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Paolo Zellini LA MATEMATICA DEL GRANDE INQUISITORE Traduzione di Monica Pareschi Adelphiana www.adelphiana.it 21 novembre 2002

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Paolo Zellini

LA MATEMATICADEL GRANDE INQUISITORE

Traduzione di Monica Pareschi

Adelphianawww.adelphiana.it21 novembre 2002

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Ci si può innalzare $no al concetto di Dio| Questaè la domanda, semplice e terribile, che pone peren-toriamente Ivan Karamazov al fratello Alës¬a, la do-manda a cui seguirà, nel racconto di Dostoevskij,la lunga digressione sulla leggenda del Grande In-quisitore. La risposta di Ivan è negativa e si avvaledi una serie di metafore tratte dalla matematica.In breve egli dichiara di credere in Dio, ma di nonpotere assurgere al concetto di Dio perché nem-meno le teorie matematiche che si discostano daun’intuibilità euclidea gli sembrano intelligibili.«Ti dichiaro senz’altro, argomenta Ivan, che accet-to, in tutte lettere, l’esistenza di Dio. Ma ecco, tut-tavia, che cosa occorre rilevare: posto che Dio esi-sta, e che abbia realmente creato la terra, questa,come tutti sappiamo, è stata creata secondo la geo-metria euclidea, e l’intelletto è stato creato idoneoa concepire soltanto uno spazio a tre dimensioni.Vi sono stati, invece, e vi sono anche ora, geome-tri e $loso$, e anzi fra i più grandi, i quali dubitanoche tutta la natura, o, più ampiamente, tutto l’uni-verso, sia stato creato secondo la geometria eucli-

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dea, e s’avventurano per$no a supporre che due li-nee parallele, che secondo Euclide non possono anessun patto incontrarsi sulla terra, potrebbero an-che incontrarsi prima o dopo nell’in$nito. E cosìcuore mio, io ho tratto la conclusione che, se nem-meno questo mi riesce intelligibile, come potreiinnalzarmi al concetto di Dio|».1

Dunque Ivan dimostra di conoscere bene le geome-trie non euclidee scoperte, poco tempo prima cheDostoevskij scrivesse I fratelli Karamazov, da Bólyai,Lobace¬vskij e Riemann; ma egli vuole vedervi solol’aspetto controintuitivo, e questo nel momento incui matematici e $loso$ diventavano sempre piùscettici, per questa e altre ragioni, sulla validità del-l’intuizione. Una volontà solo neutrale e teoretica,quella di Ivan, ma che rivelerà ben presto tutto ilsenso che possono acquisire per l’uomo la preci-sione e l’esattezza, la ragione e la verità matemati-ca; non diversamente da come accadeva per le ve-rità elementari dell’aritmetica contestate dall’uomodel sottosuolo. Quali sono, infatti, le conseguenze della fede eucli-dea di Ivan Karamazov| L’invincibile evidenza del-le proposizioni della geometria di Euclide, è utile ri-cordarlo, è stata lo spunto principale di teorie $lo-so$che che hanno indagato sui presupposti più sta-bili e irrinunciabili dell’esperienza e della nostracapacità di prospettarci un oggetto qualsiasi. Pro-prio quell’evidenza è servita, più o meno diretta-mente, a ipotizzare l’esistenza di schematismi $ssie immutabili e a mostrare le insidie di un pensiero

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1. F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Torino, 1981, p. 314.

