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MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI ARCHMO DI STATO DI ROMA «LA MARAVIGLIOSA INVENZIONE» Strade rrate nel Lazio 1846-1930 a cura di Maria Grazia Branchetti e Daniela Sinisi GGEMI EDITORE

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COMITATO D'ONORE

Nicola Bono, Sottosegretario del Ministero per i beni e le attività-culturali Salvatore Italia, Direttore generale per gli Archivi Francesco Storace, Presidente della Regione Lazio Silvano Moffa, Presidente della Provincia di Roma Giancarlo Cimoli, Presidente e Amministratore delegato delle Ferrovie del/n Stato Giuseppe Rosnari, Direttore Generale di Ina Vita Armando Zimolo, Presidente di Editoriale Generali Lanfranco Morganti, Presidente nazionale di 50&Più Fenacom

Hanno contribuito alla realizzazione della mostra

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Regione Lazio Comune di Frascati

• Comune di Terracina Pmvincia di Rieti Provincia di Roma Consorzio tutela

Denominazioni Frascati

Per le edizioni Gangemi è uscito nel marzo scorso il catalogo-vadeniecum per i visitatori della mostra, contenente le sole didascalie dei documenti e degli oggetti esposti. Il presente volume contiene, invece, saggi introduttivi alle varie sezioni cronologiche e tematiche del percorso espositivo.

© Proprietà leueraria riservata Gangemi Editore spa Piazza San Panraleo 4, Roma www .gangemieditore. i t

Nessuna parte di questa pubblicazione può essere memorizzata, fotocopiata o oomunque riprodotta senza le dovute autorizzazioni.

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ISBN 88-492-0420-5

In copertina: 1881. Orario della "tramvia a vapore" Roma-Tivoli. ASR, Prefettura di Roma, b. 716, fase. l

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI ARCHMO DI STATO DI ROMA

«LA MARAVIGLIOSA INVENZIONE» Strade ferrate nel Lazio

1846-1930

a cura di

Maria Grazia Branchetti e Daniela Sinisi

GANGEMI EDITORE

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•LA MARA VI GLI OSA INVENZIONE» Strade ferrate nel Lazio 1846-1930 Archivio di Stato di Roma, 19 mano -18 aprile 2003 Mostra promossa e realizzata dall'Archivio di Stato di Roma con il sostegno della Direzione Generale per gli Archivi per il quale si ringrazia, in particolare, il Direttore. Generale Salvatore Italia e il Direttore del Servizio archivi statali, Maria Pia Rinaldi Mariani.

Direzione: Luigi Londei

Progetto: Augusto Pompeo

Coordinamento scientifico e organizzazione: Maria Grazia Branchetti - Daniela Sinisi Introduzione Stefano Maggi Testi Luigia Attilia, Maria Temide Bergamaschi, Maria Grazia Branchetti, Simonetta Ceglie, Vincenzo Ciccotti, Filippo Crucitti, Serena Dainotto, Augusto Golerti,·Maria Idria Gurgo, Angela Lanconelli, Roberto Lorenzetti, Clemente Marsicola. Antonio Martini, Antonella Parisi, Ernesto Petrucci, Augusto Pompeo, Emiliana Ricci, Daniela Sinisi, Massimo T aborri, Maria Elisa Tittoni, Mano la Ida V enzo

Collaborazione alle ricerche documentarie e cura del catalogo Simonetta Ceglie, Rossana Dominici, Maria I�ria Gurgo, Antonella Parisi

Fotografie Dario Tedeschi, Emidio Tedeschi, con la collaborazione di Gianni Di Carlo

Grafica digitale Luisa Salvatori con la collaborazione di Simonetta Rossi

Restauri Centro di Fotoriproduzione Legataria e Restauro. degli Archivi di Stato; Museo di Roma (Fiorenzo Perfetti)

Segreteria Rossana Dominici, Anna Pitolli, Simonetta Rossi

Prestatori Archivio di Stato di Rieti -Archivio di Stato di Viterbo- Assicurazioni Generali- Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani

- Discoteca di Stato - Fondazione Besso - Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata - Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma - Gruppo Fermodellisti Dopolavoro Ferroviario di Roma - Ina Vita - Istituto Centrale per H Catalogo e la Documentazione - Archivio Storico dell'Istituto Luce - Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio- Museo CiviCo Carlo Magnani di Pescia- Museo di Roma - Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari- Scuola Nazionale di Cinema/Centro Sperimentale di Cinematografia- Sezione di Archivio di Stato di Sulmona- Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma

Collezioni private; Roberto Clementi, Paolo GuglielmiJ:tetti, Giuseppe Di T ommaso

Servizi per la mostra: Win & Co. Studio Associato

Allestimento: Quintilia

Si ringraziano Anna Maria Amadio, Enrico Apollo, Maria Elena Berroldi, Emilia Cento, Teresa Del Prete, Silvana De Santis, Paolo Di Marz.io, Stefania Frezzotti, Filippo Lauciani, T ersilio Leggio, Anna Li o, Anita Margiotta, Gigliola Marrocco, Clemente Marsicola, Giuseppe Martino, Stefània Massari, Letizia Meloni, Franco Onorati, Mara Palacino, Anna Perugini, Giuliana Pietroboni, Federica Pirani, Anna Maria Placidi, Cecilia Prosperi, Antonio Ratti, Orlando Ruffini, Valentino Sandirocco, Giampaolo Senzacqua, Camillo Scoyni, Adriana �emenza, Paola T asci n i.

Si rivolge un ringraziamento particolare a Gigliola Fioravanti, Direttore del Centro di Fotoriproduzione Legataria e Restauro degli Archivi di Stato, e a Maria Elisa Tittoni, Direttore del Museo di Roma. Per l'Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio, che ha contribuito in misura importante all' allestimento con il prestito di apparecchiature e modelli, siamo grati al Generale Sergio Diamiani e al Colonnello Mauro Franci. Si ringrazia, infine, tutto il personale dell'Archivio di Stato di Roma.

Indice

Presentazioni

Introduzione di Stefano Maggi

LE FERROVIE AL TEMPO DEI PAPI (r846-r87o)

Breve storia delle strade ferrate nello Stato pontificio Daniela Sinisi La linea Roma-Frascati Daniela Sinisi Ferrovie a sud di Roma Maria Temide Bergamaschi

La linea Roma-Civitavecchia Angela Lanconelli La linea Roma-Orte Antonella Parùi Il treno di Pio IX Emiliana Ricci Una medaglia celebra il treno Maria Elùa Tittoni Le cerimonie Maria Idria Gurgo

La posta e il treno Simonetta Ceglie

DALLE CONCESSIONI ALL'AZIENDA DI STATO (r87I-I9o5)

Le ferrovie in concessione Augusto Pompeo

La questione ferroviaria nella provincia di Rieti (Ì846-1930) Roberto Lorenzetti Strade ferrate nel V iterbese Augusto Go/etti La linea Velletri-Terracina Vincenzo Ciccotti- Maria Idria Gurgo

La linea Roma-Sulmona Manola Ida Venzo Progetti per Roma Antonella Parisi

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La Stazione Termini Maria Grazia Branchetti Il treno scopre l'antico Luigia Attilia

LA MODERNIZZAZIONE DEL PAESE E LE FERROVIE (1905-1930)

Il completamento delh rete Ernesto Petrucci La direttissima Roma-Formia-Napoli Ernesto Petrucci Le tranvie extraurbane Augusto Pompeo La Stazione vaticana Antonio Martini

UOMINI E MACCHINE

Imprese e capitali per le ferrovie Filippo Crucitti - Massimo Taborri Gli uomini Filippo Crucitti -Massimo Taborri Le macchine Filippo Crucitti- Massimo Taborri

TRENI D'AUTORE

"St'invenzione è tutt'opera infernale": immaginario, turismo e letteratura dal Belli a Campanile Serena Dainotto Note d'arte Maria Grazia Branchetti Impressioni dallo schermo Mano/a Ida Venzo Motivi musicali Simonetta Ceglie Quadri fotografici dalla ferrovia scomparsa Civitavecchia-Capranica-Orte Clemente Marsico/a

BIBLIOGRAFIA Serena Dainotto

DOCUMENTI

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Presentazioni

La mostra costituisce un punto di arrivo dell'esperienza che l'Archivio di Stato di Roma ha maturato nel campo della valorizzazione e della divulgazione del suo patrimonio docu­mentario nel corso degli ultimi anni. Tutto è iniziato- con poco clamore ma con l'appro­vazione entusiastica del pubblico che vi prese parte-, dalle 'domeniche archivio' dei tardi an­ni Novanta, cioè mattinate domenicali riservate alla presentazione di percorsi di storia e di arte, riguardanti Roma ed il suo territorio, basati sull'esposizione di documenti di particola­re interesse e di rilevante qualità estetica.

Questa esperienza permise di portare il patrimonio documentario fuori dall'ambito ristretto degli studi specialistici, per :Eune conoscere, attraverso metodi espositivi semplici ma accattivanti, l'aspetto ed i contenuti.

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Con "La maravigliosa invenzione" l'Archivio di Stato mette oggi a frutto un altro aspetto dell'importante patrimonio documentario che conserva, cioè le carte del Commissariato generale delle ferrovie pontificie e delle altre amministrazioni che ebbero funzioni in materia di strade f�rrate.

l documenti, di ognuno dei quali è messa in evidenza la natura specifica attraverso no­te descrittive essenziali ma precise, sono proposti come i veri protagonisti dell'esposizione. Inoltre risulta esemplare accanto alla presentazione di fatti che fungono da pilastro della sto­ria iniziale delle ferrovie nel Lazio, quella di fatti che ne illustrano episodi particolari, ma che restituiscono le emozioni, gli entusiasmi, le preoccupazioni dei contemporanei.

Gli oggetti d'arte e di uso, i modelli, gli apparati iconografici in genere, anche quan­do sono riprodotti, sono stati concessi da Musei ed Istituti di cultura che hanno dimostrato alto spirito di collaborazione e quella particolare sensibilità che appartiene a tutti coloro che, per il loro lavoro, si dedicano allo studio e alla conservazione del patrimonio artisti­co del nostro Paese.

La mostra esprime al meglio la potenzialità dei suoi contenuti scientifici anche gra­zie alla presenza di Istituzioni e di Enti che hanno voluto con generosità sostenerne gli one­ri. Il fenomeno delle sponsorizzazioni è ormai in Italia una realtà consolidata ed è Un pun­to di forza del nostro tempo perché consente di dar vita ad eventi che uniscono, che pro­ducono valori positivi e condivisibili nella maniera più ampia, che creano spazi per nuo­ve esperienze di lavoro.

Salvatore Italia Direttore Generale per gli Archivi

La mostra storica sulle ferrovie del Lazio nasce con l'intento dl presentare e promuove­re il patrimonio storico documentario conservato dall'Archivio di Stato di Roma. E' abbastanza noto che il presente non può essere pienamente compreso e vissuto senza la conoscenza del passato e che una delle fonti di questa conoscenza è costituita dai documenti d'archivio, cioè l'insieme delle carte amministrative, contabili, normative e gestionali prodotte da un'orga­nizzazione nel corso della sua vita. Carte, dunque, all'inizio prive di fascino, che si accwnula­no in scaffali, cassetti ed armadi classificatori per servire alle necessità pratiche che la vita quo­tidiana ci costringe ad affrontare. Eppure, quando, con il passar del tempo, gli interessi si so­no spenti, quando le necessità della vita quotidiana sono divenute un tenue ricordo, quelle car-

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te acquistano una nuova vita, divengono fonti preziose di conoscenza del passato, che offro­no, al ricercatore attento, notizie e prospettive che le fonti di altro genere difficilmente pre­sentano.

Non solo: queste carte possono anche essere esposte in una mostra e, accompagnate ad altri materiali, possono costituire un'occasione di svago o di istruzione per il pubblico.

Così è accaduto con la presente mostra: le ferrovie hanno un fascino straordinario ed esercitano ancor oggi, a quasi due secoli dalla loro «maravigliosa invenzione>}, una forte pre­sa sull'opinione pubblica. L'Archivio di Stato di Roma conserva a sua volta la documen­tazione delle amministrazioni dello Stato pontificio che promossero la costruzione e sor­vegliarono l'esercizio delle prime linee della nostra regione: si tratta di una fonte di gran­de importanza ed interesse, forse non ancora molto valorizzata, che meritava di essere tol­ta dall'oblio e presentata al pubblico.

Da ciò è nata la mostra, che attraverso le sue sezioni rematiche, espone quello che spe­riamo sia un quadro abbastanza completo dello sviluppo di un mezzo di trasporto che ha rivoluzionato la società e l'ambiente ed a cui si deve l'avvio di quel processo grazie al qua­le il mondo è divenuto più piccolo!

Luigi Londei Direttore dell'Archivio di Stato di Roma

È con particolare piacere che si è accolto l'invito dell'Archi�io di Stato di Roma a par­tecipare alla realizzazione della mostra intitolata «La maravigliosa invenzione>}, che inten­de ricostruire la storia delle prime strade ferrate costruite nel Lazio.

L'originalità del tema affrontato, suffragato da una ricchissima mole di materiale do­cumentario, ha contribuito ad evidenziare l'importanza ricoperta, fin dalla loro nascita, del­le prime strade ferrate nella nostra Regione e, in particolare, nel territorio dell'attuale Provincia di Roma, dove sono state costruire le tratte più antiche.

L'impegno scientifico dell'Archivio di Stato di Roma, impiegato nella progettazione e nella realizzazione di un tale evento culturale, trova riscontro con gli intendimenti dell'Amministrazione Provinciale, la quale si è prefissa di riscoprire gli aspetti peculiari del suo territorio e valorizzare il ruolo da esso rivestito negli eventi storico-culturali nazionali.

L'esposizione del materiale d'epoca, contribuisce cosl, ad evocare il momento cruciale di passaggio da un mondo chiuso ed esclusivamente agricolo verso una realtà di progres­so che viaggia sulle rotaie e che condurrà una giovane nazione al suo decollo industriale.

Si ringrazia l'Archivio di Stato di Roma per l'offerta di far conoscere documenti di particolare interesse sulla provincia di Roma, dimostrando ancora una volta quanti siano gli aspetti da ricercare e valorizzare del nostro territorio.

Silvano Moffa Presidente della Provincia di Roma

A buona ragione chi, a metà ottocento, vide passare nelle campagne_del Lazio, per la prima volta, un convoglio ferroviario, con il suo caratteristico fragore e la sua poderosa ap­parenza, non riusci ad evitare un momento di attonito stupore: giustificabilissima, dun­que, la definizione di «maravigliosa invenzionen, per un mezzo che destava tanta sorpresa.

Nessuno, però, poteva avere allora la percezione di quanto la ferrovia fosse destinata

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ad incidere non solo sul sistema dei trasporti, così come fino ad allora era stato conosciu­to, ma sulla stessa società, sui modelli di vira e di consumo, sullo sviluppo economico e culturale del Paese.

R ipercorrere la storia delle strade ferrate nel Lazio, attraverso i documenti raccolti dall'Archivio di Stato, equivale perciò ad osservare, attraverso i finestrini delle carrozze lan­ciate lungo il tempo, il mutare degli stili di vita e la progressiva apertura degli orizzonti re­gionali verso i nuovi confini che la rotaia consentiva di raggiungere.

E aprire nuovi confini e nuove prospettive rimane ancora oggi, per noi che abbiamo raccolto il testimone da quei lontani pionieri, il principale stimolo nel nostro lavoro quo­tidiano.

Giancarlo Cimoli Presidente e Amministratore Delegato

delle Ferrovie dello Stato

Il rapporto tra impresa e cultura, che molte società richiamano pe� le loro iniziative, è tanto più importante in un'azienda come le Assicurazioni Generali che-pur perseguendo in via prioritaria gli obiettivi della qualità del servizio e della redditività a tutela degli assi­curati e degli investitori- è sempre intervenuta in attività promozionali legate a grandi eventi culturali.

L'impegno nella cultura della Compagnia si è ulteriormente rafforzato con la presenza dell'INA che ha anch'essa tradizioni consolidate di intervento nel settore.

Il Gruppo possiede Archivi dichiarati di notevole "interesse storico. Di rilievo è anche il cospicuo patrimonio librario conservato presso le biblioteche delle Generali a T riesce e dell'INA a Roma.

Le Generali hanno contribuito nel tempo allo sviluppo della rete ferroviaria italiana sia come finanziatori che come assicuratori. Già nel1848 la Compagnia-grazie all'ope­ra di mediazione dell'allora Segretario Generale Leone Pincherle nella posizione di Presidente della "Società Ferdinandea Lombardo Veneta"-partecipa all'ultimazione del­la trarca Brescia-Milano permettendo in tal modo la conclusione del collegamento con Milano e Venezia. L'Anonima Infortuni (Gruppo Generali) nel 189 6 lancia sul mercato assicurativo una polizza infortuni dedicata al personale delle tram vie e ferrovie piemonte­si, contratto che, per le sue caratteristiche, viene successivamente ripreso da altre Società del settore. La stessa Anonima unitamente alla Banca Commerciale contribuisce alla na­scita delle Ferrovie meridionali nel periodo 1902-19 03.

L'INA da parte sua entra nel mondo delle ferrovie già nella prima metà del1913, quindi a poco più di un anno dalla sua costituzione (4 aprile 1912). Si tratta di investire, a beneficio degli assicurati, le riserve matematiche secondo quanto previsto dalla legge co­stitutiva (l. n. 305/1912). Il che avviene sia attraverso l'erogazione di mutui ai Comuni in­teressati alle iniziative sia con l'acquisto di annualità ferroviarie. È, in buona sostanza, un 'o­perazione finanziaria di largo respiro che permette - come era negli intenti di Nirti e Beneduce-di rivitalizzare il mercato finanziario con una positiva ricaduta di carattere so­ciale. Una busta -la numero 9- del Fondo Beneduce dell'Archivio Storico dell'INA è de­dicata all'argomento con annotazioni tecniche circa i rendimenti finanziari.

In questo contesto di presenza attiva nel mondo della cultura e della ricerca, il Gruppo ha partecipato alla mostra curata dall'Archivio di Stato di Roma con un «ero­gatore, a monete, di polizze danni della Società Anonima Infortuni per i viaggiatori su

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ferrovia", in uso presso la stazione Termini di Roma nei primi anni del secolo scorso, e con la riproduzione·di documenti- di proprietà dell'Archivio Storico dell'INA- pro� venienti dal fondo Beneduce (busta 9, fase. 27, s. fase. l, 4 e Il) e dal Fondo Verbah del Comitato Permanente, seduta dell6 agosto 1916.

Gruppo Generali

La presenza di 50&Più Fenacom, associazione di anziani e pensionati, tra le orga­nizzazioni che hanno contribuito alla realizzazione dell'iniziativa «La maravigliosa inven­zione)), discende da un insieme di considerazioni. Due fra tutte: danna parte l'aver in­trattenuto con l'Archivio di Stato di Roma precedenti proficue collaborazioni, dall'altra l'aver realizzato sul tema del viaggio e della rilevanza che i mezzi di locomozione hanno avuto nella vita delle passate generazioni, una ricerca condotta in collaborazione con le uni­versità della terza età italiane, cui hanno partecipato con testimonianze personali e reper­ti fotografici oltre cinquecento anziani. Non c'è, quindi, solo una pregressa «sensibilità al­l'argomento» da parte della nostra organizzazione, ma una documentata «Ìmportanzan del­l'argomento. La strada ferrata e il treno hanno rappresentato, sino a tutti gli anni Cinquan­ta del secolo scorso, l'unico mezzo di massa disponibile per ampliare le possibilità person­ali di movimento, di lavoro, di comunicazione, e infine di svago. Non si è trattato soltan­to di applicazioni meccaniche, di ingegneria ciVile, di ponti e gallerie.

Con il treno inizia una nuova conquista del tempo e dello spazio, una rivoluzione silenziosa che c:oinvolge e sconvolge l'anima delle persone e le allontana definitivamente da migliaia di anni di storia, quanta ne ha quella legata all'uso del traino animale e del car­ro, per proiettar le in un mondo via via più raggiungibile e senza frontiere.

Lanfranco Morganti Presidente Nazionale 50&Più Fenacom

Le Pubbliche Amministrazioni e le aziende che operano oggi nel mercato necessita­no sempre più spesso di una gestione mirata della documentazione prodotta.

La Bucap s.r.l- azienda leader nella gestione di archivi fisici e informatici, controlla­ta dal gruppo Marifin S.p.A. - fin dalla sua nascita si è sempre posta l'obiettivo della cor­retta gestione degli spazi, offrendo la dislocazione dei propri archivi in località tali da po­ter rispondere alla richiesta del contenimento dei costi, ma garantendo, al tempo stesso, l'immediata fruibilità, sul luogo di lavoro, dei documenti affidati.

L'attività nel settore degli archivi permette, quindi, al Gruppo Marifin S.p.A. di svi­luppare una particolare sensibilità verso la memoria d'impresa così da vederlo più volte pre­sente in manifestazioni nazionali e internazionali di alto spessore culturale.

La Bucap s.r.L è lieta di aver sostenuto l'iniziativa dell'Archivio di Stato di Roma di cui ha avvertito, in particolare, la rilevanza dal punto di vista della valorizzazione di un pa­trimonio documentario direttamente collegato alla regione Lazio, territorio nel quale tro­vano sede le sue maggiori strutture di conservazione e gestione.

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Teresa Del Prete Bucap s.r.l.

Introduzione

Ho accettato con piacere di scrivere una breve introduzione per la mostra documentaria sulle strade ferrate nel Lazio, curata dall'Archivio di Stato di Roma, perché ritengo le iniziative del genere tanto rare quanto utili.

Sono rare perché in Italia, paese dell'Impero romano e dei liberi comuni, è sempre mancato un diffuso interesse della divulgazione storica per le rima­nenze dell'Ottocento e del Novecento, considerate più come ruderi che come monumenti, mentre all'estero gli stessi resti- comprese in prima linea le strut­ture ferroviarie- sono valorizzati quali opere di «archeologia industriale».

Ma tali iniziative sono dall'altra parte utili, perché contribuiscono a diffon­dere la cultura di un tempo non lontano, nel quale - in assenza di automobili - il movimento sulle medie e lunghe distanze era assicurato in tutto il paese da numerosi convogli a vapore; convogli che hanno accompagnato la storia della penisola dal periodo risorgimentale alla costruzione dello Stato unitario.

Sono certo del successo della mostra, del resto organizzata con cura, pas­sione e rigore scientifico, anche perché la mia personale esperienza come ricer­catore di storia dei trasporti e come organizzatore di treni storici mi ha fatto ri­levare un grande interesse del pubblico per il complesso mondo ferroviario di una volta; mondo del quale, purtroppo, le imprese di trasporto, tutte protese verso il futuro dell\<alta velocità)), hanno spesso trascurato le entusiasmanti vi­cende, che sarebbero assai efficaci persino per la promozione attuale del mezzo su ferro.

Ma tornando agli albori delle strade ferrate, è importante ricordare il con­testo in cui esse iniziarono la loro espansione: si tratta del contesto econono­mico della rivoluzione industriale, nonché di quello politico dell'indipendenza dallo straniero. Nell'Italia preunitaria si cominciò a discutere del vapore per i trasporti terrestri dopo il 1825, anno d'inaugurazione della Stockton­Darlington, la prima ferrovia inglese con trazione meccanica. Ma diversi com­mentatori manifestarono scetticismo e incredulità nei confronti del <<mostro d'acciaio». Il successo della locomotiva suscitò tuttavia un particolare interesse tra i pochi spiriti innovatori, che propugnavano la crescita industriale sul mo­dello britannico come premessa per l'unità nazionale. Le riviste più attente ai nuovi sviluppi della tecnica furono l' «Antologia» di Firenze e gli «Annali Universali di Statistica, Economia Pubblica, Storia e Viaggi» di Milano. Le per­plessità continuarono anche negli anni Trenta, quando venne rimarcato il fat­to che il carbone fossile e il materiale ferroviario avrebbero dovuto essere ac­quistati in Gran Bretagna e in Belgio, data la mancanza di industrie siderurgi­che e meccaniche in grado di soddisfare gli ordini.

A metà del decennio iniziarono comunque i primi progetti degni di nota, e nell'ottobre 1839 venne aperto all'esercizio il tronco ferroviario di 7,6 km da Napoli a Portici: il Regno delle Due Sicilie fu pertanto il primo Stato italiano

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Stefano Maggi

a vedere il treno. Nell'agosto 1840 fu poi la volta della Milano-Monza, cui se­guirono la Padova-Mestre nel dicembre 1842, la Napoli-Cancello-Caserta nel dicembre 1843, la Pisa-Livorno nel marzo 1844. È di questo periodo anche il ponte lagunare tra Venezia e Mestre, opera allora avveniristica, terminata nel gennaio 1846.

Mentre gli altri Stati preunitari - con maggiore o minore entusiasmo -inauguravano i primi tratti, nello Stato pontificio il papa Gregorio XVI non vo­leva sentir parlare di treni o di vapore. Venivano di conseguenza alimentate le idee di conservazione rispetto ai nuovi ritrovati della tecnica, affermando per esempio che laddove non vi era prosperità commerciale le strade ferrate finiva­no per rovinare gli interessi del paese e delle sue manifatture, diminuendo il co­sto dei prodotti importati e gettando sul lastrico vetturini, carrettieri, mani­scalchi. Tale situazione durò fino al giugno 1846, quando sall al soglio ponti­ficio Pio IX, il quale si trovò subito a fronteggiare numerose richieste di auto­rizzazione agli studi tecnici per progettare linee ferroviarie, frutto talvolta di vo­lontà esterne. Come quella degli Austriaci, che erano interessati a congiungere il Lombardo-Veneto con la Toscana.per Bologna e poi quella dei Francesi, fa­vorevoli a una ferrovia tra Roma e il porto di Civitavecchia, dove potevano ar­rivare i rinforzi per il contingente militare che, dopo la repressione dei moti del '48, sorvegliava l'integrità dello Stato pontificio.

Nel 1849 fu concessa alla Società Pio-latina la costruzione della ferrovia Roma-Frascati, aperta al traffico il 12 ottobre 1856, dopo l'inaugurazione te­nuta nell'estate precedente. Intanto una società detta Pio-centrale era stata au­torizzata a realizzare il tronco tra Roma e Civitavecchia, inaugurato nell'aprile 1859, e inoltre la ferrovia transappenninica da Roma ad Ancona e Bologna. Negli anni '50 la politica ferroviaria pontificia fu quindi assai attiva, sebbene i risultati rimanessero modesti in rapporto agli altri Stati.

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Al momento della costituzione del Regno d'Italia, nel marzo 1861, i chi­lometri in esercizio nella penisola erano 2.189: il Piemonte ne aveva 850, il Lombardo-Veneto 607, il Granducato di Toscana 323, il Regno delle Due Sicilie 128, il Ducato di Parma 99, il Ducato di Modena 50. Lo Stato pontificio con­tava allora 132 km: 20 km da Roma a Frascati, 80 km. da Roma a Civitavecchia e 32 km da Bologna al confine con il Ducato di Modena, quest'ultimo tratto in esercizio dal luglio 1860.

Una panoramica generale ci porta a rilevare che la rete toscana risultava completamente isolata dal nord e dal territorio del Lazio, il quale a sua volta era del tutto separato dall'ex Regno delle Due Sicilie. Da Bologna, che sarebbe in seguito divenuta uno dei principali nodi ferroviari, non si poteva né valicare l'Appennino, né raggiungere Ancona lungo la costa, né superare il Po a Ferrara. Ma soprattutto ben 34 province erano prive di strade ferrate e attendevano un intervento statale.

Si presentava quindi la necessità inderogabile di collegare le varie parti del nuovo Stato con una rete efficiente di trasporti, sia per il controllo dell'ordine

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Introduzione

interno e dei confini, visto che il treno consentiva il veloce spostamento delle truppe e delle forze di pubblica sicurezza, sia per la realizzazione di un merca­to nazionale, dal quale ci si aspettava un consistente aumento dei commerci.

Mentre il Regno d'Italia concentrava nelle ferrovie grandi sforzi finanzia­ri, lo Stato pontificio, rimasto limitato al Lazio, era quasi costretto a unirsi «fer­roviariamente» con il resto della penisola. E infatti, prima ancora che i soldati italiani entrassero da Porta Pia, ben tre comunicazioni a lungo raggio erano sta­te ultimate: nel febbraio 1863 per Velletri-Ceprano-Cassino-Napoli, nell'apri­le 1866 per Orte-Foligno-Ancona (e a dicembre da Foligno per Firenze), e in­fine nel giugno 1867 da Civitavecchia per Livorno lungo la litoranea tirrenica. runione ferroviaria al Regno d'Italia precedette quindi l'unione politica.

Nel 1870, dopo l'annessione del Veneto e del Lazio, la rete italiana aveva raggiunto i 6.000 km, era triplicata rispetto all861 e soltanto 9 province ri­manevano ancora del tutto prive di binari. I progressi erano stati rilevanti, a di­spetto di due guerre, delle difficili condizioni economiche, del brigantaggio, del­le epidemie di colera.

Interessanti sono le vicende della Società generale delle strade ferrate ro­mane, nata inizialmente per la Roma-Civitavecchia, che attraverso una serie di fusioni con altre compagnie, a partire dalla Pio-Latina e dalle ferrovie statali nel Napoletano, per proseguire con le compagnie toscane, divenne infine una del­le grandi società cui il governo italiano, nell865, affidò in concessione la mag­gior parte delle linee nell'Italia centrale. Con la legge dell4 maggio di tale an­no (n. 2.279) vennero infatti create tre reti principali: Strade ferrate alta Italia, Strade ferrate romane, Strade ferrate meridionali, fondate dal banchiere livor­nese Pietro Bastagi, già ministro delle Finanze nel governo nazionale. Ciascuna compagnia avrebbe amministrato 1.500-2.000 km di strade ferrate, aiutata da un complesso e non uniforme metodo di sovvenzioni pubbliche.

Il sistema gestionale, tuttavia, entrò in crisi quasi subito, nel 1866, a cau­sa della terza guerra d'indipendenza, che costrinse a introdurre il cosiddetto «cor­so forzoso», cioè la sospensione di convertibilità della lira. La moneta italiana perse circa il l Oo/o di valore nei rapporti con le altre valute, alzando di conse­guenza il costo dei prodotti importati e rovinando le compagnie concessiona­rie, le quali dipendevano largamente dall'estero per la fornitura sia di carbone che di materiale rotabile. Inoltre la crisi finanziaria di questo periodo non con­senti alle società ferroviarie di emettere obbligazioni, determinando interruzio­ni di lavori e forti deficit di gestione, anche per la frequente sopravvalutazione degli introiti, mentre il movimento su gran parre degli itinerari risultava assai scarso.

Fu perciò necessario procedere alla modifica delle concessioni dell865, e poi al riscatto statale della rete delle Romane e di quella dell'Alta Italia con le ex linee austriache del Veneto ereditate dopo ill866, mentre iniziava la nomi­na di commissioni d'inchiesta ferroviarie: una costante del secondo Ottocento.

Il deputato della Destra storica Ruggero Bonghi, futuro ministro della

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Stefano Maggi

Pubblica Istruzione, nella relazione di accompagnamento a un primo progetto di legge per il riscatto delle Strade ferrate romane in continuo rischio di ban­carotta, riconobbe esplicitamente l'insuccesso delle concessioni alle società fer­roviarie, che avevano causato gravi perdite finanziarie per l'erario e danni eco­nomici per l'intero paese. Del resto l'iter per il riscatto delle Romane risultò as­sai lungo, dimostrando quanto complesse fossero le vicende ferroviarie dell'e­poca: conclusa una convenzione nel novembre 1873, questa venne approvata soltanto dopo diversi anni, varie modifiche e interminabili discussioni. Lo Stato prese possesso delle Romane solo dal 1 o gennaio 1882, visto che nel frattempo erano completamente cambiati gli intendimenti governativi.

Si era infatti consumata la cosiddetta «rivoluzione parlamentare», perché Silvio Spaventa e il primo ministro Marco Minghetti, visto l'impegno nel rile­vare due delle grandi reti esistenti, le Romane e l'Alta Italia, avevano ritenuto necessario procedere al completo riscatto delle ferrovie nazionali. Ma la defe­zione di un gruppo di depurati toscani legati alle Strade ferrate meridionali di Pietro Bastogi aveva fatto cadere il governo, dando vita al primo cambio della guardia nell'Italia unita, con la Sinistra storica che aveva sostituito la Destra sto­rica alla guida del paese.

Questi pochi cenni di sintesi su vicende amministrative e fmanziarie estre­mamente complesse, dovrebbero bastare a comprendere l'enorme importanza che le questioni ferroviarie ebbero per rimo l'Ottocento, quando la locomotiva rap­presentava il principale simbolo del progresso. Il suo valore fu forse ancora più sen­tito in Italia rispetto ai paesi dell'Europa centrale, dove era già in corso la rivolu­zione industriale. Nella penisola italiana, invece, sembrava che l'epoca moderna ar­rivasse proprio con la strada ferrata. Il treno fu così celebrato nei versi di numero­si poeti e scrittori, nonché nelle tele dei pittori, molti dei quali identificarono la rer­rovia quale immagine del proprio tempo, così come si verificò all'avvento del ci­nema, le cui pellicole furono spesso legate al viaggio ferroviario.

Il treno risultava tanto prezioso nell'Italia del XIX secolo da far sì che ogni cit­tadina di un certo rilievo reclamasse a gran voce il proprio collegamento ferrovia­rio. La pressione dei campanili per far arrivare la locomotiva, emblema dello svi­luppo, spinse a emanare una serie di leggi, a partire dal 1879, intese a promuove­re una vera e propria ramifi=ione di binari per l'Italia periferica. Furono questi provvedimenti a portare nel Lazio altre linee dopo quelle intraprese nel periodo ri­sorgimentale, collegando Roma a Sulmona, ad Albano, a Terracina, a Segni, a Viterbo, a Nettuno. Vennero inoltre stabiliti alcuni collegamenti trasversali come la Avezzano-Roccasecca e la Civitavecchia-Capranica-Orte e si realizzarono diver­se ferrovie secondarie e tramvie la cui storia, fino ad arrivare alla «direttissima>> Roma-Napoli via Formia, è ben delineata nei saggi di questo volume.

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Stefano Maggi Docente di storia delle comunicazioni nella Facoltà

di Scieze politiche dell'Università di Siena

LE FERROVIE AL TEMPO DEI PAPI (1846-1870)

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NotifiC!llionc, il qunlo po"rrlt eSsere pMrognlo n dello Compagnie, se occorra qualehc ,giuslo moti m.

ARTICOLO IV.

AS!ricu"ra\11 In coi!llr117jono delle lince descriUe di sopra. nell' Àrl." 1., il Governo si riscrLa .li prendere 11011a dovnla oonddmmim_IO la lincn che ·da J:.'oliguo mella vmw P�rugia e Ciuh di Castello ·J:Klr Iii 'Vnllc ,lé\ Tovero , c 1\llChil altro linee di oomunicaziono_ oon ,gli Stati vicini, allorcl•-è-no sin rioonl!SciuiR la ncccssill o hl e>idcnl� uii� lilh pcr .. l11 Sini? l'ontilicio.

AI\'l'ICOLO V. ' . . -�r/t conferilo in p;;mio -�nn medaglia· d'or�fdel

1 •. di Scudi mille, n gin<\izio del Consir"lio d'Arie"

Memhri rimnugono perciò usclnsi--"dP concorso) · arrll indical11 il �gio pili facile � meno co-­

lrn l'Umbria o lo Maroho. Dalla Scgrclorln di Sinio 7 Novembre 1846.

P. C.>\RD. GIZZI.

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7 novembre 1846. Il cardinale Pasquale Gizzi, segretario di Stato di papa Pio IX, autoriz­za l'esecuzione delle strade ferrate Roma-Ceprano, Roma-Porto d'Anzio, Roma­Civitavecchia, Roma-Ancona-Bologna. ASR, Prefettura generale acque e strade, b. 73

Daniela Sinisi

Breve storia delle strade ferrate nello Stato pontificio

II 7 luglio del l856 partiva da Roma (stazione di Porta Maggiore) e giun­geva a Frascati il primo convoglio ferroviario dello Stato pontifìcio1• Regnava in quell'anno, ormai da un decennio, il papa più amato e insieme più discusso dell'Ottocento, Pio IX, che gran parte della stampa dell'epoca - in riferimento all'evento in sé non così straordinario, se si pensa che arrivava con quasi un ven­tennio di ritardo rispetto ai maggiori e più intraprendenti stati italiani - salu­tava come benefattore e promotore di progresso e civiltà per i suoi sudditi.

Scriveva nel l 860 Pietro Petri2, giovane, promettente uomo di cultura ro­mano, a proposito della introduzione in Europa della ferrovia, che

«le strade ferrate sono quella maravigliosa invenzione, per la quale andrà celebrato pe­rennemente il secolo XIX. Per esse giunse l'uomo a ravvicinare le più sterminate distanze, correndo velocissimamente attraverso le viscere dei monti e sopra il letto di grandi fiumi; col servirsi a suo talento dell'indomita ed irresistibile forza del vapore)) .

E aggiungeva a proposito del favorevole atteggiamento del papa nei con­fronti delle nuove vie di comunicazione, che

<< . .. il Regnante Pontefice appena salito sul trono, volle che i suoi sudditi godessero anch'essi dei benefici effetti delle strade fer�ate; epperò con notificazione del Segretario di

l. Sulla nascita e lo sviluppo delle ferrovie nello Stato pontificio rimane fondamentale l'otti­mo lavoro di P. NEGRI, Lefon·ovie nello Stato pontificio (1844-1870), in <�chivio economico del­l'unificazione italiana>,, Serie I, vol.XVI, fase. 2, ricco di citazioni dalla stampa dell'epoca e, soprat­tutto, corredato dalla puntuale citazione di documenti, per la gran parte conservati presso l'Archivio di Stato di Roma. Dello stesso autore risulta molto utile anche il lavoro, di taglio storico-istituzio­nale, dedicato al Commissariato generale per le ferrovie pontificie e al suo archivio, ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L'Archivio del Commissariato generale per le forrovie pontificie, a cura di Pietro Negri, Roma, Ministero per i beni culturali, 1 976. Puntuale ed esauriente anche A. CHIARA V AL­LOTI, Le strade ferrate ne/W Stato pontificio da/1829 a/1870, Roma, Libreria Eredi V. Veschi, 1969, mentre un'agile e sintetica rassegna delle realizzazioni ferroviarie nel Lazio fino ai primi decenni del '900 è contenuta nell'articolo di L JANNATIONI, La rete .ferroviaria nel Lazio-Nascita-Sviluppo -Coordinamento, in «Ingegneria ferroviaria''• ottobre 1963, pp. 877-893.

Per i testi generali di riferimento sul periodo storico nel quale si colloca la nascita, in Italia, del­le strade ferrate e per una puntuale disamina dei tanti articoli, volumi, opuscoli dedicati all'argomento trattato nel presente articolo, si rinvia alla bibliografia curata da Serena Dainotto, in questo stesso volume.

2. Le parole del Petri sono citate nel capitolo dedicato alle strade ferrate in Scienze ed arti sot­to il pontificato di Pio IX, vol. III, Roma 1865.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

Stato in data 7 novembre 1846 autorizzò l'esecuzione delle linee ferroviarie da Roma a Bologna, da Roma a Civitavecchia e da Roma al confine Napolitano presso Cepranm>3•

E' almeno dal 1846, dunque, che bisogna partire per raccontare la storia delle ferrovie nello Stato pontificio e, quindi, nel Lazio che allora ne faceva in­tegralmente parte, se si esclude la piccola fascia a sud della attuale regione, quel­la che partendo da Terracina, giunge approssimativamente fino a Gaeta e Formia sul mare e si spinge all'interno verso Cassino e poi verso l'Abruzzo.

In effetti anche negli anni precedenti qualcosa si era mosso, pur nel son­nolento ambiente culturale della curia pontificia di Gregorio XVI, papa piut­tosto conservatore e ostile alle novità che, a suo parere, potevano risultare peri­colose per l'assetto del restaurato Stato della Chiesa. Egli, di fatto, non aveva appoggiato le pur convinte richieste avanzate dalle province settentrionali, Bologna e la Romagna in particolare, di introdurre alcune vie ferrate ad imita­zione di quanto, da qualche anno, succedeva negli stati limitrofi.

