria di Portici, fa-cente capo alla Federico-II di Napoli.

Ha poi svolto importanti lavori in ambito ambientale, collaborando siacon la Facoltà di Veterinaria di Napoli sia con il Dipartimento di Ingegne-ria Agraria e Agronomia del Territorio della Federico-II sia con il Dipar-timento di Arboricoltura, Botanica e Patologia Vegetale di Portici (Na).

Ha, inoltre, partecipato alla progettazione preliminare di estesi interven-ti per conto della Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese, riguar-danti la prevenzione del rischio frane.

Ha fatto parte, ancora, del tavolo di concertazione della Provincia diAvellino per i P.I.R. (Programmi Integrati Rurali) e ha partecipato a unostudio sulla fauna venatoria, per l’A.T.C. (Associazione Territoriale Cac-cia), di Avellino.

Tra l’altro è stato anche Amministratore e Direttore Tecnico di un coope-rativa per la gestione e manutenzione del verde.

Infine, i suoi studi, le sue osservazioni e le sue ricerche lo hanno portatoa proporre una innovativa tecnica di Ingegneria Naturalistica, denomina-ta “Metodica De Rosa”, da utilizzarsi nei suoli vulcanici, e a pubblica-re i volumi: “L’assestamento forestale e l’ingeneria naturalistica neisuoli con coperture piroclastiche”; “La via dei mestieri”, per la Comu-nità Montana Vallo di Lauro e Baianese, e - per la Regione Campania -

Page 9: La metodica De Rosa

8

“Le erbe alimurgiche del Baianese e del Lauretano”.Consapevole del fatto che, affinché un territorio possa essere tenuto in

buone condizioni, c’è bisogno della presenza continua dell’uomo, e chequesta è possibile solo se la popolazione può ricavare un reddito soddisfa-cente dalla sua attività sul territorio, ha condotto alcuni studi sperimentalisulle razze suine locali (oggetto della sua tesi di laurea sui salumi diMugnano del Cardinale, frutto di una ricerca da lui svolta presso il Dipar-timento di Scienze Zootecniche e Ispezione degli Alimenti di Portici) e sul-le possibili applicazioni del selviturismo (argomento questo “trasferito”agli operatori locali, attraverso alcune lezioni da lui tenute per conto delloStapa-Cepica di Avellino).

La passione scientifica ed ecologica dell’autore è, altresì, evidente sianella sua attività giornalistica (è giornalista-pubblicista) e divulgativa (hatenuto lezioni, come esperto esterno, sia a Master universitari su tematichegeopedologiche e ambientali sia in numerosi progetti PON nelle scuolemedie superiori statali) sia in quella letteraria (ha pubblicato il romanzotechno-thriller “Metamorfer - La gemma di Darwin”, acquistabile ancheon-line pesso i più importanti bookstore -ibs.it, bol.it - in cui, tra l’altro,partendo dall’osservazione degli insetti mimetici, espone una sua origina-le interpretazione delle “forze” induttrici dell’evoluzione delle specie vi-venti) e arriva a suggerire una teoria evoluzionistica (il plasticismo) cheavrebbe in sé gli elementi per superare l’annoso dualismo tra evoluzioni-smo su base darwiniana e creazionismo.

A testimonianza della validità e della benemerenza delle sue moltepliciattività, l’autore è stato insignito, di recente, dell’alta onorificenza di Ca-valiere al Merito della Repubblica Italiana.

Per quanto fin qui esposto, sono convinto che questo testo potrà essereutile sia agli studenti degli Istituti Tecnici e Professionali (presso i qualil’autore insegna da circa un lustro), sia a tutti gli operatori del settore, sia- semplicemente - a chi voglia avere un’idea più precisa delle complesseproblematiche connesse con la tutela del territorio.

(Enzo Pecorelli - Giornalista)

Page 10: La metodica De Rosa

9

Introduzione

La presente pubblicazione ha lo scopo di fornire agli studiosi diproblematiche ambientali una ulteriore occasione di riflessione su alcuniparticolari aspetti della gestione delle risorse naturali di un territorio.

In particolare, con essa si vuole suggerire alcuni metodi utili alla conser-vazione della “risorsa suolo”. E ciò con particolare riferimento ai suolipiroclastici (cioè, quei suoli formatisi per azione dei fattori della pedogenesisulla matrice litoide di origine vulcanica) e ai suoli forestali.

Si indicherà, anche attraverso il filmato allegato al presente volume, unpossibile modo di studiare il territorio - preliminarmente alla progettazionedell’intervento - utilizzando i software di cartografia tematica e di simula-zione (ad. es. Arcview e le sue estensioni) e si suggerirà l’adozione delletecniche di ingegneria naturalistica e di riforestazione più idonee ai suolipiroclastici.

Quando necessario saranno effettuati alcuni richiami teorici e si farà rife-rimento a un territorio reale (l’area del Baianese) e a studi e progettazionirealmente eseguiti dall’autore.

Verranno descritte le caratteristiche geopedologiche, climatiche enaturalistiche del territorio di riferimento, ed evidenziate alcune caratteri-stiche geomeccaniche e agronomiche dei suoli piroclastici, che influenze-ranno la scelta del tipo di intervento più adatto. Saranno posti in evidenzaalcuni aspetti dell’interazione (biologica, ma anche meccanica) tra le radi-ci delle piante ed il terreno e verrà indicato di quali fattori ambientali ededafici tener conto - quando si voglia intervenire su un territorio con tecni-che di mitigazione “verdi” - e di come distribuire i lavori nel corso dellestagioni per non interferire con i cicli naturali di vegetazione e fauna.

Infine, verrà presentata una innovativa tecnica di ingegneria naturalisticae fornito un esempio di Valutazione di Impatto Ambientale.

Per il momento, si vuole solo sottolineare che, quando si debba interveni-re in un ambiente naturale, sarebbe preferibile che a coordinare gli inter-venti sia un esperto di quel settore, un “ruralista” (un dottore agronomo eforestale), così come in ambiente antropizzato si ricorre a un “urbanista”(ingegnere o architetto).

Inoltre, è ormai evidente che, in entrambi gli ambiti, è ormai necessarioun approccio multidisciplinare in cui professionisti di diversa formazionepossano interagire produttivamente tra di loro.

Ciò, per la verità, non sempre avviene e - addirittura - manca ancora unlinguaggio comune.

Page 11: La metodica De Rosa

10

Un semplice esempio può forse chiarire meglio il concetto: prendiamo ilcaso della definizione di “degradato” o “alterato” riferita al suolo, e di comeessa - all’interno di una relazione tecnica - possa assume un significatodiverso a seconda della formazione professionale di chi scrive.

Un geologo definirà, presumibilmente, il suolo come uno “strato di alte-razione” (sottintendendo, della roccia madre) mentre un agronomo - al con-trario - considererà “alterato” (o “degradato”) un suolo sul quale l’azioneerosiva abbia asportato lo strato di terreno fertile lasciando esposta la roc-cia nuda (quella, cioè, che per il geologo non è degradata!). Ad alcuni urba-nisti, d’altro canto, potrà capitare di usare il termine “degradato” per indi-care, grossolanamente, un terreno di periferia invaso dalle erbacce, e pro-porlo per un suo “recupero” urbanistico, destinandolo come suoloedificatorio, ignorando - come capita nell’hinterland napoletano - che quelparticolare tipo di andosuolo (il più fertile del pianeta) ha impiegato circa13.000 anni per formarsi e in condizioni (presenza di foreste e di praterie)non facilmente riproducibili!

Un altro esempio potrebbe essere quello della definizione stessa di suolo.Esso, di volta in volta e in relazione ai diversi punti di vista, potrà essere

definito “materiale incoerente”, “sistema poroso trifasico”, “substrato perla vegetazione“, e così via. Ma nessuna di queste definizioni, da sola, èesaustiva: il suolo non è semplicisticamente l’una o l’altra cosa, ma rac-chiude in sé tutti gli aspetti innanzi ricordati.Inoltre, dovrebbe sempre essere tenuto presente che si tratta di una risor-sa limitata e rinnovabile solo con estrema lentezza; pertanto, il pianifica-tore dovrebbe fare il possibile per salvaguardarla.

Page 12: La metodica De Rosa

11

Page 13: La metodica De Rosa

12

1) C

roce

pun

tone

; 2) C

iesc

o B

ianc

o; 3

) Tor

retie

llo; 4

) Top

pola

gra

nde;

5) V

alle

Fre

dda;

6) A

cqua

serta

; 7) C

iesc

o A

lto;

8) M

. Spa

danf

ora;

9) B

osco

di A

rcia

no; 1

0) M

. Cam

pim

ma;

11)

Mon

teve

rgin

e.

Page 14: La metodica De Rosa

13

1. Descrizione dell’area di riferimento

La valle del Baianese si apre a ventaglio, in direzione del golfo di Napoli, tradue dorsali, o catene montuose, carbonatiche, disposte secondo il tipico andamentoappenninico (NordOvest-SudEst). Quella dei Monti di Lauro (1.104 metri slm) aSud e quella dei monti di Avella a Nord. La cima più alta dei Monti Avella(1.598 m) si trova in vicinanza di Ciesco Bianco (1.589 m) e sopravanza di oltre100 metri la non lontana Montevergine (1.493 m) o Monte Partenio.

Le “pieghe” che hanno dato origine ai rilievi sono del tipo monoclinale.Questi rilievi si ribassano a gradinata verso la fossa tettonica della pianaCampana (Graben). Le fratture e le faglie che interessano i nostri rilievi sonogeneralmente raggruppate in due sistemi: il primo con andamentoappenninico, parallelo ai rilievi (di forma allungata) e alle valli ed il secondopressoché perpendicolare al precedente.

I rilievi sono costituiti prevalentemente da rocce calcaree (CaCO3), dolomitiche[CaMg(CaCO3)2] e aragonitiche (MgCO3), formatesi nell’era Mesozoica oSecondaria (compresa all’incirca tra 225 e 65 milioni di anni fa).Presumibilmente, nel secondo (Giurassico) e nel terzo periodo (Cretacico) ditale era geologica: all’epoca dei dinosauri, tanto per intenderci. Quandocominciarono a diffondersi le angiosperme (piante con fiori), affiancandosialle conifere o gimnosperme (piante con seme nudo) e alle felci (piante vascolari).

Incluse in alcune fessurazioni del calcare troviamo il Flysch terziario(costituito da materiali terrigeni come marne, argille e arenarie), che funge,idrologicamente, da tampone e consente al calcare di trattenere come in unimmenso serbatoio le acque sotterranee.

Esistono zone - come quella della “panoramica” di Avella, quella delColle del Seminario (al confine tra Avella, Roccarainola e Tufino), quella diPonte di ferro, a Sirignano - in cui è possibile trovare fossili di paleorganismi

1.1. Orogenesi e aspetti geopedologici

marini come molluschi,gasteropodi, lamellibranchie coralli. Essi testimonianoche centinaia di milioni dianni fa “le porche”(i monti)di Avella si trovavano sottoil livello del mare eandavano a costituire ilfondale marino.