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svincolato dai modi dell’intuizione sensibile, senzala quale, come osservava Kant, non ci può esserenemmeno qualcosa che si chiami «oggetto». Kantia-namente, la matematica stessa poteva essere legataall’intuizione, anche se solamente per ciò che con-cerne le sue forme pure, in altre parole il tempo elo spazio, ed essere «euclidei» signi$cherebbe allo-ra essere conformi (nel senso proprio di condivide-re la forma) agli oggetti dell’esperienza sensibile, glioggetti che assumono i contorni precisi di una esi-stenza spazio-temporale, qui ed ora, sulla terra. Lamatematica sapeva però anche inventare diverse ipo-tesi sulla costituzione degli oggetti, ipotesi che pre-cedono ogni nostra esperienza diretta di forme, suo-ni e colori; con la geometria di Riemann lo spazioeuclideo con la sua metrica ordinaria diventava so-lo un caso particolare di varietà a tre dimensioni,nel quale il criterio di misura delle distanze potevaessere diverso e pur compatibile con la nostra in-tuizione sensibile. Uomo intelligente e sottile, co-noscitore della cultura europea e attento alle più re-centi conquiste della $loso$a, Ivan Karamazov ri$u-ta questo carattere ipotetico delle basi dell’espe-rienza; egli pretende certezza e univocità e dichia-ra senza esitazioni di avere una mente euclidea e«terrestre»: una s$da che non ha un signi$cato as-soluto (Ivan parla spesso come per gioco e a tradur-re in atto i suoi pensieri provvederà un suo alter ego),ma che prelude a una serie di conseguenze precisee fatali, la prima delle quali è l’esclusione di Dio: senon riesco a concepire nemmeno una geometriain cui due linee parallele si incontrano all’in$nito,

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«come potrei pretendere di ragionare su ciò chenon è di questo mondo|».1

Precisione ed esattezza sono ben collegate, ci facapire Dostoevskij, con l’essenza del male, che im-plica regolarmente una sorta di logica stringente,un calcolo letterale e costrittivo che pretende im-mediata adesione e obbedienza e compromette lapiù segreta libertà dell’agire. La questione è natu-ralmente delicata, perché è dif$cile distinguere traragione, come sostegno irrinunciabile di ogni pos-sibilità di vivere sulla terra, e quella sorta di «ra-ziocinio nel raziocinio», quella «nuda razionalità»in cui si è visto spesso il vero demonismo, la vera e-spressione della natura di Me$stofele. Non si trat-ta solo di combattere un riduzionismo che spieghiogni azione in termini di meccanismi stimolo-ri-sposta, che impedirebbe di spiegare la capacità dirigenerarsi dimostrata, nei romanzi di Dostoevskij,anche dai personaggi più sordidi o più compro-messi col male.2 A compromettere la libertà di ri-scatto e di rinnovamento può essere semplicemen-te un’interpretazione rigida e macchinale delle co-se; perché il male può venire anche dal voler igno-rare che la scienza è ipotetica o fallibile, e che cer-te sue affermazioni autorevoli e perentorie, dotatedi un’evidenza che Ivan Karamazov chiamerebbe«euclidea», potrebbero risultare da processi incerti epoco af$dabili. Per la sua naturale adesione al concreto e all’im-

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1. Loc. cit.2. Si veda in particolare, su questo tema, S. Tagliagambe,Il sogno di Dostoevskij, Milano, 2002.

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manente, in una coscienza euclidea non mancanoun amore per gli uomini, una sensibilità e una spe-ciale attenzione per tutta la loro infelicità e mise-ria. E così lo spettacolo del dolore umano, a lungotratteggiato da Ivan al fratello Alës¬a, si snoda nelladescrizione di un elenco interminabile di fatti eaneddoti che possiedono il più alto e drammaticogrado di evidenza e di concretezza, come nel casodei bambini torturati o massacrati: una dimostrazio-ne perentoria e quasi invincibile contro ogni pos-sibile teodicea, condotta non con voltairiana ironia,ma con la bruciante passione di chi sente propri tut-ti i mali e le ingiustizie di questo mondo. L’indigna-zione e la dif$coltà di giusti$care il male con un ri-corso alla provvidenza divina $niscono allora peravallare la massima tentazione: quella di mettere $-nalmente ordine nelle cose di questa terra median-te una sanzione suprema : «Quel che occorre, a me, èuna sanzione suprema [...] E che sia una sanzionesuprema non già nell’in$nito [il punto all’in$nitoin cui le parallele si incontrano in una geometrianon euclidea], indeterminata nel luogo e nel tem-po, ma proprio qui, su questa terra, e che la vedaio coi miei occhi. Io ho avuto fede, e io voglio ve-dere cogli occhi miei».1

La sanzione auspicata da Ivan Karamazov, da ap-plicarsi qui, subito, sulla terra, è quella del GrandeInquisitore, una sanzione decretata da un’istanza diordine assoluto e da un sentimento pericolosamen-te ambiguo, perché «l’amore per gli uomini può es-

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1. F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, cit., p. 326.