II Moroni', a tal proposito, ci dice, confutando la diffusa tesi del conser­vatorismo di questo papa, che egli

«dopo di aver fatto eseguire le opportune indagini da persone serie e coscienziose, do­po ripetute e mattue riflessioni, persuaso che difficilmente si sarebbero potuti effettuare e che, nel caso affermativo il risultato non sarebbe stato quale si sperava, non le credé vantaggiose allo Stato pontificio, sebbene come quello che non avversava le buone proposte, stabili le bar­che a vapore sul Tevere e permise altre cose moderne che credeva veramente utili».

Di fatto anche gli esponenti delle correnti liberai-moderate la pensavano, a tal proposito, assai diversamente. Massimo D'Azeglio, ad esempio, nel famo­so opuscolo Degli ultimi casi di Romagna sintetizzava dicendo che non era sta­to possibile introdurre le ferrovie almeno nel Nord dello Stato della Chiesa, !ad­dove Lombardo Veneto e Granducato di Toscana già avevano realizzato alcune decine di chilometri di strade ferrate «sempre per lo stesso motivo: pel timore che portassero meno merci che idee}}, (tutte rivoluzionarie, ovviamente, agli oc­chi del papa!).

Nello Stato pontificio, comunque, già negli ultimi anni di regno di Gregorio XVI, comincia un acceso dibattito e un fervore di idee, di progetti, di richieste: dal 1845 fino almeno al fatidico 1849, si sviluppa una vera e propria «questione ferroviaria>> di cui gli appassionati interpreti furono notabili locali e uomini di cultura, ingegneri e avvocati, giornalisti, finanzieri e pubblicisti, tut-

3. In effetti nella notificazione del? novembre 1846 era anche prevista l'esecuzione di una li­nea da Roma al porto di Anzio, tra le quattro considerate di principale importanza. Tuttavia la sto­ria di questa linea fu assai tortuosa e, al 1870, data della fine dello Stato pontificio, la strada .ferrata per Anzio (per la quale era stato pure previsto il ripristino del porto neroniano nella cittadina di ar­rivo, a cura della società concessionaria della ferrovia) non era stata realizzata.

4. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, Tip.Emiliana, 1840-1879, voll.53.

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Daniela Sinisi- Breve storia ddle strade ferrate nello Stato pontificio

ti interessati ad immaginare un sistema politico, economico e amministrativo non più chiuso e soffocante,bensl nuovo e aperto all'esterno, il cui fulcro do­veva essere costituito proprio dalla ferrovia, simbolo ai loro occhi &unione, pro­gresso, benessere economico5•

ridea di collegarsi con il resto d'Italia e di aprirsi ai traffici internazionali spinge molti-specie da Bologna, Perugia, Ancona, Foligno -a sognare di po­ter «unire i due mari», l'Adriatico e il T irreno, con una strada ferrata che, mes­si in comunicazione, attraverso Bologna e Firenze, i due porti di Livorno e di Ancona, da qui giunga al cuore d'Italia, Roma.

Ma gli entusiasmi e anche le speranze di rinnovamento della borghesia più aperta erano destinate a segnare il passo dopo il gran fuoco dell'esperienza re­pubblicana del!849. Non che l'arg�mento ferrovie venisse accantonato né al centro né in periferia, ma quella grande mobilitazione intellettuale che aveva vi­sto dal '45 al '49 una superproduzione di scritti (articoli, petizioni, progetti) avanzati al papa da ogni parte dello Stato a favore delle strade ferrate,. subisce un momento di rallentamento e, potremmo dire, di raffreddamento. Il papa, da parte sua, che aveva di persona sperimentato l'ebbrezza della velocità su ro­taia durante il suo esilio nel regno borbonico, vedeva ora la novità delle ferro­vie nel suo Stato con maggiore distacco, forse con maggiore diffidenza, nono­stante che, in seguito alle direttive date dalla Commissione consultiva da lui stes­so istituita già nell'agosto dell846, si fosse progredito di molto nei contatti con varie società di imprenditori, ansiose di ottenere in concessione questa o quel­la tratta ferroviaria e nell'emanazione di norme e regolamenti. Fu del 25 no­vembre !848 la formazione della prima società concessionaria per la costruzione della linea Roma-Frascati con successivo prolungamento fmo a Ceprano, pun­to di confine con il Regno di Napoli6• Tuttavia era già iniziata l'avventura. re­pubblicana. I.:esilio dei papa a Gaeta comportò il non riconoscimento di tutti gli atti di governo posteriori al!6 novembre '48;" anche la costituzione della sud­detta società fu considerata nulla, al ritorno del «governo legittimo>>, sicché es­sa dovette riottenere la concessione dal Ministero dei lavori pubblici in due ri­prese, il21 novembre 1849 per la tratta Roma-Frascati e l'Il giugno 1850 per il prolungamento fino a Ceprano.

Cominciò cosl, con un ritardo di almeno quattro anni sulla prevedibile ta-

5. A proposito del dibattito nel quinquennio 1845-1849 e del profluvio di pubblicazioni - in genere opuscoli- date alle stampe in quegli anni, si veda in particolare lo studio di E. PETRUCCI, Il '48 e la questione firroviaria nello Stato pontificio. Saggio storico bibliografico, in ((Storia e Futuro. Rivista di storia e storiografìwl, aprile 2002, n. l (rivista informatica). Dello stesso autore, che è at­tualmente responsabile della Biblioteca centrale delle Ferrovie dello Stato e studioso del problema, si può leggere, in questo stesso volume, il saggio dedicato al completamento della rete (1905-1930).

6. La Società generale d'imprese italiane con sede in Firenze, rappresentata in Roma dal prin­cipe Corsini, da don Pietro Odescalchi, dal commendatore Campana e altri viene contestualmente autorizzata con decreto del ministro Sterbini (ministro del governo provvisorio) a costituire una Società anonima denominata ((Pia-latina li.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r870)

bella di marcia iniziata con la notificazione del 1846, la travagliata vicenda del­le concessioni ferroviarie.

Al centro dell'attenzione sia delle «compagnie di intraprendenti» interes­sate alla costruzione delle strade ferrate, sia degli organi dello Stato pontificio -sta in questi anni l'argomento finanziario.

A livello governativo il dibattito su quale fosse il modo più efficace e me­no rischioso per avviare i lavori ferroviari si incentrò su due diversi sistemi già sperimentati all'estero: quello della garanzia del minimum di interesse consen­tita dallo Stato alle società concessionarie (in genere intorno al 5-6o/o) e quello della sowenzione diretta alle società stesse (con partecipazione agli utili).

Da parte loro, gli «intraprendenti>> mirarono non solo ad ottenere quante più concessioni fosse possibile per le loro società, per un numero cospicuo di anni, ma anche, ovviamente, a garantirsi, con le sovvenzioni, dal pericolo di per­dite finanziarie non recuperabili. Dal '50 al '57 si susseguì così per le sole due tratte ferroviarie principali in progetto, la Roma-Frascati-Ceprano e la Roma­Ancona-Bologna, una fitta serie di accordi - spesso subito disdetti - tra Ministero dei lavori pubblici e diverse compagnie; tra di esse cominciarono a essere ben presto presenti società di capitalisti stranieri, francesi e inglesi in par­ticolare, ma anche spagnoli, come nel caso della «Casavaldès e compagni>> che citeremo fra breve.

Se si segue la vicenda delle concessioni per la linea Roma-Ceprano, si ca­pisce bene quale dovesse essere l'incertezza - o meglio - la confusione che re­gnò in quegli anni a Roma intorno alla questione ferroviaria, tra intoppi buro­cratici, latenti opposizioni; difficoltà finanziarie e pressioni politiche e diplo­matiche. La società Pia-latina - che iniziò i primissimi lavori per il tronco Roma­Frascati nel dicembre del 1848 e vide il suo statuto approvato nel gennaio 1849 - di fatto non progredì nell'esecuzione dell'opera fino a tutto il 1852.

Quattro anni di quasi totale stasi dovuta solo in parte alle note vicende po­litiche: la perdita di tempo, infatti, fu dovuta sia alla controversia con un altra aspirante società concessionaria (Altieri-Conti-Ferlini) - che alla fine del 1852 venne risolta dai tribunali pontifici a favore della Pia-latina - sia alla inefficienza totale dell'impresa cui era stata appaltata l'esecuzione dei lavori (alla quale ven­ne rescisso il contratto per inottemperanza alle clausole contrattuali).

Nei primi mèsi del '53, il governo pontificio autorizzò la società, in gravi difficoltà finanziarie, a cedere la concessione, i capitolati e i pochi lavori eseguiti ad una società francese, che però fu in grado di costruire solo otto chilometri di strada ferrata in circa due anni. Con decreto del ministro dei Lavori pubbli­ci dell'l l novembre del 1854 venne quindi approvato lo statuto di una terza società, risultante dalla fusione della Pia-latina e della Compagnia anglo-fran­cese rappresentata dal marchese Mondar, che assumeva la costruzione e l' eser­cizio della Roma-Frascati con contratti del lo febbraio e 20 giugno 1854.

La sua ragione sociale ufficiale era «Società anonima della strada ferrata da Roma a Frascati>>, ma la denominazione di Pio-latina (non più Pia-latina) restò

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Daniela Sinisi- Breve storia delle strade ferrate nello Stato pontificio

nell'uso corrente. La Pio-latina dunque poté terminare finalmente i lavori nel primo semestre del 1856 e questo "successo" le fruttò la concessione del pro­lungamento fino a Ceprano!

Ancora più complesse, negli stessi anni, le vicende che riguardarono la pro­gettazione, la concessione d'esercizio e l'esecuzione dei lavori per la Roma­Ancona-Bologna (della quale la Roma-Civitavecchia costituì il solo tratto co­struito completamente in epoca pontificia), la strada ferrata che doveva costi­tuire l'arteria principale di collegamento su rotaia tra i più importanti porti del­lo stato e verso gli stati esteri. Auspicata da più parti, la sua realizzazione fu at­tesa dalle popolazioni dello Stato ecclesiastico con l'ansia che sempre accom­pagna gli eventi storici, come ricordava un fàscicolo del l 852 del «Giornale di Roma>>. Anche qui vi furono svariate trattative .con- compagnie di «intrapren­denti», studi tecnici accurati, convenzioni rimaste poi senza efficacia, sicché si deve arrivare all'aprile del 1856 per avere la sovrana concessione che accordava per 99 anni alla società Casavaldès e compagni l'esercizio della Roma­Civitavecchia «senza le garanzie del minimo di interesse dal parte del governo» e al successivo maggio per la concessione, alla stessa, della Roma-Ancona­Bologna <<per 95 anni con una garanzia governativa a cottimo fino al 21 mag­gio 1910 di un prodotto netto annuale minimo di lO milioni_ di franchi». A que­sta ultima linea, come si vede, le autorità pontificie e il papa stesso tenevano in particolare modo, certamente anche a causa delle costanti pressioni diplomati­che di una potenza di primo piano quale l'Austria, che, fin dai primordi del­l' awentura ferroviaria in Italia, auspicava una linea che congiungesse i due ma­ri e che, attraverso il porto di Livorno, su per Bologna e Venezia, collegasse più direttamente la Toscana all'Austria. Già nel maggio 1851 era anzi stata a tal pro­posito conclusa uria convenzione tra i plenipotenziari dello

·stato pontificio,

dell'Impero austriaco, del Granducato di Toscana, del Ducato di Modena e del Ducato di Parma per dare attuazione a tale progetto internazionale.

Nell'agosto dello stesso anno 1856 fu approvato lo statuto della società, che assumeva ora il nome di <<Società generale delle strade ferrate romane>>, da Roma a Bologna per Ancona e da Roma a Civitavecchia, detta linea <<Pio-centrale»; la sede amministrativa era fissata a Parigi dove era stata precedentemente firmata una conve�':i�n

.e con il bar:chiere Mirès per il finanziament� delle suddette li­

nee. I lavon m1z1arono quasi subito (mese d1 ottobre) per la Roma-Civitavecchia e la costruzione fu affidata ad un imprenditore. francese, Hubert Debrousse, che già nell'ottobre aprl i primi cantieri a Porta Portese dove era fissata la stazione di partenza. Anche questa volta il collaudo della linea tardò e fu effettuato so­lo il 25 marw 1859 (l'apertura al pubblico awenne il 1 6 aprile successivo).

Gli anni '50 dell'Ottocento videro dunque l'inaugurazione di sole due trat­te, per di più non essenziali alla vita economica e allo sviluppo dello Stato, <<Uti­li per la villeggiatura>> (come una parte dell'opinione pubblica ebbe a pensare e a dire): l'una consentiva la scampagnata verso i castelli romani, l'altra una cor­sa versa il mare.

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Le ferrovie al tempo dei papi (1846-1870)

Alla vigilia degli eventi che, tra 1859 e 1860, sconvolsero profondamente la geografia politica dell'Italia intera e, quindi, anche dello Stato pontificio - pre­sto ridotto ad un piccolo territorio esteso per poche decine di miglia intorno a Roma - il bilancio che si può fare non è esaltante, per quel che riguarda le con­crete realizzazioni ferroviarie nello Stato ecclesiastico; a tante idee, a tanti pro­getti, a tante speranze, a tanto inipegno di uomini e capitali, aveva fatto segui­to la costruzione di meno di l 00 chilometri di strada ferrata e l'attuazione di un servizio ancora così imperfetto da richiedere continue interruzioni per ma­nutenzioni straordinarie, incidenti e inconvenienti di varia natura.

In seguito, tra 1860 e 1 870, per ambedue le linee aperte al pubblico, la vi­cenda ferrovie conobbe un periodo ancora più incerto e difficile, tra continui mutamenti di ragioni sociali, di progetti di esecuzione e preventivi di spesa e altrettanto numerosi ripensamenti e incertezze delle autorità governative. Il tut­to aggravato, come si diceva, dalla difficilissima situazione di politica interna ed estera e dalla nascente rivalità, presto tramutatasi in aperto conflitto, tra le au­torità governative competenti in materia ferroviaria, in particolare tra il Ministero dei lavori pubblici e la Direzione generale di polizia.

A tal proposito va qui ricordata la situazione istituzionale che si era anda­ta configurando, a partire dagli arUii Quaranta, e consolidando nel decennio se­guente, per quel che riguarda la gestione burocratica della nuovissinia branca di amministrazione costituita dalle strade ferrate.

Nei primissimi anni troviamo impegnato ad esaminare progetti, proposte, relazioni e ad esprimere pareri tecnici in merito, l'unico organismo pontificio allora competente in materia di viabilità: la Prefettura generale di acque e stra­de. Ovviamente per questioni di grande rilievo e per il parere «politico>> , per co­sl dire, inteì-veniva la Segreteria di Stato.

Anni significativi di svolta furono senz'altro quelli dell'inizio del pontifi­cato di Pio IX che apportò numerose riforme generali all'assetto del suo Stato negli anni 1846-1848 e, tra queste, alcune c!Ie coinvolsero direttamente le fer­rovie, allora appena nascenti.

I:8 luglio 1846 - come già ricordato - venne istituita la Commissione con­sultiva delle strade ferrate, poi trasformata (2 ottobre 184 7) in Commissione direttrice delle strade ferrate, per rappresentare il governo nella stipula dei con­tratti con le società concessionarie.

Col motu proprio del 29 dicembre 184 7, che istituiva i ministeri pontifici, la Prefettura generale di acque e strade cessò di esistere per lasciare il posto al Ministero dei lavori pubblici al quale, dall'aprile successivo, furono trasferite an­che tutte le funzioni della Conunissione direttrice.

Nell851 (12 giugno) vi fu la nomina di una nuova commissione <<sul pro­getto di strade ferrate negli stati pontifici,, ma osolo dopo l'apertura della prima linea ferroviaria (la Roma-Frascati) si avverti l'esigenza di un maggior coordi­namento e di un più stretto controllo su un settore cosl vitale: fu istituito nel gennaio dell858 il Commissariato generale delle strade ferrate dello Stato pon-

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Daniela Sinis i - Breve storia delle strade ferrate nello Stato pontificio

tificio, al quale vennero attribuite amplissime funzioni, anche se esso rimase bu­rocraticamente subordinato al Ministero dei lavori pubblici. Di fatto tale orga­nismo ' specializzato' ebbe vita non lunghissima: fu soppresso nell861 e le sue attribuzioni furono riassorbite (ufficialmente solo nell864 ) dal Ministero dei lavori pubblici, presso il quale fu istituita una «Direzione della sezione ferrovie,.

Accanto al Ministero dei lavori pubblici interveniva, nel rapporto con le so­cietà concessionarie, il Ministero delle finanze, visti i rilevanti esborsi di dena­ro pubblico necessari per sovvenzionare le opere ferroviarie e viste anche le com­plicate vicende doganali, determinate dalla nascita di una rete ferroviaria dello Stato pontificio e poi 'nazionale'.

Altro iniportante organismo, onnipresente nel regolamentare lo sviluppo della ferrovia, fu la Direzione generale di polizia, garante dell'ordine pubblico latu sensu, della sicurezza in generale e del corretto e disciplinato svolgimento del servizio ferroviario e, per questo, come si è detto, in frequente dissidio con l'organismo preposto ai lavori pubblici.

Se il quadro istituzionale, dunque, appariva già abbastanza complesso di per sé, a complicare ulteriormente la vicenda ferroviaria dello Stato pontificio su­bentrò, tra ill859 e ill860, la perdita, seguita alla II guerra di indipendenza, delle Romagne, dell'Umbria e delle Marche, regioni poi annesse al Regno d'Italia.

In quegli anni agiva ormai come unica società concessionaria per lo Stato ecclesiastico la Società generale strade ferrate romane, la quale, di Il in poi, avreb­be dovuto gestire quindi soltanto le linee del Lazio, regione rimasta soggetta al pontefice. E le realizzazioni del decennio 1860-18 70 non furono poi cosi tra­scurabili, se si pensa alle note complicazioni interne e internazionali.

Nel l860 - l'anno in cui, nel marzo, il pontefice e il ministro dei Lavori pubblici approvarono definitivamente la fusione di Pio-centrale e Pio-latina nel­la nuova Società generale, con capitale di 2 07 milioni di franchi - i lavori pro­cedettero comprensibilmente a rilento, anche a causa della cautela dei capitali­sti impegnati finanziariamente nell'impresa ferroviaria, che preferivano atten­dere gli esiti della guerra, Furono così portati a termine solo poco più di 2 0 chi­lometri sulla Roma-Ceprano.

Il 3 ottobre di quell'anno 1860, intanto, fu conclusa una prima conven­zione per la provvisoria sistemazione dei rapporti della società suddetta col go­verno italiano ed un capitolato per l'ultimazione della linea da Bologna ad Ancona entro ill86 1 . Nell'anno seguente la Società generale strade ferrate ro­mane ebbe in concessione tutte le linee del Napoletano appartenenti allo stato, giacché come è noto, era cessato il Regno borbonico. A fine 1861 , dunque, la società gestiva complessivamente 885 chilometri di linee ferrate, comprese quel­le, ovviamente, ancora in territorio pontificio.

Intanto i lavori andavano avanti soprattutto sulla linea meridionale, la Roma-Velletri-Ceprano, che venne inaugurata all'inizio del l862 e si congiun­se con le linee napoletane, nell864 , attraverso il raccordo Ceprano-Isoletta.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

Agli inizi del l863 si concedeva la costruzione della linea per Orbetello, ma il 1863 fu un anno importante per le ferrovie romane soprattutto per la realiz­zazione (novembre) di una stazione centrale provvisoria nella zona della futura stazione Termini, che costitul l' indispensabile snodo di collegamento delle li­nee provenienti da nord e da sud: il percorso Civitavecchia-Roma-Ceprano­Napoli fu da allora percorribile in meno di l O ore, cosa assai rilevante per l'e­poca.

Nel 1864 fu aperto il primo tronco, fino a Monterotondo, della Roma­Ancona-Bologna e la linea fu poi proseguita, arrivando attraverso Co rese, a Orte (dicembre 1865).

Nel giugno dello stesso anno 1864 si costitul, dalla fusione della Società ge­nerale strade ferrate romane con altre tre società che gestivano le principali li­nee toscane, la nuova Compagnia (o Società) delle strade ferrate romane - che ebbe anche la concessione della linea della Liguria - la quale si impegnava ad ampliare la rete fino a chilometri 2352 (di questi 1 122 già in esercizio e soltanto 316 in territorio pontificio) . La suddetta fusione non fu dr gradrmento del go­verno pontificio, che ebbe dunque un atteggiamento assai diffidente (ad esem­pio ritardò l'attuazione del progetto per la nuova stazione Termini) nei confronti della Società, presto afflitta da gravissime difficoltà finanziarie.

Agli inizi del 1 866, intanto, entrava in funzione anche la Orte-F�Iigno e nello stesso anno veniva aperto, a Nord, il tratto Bologna-Ancona, fra mfimte controversie e difficoltà tecniche.

Sempre nel '66 furono intensificati i lavori della Civitavecchia-Orbetello, aperta al pubblico il22 giugno 1867: pochi chilometri di strada ferrata che però risultavano strategici per consentire la comunicazione tra Livorno, Firenze, Roma e Napoli.

E con questa linea ha termine la storia delle realizzazioni ferroviarie nello Stato pontificio: in tutto erano stati costruiti ed erano in esercizio, al 1867, 57 chilometri per la Roma-Orte; 129 per la Roma-Frascati-Ceprano e 1 3 1 per la Roma-Chiarone (Orbetello).

Gli anni seguenti (1 867-1870) vedranno le ferrovie essere il veicolo delle novità 'rivoluzionarie' che premevano ormai da ogni pa�te convergendo sulla città eterna.

Quando finalmente, il 20 settembre 1870, si realizzava - con la presa di Roma - l'unificazione nazionale, sembravano essere sul punto di avverarsi le profetiche parole del Cavour contenute in un suo saggio del 1846 intitolato Des chemins de fer en Italie. In esso egli additava Roma come

<de cenere d'un vaste réseau de chemins de fer qui relieront certe auguste cité avec le deux mers Méditerranée et Adriatique, ainsi qu'avec la Toscane et le royaume de Naples. Ce système . . . assure à Rome une position magnifique. Centre de l'Italie, et en quelque sorte, de contrées qui entourent la Méditerranée, sa puissance d' attractibn, déjà si consi­derable, recevra une prodigieuse extension>>.

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Daniela Sinisi

La linea Roma-Frascati

Al tempo di Gregorio XVI, restio, come si sa, ad introdurre innovazioni po­tenzialmente rivoluzionarie, i primi sostenitori delle ferrovie già vagheggiavano di una linea che congiungesse la capitale con gli ameni luoghi dei Castelli; in particolare era la «linea tusculana>> - che sarebbe arrivata nel più bel centro di villeggiatura vicino a Roma - a raccogliere i maggiori consensi dell'opinione pubblica ed anche degli imprenditori interessati alla costruzione di vie di ferro nello Stato del papa.

Fu cosl del tutto naturale che tra le prime linee autorizzate dal governo pon­tificio nel novembre 1846 vi fosse quella per Frascati, prima breve sezione del­la ben più lunga ed importante ferrovia Roma-Ceprano. Con quest'ultima es­sa aveva in comune il tratto sino a Ciampino, circa 12 chilometri: da qui la li­nea si sarebbe biforcata e, a sinistra, percorrendo altri 7 chilometri, avrebbe rag­giunto il centro tuscolano.

I lavori pèr la costruzione, tuttavia, affidati all'impresa York dalla Società Pio-latina (la concessione era stata del 2 1 novembre 1849), andarono assai a ri­lento fino a tutto il l852.

Procedette assai bene, invece, la sottoscrizione di fondi, che raggiunse la rag­guardevole cifra di 8.000.000 di franchi; il Municipio di Frascati, fiero di esse­re il primo tra quelli raggiunti dalla ferrovia, sottoscrisse, con voto unanime del Consiglio municipale, 150 azioni da 100 scudi ciascuna.

Già molto per tempo, il l O ottobre 1848, era stato stipulato il contratto per l'allestimento della stazione di arrivo, in località Campitelli, scelta questa non condivisa dalla popolazione di Frascati, che ben vedeva come il percorso su rotaia finisse troppo lontano (oltre 3 chilometri) dal centro cittadino.

E le polemiche sulla velocità e la comodità della via di ferro non furono po­che; anche la stazione di partenza, ubicata in una specie di grande capannone a Porta Maggiore, doveva essere presa di mira dalla stampa e dall'opinione pub­blica dei romani, sempre propensi alla satira e all'ironia: cosl la nuovissima, pri­ma strada ferrata dello Stato pontificio fu presto definita la ferrovia «che non parte da Roma e non arriva a Frascati>).

Ma la questione della lontananza delle stazioni dai rispettivi centri urbani collegati non fu l'unica ad essere sollevata in merito al tracciato della linea. n percorso prescelto non fu quello che, con ogni ragionevolezza, doveva evitare alture e irregolarità tlel terreno, ma uno più tortuoso e che, per di più, si im­batteva in pieno - forse per scelta, quasi a tlimostrare l' onnipotenza della nuo­va ingegneria ferroviaria - nello «scoglio» della collina di Ciampino.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-1870)

Occorsero molti anni, il sacrificio di alcune vite umane e non pochi dena­ri (circa 200.000 scudi) perché fosse portata a termine la costruzione della gal­leria, necessaria per oltrepassare la piccola altura. Lunga meno di 300 metri, es­sa fu aperta solo il 3 1 maggio 1856. La durezza della roccia basaltica, la presenza di acque sorgive e di filtrazione, che ostacolavano i lavori, e vari incidenti alle maestranze resero difficoltosa la sua ultimazione. Quando morirono di colera, durante il viaggio da Marsiglia a Roma, sei degli undici operai specializzati che la ditta appaltatrice aveva chiamato dalla Francia a supporto dell'opera, si co­minciò a pensare che l'impresa non fosse nata sotto una buona stella.

Ma, come ebbe ad esprimersi il canonico Cadetti, autore di un sonetto ce­lebrativo composto per l'occasione della inaugurazione della linea, «Non valse scoglio a contrastar l'idea l che forte ingegno con sapienza ordiva>>, sicché alla fine, il ? luglio 1856, dopo alcune settimane di prove «il ferreo calle onde de­sir s'aveva l alle fervide ruote alfin s'apriva>>.

E furono cerimonie inaugurali, benedizioni, cantate e sonetti ed un ban­chetto so n moso che accompagnarono il primo viaggio del convoglio, tra le ova­zioni di una folla entusiasta. A Porta Maggiore assistettero alla partenza nume­rose autorità, tra le quali il cardinal Giacomo Antonelli, segretario di Stato, al­cuni ministri, rappresentanti diplomatici e membri della corte pontificia e del­la magistratura capitolina. La benedizione alle rotaie, agli attrezzi, alle locomo­tive (San Pietro e San Pio) fu impartita da monsignor Palermo, vescovo di Porfirio che, per la prima volta, usò le parole «Ut hanc ferream viam cum om­nibus instrumentis suis benedicere digneris)) ,

Il treno, che recava lo stemma di Pio IX, partl alle 14.30, ad un segnale del­lo York, che aveva con cura organizzato la festa di inaugurazione, e giunse a Frascati dopo 28 minuti di percorso, accolto con ogni onore dalla municipalità tuscolana.

Segul, come da programma, un grandioso rinfresco nella Villa Torlonia, du­rante il quale l'Antonelli conferl ai signori York, De Vitry e Harlingue la croce dell'Ordine Piano. Una medaglia commemorativa, coniata per l'occasione, fu donata dalle autorità comunali agli ospiti più illustri.

La linea fu aperta al pubblico il 1 4 luglio e, superati alcuni inconvenienti, offrì un servizio continuo ad un numero sempre crescente di gitanti, anche stra­nieri e di pendolari.

La Pio-latina istitul, fin dal principio, un servizio di omnibus tra Piazza Montecitorio e la stazione di Porta Maggiore e tra la stazione di Frascati e il cen­tro della cittadina.

Pio IX tardò quasi due anni ad onorare la linea con la sua presenza, nel bel­lissimo vagone papale tutto decorato: il 14 maggio 1858, di ritorno dalla vil­leggiatura di Castelgandolfo, giunse a Frascati in carrozza e di Il volle percorre­re in treno i 20 chilometri che lo separavano dalla sua capitale.

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M Temide Bergamaschi

Ferrovie a sud di Roma

La costruzione delle ferrovie nello Stato pontificio coincide con la fase de­finitiva del ridimensionamento del suo territorio che, dopo il 1860, è ridotto al·solo Lazio per una superficie di 12 mila chilometri quadrati'. Le province, Co marca, Velletri e Frosinone, sono quelle interessate al transito della linea che collega la zona più lomana a sud e, tramite raccordo, all'altra capitale Napoli.

L:amministrazione provinciale di Roma, tra il 1830 e il 1870, è attestata nei documenti del fondo Presidenza di Rnma e Comarca che permettono di ot­tenere dati relativi alle aree urbana e suburbana della capitale e dei comuni dei distretti di Roma, Tivoli, e Subiaco2• Tale organismo si occupava, infatti, della gestione delle strade nazionali dell'Agro Romano e della Comarca; in modo esclusivo di quelle provinciali, comunali e consorziali tramite le deliberazioni del Consiglio amministrativo che prendeva in esame appalti di manutenzione, di riparazione, in specifici casi di apertura e anche di alberatura. A tale ambito di competenza aggiunse quello delle cosiddette strade ferrate in cui ebbe un coinvolgimento, in stretta collaborazione con il Ministero per i lavori pubblici e con il Commissariato generale delle ferrovie pontificie. Queste furono rego­late, per quanto concerneva ordine pubblico e sicurezza, estendendo e ade­guando ai nuovi mezzi di comunicazione e trasporto la normativa già esistente sulle strade, come il divieto di aprire cave di pietra e pozzolana nei pressi delle linee. Invece la Presidenza e le delegazioni ebbero un ruolo specifico e deter­minante nei procedimenti riguardanti le espropriazioni ferroviarie, dovendo in­fatti provvedere a pubblicare le notificazioni e le intimazioni agli espropriati per

l . Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, in Storia dlta!ia , a cura di M.Caravale - A. Caracciolo, vol. XlV, Torino 1991, pp. 71 1 sgg.; Lo Stato del Lazio 1860-1870, a cura di F. Barroccini - D. Strangio, Istituto nazionale di studi romani Roma 1997; A.VENTRONE, L'Amministrazione dello Stato pontificio dal 1814 al 1870, Edizioni universitarie, Roma 1942.

2. Gregorio XVI, con l'editto dd 5 luglio 1831, dichiarò la Presidenza delegazione di prima classe per i comuni suburbani, le attribuì tutte le competenze, ad eccezione di quelle politiche, e ne modificò in pane l'estensione. Vi nominò un Consiglio amministrativo composto di quattro con­siglieri: due principi romani per Roma e due principali possidenti per la provincia, con lo scopo di cooperare nell'amministrazione con il presidente. Il Consiglio amministrativo si riuniva annualmente in forma di Consiglio provinciale, con l'intervento anche dei gonfalonieri e di parte dei principi ro­mani possidenti della provincia con il titolo di consiglieri aggiunti. Dal 1836 fu assoggettata alla Segreteria per gli affari di stato interni. Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesia­stica, Venezia 1842, vol. XV. Per il quadro generale dei toponimi si veda: Indice aljàbetico di tutti i luoghi dello Stato pontificio ( . . . ) desunto dall'ultimo riparto territoriale ripromesso coll'editto t}el5 lu­glio 1831, Stamperia Camerale, Roma 1836.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

l'accettazione del prezzo e per addivenire alla stipulazione dei contratti che ve­nivano sottoscritti negli uffici della Presidenza, in palazzo Altieri a piazza del Gesù, e negli uffici delle delegazioni. .

I.:inventario, al titolo XIX, buste 1767-1788, elenca un numero significa­tivo di pratiche, 813, ma in realtà alcune unità in meno perché i fascicoli 789 - 802 risultano 'smarriti', come indica un'annotazione archivista ottocentesca alla busta 1782. Gli incartamenti riguardano tutte le linee pontificie fino all'u­nità d'Italia (Roma-Napoli, Roma-Civitavecchia, Roma-Ancona, congiunzio­ni con la stazione centrale di Roma).

In particolare, per la linea Roma-Ceprano al confine napoletano, sono pre­senti 508 fascicoli dei processi verbali di espropriazione (buste 1767-1774)3, ai quali vanno aggiunti i fascicoli 803 - 8 1 3 contenenti documentazione parzia­le alla busta 1782. Inoltre due rubriche degli espropriati, alle buste 1767 e 1783, che si riferiscono la prima a tutto il territorio pontificio, con l'eccezione della provincia di Frosinone che è indicata in modo esclusivo nella seconda, le rela­tive pratiche di espropriazione sono invece conservate nell'Archivio di Stato di Frosinone, nel fondo della Delegazione apostolica, alle buste 52 - 58.

Le espropriazioni ferroviarie furono ordinate in fascicoli dall'Archivio Romano di Stato - tale la denominazione dell'epoca- che a seguito dell'incame­ramento del fondo nel 1872, consegnato dalla Prefettura di Roma, dovette svol­gere un ruolo attivo per rispondere alle richieste di uffici e di proprietari su que­stioni che continuavano ad avere un forte interesse amministrativo e privato.

La legge di riferimento per tali procedimenti è contenuta nell'editto del se­gretario di Stato Giacomo Antonelli del 3 luglio 1852, formato di 34 articoli divisi in cinque titoli: disposizioni preliminari, norme per la liquidazione del prezzo o delle indennità, atti traslativi di dominio e occupazione temporanea dei fondi, modo di pagare il prezzo o l'indennità e disposizioni diverse. Nel di­spositivo viene indicata la finalità che è di tutelare gli interessi sia dei privati che delle pubbliche amministrazioni <<nei casi in cui debbano eseguirsi lavori di uti­lità pubblica»4•

3. Nelle buste 1775-1788 sono contenuti incartamenti relativi a oggetti diversi anche delle altre linee: Roma-Frascati, Roma-Velletri, Roma-Civitavecchia, Roma-Ancona. Ad esempio, alla busta 1783 ci sono elenchi di espropriati con documenti contabili del pagamento degli indennizzi, depositi e no­tificazioni anche tramite manifesti a stampa, 1857 - marzo 1870. Alle buste 1784 e 1786 vertenze e re­clami di singoli e di comuni per danni causati dal passaggio dei treni: inattività di una mola, crollo di una grotta per le vibrazioni, incendi a terreni e a una casa prodotti dalla locomotiva, 1851 - giugno 1870. Alla busta 1785 si trovano gli incartamenti della prova di carico del viadotto Pio nei pressi del­la stazione di Velletri e la costruzione del parapetto e di altre misure di sicurezza come la predisposi­zione di staccionate lungo tutta la linea per impedire il passaggio del bestiame (1864-1869). Ci sono anche studi e modificazioni alla linea Roma - Ceprano rispetto al progetto originario, nei territori di Velletri e Lariano e di Frosinone. Alla b. 1786 incidenti sul lavoro. Alla b. 1788 si segnala il fascicolo a cura della Sotto prefettura del circondario di Frosinone di 'retrocessione' o di riacquisto di terreni non più interessanti la costruzione della ferrovia, con manifesto del 15 maggio 1872.

4. Cfr. A.VENTRONE, L'Amministrazione, cit. pp. 96-98.

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M Temù/e Bergamaschi - Ferrovie a sud di Roma

Le espropriazioni che si resero necessarie erano a carattere temporaneo o definitivo e potevano interessare oltre che i terreni anche manufatti come mu­lini, case di varia superficie, piccoli edifici di culto e anche corsi d'acqua. La pra­tica tipo, recante l'assenso dei proprietari in origine o a seguito di accordo e l' au­torizzazione alla stipula da parte del Ministero del commercio e dei lavori pub­blici, è costituita dall'atto a stampa del processo verbale e vendita davanti al con­sigliere in rappresentanza del capo della provincia con l'assistenza del notaio se­gretario generale che ne garantisce la legittimità. La compilazione delle parti spe­cifiche è manoscritta: caratteristiche del terreno, località, proprietario, stima in scudi romani. Vì è riportato, naturalmente, anche il nome del rappresentante della Società anonima delle strade ferrate romane, concessionaria della linea che al momento del contratto deve aver provveduto a depositare l'importo dell' ac­quisto comprensivo degli interessi decorsi dall'occupazione del bene, in base al­l'articolo 21 dell'editto5• I depositi erano effettuati, in modo prevalente, presso il Banco del Monte di Pietà (per Roma e Comarca) e Banco di Santo Spirito (per la provincia di Velletri). Tra gli allegati, come <<gli intimi» da presentarsi per la definizione del processo verbale, i certificati della Cancelleria del censo territoriale e il certificato di deposito dell'indennizzo, sono presenti i <<tipi» o <<piante topografiche» che costituiscono la perizia dei terreni fatta a seguito di sopralluogo, oppure realizzati come estratti dalle mappe catastali. A tale ri­guardo risulta chiarificatrice la nota della Presidenza generale del censo del 26 marzo 1859 in cui è specificata la necessità di esibire nei tempi previsti gli estrat­ti catastali affinchè i segretari di delegazione possano registrare le volrure che devono precedere il pagamento delle indennità ai proprietari6• Infatti anche il regolamento del 7 maggio 1842 dettava l'obbligo e le modalità della registra­zione delle divisioni di proprietà, rettifica dei confini e correzione delle mappe da parte di colui che effettuava la voltura, con l'esibizione del <<tipo>> della nuo­va ripartizione7• I disegni tecnici possono risultare di qualche interesse anche sotto il profilo estetico per la cura dell'esecuzione e per i materiali utilizzati: in­chiostri, acquerelli di più colori, supporti cartacei di diversa consistenza e di­mensioni varie, anche notevoli. In relazione a tali pratiche sono presenti i ma­nifesti che pubblicizzano quali beni debbano essere espropriati, come quelli de­gli anni 1868-18708, per le linee di congiunzione con la stazione centrale di Roma, secondo il tracciato definitivo approvato con ordinanza del Ministero dei lavori pubblici del 1 3 ottobre 1860. Inoltre, quelli riferiti alle occupazioni mag­giori, rispetto a quanto previsto nei contratti, che informano come ottenere la restituzione della parte in eccedenza al prezw iniziale, o ancora per le variazio­ni al progetto delle opere sulla linea Roma - Frascati, per cui la Società delle fer-

5. ASR, Bandi, b. 365. 6. ASR, Presidenza di Roma e Comarca, b. 1783. 7. ASR, Bandi, b. 227. 8. ASR, Bandi, b. 435.

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Le ferrovie al tempo dei papi (1846-1870)

rovie romane non ha più necessità di alcune porzioni di terreno che possono essere riacquistare dagli espropriati.

Di alcune pratiche, per motivi diversi, ci può essere il prosieguo presso l'Ufficio di Stralcio del cessato Ministero pontificio dei lavori pubblici che tratta, su indicazione della Regia Prefettura di Roma, controversie sugli indennizzi. Ad esempio, due vertenze giunte ai primi anni del 1870: quella dei fratelli Jacobini e dei proprietari Lolli-Ghetti. I primi per il risarcimento dei danni causati all'atti­vità della loro mola in tenuta Montagnana dalla presa dell'acqua nel fosso Ginestreto praticata nel 1862 dalla Società delle ferrovie per rifornire la stazione di Cecchina (Albano). I secondi per l'esproprio di terreni, in wnadi Ferentino con­trada Monticchio, a causa del quale lamentano, tra l'altro, la distruzione di un fos­so che serviva a convogliare le acque nella stagione estiva per l'irrigazione'. Il 12 gennaio 1871, viene notificato pubblicamente dalla Segreteria generale del regio commissario che determinati proprietari possono chiedere di riacquistare la parte espropriata in esubero10• Cosl pure, la notificazione del 1 5 maggio 1872 del pre­fetto Gadda informa che l'impresa G. Salamanca ha portato a termine le opera­zioni relative alle espropriazioni per le linee ferroviarie nei diversi territori della pro­vincia e che è risultato di aver occupato minore superficie di quella enunciata nei verbali. Gli espropriati possono quindi ritornarne in possesso, secondo la formu­la «di retrocessione o di riacquisto di terreni>), facendone richiesta entro tre mesi.

Per il periodo successivo alla transizione da urì amministrazione all'altra e con l'affermazione del Regno d'Italia, bisogna rivolgere l'attenzione al fondo del­la Regia Prefettura di Roma (d'ora in poi Prefettura di Roma), categoria 21, Strade ferrate.

L inventario e gli elenchi indicano in modo sintetico il contenuto delle bu­ste consegnate in occasione di più versamenti.