Lo strato mesozoico, dicui fanno parte anchequesti depositi, raggiunge

Rudiste (molluschi fossili) inglobate in una rocciacalcarea rinvenuta a Sirignano (Av)

Page 15: La metodica De Rosa

14

presumibilmente lo spessore di circa 4.500 metri, ma esso non è interamentevisibile a causa delle notevoli complicazioni tettoniche intervenutesuccessivamente. In realtà non si ha la totale certezza di cosa vi sia più sottoe quanto sia spessa, sotto i nostri piedi, la crosta terrestre.

In linea generale gran parte degli studiosi concorda che essa possaraggiungere anche i 60 Km sotto i continenti e che misuri solo pochichilometri sotto il fondo degli oceani. Vale, comunque, il concetto generaleche la crosta terrestre con le sue catene montuose “galleggia” su di unostrato fluido-plastico, a “maggiore densità” (principio dell’isostasia, cfr. figuraa fondo pagina). Il sistema è in equilibrio quando gran parte della massa èimmersa nel fluido. Qualcosa di simile accade per gli iceberg, i giganteschiblocchi di ghiaccio che si staccano dalla calotta polare nella stagione piùcalda e la cui parte emergente è circa un settimo della massa totale.

Quindi, sotto una catena montuosa (antiradice), normalmente c’è unaradice grande alcune volte la parte emersa. Questa regola generale presenta,peraltro, numerose eccezioni, in quanto occorre tener presenti anche imovimenti delle zolle ed altri complessi meccanismi tettonici.

Sulle sommità dei rilievi spesso la roccia è affiorante ma altrove è ricopertada materiale piroclastico “da caduta” (ceneri, pomici e lapilli) proveniente,in gran parte, dall’attività eruttiva del complesso Monte Somma-Vesuvio e,più limitatamente, dall’attività dei Campi Flegrei e di altri siti attualmentesepolti nella piana Campana. Come verrà detto più estesamente in seguito,proprio la presenza di queste stratificazioni piroclastiche, unitamentealla presenza di argille plio-pleistoceniche particolarmente instabili,costituirebbe la causa principale dei movimenti franosi che hannofunestato Sarno e Quindici (1998) e Cervinara (1999), e che hannointeressato anche i Monti di Avella, per fortuna senza vittime.

I versanti particolarmente a rischio risultano essere quelli compresitra una pendenza di 35° e 50°. L’acqua piovana infiltrandosi attraverso lostrato poroso piroclastico del suolo, spesso messo a nudo da disboscamentie da incendi che a volte interessano anche la stessa coltre erbosa, raggiungeil bedrock calcareo (ovvero la roccia viva) e vi forma un vero e propriopiccolo fiume di acqua che solleva il terreno e lo fa slittare fino a valle.

Page 16: La metodica De Rosa

15

A quote più basse, si possono riscontrare paleosuoli e sedimentialluvionali mentre, in superficie, c’è l’attuale suolo agrario o montano.

Nell’era Mesozoica dovevano emergere, presumibilmente, solo le cimedei rilievi mentre l’attuale pianura doveva essere completamente sommersadal mare. Solo nell’era Neozoica o Quaternaria e, più precisamente, nel periododetto Pleistocene (o Diluvium) superiore (150.000 – 10.000 a.C.) il “golfo”, chearrivava fino a questa valle, comincerà a colmarsi, sia per azione erosiva econseguente accumulo di detriti, sia per gli apporti piroclastici dovuti alleattività effusive ed eruttive dei vari apparati vulcanici.

Questo periodo geologico fu caratterizzato da ben quattro glaciazioni.Nel corso dell’ultima di queste (Wurm: da 70.000 a 10.000 anni fa) il mare siabbassò di oltre 100 metri, rispetto al livello attuale, e l’isola di Capri sicongiunse alla terraferma. Il primitivo Homo sapiens del Paleolitico, quindi,se avesse voluto, avrebbe potuto raggiungere Capri a piedi. Per avere un’ideadi quanto il vulcanesimo abbia influito sulla formazione del nostro territoriosi consideri che solamente Capri, tra tutte le isole e gli isolotti del golfo, è dinatura non vulcanica ma calcarea (come i nostri rilievi) e per questo vieneanche chiamata isola bianca.

Nel bel mezzo del Wurm, circa 33.000 anni fa, vi fu una terrificante eruzione ditipo ignimbritico, che modificò radicalmente il territorio della depressione Campana e depositòuno spessore enorme di “Tufo Grigio Campano”. Grandi fessure, attualmentesepolte nell’area Nord di Napoli, emisero dense e ciclopiche nuvoleeruttive ad altissima temperatura che giunsero fino ai nostri monti esecondo alcuni studiosi (ma qui i pareri sono discordi), risalendo i valichi,arrivarono fino al cuore dell’Irpinia, dove esistono imponenti depositidi tufo. Lo strato che ne derivò in alcune zone superò i 30 metri (comenelle cave di tufo di Casamarciano) mentre raggiunse solo alcune decinedi centimetri alle pendici Ovest delle nostre dorsali montuose.

Questa eruzione fu talmente devastante da risultare sicuramente unadelle più violente di tutto il bacino del mediterraneo. E’ provato che leceneri di questo evento giunsero fino all’isola di Cipro, infatti depositi dimateriale vulcanico riferibili a tale impressionante eruzione sono statiriportati alla luce da recenti saggi (carotaggi) colà effettuati. Successivamente,l’erosione e l’accumulo di detriti alluvionali contribuirono a conferire allavallata la conformazione attuale.

Altri e impressionanti fenomeni vulcanici interessarono, nelle epochesuccessive, l’area baianese, questa volta, prevalentemente ad opera delcomplesso vulcanico Monte Somma-Vesuvio.

I numerosi eventi eruttivi hanno portato ad accumuli di materialevulcanico che in alcuni siti supera i 15 metri di spessore e che, quasiovunque, interessa l’intero strato del terreno coltivato.

Page 17: La metodica De Rosa

16

Profilo pedologico tipico dell’area baianese1) Suolo attuale2) Strato di pomici (eruzione di Pollena) 472 d.C.3) Paleosuolo di Pollena (con suoli di aratura sepolti)4) Prodotti piroclastici “da caduta” (ceneri, lapilli e pomi-ci) relativi ad eventi eruttivi databili tra l’evento di Avellinoe quello di Pollena5) Paleosuolo6) Pomici relativi all’evento di Avellino (3.500 BP)9

7) Paleosuolo eneolitico-bronzo antico8) Fall di pomici dell’eruzione di Mercato (8.000 BP)9) Paleosuolo10) Strato di Tufo grigio campano (33.000 BP)11) Limo ed argille (forse di un laghetto paleoliticomontano?)12) Strato di prodotti piroclastici da caduta relativoad un evento sconosciuto13) Paleosuolo14) Bedrock calcareo (cretacico superiore)

Rappresentazione di alcune isopache, indicanti le aree di caduta e lo spessore, del materialepiroclastico sparso da alcuni eventi eruttivi del complesso Monte Somma-Vesuvio.

3500 BP= Before present = 3500 anni fa

Page 18: La metodica De Rosa

17

1.2. Aspetti idrografici

La valle del Baianese (denominata pure Conca Avellana) non presenta corsid’acqua perenni. Essa è chiusa a Nord dal bacino del Clanio e a Sud daitorrenti Acqualonga e Gaudo-Sciminaro.

Il Clanio (Clanis) sorge col nome di Fiume di Avella da una serie disorgenti, la maggiore delle quali si chiama Bocca dell’acqua, nel territorio diSirignano. Tra le minori ricordiamo: Fontana di Sambuco, del Monaco, diPianura, delle Fontanelle (poco sopra l’ultimo dei vecchi quattro mulinifunzionanti un tempo) e della Peschiera. L’acqua veniva usata, oltre che per imulini, per innaffiare gli orti e per far macerare la canapa nelle Fusare che untempo si trovavano, in Avella, nei pressi del quartiere San Pietro e della Piazza.

Si tratta, in realtà, di un corso d’acqua a regime torrentizio. Asciutto pergran parte dell’anno.

In passato, con ogni probabilità, esso doveva avere un flusso più continuoe più consistente, in quanto l’acqua delle sorgenti non gli era stata ancorasottratta per essere adoperata per fini idropotabili e, verosimilmente, il climadoveva essere più piovoso. Andando ancora indietro nel tempo, non èescluso che il “fiume” Clanio potesse essere addirittura navigabile (benintesosolo in alcuni tratti e solo tramite piroghe, canoe o rudimentali zattere).Infatti le incisioni e i detriti che esso ha lasciato lungo il Vallone Serroncello(Avella), farebbero pensare ad una portata d’acqua ben più importantedell’attuale, misero, rivolo d’acqua.Probabilmente, inoltre, le sue acque venivano utilizzate, oltre che per gli usiprima menzionati, anche per allagare l’anfiteatro romano di Avella e potervirappresentare spettacoli di battaglie navali.

Accresciuto dalle acque che scendono dai monti circostanti, e attraversataAvella, il fiume continua il suo percorso scorrendo fra Risigliano e Tufino efra Cutignano e Camposano, continuando col nome di Canale di Bosco Fangone e,dal Ponte dei Fusari, assumendo più propriamente il nome di Regi Lagni.

Page 19: La metodica De Rosa

18

1Il Clanis ha rappresentato, fin dalla preistoria, la vita e la morte per le vecchie popolazioniindigene. E’ accertato, infatti, che alcune tribù preistoriche si siano stanziate lungo ilVallone Serroncello (nel territorio di Avella), dove trovarono acqua e selvaggina abbondantie anfratti naturali in cui proteggersi dalle fiere e dalle intemperie. Quando, però, il violento torrente straripava, provocava inondazioni, morte e allagamenti.Nella pianura nolana l’acqua ristagnava in una vera e propria palude, maleodorante emalsana. Epidemie di varia origine e malaria mietevano intere popolazioni. Sicuramente,le popolazioni locali si adoperarono per regimentare il flusso dei vari torrenti e “lagni”(dal greco “làginos”, vaso, ricettacolo di acque) ma la situazione subì un nettopeggioramento agli inizi dell’anno mille. In quell’epoca , com’è noto, le popolazionidepresse e impaurite dalla fine millennio, si ritirarono sui monti ad aspettare la fine delmondo. Abbandonarono, perciò, le normali attività compreso la cura degli argini e lasistemazione dei terreni.

Dopo aver ricevuto numerosi altri corsi d’acqua il Clanio1 (o Regi Lagni)raggiunge la pineta di Castelvolturno dove si divide in duplice corso, andandoa sfociare l’uno nel Tirreno e l’altro nel Lago di Patria.