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sere ateo e dell’Anticristo».1 Ma che relazione puòesserci tra il Grande Inquisitore e la scienza esatta|Per prima cosa va osservato che, almeno nell’ac-cezione corrente, lo spirito scienti$co ha una spe-ciale inclinazione per i risultati e le de$nizioni pre-cisi, per i modi e strategie atte ad assegnare alle in-cognite valori determinati, senza vaghezze o ambi-guità. Già Leopardi aveva sollevato la questione sel’uomo è veramente fatto per una simile esclusionedel vago e dell’indeterminato a pro del razionale edell’esatto. E infatti, nella sua requisitoria controCristo, l’Inquisitore denuncia il dono divino cheappare il meno razionale e il più dannoso (ai suoiocchi) per l’uomo: la libertà di coscienza, la tor-mentosa libera scelta tra il bene e il male: «Ed ec-co che invece di solidi fondamenti capaci di tran-quillizzare la coscienza dell’uomo una volta persempre, Tu hai scelto tutto ciò che v’è di più diffor-me, di più misterioso e di più inde$nito: hai sceltotutto ciò che è superiore alle forze degli uomini: eperciò hai $nito per agire come se addirittura nonli amassi affatto».2 La sanzione dell’Inquisitore vuo-le denunciare questa natura insopportabilmenteipotetica e indeterminata dell’agire e, in nome diun falso sentimentalismo e di un discutibile spiritopositivo, mettere in atto tutti i possibili criteri persoffocare la verità più segreta e meno calcolabiledell’uomo. Una connotazione del male e del demo-

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1. N. Berdjaev, Gli spiriti della rivoluzione russa, in Dal profon-do, URSS 1918: undici saggi sulla rivoluzione russa, Milano,1971, p. 80.2. F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, cit., p. 340.

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nico, fa qui capire Dostoevskij, è proprio la volon-tà di determinatezza, la pretesa di collocare esatta-mente qualcosa nello spazio e nel tempo, l’elimi-nazione di ogni carattere ipotetico, la concretezzae l’esecuzione letterale di idee o progetti appenavagheggiati. Si pensi al demonio che appare a Ivan Karamazovquando questi è ormai preda del rimorso e del de-lirio. «Anch’io, dice il diavolo in veste banale e di-messa, sai, come te, soffro del fantastico: e perciòmi piace il vostro realismo terrestre. Qui da voi, tut-to è così ben determinato, ridotto in formule, geo-metrizzato, mentre, da noi, nient’altro che equa-zioni inde$nite!».1 Il diavolo soffre di reumatismi,ma li sopporta di buon grado come effetto dell’in-carnazione ed esclama: «Io m’incarno, e accettotutte le conseguenze. Satana sum et nihil humanuma me alienum puto».2 La sua impazienza è di sentirsicome l’incognita di un’equazione che non ha an-cora ricevuto il valore che le compete; e infatti glistessi discorsi alti, $loso$ci, di Ivan Karamazov han-no qualcosa del gioco fantastico e irrisolto, mentreil vero atto me$stofelico è quello che ne provoca larealizzazione per mano di Smerdjakov; una realiz-zazione puntuale e precisa, un calcolo irreprensibi-le che interpreta alla lettera e insieme stravolge leintenzioni di Ivan. Anche Stavrogin, nei Demonî, in-contra nel forzato Fed’ka un perverso e puntualeesecutore di ciò che egli ha appena osato s$orarenel pensiero, e il suo commento è tutto in queste

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1. Ibid., p. 838.2. Loc. cit.