Nelle buste 710-761 sono presenti «studi, concessioni ed esercizi delle li­nee ferroviarie» per i territori laziale, compresa la città di Roma, abruzzese, cam­pano e alcune wne del nord. Dalla busta 3677 alla 3697 si trovano le «espro­priazioni», dalla busta 49 14 alla 4926 e dalla busta 6122 alla 6133 gli <<affari generali e linee diverse», in altre le tramvie.

E' noto che l'assetto delle ferrovie e il loro ampliamento abbiano costituito un obiettivo d'interesse nazionale; l'elaborazione di un piano complessivo, risulta an­che da alcune note della Commissione per la classificazione e pel completamento delle ferrovie del Regno, nominata con decreto regio nel gennaio 1871, che rac­coglieva i dati inviati dalle prefetture per delineare un quadro generale dell' ordi­namento delle ferrovie e della costruzione delle linee che mancavano al completa­mento della rete ferroviaria italiana. Tra queste vengono individuate come neces­sarie le linee di Roma-Bracciano, Roma-Porto d'Anzio e Albano-Frascati11•

9. ASR, Ministero dei lavori pubblici, commercio, belle arti, industria e agricoltura, b. 325. 10. ASR, Presidenza di Roma e Comarca, b. 1788. 1 1 . ASR, Prefettura di Roma, b.710.

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M Temù/e Bergamaschi - Ferrovie a sud di Roma

Per rimanere alle ferrovie laziali, sono presenti gli studi per la Roma­Terracina, Terracina-Napoli, il proseguimento della Roma-Frascati per i Castelli e raccordo con la stazione di Civita Lavinia (ora Lanuvio), da Albano a Nettuno, da Anagni ad Anticoli (Fiuggi), per citarne alcune. Inoltre sono pre­senti le pratiche di espropriazione e di svincolo dei relativi depositi per effettuare i pagamenti, corredati di disegni tecnici, in base alla Legge 25 giugno 1865, n. 2359. Si tratta quindi di documentazione riguardante sia la fase preliminare, con il decreto del prefetto che autorizza l'ingegnere capo ad accedere nella proprietà privata per eseguire gli studi, che la conclusiva con il processo verbale di accer­tamento definitivo dell'importo delle indennità, dal 1871 al 1890.

Il disegno tecnico della tratta da costruire è il <<piano particolareggiato di esecuzione>> e corrisponde al progetto definitivo approvato in precedenza dal Ministero dei lavori pubblici, spesso con uno sviluppo longirudinale conside­revole, realizzato su carta lucida con inchiostri di più colori a seconda dei si­gnificati attribuiti agli elementi del disegno: il rosso ad esempio indica la su­perficie da occuparsi per la ferrovia e le sue dipendenze, con linee unite e trat­teggiate. Il 'tipo' corrisponde alla parte da espropriare, disegno allegato o ri­portato direttamente accanto al testo del processo verbale. La documentazione di questi fascicoli, nel suo insieme, può permettere raffronti tra la documen­tazione d'epoca pontificia e quella unitaria in modo da individuarne costanti e diversità.

Tra le nuove linee è documentata la direttissima Roma-Segni, che ha lo scopo di evitare l'ampio giro per la zona dei castelli romani e preparare il suc­cessivo sviluppo della rete in direzione di Caserta12• Qui si riportano le buste che in inventario fanno esplicito riferimento ad essa, caratterizzata dagli inevi­tabili procedimenti di espropriazione a partire dall'Agro romano fino ai comu­ni interessati, quali Labico, Colonna, Valmontone, Montecompatri, Zagarolo, Frascati, Palestrina. Dal punto di vista archivistico, sono evidenti due tipi di p ra­uche: le espropriazioni costituite, in sostanza, dai documenti di tutto l'iter pro­cedurale (identificazione del bene con attestati catastali, decreto prefettizio di occupazione, processo verbale .di accertamento definitivo dell'importo) e gli <<svincoli dei depositi delle indennità>> con documenti amministrativo-contabi­li per la liquidazione a favore dei proprietari.

Nelle buste 753-755 sono presenti pratiche in ordine alfabetico per pro­prietario, con i decreti di pagamento del 1891 che seguono quelli di occupa­zione dell'anno precedente. Nella busta 27 48, in inventario 'ferrovia Roma­Segni', è presente il piano particolareggiato di esecuzione della prima tratta nel comune di Colonna pubblicata nel 1890 e un altro piano 'suppletivo', di quat­tro anni dopo, relativo alla costruzione di un fosso per la raccolta delle acque, lungo il lato destro della ferrovia. Inoltre i fascicoli degli espropriati compren-

12. Per l'ulteriore sviluppo della Roma-Segni si veda ASR, Prefettura di Roma, b. 751 con la documentazione relativa alle nuove stazioni.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

dono anche gli espropri giudiziali completi delle perizie per la liquidazione de­finitiva degli importi. Sono presenti anche i fascicoli delle imprese che hanno ultimato i lavori ai vari tronchi che attraversano più comuni, con avvisi a stam­pa del prefetto che notifica pubblicamente che coloro che vantano crediti ver­so l'appaltatore, per danni causati dai lavori, devono presentare i loro titoli en­tro trenta giorni dalla pubblicazione. 'Il tronco km 6- Ciampino' della Roma­Segni viene aperto al pubblico il 30 aprile 1891, abbandonando conseguente­mente le tratte corrispondenti della linea Roma-Napoli.

Nella busta 3684 ci sono fascicoli dei procedimenti di espropriazione nei diversi comuni già detti e in Marino e Grottaferrata; in quello di Frascati risul­tano espropriati numerosi "stabili", per lo più vigneti. C'è anche qualche oc­cupazione temporanea dovuta all'estrazione di materiali per i lavori e per la rea­lizzazione della conduttura dell'acqua per il rifornito re della stazione di Monteporzio-Colonna. In questo caso, infatti, l'esproprio definitivo grava sul­la 'fonte' e l'esproprio temporaneo sui terreni agricoli che verranno ripristina­ti, dopo la collocazione della conduttura, per tornare all'utilizzo originario, pu­re se con le dovute precauzioni.

In termini generali, la documentazione, nel suo insieme, si riferisce alle fa­si amministrative che caratterizzarono i lavori per i nuovi tronchi ferroviari, per i prolungamenti delle linee esistenti, per l'allacciamento di nuovi binari nei pres­si della stazione Termini13, per le modifiche ai tracciati dovuti a fatti ambien­tali, i più ricorrenti le piene dei fiumi che determinano il ripristino di sponde, ponti e anche di strade. Dal l 871 gli studi si susseguono numerosi per le nuo­ve linee come la Roma-Terracina, o per gli espropri in territorio di Frosinone per effettuare rettifiche alla linea per Napoli e per il ripristino

_di due ponti «fra­

cassati dalla piena del Sacco» fra le stazioni di Valmontone e dt Anagnt. Le eson­dazioni, anche di torrenti, sono infatti una costante, poiché si ripeteranno in zone diverse lungo la linea Roma-Napoli: a Ceccano tra il 1879 e l'anno suc­cessivo e a Ceprano nel l 898, per citare solo due casi. Per affrontarli si ricorre a occupazioni temporanee d'urgenza. Le carte specificano, sempre l'utilizzo dei terreni. Nel caso dei 'seminati vi', l'indennità da depositare a cura dell'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato tiene conto anche del mancato raccolto. Tra il l2 e il 1 3 settembre 1901 si verifica di nuovo una piena del fiu­me Sacco e si deve prowedere ad opere di difesa dall'acqua, successivamente, si interverrà direttamente sull'alveo con una rettifica, in territorio di Gavignano. Infatti lo stesso comune aveva condiviso la necessità dei lavori con la delibera del 26 ottobre 1903, confermando come nel caso di pioggia 'eccessivà il Sacco provocasse effettivamente gravi danni al trasporto di persone e merci: risultava necessaria la deviazione del fiume in località Colle delle Torce, nel punto in cui presentava una curva con conseguente eliminazione dei due ponti preesistenti.

13. Per la documentazione dell'ampliamento effettuato nel l882 cfr. ASR, Prefettura di Roma, b. 757.

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M Temide Bergamaschi - Ferrovie a sud di Roma

Nel 1904, il Servizio mantenimento e lavori della Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, a seguito delle opere dovrà prowedere al collegamento delle sponde con una passerella in ferro, a seguito della protesta della cittadi­nanza che non poteva più raggiungere facilmente i terreni agricolP4•

Dal 1875 si susseguono numerose pratiche per l'autorizzazione a effettua­re rilievi per gli studi sul proseguimento della Roma-Frascati per i castelli ro­mani e raccordo con la stazione di Civita Lavinia. Sono presenti anche incar­tamenti riguardanti aspetti particolari di interesse dei comuni: Civita Lavinia chiede nel 1886 che la stazione che sta per essere attivata, prossima al suo cen­tro abitato, possa essere utilizzata anche dalla cittadinanza e non solo a scopi militari; invece la sua nuova stazione verrà inaugurata nel l900, in sostituzio­ne della precedente tra le stazioni di Cecchina e Velletri e con una nuova stra­da. di collegamento risultato di una convenzione tra il Municipio e la Società per le strade ferrate. Nel l888 era emersa anche l'ipotesi dell'impianto di una nuova stazione tra Anagni e Sgurgola in sostituzione delle due esistenti.

Tra le richieste che invece risultano di immediata soddisfazione con un co­sto assai contenuto a carico del Comune richiedente, c'è l'aggiunta del nome: la stazione di Segni prenderà la denominazione di Segni-Paliano e nel 1905 Supino aggiungerà il proprio alla stazione di Ferentino".

Una valutazione generale sullo stato delle comunicazioni nel Lazio agli ini­zi del 1900 emerge da un estratto delle deliberazioni della Deputazione pro­vinciale del 21 marzo, inviato al prefetto.

((La Provincia di Roma, che a nessuna dovrebbe essere seconda, travasi ancora in una condizione d'inferiorità colla sua rete stradale e specialmente tramviaria e ferroviaria. Mai venne studiato l'arduo problema e pur troppo la provincia nostra rimane nello stato di di­sagio economico e di crisi agricola permanente».

((Le ferrovie che attualmente percorrono il suolo di essa contano 763 chilometri ma queste in massima parte non risolvono in verun modo i traffici e gli scambi locali perché hanno l'obbiettivo diverso quello cioè di congiungere gli altri grandi centri come Napoli, Firenze, Genova, e perché a dette grandi linee non affluiscono le ferrovie dalle regioni in­terne, che si trovano per questo fatto in una sproporzionata condizione di trattamento».

Questa analisi porterà alla decisione di ritenere valida l'ipotesi di una con­cessione per una ferrovia che vada a coprire per ulteriori l 00 chilometri le lo­calità di 1 5 mandamenti diversi, collegandole con stazioni importanti esi­stenti16.

14. ASR, Preftttura di Roma, b. 4921 . 15. ASR, Prejéttura di Roma, bb. 736, 3690, 3694 e 4921 . 16. ASR, Preftttura di Roma, b . 3694.

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Foglio pm·sonale per Yiaggiare nella Via di Fer1•o

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l Tratteneudosi m qualunque luogo di l Stazione olh·c le ventiquattro ore dovrà munirsi della relativa cao·ta di soggiorno.

Il pre,ente è valido pm· sei mesi a datare da oggi ed a �eo·correre soltanto la sovraceennata Via do Ferro.

Dato in Roma ti/ ' r,(, /J� Il � n _ . P

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Tassa bajoechl lli<ci

7 aprile 1860. La Direzione generale di Polizia rilascia al conte Filippo .Antonelli il foglio

personale per viaggiare nella via di ferro da Roma a Civitavecchia e viceversa.

ASR, FamigliaAntonelli, b. lO

Angela Lanconelli

La linea Roma-Civitavecchia

La ferrovia da Roma a Civitavecchia era tra le linee che il governo pontificio considerava «di principale importanza>> sin dalla Notificazione del7 novembre 1846, con la quale si rendevano note le conclusioni della «Commissione consultiva delle strade ferrate» e si esponevano i criteri per la costruzione e la gestione delle prime ferrovie pontificie. I: utilità del collegamento con la città costiera era legata all'atti­vità del suo porto, centro di tm traffico commerciale che interessava i maggiori pae­si europei, ma anche importante scalo per i viaggiatori, interessato da Wl movimento regolare di navi a vapore che provenendo da Napoli o da Malta toccavano succes­sivamente i porti di Livorno, Genova e Marsiglia.

Una prima richiesta di concessione della linea venne avanzata immediatamen­te, nel 1847, dalla «Società generale di imprese industriali negli stati d'Italia>> con se­de in Firenze, ma il Ministero dei lavori pubblici preferl affidarle la realizzazione del­la Roma-Ceprano e per l'avvio dei lavori della Roma�Civitavecchia fu necessario aspettare ancora qualche anno. Nel frartempo venivano avviate altre opere, in par� ticolare, nell'ambito del progetto di costruzione della Strada firrata dell7talia Centrale, concordato nel l851 con un'apposita convenzione internazionale, fra i rap­presentati di diversi stati italiani (Santa Sede, Granducato di Toscana, Austria, Ducato di Modena e Ducato di Parma), veniva iniziata la costruzione del tratto lì-a Bologna e il Po. Perché si tornasse a prestare attenzione alla Roma-Civitavecchia bi­sognò attendere il 1856, quando il Ministero dei lavori pubblici emanò il decreto che affidava per 99 anni la costruzione e la gestione della linea alla «Società Casavaldès>>, una società spagnola che si aggiudicò anche la concessione per la linea Roma-Bologna-Ancona. li 16 agosto 1856 il Ministero approvava lo statuto della società che assumeva il nome di «Società generale delle strade ferrate romane da Roma a Bologna e da Roma a Civitavecchia, detta Pio-Centrale>> e nell'ottobre suc­cessivo a Porta Portese iniziavano i lavori della linea per Civitavecchia a cura del­l'impresario francese Debrousse, al quale era stata affidata la realizzazione dell' ope­ra. La maggior parte del materiale e delle attrezzature era di fabbricazione francese; la manodopera reclutata comprendeva circa 500 addetti.

Pio IX dimostrò il massimo interesse alla realizzazione della «Pio-Centrale>>: nel corso dell'anno 1857 si recò a visitare, dapprima, i cantieri della Roma-Bologna e successivamente, nell'ottobre, si recò a Civitavecchia dove potè vedere la stazione fer­roviaria in costruzione. I lavori procedettero a ritmo sostenuto: un documento ci­tato da Pietro Negri nel suo studio sulle ferrovie pontificie, testimonia che nel gen­naio 1859 gli operai addetti alla linea provocarono dei tumulti a Roma, preswni­bilmente per motivi salariali. In effetti l'impresario Debrousse aveva ricevuto la pro�

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

messa di un premio di un milione di franchi nel caso che avesse terminato l'opera entro due anni e mezzo e impose serrati ritmi di lavoro per concludere entro i tem­pi richiesti. La linea, infatti, fu collaudata in anticipo sui termini di consegna, il 25 marzo 1 859. Alle 6.30 un convoglio partl da Civitavecchia trasportando 240 per­sone, per la maggior parte pescatori; sostò per mezi ora alla stazione di Palo, per con­sentire il carico del pesce pescato durante la notte da offrire in omaggio al papa, ai cardinali e ai ministri, e giunse alla stazione di Porta Portese alle 9.30.

].;inaugurazione della linea e l'apertura al pubblico avvennero il 16 aprile con una cerimonia svoltasi contemporaneamente nelle stazioni di Porta Portese e di Civitavecchia; il prezzo del biglietto per la sola andata costava lire 9,80 in prima clas­se e 6.30 in seconda, una somma che, come osserva Negri, risultava in media più alta del 31% delle tariffe in vigore nelle ferrovie austriache, piemontesi, lombardo­verrete e francesi. La sua entrata in funzione rivoluzionò il sistema dei trasporti com­merciali e ridusse notevolmente il volume del traffico del porto di Ripagrande, tan­to che pochi giorni dopo l'apertura della linea i dieci capi facchini di Ripagrande chiesero l'autorizzazione a lavorare nella stazione di Porta Portese dal momento che «essendosi attivata la ferrovia da Roma a Civitavecchia, tutte le merci ed altro che prima venivano per mare» erano trasportate «con li vagoni della strada ferrata>>. Anche tra i viaggiatori ebbe un gran successo. Nel primo mese di attività (17 apri­le- 1 5 maggio) la linea trasportò 8 500 viaggiatori e l' archivio del Commissariato ge­nerale delle firrovie testimonia che in più d'una occasione l'amministratore delega­to della Società chiese al Commissariato l'autorizzazione ad organizzare corse straor­dinarie, per accogliere i numerosi viaggiatori che non erano riusciti a trovare posto sui convogli.

La stazione romana era stata costruita fuori Porta Portese, in modo da aggira­re il problema dell'attraversamento del Tevere, ma ben presto le crescenti esigenze del tcaffico ferroviario imposero l'accentramento a Termini delle diverse linee. Si de­cise pertanto di intervenire sulla Roma-Civitavecchia costruendo un nuovo tronco, aperto il 24 settembre 1863, che univa la linea alla stazione centrale provvisoria di Termini. La ferrovia attraversava il Tevere presso la basilica di S. Paolo mediante un ponte, interamente in ferro, progettato dall'ing. Barthelémy e realizzato in Inghilterra. Era il primo in Italia ad essere sostenuto da piloni costruiti con i siste­mi dell'aria compressa ed aveva la parte centrale apribile per un tratto di 13 metri, per fàr passare i battelli in transito sul Tevere; il meccanismo di sollevamento era azio­nato da un ingranaggio manovrato da otto uomini. Il ponte, che prese il nome di S. Paolo dalla vicina basilica, fu visitato da Pio IX il 22 ottobre 1863. Trasformato in ponte stradale nei primi anni del '900, dopo la costruzione del nuovo ponte fer­roviario parallelo, assunse la nuova denominazione di «Ponte dell'Industria>>. che con­serva ancora 1•

36

Antonella Parisi

La linea Roma-Orte

La ferrovia Roma-Orte fu inaugurata il 4 gennaio 1866. La distanza tra la ca­pitale e il piccolo centro era di soli 84 chilometri ma per coprirla ci vollero quasi vent'anni. Tanti ne passarono infatti tra l'annuncio del progetto, contenuto nella celebre Notificazione del 7 novembre 1846 (ASR, Prefettura generale di acque e stra­de, b. 73) e il suo compimento. Il tratto Roma-Orte costituiva solo un breve tas­sello di un piano piuttosto ambizioso: collegare Roma con città strategicamente im­portanti, quali Ancona e Bologna. Nel documento, che notificava le linee da co­struire in vii prioritaria nello Stato pOntificio, essa occupava il quarto posto, ve­nendo dopo la Roma-Ceprano, la Roma-Porto d'Anzio e la Roma-Civitavecchia. l.; idea di una via ferrata che collegasse Roma alla costa adriatica, non era tuttavia originale. In quella messe di articoli, memorie e discorsi dedicati alla questione fer­roviaria, fiorita tra gli anni '30 e gli anni '40 dell'Ottocento, essa appare come un motivo ricorrente. Monsignor Grassellini (futuro membro della Commissione con­sultiva creata da Pio IX per studiare il problema ferroviario), in un discorso tenu­to nel 1834 ai consiglieri provinciali di Ancona, cosi si era espresso:

«io vorrei ricreare voi e me medesimo della dolce illusione di una strada di ferro, che i due mari ed i due porti dello Stato pontificio ricongiungesse, e che questo porto oramai silenzioso ed addormentato risvegliasse)),

Le speranze del monsignore erano condivise dall'avvocato Raffaele Feoli che, in suo opuscolo (Sulle strade forrate nello Stato Pontificio, Ancona 1 846), la­mentava la debolezza delle vie di comunicazione del territorio italiano, ostaco­lo al fiorire dell'industria e dei commerci. In particolare egli auspicava la rea­lizzazione di una linea Civitavecchia-Roma-Ancona, che unisse il Tirreno all'Adriatico, l'Occidente all'Oriente. Su tale strada ferrata avrebbero potuto viaggiare non solo le merci nostrane, ma anche i prodotti di Francia e Inghilterra diretti ai Balcani.

Ma l'attuazione della linea era di là da venire. Trascorsero quasi dieci anni tra la Notificazione del progetto e l'assegnazione dei lavori ad un'impresa. Il 2 1 maggio 1 856 il Ministero del commercio e dei lavori pubblici concesse alla «Società Casavaldès e Compagni�� la facoltà di costruire ed esercitare «a tutte sue spese, rischio e pericolm>, per 95 anni, la linea Roma-Ancona-Bologna. Il per­corso, nel Decreto di concessione del Ministero (ASR, Bandi, b. 269), veniva cosi delineato:

«La Strada ferrata moverà da un punto sulla riva destra del Tevere, vicino alla porta

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Le ferrovie al tempo dei papi (1846-r87o)

Angelica; toccherà Orte, Terni, passerà il Colle di Cerro; toccherà Foligno, varcherà l'Appennino al colle di Fossato, si avvicinerà a Fabriano e si congiungerà seguendo la val­le dell'Esino alla linea da Ancona a Bologna)).

La <<Casavaldès>>, una società spagnola, in seguito assunse il nome di «Società generale delle strade ferrate romane», con domicilio legale a Roma e sede amministrativa a Parigi. Essa ottenne in concessione anche la costruzione della ferrovia Roma-Civitavecchia, che, insieme alla Roma-Ancona-Bologna, fu univocamente denominata linea Pio-centrale.

Seppure papa Pio IX dimostrasse un certo interesse per tale progetto - nel suo viaggio del 1857, alla fine di maggio, visitò i lavori in corso in località Case Bruciate, presso lesi, impartendo la ben�dizione a duecento operai - esso stentò a decollare. Motivi finanziari e speculativi ne rallentarono il passo. Poi, i noti eventi del 1860, ne mutarono il senso. La perdita delle Romagne, dell'Umbria e delle Marche, ridusse lo Stato pontificio ad un'area pari all'odierno Lazio, pri­vo di parte della Sabina. Entro questi confini fu racchiuso il campo d'azione del­le imprese ferroviarie pontificie. Capolinea obbligato della Pio-centrale diven­ne quindi Orte, città di frontiera: il resto della linea correva nel nascente Regno d'Italia.

I lavori, pur tra le difficoltà, proseguirono. Si realizzarono i piani di esecu­zione, si procedette alle espropriazioni. Furono compiute impegnative opere d'ingegneria: tunnel, interventi di rafforzamento delle sponde del Tevere, che la ferrovia sfiorava pericolosamente; ponti, anche d'ampio respiro, come quel­li gettati sul Tevere a Collerosetta (Stimigliano) e a Orte, presso la confluenza del fiume Nera. La linea disegnava il seguente tracciato: lasciata Roma ai co­siddetti Tre archi (il varco aperto da Pio IX nella cinta urbana, tra Porta Maggiore e Porta San Lorenzo, per consentire il passaggio ai treni in partenza dalla nuova stazione di Termini), superava la via Tiburtina, la Nomentana e il fiume Aniene, quindi proseguiva verso nord, costeggiando la via Salaria fino a Passo Corese. Da qui sconfinava nel Regno per ventinove chilometri, rientran­do nello Stato pontificio a Collerosetta. Venti chilometri più tardi, raggiunto il territorio di Orte, lasciava definitivamente lo Stato della Chiesa, volgendosi ver­so Terni.

In due anni, tra il 1864 e il 1 866, la società costruttrice raggiunse impor­tanti traguardi. Il 28 aprile 1864 entrò in funzione il tronco da Roma a Monterotondo, il 1 ° aprile 1865 quello da Roma a Corese. Per l'inaugurazio­ne dell'intera sezione Roma-Orte si dovette attendere il 4 gennaio 1866, quan­do fu dato il via anche al tratto Orte-Foligno. La notizia dell'apertura della fer­rovia ebbe scarso risalto sui giornali romani. La «Gazzetta dell'Umbria» (9 gen­naio 1866) invece cosl fermò l'evento:

«Si è aperto il tronco di ferrovia da Roma a Foligno; vi hanno I l stazioni inter­medie, il tempo che si impiega è di circa I l ore. La velocità non è molto grande, poi­ché si vengono a percorrere 15 chilometri per ora. I prezzi sono di lire 19, 75 per la pri-

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Antonella Parisi - La linea Roma-Orte

ma classe, 14,60 per la seconda e 9,75 per la terza. Non vi ha che una sola corsa diretta per giorno>>.

Il viaggio da Roma ad Orte durava circa tre ore, con tappe nelle stazioni di Monterotondo, Corese, Montorso, Stimigliano, Borghetto e Gallese. Orte era una stazione di frontiera. Aveva un ufficio di dogana, una guarnigione di gen­darmi ed un ufficio postale, il più importante per lo scambio di corrisponden­za tra il Regno d'Italia e lo Stato pontificio. I: edificio della stazione (portato a termine nel gennaio 1867) si sviluppava su due piani. Al piano terreno vi era­no le biglietterie, due sale d'attesa (una di prima e di seconda classe, l'altra di terza), lo smistamento bagagli, gli uffici per il capo stazione, il personale delle Poste e il commissario, il deposito lampioni. Il piano superiore era rise�vato agli alloggi del personale (ASR, Commissariato generale delle fèrrovie, b. 20, fase. 25 5).

Il 29 aprile 1866, oltre confine, fu completato il tratto Falconara Marittima­Aibacina-Foligno. Con l'aggiunta di questa sezione poteva dirsi conclusa l'av­ventura della Pio-centrale, la cui costruzione era intanto proseguita nei territo­ri italiani (dal 17 novembre 1861 era già in funzione la Rimini-Falconara­Ancona). Orte divenne dunque una tappa obbligata del collegamento Roma­Bologna. In seguito fu luogo di transito anche dei convogli in viaggio sulla Roma-Firenze (prima via Foligno-Perugia, poi, dal 1874, anche via Orvieto). Quindi, fin dalle origini, la stazione di Orte mostrò quella vocazione che tut­tora mantiene: essere un punto nodale della rete ferroviaria italiana1•

1. G. NASETTI, Orte: stazione di prima classe: 150 anni di vicende forroviarie, 1846-1996, Orte, Dopolavoro ferroviario, 1996; Le forrovie nello Stato Pontificio {1844-1870), a cura di P, Negri, Roma 1967 (Archivio Economico dell'unificazione italiana, serie l, XVI, fase. 2); A. ZUPPANTE, G. NA­SEITI, Orte-Roma, dal Tevere alla strada forrata, Roma 1994, pp. 367-384 (Lunario Romano, 23).

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T reno di Pio IX : terza vettura. Museo di Roma, AF n. XA 2051

Treno di Pio IX: interno della terza vettura, veduta delia volta della cappella.

Museo di Roma, AF n.XA 3201

l l '

Emiliana Ricci

Il treno di Pio IX

Il treno di Pio IX, conservato al piano terreno di Palazzo Braschi, è un ci­melio storico di indiscutibile valore tecnologico e artistico; è composto da tre vetture donate a papa Mastai Ferretti per i suoi viaggi sulle linee ferroviarie del­lo Stato pontificio. Il treno ceduto dallo Stato al Comune di Roma nel 19301, venne esposto nel 1 932, in occasione della mostra dell'Ottocento Romano2, nel­la prima sede del Museo di Roma in via dei Cerchi, presso il palazzo dell'ex pa­stificio Pantanella, dove rimase esposto fino al 1 95 1 , anno in cui fu poi trasfe­rito a Palazzo Braschi, nuova sede del Museo di Roma. Il 2 agosto 1 9 5 1 il con­voglio fu trasportato attraverso le vie della città, suscitando stupore e curiosità fra i Romani, su un carrello ferroviario fornito dalle Ferrovie dello Stato, a ot­to ruote e lungo dieci metri, capace di sostenere un peso di 3000 tonnellate; ar­rivato a destinazione, fu collocato negli attuali ambienti tramite uno squarcio praticato sulla facciata del palazzo che prospetta su piazza Navona e di cui si con­serva la documentazione fotografica presso l'archivio del museo.

La lunghezza complessiva del treno di Pio IX, formato dalle tre carrozze di rappresentanza, è di circa 30 metri mentre la larghezza, considerando i massi­mi aggetti, è di circa 3,50. I primi due vagoni, a due assi, progettati in modo da viaggiare sempre accoppiati, vennero costruiti a Parigi nel 1858 dalla ditta Delettrez su incarico della compagnia francese cbe gestiva la linea Roma­Civitavecchia, detta Pio-centrale, inaugurata il 24 aprile 1 859. Pio IX compl il viaggio inaugurale su questa carrozza il pomeriggio del 3 luglio del 1859, do­po essersi complimentato con la società francese donatrice della preziosa ope­ra; parti dalla stazione di Porta Maggiore e percorse il tratto della ferrovia rea­lizzato per Ceprano fino a Cecchina, nei pressi di Albano3. La vettura princi­pale chiamata <<balconata» o «giardiniera» veniva usata come loggia per impar­tire le benedizioni papali; è un vagone a terrazzo balaustrata da entrambi i lati con colonnine tortili dorate e decorato nella parte superiore da un elegante fre­gio e da una cornice di foglie di quercia e di alloro, sormontati da girali di fio-

l. Dal verbale delle deliberazioni del governatore adottate il 3 maggio 1930 risulta che a se­guito della gara delle Imprese di Trasporto l'incarico di trasportare il treno di Pio IX da Castel Sant'Angelo, dove il Ministero lo teneva in deposito, nei nuovi locali del Museo di Roma in via dei Cerchi venne affidato al commendatore Vincenzo Taburet per il prezzo complessivo di lire 9.000 (estratto n. 3326 - Governatorato di Roma - Rip. X - A.B.A. 12 maggio 1930, n. 1750).

2. Cfr. <<Roma nell'Ottocentm>, catalogo della mostra, Roma, Istituto di Studi Romani, 1932, pp. 217-218.

3. Cfr. «Giornale di Roma)) del 24 luglio 1859.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

ri in rame cesellato con al centro le armi pontificie. Linterno è ricco di dora­

ture e velluti e la volta è decorata da un finto velario dipinto cosparso di stelle.

La seconda vettura, collegata alla prima da un <ponte di congiungimento»,

piccola piattaforma di raccordo con ringhiere e cancelletti in f�rro battuto fi­

nemente lavorati, è costituita da una sala del trono e da un prccolo apparta­

mento annesso destinato ad uso privato del pontefice (vestibolo, camera da let­

to e camerino da bagno in «acajù») .Vi si accede da una porta a due battenti or­

nata da cristalli a tortiglioni. All'interno spiccano i colori papali bianco e giallo

dorato: le pareti e le stoffe delle tappezzer�e dei grandi canapè,, del t�ono e del­

le tende hanno lo splendore dell'oro e dell argento e rendono l ambrente. a�co­

ra più prezioso. Il trono è sormontato dalle armi d�l papa, me�tr� le cormo do­

rate dei canapè recano le insegne della chie�a, la nara � l� chrav1. l!na d�cora­

zione in rame dorato e cesellato inquadra gh scomparti e 1 contorni degh spec­

chi. I fregi esterni del vagone sono costituiti da foglie di quercia e di alloro e so-

no del tutto simili a quelli del vagone a terrazzo4• , , • .

La terza carrozza detta «Cappella», collocata nell androne �e�l annco mwes­

so di Palazzo Braschi su piazza Navona, è la più sontuosa e. an.ncrpa la cr�azr�n�

dei più moderni tipi di macchinari rot�bili, in. quanto cosmmsce uno d�1 pnmr

esempi di vettura poggiata su due carrelli snodan a perr:o, a q�attro r.uote �rascuno: Venne donata a Pio IX dalla società francese che gesnva la lmea Pw-latma, per l

viaggi sulla linea Roma-Frascati, inaugurata il ? luglio 1 85�. La sua co�truz�o�e

è opera della Compagnie Générale de Matériéls des Chemu:-s de .F�r dr Pangr e

venne eseguita nello stabilimento di Clichy. Il costo complessivo di mca 14?.000 franchi, compreso il trasporto che durò un me�e, ,fu molto e�evato per quel tem­

pi. Il tragitto avvenne per via d'acqua dal Qual .d ?rsa� � Ripa Grande, se�uen­

do i canali, la Saona, il Rodano fino a Marsrgha; di h, per mare, raggmnse

Civitavecchia e infine, per via fluviale, il Porto di Ripa grande a �orna. , . Il progetto e la direzione della rcalizzazi�ne de�l� carr�zza. s1 deve .a �mrle

Trélat, professore dell'Imperiale Conservarono pangmo dr �rt� e �esn;:r;, che

affidò l'incarico della decorazione pittorica della Cappella al prtton Gerome e

Cambon. Géròme5 dipinse su tela le scene che vennero applicate sulle vele del­

la volta, i quattro piccoli tondi raffiguranti gli evangelisti e di cui ne rimane so-

4. «L'Album» giornale letterario e di belle arti, R�ma, del 27 �ovel_Ilbre_ 1_858, "XXV: P�· 328-

329, riporta un articolo pubblicato i\ 3 novembre sul gwrnale «Patne» d1 Pang1 che descnve m mo-

do dettagliato le due carrozze di rappresentanza. · . 5. Jean Léon Gérome (Vesou\ 1 824-Parigi 1904) fu un contempor�neo d1 �our�et; entram-

bi divennero famosi per i loro successi nei Salons verso la _fine della pnma n;e;a del! Ott�cent�.

Courbet continuò a presentare enormi e controverse tele al. Salons, ment�e ?e�ome. a_ccett� I: p m

disparate committenze da agenzie pubbliche e private fra cu1 lo Stato, la citta d1 �ang1, l� �ma na­

tale di Vesoul, e una compagnia ferroviaria italiana. Quest'ultima aveva un ufficio. a �ang1 e _pr�­

babilmente per questo motivo la commissione per la decorazione del vagone ferroviariO fu ag�mdl­

cata a Gérome e ad altri artisti e artigiani francesi. Cfr. G. M. ACKERMAN, Three Drawmgs by

Géi-!Jme in the Yale Collection, in <Naie University Art Gallery Bulletin>>, 1976, pp. 8-1 1 .

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T Emiliana Ricci- Il treno di Pio IX

lo uno, applicati sulla volta di minori dimensioni del cosiddetto oratorio, i due tondi con le immagini dipinte su rame della Vergine col Bambino e del Buon Pastore di stile purista6, appesi alle pareti in broccato rosso dello stesso, e infine i m�daglio�i con le immagini . dei dodici apostoli sull'attico esterno, oggi an­clan perdun7• Nelle vele laterali sono raffigurate le benedizioni di una ferrovia e di un porto impartite da Pio IX. Il pontefice appare nell'atto di benedire i mo­derni mezzi di trasporto, la nave a vapore e la locomotiva a vapore, circondato da un seguito di prelati e guardie svizzere. La scena, sopra la porta di entrata, r�ppresenta una sacra allegoria: la Religione in trono fra San Pietro e San Paolo, dr f�onte la vela c�n al centro Dio sostenuto da nuvole e panneggi fluttuanti sor­retti da due puttl. Ackerman (1 976, pp. 8-9) riferisce nel suo articolo che fra i �isegni di Géròme conservati presso l'Art Gallery della Yale University il più an­neo, raffigurante Dio Padre in atteggiamento pensoso sostenuto da nuvole ri­g�r:fie, ben rifinito e delineato nella sua struttura, è il bozzetto preparatorio del drpmto con lo stesso soggetto sulla volta della Cappella, da cui si differenzia sol­tanto per la diversa resa delle nuvole, appena abbozzate. Inoltre, attribuisce al­lo stesso artista i dipinti sui 'due tondi in rame: le immagini della Madonna e del Buon Pastore, spogliate dal loro carattere terreno, vengono esaltate dal deli­cato cromatismo e dalla resa formale che emergono dal fondo dorato. La raffi­natezza delle mani, i volti levigati e il modellato delle vesti sono mutuati dalla pittura italiana primitiva e dai modi pittorici dei Nazareni.

. Al pittore de�orator� Cambon possono essere attribuiti i fregi con gli stem­mi che ornano gh angoh e la base della volta. I lavori di ebanisteria e di tap­pezzeria furono realizzati da artigiani di fama.

I.: elaborata decorazione esterna è costituita da un rivestimento in rame ar­gentato e dorato a galvanoplastica, eseguito da Christofle.S e da rilievi e scultu­re raffiguranti tre angeli per parte che simboleggiano le tre virtù teologali (Fede,

6. Madonna col Bambino, olio su rame, 0 cm.79, MR 460 a; Il Buon Pastore, olio su rame, 0 cm.79, inv. MR 460 b; i dipinti su fondo dorato erano stati attribuiti erroneamente in passato al pittore Labernadie.

. 7. Due fot�grafie eseguite da Gustave Le Gray, conservate presso il Victoria & Albert Museum d1 Londra, che nproduco�o.nella sua integr!tà originale la vettura << Cappella" a Parigi, prima della partenza per Roma, cosutmscono una prezwsa documentazione. Sull'attico esterno sono visibili i dod,ici

_medag�ioni con i volti degli apostoli, sei per parte, oggi perduri. Le fotografie sono riprodotte

nell articolo d1 P. BECCHETTI, Due nuovi documenti fotografici sul treno di Pio IX, in <<Bollettino dei Musei Comunali di Roma>>, XXIII (1976), n. 1 -4, pp. 62-66, fìgg. l , 2.

. 8. Nel l969 ebbe luogo a Palazzo Braschi da\ 14 a\ 28 gennaio la mostra «2000 anni di argen­terta francese», curata dal Museo Christofle di Parigi e organizzata dal Comune di Roma e dall'�basci

_ata di Fr�cia. In �uell'occasione, accanto ad una selezione di celebri esemplari di ar­

gen�l fr�nces1 prodo�n m centocmquanta anni di attività della prestigiosa casa Christof!e, venne po­sta l� nsalto, quale 1de�e completamento dell'esposizione, la vettura Cappella, decorata da C.H. C�ns�ofle, collocata,_

al_p�a�o t�rreno del palazzo, che suscitò un gran interesse fra il numeroso pub­

blico Intervenuto. L mlZlatlva e armoverata nel resoconto annuale delle attività del Museo di Roma, alla voce Mostre cfr. <<Bollettino dei Musei Comunali di Roma», XVI, (1969), n. 1-4, pp. 49-50.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

Speranza e Carità) con gli attribu�i che le contr�ddi�tinguono (la pali_Ua, il �a­lice, la croce e il Vangelo) di Godm e quattro gnfom che decorano gh angoh.

All'esterno della vettura si leggono alcune iscrizioni: al di sopra della por­ta di accesso le parole di Gesù «ITE PER MUNDUM UNIVERSUM» .e sulla fiancata sinistra, al centro sotto le armi dorate del pontefice, alcune fras1 tratte dal Nuovo Testamento «OMNIS VALLIS IMPLEBITUR/ ET OMNIS MONS ET COLLISI HUMILIABITUR» e su quella di destra «ERUNT PRA­VA IN DIRECTN ET ASPERA IN VIAS/ PLANAS».

Le tre carrozze venivano usate soltanto in occasioni speciali. Il pontefice, prima di riceverle in dono, aveva già effettuato viaggi in treno. I� primo, r�s�­lente all'esilio napoletano, avvenne 1'8 ottobre 1 849, lungo la lmea PortiCi­Pagani, su un convoglio trainato dalla storica locomotiva Bayard, dal nome del primo ingegnere direttore di q�el tronco .�i s:ra�� ferrata, �mando B�ya�d. Al suo rientro dall'esilio a Roma 1l papa uuhzzo p m volte le lmee ferrov1ane per raggiungere la villa di Castel Gandolfo e i. dintor�i di �orna. . 9 Al Museo di Roma è conservata una p1astra dt rame m galvanoplastica , che potrebbe ascriversi a quegli anni, con lo stemrr:� di��nto del papa. sormontato dalla tiara e dalle chiavi e sorretto da due angeh m nhevo, che vemva usata per decorare la parte frontale della locomotiva dei treni sui quali viaggiav� Pio IX. Nel retro vi sono due supporti per lato in cui venivano ap�oste le band1ere �on­tificie.Varie fotografie del tempo attestano che la stessa p1astra venne applicata più volte frontalmente anche al convoglio in esame.