In definitiva il corso del Clanio si può dividere in tre sezioni: alto, medioe basso. L’alto Clanio, dalla sorgente a Marigliano (zona di confluenza delleacque provenienti dal Vallo di Lauro e dalle colline nolane con quelle dellaMefite e del Monte Somma). Il medio, da Marigliano a Ponte Rotto (puntodi confluenza delle acque delle Valli Caudine e di Maddaloni e dei MontiTifatini). Il basso, da Ponte Rotto alla foce. L’asta principale dei Regi Lagniinizia in agro di Marigliano e procede per altri 46,300 Km fino al marTirreno.

Il bacino idrografico dei Regi Lagni è uno dei più importanti dellaCampania, con i suoi 110.000 ettari di territorio. Comprende una vasta retedi canali artificiali, creata nei secoli scorsi per bonificare quella parte dellafascia pianeggiante che dal Lago di Patria si addentra verso est per circa 60Km, sino alle pendici dei Monti di Avella.

Criterio fondamentale di tale bonifica fu quello di separare le acque dipioggia provenienti dalla zona montana (acque alte), da quelle che cadono eristagnano nella piana (acque basse). Nella rete di canali esistenti si distinguono,quindi, canali di acque alte che immettono direttamente nel lagno centrale ecanali di acque basse che trovano recapito in lunghi controfossi affiancati adestra e a sinistra del lagno centrale, da cui sono separati tramite argini in terra.

Più a monte sono presenti alcune “vasche di compensazione”, come lavasca, detta di Sperone (che in realtà si trova nel territorio di Avella), che inorigine aveva la funzione di contenere i flussi di piena e di far rallentare leacque in maniera che vi si depositassero terriccio e particelle sospese.Successivamente tali siti, com’è ampiamente noto, sono serviti da discaricheabusive di materiale da risulta e, si mormora, anche di sostanze tossiche.Inoltre, i corsi dei lagni hanno subìto un grave degrado. In alcuni casi sonointasati da frane, in altri casi vengono coltivati o, addirittura, vengonocementificati o trasformati in strade.

Page 20: La metodica De Rosa

19

1.3. Aspetti idrologici

Page 21: La metodica De Rosa

20

Nella tabella riportata nella pagina precedente sono indicati iprincipali recapiti sorgivi dell’area baianese. I suoli sono caratterizzati,nel complesso, da una buona permeabilità primaria e secondaria (percarsismo e fratturazione) che gli consentono l’infiltrazione di gran partedell’acqua di precipitazione. L’acquifero (il “sebatoio d’acqua” sotterraneo)che riveste maggiore importanza strategica è quello, carbonatico, detto“idrostruttura dei Monti di Avella-Montevergine-Pizzo d’Alvano”, alle cuipropaggini meridionali ed occidentali si individuano le principali scaturigini.

All’interno di questa idrostruttura si individuano due faglie inverse chegenerano una sorta di alto idrico all’interno della struttura dei Monti Avella-Montevergine, con deflussi orientati, in parte, verso le sorgenti Mofito (oMefite) e Calabricito (portata media annua pari a circa 1,3 m3/s) e, in parte,verso il gruppo sorgivo di Sarno (portata media annua pari a circa 9,0 m3/s).

Nel territorio dei paesi del baianese non esistono significativi recapitisorgivi dell’idrostruttura carbonatica (profonda) descritta, ma solo recapitidi falda sospesa (più superficiale). Esse hanno portate modeste e, spesso, acarattere temporaneo o stagionale.

Alcune di esse alimentano reti acquedottistiche locali di importanzasecondaria (come ad esempio, quella dell’acqua vecchia, a Mugnano delCardinale).

Avella, Baiano e Sperone, riuniti in consorzio, riescono ad essere quasiautosufficienti per l’approvvigionamento idrico, grazie all’acqua provenienteda alcune di queste sorgenti e a quella da essi captata dai pozzi artesianiappositamente scavati.

Page 22: La metodica De Rosa

21

1.4. Fenomeni carsici

“La Fossa” di Mugnano del Cardinale.Ortofoto scattata da 6000 metri, nel 1997. (1)Fossa, (2) Gesù e Maria,(3) San Pietro a Cesarano, (4) Cimitero, (5) autostrada A-16.

“La Bocca del vento” di Avella(sulla strada Panoramica, nei pressi di Piano delle mandrie).A destra si possono osservare i depositi di calcite, di forma ondulata,prodotti dalla condensazione del vapore saturo di carbonato di calcio.Dalla fessura al centro della foto esce, quasi sempre, un flusso d’aria.Per cui, lanciando delle foglie verso di essa queste vengono respinteall’indietro. Probabilmente la “Bocca del Vento” è un’apertura di un estesosistema di grotte carsiche non ancora esplorato.

Page 23: La metodica De Rosa

22

La “fossa” di Mugnano del Cardinale in una elaborazione tecnica dell’autore.

Per fenomeni carsici si intendono l’insieme di processi di corrosione chimicaprovocati dalle acque su rocce solubili (calcari e dolomie, nel nostro caso, e,altrove, gessi e depositi salini). Avviene che l’anidride carbonica contenutanell’acqua trasforma il carbonato di calcio delle rocce, insolubile, in bicarbonatodi calcio, solubile, che viene disciolto e asportato.

Questa asportazione, nel corso dei secoli, dei millenni e delle ere geologiche,provoca la formazione di campi solcati, lapies, doline, cavità, inghiottitoi, cavernee grotte in cui sono frequenti stalattiti (che pendono dalla volta), stalagmiti (chevanno dal basso verso l’alto) e colonne (dalla fusione di stalattiti e stalagmiti) chea volte vanno a costituire complessi di grande interesse speleologico e turistico.

Questi fenomeni vengono detti “carsici” perché sono più evidenti e sonostati maggiormente studiati nella regione del Carso (zona alpina orientale,comprendente le Alpi istriane, triestine e dell’ex Jugoslavia), ma sono diffusinel Massiccio del Gran Sasso, nel Gargano, nelle Murge, nelle Madonie.

Il termine “carso” è serbo-croato e significa “roccia”.Il carsismo superficiale è ben rappresentato nella zona oggetto di studio e

la formazione più spettacolare è, sicuramente, la cosiddetta Fossa di Mugnanodel Cardinale. Questa caratteristica depressione, estesa circa un ettaro, è una“dolina” formatasi da una originaria piccola depressione in cui avrebbecontinuato ad infiltrarsi l’acqua che, sciogliendo la roccia calcarea ha prodottoprima una cavità e, poi, il crollo della volta e la conseguente formazione delcaratteristico affossamento del terreno.

Page 24: La metodica De Rosa

23

Tra le maggiori formazioni carsiche della zona vanno senz’altro annoveratele tre grotte di Avella: la grotta di San Michele, la grotta delle Camerelle di Pianura ela grotta degli Sportiglioni.

La grotta di San Michele è situata nella parte mediana del ValloneSerroncello-Fontanelle. E’ costituita da tre cavità o ambienti separati.Non è molto importante sotto l’aspetto scientifico ma riveste notevoleimportanza dai punti di vista artistico e religioso.

La grotta di Camerelle di Pianura è la più importante dal punto divista speleologico. Si apre alla quota di 900 metri sul fianco orientaledel Vallone S. Egidio, in prossimità del la Fontana di Pianura,sviluppandosi per quasi 150 metri nelle direzioni S-N e W-E.

Vi si accede tramite una “buca” nel terreno. Superato il salto inizialedi quasi 5 metri, ci si inoltra in una serie di grossi ambienti, in cui, findall’inizio, sono ben visibili pittoresche formazioni colonnari, piùimponenti nella seconda sala. Dalla parete meridionale del tratto W-E,si accede a un ramo inferiore piuttosto ampio. La morfologia dellagrotta depone a favore di un’origine dovuta a una serie di crolli incavità già allargate dall’azione chimica delle acque.

La Grotta degli Sportiglioni, riveste una particolare importanza dalpunto di vista biologico. In essa, infatti, sono state riscontrate benquattro specie endemiche: l’acaro Rhizoalyphus sportilionensis, l’isopodoHaplophthalmus mengeilegrecai, il collembolodisparrhopalites patrizi e ilcoleottero Bathisciolapartenii, tutti a regimealimentare saprofago (sinutrono di materialevegetale o animale indecomposizione).

La grotta si estendeper circa 120 metri.

Si trova nel valloneSerroncello a pochecentinaia di metri, salendo,dopo la grotta di SanMichele e sullo stesso latodi questa, nascosta dallavegetazione.

Grotte di San Michele

Page 25: La metodica De Rosa

24

sezione

pianta

sezione

pianta

Grotta degli Sportiglioni

Grotta delle Camerelle

Page 26: La metodica De Rosa

25

1.5.1. La floraLa coltura che predomina alle quote più basse è il nocciòlo (Corylus

avellana) cui, salendo di quota, subentrano, nell’ordine, l’olivo (Olea europaea),il castagno (Castanea Sativa) e, oltre i 1000 metri, il faggio (Fagus Silvatica).Più sopra ancora si trovano alcune specie di pino, tra cui ricordiamo il PinusLaricio .

In passato, soprattutto in pianura ma anche in collina, si trovavano estesivigneti, ciliegi, pomacee (meli e peri), e piante di gelso (le ceuze, in dialetto)le cui foglie costituivano il “foraggio” dei bachi da seta (Bombyx mori), untempo allevati nei nostri paesini da quasi tutte le famiglie.

Fra i 900 e i 1.500 metri, si trovano, fra i boschi di faggio, alcuni alberi ditasso (Taxus baccata). Si tratta di una pianta velenosa in tutte le sue parti perla presenza di un alcaloide chiamato “tassina”.

Tra le altre specie diffuse sul territorio, sono presenti noci (Juglans regia),òntani napoletani (Alnus cordata), olmi (Ulmus glabra, Ulmus minor), il kaki(Diospyros Kaki), il sorbo (Sorbus aucuparia, Sorbus aria), le varie specie diacero (Acer lobelii, Acer platanoides, Acer pseudoplatanus, A. negundo, A. campestre,A. obtusatum), il carpino (Ostrya carpinifolia), l’orniello (Fraxinus ornus), ilcarpino bianco (Carpinus orientalis). Sono presenti anche le querce (Quercus),i lecci (Quercus ilex). Lungo le strade troviamo i platani (Platanus orientalis, P.Occidentalis), il pioppo nero (Populus nigra), il tiglio (Tilia cordata), il biancospino(Crataegus oxiacantha).

Non tutti sanno che i nostri boschi sono ricchi di numerose specie diorchidee, come la Orchis morio subsp. Picta, Orchis mascula, Orchis pauciflora,presenti nelle località Piano del Pozzo e Piano Maggiore ai confini dei territoridi Avella e Roccarainola (600-900 m slm). Mentre sulla collina delle Vallicelle(Mugnano del Cardinale e Quadrelle) sono presenti Orchis papilionacea, Orchisx gennari, Orchis purpurea, Orchis pauciflora ed altre.