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parole: «Quello sì che è un demonio calcolatore!Un ragioniere!».1 Anche il denaro fa in effetti la suaparte, sia nei Demonî che nei Fratelli Karamazov (co-me anche in Delitto e castigo o nell’Idiota): è l’aspet-to quanti$cabile dell’azione, nel quale il demoniosi trova nei panni, appunto, dell’abile ragioniere edel calcolatore senza scrupoli, e può quindi fare iconti nel modo più preciso e determinato. Comescrive Marx nei Manoscritti economico-$loso$ci del1844, commentando una celebre dichiarazione delMe$stofele di Goethe (Faust, I, IV) e un passo delTimone di Shakespeare, il denaro possiede appun-to questa incredibile capacità di realizzazione, tra-sforma le fantasie e i desideri astratti o semplice-mente rappresentati in forze e poteri attuali, e siprospetta quindi come il dato più reale, seducentee positivo capace di attrarre l’uomo che si crede in-gannato da valori o ideali illusori.La determinatezza e la precisione sono ancora a-spetti del nichilismo di diversi personaggi dei De-monî ; i loro pensieri e i loro atti sono spesso scandi-ti da una precisa registrazione di tempi e luoghi.Nella lunga lettera in cui Stavrogin confessa il suooltraggio più grave a un’adolescente, i momenticruciali dell’azione sono registrati dalle lancette diun orologio: si guardano l’ora e il minuto precisi. Ilnichilismo di S¬igalëv si coniuga con una pretesa diesattezza estrema: «In vita mia non avevo mai vedu-to in faccia un uomo così cupo, accigliato e tetro.Egli aveva l’aspetto di chi attende la distruzione del

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1. F. Dostoevskij, I demonî, Torino, 1942, p. 274.

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mondo, e non un giorno o l’altro, secondo profezieche avrebbero potuto anche non avverarsi, ma a unadata perfettamente determinata, come per esempiodopo domani mattina, alle dieci e venticinque pre-cise».1 Kirillov, da parte sua, è uno scrupoloso in-gegnere civile e pur tuttavia «si attiene al nuovissi-mo principio della distruzione universale in vista discopi $nali buoni».2 Durante un colloquio con Sta-vrogin, egli prospetta l’idea del suicidio come mez-zo per ottenere l’eternità in pochi secondi, non nel-la vita futura, ma in questa stessa vita, ricordandoche un angelo dell’Apocalisse giura che il tempo sa-rà abolito. Qui sta il culmine della precisione e del-l’esattezza, intuisce Stavrogin rispondendo a Kiril-lov: «Quel che è detto là è verissimo, è chiaro e pre-ciso. Quando ogni uomo avrà raggiunto la felicità,il tempo non ci sarà più, perché non ce ne sarà bi-sogno».3 Precisione ed esattezza rendono così cre-dibile, allo stesso Stavrogin, il vecchio luogo comu-ne $loso$co secondo cui il tempo non è un ogget-to, ma solo un’idea destinata a estinguersi nellamente. E Kirillov associa la verità $loso$ca a un’e-sperienza esatta e registrabile: egli ricorda di es-sersi sentito improvvisamente felice un mercoledìnotte della settimana prima e di aver fermato l’o-rologio alle due e trentasette precise. «La cosa piùterribile, osserva Nietzsche a proposito di Kirillov,è la raccapricciante determinatezza [Bestimmtheit]

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1. Ibid., p. 125.2. Ibid., p. 87.3. Ibid., p. 221.

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con cui ciò si esprime, e la gioia di cui si riempie».1

La predilezione per le sensazioni precise, per le re-gistrazioni puntuali non solo di avvenimenti, ma an-che di sentimenti e stati d’animo, sono un tipicotratto, fa capire Nietzsche, della psicologia del ni-chilista, per il quale «le idee sono illusioni; le sen-sazioni sono la verità ultima». E in questa psicolo-gia convivono paradossalmente l’esattezza e la sre-golatezza, perché «è la suprema fame di “verità” checonsiglia la sregolatezza», la stessa fame che sma-schera tutti i veli, gli abbellimenti e le falsi$cazionie riduce cinicamente – e dolorosamente – la real-tà al puro insieme dei dati di un protocollo. Una delle idee fondamentali di Dostoevskij, ricor-da Bachtin, è che «l’uomo non è una grandezza $-nita e determinata, sulla quale si possa costruire unrigido calcolo: l’uomo è libero e per tanto può vio-lare qualsiasi regola impostagli».2 È quanto si dicenell’Idiota («È impossibile vivere “tenendo un con-to preciso”»)3 ed è anche la morale dell’uomo del sot-tosuolo («L’uomo non è un’aritmetica»).4 Anche se,per citare ancora le parole di Bachtin, «la relativalibertà dell’eroe non infrange la rigorosa determi-natezza della costruzione, così come la rigorosa de-terminatezza di una formula matematica non è in-