. . . Dopo il 1 870 le tre carrozz� del tren? papale, . trasfent� dalle .officme d1 Civitavecchia a Roma, vennero ncoverate m una «rtmessa de vagonz per uso del Pontefice» a Termini10, dove rimasero per lungo tem�o e anda�ono s�ggette a lento deperimento. Durante quel periodo subirono van d�neggtament� e sco�­parvero, oltre al mobilio interno, una parte della prezwsa decorazwne e 1l Triregno posto sulla sommità dei tetti di c�pertura. . . . Alceste Trionfi in una lettera aperta al direttore sulla nv1sta «Roma», n porta in tono polemico eh�, � m?mento ��l pas�aggio �i tu�te .1� ferrovie allo �tato� la Direzione dell'Adnauca mterpello 1l Vaucano e1rca 1l nuro e la custodia de1 tre vagoni, mediante pagamento di lire 1 5 .000 per le spese di magazzinaggio dal 1 870 in poi, ma non ricevette alcuna risposta 1 1 •

9 . La lastra in rame su supporto !igneo (inv. M R 461) misura cm.176 x 84. L'accurata pulitura eseguita dal restauratore del Museo di Roma, sig: �io�enzo Perfet�i, in occasio�e de�a m?stra «La Maravigliosa Invenzione» ha reso nuovamente leggibile

_! ope�a, eh� ns�tava annenta e Isp�slta �� de­

positi di fuliggine prodoua dalle locomotive a :apore dei trem s� _cm vemv� apposta. So�� n emersi !. co­

lori delle vesti degli angeli di elegante e armomosa fattura e addirmura le pmm� del!� al1, il �anto. di er­mellino con le sfumature che riescono a suggerirne la morbidezza, le frange e 1 raggi dorau che cucon­dano gli emblemi. Il calore ha cono il pigmento pittorico su eu� è evidente una diffusa craquelure.

10. La notizia è tratta dalla Pianta del Censo del 1 866 citata al n.7 cfr. L. JANNATIONI, Il treno in Italia, Roma, Editalia, 1980, p. 28.

1 1 . Cfr. A. TRIONFI, Il treno di Pio IX a Castel Sant'angelo, in «Roma>>, Rassegna illustrata dell'Esposizione del 191 1 , n, n.9, 15 maggio 19 1 1 , pp. 20-21 .

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ì

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Emiliana Ricci- Il treno di Pio IX

Restaurate nel 1 9 1012 presso le officine di Lucca e di Firenze a cura dell'Amministrazionè delle Ferrovie italiane dello Stato fecero la loro prima ap­parizione come cimelio storico nella mostra del 19 1 1 a Castel Sant'Angelo13, in occasione delle esposizioni retrospettive organizzate per celebrare il cinquante­nario del Regno d'Italia, dove rimasero «in temporaneo deposito» fino al loro tra­sferimento, nel 1 930, presso la prima sede del Museo di Roma in via dei Cerchi.

12 . Un intervento di ripristino e restauro delle tappezzerie degli arredi, delle tende e delle gl!i­de dei pavimenti all'interno dei vagoni del treno, promosso dali� direzione del museo, venne effet­tuato nel 1979 a cura dalla Ditta Succ. Filippo Haas e Figli; per la notizia del restauro cfr. Elenco delle attività del Museo di Roma alla voce in «Bollettino dei Musei Comunali di Roma», XXIII (1976), n. 1-4, p. 75 13. Cfr. Guida generale delle Mostre Retrospettive di Castel Sant'Angelo del 1911, Bergamo, Istituto Italiano di arti grafiche, 1 9 1 1 , p. 23. Per il treno di Pio IX, oltre le opere citate si vedano:

GOVERNO PONTIFICIO, Ragguaglio delle cose operate dal Ministero del Commercio, Belle Arti, Industria, Agricoltura e Lavori Pubblici dall'anno 1854 al 1864, Roma, Tipografia della Reverenda Camera Apostolica, 1 864, Tav. I. DE CESARE R., Roma e lo stato de/papa- Dalritorno di Pio iXa!XXsettembre, Vol. I (1850/1870), Roma, Forzani Tipografi-Editori, 1 907, XI, pp. 187-193. Catalogo della mostra delle Ferrovie dello Stato, Torino 1 9 1 1 , p. 167. Guide officiel des expositions de Rome, Internationale de Beaux-arts Regionale et Ethnographique Archéologique d'Art rétrospectif de l'unité nationale du cinquantenaire, Roma 1 9 1 1, pp. 209-210. MUNOZ A., !!Museo di Roma, Governatorato di Roma, XXI Aprile MCMXXX-VIII, pp. 63, 64, 66, 69, tavv. CV, CVI, CVII. JANNATIONI L., Dalla Bayard all'ETR 300 - Sommario storico delle ftrrovie italiane, Roma, Quaderni delle Ferrovie Italiane dello Stato, N. 5, 1953. JANNA TIONI L., Cimeli ftrroviari alla mostra della fotografia a Roma 1840-1915, in «Ingegneria ferroviaria», Roma, 1954, N. 1 1 , pp. 875-894. JANNATIONI L., Il Museo ftrroviario a Roma Termini, Roma, Ferrovie Italiane dello Stato 1959, pp. 33-36. NEGRI P., Le ftrrovie nello stato pontificio (1844-1870), in «Archivio Economico dell'unificazione italiana», 1967, serie I vol. X, pp. 1 6-21 . PIETRANGELI C., !!Museo di Roma, Documenti e iconografia, Bologna, Cappelli 1971, pp. 195-197. «Mostra fotografica di Enrico Valenziani» Catalogo, Roma 1 975, Firenze 1 975 n. 28. MARGIOTIA A., MASSAFRA M. G., Un percorso fotografico a Palazzo Braschi- Museo di Roma (Le collezioni - La documentazione) 1 870-1987, Roma, Gangemi 2002, pp. 56, 57, tavv. 38-48. .

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Treno di Pio IX: vagone detto la balconata, costruito dalla ditta Delettrez et Compagnie di Parigi nel 1 858.

1 857. Medaglia annuale del pontificato di Pio IX. Roma, Medagliere Capitolino

Maria Elisa Tittoni

Una medaglia celebra il treno

I.:importanza della realizzazione della prima linea ferroviaria dello Stato pontificio, la Roma-Frascati inaugurata il 7 luglio 1 856, venne riconosciuta con la decisione di dedicare alla celebrazione dell'avvenimento la medaglia annua­le del pontificato. Con questa medaglia, emessa tradizionalmente per la festa dei Santi Pietro e Paolo il 29 giugno fin dalla metà del XVI secolo, i pontefici in­tendevano esaltare l'evento più significativo del trascorso anno pontificale.

La consuetudine voleva che il papa, una volta scelto l'avvenimento, affidasse ad uno studioso l'individuazione del soggetto più idoneo ad illustrarlo nonché la stesura di una accurata descrizione e della relativa leggenda. Il soggetto, ac­cettato dal pontefice, veniva trasmesso al direttore della Zecca che affidava al­l'incisore l'esecuzione del disegno, che a sua volta veniva sottoposto all'appro­vazione del pontefice da parte del tesoriere generale, e finalmente si procedeva all'incisione del conio.

Pio IX, al contrario del suo predecessore Gregorio XVI, aveva compreso la necessità di sviluppare una rete ferroviaria e già nel luglio del 1846 ne aveva in­fatti affidato lo studio e la progettazione ad una commissione tecnica. Tuttavia solo dieci anni dopo, nel 1 856, si riusd ad inaugurare il primo tronco ferroviario della Pio-latina, realizzato dall'impresa York, che collegava Roma dalla stazio­ne di Porta Maggiore a Frascati.

La cerimonia inaugurale fu improntata a grande solennità come si evince dalla particolareggiata descrizione contenuta nel volume celebrativo del ponti­ficato Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX:

«? luglio 1856 all'ora una e mezzo pom., Monsig. Palermo Vescovo di Porfirio, alla stazione temporanea di Porta Maggiore, che è la prima che siasi eretta in Roma, in mezzo al raccoglimento di grande moltitudine di astanti tratti in parte dalla curiosità, in parte ap­positamente invitati alla solennità della inaugurazione, recitate le apposite preci, asperse coll'acqua santa la strada e benedisse quindi fra le salmodie de' cantori le Locomotive mes­se a festa. Alle due e mezzo, datosi il segnale della partenza, il convoglio, in che erano as­sisi i quattro cardinali Cagiano Vescovo di Frascati, Altieri, Antonelli� Roberti, i Ministri di S. Santità, Monsig. Maggiordomo, e Monsignor Maestro di Camera, e moltissimi altri invitati del Sig. Oliviero York, intraprendente generale dei lavori di quel tronco, lasciava la stazione tra gli applausi di una gran folla di popolo, ed in poco più di 30 minuti per­correva il tratto da Roma a Frascati, ove l'intero Municipio Tuscolano, accompagnato da gran parte de' suoi concittadini, e da molta gente discesa da' circostanti paesi ne salutava con festa, e giubilo l'auspicato arrivo».

La realizzazione di questa prima linea ferroviaria fu quindi logicamente va-

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Le ferrovie al tempo dei papi (1846-r870)

lutata da Pio IX, come l'evento del suo dodicesimo anno di pontificato da com­memorare nella medaglia annuale, d'altro canto il pontefice

«sollecito non meno del materiale che del morale ben essere delle popolazioni al suo regno affidate poté ravvisare nelle ferrovie un mezzo validissimo a stringere maggiormen­te in una la famiglia dé suoi cari figlioli . . . ».

Il compito di eseguire la medaglia venne affidato a Pietro Girometti (Roma1 8 1 1 - 1859), che nella sua qualità di incisore camerale realizzò a parti­re dal 1 854 al 1859 le medaglie annuali del pontificato di Pio IX. La stessa ca­rica era stata ricoperta dal padre Giuseppe di cui era stato allievo e continuato­re nella produzione di intagli, cammei in pietre dure e medaglie raggiungendo un ruolo di primo piano anche per le numerose committenze ufficiali di Gregorio XVI prima e di Pio IX poi.

A lui si deve inoltre la serie di medaglie degli uomini illustri da coniarsi quattro per anno secondo quanto previsto dal contratto stipulato nel 1 841 con Nicola Cerbara. Direttore generale della Zecca durante la Repubblica romana, Girometti fu destituito al rientro a Roma di Pio IX, ma ben presto fu reinte­grato nell'incarico riconquistando il favore papale grazie alla sua decisione di sal­vare dalla distruzione molti arredi sacri della basilica vaticana. In segno di gra­titudine l'artista nel 1 854 offrì al pontefice la medaglia commemorativa della fondazione del Collegio eucaristico per il perfezionamento degli studi teologi­ci dei chierici delle diocesi dello Stato pontificio.

In questa medaglia Girometti nel dritto, come di consueto, effigia il pon­tefice regnante; il busto di Pio IX è volto verso destra con zucchetto, mozzetta e stola e la legenda reca l'iscrizione PIUS IX. PONT. MAX. l P.G.F.; nel rove­scio egli invece ideò una composizione allegorica: una figura alata dalla ricca ve­ste panneggiata con in mano il caduceo simbolo mercuriale di ingegno e ope­rosità è assisa su una locomotiva finemente lavorata da cui si innalza uno vistoso sbuffo di vapore ad indicare la ormai avvenuta messa in esercizio della linea fer­roviaria, a sinistra la basilica di San Pietro. La legenda reca come iscrizione PRO­VIDENTIA P. M. FERREA VIA ROMAM PROVINCIIS }UNGI CURAVIT nell'esergo AN. MDCCCLVI/ P. GIROMETTI F.

Della medaglia esiste un modello in cera privo della basilica di San Pietro che presenta diversi gradi di finitura, molto sommari nella locomotiva e accu­ratamente dettagliati nella figura alata.

Anche il Municipio di Frascati aveva voluto celebrare, nel giugno 1 856, l'av­venimento richiedendo alla Zecca di far eseguire un conio per il rovescio di una medaglia dall'incisore «a soldo fisso Bonfiglio Zaccagnini da accoppiarsi al drit­to ufficiale dello Stato».

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., .

Maria Idria Gurgo

Le cerimonie

Le !n�ugurazioni delle linee ferroviarie si svolsero secondo un cerimoniale mol�o stmde, c.he pre�edeva una .solenne funzione religiosa, alla quale facevano segmto festeggt�m�ntt, banc�ettt, concerti e spettacoli pirotecnici. Inoltre, per c��m�morare d giOr

.no dell maugurazione, era prassi che le magistrature mu­mCipah fac�ssero. comar� �n.a medaglia rappresentante da una parte l'effigie del Papa e dall altra tmmagtm stmboliche della ferrovia.

Data storica �ell'.ap:r�ura ufficiale della Roma-Frascati, prima linea delle strade ferrar� �onttficte, e tl 7 luglio 1 856. Alla cerimonia di inaugurazione fu­ro?� p�esentt l� ve�covo di Frascati, cardinali, il presidente di Roma e Comarca, mtmstn, prelati, dt�lo�atici, la magistratura romana, nobili, ufficiali delle trup­pe francese e ponttficta e tanti altri invitati dall'intraprendente generale della strad� ferrata. Giov�nni Oliviero York. Nella stazione di Porta Maggiore ven­nero tnnalzatt palcht per le �ers�nal.ità �d eretto un altare a forma di cappella. Il ves�ovo Pale�mo, benedtsse 1 bman e le locomotive accompagnato dal B�nedzctus Dommus D�us Isra�l c�nt�to dagli alunni dell'Ospizio San Michele pnma,� dalla band� det pompten pm. La cerimonia religiosa terminò col can­to ?ell mno ambrostano eseguito dagli stessi alunni del San Michele e con un'ul­tenore solenne. benedizione. Da fuori Porta Maggiore una locomotiva Sharp Steward

.costrmta.a Manchester trainò un convoglio composto di sei vagoni fer­�and�st alla staziOne di Frascati, che sorgeva a 3 km dal centro cittadino. Per l occasiOne venne organizzato nel giardino della villa del duca Torlonia un ric­co ?anchetto, acc_ompagna�o �alla b�nda municipale, che cantò un inno al Papa scntto ?al canomco Se�asttam. In ncordo di questa giornata il gonfaloniere di F�as�att fece anche comare una medaglia, che da una parte recava l'immagine dt P10 IX e dall'altra l'iscrizione:

. Non. fu�. An. Chr. MDCC CL VI l Pio IX P.M auctore l Inditione pontificia l Ferreae vzae commodztas l Roma Tusculum l S.P. Q T. -

, Al t�rmi�e dei �esteggiamenti il segretario di Stàto a nome del Papa decorò de!l ?rdt?e ptano ?t 2o classe il signor York, l'ingegnere Harlingue, l'agente am­n:mtstrattvo De V!try e conferl una medaglia d'oro agli ingegneri delle sezioni dt Roma e Frascati Altobelli e Friederich .

. . Nell'ot�obre d�l 1 856 vennero inaugurati i lavori della linea Roma­��:uaveccht�, la cm apertura al traffico avverrà il 16 aprile 1 859. La cerimonia dt mauguraztone dei lavori si svolse nelle vicinanze della chiesa di Santa Passera sul Tevere, dove furono innalzati due padiglioni con stemmi e bandiere ponti-

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l ,,

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Le ferrovie al tempo dei papi (1846-1870)

ficie, uno dei quali destinato ad altare. All'arrivo di monsignor Milesi, ministro

del Commercio e dei Lavori pubblici, ebbe inizio, col canto del salmo Benedictus

intonato dai giovani dell'Ospizio San Michele, la cerimonia religiosa officiata

da monsignor Tizzani, che pronunciò un discorso nel quale mostrò come la fer­

rovia rappresentasse una grande speranza di miglioramento anche spirituale per

i credenti che avrebbero certamente tratto vantaggio dal poter raggiungere più

facilmente il centro della cristianità e, cioè, le tombe degli apostoli Pietro e Paolo.

La cerimonia, alla quale parteciparono cardinali, ministri, monsignor delegato

di Civitavecchia, prelati, diplomatici, ufficiali della guarnigione francese e pon­

tificia, ebbe termine con il canto dell'Ave Maris Stella e con la solenne benedi­

zione dei lavoratori e dei loro strumenti. Uno degli amministratori della Società

generale delle ferrovie romane, il principe Del Drago, collocò una lapide mar­

morea a ricordo dell'inizio dei lavori. Ma l'apertura vera e propria della Roma­

Civitavecchia avvenne circa tre anni dopo con una cerimonia in forma privata

alla stazione fuori Porta Portese, alla quale parteciparono il duca Massimo, com­

missario generale delle Ferrovie pontificie, gli amministratori della società e al­

cuni invitati. Fu il 27 gennaio 1 862 che venne inaugurata la stazione ferroviaria di

Velletri. A testimoniare questo evento rimangono, tra l'altro, un manifesto a

stampa in cui è riportato il programma dei festeggiamenti e un dispaccio tele­

grafico del 25 gennaio indirizzato a monsignor delegato apostolico di Velletri 1 , in cui s i legge:

«Lunedl 27 alle l O e mezzo antimeridiane precise monsignor elemosiniere delegato dal Santo Padre benedirà la ferrovia a Porta Maggiore. Un convoglio straordinario con­durrà i signori Ministri e gli invitati a Velletri per il preparato ricevimento ove interverrà pure il Papa e lo stesso convoglio ricondurrà in Roma dopo il convito»

Durante tutta la giornata la banda musicale suonò accompagnando lo spet­tacolo di fuochi artificiali e alla sera nella galleria del Palazzo municipale fu or­ganizzata una festa da ballo. In questa circostanza la Magistratura municipale dispose che venissero restituiti ai poveri tutti i pegni non superiori ai 20 baioc­chi fatti nel Monte di Pietà nel passato quadriennio e fece coniare una meda­glia commemorativa rappresentante da una parte il Pontefice con la legenda: ,«Pio IX P. M An. Sacri Principatus XVi>> e dall'altra il viadotto di Santa Anatolia con l'iscrizione « Via esplicata collibus ponte firreo innetis. Municipium Veliternum an. MDCCCLXll>>. La Commissione amministrativa provinciale innalzò al Papa in una delle due stanze della stazione un busto in marmo con l'iscrizione:

«Pio IX, Pontifici Maximo quod providentia eius et nutu via forreo tramite Neapolim

l . ASR, Ministero del commercio, belle arti, agricoltura, industria e lavori pubblic4 b. 314, fase. 13.

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Maria Idria Gurgo -Le cerimonie

Roma decurren� Velitras attigit viri a conciliis provinciae regendae dedicavere parenti-optimo X Kal. Februartas an. MDCCCLXII quo die cursus publicus commeantibus patuit».

Quando nel maggio dell'anno successivo, nel suo viaggio in treno nelle re­gioni di Marittima e Campagna il Papa si fermò a Velletri, il Consiglio provin­ciale pose nella stazione in ricordo di tale evento un'altra lapide marmo rea, tut­tora esistente, che recitava:

<<Al benefico Pio IX, pontefice massimo, amore e riconoscenza immortale; egli assi­curò il commercio e arricchi la città nostra, ordinando che la ferrovia percorresse Velletri e la Marittima».

Stazioni addobbate a festa con bandiere, arazzi, sete, fiori e acclamazioni della folla osannante. E' uno spettacolo che si ripeté in occasione dei viaggi in treno del Pontefice o di altri sovrani. Tale fu, infatti, lo spettacolo a cui si assi­stette quando papa Pio IX percorse la linea Roma-Frascati per la prima volta il 23 luglio 1 859, prendendo posto nella carrozza tutta oro e legni pregiati dona­tagli dalla società costruttrice e concessionaria della linea nelle persone dei con­ti Luigi Antonelli e Benedetto Filippini, del direttore Giuseppe Ducros e del du­ca Massimo.

Pochi mesi più tardi Pio IX si servì ancora del treno per i suoi spostamen­t� e, .cos�, giovedì 6 ottobre 1 859 partì dal Vaticano per dirigersi alla villa pon­ttfiCla dt Castel Gandolfo. Nella stazione di Porta Maggiore un battaglione di truppa francese e la gendarmeria pontificia gli resero i dovuti onori. Arrivato nel pomeriggio nella stazione di Cecchina, da dove poi partì per Castel Gandolfo, il Papa fu accolto con festa ed entusiasmo dalle autorità locali e da una gran folla.

· Nel 1 863 Pio IX si recò in visita pastorale, ancora una volta in treno, nel­le province più a sud dello Stato pontificio, Campagna e Marittima. Il convo­glio partì dalla stazione Termini, decorata con fiori, bandiere e stemmi ponti­fici e si fermò brevemente a Porta Maggiore per consentire al Pontefice di os­�ervare i lavori per la ferrovia. Per il servizio reso in occasione di questo viaggio tl Papa concesse quattro medaglie d'oro ad altrettanti impiegati delle Strade fer­rate rorrìane e precisamente all'ingegnere Noceda, al capo dell'esercizio Luigi Guardiola, al capo del movimento Arnau e all'agente del servizio commerciale Alessandro Gabet.

Il 1 5 agosto 1 864 il Papa per recarsi a Valmontone si servì nuovamente del treno. I particolari organizzativi di questo viaggio ci sono noti da un dettaglia­tissimo ordine di servizio e da un dispaccio inviato dalla stazione di Albano a quella di Roma, indirizzato al ministro del Commercio e Lavori pubblici, in cui si riportano in modo puntuale tutti i movimenti del Santo Padre.

Anche altri sovrani si servirono del treno per i loro spostamenti. Ricordiamo il treno speciale da Roma a Civitavecchia allestito il 2 aprile 1 859 per la gran­duchessa Maria di Russia, quello da Civitavecchia a Roma per Sua Maestà la

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Le ferrovie al tempo dei papi (1846-1870)

Regina vedova di Sassonia, ancora quello da Roma ad Ancona in s�r:izio di �ua

Maestà l'imperatrice del Messico (9 ottobre 1_866) e se��re da �1v1tavecch1a a

Roma (3 marzo 1 866) per Sua Altezza Reale 1l conte d1 Fiandra e �ualche an:

no più tardi per Sua Maestà il re di Napoli e Sua Altezza Reale 1l conte d1

Girgenti (3 aprile 1 868) . . . . , . . . Treni speciali furono preparati anche in occasi�ne d1 fesnvtta rehgwse ? lat:

che per agevolare i viaggiatori nei lor? s�osta�e�n. V:�nero, così, organ�zzat� servizi straordinari per permettere agh abuantl dei pae�l ll�torno a Roma d1 pa�

tecipare a tombole, fiere, giochi. E così, ad esempiO, Il 2� a�osto 1 85� Il

Commissariato delle ferrovie pontificie autorizzò la partenza l� ntar�o dell ul­

timo treno da Frascati a Roma per aspettare la fine della corsa d1 _cavalh c?� fan­

tino e, sempre a Frascati vennero organizzati servizi str�ordinan a prezzi ndot:

ti per la tombola che aveva luogo ogni anno alla fine d1 settem�re. Anche per l

giorni di Carnevale era previsto che l'ultimo treno da Roma pamsse dopo l� co�­

se dei cavalli e precisamente all'Ave Maria (ore 1 8,30), per permettere agh abi-

tanti di Frascati e dei vicini Castelli di ritornare nella stessa sera a casa. , E, così, anche la Società delle strade ferrate romane per far fron�e. all af­

fluenza dei fedeli a Roma in occasione della solenne ap�rt�ra del �o?Ciho ecu­

menico (8 dicembre 1 869) prese accordi cor: le altre soc1eta f�rroviane �ella p�­

nisola per agevolare i cattolici d'Italia, che s1 s�re?ber? recati n�ll� caRitale� di:

stribuendo biglietti d'andata e ritorno a prezzi ndotU dalle pnnctpah stazwm

della rete pontificia per Roma. , . . . . . E ancora, in occasione della Pasqua l arano de1 trem ve�1va mo�tficato. per

offrire maggiore comodità agli abitanti dei paesi a�traversatl dali� d�ver�e _lmee

ferroviarie che volevano recarsi a Roma per partecipare alle funzwm rehgwse ..

2. ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 54, fase. 55 l .

52

Simonetta Ceglie

La posta e il treno

«Viaggio in posta e ferrovia da Roma a Firenze o viceversa in ore 24 con riduzione del 40 per cento sulle tariffe attuali dei viaggiatori . . . compreso le mance ai Postiglioni, ed il Biglietto di Strada Ferrata di Prima Classe per i Passeggeri del Coupè e di Seconda Classe per quelli d'Interno e Cabriolet . . . nella qual percorrenza i Viaggiatori mentre eco­nomizzeranno tempo e spesa, eviteranno ancora gl'inconvenienti che possono derivare dal viaggio di Mare»1 •

Erano passati solo pochi giorni dall'apertura - l dicembre 1 862 - del trat­to Chiusi-Ficulle sulla linea ferroviaria Firenze-Siena-Torrita, che già gli sgar­gianti manifesti della premiata ditta Marignoli pubblicizzavano a caratteri cu­bitali tempi e prezzi sbalorditivi del primo servizio giornaliero diretto tra le due città «in comodi e sicuri legni in posta fra Roma e Ficulle e da colà fino a Firenze in ferrovia».

Nell'ultimo quindicennio del papa re, con l'avvento della strada ferrata, andò tramontando un 'piccolo mondo antico', fatto di comunicazioni a posti numerati, lente, costose ed incerte su stradali postali sconnessi, che facevano sob­balzare le carrozze ed inciampare i cavalli, pieni di ogni sorta di pericoli ed ac­cidenti tanto che prima di recarsi fuori provincia la prudenza consigliava ai ca­pifamiglia d� fare gli atti testamentari2!

Sotto Pio IX, alla vigilia dell'attivazione della prima «ferro-via», il dica­stero delle Poste era una delle direzioni generali del Ministero delle finanze con a capo un soprintendente generale, il principe Camillo Massimo, coa­diuvato da un ispettore generale, un verificatore generale e tre ispettori cir­condariali, uno per ciascuna delle circoscrizioni postali in cui era ripartito lo Stato pontificio di allora. Una quarantina, inclusa Roma, erano le direzioni postali periferiche, situate nei centri più importanti e suddivise in quattro clas­si; da esse dipendevano un certo numero di distribuzioni locali di I e II clas­se, poste a carico delle comunità di appartenenza. Ottantaquattro erano in to-

l . ASR, Direzione generale delle poste (d'ora in poi Dir. gen. poste), b. 2 10, fasc. 15 15. 2. «La partenza di un legno a quattro cavalli - scriveva Massimo d'Azeglio, uno dei tanti viag­

giatori in posta italiani e stranieri in giro per la Campagna romana dell'SOO - pare la mossa della tre­genda de' diavoli e delle versiere, tanti solo gli urli, i salti, gli schizzi, le impennate di quelle sei be­stie, contando i postiglioni . . . a slanci, a saltimontoni, o per lo meno di carriera serrata s'arriva, se piace a Dio, e se non si fracassa mùla, all'altra posta» (M. D'Azeglio, I miei ricordi, Milano, Rizzoli, 1956, p. 1 54).

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

tale le stazioni di posta-cavalli sparse sul territorio, una trentina i corrieri, ol­tre seicento i postiglioni3•

La pronta utilizzazione delle strade ferrate per il trasporto postale operò muta­menti repentini e profondi sia sull'organizzazione dei servizi che sul personale. Con la progressiva soppressione delle stazioni di posta gli addetti vennero sostituiti, in­fatti, da vetturali privati che si aggiudicavano tramite asta pubblica l'appalto di nuo­ve tipologie di servizi, quali il trasporto di corrispondenze epistolari, pacchi o dispacci tra gli uffici postali locali e la f�rrovia più vicina in coincidenza dell'arrivo e delle par­tenze dei treni o quello di impiegati e valige postali dall'ufficio cittadino alla stazio­ne, come a Civitavecchia od a Roma4• Di pari passo col crescere della disoccupa­zione tra corrieri e postiglioni, si moltiplicarono reclami, petizioni per sussidi straor­dinari o proposte in loro favore5. E se i secondi furono, almeno in parte, riassorbi­ti nell'ambito dei trasporti in appalto appena citati, i corrieri divenuti soprannu­merari furono reimpiegati dall'amministrazione postale come commessi accompa­gnatori della posta su rotaia a turnazione, con compenso «in ragione di mezw bajoc­co per ogni chilometro» e, nel caso di pernottamento forzato, di ulteriori 506•

Nel complesso con l'avvento della ferrovia il trasporto postale guadagnò in rapidità e sicurezza, anche se la vita di corrieri e postiglioni continuava ad esse­re un po' avventurosa. Anzi, agli antichi agguati stradali, sempre frequenti, si aggiunsero nuovi tipi di azioni criminali, come assalti e furti ai vagoni, e di in­cidenti, a volte disastrosi, come i deragliamenti?.

3. Le stazioni di posta, originariamente preposte al cambio dei cavalli per consentire ai corrie­ri il trasporto espresso delle corrispondenze di Stato, divennero nel tempo anche punti di tappa e ri­storo - con annesse locande od osterie - per diligenze e viaggiatori in posta, sdoppiandosi così in poste-lettere e poste-cavalli. Entrambi i servizi erano gestiti dall'amministrazione postale pontificia, che aveva la piena competenza sul primo e il controllo su appalti e licenze del secondo. L'Impresa so­ciale delle diligenze pontificie, sovvenzionata dal governo, aveva in concessione il trasporto merci e viaggiatori sugli stradali più importanti. . . .

4. In quest'ultimo caso dei tre legni da fornirsi a spese del vetturmo romano Nicola Coccia (1865) troviamo, tra le carte della Direzione delle poste, questa descrizione con disegno allegato: «l legni suddetti dovranno avere all'esterno lo Stemma Pontificio dipinto a colori, saranno guidati, se­condo il bisogno lo richiederà, da uno, o da due cavalli, condotti da un uomo coll'uniforme attual­mente in: uso pei postiglioni» (ASR, Dir. gen. poste, b. 215, fase. 1 527).

5. Cfr. Relazione sopra alcune pi'Oposte in fovore dei corrieri pontifici per la cessazione tlalloro ser­vizio (1 865), dove vengono calcolate dal ministro delle Finanze ad una ad una le perdite (es. emo­lumenti prodotti dai viaggiatori paganti) subite dai corrieri stante la «deteriorata loro condizione» e, pertanto, considerati i meriti e l'importanza del servizio reso tra disagi e pericoli e l'estrema di�coltà a trovare una nuova occupazione a causa dell'età media (superiore ai 40) e della mancanza di Istru­zione e capacità, viene avanzata la proposta di conservare ad essi gli assegni di ruolo mensile ag­giungendo una indennità pari alle perdite subite a seconda dell'anzianità di servizio (ASR, Dir. gen. poste, b. 172, fase. 1247). . . . . . . . . 6. Progetto di regolamento pel servizio postale tla esegumz tlaz corrzerz soprannumerarz coz trem del-le ferrovie del 1 867 (ASR, Dir. gen. poste, b. 172, fase. 1248). . .

7. Cfr. ASR, Dir. gen. poste, b. 227, fasce. 1573-1577. In una domanda di esonero di un cor­riere dal servizio su ferrovia (1867) così si legge: «Ben volentieri aderirebbe a detto servizio, se non fosse di una grave età, che essendo di uno strapazzo maggiore a quello che erano i corsi in legno, non si trova ora al caso di accettare» (ASR, Dir. gen. poste, b. 172, fase. 1248).

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T l

Simonetta Ceglie - La posta e il treno

Sulla Roma-Frascati, un commesso portava la posta alla stazione e, dopo averla sistemata in un cassone con lucchetto attaccato alla coda del treno, pren­deva posto in uno scompartimento di III classe insieme ai viaggiatori. La con­segnava, poi, alla distribuzione di I classe di Frascati, dove ritirava quella per Ro�a � tornav� indietro col treno successivo. Tre erano le doppie corse gior­naliere mvernal1, quattro quelle estive, dovendosi servire alcune località tra le più rinomate mete di villeggiatura della Roma 'bene' . I.:esistenza di rari bolli d' a�n�ll� �os:ale �ineari componibili8, identici a quelli impressi sui biglietti fer­roviari, ci md1ca, mfine, che fu organizzato da subito un servizio privato sup­plementare 'espresso' ad opera degli impiegati delle prime due società ferrovia­rie concessionarie della linea, il quale ebbe termine nel 1 860 col passaggio del­la Roma-Frascati alla nuova Società generale delle strade ferrate romane. E, con tutta probabilità, per le consegne a domicilio delle corrispondenze vennero re­clutati gli stessi corrieri postali che, con tali guadagni extra, arrotondavano i ma­gri salari.

. . Stesso �istema con commesso accompagnatore fu adottato sulle linee per Civitavecchia e per Orte, sebbene nel primo caso, dopo gli accordi stipulati col governo italiano per l'utilizzo reciproco delle linee ferrate a fini postali, fu va­lutata l'ipotesi di istituire un ambulante, come attèstano i bolli preparati ad hoc nel 1 866. Tutto ciò era in previsione di un maggior traffico postale sulla Roma­Civitavecchia per il passaggio della posta italiana da e per Napoli e di quella pon­tificia fino ai confini della penisola, ma il progetto non fu mai attuato. Alla sta­zione di Orte, il più importante snodo postale col Regno d'Italia, fu insediato, invece, un ufficio di frontiera ( 1866) .

Discorso a parte merita la Roma-Ceprano, l'unica linea ferroviaria ponti­ficia dove fu istituito un ufficio postale ambulante9• A tal scopo la Reverenda camera apostolica commissionò alla citata Società generale delle strade ferrate romane la costruzione di tre vagoni attrezzati - alle poste fu riservato lo scom­partimento mediano di ciascuno di essi - in attesa dei quali fu avviato un ser­vizio provvisorio col sistema dei commessi accompagnatori da sistemare in un apposito scompartimento di III classe. Consegnati gli speciali vagoni il 7 set­tembre 1 863 ed emanate l'indomani le istruzioni a tutte le direzioni e distri­buzioni situate sul percorso, di lì a pochi giorni fu inaugurata questa vera e pro­pria direzione postale su rotaia, costruita in modo che gli impiegati potessero eseguire tutte le operazioni dovute, come avveniva sulle principali ferrovie este­re. Gli scompartimenti, recanti all'esterno lo stemma pontificio e la dicitura «Ufficio postale ambulante» in lettere dorate, erano arredati fin nei particolari:

8. Dal 1852 era stato attivato il sistema dei «bolli franchi» per la tassa postale. 9. Approvato insieme al relativo regolamento nella seduta del Consiglio di amministrazione

delle poste tenuta il 12 gennaio 1862 (ASR, Dir. gen. poste, b. 488). Così, col collegamento della �orna-Ceprano alla linea italiana Napoli-Isoletta (1864), lo scambio delle corrispondenze da e per il sud potè essere effettuato dai rispettivi uffici ambulanti.

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Le ferrovie al tempo dei papi (r846-r87o)

tavoli, poltroncine, differenti tipi di scansie con casellari, timbri vari e persino diciotto «tendine turchine di tibet a molla e bacchetta» agli sportelli 10• Al per­sonale viaggiante, quattro impiegati di ruolo e due supplenti, di cui il più an­ziano in grado con funzione di capoufficio, spettava un premio speciale di uno scudo per ogni corsa effettuata 1 1 •

Dopo qualche anno dall'entrata in funzione della stazione centrale di Roma, il direttore delle Poste cittadine tentò invano di impiantarvi un ufficio succursale, come si poteva vedere all'estero in quasi tutte le città. Locale di uno o due ambienti - così si legge sul progetto del 1 86712 - dotato di finestra all'e­sterno della stazione con inferriata e cristalli, perché i due addetti potessero ri­cevere le assicurazioni e vendere i francobolli, e di buca per l'impostazione, era stimato assai utile soprattutto per lo smistamento della posta in transito onde evitare superflui spostamenti all'ufficio centrale di tutte quelle corrispondenze che andavano poi riportate alla ferrovia. Bisognerà aspettare, però, le Poste ita­liane, per vedere inaugurata il 24 ottobre 1 870 la prima succursale alla stazio­ne Termini aperta al pubblico.

Di sicuro la posta ferroviaria non dovette esser da subito la modalità di spe­dizione più comune a Roma, forse perché ritenuta troppo costosa, aggiungen­dosi alle già onerose spese postali - il costo dei francobolli era proporzionale al­la distanza - un baiocco di mancia fissa al postino per le consegne a domicilio. Basta sfogliare la fitta corrispondenza tra il Belli e la nuora malata in ritiro a Frascati nell'estate del 1 85913, per accorgersi che la via ferrata era riservata ai ca­si più urgenti, data la rapidità del servizio, mentre in gran parte le spedizioni -non solo di missive, ma anche dei più svariati oggetti - erano demandate ad al­tri mezzi, dagli omnibus a cavalli viaggianti tra Roma e le località dei Castelli, a qualche «noto amico» (forse vetturini non autorizzati) o a conoscenti vari in ar­rivo o in partenza da Frascati. E se si trattava di inviare denaro chi, come il Belli, ben conosceva il mondo, non si affidava ad altre mani che a quelle di persone di fiducia. Certe cose non cambiano mai 14•

10. Cfr. ASR, Dir. gen. poste, b. 5 16, fasc. 1532, «Descrizione dei lavori e degli oggetti messi in opera nei tre Vagoni Ambulanti n. 60, 61 , 62, per servizio dell'Amministrazione Generale delle Poste>>.

1 1 . Cfr. ASR, Dir. gen. poste , b. 172, fase. 1248, «Progetto di regolamento pel servizio a mez­zo di un Officio ambulante sulla ferrovia Pio-latina>> ( 1862).

12. ASR, Dir. gen. poste , b. 174, fase. 128 13. Cfr: N. VIAN, Servizio di posta 1859 Roma-Frascati, in AA.VV., Strenna belliana, Roma,

Istituto grafico editoriale romano, 1992, pp. 229-336. 14. Per approfondimenti: C. FEDELE, M. GALLENGA, «Per servizio di Nostro Signore".

Strade, corrieri e poste dei papi da/Medioevo a/ 1870 >>, Modena, Mucchi, 1988; M. GALLENGA, I bolli del Lazio dalle origini alla fine de/XIX secolo, Roma, Italphil, 1976; M. GALLENGA, I bolli di Roma dalle origini al XX settembre 1870, Roma, Italphil, 1980; M. GALLENGA, I bolli Jèrroviari della linea Roma-Frascati, in «Storia postale>>, voi I, Milano, Forlanlni, 1 973; G. MORONI, ad vo­cem Poste pontificie in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, Ti p. Emiliana, 1840-1873, LN, pp. 297-31 5 .

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DALLE CONCESSIONI ALLAZIENDA DI STATO

(1871 - 1905)

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1 920. Roma dal dirigibile Piazza dell'Esedra - le Terme di Diocleziano e la stazione Termini. Foto ICCD Archivio storico

T Augusto Pompeo

Le ferrovie in concessione

La produzione industriale, in continua crescita nel XIX secolo, ha bisogno di produrre e di trasportare le materie prime, di intensificare gli scambi com­merciali, di muovere gli uomini, le cose e gli eserciti. Una delle tante novità dell'Ottocento, il treno, costituisce lo strumento più idoneo per soddisfare que­ste esigenze. La 'maravigliosa invenzione' prepara una nuova rivoluzione, dopo l'introduzione delle macchine a vapore nelle industrie tessili. In questa direzio­ne si sono mosse le principali nazioni europee che già sono in possesso di una 'rete' ferroviaria degna di questo nome quando, nel 1861 , l'Italia diventa uno Stato unitario.

Il Regno d'Italia deve unificare un territorio e una popolazione che per se­coli sono rimasti divisi da frontiere, governi e monete e mette al primo posto, nel suo programma di sviluppo economico, ma anche di unificazione politica, l' am­pliamento della rete ferroviaria. E nei cinque anni successivi all'Unità la strada fer­rata in Italia si raddoppia raggiungendo circa 5 .000 chilometri di estensione.

Al momento della proclamazione del Regno d'Italia la rete ferroviaria nel nostro paese (considerando anche le regioni ancora soggette all'Impero Austro­ungarico e allo Stato pontificio) si sviluppava per 2. 1 86 chilometri cosl distri­buiti:

850 nell'ex Regno di Sardegna 607 nel Lombardo-Veneto 323 nell'ex Granducato di Toscana 1 32 nello Stato Pontificio 149 nei possedimenti dei cessati Ducati di Parma e Modena 125 nell'ex Regno delle Due Sicilie 1 •

Appaiono evidenti dal prospetto proposto, la grande diffusione del nuovo mezzo di trasporto nel Regno di Sardegna - che pure iniziò in ritardo rispetto

l . Lo sviluppo delle ferrovie italiane inizia nell'ottobre del 1 839 con l'inaugurazione del trat­to da Napoli a Portici, cui si aggiungono, meno di un anno dopo, il 18 agosto 1840, i 13 chilome­tri della Milano-Monza, sulla quale la locomotiva Lombardia inaugura la «Imperia! Regia Privilegiata Strada di Ferro>>. Nel 1 845, invece, è inaugurato nel Veneto il primo tronco Padova-Vicenza, pre­ludio al grande progetto della Milano-Venezia, cui si darà inizio due anni più tardi con i 28 chilo­metri del tratto Padova-Mestre. Nel Granducato di Toscana, il 14 marzo 1 844, è inaugurato il pri­mo tronco ferroviario da Livorno a Pisa al quale segue, il 3 febbraio 1848, l'esercizio del tratto Firenze­Prato, con cui si apre la stazione di Firenze detta «Maria Antonia» in onore della Granduchessa di Toscana moglie di Leopoldo II.