Nel sottobosco troviamo: pungitopo (Ruscus aculeatus), edera (Hedera helix),salvia (Salvia glutinosa), rosa selvatica (rosa sempervirens), fragola (Fragaria vesca),asparago (Asparagus acutifolius), origano (Origanum vulgare), e vari tipi di felcie di ginestre (Spartium iunceum, ecc.), graminacee da prato ed erbe officinali.Sono state censite oltre 700 specie vegetali diverse.

1.5.2. I funghiEsiste una buona varietà di funghi. Si trovano i chiodini (Armillaria

mellea), detti ‘e semmentini, che si trovano vicino alle ceppaie di nocciòloo di alberi da frutto e nei boschi di faggio e di castagno. Poi vi sono iporcini (Boletus edulis), detti comunemente amuniti, che si trovano, di

1.5. Aspetti naturalistici

Page 27: La metodica De Rosa

26

prevalenza, nei faggeti e nei castagneti (ma alcune specie si trovanoanche sotto le querce e nelle pinete).

Da menzionare i taurini, del gruppo dei porcini, ma velenosi, dal cappellopiù rossiccio e dalla “carne” (così si chiama il corpo dei funghi) che, setagliata, ossidandosi a contatto con l’aria, diventa subito rossiccia o bluastra.Alcuni boscaioli di Monteforte Irpino li mangiano dopo averli ben bolliti,infatti la tossina è termolabile, ovvero, si distrugge con il calore.

Sono presenti anche numerose specie di prataioli, spugnole, e “conocchie”o “mazze di tamburo” (Lepiota, Macrolepiota, Agaricus ecc..) che vivonosullo “strame” (materiale organico in decomposizione), da non tutticonosciuti e apprezzati.

Se si è fortunati, è possibile trovare anche l’ Amanita cesarea (detta, indialetto, pirozzola ‘e uovo, tuorlo d’uovo). I parenti velenosi, anzi letali, diquesta specie e cioè l’Amanita muscaria (con sparse macchie bianche sulcappello rosso), e l’Amanita phalloides (dal cappello verde), sembra che danoi non siano presenti: comunque è meglio fare attenzione, non si sa mai.

Altre specie nostrane sono i “lattari” (detti ‘e piesciuli) e i Cantharelluscibarius (detti ‘e gallinelle oppure‘e manolle). Infine, va menzionato il tartufonero (Tuber aestivum) che cresce sotto terra e che viene cercato con l’aiuto dicani o di maiali addestrati allo scopo. Si trova nei faggeti, nei querceti e neinoccioleti.

1.5.3. La faunaDa rinvenimenti effettuati lungo il Clanio, nel territorio di Avella, si è

potuto verificare che in epoca preistorica erano presenti l’orso (Ursus Arctos),il tasso (Meles meles), la martora (Martes martes), la tartaruga terrestre, il caprioloe il cervo (Cervius).

Numerose ed interessanti sono le specie animali attualmente presenti.Tra gli anfibi appartenenti agli Urodeli (le specie provviste di coda anche daadulti), troviamo la salamandra pezzata (Salamandra salamandra gigliolii) dallegrandi macchie gialle nere, la salamandra dagli occhiali (Salamandra tergidata),risalente all’era quaternaria, e alcune specie di tritoni il cui habitat è costituitodalle acque stagnanti di cisterne e pozzi.

Tra gli anfibi Anuri (le specie sprovviste di coda da adulti), troviamo ilrospo comune (Bufo bufo spinosus) ed il rospo smeraldino (Bufo viridis). Nellezone più umide, come l’alto corso del Clanio, si possono incontrare anchealcune specie di rane, come la rana greca (Rana graeca italica), appartenentealle “rane rosse”(lunga circa 6 cm e dalla caratteristica V capovolta sul dorso)e la Rana ridibunda, verde, lunga fino a 15 cm.

Dei rettili ricordiamo la lucertola campestre (Podarcis sicula), presenteovunque, la lucertola muraiola (Podarcis muralis breviceps), comune in alta

Page 28: La metodica De Rosa

27

montagna, e il ramarro (Lacerta viridis). Negli abitati frequenti sono i gechi.Molto particolare è la luscengola (Chalcides chalcides). Questo sauro,somigliante ad un serpente, in realtà è una via di mezzo fra le lucertole e iserpenti. Lungo fino a 40 cm, di colore verde scuro o bronzeo, presentalunghe strisce dorsali chiare. La sua caratteristica distintiva è che presentapiccole zampette provviste di tre dita che, durante la fuga, vengono retrattein apposite cavità presenti lungo il corpo.

Fra i serpenti ricordiamo il cervone (Elaphe quattuorlineata) che, comedice il nome, presenta quattro linee longitudinali scure su corpo chiaro.Lungo fino a 2,60 m è un serpente costrittore: soffoca la vittima fra le suespire e poi la ingoia; riesce ad ingoiare anche piccioni e conigli. E’ uno deiserpenti più timidi d’Europa. Esso, conosciuto dagli allevatori del Campodi Summonte col nome dialettale di “impastoia-vacche”, è ghiotto di latte,come del resto tutti i serpenti. Esso si porta sotto le mammelle delle vacchee vi succhia il latte. La vacca, che prova sollievo perché si alleggerisce dellatte, addirittura ritorna allo stesso posto dove è stata “munta” la primavolta dal serpente e lo aspetta, ed esso, puntualmente, arriva.

Diffusi nel territorio sono altresì la biscia dal collare (Natrix natrix), ilcolubro liscio (Coronella austriaca) e il biacco (Coluber viridiflavus).

Un discorso a parte merita l’aspide o vipera comune (Vipera aspis),l’unico serpente velenoso presente nel nostro territorio. Si distingue daglialtri serpenti locali, innocui, per avere testa triangolare, muso dall’apice rivoltoverso l’alto e pupilla verticale (come quella dei gatti). Il colore del corpo èvariabile dal grigio, al rosa, al bruno con quattro strisce scure più o menoestese ai lati del corpo, la punta della coda è rosa, la parte addominale va dalgiallo chiaro al rosso scuro. E’ lunga circa 70-80 cm.

Passando agli uccelli, segnaliamo oltre a quelli più comuni, presentinelle zone urbane e nelle campagne circostanti come le colombe, le tortore,i passeri, i fringuelli, le rondini, le cince e i merli, anche quelli meno comunicome le beccacce, le quaglie, l’upupa, il pettirosso, l’usignolo, la poiana, ilpicchio, la civetta, il barbagianni, il gufo, la capinera, il cardellino, la gazza,la pica. In zone di montagna, nella parte più alta dei Monti Avella, se si èfortunati, si possono avvistare anche l’astore, il falco pellegrino, il corvoimperiale e, forse, anche lo sparviere (più comune nell’altro versante deiMonti Avella, nei boschi di Pannarano e Cervinara). I fagiani sono presenti-normalmente- solo per poche ore; dal momento del “lancio” da partedelle associazioni venatorie, al momento della loro “fucilazione” da partedei cacciatori: passano in poche ore dalla gabbia alla pentola.

I mammiferi, sono presenti con quasi 30 specie. Oltre ai vari tipi ditopi, ratti e arvicole, ricordiamo i pipistrelli o “chirotteri” (con otto speciediverse), le talpe (presenti con due specie), il ghiro (Myoxus glis), presente

Page 29: La metodica De Rosa

28

anche nelle faggete, e il moscardino (Muscardinus avellanarius). E’ presenteanche il riccio (Erinaceus europeanus), che è insettivoro. Due specie dimammiferi, introdotte per scopi venatori dalle associazioni di cacciatori, lalepre (Lepus capensis) e il cinghiale (Sus scrofa), si sono ambientate moltobene e diffuse su tutto il territorio. I mammiferi carnivori sono rappresentatidalla volpe (Vulpes vulpes), dalla martora (Martes martes) e dalla faina (Martesfoina), che sono poco diffuse. Ancor meno diffuso, ma presente, per“erratismo” (cioè, di passaggio) è il lupo (Canis lupus italicus). Alcuni anni faun esemplare femmina venne ucciso nel territorio di Avella. In passatodoveva essere molto più frequente (non a caso Irpinia proviene dal terminelatino hirpus, cioè lupo).

I carnivori più pericolosi sono rappresentati, comunque, da branchi dicani randagi e rinselvatichiti. Non ce ne sono tantissimi, ma sono presenti,come ci assicura chi maggiormente frequenta le campagne, i boschi e lemontagne vicine. Essi possono aggredire il viandante isolato e possonotrasmettere (come anche le volpi) pulci e rabbia silvestre.

Sulla presenza del gatto selvatico (Felis Silvestris), più grande del gattodomestico, i pareri sono discordi. Alcuni giurano di averlo avvistato, altriritengono che siano presenti solo gatti domestici rinselvatichiti. Comunque,esso è sicuramente presente nella catena del Partenio.

Vi sono, poi, centinaia -se non migliaia- di specie di insetti, facenti partedei vari e complessi ecosistemi forestali, montani ed agricoli.

Agli insetti autoctoni si è purtroppo aggiunta, la temibile zanzara tigre,proveniente dal Nord Africa.

Ricordiamo, infine, i molluschi con alcune specie di lumache. Il nostroambiente, come dimostrò anni fa una sperimentazione della ComunitàMontana, è particolarmente adatto al loro allevamento (elicicoltura).

Page 30: La metodica De Rosa

29

1.6. Aspetti climaticiIl clima risente sia della relativa vicinanza dal mare (circa 25 Km) che della

presenza dei rilievi. Secondo la classificazione di Pavari e De Philippis, chemette in relazione clima e flora, il nostro clima si trova a cavallo tra ilLauretum (maggiore di 19°C) e il Fagetum (inferiore ai 10°C).

Sui rilievi la piovosità raggiunge punte di 2.200 mm di pioggia.Secondo misurazioni effettuate ad Avella, con una stazione posta a 198metri slm, la media degli ultimi trent’anni si aggira attorno ai 1.100 mm.

La più evidente caratteristica climatica dell’area baianese rimane, inogni caso, il forte, secco e gelido vento di tramontana che non di radogiunge ad una velocità di venti o trenta nodi, con punte di cinquantanodi.

G F M A M G L A S O N D

mmt

Climatogramma di Walter e Lieth che mette in relazionela temperatura e la piovosità.

vento

Page 31: La metodica De Rosa

30

Page 32: La metodica De Rosa

31

Page 33: La metodica De Rosa

32

2. La conservazione del bosco e del suolo2.1. Le funzioni ecologiche ed economiche del bosco

Da sinistra a destra: 1) Struttura del bosco. 2) Stadi evolutivi di boschi coetani. 3) Rinnovazione di una fustaia: (A: taglio di sementazione, tendente a favorire lo sviluppo delle chiome delle piante restanti e la germinazione dei semicaduti. B e C: tagli secondari. E: taglio di sgombero).