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1. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, in Opere diFriedrich Nietzsche, vol. VIII, tomo ii, a cura di G. Colli e M.Montinari, Milano, 1971, p. 350.2. M. Bachtin, Dostoevskij, Torino, 1968.3. F. Dostoevskij, L’idiota, Torino, 1994, p. 63. 4. N. Berdjaev, La concezione di Dostoevskij, Torino, 2002,p. 37.

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franta dalla presenza in essa di grandezze irrazio-nali o trans$nite».1 Ma ignorando questa delicatacombinazione di irrazionalità e di ragione matema-tica, di libertà e di determinatezza, il Grande Inqui-sitore, in nome della felicità collettiva e del paneterrestre, riduce la vita a semplice e banale aritme-tica. Allo stesso modo si comportava il Grande In-quisitore nel $nale del Don Carlos di Schiller: «Gliuomini, suggeriva questi al re Filippo [...] sono nu-meri, nient’altro». E del resto l’Inquisitore cui Fi-lippo si trovava a sacri$care il $glio riassumeva inquesta frase un senso del tragico che Dostoevskijdoveva avere ben appreso dalla storia di Carlos edel marchese di Posa: la pretesa di calcolare l’azio-ne umana, anche mirando a $ni elevati, è soggettaa travisamento e a fallimento; e il fallimento puòcon$gurarsi in$ne come calcolo satanico, un rove-sciamento detestabile, e pur conseguente, del cal-colo che si era ingenuamente pre$gurato.2

La determinatezza e la precisione dei contorni com-petono propriamente all’uomo esteriore, mentre«la vera vita della persona ha luogo sul punto incui egli esce oltre i limiti di tutto ciò che egli è co-me realtà esteriore spiabile determinabile e preve-dibile indipendentemente dalla sua volontà, “ester-namente”».3 La verità esteriore si contrappone dun-

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1. M. Bachtin, Dostoevskij, cit., p. 21.2. F. Schiller, Don Carlos, a cura di M.C. Foi, Venezia, incorso di pubblicazione presso Marsilio; cfr. anche l’Intro-duzione di M.C. Foi, La buona causa e i mezzi ignobili (con-sultato per gentile concessione della curatrice).3. M. Bachtin, Dostoevskij, cit., p. 81.

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que, come misti$cante menzogna, alla verità inte-riore, come già in Platone, Agostino e Eckhart: sel’anima, diceva Meister Eckhart richiamandosi a unpasso del De Trinitate di Agostino, si rivolge all’e-sterno, sia pure con l’esercizio esteriore della vir-tù, l’immagine di Dio resta interamente coperta.Negli scritti di Brouwer, il grande matematico let-tore di Eckhart, lo stesso problema è riferito allamatematica: il momento delicato della creazionematematica era per Brouwer un passaggio dall’in-terno all’esterno, dalla prima libera creazione di unmondo oggettivo in cui si rivela un miracoloso ac-cordo tra natura e coscienza e la de$nitiva proie-zione all’esterno di un morto sistema di nessi cau-sali ove non esistono più né bellezza né verità.1 Aun analogo processo dall’interno verso l’esternopuò essere anche riferita la «verità» di Dostoevskije la sua contrapposizione a Cristo o alla giustizia.Quando il principe Mys¬kin, nell’Idiota, analizza imotivi del mancato suicidio di Ippolit, Aglaja gli fanotare: «giudicare un uomo come voi giudicate Ip-polit è una volgarità. Voi non avete un animo gen-tile: quel che avete detto non è che la verità, e per-ciò è ingiusto».2 Questa «verità» non è insommaquella autentica, vuol dire Aglaja; coglie solo l’a-

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1. L.E.J. Brouwer, Consciousness, Philosophy, and Mathematics,Atti del Congresso internazionale di Filoso$a (1948), Am-sterdam, 1949, p. 1238. Cfr. W.P. Van Stigt, The RejectedPart of Brouwer - Dissertation on the Foundations of Mathema-tics, Historia Mathematica, 6, 1979, pp. 385-404.2. F. Dostoevskij, L’idiota, cit., p. 422; cfr. M. Bachtin, Dos-toevskij, cit., p. 81.