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (1871-1905)

agli altri stati preunitari a costruire la sua rete ferroviaria2 - e il netto divario rispetto al

_l' este�sione delle linee, che esisteva fra le regioni meridionali e quel�

le settentnonah, con una netta prevalenza di queste ultime: divario che rimarrà fino ai nostri giorni.

resercizi_o delle strade ferrate era gestito da Società private, a capitale in pre­v�lenza stramero. Tutte le linee ferroviarie esistenti erano sorte, poi, con crite­n non sempre omoge�ei e legati all'iniziativa e alle esigenze dei singoli stati (an­che se la mancanz� �� un progetto co�une da parte dei governi fu, in parte, compensar� dalla v1s10ne comunque umtaria dello sviluppo su ferro in posses­so delle società costruttrici e concessionarie) .

. Scar.tata, temporaneamente, l'idea di affidare direttamente allo Stato la ge­

stiOne e d potenziamento della rete, si preferì continuare a concedere conces­sioni a imprenditori privati. Il primo problema, comunque, era costituito dal numero ecce�sivo di società c�e re�o�avano il traffico su ferro nella penisola. Dalla costruziOne della Napoh-Port1c1 fino al 1 885 furono circa una ventina i gruppi che ottennero la concessione per la realizzazione di una strada ferrata e qu7sto �oml?or

,tava notevoli disagi_ pe� il traspo�to �i passeggeri e di merci, p� i­

che ?gm soc1eta adottava un propno sistema tanffano e, soprattutto, seguiva un orano eh� spesso non teneva conto delle coincidenze con i convogli delle altre compagme. Nel 1 863, per andare da Susa a Pescara, distanti 740 chilometri si passava su linee appartenenti a ben cinque diverse Amministrazioni.

'

E le difficoltà aumentavano in presenza dei collegamenti internazionali con la Ger�ania (che si raggiungeva attraverso il Brennero), con l'Austria (via �emmen�ge) � con la _Francia _(per il passo del Cenisio) . Per la Francia, in par­ticolare, c era d treno mternazwnale che partiva da Torino alle 12.30 e arriva­va a Ro�a alle 7. 1 8 del giorno successivo, impiegando oltre 1 8 ore3•

Parucolanuente complessa era poi la situazione romana nello stesso anno: da Bologna a quella che era comunque destinata a diventare la Capitale del pae­s:, nonostante la l?resenza delle truppe francesi, la via più diretta, per Firenze e S1ena, ro_ccava le l_mee di �uattro diverse Società. Come condizione prioritaria p�r �o svd�ppo e d potenz1amento delle linee, si avvertiva la necessità, quindi, d1 �1durre 1l nu�ero delle concessioni e di razionalizzare la gestione della rete umficando le tanffe e adeguando percorsi e coincidenze.

Nel 1 865 con la legge 2279 «pel riordinamento ed ampliazione Strade fer­rate del Regno», si costituirono. le società SFAI (Strade Ferrate dell'Alta Italia), SFR (Strade Ferrate Romane) e la Società delle Strade Ferrate Vittorio Emanuele che comprendeva le linee dell'Italia meridionale compresa la Sicilia.

Dopo il 1 870, a seguito dell'entrata delle truppe italiane a Roma, ai pro-

. 2. Nel Regno di Sardegna fu aperto all'esercizio il primo tronco di 8 chilometri della linea Tonno-Genova da Torino a Moncalieri il 24 settembre 1 848.

3. Cfr. ASR, Prefettura di Roma, b. 710 «<ndicatore delle strade ferrate del Regno>> .

60

Augusto Pompeo - Le ferrovie in concessione

blemi politici che il nuovo Stato doveva affrontare, si aggiunsero quelli legati allo sviluppo della sua Capitale.

All'atto dell'unificazione nazionale partivano da Roma le linee per Frascati, per Civitavecchia, per Orte, per Velletri- Segni-Ceprano (con direzione Napoli) .

Con la proclamazione di Roma Capitale e in applicazione del riordinamento del 1 865, alla Società delle strade ferrate romane furono date in concessione le li­nee ereditate dallo Stato pontificio e quelle esistenti nell'ex Granducato di Toscana (livornesi, maremmane, della Toscana centrale), vale a dire:

Firenze-Arezzo-Foligno-Terni Firenze-Pistoia-Lucca-Pisa Pisa-Ventimiglia Firenze-Empoli-Pisa-Livorno Livorno-Grosseto-Civitavecchia Empoli-Orte Roma-Civitavecchia Ancona-Foligno Roma-Frascati Roma-Velletri-Segni-Ceprano Roma-Orte Orte-Terni

Queste linee erano percorse da 240 motrici, 848 carrozze e 3.326 carri merci4• Nel 1 870 Roma contava circa 200.000 abitanti che sarebbero raddoppiati al­

la fine del secolo: la Capitale era destinata a crescere, a ospitare nuovi edifici, ad al­largare le sue strade e a collegarsi in modo veloce ed efficiente con i suoi centri vi­cini e con il resto del paese. La crescita edilizia imponeva trasporti sempre più fre­quenti di laterizi provenienti dalle cave laziali e le vecchie strade consolari battute dai muli non bastavano più a depositare la numerosa mano d'opera a buon mer­cato che, anche quotidianamente, scendeva dai comuni vicini in cerca di lavoro in quella che, nello Stato pontificio, era chiamata la Dominante. Lo Stato della Chiesa aveva aperto strade ferrate a Sud verso i Castelli e verso il Frusinate, a Nord in di­rezione di Orte e Ancona, mentre una linea, sorta per esigenze più militari che ci­vili, conduceva i Romani al porto di Civitavecchia.

Troppo poco per la capitale di un grande stato: era forte l'esigenza di interve­nire in direzione di Nord-Nord est, risultando insufficienti le linee esistenti per sod­disfare le comunicazioni con quelle regioni che si proponevano fin da allora come il motore del paese. In questo senso erano già iniziati i lavori per attivare la tratta Orte-Orvieto che doveva essere saldata con Chiusi allo scopo di abbreviare la di­stanza da Firenze e per intensificare il traffico dalla Capitale verso le regioni set­tentrionali. Per il Meridione, invece, il collegamento assicurato dalla linea che rag-

4. Il dato, del 1 875, è riportato da C. LACCHE', in L 'Ottocento ferroviario italiano dopo il

Settanta, Viterbo, 1971 , p .179.

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (187I-I905)

giungeva Ceprano, era tortuosa e rallentata dal cambio obbligato a Velletri. Mancavano, poi, linee per l'Abruzzo e per il Lazio settentrionale, mentre anche i collegamenti con i Castelli romani e il litorale andavano potenziati.

I problemi da affrontare si rivelarono insormontabile per una società oberata dai debiti e in perenne difficoltà come le Strade ferrate romane e il 26 febbraio 1872 fu nominata una Commissione parlamentare d'inchiesta che doveva formulare pro­poste per il suo risanamento. Dagli atti della Commissione risulta che le 'Romane' avevano chiuso l'esercizio del 1872 con un deficit di 3.200.000 lire e che per l'an­no successivo era previsto un disavanw di oltre dieci milioni; si prevedeva, inoltre, per rinnovare le linee, un'ulteriore spesa di 36 milioni di lire5. Le deficienze rileva­te non riguardavano solo il bilancio: i convogli erano lenti e le linee risultavano vec­chie e non sottoposte a una manutenzione appena accettabile, così come il mate­riale rotabile, le officine e le rimesse. Lo stesso personale, indisciplinato, chiassoso e abituato a prendere mance, non appariva all'altezza di un servizio moderno6• Altri problemi erano poi legati al funzionamento della stazione centrale. L apertura del­la nuova 'stazione a Termini' era avvenuta nel 1 87 4: la costruzione dell'edificio era stata portata avanti parallelamente all'esercizio e i vari servizi erano entrati in fun­zione man mano che venivano completati. [esercizio risultava disordinato e ap­pesantito dal traffico sempre crescente, il numero dei binari non era sufficiente e i convogli erano costretti a lunghe attese prima di attendere il segnale di entrata. I servizi interni non erano disciplinati da alcun regolamento e le stesse compagnie che gestivano il carico, lo scarico e la consegna delle merci agivano al di fuori di qualsiasi quadro normativa di riferimento7•

Fu, quindi, presentato, due anni più tardi, un progetto per il riscatto dell'e­sercizio da parte dello Stato. Ma le 'Romane', nonostante le continue e motivate polemiche che ne accompagnarono la storia, erano dure a morire per le inevitabi­li divisioni delle forze politiche di allora che non riuscivano a prendere una deci­sione in comune e, più semplicemente, a causa della consistente presenza del ca­pitale francese al loro interno. Tuttavia, nonostante la vita travagliata della com­pagnia, negli anni Settanta la rete fu ampliata: nel 187 4 fu completata la linea Orte­Orvieto (che rappresentava l'ultima tratta della vecchia 'Centrale' toscana in con­giunzione con Ancona) e fu inaugurata la Terontola-Chiusi l'anno successivo8• Un altro successo della società fu, infine, la costruzione del tratto per Fiumicino attra­verso Ponte Galeria, nel 1 878 che offrì a Roma un secondo scalo al Mar Tirreno che si aggiunse all'unico rappresentato, fino a quel momento, da Civitavecchia. Il destino delle 'Romane' era comunque deciso e il 1 o gennaio del 1 882 lo Stato ita­liano prese possesso, anche se temporaneamente, delle linee gestite dalla società.

160. 5. Cfr. A. CRISPO, Le Ferrovie italiane/Storia politica ed economica, Milano, Giuffré, 1940, .P·

6. Cfr. A. CRISPO, Le Ferrovie italiane, cit. pp. l58 e 159. 7. Cfr. L. TANEL, Roma Termini, in <<Tutto treno>>, luglio/agosto 1996, p. 23. 8. Pochi mesi più tardi fu anche aperto il tratto Arezzo-Chiusi.

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T Augusto Pompeo - Le ferrovie in concessione

Nel frattempo le condizioni del trasporto e della tecnica ferroviari in Italia continuavano a crescere e a migliorare: nel 1 875 erano state ultimate la Napoli­Foggia e le ferrovie delle Riviere Liguri che portarono a 7.464 chilometri le li­nee in esercizio9•

Anche il materiale rotabile si era evoluto rapidamente con l'entrata in ser­vizio di carrozze sempre più confortevoli, mentre si cominciava a dipendere sem­pre meno dall'industria e dalla tecnologia straniere progettando e costruendo motrici di fabbricazione italiana10•

Lo sviluppo del trasporto su ferro procedeva di pari passo con la crescita in­dustriale e con i problemi anche di natura sociale che questa comportava. [ultimo trentennio del secolo è caratterizzato, nel nostro paese, dal diffondersi delle società di mutuo soccorso attraverso le quali gli operai si organizzano a tutela delle pro­prie condizioni di lavoro. Fra queste sono particolarmente attive quelle formate dai ferrovieri, sollecitate, in questo, dalle difficili condizioni di lavoro dei 'macchini­sti e fuochisti' della SFAI che si riunirono il 20 gennaio 1 878 a Milano per la pri­ma volta in rappresentanza di 17 depositi ferroviari per discutere del primo statu­to della 'Mutuà della categoria che fu fondata il 1 o maggio dello stesso anno11 • Nel 1 885 confluiscono nella mutua dei 'Macchinisti e Fuochisti' della SFAI le analo­ghe organizzazioni delle 'Ferrovie Meridionali' e delle 'Ferrovie Romane'12• Alla ba­se delle rivendicazioni c'erano anche richieste a tutela della salute: alla fine degli an­ni Settanta le organizzazioni dei ferrovieri denunciavano i decessi avvenuti per mo­tivi di servizio fra il personale viaggiante dovuti, in gran parte, a infezioni polmo­nari, a infarti, a incidenti e a malattie infettive. Con la crescita del movimento ope-raio continuava comunque lo sviluppo delle ferrovie.

·

Un'ulteriore riforma del trasporto ferroviario, sempre affidato a capitale priva­to, fu attuato nel 1 885, (quando l'intera rete stava ormai per superare i 12.000 chi­lometri di estensione) con la stipulazioni di convenzioni con tre società concessio­narie: la Società Mediterranea (che assorbì anche le linee delle Strade ferrate roma­ne), l'Adriatica e la Sicula cui furono assegnati, rispettivamente, 6.07 4, 5.863 e 1 . 135 chilometri di rete. Le convenzioni avevano la durata di 60 anni e alle società era fat­to obbligo di acquistare il materiale rotabile e gli approvvigionamenti esistenti sul­le linee13• Il traffico su ferro fu così organizzato, rispetto al territorio, in senso lon­gitudinale con due principali linee che scendevano nel Meridione separate dagli

9. Nello stesso anno la Germania era dotata di 28.877 chilometri di rete, la Francia di 22.048 e l'Austria-Ungheria di 17.3 15 . Cfr. A. CRISPO, Le Fen·ovie italiane, cit. p. 179.

10. Fin dal l 854, comunque, fu presentata da parte dell'Ansaldo & C. di Genova la prima lo­comotiva interamente realizzata nei suoi stabilimenti. Si trattava della Sampierdarena, un prototipo della potenza di 417 HP e velocità di 65 km/h, che svolse servizio sulla Torino-Novara fino al l 900.

1 1 . La data del l o maggio fu fissata casualmente: la giornata, di lotta e di festa dei lavoratori, sarà celebrata ufficialmente solo a partire dal 1 890.

12. Nel 1 894 sarà sciolta da Crispi; ma solo temporaneamente: dopo pochi giorni sarà rico­stituita e continuerà il suo cammino verso la costruzione del sindacato.

13. Cfr. A. CRISPO, Le Ferrovie italiane, cit. p. 213 .

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (1871-1905)

Appennini, con punti di incontro a Milano, Firenze, Roma e Bologna e il sistema ferroviario italiano assunse la struttura che ancora oggi lo caratterizza14• La strutru­ra scelta, che obbediva a criteri pratici e di gestione, assumeva anche un alto valore simbolico, se si considerano i problemi di natura politica che il nuovo Stato dove­va affrontare a venti anni dall'unificazione: le due direttrici della rete ferroviaria si sviluppavano a est e a ovest della naturale barriera appenninica attraversando tutte le regioni e non riproponevano le tre grandi aree (Nord, Centro e Sud) che ricor­davano, con la precedente ripartizione, le divisioni degli antichi stati preunitari.

La stipulazione delle convenzioni coincise con l'intenzione iniziale di estendere ulteriormente la rete ferroviaria italiana- che pure, dal l 86 1 , era cre­sciuta in modo sorprendente -, ma il progetto fu, in parte, ridimensionato a cau­sa dei costi sempre maggiori che comportavano l'apertura e l'esercizio delle li­nee. Accantonata, pertanto, la politica delle linee a lunga percorrenza e assicu­rati i collegamenti essenziali fra le maggiori città italiane, gli sforzi furono rivolti alla creazione di ferrovie complementari, vale a dire alla costruzione di traccia­ti intermedi che avevano lo scopo di attraversare orizzontalmente le grandi li­nee e di collegare le stazioni principali con i centri vicini.

In questo contesto l'ultimo scorcio del secolo XIX rappresenta, per Roma e per il Lazio, un periodo di crescita ulteriore per quanto riguarda il trasporto su ferro che continuerà agli inizi del Novecento, con l'attivazione di linee tran­viarie urbane ed extraurbane e con la conseguente realizzazione di una rete 'in­tegratà (treno/tram) di collegamenti fra i principali centri della regione15•

A cominciare dal 1 885, quindi, Roma entra a far parte dei «transiti», in quan­to stazione comune sia alla Rete Adriatica che alla Mediterranea ma con un limi­te di fondo, che manterrà fino ai nostri giorni: è provvista di una sola grande sta-: zio ne di testa, per di più ubicata in posizione tale da non permettere che vengano svolti, con efficienza e tempestività, quei servizi di supporto che sarebbero stati as­sicurati da una o più sedi periferiche rispetto al centro della città.

Per ovviare a questo, si pensò in quegli anni a una cintura fer�oviaria che avreb­be dovuto circondare Roma e che avrebbe consentito, attraverso dei tronchi di ac­cesso, il facile trasporto di uomini e materiali16• La cintura si sarebbe potuta facil-

14. Intanto le grandi opere andavano moltiplicandosi permettendo notevoli abbattimenti del­le distanze e quindi di accorciamento dei tempi. Il primo esempio si ha con la solenne inaugurazio­ne, il 17 settembre 1871, del traforo del Frejus da Bardonecchia a Modane al quale seguirà, nel 1882, quello del Gottardo.

1 5. Con la costruzione delle tranvie laziali si hanno in Italia i primi esempi di trasporti viag­giatori trainati con motrici a energia elettrica a corrente continua nel 1890 quando fu attivata la tran­via di via Flaminia a Roma (6 luglio) alimentata in serie, seguita comunque, poco dopo, dalla tran­via Firenze-Fiesole (20 settembre) alimentata in parallelo e caratterizzate dall'alimentazione a cor­rente tramite filo aereo e ritorno sulle rotaie a tensione compresa fra gli 800 e 500 Volt. Tuttavia, nonostante i buoni risultati di questi tentativi, per le prime realizzazioni di rilievo di linee ferrovia­rie elettrificate bisognerà arrivare agli inizi del '900.

16. Negli stessi anni fu realizzato un sistema di difesa della città con una linea di forti distan­te dal centro sei chilometri.

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Augusto Pompeo - Le ferrovie in concessione

mente ottenere saldando a Nord i tronchi di uscita delle linee da Termini. Il pro­getto discendeva anche da considerazioni di carattere militare: la cintura ferrovia­ria avrebbe consentito una facile difesa della città in caso di guerra17•

In questa prospettiva furono costruite le stazioni Tuscolana e Trastevere. Quest'ultima, (prevista in un primo progetto presso San Cosimato) entrò in esercizio l' l l febbraio del 1 889 per i viaggiatori e per le merci dal lo luglio del­l' anno successivo e fu inizialmente destinata ai soli collegamenti per Civitavecchia. Fu poi progettata una linea di collegamento della nuova stazio­ne con Termini: il tracciato proposto inizialmente prevedeva di attraversare il Tevere con un ponte metallico a travate fisse, che avrebbe sottopassato il Colle Aventino con una breve galleria, riprendendo la linea per Civitavecchia, a po­co meno di cinque chilometri da Roma Termini. Ma nel 1 887 i vincoli posti alle costruzione sulle zone monumentali obbligarono a cambiare il percorso del­la linea di raccordo. I.:allacciamento fu quindi effettuato sempre sulla Roma­Civitavecchia, ma un chilometro oltre il punto previsto dal primo progetto. La stazione realizzata risultò, però, di testa, come Termini; per questo, alcuni anni dopo, l'impianto fu modificato e divenne finalmente una stazione di transito.

La rete ferroviaria, comunque, alla fine del secolo, si allarga da Roma agli altri centri del Lazio.

Viterbo è allacciata ad Attigliano, sulla Roma-Chiusi, nel 1 886 e, nel 1 894, è collegata direttamente con Roma attraverso Bracciano, Manziana e la zona del lago di Vico. La Roma-Tivoli-Mandela-Cineto-Sulmona è completata nel 1 888, unendo il Lazio all'Abruzzo, mentre Roma continua la sua corsa verso il mare raggiungendo nel 1 888 Ladispoli, mediante un tronco che viene dirama­to da Palo, sulla linea Roma-Civitavecchia. Per Nettuno, quindi ancora per il mare, si traccia un tronco che scende dai Colli Albani con la linea Albano Laziale-Cecchina-Nettuno nel 1 884, mentre proprio Albano ha una linea di­retta con Roma nel 1 889. Nel 1 892, infine, è inaugurata la linea Velletri­Terracina. Con l'apertura della Roma-Palestrina-Segni nel 1 894 si abbrevia la corsa verso Napoli (evitando di passare per Velletri) .

Passaggi obbligati e di conseguenza, 'nodi' di svincolo, oltre Roma, diventano Orte (per il Centro-Nord), Civitavecchia (per la Liguria) e Cassino per le regioni meridionali, mentre anche Velletri conserva una posizione strategica. Il quadro sarà completato nel 190 l quando, la Società Anonima Ferrovia Mandela-Subiaco aprirà all'esercizio una linea estremamente suggestiva, per i tratti attraversati e molto uti­le per i collegamenti assicurati, che sarà sostituita da un'autolinea nel 1933.

La 'centralità' di Velletri, almeno per quanto riguarda i collegamenti con Roma, con i centri vicini e con il Meridione è evidente: da Velletri, infatti, è pos­sibile arrivare per treno ad Albano, a Nettuno, a Terracina, a Napoli (via Segni) oltre, ovviamente che a Roma.

La Velletri-Terracina fino agli anni Cinquanta attraverserà una zona ricca di pascoli e infestata (fino alla bonifica dell'Agro Pontino) dalla malaria e toccherà

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i :

Dalle concessioni all'azienda di Stato (r87I-I905)

Giulianello/Roccamassimo, Cori, Cisterna, Norma/Ninfa, Sermoneta/Bassiano, Sezze Romano, Piperno, Sonnino e Grasso.

Prima dell'attivazione della ferrovia la via Appia era l'unica strada che condu­ceva a quei comuni. rantica strada romana attraversava un'area paludosa e malsa­na dove i 'butteri' allevavano i loro bufali ed era spesso invasa dall'acqua in molti tratti. La sua manutenzione era ridotta al minimo perché, in molti punti, era con­siderata di interesse locale: difficile poi, per gli stessi motivi, anche la percorribilità sulle strade comunali e provinciali dell'Agro. La ferrovia costituì, pertanto, per quei comuni, un mezw per uscire dall'isolamento e per comunicare con l'esterno.

Altrettanto significativo il percorso che univa Velletri con il Frusinate: Ontanese, Artena/Valmontone, Segni/Paliano. Per scendere al mare, invece, ad Anzio, da Velletri si passava per Civita Lavinia, Cecchina e Carroceto.

Queste tre linee non esistono più: sono ancora visibili, lungo i tracciati, i resti dei caselli e delle stazioni e anche qualche tratto di binario.

Fra il 1 930 e il 1 960 saranno soppresse anche la linea Civitavecchia-Capranica (che era stata aperta nel 1929), le tranvie elettriche extraurbane per Fiuggi e per i Castelli Romani e il tramway a vapore che fin dal 1 879 aveva trasportato, pur con molte difficoltà, uomini e merci fra Roma e Tivoli sulla via Tiburtina.

Con l'apertura della 'direttissimà Roma-Napoli negli anni Trenta si apre una fese nuova nella storia dello sviluppo delle ferrovie in Italia. Si afferma (pur con molte esitazioni e ripensamenti) la scelta delle linee veloci e rettilinee che attraversano pochi centri abitati e collegano in tempi brevi i grossi nodi ferro­viari. La 'lunga percorrenzà deve essere realizzata in modo più rapido e devo­no essere privilegiati i collegamenti fra le principali città della nazione. Ci si ac­corge, in questo contesto, che i costi sempre c!!'escenti di esercizio non consen­tono la gestione di linee 'minori' dall'andamento spesso tortuoso e, ancor me­no, i 'trenini' elettrici che dall'inizio del secolo hanno unito Roma ai suoi cen­tri vicini. rindustria italiana, poi, comincia a immettere nel mercato gli auto­veicoli che sono destinate anche all'uso privato. Prima ancora della diffusione delle automobili e delle conseguenti scelte 'strategiche' che caratterizzeranno, ne­gli anni Sessanta, la viabilità nel Lazio (come nel resto d'Italia), a decidere la sop­pressione delle linee su ferro 'minori' sarà lo sviluppo delle autolinee anche que­ste supportate da un'industria in crescita.

Le 'corriere', più delle automobili, rianimeranno, a partire dagli anni Trenta, le strade comunali e provinciali - spesso dissestate e percorse solo da carretti e da muli - e raggiungeranno anche i centri abitati collocati sulle montagne, contri­buendo a far uscire dall'isolamento molti comuni del Lazio e del resto d'Italia.

E anche questa è una storia tutta da raccontare.

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Roberto Lorenzetti

La questione ferroviaria nella provincia di Rieti (1846-1930)

Il dibattito nel periodo preunitario.

A Rieti si iniziò a parlare di ferrovie nel 1 846 all'indomani della istituzio­n� d�lla Commissi�ne �onsul:iv� delle Strade ferrate nata con il compito di di­sCiplmare le concesswm ferrov1ar1e nello Stato pontificio. Le priorità individuate er��o prev�lente�ente quelle del collegamento di Roma con il porto di C!vltavec.c�la, .con Il confine verso il Regno di Napoli, e con l'Adriatico dove il �u�t? pnvlle�Iat� venne individuato ad Ancona. Ascoli Piceno cercò di inse­nrsl m tale d1batt1to ipotizzando una linea alternativa alla Roma-Ancona h bb

. l ' c e avre

, e raggmnto a capitai? attr�ver�ando il territorio reatino. La questione torn? ��l .1,

856 quando negh amb1ent1 della borghesia e aristocrazia illumina­t� Sl l�lZlo a ca�deggiare l'ipotesi di costruzioni ferroviarie nel reatino. r.att�gg1ame�to diffidente del municipio reatino fece sì che nel periodo preu­mtano la Sabm� non venne attraversata da alcuna ferrovia, ad eccezione di un breve tratto della linea Roma-Ancona che interessò i centri di Corese Poggio Mirteto e Stimigliano. '

La linea Pescara-Rieti.

Il prim? pe�iodo postun.itario fu caratterizzato dai tentativi degli ammini­s�ra��n .reatml d1 recuperare 1l terreno perduto rispetto ad un tema che sempre d1 �m s1 presentava come determinante per lo sviluppo economico di un terri­ton�. N�l �862 fu su�ito no.minat� una �ammissione ferroviaria municipale c�e �pot1zzo la. costruzwne d1 u?� lmea d1 unione tra i due mari passando per R_ietl che, grazie alla sua central1ta geografica, poteva ambire a recitare il ruolo �l centro.strategico per �u:te le altre linee dell'Italia centrale. Si pensava in pra­tica alla.lmea Pescara-Rieti che con un successivo tratto fino a Corese si sareb­be, con�mnta �o n la Ro�a-�cona: �e pressioni esercitate dai municipi di Rieti e. l A�mla e dal deputati de1 nspett1v1 collegi elettorali, fecero si che la legge sul -r�ordmamento. delle strad� ferrate del Regno d'Italia del 14 maggio 1 865, pre­vide la costruzwne della lmea che venne data in concessione alla Società delle strade ferrate meridionali. Tre anni dopo, nel 1 868, la Società, che gestiva l'in-

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (1871-1905)

tero programma delle costruzioni ferroviarie del centro-sud, non aveva ancora iniziato i lavori, e della linea si parlò sempre meno fino a far svanire ogni ipo­tesi di realizzativa. Si tornò di nuovo a fare pressioni, e la Pescara-Rieti fu rein­serita nella nuova legge sulle strade ferrate del 28 agosto 1 870 con la quale lo Stato mantenne gli obblighi assunti cinque anni prima con la società conces­sionaria la quale si impegnò a realizzarla entro il 1 875.

Nel 1871 iniziarono i lavori di costruzione, e la ferrovia giunse fino a LAquila da dove sarebbe dovuto partire il tronco di congiunzione con Rieti. I problemi erano tutt'altro che terminati perché la Società delle strade ferrate me­ridionali ritenne antieconomico il tronco per Rieti sia per le difficoltà naturali che si sarebbero dovute superare nel realizzarlo, sia perché a LAquila si inizia­va a parlare di un nuovo tronco progettato dall'ingegner Coriolano Monti che da Popoli, passando per Avezzano e Tivoli, sarebbe giunto a Roma con mag­giore brevità. A nulla valsero le proteste del Comune di Rieti e dell'onorevole Luigi Solidati Tiburi, e la Sabina che aveva proposto l'intera linea, vide non rea­lizzato proprio quest'ultimo tratto che la interessava più da vicino.

La grande linea strategica: Terni-Rieti-Avezzano-Roccasecca-Ceprano.

Parallelamente alla Pescara-Rieti la Commissione ferroviaria municipale di Rieti fu chiamata a promuovere la costruzione di quella che, fino all'annessione di Roma al Regno d'Italia, fu considerata la più importante linea strategica del Paese, la Terni-Rieti-Avezzano-Roccasecca. Fu infatti il Comune di Rieti che per primo richiese al ministro dei Lavori pubblici l'autorizzazione per effettuare gli studi di questa ferrovia, e numerose furono le pressioni avanzate al Consiglio provinciale dell'Umbria. La linea era strategicamente importante, e il Ministero dei lavori pub­blici piuttosto che alle amministrazioni locali, preferì affidarne gli studi ai propri ingegneri. Il forte interesse rivolto a questa strada ferrata era dovuto in primo luo­go alle sue potenzialità strategiche. Infatti, se realizzata, essa sarebbe stata l'unica linea che correndo lungo la vertebrale appenninica, era al riparo dagli attacchi da mare, e per giunta avrebbe facilitato le comunicazioni tra l'esercito e le industrie militari di Terni e di Napoli. C'era poi il vantaggio di essere l'unica linea di con­giunzione tra le ferrovie dell'Italia meridionale con quelle del centro e del nord del­la penisola, non costretta ad attraversare i residui domini pontifici.

II primo ostacolo alla costruzione della linea giunse da LAquila dove era nato un movimento inteso ad appoggiare la linea alternativa dell'Aterno. II Comune di Rieti continuò a fare formali pressioni sugli organi centrali ed in particolare sul conte Stefano Jacini, allora ministro dei Lavori pubblici. A so­stegno della linea il municipio reatino nel 1 886 si fece anche promotore di una raccolta di notizie socio-economiche sul territorio che la ferrovia avrebbe attra­versato, e richiese l'appoggio del generale Filippo Cerro ti, autorevole punto di riferimento della questione ferroviaria italiana di quel periodo. Ma da parte del Governo non si ottennero altro che generiche promesse legate alle eventuali di-

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Roberto Lorenzetti - La questione ferroviaria nella provincia di Rieti (1846-1930)

sponibilità economiche dello stato. In realtà ci si attendeva una imminente ri­soluzione della questione romana e gli amministratori reatini compresero, e in tal senso intensificarono le loro pressioni, che la linea si sarebbe potuta ottene­re soltanto prima della risoluzione della questione romana.

Dopo aver formato un consorzio tra i comuni del circondario, il Comune di Rieti si fece promotore di un convegno a Napoli tra tutte le amministrazio­ni interessate alla linea. Era chiaro il tentativo di coinvolgere nella questione il Comune e la Prefettura di Napoli, che risposero favorevolmente all'invito, an­che perché la linea avrebbe portato rilevanti vantaggi alla città partenopea. La risoluzione della questione romana nel 1870 fece decisamente passare in secondo piano le potenzialità commerciali della linea lasciando però inalterate quelle stra­tegiche. La questione di questa linea fu dibattuta fino alle soglie della prima guerra mondiale quando, in seguito all'utilizzo militare degli aerei, essa perse an­che la sua rilevanza strategica e nessuno ovviamente pensò più a realizzarla.

La realizzazione della Terni-Rieti-L'Aquila.

Lunica linea costruita in Sabina è la Terni-Rieti-LAquila anche se va spe­cificato che essa altro non è che la realizzazione di altre due ferrovie mai realiz­zate completamente, il tronco LAquila-Rieti che faceva parte del progetto del­la linea Pescara-Rieti, e il tronco Terni-Rieti, primo tratto della grande linea stra­tegica Terni-Rieti-Avezzano, Roccasecca. Gli amministratori reatini, che avevano ormai maturato una certa esperienza in campo ferroviario, accompagnarono le richieste per la realizzazione dei due tronchi ferroviari che andarono poi a co­stituire la Terni-Rieti-LAquila còn una serie di azioni 'diplomatiche' con l'o­biettivo di eliminare ogni possibile oppositore alla linea.

Cosi nel 1 874 Coriolano Monti, il massimo oppositore del tronco l'Aquila­Rieti, divenne il progettista del tratto da Terni a Rieti alle dipendenze del mu­nicipio reatino, mentre gli studi per il tronco Rieti-LAquila furono affidati al­l'ingegner Vincenzo Agamennone. Grazie anche all'appoggio di Agostino De Pretis e dell'onorevole Luigi Solidati Tiburzi la Terni-Rieti-LAquila fu inserita in l a categoria nei programmi della legge del 29 luglio 1 879. I lavori iniziaro­no nel 188 1 e la linea fu inaugurata il 28 ottobre 1 883.

Le varie fasi della Rieti-Passo Corese.

Dopo l'unificazione nazionale l'obiettivo di ogni città italiana fu quello di migliorare i collegamenti con Roma e Rieti vi era troppo vicina per non pen­sare di costruire una strada ferrata in tal senso. Il modo più semplice per rag­giungere tale obiettivo era quello di costruire un tronco ferroviario che stac­candosi dal capoluogo sabino giungesse fino a Passo Corese da dove sarebbe giunto fino a Roma utilizzando i binari della già esistente Ancona-Roma;

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (1871-1905)

l) r878-r88o

I primi tentativi di costruire la linea furono fatti da Felice Palmegiani che nel 1 878 richiese l'autorizzazione per effettuare gli studi necessari. Palmegiani non era che l'amministratore della questione, mentre il redattore del primo pro­getto, approvato dal Ministero dei lavori pubblici nel 1 879, fu l'ingegner Trivellini. Tutto fu fatto molto in fretta in vista della promulgazione di una leg­ge sulle costruzioni ferroviarie con la quale il Governo avrebbe concesso 1530 km di ferrovia complementari di 4a categoria.

A sostegno della linea Palmegiani formò a Roma un comitato promotore, presieduto dal generale Filippo Cerroti, il quale, dopo aver presentato la linea convogliandovi gli interessi economici di tutto l'Abruzzo aquilano e di alcuni mandamenti di Ascoli e Teramo, promosse la creazione di un consorzio tra i co­muni interessati in modo da poter presentare al governo delle solide garanzie finanziarie per una possibile concessione. Il primo ostacolo che si presentò alla linea, fu l'opposizione della provincia dell'Umbria che bocciò le delibere dei co­muni aderenti al Consorzio e appoggiò il progetto presentato dal barone D'Albavilla di una tranvia economica a vapore. Nacquero anche le prime que­stioni per il tracciato tra i comuni della bassa Sabina che volevano la linea lun­go la via T ancia, e quelli del reatino che ovviamente la preferivano lungo l'asse della Salaria. Ma la proposta della tramvia si rivelò una grossa perdita di tem­po poiché la Società umbra per le tranwais a vapore, presieduta da D'Albavilla, aveva tentato di ottenere la concessione della linea per poi rivenderla piuttosto che procedere realmente alla sua costruzione. l: altro progetto che in questo pe­riodo nacque e morì in breve tempo, fu quello dei fratelli Morgan, al tempo pro­prietari dell'Abbazia di Farfa che pensarono di realizzare una linea con l'obiet­tivo di farla transitare nei loro possedimenti.

Nel frattempo il Governo concesse i 1 530 km di ferrovia senza però in­eludervi la Rieti-Corese per la quale non si era delineata una situazione di chia­rezza.

Il comitato promotore promosso da F. Palmegiani tornò a far sentire la sua voce quando nel l 884 si iniziò a parlare di una nuova legge con la quale il go­verno avrebbe concesso altri· l 000 km di strade ferrate. Il comitato propose al comune di Rieti di presentare una istanza al Ministero dei lavori pubblici al fi­ne di fare inserire la linea dei l 000 km da concedersi.

Gli amministratori reatini sollecitarono Luigi Solidati Tiburzi, Lorenzo Franceschini, Augusto Lorenzini e Michele Amadei deputati eletti nel collegio sabino, ad appoggiare la proposta in sede politica, mentre per le questioni tec­niche il punto di riferimento divenne l'ingegner Filippo Agamennone.

Dopo aver consultato il ministro dei Lavori pubblici, onorevole Genala, i

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Roberto Lorenzetti - La questione ferroviaria nella provincia di Rieti (1846-1930)

�e��t�ti .s�bin� comu�ic.arono a Vincenzo Trinchi sindaco di Rieti, che la pos­

sibdita d1 msenre la Rien-Corese nelle nuove costruzioni ferroviarie erano buo­ne, ma tutto dipendeva dalla formazione di un consorzio tra i comuni interes­sati.

Di nuovo il Comune di Rieti si fece promotore di un consorzio tra i comu­ni del suo circondario e quelli della provincia dell'Aquila. Si ottenne anche l'ade­sione al Consorzio del Comune di Roma, e il diretto appoggio del sindaco, duca Leopoldo Torlonia, ma non quello dei comuni della bassa Sabina che proposero una variante al progetto Trivellini indirizzata a raggiungere Corese attraverso il T ancia. Ancora una volta il governo concesse i l 000 Km di ferrovie senza inclu­dervi la Rieti-Corese viste le diatribe interne al consorzio reatino.

Per circa dieci anni. nessuno parlò più della linea fino a quando nel l 893 non iniziò a circolare la voce di una nuova legge che avrebbe incentivato la co­struzione di strade ferrate. I.:iniziativa fu di ditta privata diretta dall'ingegner Adolfo Mastrigli il quale nel l 894 richiese al Consorzio la concessione del pro­getto Trivellini sulla base del quale intendeva costruire la linea. Il Consorzio ap­poggiò l'idea di Mastrigli ma questi, dopo alcuni problemi burocratici creati dal­la Prefettura dell'Umbria, non riuscì a mantenere i suoi impegni e la concessione gli venne revocata. Nel frattempo l'ingegner Venturini aveva presentato al Consorzio un progetto alternativo a quello di Trivellino generando inevitabil­mente una nuova spaccatura interna al consorzio dei comuni. La decisione che fu presa fu quella di affidare l'esame dei progetti in lizza ad una commissione esterna la quale si espresse a favore del progetto Trivellini ritenendolo più con-: sono alle necessità della Sabina.

In seguito vi furono numerose altre proposte tra le quali quella dell'inge­gner Benin casa, della 'Società Anonima per Tranwais', della 'Società ferrovie e canali di navigazione' dell'ingegner Sebastiani, ma tutte si rivelarono poco at­tendibili. Tra queste merita di essere segnalata la proposta dell'ingegner Ugolini per una ferrovia elettrica, soprattutto perché produsse un nuovo progetto tec­nico della linea. Il progetto Ugolini, trovò l'appoggio di molti comuni, ma non quello di Rieti che non voleva rinunciare alla possibilità di una linea ordinaria. I.:ingegner Ugolini non riuscì mai a rimuovere le opposizioni del comune ca­poluogo, e tutto svanl ancora una volta nel nulla.

La linea 'Salaria'-Ascoli-Antrodoco-Rieti-Corese.

Nuove speranze per la costruzione del tronco Rieti-Corese nacquero quan­do tornò alla ribalta l'idea di collegare, nel modo più breve il Tirreno con l'Adriatico. Era la ferrovia 'Salarià, Ascoli-Antrodoco-Rieti-Corese, per la qua-

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (1871-1905)

le si erano in passato battuti oltre il generale Cerroti il colonnello Calandrelli, e gli ingegneri Massimi, Ravioli e Segrè.

Le prime proposte per la linea vennero nel 1 902 da Amatrice ma furono gli enti locali ascolani che nel 1 903 presero in mano le redini del movimento formando un comitato promotore il quale, oltre che sui deputati locali di Ascoli e Rieti, poteva contare sull'appoggio del sindaco della capitale, Prospero Colonna e del presidente dell'Amministrazione provinciale di Roma, Felice Borghese.

A sostegno della linea nel 1903 il comitato organizzò un Convegno ad Ascoli, e nel 1 904 a Palombara Sabina.