Fustaia ceduo

Page 34: La metodica De Rosa

33

La selvicoltura moderna ha il duplice obiettivo di preservare e valorizza-re sia gli aspetti strettamente produttivi sia le innumerevoli funzioni am-bientali degli ecosistemi forestali. Volendo tentare una classificazione som-maria dei prodotti e dei servizi offerti dai complessi boscati, possiamo ef-fettuare la seguente schematizzazione:a) Funzione produttiva

Produzione di legname da costruzione, di energia (legna da ardere, pellettati,carbonella), di cellulosa, di prodotti alimentari (selvaggina, frutti, funghi, erbearomatiche ed officinali, miele), di resine e di sostanze medicamentose.b) Funzione protettiva

Riduzione del-l’erosione e deldilavamento su-p e r f i c i a l e ,regolazione delciclo idrologicod e l l ’ a c q u a ,mitigazione de-gli eventi allu-vionali e sic-citosi, azione diriduzione del ri-schio frane.

c) Funzione ecologicaIl bosco svolge una vera e propria funzione di filtraggio dell’aria. Inoltre,

produce ossigeno (un albero adulto ne produce mediamente 4 chilogram-mi nelle 24 ore) e fissa anidride carbonica19 . Esso, inoltre, rappresenta unimportante serbatoio di biodiversità costituendo l’habitat naturale per nu-merosi organismi vegetali ed animali.d) Funzione estetico-paesaggistica-culturale

La fruizione del bosco ai fini venatori, ricreativi, educativi, turistici,etnografici, didattico-naturalistici, può garantire un flusso di reddito per lepopolazioni montane, favorendone la permanenza e contribuendo a ridur-re i rischi di un degrado ambientale conseguente all’eventuale abbandonodella montagna.

Per i motivi innanzi esposti, la moderna pianificazione di un comples-so forestale in grado di erogare beni e servizi di molteplice natura devetener nel giusto conto le sue diverse attitudini e funzioni, superando la tra-dizionale visione meramente produttivistica, soprattutto quando la pianifi-cazione riguardi i demani pubblici.

Page 35: La metodica De Rosa

34

2.2. Aspetti agronomici e pedologici

Il suolo è la parte più superficiale della crosta terrestre. E’ un sistema trifasico,comprendente una fase solida, una fase liquida e una fase gassosa. E’ un fondamen-tale componente dell’ambiente come l’aria e l’acqua ma poco percepito come tale e,pertanto, non è specificatamente tutelato. In realtà è una risorsa esauribile e solomolto lentamente rinnovabile (per formare 30 cm di suolo,a seconda del tipo diroccia madre, del clima e dei fattori delle modalità d’azione dei fattori della pedogenesi,occorrono da un centinaio a svariate migliaia di migliaia di anni).

I fattori che determinano la sua formazione (pedogenesi) sono riassunti nella co-siddetta formula di Jenny:

Del suolo vanno valutate:le qualità agronomiche,dalle quali dipende la capacità di produzione di biomassa pr l’alimentazione degliuomini e degli animali, la produzione di fibre, di legname e di altri materiali utili;le qualità ecologiche,dalle quali dipende la funzione di filtro biologico, azione tampone e di trasformazio-ne di materiali diversi, taluni dei quali potenzialmente inquinanti;le qualità idrologiche,dalle quali dipende la regolazione della stabilità dei paesaggi e dei bacini imbriferi;le qualità naturalistiche,dalle quali dipende la biodiversità della micro e macroflora e della micro e macrofauna;le qualità ingegneristiche,fonte di approvvigionamento di materie prime (minerali, sabbia, argilla, ghiaia, torba,ecc.) e le caratteristiche di adeguatezza alle utilizzazioni per insediamenti umani,insediamenti produttivi e alla realizzazione di attività ricreative.

Page 36: La metodica De Rosa

35

Secondo la celeberrima schematizzazione di Tsukamoto e Kusakabe2, diseguito riportata, le possibili interazioni albero-suolo dal punto di vistadell’effetto stabilizzante delle radici possono essere riassunte nei seguentiquattro casi:

Caso A: il terreno è poco profondo e le radici lo permeanocompletamente esercitando un meccanismo di rinforzo, ma non si ancoranoalla roccia sottostante. L’interfaccia terreno-roccia resta dunque un pianodi minore resistenza lungo il quale può avvenire lo slittamento.

Caso B: le radici penetrano nella roccia e vi si ancorano, stabilizzandocosì il complesso terreno-roccia.

Caso C: le radici non raggiungono la roccia ma si ancorano a strati diterreno sottostanti ed a maggiore resistenza di quelli superficiali, esercitandocomunque un effetto stabilizzante.

Caso D: le radici non raggiungono la roccia perché il terreno è profondoe non esercitano un’apprezzabile azione stabilizzante.

2Tsukamoto, Y., e Kusakabe, O., 1984. Vegetative influences on debris slide occurrences on steepslopes in Japan. Proc. Symp. “Effects of forest land use on erosion and slope stability”. Environmentand policy institute. Honolulu, Hawaii.

Page 37: La metodica De Rosa

36

Appare evidente come il suolo rappresentato nella figura sopra,ampiamente diffuso nei suoli perivesuviani, e caratterizzato dalla presenzadi uno o più strati pomicei (in bianco), non attraversabili dalle radici, nonsia stato preso in considerazione.

Questo quinto caso di interazione suolo-pianta (che ho definito Caso E) , costituentel’oggetto del presente lavoro, sarebbe forse degno di ulteriori studi e approfondimentiin considerazione del fatto che molti dei suoli interessati dalle frane campane sonoascrivibili proprio a questa particolare tipologia pedologica.

Da alcune considerazioni sul comportamento agronomico egeomeccanico di questi particolari tipi di suolo possono, poi, conseguireuna serie di implicazioni operative del tipo di quelle proposte nelle paginesuccessive (suggerimenti selvicolturali ed adeguamento di alcune strutturedi ingegneria naturalistica).

Numerose osservazioni agronomiche e pedologiche effettuate in terreniagrari e suoli forestali hanno posto in evidenza come la gran parte dellespecie vegetali incontri insormontabili difficoltà ad approfondirsi in presenzadi strati pomicei. Infatti, in corrispondenza di questi orizzonti, caratterizzati daelevata macroporosità ma da microporosità e capacità di ritenzione idricapressoché nulle, gli apparati radicali subiscono una vera e propria “autopotatura”.

Questo fenomeno, noto non solo ai fisiologi vegetali ma anche a vivaistie fiorai (che lo sfruttano, tramite l’utilizzo di appositi vasi forati, percontrollare lo sviluppo radicale), si verifica perché le radici non trovanonello strato pomiceo né acqua né sali disciolti ma solo aria.

Page 38: La metodica De Rosa

37

Il risultato è che, in tali suoli, viene a formarsi superficialmente uno strettoreticolo di radici che pur rendendo il terreno particolarmente stabile neiconfronti dei fenomeni di erosione superficiale non riesce ad ancorarlo alsuolo sottostante o alla roccia. Perciò, i versanti di questo tipo sottopostiad un carico eccessivo, dovuto ad esempio all’appesantimento causato daun bosco invecchiato (fattore predisponente), qualora dovesse verificarsiuna diminuzione della resistenza degli strati inferiori, dovuta all’aumentodelle tensioni neutre conseguenti a piogge copiose (fattore scatenante),possono slittare rovinosamente a valle.

Stratificazione tipica dell’area oggetto di studio: (da sotto) bedrock calcareo, paleosuolo, depo-siti piroclastici (in chiaro), suolo agrario.

Lo strato di pomici non viene attraversato dalle radici delle piante che, pertanto, non possonoancorarsi allo strato (di roccia o di terreno) inferiore, concausa questa dell’instabilità dei pendii.

Page 39: La metodica De Rosa

38

2.3. Effetto stabilizzante degli apparati radicali delle piante

Page 40: La metodica De Rosa

39

L’effetto stabilizzante degli apparati radicali, di piante erbacee, arbustive edarboree ha costituito l’oggetto di numerosi studi3, che hanno messo in relazionel’equilibrio statico, con il bilancio idrologico e con l’effetto delle radici:

Tali studi hanno messo in evidenza, per esempio, che l’apparato radicale delcastagno (l’albero tipico dei boschi dell’area oggetto di studio) in un terrenoprofondo giunge mediamente fino a circa 5,8m, con una resistenza alla trazioneattorno ai 30 Megapascal, per diametri compresi fra 5 e 60 mm.

Sono poi stati effettuati dei test di resistenza a rottura del terrenopermeato di radici a confronto con terreno nudo.

Il rinforzo del terreno ad opera delle radici è stato calcolato in manieraanaloga ai calcoli di rinforzi delle terre armate, in base alla quantità diradici presenti nel terreno ed alla loro resistenza a trazione.

In accordo con la letteratura dominante (Wu4, Waldron5 , Gray e Leiser6) èstata considerata l’area delle sezioni delle radici per unità di sezione del terreno.

I modelli adottati si basano sull’equazione di Coulomb per laresistenza al taglio del terreno: S = c + σσσσσNtanφφφφφ

3- Analisi del sistema suolo-vegetazione del comune di Napoli in relazione alle dinamiche diinstabilità dei versanti e definizione di linee-guida di intervento - Stefano Mazzoleni, MarianaAmato, Antonio Di Gennaro, Fabrizio Cembalo, Virginia Lanzotti. Gaetano di Pasquale, Paolo diMartino, Donato Maria Giordani, Paolo Abalsamo, Francesco Cona, Maria Bellelli, Sandro Strumia,Antonello Migliozzi, Livia Vitelli - C.U.G.Ri- Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e PatologiaVegetale- Università di Napoli Federico-II, 2001. 4- Wu, T.H., 1976. Investigation of Landslides on Prince of Wales Island. Geotechnical EngineeringReport 5, Civil Engineering Depertment, Ohio State University, Columbus, Ohio, U.S.A. 5- Waldron, L.J., 1977. Tshear resistance of root-permeated homogeneous and stratified soil. Sci.

Soc. Am. J. 41. 6- Gray, D. H., and Leiser, A.J., Biotechnical slope protection and erosion control. Van NostrandReinhold, New York.

Il contributo delle radici viene quantificato come incremento della coesione,per cui si ha che: S = c + ΔΔΔΔΔS + σσσσσNtanφφφφφ Dove:

S = resistenza al taglio del terrenoc = coesione apparente del terrenoσΝ =sforzo normale al piano di rotturaφ = angolo di attrito

Page 41: La metodica De Rosa

40

2.4. Richiami sull’instabilità delle coltri piroclastiche

I fenomeni che interessano le coperture piroclastiche prendono origine nellezone acclivi dei versanti su superfici inclinate di 35°-50°, lungo versanti aperti onelle zone di testata dei fossi7 .