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spetto esteriore, verosimile delle cose, quello chescoprono la psicologia, la scienza e la giustizia diquesto mondo; ma, come osserva Stepàn Tro$mo-vic nei Demonî, «la verità autentica è sempre inve-rosimile [...] Per rendere più verosimile la verità,bisogna assolutamente mescolarla con la menzogna.E così hanno sempre agito gli uomini».1 Tra Cri-sto e la verità sembra di nuovo sussistere un dilem-ma analogo a quello sollevato da Aglaja tra «vero»e «giusto». Una discussa osservazione di S¬atov aStavrogin richiama ancora una volta un concettodi verità esteriore che non può funzionare da ulti-mo criterio di scelta per l’uomo: «Ma non siete voiche mi dicevate che, se vi avessero dimostrato ma-tematicamente che la verità è fuori di Cristo, avre-ste preferito rimanere con Cristo piuttosto che conla verità| Siete voi che l’avete detto| L’avete det-to|».2 Ma un simile dilemma, seppure condiviso, aquanto sembra, da Dostoevskij – che ne avrebbeformulato uno equivalente in una lettera del 1854 aNatal’ja Fonvizima –3, appare insostenibile, special-mente se a farlo proprio è S¬atov. Dostoevskij, ricor-

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1. F. Dostoevskij, I demonî, cit., p. 201. 2. Ibid., p. 233.3. Dostoevskij inedito, Quaderni e taccuini 1860-1881, a curadi L. Dal Santo, Firenze, 1980, p. 568. «[...] io sono un $gliodel secolo, un $glio della miscredenza e del dubbio [...] Enon basta; se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuoridella verità, ed effettivamente risultasse che la verità è fuo-ri di Cristo, ebbene, io preferirei restare col Cristo piutto-sto che con la verità».

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da Berdjaev,1 ebbe un debole per S¬atov, e ne provòlui stesso le seduzioni, ma «in forza della sua intui-zione artistica ne rese ripugnante il personaggio».S¬atov appare infatti «esitante e interiormente divi-so» e la sua insistenza sul dilemma appare sospettaallo stesso Stavrogin, che l’avrebbe per primo pro-posto, e che ravvisa ora nelle parole dell’amico unatteggiamento impaziente e rabbioso. S¬a-tov non crede né in Dio né nella ragione, la qualenon saprebbe distinguere il bene dal male. Lo «spi-rito della vita» della Scrittura, egli argomenta, èqualcosa che non contempla né ragione né scien-za, mentre l’unica possibile ricerca di Dio è ripostanella capacità che avrebbe il popolo russo di farsiteoforo e messaggero di una verità superiore. Unarequisitoria contro la ragione e la scienza, quella diS¬atov, che appare altrettanto demonica della posi-zione diametralmente opposta di S¬igalëv, per il qua-le, in una società di schiavi in cui regnano ugua-glianza e spionaggio e dove ciascuno appartiene atutti e tutti a ciascuno «l’istruzione non occorre,basta la scienza!».2

Le rigide formule e le categorie prestabilite cheS¬atov sembra scorgere nella sua verità contrappo-sta a Cristo, sono realmente lontane dalla prospet-tiva di liberazione e di vita dei Vangeli. Eppure sap-piamo anche dalla Scrittura che verità e vita si tro-vano uni$cate in Cristo («Io sono la via, la verità ela vita», Giovanni, 14, 6), e che non c’è Vangelo che

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1. N. Berdjaev, Gli spiriti della rivoluzione russa, cit., p. 75.2. F. Dostoevskij, I demonî, cit., p. 389.