Nel 1 907 il Consiglio superiore dei lavori pubblici approvò il progetto redatto dall'ingegner Vinceslao Amici del primo tratto, Ascoli-Antrodoco e nel l 908, dopo alcune polemiche dovute ad una nuova spaccatura tra la bas­sa Sabina e Rieti, anche quello Rieti-Corese. Il l O gennaio 1909 il Consiglio provinciale di Ascoli firmò un compromesso con la ditta Piret e Lavai per la costruzione della linea. La realizzazione della ferrovia sembrava cosa fatta, e l'anno successivo la ditta, che per motivi legali aveva assunto la denominazione Societé Française de Costructiones Mecaniques, comunicò di essere pronta ad ini­ziare i lavori, ma quando i rappresentanti di Ascoli erano già a Parigi per la firma del contratto definitivo, giunse dall'Italia la notizia che, contrariamen­te a quanto aveva precedentemente assicurato il Ministero delle finanze, an­che sullo sconto delle sovvenzioni ferroviarie fatte all'estero, sarebbe gravato un tasso di ricchezza mobile del 4%. Praticamente la ditta costruttrice si vi­de ridurre il contributo statale di quattro milioni di lire, e il risultato non po­teva essere che il fallimento dell'intera operazione. Il discorso sulla ferrovia Salaria riprese dopo la fine del primo conflitto mondiale quando nel 1 9 19 fu pubblicata la relazione della Commissione parlamentare incaricata di studia­re il problema delle comunicazioni ferroviarie dell'Italia centrale. Gli ammi­nistratori ascolani, nel giudizio positivo che la commissione espresse per la li­nea, videro una ottima base di partenza per tornare a proporre la questione. Per questa fase le vicende della Salaria furono contrassegnate dall'aspra pole­mica con l'Aquila che proponeva la linea alternativa Giulianova-Teramo­Aquila-Carsoli-Roma. Le pagine dei giornali furono il teatro di un'aspra bat­taglia, che vide schierarsi le Marche e la Sabina a favore della Salaria, mentre l'Abruzzo a favore della linea aquilana. Nel maggio del 1 922 a sostegno del­la Giulianova-Teramo-Aquila-Roma si tenne una manifestazione pubblica a I.;Aquila, alla quale il mese successivo la Sabina e Ascoli risposero con un'im­ponente comizio a Rieti al quale tra gli altri intervenne il sindaco di Roma Valli. Ma ancora una volta a causa dei problemi finanziari dello Stato, la li­nea fu destinata a non essere costruita1 •

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Augusto Go/etti

Strade ferrate nel Viterbese

Durante il pontificato di Gregorio XVI non furono mai fatti studi per la costruzione di linee ferroviarie, in quanto il pontefice riteneva che i treni fa­cessero circolare più velocemente le idee che gli uomini e, quindi, era una in­venzione da evitare.

Quello che preoccupava il papa erano i controlli di polizia: il controllo de­gli spostamenti dei sudditi era agevole con la posta dei cavalli, al contrario di­ventava impossibile con una rete ferroviaria che collegava i vari paesi.

Il successore Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti, si mostrò molto interessato alla costruzione delle strade ferrate, tanto da approvare l'e­missione, in data 7 novembre 1 846, di una Notificazione che all'art. l preve­deva la costruzione di quattro linee:

l) la linea che da Roma, passando per la valle del Sacco, doveva giungere a Ceprano;

2) la congiunzione di Roma con il porto di Anzio; 3) la linea Roma-Civitavecchia; 4) la linea Roma-Foligno seguendo il percorso della via Flaminia- Emilia,

che si bloccò ad Orte.

Negli ultimi anni del Governo pontificio vengono rilasciate altre autoriz­zazioni per la costruzione di ferrovie secondarie.

Il nuovo Stato unitario le conferma e nascono così la Roma-Tivoli (inau­gurata nel l 876), la Roma-Fiumicino (aperta al pubblico nel l 878), la Roma­Frascati (in funzione dal l906) , ecc.

Il Governo pontificio a Viterbo cessò il l2 novembre 1 870 e fu subito co­stituita una Giunta provvisoria di governo e, successivamente per plebiscito, una <?iunta comunale, la quale si occupò subito del problema della ferrovia, in par­ticolare della costruzione della linea Orte-Viterbo-Cometa o per meglio dire la Orte-Viterbo-Civitavecchia.

Il Consiglio comunale di Viterbo aveva pensato ad una tratta ferroviaria che da Orte, attraversando tutta la provincia, potesse mettere in comunicazione Viterbo con il mare Adriatico e il Mediterraneo e - soprattutto - con il porto di Civitavecchia, il luogo da dove Viterbo e il circondario ricevevano i generi di importazione e dove imbarcavano i prodotti destinati all'esportazione.

Per facilitare la realizzazione della progettata linea si pensò di costituire un Consorzio fra i Comuni interessati, cosa che avvenne. Purtroppo non si andò

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (187I-I905)

oltre la costituzione del Consorzio, perché poco dopo l'annessione al Regno d'Italia fu soppressa l'autonomia amministrativa della Provincia di Viterbo «per ragioni economiche»: la citata autonomia venne restituita a Viterbo solo nel 1 929.

Linteresse dei viterbesi per la ferrovia comunque non diminuì, tanto che la stampa locale - Il Corriere di Viterbo, fondato nel 1 870 � sferrò. una serrata campagna a favore della costruzione della strada ferrar�, scaghandos� anch� con­tro alcuni oppositori per i quali la ferrovia sarebbe servita per far vemre a Viterbo solo i bagnanti delle Terme e «avrebbe offerto il bello spettacolo di qualche doz­zina di sciancati, di lebbrosi, di storpi e di cronici».

Il giornale ribatteva tali oppositori sostenend� che la �errovia �o�eva risol­vere l'endemica crisi economica del viterbese con rl far arnvare tunstl e bagna­ti alle Terme e, nello stesso tempo, fornire lavoro a fabbri, falegnami, murato­n, ecc.

Il problema della ferrovia ebbe una battuta di arresto negli anni 1 874- 1875 per una lunga crisi economico-amministrativa comunale che gravava sul Comune di Viterbo.

Passata la crisi amministrativa rimaneva quella finanziaria: per ottenere dal Parlamento la concessione della linea ferroviaria occorreva, per legge, un pro­getto nel quale ogni Comune interessato doveva partecipare con una quota, ma molti Comuni, che avevano in precedenza dato la loro adesione, vennero me­no e di conseguenza la quota di partecipazione per i Comuni rimasti risultò trop­po elevata.

Lisolamento della Città dei Papi, dopo varie peripezie, terminò - in teo­ria e non di fatto - il 12 giugno 1 879, quando la Camera approvò la costru­zione della linea Viterbo-Attigliano.

In seguito si pose il problema di collegare il territorio a Nord di Roma con la Caput mundi e in particolare il territorio viterbese con la linea Viterbo-Roma.

Già nel 1 90 l i Comuni del Viterbese si erano consorziati e nel 1 902 era­no riusciti ad ottenere il parere favorevole del Governo e un contributo chilo­metrico, che però non era sufficiente a coprire le spese.

Maggiore fortuna ebbe invece la linea (lunga quasi l 00 km) Roma-Civi�a Castellana-Viterbo che, costruita a tratte, fu completata nel l932. La detta h­nea, denominata con lessico popolare «Ferrovia Roma Nord», fu inaugurata il 27 ottobre 1 932 alla presenza del Duce.

rultima tratta partiva da Civita Castellana, proseguiva per le stazioni di Faleri, Fabrica di Roma, Corchiano, Vignanello, Vallerano, Soriano nel Cimino, Vitorchiano, Bagnaia e Viterbo.

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Vincenzo Ciccotti - Maria Idria Gurgo

La linea Velletri-Terracina

Il 26 maggio 1 892 venne aperta al pubblico un'importante via di collegamento tra i centri dell'Agro Pontino, la linea ferroviaria di terza categoria1 Velletri­Terracina, ormai quasi del tutto scomparsa nel tracciato.

Da anni si parlava dell'utilità di una linea ferroviaria che unisse tra loro i vari paesi situati sul versante meridionale dei Monti Lepini e mettesse in comunicazione Terracina, oltre che con questi paesi, con Velletri e quindi con Roma, ma nono­stante i lavori fossero iniziati alacremente l'impresa non era giunta a compimento, anche perché il Governo non aveva erogato il contributo dovuto. Già nel 1 879 si era costituito un Consorzio per concorrere nella spesa dei lavori di costruzione pro­mosso dal Comune di Terracina e di cui facevano parte i Comuni dei circondari di Velletri e di Frosinone. Il 26 novembre 1881 il Consiglio superiore dei lavori pubblici aveva approvato un progetto di massima studiato dalla Direzione gover­nativa di Velletri e successivamente la Direzione tecnica governativa aveva compi­lato i progetti definitivi, progetti che furono più volte modificati. Solo nel l 889 con decreto del 27 maggio il ministro dei Lavori pubblici, Saracco, approvò il pro­getto esecutivo della ferrovia pontina concessa per la costruzione, l'attivazione e l'e­sercizio alla Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo2, che la gestì fi­no al l luglio 1905 quando passò alle Ferrovie dello Stato.

La linea, che aveva avuto in Menotti Garibaldi, deputato del Collegio di Velletri, un grande sostenitore, rappresentava, dunque, il primo raccordo tra Roma (tramite il collegamento a Velletri con la ferrovia Pio-latina) ed i centri del Lazio meridionale, agevolava il commercio dei Comuni di Marittima e Campagna, che non avevano potuto godere del beneficio della principale ferrovia Roma­Ceprano e, incoraggiando e promovendo la produzione agricola, restituiva alle ter­re delle Paludi pontine la loro antica ricchezza.

Ecco come un settimanale locale, pochi giorni prima dell'apertura della linea, commentava l'avvenimento:

<<Pochi giorni ci separano da quello in cui la vaporiera, questo mostro benefico dagli oc­chi di bragia, attraversando i declivi dei Monti Lepini, squarciati per farle strada, giungerà im­petuosa e sbuffante alle ridenti spiaggie (sic) di Terracina. La nuova via ferrata, come immen-

l . Cosl classificata al n. 19 dell'elenco C allegato alla legge 29 luglio 1879 n.5002 sulla co­struzione di nuove linee di completamento della rete ferroviaria del Regno.

2. Convenzione 21 giugno 1888 approvata con legge 20 luglio 1888 n.5550 serie 3°.

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (187I-I905)

so boa, per tortuoso giro, s'insinua in fertili piani, in vaghi giardini, valica ricchissimi e ridenti colli, s'inoltra in valli opulente e, solcando le orride paludi pontine, giunge alla meta.

Il panorama è dei più svariati. Luoghi popolosi, paesi deserti, monumentali rovine, tur­rite castella, rendon la nuova via interessante e dilettevole al viaggiatore. Essa alfine congiun­ge a noi molte migliaia di fratelli, finora isolati e negletti>>3•

Certo, oggi questa prosa aulica ci fa sorridere ma certamente avrà all'epoca su­scitato forti emozioni nei lettori.

Come si è detto, il 26 maggio 1 892 alle 8,50 precise il treno inauguralé, com­posto da quattordici vagoni di prima classe tirati da due macchine, delle quali la prima era tutta parata a festa con bandiere e fiori, era alla stazione di Velletri ad at­tendere una discreta quantità di gente. Su ogni vagone era indicata la qualifica del­le persone invitate. Lordine degli invitati era il seguente: ditte costruttrici e invi­tati diversi, sindaci e autorità della provincia, stampa, rappresentanza del Comune di Roma e deputazione provinciale, direzione generale della Società mediterranea, ministro del Commercio e dei Lavori pubblici, rappresentato dal commendator Meana, senatori e deputati. Alle 9 il treno, salutato dalla marcia reale, si era mos­so alla volta di Terracina, fermandosi soltanto due minuti nelle varie stazioni, fat­ta eccezione per Sezze, dove la fermata era stabilita di sette minuti e per Frasso di un minuto. In tutte le stazioni, imbandierate con festoni, drappi, arazzi e piene di fiori per l'occasione, il treno era stato accolto da una folla straordinaria. A Terracina, dove il treno era arrivato a mezzogiorno in punto, nel Palazzo comunale venne da­to un ricevimento, durante il quale suonò la banda cittadina. Al tavolo d'onore era­no il prefetto, i sindaci di Velletri e Terracina, i rappresentanti della Mediterranea, il duca Caetani, il senatore Finali.

Lintero tracciato lungo 79,296 chilometri, percorsi in circa tre ore, com­prendeva ottantaquattro case cantoniere e le stazioni di Velletri, Giulianello­Roccamassima, Cori, Cisterna, Sermoneta-Norma-Bassiano, Sezze Romano, Priverno, Sonnino e Terracina. A Frasso e a Ninfa vi erano due fermate interme­die. Tra i lavori degni di nota eseguiti lungo il percorso della nuova linea vi era il ponte presso Giulianello sul rio Piscari, costruito in muratura con cinque archi ed il ponte in ferro ed acciaio a Fossanova sul fiume Amaseno.

Quando la nuova linea venne inaugurata vi erano tre partenze da Velletri ed altrettante da Terracina. Il primo treno, dopo aver impiegato una ora e diciotto mi­nuti per giungere da Roma, ripartiva da Velletri alle 7,50 ed arrivava a Terracina alle 10,50. Quindi tre ore esatte per un percorso di circa 80 chilometri.

I giornali locali dell'epoca riportano spesso lamentele dei viaggiatori per gli orari scomodi e per la poca frequenza delle corse, per le tariffe, per il servizio sca­dente.

Prendendo ad esempio l'anno 19 1 O un passeggero affermava che la tariffa per

3. «La Stampa Libera, Gazzetta di Velletri>>, 15 maggio 1892, n. 5. 4. «<l Nuovo Censore», 26 maggio 1892, n. 19.

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Vincenzo Ciccotti, Maria Idria Gurgo - La linea Velletri-Terracina

i 42 chilometri da Velletri a Roma era di f.2,30, definita «gravosissima»\ e un al­tro scriveva:

. . . <<Non possiamo tacere della gravosità della tariffa in vigore per la linea Roma-Velletri­Terracina. Per recarsi a Roma noi paghiamo il doppio di quel che si paga sulla linea di Civitavecchia, il doppio di quel che si paga da Tivoli a Roma, e due terzi di più di quel che si paga da Caserta a Napoli e su altre linee dell'Italia Meridionale, pur essendo la distanza fra quelle città maggiore o quasi uguale al percorso Roma-Velletri»6•

La lentezza dei convogli era un altro punto dolente, ma l'Amministrazione del­la ferrovie faceva presente che mentre per la tratta Roma-Velletri e Priverno­Terracina i treni potevano viaggiare ad una velocità di 50 chilometri l'ora, nel trat­to Velletri-Priverno non si dovevano superare i 30 chilometri l'ora e ciò a causa del­le pendenze, ma soprattutto delle numerose curve. Non tutte le carrozze erano inol­tre dotate di freni Westhinghouse ad aria compressa, ma solo di freni meccanici per cui la sicurezza sarebbe stata compromessa da velocità più elevate. Purtroppo questa tratta era classificata di terza categoria e, di conseguenza, le venivano desti­nati vagoni vecchi, scartati dalle linee più importanti.

L efficienza e pulizia delle carrozze ferroviarie lasciava piuttosto a desiderare se un cittadino di Velletri, molto arrabbiato, affermava che i viaggiatori dovevano:

<<Gustar le delizie di unà calda estate o di un inverno piovoso che ci raggiungano tra le assi sconnesse dei vagoni e dei finestrini rotti, ma ci si fa viaggiare in luridissimi e schifosissi­mi (ci si perdoni la parola) carri che sol per il trasporto dei porci potrebbero essere adottati.

E questo che è difetto del materiale è aggravato dal pessimo servizio perché è evidente che quei carri vengono spazzati e spolverati neanche una volta l'anno.

Non diciamo poi dell'olio che scola dai lumi che non fanno luce e di altre simili delizie; ma solo facciamo notare la bella e amena trovata delle Ferrovie dello Stato: cioè che mentre l'inverno ci fornisce le ariose e aperte giardiniere, che su altre linee gente che sa farsi sentire energicamente rifiuta; d'estate quando per il caldo quella stessa gente le rivuole, a noi le rito­glie sostituendoli coi carri porci suddetti>,?.

La stazione di Velletri è collocata ai piedi di un colle ad una certa distanza dal centro della città. Nel 1862, con la costruzione del nucleo centrale della stazione e l'inaugurazione della linea Roma-Velletri, l'accesso per i viaggiatori era stato rea­lizzato riempiendo un avallamento, chiamato «fosso del Mètabo». Solo nel 1 879 il sindaco Alfonso Alfonsi aveva provveduto a far sistemare in modo più o meno precario la strada che conduceva alla stazione. Iniziatisi i lavori della Velletri­Terracina, questa questione venne di nuovo dibattuta dall'Amministrazione co­munale e dalla cittadinanza, ma si giunse alla vigilia dell'inaugurazione senza che molto venisse fatto.

5. «<l Popolo di Velletri», 17 luglio 1910, n. 3. 6. «<l Popolo di Velletri», 3 1 luglio 1910, n. 5 . 7. <<Il Popolo di Velletri», 17 luglio 1910, n . 3.

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (r87I-1905)

La strada che dal Mètabo porta alla ferrovia era

«quasi del tutto impraticabile, tanta è la melma che vi si accumula in ogni dove, come se fosse un sentiero campestre, e non una strada per la quale ogni giorno deve transitare una gran quantità di gente»8•

La via che porta alla stazione solo nel 19 1 O trovò una sistemazione definitiva, con l'allargamento della sede stradale - l'odierno viale Marconi - e la costruzione di un muraglione di sostegno lungo un tratto della via Appia, per evitare pericoli di frane9• Sistemazione non molto diversa dall'attuale.

Considerata l'importanza che Velletri aveva assunto quale nodo delle linee che univano la capitale a Ceprano, Segni e, ultima entrata in servizio, Terracina, la sta­zione fu dotata di un deposito macchine. Questo avvenne nei primi anni del l900. Le Ferrovie dello Stato resero noto al Comune che per il funzionamento del de­posito occorreva personale e, di conseguenza, abitazioni per circa quaranta fami­glie. Si rendeva perciò necessaria una collocazione adeguata nell'interno della città o almeno si doveva individuare l'area per costruirvi un fabbricato10•

Si pensò in un primo tempo di offrire all'Amministrazione delle ferrovie un grande caseggiato, l'ex convento di Santa Chiara, posto ai margini del tessuto ur­bano, in uno dei punti più frequentati di Velletri. Per la cessione il Comune pro­poneva una cifra di circa lire 25.000ll .

Vi erano però due problemi: il più grave costituito dal fatto che nel 1906 il fabbricato aveva subito un grave incendio e si presentava strutturalmente danneg­giato, con muri fatiscenti e pericolo di crollo; necessitava perciò di notevoli lavo­ri di ristrutturazione per renderlo fruibile. Il secondo problema era la distanza dal­lo scalo ferroviario essendo l'edificio ubicato nella parte opposta della città.

La questione venne dibattuta a lungo e Velletri corse il rischio di perdere il de­posito macchine. Solo dopo molti anni (1927/1928) dal Comune fu destinata un'ampia area fabbricabile, ai bordi della via Appia ed a pochissima distanza dal luogo di lavoro dei ferrovieri. Sorse così un imponente edificio di tre piani, dove trovarono comodamente alloggio le famiglie dei dipendenti delle ferrovie. Questo caseggiato, tutt'ora esistente, ha la facciata principale prospiciente l'ingresso della stazione. Migliore dislocazione non poteva essere scelta.

Negli anni Venti iniziarono i lavori per la costruzione della direttissima Roma-Napoli via Formia, il cui primo tronco, attivato il i? febbraio 1922, venne raccordato alla linea Pontina tramite il Bivio Sonnino. I treni per Formia-Napoli seguivano, dunque, la via Velletri-Sonnino-Formia. Fu un breve periodo di inten­so traffico per la linea, che si trovò ad essere parte del primo collegamento diretto con Napoli, ma questa situazione fu di breve durata. Infatti l'apertura completa il

8. «<l Nuovo Censore», l novembre 1891, n. 34. 9. «Il Popolo di Velletri», 17 luglio 1910, n. 3. 10. «<l Popolo di Velletri», 4 settembre 1910, n. 10. 1 1 . «Il Popolo di Velletri», 19 ottobre 1910, n. 3.

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Vincenzo Ciccotti, Maria Idria Gurgo - La linea Velletri-Terracina

28 ottobre 1927 della direttissima Roma-Napoli, accorciando enormemente i tem­pi di percorrenza con Terracina assestò il colpo definitivo alla linea.

Durante la seconda guerra mondiale, con lo sbarco alleato e la successiva riti­rata tedesca, la Velletri-Terracina venne distrutta. I lavori di ricostruzione iniziaro­no rapidamente e il 3 1 dicembre 1946 fu riattivata in quasi tutti i tronchi. Completata la ricostruzione la linea venne ripristinata, sia pure su un percorso p ret­tamente locale, con un progressivo calo del traffico viaggiatori e merci. E così nel 1957, dopo soli dieci anni dalla sua completa riapertura, se ne decise la chiusura. Nell'ottobre 1958 fu emesso il decreto di soppressione del tratto Velletri-Priverno, con conseguente rapida demolizione degli impianti.

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che doniani, 26 d.el corrente mese, avrà luogo la ihaugura�ione della: ferrovia V elletri. ... Terracina.

Il treno inaugourale sara in que ..... sta stazione alle qre 8,52 e ne ri .... partirà per Terracina alle ore 9 del mattino.

Alle ore 6,31 della sera sara' qui di ritorno e ripartira' alle. ore 6,32 per RolÌla�.-·N·""':' ·.

Velletri, 25 maggio 1!J92.

Vtll�lrl 189-l, Tlp. Pio Sfratta.

IL SINDACO A. . ALF'ONSI

1892. Il Sindaco di Velletri annuncia alla popolazione l'inaugurazione della linea ferroviaria Velletri-Terracina. Archivio storico comunale di Velletri, RGN 1 1/71

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1 888. Preventivo della ditta Levera per la fornitura di tappezzeria per le carrozze. Sezione di Archivio di Stato di Sulmona, Archivio civico sulmonese, b. 232

Mano/a Ida Venzo

La linea Roma-Sulmona*

Fatta l'Unità, riunita Roma al resto della nazione, si rendeva necessario crea­re una rete di comunicazioni tra la nuova capitale e tutte le province del Regno.

Già a partire dal 1960 erano stati prodotti studi di linee ferroviarie che col­legassero gli Abruzzi al resto d'Italia, ma gli avvenimenti politici del 1 870 por­tarono a riconsiderare tutta la rete dei trasporti su ferro. Venne pertanto affi­dato all'ingegnere Coriolano Monti, deputato al Parlamento, l'incarico di stu­diare un nuovo progetto che collegasse Roma all'Adriatico, ma con la crisi di governo del 1 876 il progetto decadde.

La Sinistra, succedutasi al governo, portò avanti il programma di incremento delle ferrovie con la costruzione di linee secondarie e complementari. Fra queste, la Roma-Sulmona con la prosecuzione fino a Pescara aveva senz' altro grande rilie­vo sotto l'aspetto strategico, economico e politico. I suoi sostenitori mettevano in luce i vantaggi legati alla costruzione della linea: ai fini della difesa militare essa co­stituiva la via più breve che potesse unire i due mari tra i punti estremi di Ostia sul Tirreno e Pescara sull'Adriatico; dal punto di vista economico avrebbe reso acces­sibili a Roma i prodotti agricoli e pastorali delle fertili zone sulmonese e marsica­na (ricordiamo come l'economia di quest'ultima era stata radicalmente trasforma­ta dal prosciugamento del Fucino nel 1 875); dal punto di vista sociale e politico avrebbe concorso a superare l'isolamento di una vasta e popolosa area che, pur vi­cina al cuore dell'Italia, non aveva però neanche un chilometro di ferrovia.

Un nuovo progetto fu presentato nel 1 877 in Parlamento da alcuni depu­tati e caldeggiato con fervore dal principe Alessandro Torlonia. Per sollecitarne l'approvazione, nel gennaio del 1 879, i sindaci dei comuni interessati sotto­scrissero una petizione che inviarono all'allora ministro dei Lavori pubblici.

Finalmente la costruzione della linea venne approvata con legge 29 luglio 1 879 n. 5002. ·

* La ferrovia Roma-Pescara. Considerazioni presentate dalla Commissione nominata dal Consiglio municipale di Tivoli, Roma, Tipografia Letteraria 1 871; CORIOLANO MONTI, Sopra la nuova strada ferrata da Solmona a Roma, 1 874; Ferrovia Roma-Sulmona (per Tivoli-Avezzano- Molina. Considerazioni dell'ingegnere Alfonso Audinot, Roma, Tipografia Artero e comp., 1 878; Notizie sto­riche sui progetti dei Porto-canale sulla sistemazione dell'ultimo tronco del Pescara e sulla costituzione del Consorzio interprovinciale raccolte e ordinate da Giulio Muzi, Castel/amare Adriatico, Officina Tipografica Verrocchio, 1907; A. MANNUCCI- G. MEZZETTI, Ilfomo della vaporiera, 1879-1976, Tivoli, Tipografica S. Paolo, 1976; A. MANNUCCI, L 'Unità corre con ilfomo della vaporie­ra, centenario della ferrovia Roma-Sulmona, 1888- 1988, Roma, Azienda autonoma cura soggiorno e turismo di Tivoli, 1988.

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (r87I-I905)

Lo studio dei dettagli e la direzione dei lavori furono affidati a G. Battista Salvini, ingegnere capo del Genio civile.

La lunghezza della linea era stimata inizialmente di circa 161 , 200 km. Essa attraversava 29 comuni, dei quali l O in provincia di Roma e 1 9 in provincia dell'Aquila.

Data la natura montuosa e impervia del territorio percorso, si rese neces­sario costruire un alto numero di gallerie (39 circa) e di viadotti (44 circa) . I la­vori furono eseguiti dalla Società Meridionale e suddivisi in I l lotti.

La prima inaugurazione della linea avvenne per il tronco Roma-Mandela il iO dicembre 1884. Negli anni successivi si lavorò alacremente fino a che nel 1 888 l'intera linea venne completata. Nel frattempo era stata costruita la sta­zione di Sulmona, situata a 3 km dall'abitato.

Il 28 luglio 1888 la ferrovia Roma-Sulmona fu inaugurata con solenni ce­lebrazioni.

Negli anni successivi si adottò il sistema di trazione elettrica a corrente tri­fase. Utalia infatti, per svincolarsi dalla dipendenza del rifornimento di carbo­ne, aveva dato avvio a un programma di elettrificazione delle ferrovie che, ini­ziato nel 1 897, si realizzò massicciamente solo tra il 1 926 e il 1 928. A partire dal 1 927 la Roma-Sulmona fu elettrificata nel primo tratto Roma-Tivoli ( 1927), poi nel secondo tratto Tivoli-Avezzano e infine nell'ultimo tratto fino a Sulmona (1933) . Poiché secondo lo schema allora in uso le Ferrovie doveva­no produrre da sé l'energia occorrente, venne costruita la centrale idroelettrica di Anversa, imbrigliando le acque del fiume Sagittario.

I.:esercizio della linea con alimentazione a corrente durò fino alla guerra, quando gli impianti furono distrutti dagli eventi bellici.

Fine Ottocento. Progetto per una tramvia sotterranea di A. Cametti. ASR, Biblioteca.

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Antonella Parisi

Progetti per Roma

Roma non avrebbe potuto avere migliore biglietto da visita. Il viaggiatore, sceso dal treno e varcata la soglia della stazione, si sarebbe trovato davanti il sim­bolo della città eterna: il Colosseo. Il progetto era ricco di suggestioni, ma an­che di inconvenienti. E non fu approvato. Si cercò altrove il luogo adatto ad ac­cogliere la stazione centrale della futura capitale d'Italia. La questione si era de­lineata piuttosto precocemente. I capilinea delle prime strade ferrate dello Stato pontificio erano sorti, tra il 1 856 e il 1 862, al di fuori delle Mura Aureliane, a Porta Maggiore (dove terminavano la Roma-Frascati e la Roma-Ceprano) e sul­la via Portuense (dove si concludeva la Roma-Civitavecchia) . Questa colloca­zione, se da un lato era garanzia di 'decoro' per la città dei Papi e strategicamente ineccepibile (non comprometteva l'integrità delle Mura) , dall'altro risultava po­co agevole, in particolare per i viaggiatori, costretti ad affrontare faticosi spo­stamenti. Si profilò quindi l'esigenza di avere una stazione posta entro i limiti dell'area urbana e in una zona ben collegata, alla quale facessero capo tutte le linee, esistenti o previste. Tale necessità mal s'accordava con l'assetto urbanisti­co di Roma, fondato su delicati e secolari equilibri. E mal s'accordava col sen­timento di chi riconosceva nella demolizione di un tratto delle antiche Mura i segni di un'azione 'sacrilegà e imprudènte.

«<l progetto di mettere le Stazioni delle vie ferrate nell'interno della città di Roma è misura in primo luogo altamente impolitica, è ancora avversa ad ogni buona e retta am­ministrazione di finanze, è infine contraria al decoro, alla dignità e alla magnificenza del­la città di Roma . . . imperocché può in un tratto ed all'improvviso introdursi nella città nu­mero di ribelli ed anche un'Armata e senza che si possa chiudere di fronte le porte,

si legge in una relazione anonima e senza data, ma riconducibile al 1 857 (ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 3 1) , che ben documenta certi umori dell'epoca. Il dibattito sulla sede della nuova stazione fu vivace e costel­lato di progetti, presentati e non approvati. Di essi passeremo in rassegna qual­che esempio1 •

Fra i luoghi considerati ai fini del progetto, come si è detto, ci fu il Colosseo. La proposta venne dalla Società Pio-latina, per mezzo dell'impresa York, che, a

l . Per la bibliografia e una rassegna completa delle fonti documentarie sul tema si veda l'otti­mo lavoro di G. ANGELERI, U. MARIOTTI BIANCHI, Termini: dalle Botteghe di Faifa al Dinosauro, Roma, Banca nazionale delle comunicaz;ioni, 1983, pp. 57-62, 73-85.

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (187I-I905)

soli pochi mesi dall'inaugurazione della ferrovia Roma-Frascati (7 luglio 1 8 56), chiese di spostarne il capolinea di due chilometri entro le Mura. Il progetto, che si conserva presso l'Archivio di Stato di Roma (Collezione di disegni e mappe, cart. 32, n. 1 62) , individuava un'area nella vigna dei Muti Bussi duchi di Rignano, presso le Terme di Tito (in termini attuali, tra la Facoltà d'Ingegneria e via Nicola Salvi) . La linea, che da qui aveva inizio, si congiungeva alla stazione di Porta Maggiore, seguendo un percorso che si sviluppava tra il Colle Oppio e l'Esquilino. Il piano presentava non pochi inconvenienti: le imponenti opere di scavo da compiere per livellare i fianchi del colle, i danni che avrebbero subito le considerevoli emergenze archeologiche concentrate nell'area, il problema del­l' attraversamento di importanti assi stradali, quali via Merulana e via di Santa Croce, e, infine, la mancanza degli spazi necessari allo svolgimento di tutte le attività connesse al traffico ferroviario. Tali difficoltà segnarono la mancata ap­provazione del progetto2•

Un'area che sembrava presentare minori svantaggi era quella dei Prati di Castello, oltre il Tevere, in quanto pianeggiante e priva di insediamenti o di 'luo­ghi di delizià (sorgeva in corrispondenza all'incirca dell'attuale piazza Cavour) . La proposta fu presentata dall'ingegnere Miche! ( 1857) , ma senza successo. La mancanza di buone strade . d'accesso e la necessità di sopraelevare la zona di al­meno sei metri, per evitare i danni delle inondazioni del Tevere (operazione che avrebbe creato un forte squilibrio in rapporto agli apprestamenti difensivi di Castel Sant'Angelo), sembrarono al Governo pontificio problemi non supera­bili.

Un'idea originale fu poi quella dell'ingegnere Publio Provinciali e dell'ar­chitetto Mariano Volpato (1 857), che ubicarono la stazione a Villa Borghese, in un'area di 229.000 metri quadrati, posta tra Porta Pinciana e Porta Flaminìa, in corrispondenza dell'attuale Galoppatoio. Anche tale disegno (illustrato ne L'Album del 20 ottobre 1 857) non fu giudicato buono, tra le altre ragioni, per la ristrettezza degli spazi previsti.

Altri luoghi furono candidati a ricevere la nuova stazione. Tra essi appare

2. Il piano di una stazione centrale posta entro le Mura implicava il collegamento con essa, ol­tre che della linea Roma-Frascati-Ceprano, anche della Roma-Civitavecchia. Si misero al vaglio i possibili percorsi di tale raccordo. Nel 1 858 si propose di prolungare la linea secondo un tracciato 'intramuraneo', di cui si conserva il disegno, presentato in mostra (ASR, Commissariato generale del­le ferrovie, b. 28, fase. 331) . La strada ferrata, staccandosi dal tratto della via Portuense, doveva ol­trepassare il Tevere, superare su un viadotto via Marmorata, percorrere l'Aventino e il Celio, e, va­licando le vie di San Giovanni e Labicana, raggiungere la stazione centrale, immaginata sul Colle Oppio. Il piano appare ardito, in particolare per il costante mutamento di quote, che avrebbe richiesto impegnative opere d'ingegneria, quali tunnel e viadotti. Il progetto, che, se attuato, avrebbe avuto un impatto disastroso sul paesaggio urbano, non fu approvato. Si preferì far correre la linea al di fuo­ri dei limiti della città. Il nuovo tronco, aperto il 24 settembre 1863, superava il Tevere su un pon­te in ferro appositamente costruito (l'attuale ponte dell'Industria), intersecava le vie Ostiense, Appia, Latina, T uscolana ed entrava in Roma attraverso i cosiddetti T re archi, il varco aperto da Pio IX nel­la cinta, tra Porta Maggiore e Porta San Lorenzo.

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Antonella Parisi - Progetti per Roma

Villa Altieri, che sorgeva tra le attuali via Emanuele Filiberto e via Conte Verde. Nel 1 857 la Compagnia ferroviaria l'acquistò dal principe Emilio Altieri per 20.000 scudi. Lipotesi di collocare qui il nuovo capolinea dovette poi sfumare visto che, a distanza di quattro anni, la proprietà fu venduta a monsignore Francesco Saverio De Merode, uno dei protagonisti del programma di specu­lazione edilizia in atto nell'Urbe.

· Notevole interesse destarono anche le proprietà del principe Camillo Massimo, che si estendevano su una vasta area, tra le Terme di Diocleziano e San Giovanni in Laterano. Esse comprendevano Villa Palombara, sulle pendi­ci meridionali dell'Esquilino, Villa Lancellotti e Giustiniani, sul Iato nord-est del Celio, e Villa Montalto, nella zona di Termini. Il principe Massimo il 2 1 giugno 1 856 scrisse al cardinale Antonelli, segretario di Stato, chiedendogli di non approvare il progetto che prevedeva d'installare la nuova stazione nei pro­pri fondi. Inizialmente il principe ebbe soddisfazione. Ma fu un successo effi­mero, perché la scelta finale cadde proprio su Villa Montalto (si veda a tale pro­posito la sezione La stazione Terminz) .

La costruzione della stazione nell'area di Termini non pose fine al dibattito e alle proposte di possibili miglioramenti. Larchitetto F. Mazzanti, nel 1887, ne ri­levò la scarsa comodità, in quanto stazione «di testa» e non «passante», caratteri­stica questa che creava difficoltà nel manovrare le macchine, oltre che notevole di­spendio di tempo. La sua posizione centrale, inoltre, favoriva la congestione del traf­fico, soprattutto in occasione d'eventi particolari, come giubilei, arrivi di personaggi illustri e ricorrenze patriottiche e civiche. Il Mazzanti, in collaborazione con l'in­gegnere G. Frontini, propose una sede alternativa, che individuò fuori Porta San Giovanni (A�R, Collezione di disegni e mappe, Extravagantes) . La stazione, secon­do tale disegno, occupava un'area di circa due chilometri, compresa tra Porta Latina e via Casilina. Ad essa si raccordavano ad est, le linee per Orte, Sulmona e Napoli e, ad ovest, quella per Civitavecchia. Completava la rete la connessione della fer­rovia Roma-Orte con la stazione di Trastevere, attraverso una diramazione secon­daria. Scopo del progetto era creare un anello ferroviario, sviluppato intorno al­l'intero pèrimetro della città, che avrebbe costituito, come dice il Mazzanti,

«una linea di circonvallazione . . . destinata a rendere grandi servizi all'edilizia, all'in­dustria e all'agricoltura per la facilità che si avrebbe di poter stabilire, lungo il suo percor­so, fermate e dei binari di diramazione di servizio delle cave, delle fornaci, dei poderi, ecc.».

In tale piano la 'vecchià stazione di Termini era destinata a divenire un grandioso mercato coperto per prodotti alimentari, collegato alla nuova stazio­ne attraverso una ferrovia sotterranea. Inutile aggiungere che il progetto non fu realizzato.

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1 875. La stazione Termini come si presentava ad ultimazione dei lavori secondo il pro­.getto di Salvatore Bianchi. Roma, Fondazione Besso, Raccolta Consoni

Maria Grazia Branchetti

La Stazione Termini

La stazione centrale di Roma fu costruita tra il 1 869 e il 1 874 su progetto dell'architetto romano Salvatore Bianchi ( 1821 - 1 884) . Sorse su una parte del terreno, appositamente espropriata nel 1 860, della villa Massimo alle Terme di Diocleziano e derivò il nome di Termini da quello assegnato alla zona dai mo­numentali resti termali dioclezianei.

Nel 1 860 Roma era dotata di due stazioni: la prima (1 856), al servizio del­la linea Roma-Frascati, installata a Porta Maggiore, la seconda ( 1859) , al servi­zio della linea Roma-Civitavecchia, collocata a Porta Portese1 •

Nella primissima fase della sua vita la stazione Termini ebbe una sistemazio­ne provvisoria: si misero in opera i binari di collegamento con le linee esistenti li­mitando la parte architettonica ad un capannone e adattando gli spazi dell'antica schiera di caseggiati denominati 'botteghe di Farfà, allora utilizzati per attività ar­tigianali e studi di artisti2• In questa sede giunse, nel 1 862, il primo treno prove­niente da Ceprano e, nel 1 863, il primo proveniente da Civitavecchia.

La presentazione di progetti per la stazione monumentale della città go­vernata dal pontefice, iniziò fin dal 1 86 1 . A questa data risale quello dell'inge­gnere Louis Hack conservato presso l'Archivio di Stato di Roma e parzialmen­te esposto in Mostra3• Al progetto dell'Hack ne seguirono altri fino a che Pio IX, nel 1 867, diede la sua approvazione al piano di costruzione del Bianchi.

Alla decisione del pontefice non seguì un'immediata apertura del cantiere anche a causa di una epidemia di colera che devastò Roma negli anni 1 866-1867.

I lavori, una volta intrapresi, durarono quattro anni contro i due inizial­mente programmati. T attività del cantiere si interruppe, una prima volta, nel 1 870, a seguito della presa di Roma da parte dell'esercito italiano (20 settem­bre 1 870) e, una seconda, nel 1 872, a causa di un uragano che provocò il crol­lo di una parte consistente della tettoia in ferro destinata a coprire l'area degli arrivi e delle partenze. Linaugurazione ufficiale avvenne 1'8 gennaio 18744•

l. A queste stazioni si prevedeva di affiancarne anche una a Porta Angelica per la linea Roma­Ancona.

2. I caseggiati detti 'botteghe di Farfa' furono fatti costruire da Sisto V per trasferirvi la fiera che annualmente si svolgeva presso l'abbazia di Farfa.

3. Altri progetti furono presentati da Luigi Gabet (1862); Agostino Mercandetti e Francesco Barthélemy (1866), Antonio Cipolla.

4. Nel corso dell'Ottocento Roma fu anche dotata delle stazioni di Trastevere (1886-1890); Tuscolana (1891); San Pietro (1894). Per queste e per le altre stazioni romane si veda E. COL­LENZA, Le stazioni ferroviarie a Roma, Officina Edizioni, Roma 1996

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (1871-1905)

La superficie espropriata della villa Massimo misurava 2 1 8 .414 metri qua­drati e corrispondeva ad un'area utilizzata come terreno agricolo. Della sua esten­sione testimonia un documento conservato presso l'Archivio di Stato di Roma. Si tratta di una pianta della villa risalente al 1 836 ma riutilizzata, in occasione dell'esproprio, per tracciare il perimetro della parte sottoposta al provvedimen­to5.

La villa Massimo, che era sorta per volere di Sisto V (Felice Peretti Montalto, 1 580-85) ad opera di Domenico Fontana6, contava due palazzi: uno, con prospetto sulla strada, detto 'a Termini'; l'altro, interno al parco, detto 'ca­sino Felice, dal nome di battesimo del papa che ne aveva ordinato la costruzio­ne. Dai Montalto, la villa, era passata, nel tempo, alla Camera Apostolica, ai Savelli, al cardinale Francesco Negroni. Nel 1789, infine, era stata acquistata dal principe Camillo Francesco Massimo.