Il coefficiente di sicurezza F,definito come rapporto fra laresistenza media al tagliodisponibile e la resistenza mediamobilitata, è dato dalla relazione:

Il movimento iniziale della massa è generalmente di tipo traslativo (Soil odebris slides) ma, favoriti anche dalle pendenze dei versanti, i fenomeni si evolvonoin flussi, caratterizzati da notevoli velocità e capacità erosiva, lungo i versanti edi canali di scorrimento.

E’ da evidenziare che non mancano casi di inneschi per crolli di masse calcareein specifiche condizioni morfologiche8.

Facendo riferimento alla classificazione proposta da Cruden e Varnes9, con ilnome di debris flow (lett. flusso di detriti) si intende un tipo di frana conosciutacome “colata rapida”, in cui il materiale coinvolto è costituito fino all’80 percento da granelli aventi diametro inferiore a 2 mm con un tipo di movimentodel flusso non assimilabile a quello di un corpo rigido (rotazione e/o traslazione)ma simile a quello di un fluido, con velocità alquanto diverse tra punti differentidella massa in movimento.

Inoltre, il materiale mobilitato nella parte alta del versante tende adincrementare il proprio volume a causa dell’erosione e dell’abrasione dei materialipresenti sul fondo e ai fianchi dei canali: si viene quindi a generare un fenomenodi autoalimentazione simile a quello che si verifica nel caso delle valanghe.7Guadagno F.M., 1991. Debris flow in the Campanian vulcanoclastic soil (Southern Italy). Proc.

International Conference on “Slope stability engineering developements and applications”, Inghilterra. De Rosa Pellegrino. 2005. L’assestamento forestale e l’ingegneria naturalistica nei suoli concoperture piroclastiche. Atti del Master in Gestione e Difesa del Territorio. Portici (Na)8Civita, citato da Guadagno [29].

9Cruden D.M. & Varnes D.J., 1996. Landslide types and Processes. In “Landslides: Investigation

and Mitigation”. Ed. Turner A.R. e Shuster R.L. Sp. Rep. 247, Trasportation Research Board, NationalResearch Council, National Academy Press., Washington D.C.

Page 42: La metodica De Rosa

41

Il debris flow è caratterizzato da quattro momenti ben definiti:a) fase di innescob) fase di dilatazione,

imbibizione di acqua e rammolli-mento

c) fase di veloce scorrimento al-l’interno di un canale, in cui le ca-ratteristichecinematiche del materiale prove-niente da distacchi sommatalievolvono in quelle di colata

d) fase di deposizione in lobi olame di detriti in una zona dove ilmateriale può essere a sua volta sog-getto ad erosione, trasporto, etc.

Nel determinismo di una frana si distinguono dei fattori predisponenti e deifattori innescanti.

Per quanto riguarda i primi si osserva che un ruolo di primaria importanza ègiocato dalle piogge e dalla loro modalità di infiltrazione di ritenzione nel terre-no, anche se, come già evidenziato da Terzaghi nel 1950, è improbabile che essadebba considerarsi quale unica causa.

Stadi della trasformazione di uno scorrimento (debrisslide) in colata detritica (debris flow) [da Howard etalii, 1988]. Legenda: a) Scorrimento. b) Perdita diresistenza. c) Disgregazione dei blocchi e lorofluidificazione. d) Accelerazione della colata conincorporazione di materiale trovato lungo il cammi-no. e) deposito.

Page 43: La metodica De Rosa

42

Altri autori10, infatti, mettono in evidenza sia l’effetto dell’acqua infiltratasia di quella a contatto col substrato carbonatico poco permeabile.

Per quanto concerne i fattori predisponenti vengono presi inconsiderazione innanzitutto gli aspetti giaciturali (pendenze) e l’assettostratigrafico (la coltre piroclastica si presenta generalmente clinostratificata,con orizzonti di varia natura poggianti su un bedrock di natura carbonatica).

Inoltre, si è potuto osservare come gran parte delle frane verificatesi sullecatene montuose di Avella-Cervinara, Quindici, Sarno e Siano, si siano prodottein prossimità di tagli stradali, o per “scalzamento al piede” o per infiltrazioni diacqua dal piano del sentiero boschivo o in corrispondenza degli “strascini” diesbosco del ceduo.

Liquefazione e superficie di scivolamento (Sassa7) Modello taglio-consolidazione (Sassa)

Test di compressione isotropica (NCL) e testtriassale di un suolo drenato e non drenato

(Picarelli e Olivares3)

Inviluppo a rottura o di Stato Stazionario perterreni cineritici di alcuni versanti della

Campania sottoposti a prove di tipo drenato(Picarelli e Olivares3)

10Cascini L., Guida D., Romanzi G., Nocera N. & Sorbino G., 1999. A preliminary model

for the landslides of May 1998 in Campania region. Atti del II Convegno internatale “TheGeotechnics of Hard Soils – Soft Rocks”, Napoli. Ottobre 1998.

De Risio R., Calcaterra D., Santo A., 2001. Le frane percolata rapida in terrenipiroclastici: esperienze sugli aspetti geologici in vari contesti campani.

Celico P. Guadagno F.M., 1998. L’instabilità delle coltri piroclastiche delle dorsalicarbonatiche in Campania: attuali conoscenze. Primo rapporto informativo dell’UnitàOperativa 4/21N del C.N.R./G.N.D.C.I.

Page 44: La metodica De Rosa

43

Notevole attenzione meritano alcuni fenomeni di natura idrodinamica. E’stato infatti osservato che le frane prendono origine prevalentemente laddovesi creano particolari condizioni idrodinamiche consistenti in importanti flussiidrici sub-paralleli ai versanti e nell’instaurarsi di falde sospese effimere, sia neicalcari sia nella coltre piroclastica, e nella modifica delle pressioni neutre.

Inoltre, deve essere tenuto presente che nell’orizzonte di molti suoli piroclasticisono presenti le argille allofaniche, dal singolare comportamento in caso disaturazione11.

Le prove di tipo drenato sui terreni saturi mostrano che il comportamentodei terreni è sempre duttile e contraente e la sostanziale assenza di coesioneconferma il fatto che i depositi sono del tutto privi di cementazione.

In prove non drenate su provini saturati questi stessi terreni esibiscono uncomportamento fragile. In effetti, nonostante l’elevato angolo di attrito, al cresceredelle deformazioni indotte si verifica una forte riduzione di resistenza dovutaalle sovrappressioni neutre indotte.

Normalmente questi fenomeni sono in relazione non solo con la quantità dipioggia caduta nelle ultime ore, ma anche con quella infiltratasi nel corsodell’intero anno idrologico.

Lo sradicamento è un altro degli indesiderabili effetti del ridotto approfondimento degli apparati radicali

11La degradazione di minerali facilmente alterabili o di vetro vulcanico produce elevate concentrazioni

di Ca, Mg, Al, Fe e silice in soluzione. Le soluzioni sono fortemente sovrassature e siccome non vi ètempo sufficiente per un’appropriata riorganizzazione in una struttura cristallina, Al, Fe e Si precipitanocome componenti amorfe, quali allofane, imogolite, opale e ferridrite. La maggior parte dei cationibasici (CA, Mg,K, Na) e parte del H4SiO4 vengono rimossi dal drenaggio delle acque. Quindi, condizioniimportanti per la loro formazione sono: presenza di minerali che si alterano velocemente e/o vetrovulcanico, condizioni di umidità (l’acqua favorisce l’alterazione), buon drenaggio che allontani i cationi.Condizioni climatiche ben definite e presenza di vegetazione che garantisca una certa umidità. La loropresenza può essere diagnosticata dall’analisi mineralogica: FTIR e raggi X, o dall’ analisi chimica,con le estrazioni selettive con ammonio ossalato. In campagna un indizio della loro presenza ci è datodalla osservazione di un comportamento tixotropico del campione esaminato, ovvero della capacità diliquefarsi se sottoposto a pressioni o vibrazioni. Questa proprietà, tipica di alcuni Andosuoli, è dovutaall’espulsione di acqua dai micropori presenti nelle microstrutture ove vi siano minerali argillosi abasso ordine cristallino (allofane, protohalloysite).

Page 45: La metodica De Rosa

44

In seguito a tali considerazioni sono stati messi a punto alcuni modelliprevisionali basati sulla definizione di una “soglia pluviometrica”, al superamentodella quale diventa altamente probabile il verificarsi di fenomeni franosi.

Attualmente si sta mettendo a punto il modello FLaIR (Forecasting of LandslidesInduced by Rainfalls)12, la cui formulazione teorica si basa sulla definizione di una“funzione di mobilizzazione” dipendente in ogni istante dalla quantità di acquainfiltratasi nel sottosuolo prima dell’istante stesso ed avente la funzione diindicatore sintetico dello stato idrologico e del rischio di mobilizzazione che lepiogge cadute nel passato inducono nel versante in studio.

12Versace P., 2001. La riduzione del rischio idrogeologico nei comuni colpiti dagli eventi del maggio98 in Campania. Forum per il Rischio Idrogeologico in Campania. Napoli 22 giugno 2002.

EFFETTI DEGLI INCENDI SULLA PERMEABILITA’ DEL SUOLO

Page 46: La metodica De Rosa

45

Cer

vina

ra: c

arta

del

ris

chio

fran

e

Page 47: La metodica De Rosa

46

Rischio frane: fattori predisponenti

Page 48: La metodica De Rosa

47

3. Ingegneria naturalistica e “Metodica De Rosa”

Come naturale conseguenza di quanto esposto nelle pagine precedentideriva la considerazione, confermata dalle osservazioni in pieno campo,che molte opere di I.N. (ingegneria naturalistica) per risultare realmenteefficaci sui suoli con stratificazioni piroclastiche, debbano essere in qualchemodo “adattate” ad essi ed al tipo di vegetazione che vi alligna.

Per comprendere meglio il settore, occorre premettere che esistono tantimodi di concepire l’I.N quanti sono i tipi di professionalità che, a variotitolo, se ne occupano. Si va dal produttore di gabbioni e di materiali sintetici,per il quale tutto è I.N. purché comprenda, oltre agli articoli da luicommercializzati, anche il solo episperma di un singolo seme, al naturalistapurista, per il quale l’I.N. deve prevedere solo essenze vegetali e vegetanti.Tra questi due estremi esiste un variegato mondo di operatori che, a variotitolo, si interessano del settore. Un approfondimento di tali argomenticondurrebbe molto lontano, ben oltre i limiti e gli scopi del presente lavoro.