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giusti$chi il dilemma di S¬atov. Lo stesso Dostoev-skij scriveva (nel 1873) che «da noi è interamentecaduto nell’oblio questo assioma: che la verità è lacosa più poetica che ci sia al mondo, specialmentenel suo stato più puro».1 L’attacco alla scienza o al-la ragione può facilmente confondersi con unodio per la verità tout-court, con un sentimento dipaura per la chiarezza in sé e per quel grado di de-terminatezza che le è inevitabilmente connatura-ta. Fu Nietzsche a osservare come, dietro la spiega-zione erudita che non si può parlare di verità, masolo di verosimiglianza o di gradi di questa, ci siaspesso una gioia sospetta; così che «si scopre di so-lito quanto agli uomini sia più gradita l’incertezzadell’orizzonte intellettuale e come essi in fondo al-la loro anima odino la verità a causa della sua de-terminatezza. Dipende ciò dal fatto che essi hannotutti, a loro volta, segretamente paura che si possafar cadere troppo chiaramente su di loro la lucedella verità|». Di qui l’inquietante e paradossalescetticismo dei cristiani: «Pilato, con la sua domanda“Che cos’è la verità” viene ora volentieri presentatocome avvocato di Cristo, per tacciare di parvenzatutto il conosciuto e il conoscibile e per innalzarela croce sul raccapricciante sfondo del non-poter-sapere».2

È comunque nel passaggio dal pensiero vagheg-giante di Ivan Karamazov all’azione puntuale e con-

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1. Dostoevskij inedito, cit., p. 568.2. F. Nietzsche, Umano, troppo umano ii, in Opere di Fried-rich Nietzsche , vol. IV, tomo iii, cit., 1967, pp. 14-15.

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creta di Smerdjakov che si trova l’aspetto più mal-vagio e demonico di ciò che chiamiamo «determi-natezza». La matematica non è del tutto estranea aquesto passaggio, perché il diavolo che appare a I-van dopo che l’azione (l’uccisione del padre) è con-sumata sa ben valersi delle sue metafore. Ma perché,c’è da chiedersi, è proprio la matematica a offrirele metafore migliori| Il diavolo, si è detto, apprez-za che da noi sia tutto «ben determinato, ridottoin formule, geometrizzato». Questo vuol dire sem-plicemente che sulla terra le cose rischiano di ot-tenere l’interpretazione più rigida e letterale. E lamatematica è dal canto suo un tramite esemplare,anche perché il suo campo d’azione scorre dalle i-potesi più ardite sulla struttura astratta degli ogget-ti della nostra esperienza $no alla loro manifesta-

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zione più visibile e concreta. Sono leggi matemati-che astratte quelle che permettono ad esempio auna macchina di funzionare e di dare risposte pun-tuali ai problemi più disparati posti dalle nostre e-sigenze «terrestri». Dalla meteorologia al tiro an-tiaereo, dai prezzi di chiusura dei mercati all’elabo-razione di immagini, dal $ltraggio di segnali alle a-nalisi economiche, si ha sempre lo stesso passaggio:da modelli matematici astratti, che riproducono og-getti congetturali e non direttamente esperibili, aprocessi di elaborazione automatica dai cui risulta-ti, resi perentoriamente visibili con sistemi di stam-pa, $niscono per dipendere le nostre previsioni ele nostre decisioni. Ma proprio in questo passag-gio, notava Norbert Wiener, poteva insinuarsi unelemento di demonicità, una componente di stre-goneria pura perfettamente compatibile con l’altogrado di razionalità del procedimento. Wiener de-dicava infatti un intero capitolo del suo celebresaggio God and Golem (pubblicato nel 1964)1 a que-sto non trascurabile aspetto dell’interazione uomo-macchina e tra le diverse storie di magia (da Goe-the alle Mille e una notte) si soffermava su un rac-conto del terrore di William Wymark Jacobs, inti-tolato The Monkey’s Paw (La zampa di scimmia). Vi sinarra di un operaio inglese in pensione che sta atavola con la moglie e un amico, un sergente mag-giore di ritorno dal suo servizio militare in India,mentre il $glio è diretto al suo lavoro in fabbrica.

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1. N. Wiener, God and Golem, Cambridge, Mass., 1964, cap.5; e anche N. Wiener, La cibernetica, Milano, 1968, p. 228.