Nella tenuta si trovava un'altura artificiale, di circa 73 metri, che aveva avu­to origine da una lunga serie di reinterri, nota come 'Monte della Giustizià7• Al momento dell'esproprio la dimora non rispecchiava più l'antico fasto. Il pa­lazzo 'a Termini' era diviso in appartamenti ed affittato, l'altro versava in stato di rovina e buona parte del terreno risultava occupato da orti. Alla fine dell'Ottocento, quanto rimaneva dell'antico complesso, sparì definitivamente per la costruzione dei nuovi quartieri di Roma capitale.

La costruzione della stazione comportò lo sbancamento del 'Monte della Giustizià che tuttavia non scomparve tutto in una volta. Nel 1 86 1 fu ridotto soltanto della porzione necessaria ad ospitare un breve tratto di binario; nel 1 869 subl una riduzione più consistente per la costruzione del fabbricato viaggiato­ri; nel 1 878 fu spianato del tutto. Lo sbancamento del 1 869 portò alla scoper­ta di un tratto delle Mura Serviane (aggere serviano)8 e di un pavimento a mo­saico che fu riutilizzato nella sala d'aspetto della prima classe.

La questione della scelta della parte della città in cui collocare la stazione

5. La pianta, che è esposta in mostra in originale, fu realizzata come corredo dell'opera di V.MASSIM O, Notizie storiche della villa Massimo alle Terme Diocleziane, Roma 1836, tav. I. Della sua esistenza si aveva già notizia dal lavoro di M.G.BARBERlNI, Villa Peretti Montalto - Negroni - Massimo alle Terme Diocleziane:. La collezione di sculture, in «Studi sul Settecento Romano>>, Collezionismo e ideologia, mecenati, artisti e teorici dal classico al neoclassico, Multigrafìca Editrice, Roma 1991 , p. 52, tav. 2.

6. Domenico Fontana (1543-1607) ha lasciato testimonianza del suo lavoro nel Libro del S. Cav. Do m. co Fontana architetto ove sono notate tutte le spese fotte nelle fobriche inalzate dalla gloriosa mem. Di Papa Sisto V dall'anno 1585 a/ 1589. Questo prezioso documento è conservato presso l'ASR, Camerale I, Fabbriche, reg. 1 527.

7. La denominazione le derivava dal fatto che il nipote di Sisto V, il cardinale Alessandro Montalto, aveva fatto collocate sulla sua sommità una statua della dea Roma, ritenuta erroneamen­te di Temi, dea greca della Giustizia. La statua nel 1 878 fu trasportata ad Arsoli nel castello dei Massimo.

8. Il Governo pontificio prima e quello Italiano poi si trovarono a dover fronteggiare la que­stione della conservazione di quella rovina che si poneva come un ostacolo allo sviluppo funzionale dei servizi necessari all'impianto ferroviario. Con il tempo prevalse la volontà di tutela e il monu­mento non fu toccato. Oggi ne sono visibili i resti nella piazza dei Cinquecento.

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.. Al

Maria Grazia Branchetti - La Stazione Termini

era stata posta fin dal 1 856. Su di essa si erano confrontate posizioni diverse di cui resta memoria nella documentazione dell'Archivio di Stato di Roma9 e nel­la stampa dell'epoca.

La Roma abitata, alla metà dell'Ottocento, aveva uno sviluppo piuttosto limitato. Gran parte dello spazio compreso entro le antiche Mura Aureliane era occupato da ville patrizie dotate di ampi parchi a cui si alternavano spazi di aper­ta campagna. All'interno di questo panorama furono prese in considerazione, come aree possibili ad ospitare una stazione centrale, quelle della villa Giustiniani Lancellotti al Laterano; del Colosseo; dei Prati di Castello; della zo­na tra il Pincio e la Villa Borghese; del Circo Massimo. Le numerose proposte furono dibattute vivacemente alla luce di problemi riguardanti la viabilità; la pre­senza di emergenze architettoniche; il collegamento con il centro abitato; il cli­ma; l'estensione della superficie utilizzabile10•

Larea della villa Massimo fu preferita perché offriva l'utilizzo di un'ampia superficie, in un sito salubre e per di più ricco di acqua, elemento necessario per il trasporto basato sulla trazione a vapore. Inoltre era circondata da terreni su cui si prevedeva un ampliamento edilizio. A quest'ultimo riguardo un ruolo in­fluente nella decisione è attribuito, anche se non conc_ordemente1 1 a monsignor Saverio De Merode che fu responsabile dell' edilizia e del servizio delle strade per il Governo pontificio12•

Gli svantaggi della scelta furono individuati, dagli oppositori, nella posi­zione elevata dell'area (circa 60 metri sul livello del man;) e nella difficoltà del suo collegamento con il centro cittadino.

.

La stazione edificata dal Bianchi era composta da due ali parallele, a svi­luppo longitudinale, collegate da una terzo fabbricato costituito da una tettoia.

Dei tre corpi di fabbrica i due laterali erano in muratura e si proponevano nelle forme di un classicismo cinquecentesco, quello centrale - la tettoia -, era in ferro e vetro e si presentava con una struttura a capanna sorretta da capriate a profilo curvilineo. Le singole parti, poi, si distinguevano, in facciata, per un avanzamento, rispetto alla tettoia, dei due corpi in muratura: una soluzione che

9. In occasione della mostra è stato pubblicato un catalogo didascalico intitolato 'La maravi­gliosa invenzione� Strade ferrate nel Lazio. 1846-1930, Gangemi Editore, Roma 2003, a cui si rimanda per tutta la documentazione dell'Archivio di Stato inerente all'argomento. In particolare si veda A. PARlSI, Progetti per Roma, pp. 83-85.

l O. L' archi�etto Mariano Volpato fu autore, insieme all'ingegnere Publio Provinciali, di un pro­getto per la costruzione della stazione a Villa Borghese. Nel pubb1icarlo, corredato di pianta, sul gior­nale romano "L'Album" del 29 agosto 1857, traccia anche un quadro delle altre soluzioni proposte.

1 1 . G. ANGELERl, U. MARlOTTI BIANCHI, Termini. Dalle botteghe di Faifa al dinosau­ro, Roma, Banca Nazionale delle Comunicazioni, 1 983, pp. 73-74. A quest'opera si rimanda anche per la bibliografia precedente riguardante la stazione Termini. E' doveroso, tuttavia, citare il nome di Livio Jannattoni per i numerosi articoli e pubblicazioni da lui dedicati all'argomento a partire da­gli anni Cinquanta del secolo scorso.

12. Il De Merode, a cui si deve il tracciato dell'attuale via Nazionale, aveva acquistato molti dei terreni incolti del Quirinale e dell'Esquilino che si valorizzarono a seguito della costruzione del­la stazione a Termini.

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (187I-I905)

in qualche maniera legittimava, rendendole compatibili, le differenze di tecni­ca edilizia e di stile. Infine, le fronti dei fabbricati laterali, si caratterizzavano per la presenza di portici e logge e di altane di coronamento. Queste ultime, riprese da un motivo del 'palazzo a Termini' della villa Massimo, furono dotate, dap­prima, di un profilo triangolare con accentuato sviluppo in altezza e, in una fa­se di poco successiva, di un profilo basso e arrotondato.

La tettoia, larga 42 metri e lunga 5013, era coronata da un ampio timpano triangolare includente lo stemma sabaudo e recava alla sommità il pennone por­tabandiera sostenuto da una coppia di angioletti.

Un fabbricato orizzontale aperto da arcate collegava i due corpi laterali. Sulla sua arcata mediana, entro un' altana simile a quelle dei fabbricati maggiori, era collocato l'orologio.

Il corpo longitudinale sinistro (largo 23 metri), riservato alle partenze, ospi­tava il ristorante, l'atrio biglietti, le sale di rappresentanza e di assistenza, gli uf­fici del personale. Il destro (largo 17 metri) , destinato agli arrivi, accoglieva l'uf­ficio postale, la sala reale con soffitto decorato da dipinti di Annibale Brugnoli ( 1 843- 19 1 1) raffiguranti La Pace Italica14, e altri ambienti di servizio. La tet­toia centrale svolgeva invece il compito di chiudere uno spazio di comodo per i viaggiatori in arrivo ed in partenza e per le operazioni connesse.

Il binari che si allineavano sotto la tettoia erano tre; sul lato dell'acquedot­to Felice, verso San Lorenzo, vi erano i magazzini per le merci; sul lato oppo­sto gli impianti per le macchine, quali la piattaforma per girare le locomotive, il serbatoio dell'acqua, l'officina.

I tre prospetti del complesso si collegavano alla città tramite piazzali. In quello antistante la facciata principale fu innalzato, nel 1 887, ad opera dell'ar­chitetto Francesco Azzurri il monumento ai 'Cinquecento Caduti di Dogali' in ricordo dei soldati italiani tragicamente periti in Abissinia15• Questo piazza­le fu ampliato nel 1905 e il monumento spostato nella posizione attuale.

Pochi anni dopo la sua attivazione la stazione era già insufficiente a soste­nere il traffico ferroviario. Si provvide più volte ed in tempi diversi a suoi am­pliamenti parziali fino a che la situazione non divenne insostenibile. Nel 1936 fu presa la decisione di demolirla e di ricostruirla. La nuova stazione Termini, quella attuale, fu edificata nello stesso luogo della vecchia, dopo aver conside-. l al l . ' l G rato e scartato, propno come ne passato, tre so uzwm .

13. Dopo il 187I la sua costruzione fu data in appalto ad una ditta parigina. 14. Dei dipinti resta parte dei disegni preparatori presso l'Accademia di Belle Arti di Perugia

(E. NOVELLI, Le pitture del prof Annibale Brugnoli nella sala reale della stazione Ferroviaria in Roma, in « L'Italia Periodico artistico illustrato >>, 1 885 n. 9/10, pp. 146-147.

15 . L'Azzurri utilizzò un piccolo obelisco egizio ritrovato nell'Iseo del Campo Marzio recan­te geroglifici dedicati a Ramsete II. Nel 1924 il monumento fu spostato nel vicino giardino verso il complesso di S. Maria degli Angeli.

1 6. La stazione Termini attuale fu costruita nell'arco di circa dieci anni. Ne furono autori gli ar­chitetti Angelo Mazzoni Del Grande - a cui si devono i corpi laterali -, Eugenio Montuori, Annibale Vitellozzi, Massimo Castellazzi, Vasco Fadigati, e gli ingegneri Leo Calini e Achille Pintonello.

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Luigia Attilia

Il treno scopre l'antico

Nell'Archivio storico della Soprintendenza archeologica di Roma, presso la sede di palazzo Altemps, è conservata una consistente documentazione riguar­dante lavori svolti nel corso della creazione di linee ferroviarie sul territorio di Roma e suburbio. In questa sede si è scelto di considerare in particolare alcune carte, selezionate soprattutto nell'ambito della collezione dei disegnì, relative al­la costruzione della stazione ferroviaria centrale a Termini, in occasione della quale vennero alla luce notevoli resti di antiche strutture situate nella zona dell'Esquilino.

La documentazione conservata in archivio è in realtà assai più cospicua e costituisce la testimonianza diretta degli addetti ai lavori, che assiduamente se­guirono le scoperte a partire dal 1 870. Fu istituita allora la Regia Sopraintendenza agli scavi e monumenti antichi, l'organo dello stato unitario deputato alla tutela degli scavi d'antichità1• Nel corso delle indagini, condotte principalmente nell'area dove sorgeva l'altura artificiale denominata Monte del­la Giustizia, emersero resti considerevoli dell' aggere cosiddetto Serviano e del muro di sostruzione in blocchi di tufo, un tratto del quale è riprodotto in un acquerello a colori che reca la data del 23 ottobre 1 876 (tav. 1) . A documenta­re la mole dei lavori di scavo effettuati tra gli anni 1 870 e 1 880 rimane un vo­luminoso fascicolo contenente i carteggi relativi ai difficili rapporti intercorsi tra il Ministero dei lavori pubblici, il Ministero della pubblica istruzione e la Società delle ferrovie2• Le fasi dei lavori erano inoltre documentate dai guardiani degli scavi, delegati alla sorveglianza dei cantieri in atto3• Riguardo alle indagi­ni condotte presso il sito del Monte della Giustizia, sono conservati anche i Giornali degli scavi e i Giornali degli oggetti rinvenuti, redatti a cura dell'Ufficio tecnico scavi di antichità di Roma4• Si tratta di registri (m. 0,45x0,30), rilega­ti con copertina in cartoncino, contenenti la descrizione dettagliata degli scavi e dei reperti rinvenuti, completi di disegni e della trascrizione delle epigrafi. La produzione grafica conservata nell'archivio della Soprintendenza, relativa ai luo­ghi descritti, annovera un gruppo di acquerelli e disegni dell'epoca, tra i quali

l . M. MUSACCHIO, L'Archivio della Direzione Generale delle antichità e belle arti (1860-1890), Roma 1 994, vol. I, pp. 45-51 .

2 . Archivio storico Soprintendenza archeologica di Roma (d'ora in poi SAR), b . l , fase. l . 3 . Archivio storico SAR, Giornali di scavo, vol. l (Rapporti d i Lorenzo Fortunati, anni 1 873-

74). 4. Archivio storico SAR, voli. 1 87, 201 , 189, 1 94.

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Dalle concessioni all'azienda di Stato (1871-1905)

è sembrato particolarmente degno di interesse quello riproducente la planime­tria delle costruzioni private rinvenute negli scavi del 1 876-1 877 a ridosso del muro interno dell' aggere, immediatamente a sud dell'antica porta Viminale5• Il rilievo, di tipo tecnico, è corredato da misure e realizzato a matita su carton­cino (fig.) .

I lavori eseguiti poi nel 1907 per la costruzione di un nuovo padiglione per le partenze sono descritti di nuovo nei Giornali degli scavi, mentre un disegno ad inchiostro del disegnatore R. Moriggi riporta nei minimi dettagli un tratto delle mura cosiddette Serviane, rilevato prima della sua quasi totale demolizio­né. Alla documentazione sinora esaminata si aggiunge quella che illustra i ri­trovamenti effettuati durante la realizzazione della nuova Stazione Termini, ne­gli anni 1 947-49. Si è voluto considerare anche questo materiale documenta­rio, inteso come continuazione delle scoperte in parte già avvenute nel 1 862 e nel 1 869. Esso è costituito dalle carte dell'ispettore archeologo Anton Luigi Pietrogrande, che seguì i lavori per conto della Soprintendenza alle antichità di Roma I e da ottantasette acquerelli a colori eseguiti da Lucilio Cartocci. Questi costituiscono una singolare riproduzione degli affreschi che decoravano gli am­bienti delle antiche costruzioni di epoca imperiale tornate alla luce7 (tav.2) . :Lattività specialistica di questo personaggio nell'ambito della Soprintendenza e di altri istituti è documentata in un suo promemoria conservato in archivio, che riassume gli elaborati dell'autore prodotti per altri monumenti, a partire dal 1 9 10, quali la Domus Aurea, la villa di Livia a Prima Porta, la basilica di San Clemente o il Mitreo di Santa Prisca8• Gli acquerelli di Cartocci completano il quadro dell'opera di coloro che furono gli addetti alla documentazione di al­cuni tra i più notevoli interventi di scavo della città.

5. Carta archeologica di Roma, Firenze 1977, tav. III G, 148, pp. 242-247. 6. Archivio storico SAR, inv. 2714; G. BONI, in « Notizie degli Scavi di Antichità», 1910, p.

497. 7. Archivio storico SAR, inv. 2068 - 2257; AUTORI VARI, Antiche Stanze, un quartiere di

Roma imperiale nella zona di Termini, Roma 1996-1997. 8. Archivio storico SAR, b. 148, fase. 9.

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LA MODERNIZZAZIONE DEL PAESE E LE FERROVIE

(1905 - 1930)

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1907. Uniformi adottate dalle Ferrovie dello Stato per il personale dell'esercizio. Da Ferrovie dello Stato, Regolamento per il vestiario-uniforme, Roma 1907

Ernesto Petrucci

Il completamento della rete (1905-1930)

«In tutto ciò che mangiamo, che beviamo, che compriamo, che vendiamo, le ferro­vie oggi entrano come elemento regolatore, le cui violente perturbazioni possono portare le più funeste conseguenze» 1 •

In queste parole di Silvio Spaventa, pronunciate nel lontano 1 876, vi è la lucida prefìgurazione del ruolo che la «questione ferroviaria» avrebbe assunto nei decenni successivi della storia d'Italia. Sin da quella prima fase del dibattito fer­roviario, la questione della costruzione e dell'esercizio delle strade ferrate divi­se il mondo politico ed economico italiano tra «statalisti» e «privatisti» . I primi sostenevano, come Spaventa, la necessità di una gestione pubblica della rete fer­roviaria, sia per la costruzione delle nuove linee che per il loro esercizio; i secondi si battevano, al contrario, per un intervento diffuso dei privati. Come si sa, la scelta privilegiò decisamente l'industria privata, anche a seguito dei mutati in­dirizzi di politica economica che si affermarono nel paese dopo l'avvento al go­verno della Sinistra (1 876) .

La scelta privatistica fu confermata anche nel 1885, quando per il com­pletamento della rete si decise di ricorrere allo strumento delle Convenzioni da realizzarsi con le tre grandi società che si erano costituite per questo scopo: la Società italiana per le strade ferrate meridionali, la Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo e la Società italiana per le strade ferrate della Sicilia.

Il decennio successivo fu caratterizzato dal progressivo aggravarsi della si­tuazione economica e commerciale del paese che si fece particolarmente grave nel biennio 1897-1898, durante il quale l'Italia fu colpita dalla più grave crisi sociale ed economica del periodo post-unitario. Il movimento commerciale subì una contrazione pesantissima e l'andamento delle Convenzioni ferroviarie ne ri­sentì in maniera determinante. Già nel 1 891 l'onorevole Di Rudinì, presiden­te del Consiglio, aveva denunciato il grave stato delle emissioni a favore del pro­gramma ferroviario, preannunciando severe misure di contenimento della spe­sa statale per le strade ferrate.

Gnizio del nuovo secolo si preannunciò sotto migliori auspici. Il momen-

l . S. SPAVENTA, Discorso del Deputato Silvio Spaventa pronunziato alla Camera dei Deputati sulla Convenzione di Basilea e sul trattato di Vienna pel riscatto delle Ferrovie dell'Alta Italia, Roma, Eredi Botta, 1876.

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La modernizzazione del Paese e le ferrovie (1905-1930)

to più difficile della crisi economica che aveva sconvolto l'Europa sembrava su­perato e un clima di maggiore ottimismo si diffuse nel Paese.

Con l'avvento al potere di Giovanni Giolitti si apriva una nuova fase della storia italiana, caratterizzata dal decollo industriale di molte aree del paese e dal deciso intervento dello Stato nell'economia. In questa mutata congiuntura po­litica ed economica fu affrontato anche il nodo del completamento della rete ferroviaria nazionale. Si riaccese così il dibattito sulla «questione ferroviaria» e questa volta a prevalere furono gli orientamenti favorevoli all'esercizio di stato che, anche grazie ai pessimi risultati economici e finanziari cumulati dalle so­cietà che avevano gestito le Convenzioni a partire dal 1 885, appariva come la so­luzione migliore per riportare ordine nella complessa materia della gestione fer­roviaria e della costruzione delle nuove strade ferrate2• Ci si stava avviando, a grandi passi, verso la nazionalizzazione delle ferrovie, in un clima che risentiva fortemente della nuova fase di crescita industriale dell'Italia e che favoriva l' af­fermarsi, soprattutto all'interno dei nuovi settori industriali in ascesa (siderur­gia, meccanica pesante, elettrotecnica), di orientamenti «statalisti» per quanto riguardava la politica infrastrutturalé.

Nell'ottobre 1 904 Giolitti inserì la gestione statale delle ferrovie tra i pun­ti salienti del suo programma di governo e l' l l febbraio 1 905 fu presentato dal ministro dei Lavori pubblici Tedesco il relativo progetto di legge. In esso si pre­vedeva, ormai apertamente, una forma di amministrazione statale autonoma che assicurasse il massimo di efficienza e speditezza alla gestione del servizio fer­roviario. Tra le caratteristiche della nuova azienda di Stato vi sarebbero state l' au­tonomia di bilancio, una totale indipendenza nella gestione del personale e l' at­tribuzione per legge alla dirigenza di ampi poteri decisionali.

Il progetto di legge presentato alla Camera 1' 1 1 aprile fu approvato il 1 8 dello stesso mese con 306 voti favorevoli e 24 contrari e divenne la Legge n . 1 37 il 22 aprile.

Il primo direttore generale delle Ferrovie dello Stato fu l'ingegnere Riccardo Bianchi, un nome prestigioso dell'ingegneria ferroviaria italiana già direttore del Servizio movimento e traffico della Rete mediterranea e poi direttore della Rete sicula. Un uomo dalla forte personalità che ottenne l'incarico per espressa vo­lontà dello stesso Giolitti.

Alle ferrovie nazionalizzate veniva assegnato il compito di specializzarsi sui

2. Sul dibattito attorno alla gestione della rete ferroviaria italiana la bibliografia è considere­vole, poiché l'attenzione sul tema si sviluppò sin dai primi tempi dell'Unità italiana. Di grande in­teresse per lo studio e l'approfondimento di tale questione è il lavoro svolto dalla Reale Commissione per lo studio delle proposte intorno all'ordinamento delle strade ferrate che preparò i provvedimenti le­gislativi finalizzati alla gestione di Stato. I risultati furono pubblicati in più volumi tra il 1904 e il 1905 (Cfr. Atti della Reale Commissione per lo studio di proposte intorno all'ordinamento delle strade ferrate, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati , 1904-1905).

3. L. BORTOLOTTI, Viabilità e sistemi infrastruttura/i, in «Storia d'Italia, Annali 8. Insediamenti e territorio», a cura di C. De Seta, Torino, Einaudi, 1985, p. 343.

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Ernesto Petrucci - Il completamento della rete (1905-1930)

lunghi percorsi, sui valichi e sulla progettazione delle direttissime che tornaro­no a interessare l'opinione pubblica e a sollecitare potenti interessi4• Sin dal pri­mo anno fu avviata una intensa attività di rinnovo del materiale rotabile che portò ad ordinare 567 nuove locomotive, 20.263 nuovi carri merci e 1 .244 car­rozze. Gli ordini privilegiarono in larga misura l'industria nazionale assolven­do così ad uno dei compiti principali che il nuovo corso giolittiano aveva affi­dato al neonato settore pubblico delle ferrovie.

La rete ferroviaria, che al l o luglio 1 906 misurava 12.537 km, crebbe nel decennio successivo di altri 1 .500 km e nel 1 922 raggiunse i 1 6.350 km. Un grande impulso fu dato all'elettrificazione che costituì uno dei principali ban­chi di prova per i quadri tecnici della nuova azienda di Stato. rimpegno su que­sto settore portò alla rapida estensione della trazione elettrica a tutte le linee di valico e a quelle di gran traffico che servivano il porto di Genova. Sulla linea dei Giovi che collegava Genova ad Alessandria e lungo la quale la forte pendenza e i limiti della trazione a vapore non consentivano velocità superiori ai 25 km/h, con l'elettrificazione si raddoppiò la velocità media dei convogli. La trazione el et­trica fu estesa anche alla linea del Cenisio (Bussoleno-Modane) .

Importanti furono anche le realizzazioni dell'ingegneria civile applicata al­le costruzioni ferroviarie. Il l o giugno 1906 fu aperta all'esercizio la prima del­le due gallerie progettata per il traforo del Sempione. Nel periodo compreso tra il 1 9 13 e il 1 9 1 5 furono aperti all'esercizio i tronchi Ventimiglia-Airole e Vievola-San Dalmazzo di Tenda della linea Cuneo-Ventimiglia, una ardita ope­ra ferroviaria alpina che comportò la realizzazione di una galleria di ben 8 . 100 metri. Tra il 1 905 e il 1 908 furono approvati i provvedimenti legislativi per la realizzazione delle due linee «Direttissime» che dovevano velocizzare il collega­mento tra Nord e Sud del paese: la Bologna-Firenze e la Roma-Napoli.

La nuova amministrazione ferroviaria si trovò a dover affrontare anche la mo­bilitazione conseguente all'entrata in guerra dell'Italia nel 19 15. Si trattò di una grande prova che vide le Ferrovie dello Stato impegnate in uno straordinario sfor­zo di produttività a sostegno dei vari fronti sui quali fu schierato l'esercito italia­no. Nei quaranta mesi di guerra i treni militari percorsero circa 30 milioni di chi­lometri trasportando oltre 1 5 milioni di militari, 1 .300.000 quadrupedi, 350.000 rotabili, 1 .830.000 feriti e ammalati e 1 .665.000 carri di rifornimento, fra cui 980.000 di materiali diversi, 450.000 di viveri e 225.000 di munizioni.

Alla fine della guerra furono acquisite alla rete nazionale le ferrovie delle nuove province della Venezia Giulia e Tridentina ( 1 .080 km di linee) . Tra il 1 9 19 e il 1 920 furono inoltre riscattate le linee della Società delle ferrovie rea­li sarde (km 423) .

Con l'avvento del fascismo le ferrovie furono soggette a un generale rior­dinamento. Nel l 922 fu soppresso il Consiglio d'amministrazione e nomina­to un Commissario straordinario mentre la Direzione generale rimaneva pres­soché immutata. Nel 1 924 fu costituito il Ministero delle comunicazioni, sot-

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La modernizzazione del Paese e le ferrovie (1905-1930)

to la cui autorità fu posta l'azienda ferroviaria di Stato che comunque conservò ampi margini di autonomia.

Uno dei primi provvedimenti delle nuove autorità fu la drastica riduzione del personale ferroviario, che passò da 241 .000 a 176.000 addetti. Circa 65.000 ferrovieri furono licenziati; tra questi, ad essere maggiormente colpiti, furono tutti quelli in odore di sovversione o che avevano partecipato più attivamente al movimento sindacale e agli scioperi del 1 9 19-20.

Tra le linee aperte all'esercizio nel periodo 1922-1 940 vanno ricordate: la Cuneo-Ventimiglia ( 1928), la Lucca-Pontedera (1928); la Civitavecchia-Orte ( 1 925); la Legnago-Poiana ( 1928); la Sacile-Pinzano (1930) .

Di particolare interesse storico resta l'impegno profuso per il compimento del­le due grandi «Direttissime»: la Bologna-Firenze e la Roma-Napoli aperte all'e­sercizio, rispettivamente, nel 1934 e nel 1927. Il regime puntò molto su queste due opere per accreditarsi, nei confronti dell'opinione pubblica, quale interprete naturale delle crescenti esigenze di efficienza e modernizzazione del Paese.

In un celebre discorso al Congresso internazionale dei trasporti, Mussolini aveva affermato che «La vita moderna è dominata dal movimento e dalla cele­rità» . Le direttissime ferroviarie, a partire dal loro nome, simboleggiavano nel modo migliore questa ansia di modernità e velocità, dando l'esempio concreto di un paese che finalmente «funzionava» e «correva». Una immagine che ebbe molto successo nell'opinione pubblica, anche in quella più autorevole. Appaiono sintomatiche in tal senso le parole usate dal direttore compartimentale di Firenze, che nel 1933 fu incaricato di illustrare proprio queste due opere al­l'interno di in una raccolta celebrativa dei primi venticinque anni di esercizio di Stato delle ferrovie:

<<Il ritmo della vita si è andato e si va sempre più accelerando di giorno in giorno. Tutti hanno fretta. Oggi si gode la vita non per gli agi e le soddisfazioni delle epoche patriarca­li, ma unicamente per la sua intensità. Tutto ciò che tende a ridurre il tempo che si spen­de poco utilmente in attese, in percorsi, in riposi, è oggi bene accetto all'umanità e ne de­termina il grado di potenza, di progresso, di civiltà»5.

Lo sviluppo ferroviario nel Lazio

All'avvio del processo di nazionalizzazione delle ferrovie italiane (1905-1906) nel Lazio si contavano circa 760 chilometri di strade ferrate. Il venticin­quennio successivo alla nascita dell'azienda di Stato fu un periodo di realizza-

4. Ibidem. 5. Ministero delle comunicazioni, Ferrovie dello Stato, Le Ferrovie dello Stato nei primi 25 an­

ni di esercizio (1905-1930). Conferenze tenute dai capi compartimenti, comunicazione dell'ing.

Agostino Sicuranza su Influenza delle linee direttissime sulla sistemazione del traffico ferroviario italia­

no e nelle economie di esercizio, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato Libreria, 1 930.

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Ernesto Petrucci - Il completamento della rete (1905-1930)

zioni ferroviarie in tutta la regione. Nel 1 930 la rete ferroviaria laziale poteva contare su 1 .447 chilometri di tracciati di cui oltre 350 gestiti da società priva­te o a gestione governativa.

Di particolare interesse sono la formazione della rete ferrotranviaria nell'a­rea dei Castelli romani, il raggiungimento dei comuni dell'area montana alle spalle di Frosinone (Fiuggi, Vico nel Lazio, Collepardo) e, infine, il collegamento stabile e definitivo di Roma con il suo antico porto, Ostia. Negli anni trenta il Lazio visse così il periodo più alto dello sviluppo ferroviario regionale e molti Comuni videro realizzate le aspirazioni ad un còllegamento stabile con la Capitale. Una rete che, diramandosi da Roma, superava l'originale disegno a stella per acquisire un configurazione più matura, a maglie chiuse, che teneva conto anche delle necessità dei traffici e del movimento tra le località minori. Orte, importante centro ferroviario sul quale già convergevano le linee prove­nienti dal Nord e dall'Adriatico veniva stabilmente collegata con Viterbo e con Civitavecchia; il completamento della linea direttissima tra Roma e Napoli con­sentiva finalmente un collegamento diretto tra Roma, Gaeta e Formia, con­nettendo il Sud pontino con la Capitale e dando così completamento ai colle­gamenti ferroviari della parte meridionale della regione.

Per molti paesi del Lazio la ferrovia rappresentò il primo importante pas­so in avanti per il superamento di secolari condizioni di isolamento sociale ed economico. Alle soglie del nuovo secolo molti di questi insediamenti si presen­tavano ancora come antichi borghi, arroccati e mal collegati con il fondovalle. Tortuose e scomode carrarecce, se non vere e proprie mulatti'ere, costituivano in molti casi le -uniche vie di comunicazione con il mondo esterno. Una con­dizione di generale estraneità e diffidenza pervadeva, inoltre, i rapporti dei ter­ritori periferici con le province di riferimento e con la capitale. Le più antiche foto in bianco e nero della seconda metà del XIX secolo ritraggono ancora una realtà immobile, senza tempo, dove la vita concreta delle persone, gli atteggia­menti quotidiani e i mezzi d'uso ritratti sembrano appartenere ancora a un pas­sato rurale remoto. Suggestioni ed echi ingigantiti anche dalla letteratura di viag­gio che, tra Sette ed Ottocento, si era spesso cimentata con il tema romantico della campagna romana immersa nella bucolica fissità del paesaggio agreste con­tornato di ruderi dispersi.

Più che le cose però, a viaggiare, furono gli uomini: turismo e pendolari­smo furono i tratti caratteristici delle nuove comunicazioni tra le varie zone del­la regione e, soprattutto, con Roma, ormai capitale del nuovo Stato avviata ver­so un vero e proprio boom edilizio. La domenica erano i gitanti a riempire le vetture di treni e tranvie che collegavano la capitale con la cintura dei paesi col­linari e con il mare; negli altri giorni manovali, muratori, carpentieri, corrieri, giovani apprendisti, domestiche e lavandaie. Cominciò solo allora quel proces­so di saldatura tra la città e la sua regione che per tanti secoli era mancato.

La ferrovia fu il mezzo che accompagnò quel primo processo di moder­nizzazione della vita sociale ed economica che, nel territorio laziale, si produs-

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La modernizzazione del Paese e le ferrovie (1905-1930)

se tra la fine dell'Ottocento e gli anni trenta del Novecento. A cinquant'anni dall'ingresso degli italiani a Roma solo ora, grazie al traballante e faticoso sfer­ragliare di quei treni proletari, si articolava, anche nella nostra regione, quel lun­go processo di costruzione dell'appartenenza nazionale che, pur tra mille con­traddizioni e difficoltà, stava caratterizzando tante altre zone del paese. Il treno servì, molto di più che non la retorica ufficiale, a costruire vicinanze e familia­rità tra genti e ceti diversi, sul terreno concreto della vita quotidiana (i consu­mi materiali, il lavoro, gli affetti) , favorendo quel sommerso e anonimo lavorio che le società umane producono quando il venir meno di vincoli e ostacoli ar­tificiali favorisce il naturale moltiplicarsi del movimento.

SVILUPPO DEL TRAFFICO VIAGGIATORI QUANTITATIVO MEDIO DI VIAGGIATORI-KM.

PER1000 1906·1912

263.000 VIAG6'·kM.

PERlOOO 19lHI24

286.000 VIAGBNM

PER KM. DI LINEA

1930. Sviluppo del traffico viaggiatori 1906-1 930. Ministero delle comunicazioni, Amministrazione delle Ferrovie dello Stato, Relazione per l'anno finanziario 1929-1930, Roma, 1930.

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Ernesto Petrucci

La direttissima Roma-Formia-Napoli

La costruzione della nuova linea direttissima, inaugurata dallo stesso Mussolini nel 1 927, fu un evento di particolare risonanza nazionale, anche per il forte significato simbolico che volle darle il regime fascista, da pochi anni al potere.

In realtà la storia di questo importante collegamento ferroviario tra il Nord e il Sud del paese si dipana da origini ben più lontane, iniziando il dibattito sul­la sua costruzione già all'indomani della presa di Roma e del compimento dell'Unità.

Prevista e finanziata sin dal 1 879, fortemente voluta da alcuni settori del­la Sinistra parlamentare, ma ferocemente avversata da altre importanti com­ponenti del mondo politico ed economico, la direttissima Roma-Napoli fu uno degli argomenti sui quali, più acceso, si sviluppò il dibattito tra le forze politi­che, determinando schieramenti contrapposti e, spesso, trasversali alla tradi­zionale composizione del Parlamento italiano. Tali contrasti non furono se­condari nell'impedire, al di là dei pronunciamenti ufficiali, l'avvio dei lavori.

Fu a seguito dei nuovi indirizzi in materia di lavori pubblici, maturati con il nuovo corso giolittiano, che nel 1901 il problema di una «ferrovia di grande co­municazione» tra Roma e Napoli venne finalmente affrontato con decisione da parte del governo. Quest'ultimo affidò il compito di elaborare un progetto di mas­sima·alla stessa Commissione Reale nel frattempo nominata1 per affrontare defini­tivamente la questione dell'ultimazione delle ferrovie complementari.

Il 30 giugno 1904 il Parlamento autorizzò la spesa di 34 milioni di lire per la realizzazione di un primo tronco di direttissima tra il fiume Amaseno e Formia2 e il 9 luglio 1 905, dopo l'approvazione del progetto, fu promulgata la legge n. 413, con la quale veniva disposta la costruzione della Direttissima a cu­ra dello Stato. I progetti esecutivi per l'appalto vennero compilati dal Servizio Lavori e Costruzioni dell'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato, cui nel frattempo erano passate tutte le competenze sull'esercizio e sulla costruzione del­le ferrovie in Italia.

Il progetto elaborato dal Servizio Lavori e Costruzioni abbandonò qualsia-

l . Commissione nominata con r. d. 20 luglio 1 90 l . 2 . Legge n. 293 del 30/6/1904. 3 . Sin da quando la Direttissima Roma-Napoli fu inserita nei provvedimenti di leg­

ge per il completamento della rete ferroviaria nazionale ( 1 879; 1 888) fu stabilito di uti­lizzare i tratti in comune con le linee Roma-Velletri-Terracina e Gaeta-Sparanise.

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La modernizzazione del Paese e le ferrovie (1905-1930)

si ipotesi circa un parziale utilizzo di linee già esistenti3 e si orientò verso un trac­ciato radicalmente indipendente che, aggirando il piede dei Castelli romani, si dirigeva verso Formia attraverso Cisterna, Sezze e Priverno (con ben tre galle­rie che consentivano di evitare il passaggio per Terracina e Gaeta) . Per l'ingres­so nella città di Napoli si optava per un percorso 'flegreo' che giungeva nel cen­tro della città attraverso Pozzuoli, Fuorigrotta e Piedigrotta. Il tracciato termi­nale era previsto in sotterraneo con una galleria di 5 chilometri che raggiunge­va la stazione Napoli Porta Garibaldi costruita sotto l'omonima piazza. Un trat­to di linea ancora oggi utilizzato da molti treni provenienti dal Nord e che con­tinua ad essere parte integrante della linea metropolitana cittadina.

L opera soffrì, sin dall'inizio, degli impacci e dei limiti imposti dalle farra­ginose prassi di approvazione ministeriale, di appalto, esproprio e progettazio­ne; eppure, nonostante queste difficoltà, molti importanti lavori, tra il 1 907 e il 1 9 1 1 , furono avviati e portati a un buon punto di esecuzione. Tra questi, di particolare importanza, le tre gallerie di Monte Orso, della Vivola e di Monte Calvo.

Alla fine del 1 9 1 O iniziarono anche i lavori di scavo della galleria del Massico e della galleria urbana di Napoli.

Nel 1 9 1 5, con l'entrata in guerra dell'Italia, iniziò un periodo di grandi dif­ficoltà dovute ai problemi di approvvigionamento dei materiali e di reperimento della mano d'opera. Tutto il complesso di lavori avviati subì, così, ritardi gra­vissimi e molte ditte appaltatrici fallirono.

Con la fine della prima guerra mondiale si aprì uno dei periodi più con­vulsi delia vicenda politica e sociale italiana. Il mondo della produzione fu in­vestito da una violenta ondata di scioperi e rivendicazioni e le istituzioni libe­rali furono messe a dura prova dal crescendo dello scontro sociale e delle ten­sioni politiche. Anche le attività ferroviarie, soprattutto durante il biennio 19 19-1920, ne subirono i contraccolpi con l'arresto dell'avanzamento di tutte le ope­re di nuova costruzione già avviate.

Dal 1920 i lavori sulla nuova linea direttissima Roma-Napoli ripresero con una certa regolarità e tra il 1 920 e il 1 922 vennero aperti progressivamente al­l' esercizio tutti i tratti di linea tra Roma e Formia (a doppio binario tra Roma e Campoleone) .

Nel 1922 la direttissima Roma-Napoli entrò a far parte delle grandi opere che il regime fascista, appena insediatosi, scelse per consolidare una immagine di efficienza e volontà tale da marcare la discontinuità .del nuovo governo ri­spetto alle vecchie istituzioni dell'Italia liberale.

I.:intervento si attuò attraverso una nuova legge di finanziamento genera­le dell'opera, il r. d. 3 maggio 1 923, con cui vennero stanziati oltre 1 93 milio­ni per l'avvio di interventi immediati; con lo stesso provvedimento fu anche au­torizzata una spesa di ulteriori 243 milioni per il successivo periodo 1925- 1927. I lavori si concentrarono soprattutto sull'area napoletana con il completamen­to della galleria urbana e della sede ferroviaria fino a Pozzuoli, la realizzazione

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Ernesto Petrucci - La direttissima Roma-Formia-Napoli

del raccordo con la Foggia-Napoli mediante un tronco di linea tra Villa Literno e Aversa e la costruzione di numerose stazioni, tra le quali le più importanti e impegnative furono sicuramente Napoli Campi Flegrei e Napoli Mergellina, realizzate in forme architettoniche di una certa solennità. Nel tratto laziale, du­rante questo periodo, fu posato il secondo binario da Campoleone a Formia.

La linea fu inaugurata, alla presenza del duce, il 28 ottobre del 1 927, nel quinto annuale della marcia su Roma. La targa inaugurale che fu posta nell'a­trio di ingresso della stazione di Napoli Mergellina recitava:

«Nel V annuale della rivoluzione fascista Benito Mussolini inaugura la via ferrata di­rettissima fra Roma e Napoli strumento e auspicio nel segno del littorio invincibile di mag­giori fortune della Patria>>.