Tuttavia, è possibile ed utile sottolineare due principi che, di solito, sonouniversalmente condivisi:

a) che per poter essere definito “opera di ingegneria naturalistica” unintervento deve prevedere anche la presenza di piante vegetanti;

b) che l’intervento di consolidamento, effettuato generalmente conpaletti di castagno disposti secondo vari criteri, ha funzione solo temporanea,poiché dopo la loro naturale degradazione (o marcimento) il compito digarantire la stabilità meccanica dell’opera verrà svolto interamente dagliapparati radicali e dal fusto delle specie vegetali impiantate ed accresciutesinel frattempo.

Page 49: La metodica De Rosa

48

Pertanto, le validissime opere di contenimento effettuate solo con pietrame ole suggestive staccionate in paletti di castagno, pur svolgendo egregiamente leloro rispettive funzioni, non hanno -a rigor di logica- nulla a che vedere con levere opere di I.N..

Inoltre, non è corretto definire opere di I.N. le semine di prati, i rimboschimentie gli imboschimenti, sia perché essi non prevedono alcun manufatto, sia perchési tratta di interventi di natura agronomica e forestale, per la realizzazione deiquali sono richieste specifiche competenze.

Infine, come indicato nella figura a pagina precedente, dovrebbe essere benchiaro ad ogni progettista che l’I.N. non è sempre deontologicamente e tecnica-mente applicabile.

In ogni caso, egli deve tenere nel debito conto gli aspetti geopedologici,geomeccanici, idraulici, agronomici ed edafici del sito di intervento. Tra-scurare questi aspetti conduce, invariabilmente, alla progettazione diopere inefficienti sia dal punto di vista agronomico che, conseguente-mente, da quello strutturale.

A titolo di esempio, non sembra deontologicamente e tecnicamentecorretto “fondare” una struttura (come si vede in taluni progetti esecu-tivi) con paletti di castagno che giungono, poniamo, fino a 1,5 metri,ben sapendo che le radici delle piante non riusciranno mai a giungerefino a quelle profondità, a causa dello strato piroclastico interposto.

Per tali motivi, in molti casi, potrà essere utile l’adozione della“metodica De Rosa ©”.

Essa consiste in un nuovo modo di interpretare l’Ingegneria Naturalistica(I.N.) quando si debba intervenire con essa sui suoli di natura vulcanica (comequelli, piroclastici, dell’area circumvesuviana della Campania) o su tutti gli altrisuoli che presentino, per varie cause, degli strati meccanicamente, chimicamen-te o biologicamente inerti13 .

Il dott. agronomo Pellegrino De Rosa, avendo constatato che gli apparatiradicali delle piante non attraversano gli strati di pomici14 , ha fatto osservarecome molte strutture realizzate secondo le tecniche di I.N. sui suoli piroclastici,se non opportunamente adeguate alle specifiche caratteristiche agronomiche egeopedologiche di tali terreni, finiscano per rivelarsi completamente inefficaci eper costituire esse stesse la causa di futuri e più pericolosi ed estesi dissesti.

Gli interventi di I.N. (detti anche interventi “in verde”) prevedono l’uso inte-grato di materiali naturali e di piante vive. Semplificando molto il discorso,avviene che, solitamente, vengono usati paletti di legno (in castagno, di conife-re, ecc..) per realizzare varie strutture di contenimento (es. palificate semplici odoppie, graticciate, viminate, ecc..) unitamente a talee di salice e piantine dispecie autoctone (alle quali, oltre la funzione meccanica è demandata anchequella di “rinaturalizzazione” del sito).

Page 50: La metodica De Rosa

49

© Dalle osservazioni condotte è stata studiata una nuova struttura di I.N. denominata “agevolatoreradicale”, per la quale è stata presentata domanda di brevetto industriale (AV2006A000003).«Ogni teoria dovrebbe essere la più semplice possibile, senza diventare semplicistica» (AlbertEinstein).13 La “metodica De Rosa” è stata presentata dall’autore alla fine dello stage da lui effettuato pressoScienze Forestali ed Ambientali (Direttore: Prof. Stefano Mazzoleni. Relatore: Prof. Antonio Saracino)e del Master in Gestione e Difesa del Territorio, da lui conseguito nel 2005 presso l’Università degliStudi di Napoli (Direttore: prof. Nunzio Romano) e al quale, negli anni successivi, ha tenuto dellelezioni sull’argomento, in forma di seminario, come “esperto esterno”.14 Il fatto si osserva facilmente lungo i “tagli stradali” ed era già tradizionalmente noto ai corilicoltori ditutta l’area Baianese e del Vallo di Lauro. Siccome le pomici (presentanti elevata macroporosità maridottissima microporosità) non riescono a trattenere l’acqua, l’ambiente diventa inospitale per le radici(che all’aria si “autopotano” ), che preferiscono mantenersi nel suolo fertile ed umido più superficiale.15 E’ noto che le piante vanno piantate a livello del colletto (zona del fusto appena sopra leradici) e che se piantate più in profondità muoiono. Secondo un detto popolare, infatti, “le radicidevono poter sentire le campane”, ovvero devono trovarsi appena al di sotto del livello del terreno.

La struttura in legno ha un effetto immediato di contenimento e distabilizzazione ma, siccome con il tempo perderà le sue caratteristiche mecca-niche (si seccherà oppure marcirà) è previsto che la sua funzione meccanicadebba poi essere sostituita da quella delle piante, che nel frattempo sarannocresciute e che con il loro apparato radicale avranno raggiunto la profonditàprevista dall’intervento (corrispondente, per lo meno, a quella alla quale sonostati infissi i paletti). Ebbene, ma cosa succede se i paletti sono stati ancorati a1,2 metri di profondità su un terreno che presenta uno strato di pomici posto a60 centimetri? Succede, semplicemente, che la struttura perde di efficacia, poi-ché le radici non potranno mai “approfondarsi” oltre lo strato pomiceo edancorarsi al suolo sottostante e, una volta che si sarà disfatta la struttura inlegno, il sito diverrà pericolosamente instabile. Per questo motivo, in tali casi, ilprof. De Rosa ha segnalato la necessità di effettuare in fase di piantumazionedelle specie vegetali una trincea o una buca che oltrepassi lo strato inerte e chesia riempita di fertile terreno vegetale, costituendo in tal modo una via prefe-renziale per gli apparati radicali delle piante15, consentendo loro di ben ancorar-si al suolo più profondo e di svolgere in maniera ottimale la funzionebiomeccanica loro richiesta.

Schematizzazione deglieffetti stabilizzanti delleradici

Page 51: La metodica De Rosa

50

Palificata doppia con grata arborata“De Rosa”

1

2

1= strato inerte (costituito da depositi piroclastici o da altri materialibiologicamente o idrologicamente inerti) non attraversabile dalle radici

2= buca riempita di terreno fertile che costituisce una via preferenziale per gliapparati radicali

Page 52: La metodica De Rosa

51

4. Lo studio integrato del territorio.

Nella pratica professionale, dovendo progettare un intervento sul territo-rio occorre tener ben presenti tre ordini di questioni.

In primo luogo, bisogna tener presente tutti i tipi di vincoli che gravanosul territorio: se vi siano aree protette (SIC o Siti di Interesse Comunitario,ZPS o Zone di Protezione Speciali, Parchi, etc.) e modulare gli interventida progettare in conformità con i regolamenti o con le linee guide da essiprevisti. La stessa cosa dicasi per quanto concerne le normative Regionali,le leggi nazionali e le direttive comunitarie, per le Autorità di Bacino (prin-cipalmente, per il rischio frane e per gli interventi sui corsi d’acqua) e per laSoprintendenza (vincolo paesaggistico).

In secondo luogo, sarebbe preferibile usare tutti gli strumenti più moderni(ortofoto, stereofoto, GIS, modelli previsionali, banche dati, cartografia tematica,etc.) per valutare gli effetti dell’intervento sull’ambiente a scala di bacino.

In terzo luogo, occorre difendere la propria deontologia professionaledall’invadenza di una classe politica, al contempo sempre più invadente,parassita e inetta, che tenta di manipolare i pareri e gli studi dei tecnici nonper valutare concretamente quale siano gli interventi tecnicamente più cor-retti tecnicamente e realmente utili al territorio e alla comunità ma per aval-lare le sue “scelte politiche” che, troppo spesso, mirano solo al manteni-mento del clientelismo e alle logiche di partito, quando, addirittura, non sigiunga al vero e proprio peculato e al falso ideologico.

I professionisti, generalmente i più validi, che non si piegano a questelogiche hanno spesso grosse difficoltà a completare le progettazioni o ariscuoterle o a farne delle altre.

Ciò premesso, e restringendo le considerazioni al solo aspetto tecnico, ilprogettista che voglia attuare un intervento a basso impatto ambientaleche, cioè, consenta di risparmiare il prezioso suolo fertile, di non inquinarela risorsa idrica, di salvaguardare gli ecosistemi e gli habitat deve eseguirepreventivamente degli studi di carattere climatico, ambientale, pedologicoe vegetazionale, integrandoli - preferibilmente - in un sistema di cartografiatematica georeferenziata associata ad una matrice di metadati (per esempioin un S.I.T. o Sistema Integrato Territoriale o GIS).

Qui di seguito verranno riportate solo poche immagini relative a talemetodica di studio del territorio, mentre nel filmato presente nel cd allega-to, verranno illustrate (sommariamente e solo ai fini didattici, poiché nonsarebbe corretto rendere pubblico tutto il lavoro di progettazione effettiva-mente eseguito) le varie fasi di una caso reale di progettazione eseguitosecondo questo “criterio integrato”.

Page 53: La metodica De Rosa

52

Page 54: La metodica De Rosa

53

Alcune delle carte tematiche utili a un corretto inquadramento ambientale(altre sono quelle: geopedologiche, botaniche, delle precipitazioni,vegetazionali, delle pendenze, dell’acidità dei suoli, reticolo idrografico ecc...),talune indicate nel filmato allegato.

Page 55: La metodica De Rosa

54

Elevazione e reticolo idrografico

Page 56: La metodica De Rosa

55

Page 57: La metodica De Rosa

56

Esempio di delimitazione di area protetta...

Page 58: La metodica De Rosa

57

...all’interno della quale prevedere lavori a basso impatto ambientale, distri-buiti secondo criteri che tengano conto della flora e della fauna presenti edel periodo di riproduzione delle specie protette.

Se, per esempio, nel sito sono presenti le seguenti specie protette diuccelli che nidificano nei mesi indicati....

...e si vogliono realizzare i seguenti interventi:

è evidente che, nel definire il cronogramma dei lavori, bisognerà tenerne contoe indicare (anche a parte) i periodi durante i quali poter svolgere i lavori.

Page 59: La metodica De Rosa

58

5. Esempio di valutazione d’impatto ambientale

Si riporta, qui di seguito, un esempio (didattico e indicativo) di relazionedi Valutazione di Impatto Ambientale.

Per correttezza, sono stati omessi i dati della progettazione (che purebisogna riportare, nella pratica).