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Il sergente maggiore parla di magia indiana e mo-stra agli ospiti un amuleto, una zampa secca di scim-mia, che ha il potere di esaudire tre desideri di trepersone diverse. Chi aveva dato questo potere al-l’amuleto voleva dimostrare la follia di ogni tenta-tivo di s$dare il destino. L’ospite dice di non sape-re nulla dei primi due desideri del primo posses-sore, mentre il terzo era stato di morire. Egli stes-so è il secondo possessore, ma la sua esperienza èstata così terri$cante da non poter essere racconta-ta. Egli getta la zampa nel fuoco, ma l’amico la ri-prende e, prima che il sergente possa fare alcunché,chiede, come primo desiderio, duecento sterline.Poco dopo bussano alla porta. È un funzionario del-la fabbrica ove è impiegato il $glio, dal quale il pa-dre apprende, costernato, che il $glio è rimasto uc-ciso in un incidente di lavoro. Senza assumersi al-cuna responsabilità la società offre le condoglian-ze e un’indennità di duecento sterline. Il secondodesiderio è di vedere ritornare il $glio ma, quandosi sente battere di nuovo alla porta, del $glio com-pare solo lo spettro. La storia $nisce con il deside-rio (il terzo e ultimo) che lo spettro si allontani. Il tema del racconto, precisava Wiener, è il pericolodella magia. E questo pericolo consiste precisamen-te nel fatto che l’operazione magica si con$guracome interpretazione puramente letterale del desi-derio; il desiderio viene esaudito senza tener con-to delle complessive e reali intenzioni di chi lo for-mula, guardando solo all’oggetto che fa da direttoe immediato referente. Nel caso del racconto valela richiesta delle duecento sterline, non l’ovvia e im-

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plicita intesa che il prezzo di duecento sterline nonpuò essere la vita di un $glio. Ci si poteva allora a-spettare, spiegava Wiener, che la magia dei proces-si automatici, o di algoritmi fondati su complesseteorie matematiche, potesse assumere lo stesso ca-rattere di esecuzione letterale. Specialmente le mac-chine che suggeriscono risposte e soluzioni a pro-blemi di varia natura in base a processi automaticidi apprendimento, possono generare gravi equivo-ci sulle reali intenzioni di chi ne fa uso: se ad esem-pio la macchina è addestrata a un gioco di guerrache ha come obiettivo la vittoria, questo obiettivo ri-schierebbe di realizzarsi a un prezzo inimmaginabi-le (ad esempio lo sterminio di entrambi i conten-denti), semplicemente perché un programma cheignorava quel prezzo è stato preso alla lettera. Nonsi tratta, aggiungeva Wiener, di un semplice para-dosso verbale, ma di una situazione realmente ve-ri$cabile, in cui l’interpretazione fatalmente lette-rale del risultato di milioni di operazioni – per lopiù approssimate e riferibili a un modello che nonrappresenta in tutto la situazione reale – può in-durre a premere il tasto di un attacco nucleare.Nei Karamazov non si è così lontani da questa stre-goneria. Smerdjakov è un esecutore inappuntabiledelle fantasie di Ivan; la sua logica proterva e strin-gente coglie di sorpresa, perché viene da dire – e-sattamente come nel caso del racconto di Jacobs odell’esito di una procedura automatica – che l’in-tenzione è stata completamente fraintesa, che Ivannon voleva realmente che Smerdjakov gli uccidesseil padre. Ma Smerdjakov ha composto un ineccepi-

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bile teorema mettendo in ordine le parole di Ivane aggiungendo ciò che mancava per formare unquadro coerente. Dei pensieri di Ivan egli ha solofornito una interpretazione letterale e una concre-ta attuazione; proprio in questo consiste il suo latodiabolico.

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Paolo Zellini è nato a Trieste nel 1946 e insegna Ana-lisi numerica all’Università di Roma Tor Vergata. Tuttele sue opere più note – «Breve storia dell’in$nito» (1980),«La ribellione del numero» (1985) e «Gnomon» (1999) –si possono considerare altrettante risposte alla celebre in-terrogazione di Dedekind: «Cosa sono e cosa vogliono si-gni$care i numeri|».

© 2002 paolo zellini

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