Page 60: La metodica De Rosa

59

Page 61: La metodica De Rosa

60

Page 62: La metodica De Rosa

61

Page 63: La metodica De Rosa

62

Page 64: La metodica De Rosa

63

Page 65: La metodica De Rosa

64

Page 66: La metodica De Rosa

65

Page 67: La metodica De Rosa

66

Page 68: La metodica De Rosa

67

Page 69: La metodica De Rosa

68

Page 70: La metodica De Rosa

69

Page 71: La metodica De Rosa

70

Page 72: La metodica De Rosa

71

Page 73: La metodica De Rosa

72

Bibliografia

Amato M., Migliozzi A., Mazzoleni S. (2004) - Il sistema suolo vegetazione, Liguori Editori(Na).

Assessorato Agricoltura, Ambiente e Sviluppo sostenibile. (2002) - Sistema informativo per l’as-sestamento forestale. Progetto bosco gestione sostenibile - Regione Emilia Romagna .

Bagnaresi U., Bernetti G., Cantiani M., Hellrigl B. (1987) - Nuove metodologie nella elaborazionedei boschi. ISEA. Bologna.

Bernetti G., (1993) –Ipotesi di una politica forestale per i boschi cedui. L’Italia Forestale e Mon-tana, 48 (6):391-392.

Bernetti I., Maetzke F., Torrini L., L’Analisi multicriteriale nella pianificazione forestale: appli-cazione ad un caso pratico In: Atti del 2° seminario UNIF “Ricerca ed esperienze nella pianifica-zione multifunzionale” – Trento.

Bifulco C. (2001) – Interventi di ingegneria naturalistica nel Paro Nazionale del Vesuvio. Piazzamunicipio n°8. San Sebastiano al Vesuvio. Napoli.

C.U.G.Ri (2001) - Analisi del sistema suolo-vegetazione del comune di Napoli in relazione alledinamiche di instabilità dei versanti e definizione di linee-guida di intervento di Stefano Mazzoleni,Mariana Amato, Antonio Di Gennaro, Fabrizio Cembalo, Virginia Lanzotti, Gaetano di Pasquale,Paolo di Martino, Donato Maria Giordani, Paolo Abalsamo, Francesco Cona, Maria Bellelli, SandroStrumia, Antonello Migliozzi, Livia Vitelli - Dipartimento di Arboricoltura, Botanica e PatologiaVegetale- Università di Napoli Federico-II.

Cascini L., Guida D., Romanzi G., Nocera N. & Sorbino G., (1999) - A preliminary model for thelandslides of May 1998 in Campania region. Atti del II Convegno internatale “The Geotechnics ofHard Soils – Soft Rocks”, Napoli. Ottobre 1998.

Cavazza L. e Patrono A., Terreno Agrario - REDA edizioni.

Celico P. e Guadagno F.M., (1998) - L’instabilità delle coltri piroclastiche delle dorsalicarbonatiche in Campania: attuali conoscenze. Primo rapporto informativo dell’Unità Operativa4/21N del C.N.R./G.N.D.C.I.

Ciancio O., Nocentini S., (2004) – Il bosco ceduo. Selvicoltura-Assestamento-Gestione. Accade-mia Italiana di Scienze Forestali. Tip. Coppini – Firenze.

Cruden D.M. & Varnes D.J., (1996) - Landslide types and Processes. In “Landslides: Investigationand Mitigation”. Ed. Turner A.R. e Shuster R.L. Sp. Rep. 247, Trasportation Research Board,National Research Council, National Academy Press., Washington D.C.

De Risio R., Calcaterra D., Santo A., (2001). Le frane per colata rapida in terreni piroclastici:esperienze sugli aspetti geologici in vari contesti campani.

De Rosa P., Napolitano B., Picariello G., (2008) - Le erbe alimurgiche del Baianese e del Lauretano- Regione Campania.

De Rosa P., (2005) - L’assestamento forestale e l’ingegneria naturalistica nei suoli con coperturepiroclastiche.

De Rosa P., Napolitano B. (2000) - La Città del Baianese. Artemis – Casalnuovo (Na).

Di Gennaro A., Piani imperfetti. Il caso del piano urbanistico della Provincia di Napoli, CleanEdizioni.

Gray, D. H., and Leiser, A.J., Biotechnical slope protection and erosion control. Van NostrandReinhold, New York.

Page 74: La metodica De Rosa

73

Guadagno F.M., 1991. Debris flow in the Campanian vulcanoclastic soil (Southern Italy). Proc.International Conference on “Slope stability engineering developements and applications”,Inghilterra.

Napolitano B. (2002) - L’Esagono. Artemis – Casalnuovo (Na).

Picarelli L. & Olivares L., (2001) - Innesco e formazione di colate di fango in terreni sciolti diorigine piroclastica.Forum per il rischio idrogeologico in Campania. Napoli, 22 giugno 2001.

Picariello G. (a cura di) (1995) - La valle munianense. Tipografia GraficAmodeo. Avellino.

Provincia di Terni (2004) - Manuale tecnico di Ingegneria della Provincia di Terni (applicabilitàdelle tecniche, limiti e soluzioni).

Sassa K., (2000) - The mechanism Starting liquefied landslides and debris flow. IV Int. Symposiumon Landslides, Toronto.

Tsukamoto, Y., e Kusakabe, O., (1984) - Vegetative influences on debris slide occurrences onsteep slopes in Japan. Proc. Symp. “Effects of forest land use on erosion and slope stability”.Environment and policy institute. Honolulu, Hawaii.

Varnes D. J. (1958) - Landslide Types and process In: Landslids an Engineering Practice (Echel,E. B., ed.) HRB, Special Rept. 29.

Versace P., (2001) - La riduzione del rischio idrogeologico nei comuni colpiti dagli eventi delmaggio 98 in Campania. Forum per il Rischio Idrogeologico in Campania. Napoli 22 giugno2002.

Waldron, L.J., (1977) - Tshear resistance of root-permeated homogeneous and stratified soil. Sci.Soc. Am. J. 41.

Wu, T.H., (1976) - Investigation of Landslides on Prince of Wales Island. Geotechnical EngineeringReport 5, Civil Engineering Depertment, Ohio State University, Columbus, Ohio, U.S.A.

Page 75: La metodica De Rosa

74

Page 76: La metodica De Rosa

54

Note sull’autorePellegrino De Rosa è dottore agronomo,

giornalista, saggista e scrittore.È laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie,

e ha un master in Gestione e difesa del territorio.Insegna materie scientifiche e tecniche

presso le scuole medie superiori ed è istruttoredi scacchi.

Si interessa di progettazioni e di studi inambito ambientale, botanico, zootecnico e diingegneria naturalistica.Per contatti. Email: [email protected]

Facebook: Pellegrino De Rosa

Altre pubblicazioni dell’autore

Piante alimurgiche(del Baianese e del Lauretano)

La gestione dell’ambiente e delterritorio e la “Metodica De Rosa”

Studio botanico ed etnografico su 74specie di erbe selvatiche commestibili esulla loro utilizzazione gastronomica.

Stampato a cura della RegioneCampania - Assessorato all’Agricolturae alle Attività Produttive e con laprestiogiosa prefazione del prof. AntonioSaracino di Scienze Forestali eAmbientali di Portici (Na).

Studio ambientale sulle areee internea rischio di dissesto idrogeologico.

Presentazione di una innovativametodica di Ingegneria Naturalistica daadottarsi nei suoli piroclastici e in quellipresentanti orizzonti pedologici inerti percause di natura fisica, chimica o biologica.

Page 77: La metodica De Rosa

55

Golfo di Napoli.Aria fresca, mare un po’ mosso, atmosfera sensuale.Subito un personaggio fosco e affascinante, Raf, assetato di vendetta.Subito una splendida giornalista, dai capelli color del grano maturo, Eva Nabokova.E subito una serie di misteriosi interrogativi: chi o che cosa ha folgorato il cane Avatar?

chi ha sparato al delfino? chi ha fatto saltare in aria il campo nomadi di Ponticelli? e chi èla misteriosa creatura che Raf ha cercato di liberare portando con sé il chip della “gemmadi Darwin”?

Il romanzo di esordio di Pellegrino De Rosa non perde tempo: t’inchioda alla pagina findalle prime righe e ti tiene sulla corda fino all’ultimo e sorprendente capitolo, con il ritmoincalzante e avvincente dei migliori action-movie.

E subito la storia principale si intreccia con tante altre storie: quella di un simpaticofotoreporter, donnaiolo incallito; quella di una sexy spia italo-americana; quella di unamisteriosa e vecchia zingara napoletana; quella di un gruppo di “femminielli” e di unnostalgico boss della camorra, e di tanti e tanti altri personaggi, più o meno secondari, matutti descritti con cura e pathos.

E, sullo sfondo, Napoli, i suoi vicoli, i suoi odori, le sue leggende e i suoi coloratissimipersonaggi.

Soprattutto, viene presentata una inedita ipotesi evoluzionistica (il Plasticismo Evolutivo)che mette in relazione l’evoluzionismo con le scienze quantistiche.

Ma la complessità dell’argomento non appesantisce affatto la narrazione che, anzi,scorre via fluida, leggera e allegra, come l’acqua trasparente di un ruscello di alta montagna.

L’autore, infatti, è riuscito a combinare - con stile gradevole e con sovrana leggerezza -affreschi paesaggistici, battute napoletane, leggende popolari ed erotismo, con azione,mistero, scienza e filosofia.

Finalmente un techno-thriller italiano che, per contenuti, suspense e humor, è in gradodi competere degnamente con i colossi stranieri dello stesso genere e con una marcia inpiù: la scanzonata e fatalistica ironia napoletana.

“Metamorfer. La gemma di Darwin” di Pellegrino De Rosa, Pag. 382. Edizioni Simple(ISBN:978-88-6259-399-1), acquistabile su http://www.ibs.it e sugli altri bookstore on-line.

ROMANZO

Page 78: La metodica De Rosa

Plasticismo evolutivo

Pellegrino De Rosa

Una nuova ipotesi evoluzionistica basata sullabiologia quantistica e sull’entanglement olografico

EDIZIONISIMPLE

Page 79: La metodica De Rosa

Il Plasticismo evolutivo: un’affascinantee nuova ipotesi evoluzionistica, presentatada uno studioso e scrittore italiano, che -basandosi sui principi delle scienzequantistiche (universo olografico diBohm) e su una serie di osservazioninaturalistiche (mimetismo) - vorrebbeconciliare evoluzionismo e creazionismo,supponendo una possibile funzione“plastica” della psiche dell’individuo erichiamando il monismo panteisticobruniano.

Farfalla “foglia secca” (Kallima inachus) Insetto-foglia (Phyllium spp.)

Evoluzionismo, Creazionismoo Plasticismo evolutivo?

free download e-bookISBN: 9788862594165