19 12. Monte S. Biagio (Latina) . Inaugurazione della linea Roma-Formia. Foto ICCD, Archivio storico

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1 8 8 1 . Orario della "tramvia a vapore" Roma-Tivoli. ASR, Prefettura di Roma, b. 716, fase. l

Augusto Pompeo

Le tranvie extraurbane

Lo sviluppo del trasporto su ferro nel Lazio negli anni successivi all'Unità d'Italia è caratterizzato, oltre che dalla costruzione e dall'attivazione di linee che collegano Roma con le grandi direttrici nazionali, dalla messa in opera di una rete tranviaria extraurbana che raccorda la Capitale con i principali centri del­la regione' .

Nei primi anni del Novecento, quando cioè si sta per concludere i l perio­do delle Convenzioni, che hanno inaugurato linee di grande e media percorrenza su tutto il territorio nazionale, si avverte la necessità di sviluppare i trasporti ur­bani e regionali. Nel Lazio, fra il 1 906 e il 1 924, parallelamente alla rete ferro­viaria (che già collega Roma con Frascati, Velletri, Frosinone, Viterbo, Civitavecchia e Sulmona) si sviluppa una rete tranviaria che assicura trasporti di persone e merci fra Roma e Tivoli, i Castelli Romani, Fiuggi, Civitacastellana e, infine Ostia. E la novità è rappresentata dall'utilizzo dell'elettricità, il 'carbo­ne bianco' che costituisce, in un paese povero di materie prime, l'alternativa ai costosi combustibili che le nostre industrie sono costrette a importare.

La necessità di attivare linee 'brevi' su ferro è comunque avvertita fin dal­la fine dell'Ottocento e le prime 'tramvie' sono percorse da motrici a vapore. Il primo convoglio tranviario che parte da Roma è infatti condotto da una loco­motiva e collega la Capitale con Tivoli nel 1 879. Un tramway a vapore, quin­di, percorre la via Tiburtina dieci anni prima che la ferrovia 'maggiore' Roma­Sulmona raggiunga l'Abruzzo con un tracciato che, obbedendo a una logica di grandi percorsi, non attraversa i numerosi centri abitati sorti lungo la media val­le dell'Aniene.

Nel 1 876 una società belga, la Société Generale por les Chemins de Fer Economiques con sede a Bruxelles, ottenne dal consiglio provinciale di Roma e dal comune di Tivoli la concessione di un sussidio per la costruzione e per la gestione della tranvia (pensata in un primo momento con traino a cavalli) per la durata di 70 anni e si costituì con sede a Roma, in via Volturno, 35, con il nome di Società anonima delle Tranvie e Ferrovie economiche di Roma, Milano e Bologna: la 'belgà, come era chiamata dai Romani, che ottenne anche la gestione dello stabilimento delle Acque Albule a Bagni di Tivoli.

l . Per notizie più dettagliate relative alle linee descritte nel presente lavoro cfr. V. FOR­MIGARI e P. MUSCOLINO, Le tramvie del Lazio, Cortona, 1982 e A. CURCI, La fer­rovia Roma/Ostia Lido nel cinquantenario della sua apertura all'esercizio 1924-1974, Roma, edizioni Graf n. 2, 1974.

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La modernizzazione del Paese e le ferrovie (1905-1930)

Il tram a vapore partendo dalle Mura aureliane, immediatamente oltre l' ar­co di Santa Bibiana utilizzava il percorso della ferrovia Roma-Orte fino a Portonaccio da dove iniziava il nuovo tracciato. La stazione fu collegata, dal l o novembre 1 879, con un servizio di omnibus a Via Marsala e al Foro Traiano.

La linea non ebbe comunque vita facile: il tracciato risultava troppo a ri­dosso dei centri abitati e le locomotive con il loro sbuffare e, soprattutto, con le lente manovre di 'ripartenzà, creavano disagi alle popolazioni. E' quanto emerge dalle carte della Prefettura, conservate nell'ASR2• Nel l 880, per esem­pio, il prefetto di Roma proibì la circolazione dei treni durante la notte a cau­sa dei frequenti incidenti e per le lamentele ricevute.

Un grave incidente si verificò già due anni dall'inaugurazione della linea: alla stazione di partenza un carro merci carico di travertino fu lasciato 'sfrena­to' e percorse senza guida il primo tratto della Tiburtina a velocità sostenuta. Nella sua corsa cieca il treno investì un omnibus: i passeggeri riuscirono a met­tersi in salvo ma i cavalli restarono uccisi e la vettura fu completamente di­strutta.

Con lo scoppio della prima guerra mondiale, gli utili della tranvia per quan­to riguardava il trasporto delle merci, si ridussero per la concorrenza degli au­tocarri che si cominciava a immettere nel mercato. Solo l'elettrificazione ( ov­viamente con la presentazione di un convinto progetto di ristrutturazione) avrebbe salvato la linea in coerenza con quanto stava avvenendo in altre loca­lità del Lazio. Il tram a vapore Roma-Tivoli, comunque, continuò, fra molte dif­ficoltà, le sue corse fino al 1931 quando fu sostituito da una linea automobili­stica ancora oggi in attività.

Una seconda linea tranviaria a vapore fra il l 880 e il 1 889 attraversò un bel tratto della Campagna romana da Portonaccio a Ciampino e poi a Marino.

Era una linea a scartamento normale che utilizzava locomotive dello stes­so tipo di quelle usate per le grandi linee se pure di dimensioni e potenza ridotte.

I Castelli romani, di notevole interesse agricolo e commerciale, non erano provvisti di una buona viabilità; specie i comuni a ovest della Via Appia erano privi di collegamenti facili con Roma, tanto che era stata da tempo progettata una ferrovia che avrebbe dovuto congiungere quei centri con la Capitale: in par­ticolare la cittadina di Marino, per la sua posizione, era servita da un'unica stra­da carrozzabile.

Il Comune di Marino di propria iniziativa pensò di collegarsi con Ciampino inserendosi nella direttrice Roma-Frascati/Velletri e fece costruire la stazione presso la piazza allora detta del Borgo delle Grazie (oggi nota come Borgo Garibaldi) . I.:inaugurazione avvenne il 30 ottobre 1 880 e il collaudo il 14 lu­glio 1 882: contemporaneamente fu costruita una linea tranviaria a vapore da Roma a Ciampino.

2. Cfr. ASR, Prefettura di Roma, b? . 7 1 1 , 174, 7 1 5 e 7 16.

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Augusto Pompeo - Le tranvie extraurbane

La linea si distaccava dalla tranvia Roma-Tivoli presso Portonaccio e, do­po aver superato la Roma-Orte su un cavalcavia, seguiva per circa cinque chi­lometri una vecchia strada militare, tagliando le vie Prenestina, Casilina, Tuscolana e Latina, sul tracciato oggi occupato dalle vie di Portonaccio, dell'Acqua Bullicante, di Porta Furba e dell'Arco di Travertino. Infine passava sotto la ferrovia Roma-Napoli. Al punto in cui la via dell'Arco di Travertino si innesta sull'Appia Nuova, iniziava il tracciato della tranvia fino a Ciampino, do­ve si collegava al tracciato per Marino.

Buona parte del percorso descritto sarà poi utilizzato dalla ferrovia Roma­Ciampino-Marino-Albano che sostituì la tranvia nel l 889 e, successivamente, dal tram dei Castelli Roma-Albano-Ariccia-Genzano-Velletri: su questo tracciato nato tranviario, poi divenuto ferroviario e di nuovo tranviario, rimangono an­cora molti segni delle linee che vi sono transitate e rimangono in particolare vi­sibili alcuni caselli.

11 1 6 gennaio 1 884 la gestione fu ceduta alla Società per la Ferrovia Albano­Anzio-Nettuno; nel 1 888 alla Società veneta per le imprese e costruzioni pubbli­che.

La tranvia Roma-Civitacastellana fu inaugurata il 3 1 marzo 1906 con una locomotiva e il 23 settembre dello stesso anno con una motrice elettrica. La co­struzione della linea era stata effettuata in un anno dalla Società anonima della Tranvia Roma-Civitacastellana, con sede a Bruxelles.

La tranvia attraversava un comprensorio di circa 100.000 ettari e serviva un bacino di utenza di circa 140.000 abitanti, assicurando il collegamento fra la Capitale e la parte settentrionale del Lazio.

La linea, con i suoi numerosi raccordi, consentì il trasporto di materiali da costruzione provenienti dalle cave dell'Alto Lazio destinati alla crescita edilizia di varie zone dei quartieri Trionfale e Della Vittoria che si svilupparono negli anni Dieci e Venti. La stazione di partenza era posta a Piazza della Libertà: poi il tram seguiva il Viale delle Milizie e si immetteva in Viale Angelico per rag­giungere Ponte Milvio, viale del Lazio (ora Tor di Quinto); di lì seguiva la Via Flaminia in direzione di Civitacastellana con fermate a Grottarossa, Castel giu­bileo, Primaporta, Scrofano (ora Sacrofano), Riano, Castelnuovo di Porto, Morlupo, Magliano Romano, Rignano Flaminio, Sant'Oreste, Stabia, Faleria, Ponzano Cave e, infine, Civitacastellana, in Corso Umberto I, dopo aver attra­versato il ponte sul fiume Treia.

Volendo allungare il percorso la società di gestione modificò la sua ragio­ne sociale e divenne Società Anonima per le tranvie e Ferrovie Roma Nord con se­de a Bruxelles e, con questo nome, inaugurò la tratta per Viterbo nel l9 13 . Agli inizi degli anni Venti, tuttavia, la linea, non appariva più al passo dei tempi (l'in­tero tratto Roma-Viterbo era percorso in quattro ore) e, dopo vari tentativi di utilizzarla nel solo tratto urbano, nel 1 932 fu ristrutturata e sostituita dall'at­tuale nuova ferrovia elettrica sempre gestita dalla SFRN.

La linea tranviaria più tradizionale e, forse, la più cara ai romani, perché

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La modernizzazione del Paese e le ferrovie (1905-1930)

unì la Capitale ai suoi Castelli, fu inaugurata dalla Società delle Tranvie e Ferrovie Elettriche di Roma (STFER - costituita il 29 novembre 1 899) . La linea fu inau­gurata il 1 9 febbraio 1 906 con partenza da Piazza San Giovanni. Nei mesi di marzo e di aprile furono attivate le tratte per Grottaferrata, Marino, Castel Gandolfo, Albano (da Castel Gandolfo) , Ariccia, Genzano e il iO ottobre per Rocca di Papa. Il 4 marzo 1912 fu realizzato il collegamento diretto Capannelle­Albano-Genzano con una deviazione da Via delle Cave per la Via Appia Nuova. Successivamente i binari raggiunsero Velletri ( 12 settembre 19 13) e Lanuvio (8 luglio 1 9 16) . Il 28 luglio 1 932 furono realizzati un prolungamen­to per la località Valle Vergine (ai piedi di Rocca di Papa) e il nuovo impianto funicolare a trazione elettrica oggi ancora esistente anche se non più in uso.

Nel biennio 19 16- 18 Roma fu collegata con Fiuggi, Frosinone e Alatri, con diramazioni per San Cesareo-Frascati e per Vico nel Lazio-Guarcino.

La linea, a scartamento ridotto, fu concepita come extraurbana, ma svolse anche importanti servizi locali a Roma con la diramazione Centocelle-piazza dei Mirti, a Fiuggi con i tronchi per Fiuggi città e Fiuggi Fonte e a Frosinone con la diramazione per Frosinone scalo.

I primi progetti vennero presentati nel 1 907, ma solo nel 19 10 con la na­scita della Società Ferrovie Vicinati (SFV), fu stipulato il contratto definitivo e la costruzione della ferrovia iniziò nel 1913 . Si scelse lo scartamento ridotto fer­roviario di 950 mm. e fu prevista fin dall'inizio la trazione elettrica a corrente continua ad alta tensione. Un primo tronco di 47,5 chilometri da Roma a Genazzano fu aperto all'esercizio il 12 giugno 19 16, insieme alla diramazione San Cesareo-Frascati di 1 5 chilometri circa. Il capolinea in Roma fu fissato a fianco della stazione Termini, lato via Cavour. Il servizio fu attivato con quat­tro partenze giornaliere da Roma a Genazzano. Lanno successivo, il 1 9 17, no­nostante la guerra in atto, la linea fu prolungata con le tratte Genazzano-Fiuggi (30,8 chilometri) e Fiuggi-Alatri-Frosinone (33 chilometri) e con le diramazioni Vico nel Lazio-Guarcino (3,4 chilometri) , Fiuggi città-Fiuggi fonte (4,9 chilo­metri) e Frosinone SFV-Frosinone FS (2,8 chilometri) . Partendo dall'edificio della stazione, la linea percorreva a binario singolo la via Re Boris di Bulgaria (oggi via Giolitti) e giungeva a Porta Maggiore dove tagliava le linee tranviarie una prima volta, passando poi sotto un arco delle Mura aureliane. Attraversate una seconda volta le linee tranviarie della via Prenestina, la linea giungeva in piazza del Pigneto, spostandosi poi sulla Casilina. La linea attraversava poi il quartiere di Torpignattara e giungeva alla stazione di Centocelle. Tornando sul­la Casilina, il binario transitava in località Torrenova, giungendo in località Grotte Celoni e, proseguendo per le borgate Finocchio e Borghesiana, fino al­la stazione di Pantano Borghese da dove, sempre su sede riservata a lato della Casilina, giungeva a San Cesareo, da dove si staccava una diramazione per Frascati via Montecompatri e Monteporzio Catone. Il tram proseguiva poi per Zagarolo, sede di una stazione di scambio con le FS e, attraversate Palestrina e Cave, raggiungeva Genazzano.

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Augusto Pompeo - Le tranvie extraurbane

Nel 1924, portando a compimento tentativi e progetti più che decenna­li, la SEFI unì Roma anche a Ostia portando la Capitale al mare, realizzando un sogno coltivato da decenni.

Alle ore l O del l O agosto, con l'intervento del capo del Governo e del car­dinale Vannutelli, decano del Sacro Collegio e vescovo di Ostia, il treno inau­gurale muoveva dalla Stazione di Porta San Paolo diretto al mare.

Le prime motrici elettriche entrarono in servizio il 21 aprile 1 925, ma fi­no al mese di giugno il servizio fu misto, elettrico e a vapore.

Il completamente della linea a doppio binario coincise con l'inizio del ser­vizio a trazione esclusivamente elettrica con la velocità di 60 chilometri all'ora che consentiva di arrivare a destinazione in soli 30 minuti.

La stazione di Magliana fu indicata come Magliana Ostiense, per distin­guerla da Magliana Portuense delle Ferrovie dello Stato.

I treni ordinari feriali erano sedici coppie, numero che nei giorni di bal­neazione poteva essere aumentato notevolmente in dipendenza dell'affluenza del pubblico, fino a raggiungere, in particolari occasioni, la frequenza di un treno ogni 7 minuti.

La linea ha inizio ancor oggi in piazzale Ostiense con una stazione di testa che comprende tre coppie di binari per il servizio viaggiatori, fiancheggiati da marciapiedi a livello della lunghezza di circa 150 metri, che permettono il ra­pido deflusso e risultano provvisti di pensiline in cemento armato.

All'uscita della stazione la linea sottopassa il piazzale della Stazione Ostiense, sulla Roma-Pisa, con una galleria lunga 1 87 metri. Quindi la linea attraversa una seconda galleria di 230 metri.

Le stazioni iniziali erano Roma Porta San Paolo, Magliana, Mezzocamino (non prevista in progetto ma richiesta dagli utenti) , Acilia, Ostia Scavi, Ostia Nuova (a circa 300 metri dall'arenile) . In quest'ultima stazione sono ubicate le officine per la manutenzione dei rotabilP.

Nel mese di agosto del 1 932 fu sperimentato sulla linea l'impiego di una motrice su pneumatici con motore Diesel da 3 .500 eme di cilindrata progetta­ta dalla Michelin francese e chiamata, per questo la 'Michelina'.

3. Sull'orario di servizio n. 8 troviamo che la velocità massima raggiunge i 65 chilo­metri orari. Sull'orario di servizio n. 17 (del 1932) compare la dicitura Ostia Scavi. Sull'orario n. 1 9, in vigore dal settembre del 1932, Ostia Scavi diventa Ostia Antica e Marina di Ostia diventa Lido di Roma.

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Ferrovia vaticana. Stazione: Pio XI accompagnato da tecnici e personalità visita i lavori di costruzione. Roma, Collezione privata

Antonio Martini*

La Stazione vaticana

Con il Trattato lateranense dell' I l febbraio 1 929, l'Italia s'impegnò a co­struire, all'interno dello Stato della Città del Vaticano, una stazione ferroviaria raccordandola con quella romana di San Pietro.

Progettazione e direzione lavori furono affidati alla Direzione generale del­le nuove costruzioni ferroviarie del Ministero dei lavori pubblici che il 3 aprile successivo iniziò i lavori all'interno ed all'esterno del territorio vaticano. Il nuo­vo tronco ferroviario si raccorda, nella Stazione Roma-San Pietro con la linea Roma-Viterbo, e raggiunge la Stazione vaticana su un viadotto in muratura che sovrapassa la Valle del Gelsomino. Il Piano Regolatore vaticano pose stazione e impianti ferroviari nella zona tra la piazza di Santa Marta ed il Palazzo del Governatorato, ove furono necessari importanti lavori di sistemazione del suo­lo per portare la quota del terreno pari a quella della stazione di San Pietro.

La linea si distacca dai binari di corsa della Stazione di San Pietro e, supera­to il viadotto, entra in territorio vaticano attraverso un fornice aperto nelle anti­che Mura vaticane. All'interno del Vaticano, i binari passano davanti alla stazio­ne e raggiungono una galleria di manovra scavata sotto i Giardini, alla sinistra del Palazzo del Governatorato. La lunghezza totale della linea è di m. 861 ,78, men­tre tra l'asse della Stazione di San Pietro e quella Vaticana corrono m. 624,25.

Per lo smaltimento del traffico previsto, dovette essere ampliata la. Stazione di S. Pietro per installare un nuovo binario e due aste di manovra. I.:asta verso la Stazione di Trastevere richiese l'allargamento del piazzale, il prolungamento di due ponticelli e la deviazione di una strada; il braccio di manovra verso Viterbo fu invece installato sul nuovo viadotto.

I.:opera di maggior impegno tecnico della nuova ferrovia è, infatti, il via­dotto sulla Valle del Gelsomino costituito da otto monumentali arcate per una lunghezza complessiva di m. 143, 12; la larghezza contiene il binario d'accesso al Vaticano e l'asta di manovra, sull'ultima arcata lo spazio si allarga per conte­nere lo scambio d'ingresso alla Stazione vaticana. La realizzazione delle fonda­zioni del viadotto creò notevoli difficoltà per la particolare inconsistenza del ter-

* Per approfondire il tema del presente contributo vedere: Attività della Santa Sede, Città del Vaticano, 1987, p. 1 522; La Ferrovia per lo Stato della Città del Vaticano, Roma, Ministero dei Lavori Pubblici, 1934; S. NEGRO, Vaticano Minore, Milano, 1 937, p. 85; G. PINI, La ferrovia della Città del Vaticano, Roma, 1 934; F. ZANETII, Dalle prime ferrovie dello Stato Pontificio a quella dello Stato della Città del Vaticano, in: «L'Illustrazione Vaticana>>, apr. 1932, p. 376; A. MARTIN!, Ferrovia vaticana, in Mondo Vaticano passato e presente, a cura di N. del Re, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1 995, pp. 489-492.

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La modernizzazione del Paese e le ferrovie (1905-1930)

reno argilloso che richiese il piano di fondazione a notevole profondità con fit­te palificazioni. I lavori per il viadotto, iniziati nell'aprile 1 929 furono ultima­ti nel dicembre 1930.

Il fornice d'ingresso al Vaticano ha l'arco a volta policentrica costruito in mattoni a mano imitanti, nell'impasto e nella misura, quelli delle vecchie mu­ra; è decorato da cornici di travertino e da due stemmi di Pio XI. Il maesto­so portale che chiude il varco, è costituito da due battenti formati da un'in­telaiatura di ferro ricoperta da lamiera decorata con grosse cuspidi. I batten­ti scorrono su carrelli elettrici posti al piano delle rotaie ferroviarie e tra due guide sopra la chiave di volta ritirandosi in un vano nello spessore del muro. La Stazione è servita da due binari comunicanti, di cui uno affianca il mar­ciapiede frontale coperto dalla pensilina; altri due binari tronchi servono al carico delle merci.

Nella zona ove attualmente sorge la stazione, esisteva un'alta collinetta, a ridosso delle Mura vaticane, che fu sbancata e il taglio sostenuto poi con un al­to spesso muro, con paramento di mattoni e cornici di travertino, decorato in alto da un elegante balcone da cui si domina il complesso ferroviario. La galle­ria terminale, in cui si trova l'asta di manovra e lo scambio d'accesso ai binari merci, fu scavata nella collina alla sinistra del Palazzo del Governatorato.

La stazione si realizzò su progetto dell'architetto Giuseppe Momo, con grande impegno estetico in vista delle funzioni di rappresentanza prevedendo­si soprattutto partenze del Papa e arrivi di viaggiatori e di alte personalità in vi­sita ufficiale. L edificio è costituito da un corpo centrale con ampio pronao ver­so il piazzale esterno ed una pensilina verso i binari, è completato da due corpi di fabbrica laterali. La parte centrale è occupata da un grande salone a volta e da due sale laterali. Ampi finestroni, nelle pareti di fondo, illuminano il salone mentre le sale laterali hanno finestroni trifori; i corpi laterali ospitano servizi fer­roviari e di vigilanza. Gli accessi alle sale si aprono sul marciapiede della stazio­ne, sotto la pensilina e, nel piazzale esterno, sotto il pronao transitabile dalle au­tovetture. Le murature dell'edificio sono in pietrame e mattoni con volte, co­perture piane e pensiline in cemento armato. Le pareti esterne sono ricoperte in travertino, tranne la facciata verso i binari che, al disopra della pensilina, è intonacata. Della stessa pietra sono le colonne, i pilastri e le cornici.

Il prospetto, verso il piazzale esterno, reca sulla sommità del pronao lo stem­ma di Pio XI, sorretto da due figure virili; inserita nello zoccolo si trova una fon­tana costituita da una vasca che raccoglie l'acqua da una protrome leonina. Le fronti dei corpi laterali di fabbrica sono ornate da due bas�orilievi di Edoardo Rubino raffiguranti Cristo e gli Apostoli sulla barca di Pietro, a sinistra, e Il rapi­mento di Elia Profita sul carro di fuoco, a destra: ambedue temi con riferimento a VIaggL

Le sale di rappresentanza sono decorate con grande fasto, ottenuto soprat­tutto con l'impiego di preziosi marmi. Le otto colonne, monolitiche in cipol­lino della Versilia delle cave di Seravezza, furono scelte con grandissima cura,

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Antonio Martini - La Stazione vaticana

sia a riguardo della resistenza sia del colore. I marmi del salone sono moderni, di cave italiane: il pavimento di rare pietre colorate poste ad intarsio, gli zoccoli di verde venato e nero Portoro, i portali in rosso di Levanto. Le pareti sono ri­coperte di stucco romano come i cassettoni della volta. Lilluminazione artifi­ciale proviene da lampade poste sulle cornici del salone centrale e sui davanza­li delle finestre delle sale laterali. Tra le coppie delle colonne sono inoltre inse­riti quattro grandi vasi marmorei culminanti con strutture in vetro di Murano contenenti le lampade.

La prima locomotiva di collaudo dei binari entrò in Vaticano nel marzo 1932, il 2 ottobre 1 934, il complesso fu consegnato, dal Ministero dei lavori pubblici, alle Ferrovie dello Stato per la parte in territorio italiano ed alle auto­rità vaticane per quella interna.

Il primo provvedimento legislativo della Città del Vaticano riguardante la sua Ferrovia è contenuto nella Legge sulle fonti del diritto n. II del 7 giugno 1929 con la quale si stabiliva che per il servizio ferroviario si osservasse la legislazio­ne italiana. La gestione tecnica e la gestione commerciale del servizio ferrovia­rio, in un primo momento, restarono divisi tra l'Ufficio Centrale dei Servizi Tecnici del Governatorato e la Sezione Annona ed Economato dipendente dall'Ufficio Centrale di Segreteria. Nel 1 939 fu istituito l'Ufficio Merci, che at­traverso diverse vicende organizzative, ancora gestisce la modesta attività della Ferrovia vaticana.

Sulle funzioni e utilità della Ferrovia vaticana sorse un'ingente letteratura che prevedeva moltitudini di viaggiatori, in arrivo e in partenza, specialmente durante i Giubilei ed in occasione di grandi cerimonie religiose. Il Papa e le per­sonalità in visita avrebbero utilizzato la ferrovia e la stazione sarebbe stata il pri­mo luogo di incontro. Anche il pensiero ufficiale doveva essere orientato in tal senso se si considera il lussuoso arredo marmoreo delle sale di rappresentanza della stazione. L Illustrazione Vaticana rivelava che si stava approntando un tre­no papale per la nuova ferrovia, ma il treno non è mai stato realizzato e la fer­rovia vaticana non ha mai avuto né ferrovieri, né materiale rotabile di sua im­matricolazione. Nessun treno viaggiatori è partito e arrivato alla stazione vati­cana fino a che un convoglio speciale passeggeri, che le Ferrovie italiane mise­ro a disposizione del Vaticano, trasportò la salma di San Pio X a Venezia l' 1 1 aprile 1959. Il successivo convoglio passeggeri, il 4 ottobre 1 962, portò ad Assisi e a Loreto Giovanni XXIII; successivamente è stata ancora usata la ferrovia per trasporto passeggeri tra cui Giovanni Paolo II.

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1 865 . «Legno» adibito al servizio giornaliero di trasporto degli impiegati postali e della cor­rispondenza dalla Direzione postale di Roma alfa Stazione centrale della ferrovia e viceversa. ASR, Direzione generale delle poste, b. 215, fase. 1 527

UOMINI E MACCHINE

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1 1 ottobre 1866. Il Ministero dei lavori pubblici e il Ministero delle finanze del Regno d'Italia concludono una convenzione con la Società delle strade ferrate romane, per assi­curare a questa il compimento e l'esercizio delle ferrovie ad essa concessa. Copertina e particolare ASR, Famiglia Antonel!i, b. 1 1

Filippo Crucitti - Massimo Taborri

Imprese e capitali per le ferrovie

Le strade ferrate dello Stato pontificio nacquero sotto il segno di una mar­cata influenza straniera, inglese all'inizio, poi sempre più accentuatamente fran­cese. Lo Stato del Papa, che non disponeva di materie prime né dì industria pe­sante, e non era in grado di reperire al suo interno gli ingenti capitali necessa­ri, non sarebbe riuscito, con le sue sole forze, a impiantare una rete ferroviaria sul suo territorio.

L: Inghilterra e la Francia costituivano viceversa l'avanguardia dell'industria ferroviaria. In Inghilterra era stata inaugurata, il 27 settembre 1 825, la prima linea ferroviaria del mondo, la Stockton-Darlington, di 34 km, ed era inglese George Stephenson, il padre della locomotiva a vapore. La Francia, che aveva realizzato nel 1 832 la sua prima ferrovia, la St. Etienne-Andrezieux, e aveva svi­luppato in pochi anni un'efficiente industria in questo settore, godeva di una posizione di vantaggio nello Stato pontificio. Dopo aver determinato infatti, con il suo intervento militare, la caduta della Repubblica romana e aver ripristina­to il governo papale, ne garantiva la sopravvivenza mantenendo a Roma un con­sistente corpo di spedizione militare. Guardava quindi con favore allo sviluppo di una rete ferroviaria in territorio pontificio, sia per motivi strategici (con un' at­tenzione spc:;cifica al collegamento tra Roma e Civitavecchia, nel cui porto ar­rivavano i rifornimenti per le sue truppe) , che per motivi economici (acquisire un nuovo mercato per i suoi capitali e per la sua industria) .

La costruzione della prima linea pontificia, la Roma-Frascati, fu concessa alla società Pia-latina che, per difficoltà economiche, non riuscì a portarla a ter­mine. La fusione della Pia-latina con la Compagnia anglo-francese, rappresen­tata dal marchese Mondar, portò poi alla costituzione della Società anonima del­la strada ferrata da Roma a Frascati (detta anche Pio-latina), che ereditò la con­cessione e ne affidò la realizzazione all'impresa inglese York. I.: 1 1 giugno 1 856 la Pio-latina ottenne inoltre l a concessione di una linea che, diramandosi dalla Roma-Frascati all'altezza di Ciampino, doveva raggiungere il confine napoleta­no a Ceprano passando per Cecchina, Lanuvio, Velletri, Valmontone, Segni, Anagni, Ferentino, Frosinone e Ceccano. In seguito a ciò la società mutò il suo nome in Società privilegiata Pio-latina delle Strade ferrate da Roma a Frascati e da Roma al confine napolitano.

Le linee Roma-Civitavecchia e Roma-Foligno-Ancona-Bologna furono concesse alla Società Casavaldès che reperì in Francia, presso il banchiere Mirès, i capitali necessari per la loro costruzione. La Società, che assunse poi il nome di Società generale delle strade ferrate romane da Roma a Bologna per

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Uomini e macchine

Ancona e da Roma a Civitavecchia dette linea Pio-centrale, con sede legale a Roma e sede amministrativa a Parigi, affidò i lavori per la costruzione della Roma-Civitavecchia all'imprenditore francese Debrousse che, avvalendosi an­che dell'opera della guarnigione francese di stanza a Roma, li concluse nel 1859. Nel 1 860 la Società generale delle strade ferrate romane assorbì la Pio-latina, che versava in difficoltà economiche, e acquisì in tal modo anche la concessio­ne della linea per Ceprano i cui lavori, affidati all'imprenditore spagnolo José di Salamanca, si conclusero nel 1 862. Nel 1 865-1 866 la nuova Società delle stra­de ferrate romane (nata il 20 luglio 1 865 dalla fusione delle ferrovie romane, livornesi, maremmane e della Toscana centrale) realizzò il tratto Roma-Corese­Orte della Roma-Ancona (quasi tutta ormai in territorio italiano), e nel 1 867 la Civitavecchia-Orbetello, ma già da qualche anno gli interessi della Società si erano spostati in misura prevalente fuori dai confini pontifici.

27 maggio 1862. Governo pontificio, Direzione generale di Polizia. Foglio di circolazio­

ne nell'interno per gli statisti, rilasciato all'ispettore aggiunto governativo Giovanni

Morelli per l'esercizio del suo ufficio di ingegnere.

ASR, Commissariato generale delle ftrrovie, b. l , fase. 8

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Filippo Crucitti - Massimo Taborri

Gli uomini

Nel novembre 1 859 numerosi erano i francesi impiegati dalla Società ge­nerale delle strade ferrate romane per l'esercizio della linea Roma-Civitavecchia co�e il ca�o del settore movimento Junot (già capostazione di Lille) e i capi�

stazwne d1 Porta Portese e di Civitavecchia Giuseppe Maurice e Alfredo Bachelet. Per limitare il ricorso al personale straniero, ì1 governo pontificio ave­va previsto, nel capitolato stipulato con la società il 25 febbraio 1858,

«l'obbligo di accettare e ritenere negli uffici i cittadini romani ove i l posto non ri­chiedesse una speciale attitudine»1 •

I.:assunzione del personale delle società ferroviarie, che si divideva in per­sonale fisso a stipendio mensile e personale alla giornata con paga giornaliera, e la scelta degli appaltatori e subappaltatori impegnati nella costruzione delle linee, dovevano essere approvate dalla Direzione generale di Polizia soprattut­to allo scopo di escludere coloro che, sudditi pontifici o stranieri, non forniva­no le necessarie garanzie politiche2•

Secondo gli stati generali del personale della Società generale delle strade ferrate romane dell'aprile 1 861 , i ruoli dirigenti tecnici o amministrativi erano ricoperti quasi interamente da personale di nazionalità francese e in qualche ca­so spagnola. Francesi erano, ad esempio, l'ingegnere capo del settore materiale e trazione Giovanni Noseda, l'ispettore del telegrafo Elia Dorken, il capo offi­cina, il capo deposito e gli otto macchinisti di Civitavecchia, il capo deposito e tre macchinisti su quattro di Porta Portese, il capo officina e due macchinisti su quattro di Porta Maggiore. Spagnoli erano invece il capo dell'esercizio Giovanni Guardiola e il capo del movimento Gioacchino Arnau.

La stessa denominazione di tal une qualifiche operanti nell'ambito dell'e­sercizio e, più in generale, molti dei termini adottati nel lessico ferroviario, era­no direttamente mutuati dal francese. Così i manovratori degli scambi erano gli aguglieri, da aguille (ago) con riferimento all'ago dello scambio, i macchinisti

l . ASR, Ministero dei lavori pubblici, commercio, belle arti, industria e agricoltura, b. 320, fase. 17, 24 settembre 1 864: istanza a Pio IX con cui una ventina di impiegati dimessi dalle ferrovie ro­mane denunciano di essere stati «<icenziati militarmente . . . col �emplice pretesto di esuberanza» e im­plorano un intervento del Governo pontificio.

2. ASR, Commissariato generale per le ftrrovie (d'ora in poi CGFP), b. l, fase. 1 : «Regolamento sulle attribuzioni del commissario generale delle ferrovie pontificie>>, titolo N, artt. 36-43, 26 mar­zo 1859.

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Uomini e macchine

erano i meccanici, da mécanicien (termine che in Francia indicava, appunto, il macchinista ferroviario3) e il cupone, (da coupon) era il tagliando rilasciato ai viaggiatori alla partenza e corrispondente al loro bagaglio. Sulla Roma­Civitavecchia inoltre era consueto l'uso di una modulistica bilingue, italiano e francese, per le prescrizioni del servizio movimento.

Dopo il riordino gestionale delle ferrovie del Regno d'Italia del 1 865, alla Società delle strade ferrate romane furono attribuiti la gestione e l'esercizio di linee poste oltre i confini pontifici4. Ciò comportò per la Società complessi pro­blemi organizzativi e noiose lungaggini burocratiche e doganali, come l' obbli­go di sostituire al confine di Ceprano il personale dei convogli che viaggiavano tra Roma e Napoli. A partire da questa data ci furono nuove immissioni di per­sonale pontificio e italiano tanto che, nell'ottobre 1 867, solo una minoranza dei macchinisti in servizio erano ancora francesi. Quasi tutti i nuovi assunti in que­sto ruolo provenivano da attività e mestieri che avevano un contenuto tecnico più o meno remoto: marinai, chiavari, orefici, molinai, falegnami, sellai, dise­gnatori, fabbricanti di vetture a cavalli e perfino un ingegnere.

Nel novembre del 1 868 il personale della Società delle strade ferrate romane operante in territorio pontificio era suddiviso in sei settori operativi: la segrete­ria, con otto dipendenti, il contenzioso con tre dipendenti, la direzione dell'e­sercizio, comprendente gli uffici contabilità e cassa, e il servizio sanitario con 85, il servizio movimento con 337, il servizio manutenzione e sorveglianza del­la linea con 628, il servizio materiale e trazione con 280. Due sole erano le don­ne, impiegate nell'ambito della stazione Termini nei ruoli di portiera e 'guar­dacessi' .

Il servizio materiale e trazione comprendeva il deposito centrale e l'offici­na di Roma, il deposito e l'officina di Civitavecchia, il piccolo deposito di Ceprano e, fuori dai confini pontifici, i depositi di Terni, Foligno, Fabriano, Ancona, e l'officina di Foligno. I depositi principali, come quello di Roma che aveva 92 dipendenti, dovevano essere provvisti di fabbricati per il rimessaggio di macchine a vapore e tender5, di una serie di binari di servizio e di staziona­mento per le locomotive con una o più placche o piattaforme ruotanti di gran­di dimensioni onde poter girare macchine e tender nel senso utile per la mar­cia, di serbatoi d'acqua per l' alimentazionè delle caldaie e di locali per l' ap­provvigionamento del combustibile.

La circolazione dei convogli fu largamente condizionata dal contesto tec­nologico ancora primordiale in cui si svolgeva l'esercizio delle prime strade fer­rate. Precise disposizioni del Regolamento sulla polizia, sicurezza ed esercizio del-

3. Ancora oggi nel gergo dei ferrovieri del compartimento di Roma si è soliti appellare i mac­chinisti col termine di 'meccanico'.

4. S. MAGGI, Politica ed economia dei traspotti (secoli XIX-XX), Bologna, Il Mulino, 2001 , p. 34. 5. Carro ferroviario agganciato alla locomotiva a vapore per il trasporto di carbone, acqua e

attrezzi.

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Filippo Crucitti, Massimo Taborri - Gli uomini

le strade ferrate, emanato il 29 agosto 1 856 dal Ministero dei lavori pubblici, prevedevano che ogni convoglio fosse accompagnato da un macchinista e da un fuochista per ciascuna macchina, e da un certo numero di conduttori guarda­freni col compito di serrare i freni a vite, intercalati nel convoglio, ogni volta che il macchinista lo avesse richiesto mediante il fischio della locomotiva. Il nu­mero dei guardafreni era determinato dalla quantità di vetture e dalla penden­za della linea. In ogni caso un conduttore guardafreno avrebbe sempre dovuto presenziare l'ultimo veicolo di coda per assicurare l'arresto della seconda metà del treno in caso di spezzamento in due segmenti.

La diffusione in Italia del freno ad aria compressa, messo a punto in Inghilterra nel 1 869, che permetteva al macchinista di frenare omogeneamen­te l'intero convoglio agendo dalla cabina di guida su uno specifico dispositivo, avvenne dopo il riassetto delle strade ferrate italiane realizzato con la Legge sul­le convenzioni dell'aprile 1885 . Perciò l'eventualità dello spezzamento del tre­no in due metà costituì a lungo l'incidente più temuto e tutt'altro che infre­quente. Non a caso gli agenti della strada ferrata impiegati lungo la via e nelle stazioni avevano l'obbligo di controllare, al passaggio dei treni, che sull'ultimo veicolo di coda ci fosse la prescritta segnalazione (una bandiera o, di notte, un fanale) , la ·cui sua assenza avrebbe significato l'avvenuto spezzamento del con­voglio.

La circolazione aveva luogo sul binario unico, e ciò costituiva, come si può intuire, un problema regolamentare di grande rilevanza e delicatezza, la cui ri­soluzione fu affidata alla crescente utilizzazione del telegrafo a fili. Le linee per Civitavecchia e per Ceprano furono dotate fin dall'inizio di tale tecnologia, ma non tutti i posti di servizio intermedi ne erano provvisti e non si potevano esclu­dere guasti o interruzioni dei collegamenti nonostante l'impiego di agenti guar­dafili.

Il Regolamento del 1856, cui s'è fatto riferimento, come anche quello adot­tato con l'inaugurazione della Roma-Civitavecchia, approvato dal Consiglio d'amministrazione della società Pio-centrale il 22 marzo 1 859, prevedeva il co­siddetto distanziamento a tempo dei convogli:

«Quando due convogli corrono nella medesima direzione il secondo non può parti­re che dieci minuti almeno dopo la partenza del primo se questo è un convoglio di viag­giatori; e venti minuti almeno, se è un convoglio merci>> .

· Non a caso era prescritto che i treni costretti a fermarsi lungo la linea fos­sero segnalati con l'esposizione di bandiere rosse da collocarsi alla distanza di cinquecento metri. Le principali difficoltà tuttavia erano rappresentate dagli in­croci dei convogli circolanti in senso opposto. A tale scopo, fin dall'attivazione della linea per Civitavecchia, le due coppie di treni giornalieri che partivano da Porta Portese e Civitavecchia dovevano muoversi alla stessa ora e arrestarsi a Palo Laziale, stazione dotata di binari di 'evitamento', per eseguirvi il previsto in­crocio. I convogli sarebbero stati accompagnati da un impiegato pilota il qua-

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Uomini e macchine

le, raggiunta la località di Palo, avrebbe fatto ritorno col convoglio corrispon­dente.

Anche la circolazione dei treni speciali (di ballastaggio6, di manutenzione della linea, di locomotive isolate di soccorso) costituì un problema di non sem­plice soluzione. Trattandosi di convogli non previsti in orario, vi era la neces­sità di preavvertire ogni volta tutti i guardabarriere dislocati lungo la linea af­finché chiudessero i passaggi a livello con l'anticipo previsto di dieci minuti ri­spetto al momento in cui i convogli sarebbero dovuti transitare7• Gravi incidenti a danno di uomini e animali costituivano eventi tutt'altro che infrequenti, e spesso erano collegati al mancato preavviso del transito dei treni speciali, come avvenne in prossimità della stazione di Portonaccio nel giugno 1 8658.

La sicurezza della circolazione era affidata alla scrupolosa osservanza di nor­me prescritte nei regolamenti di esercizio proposti dalla Società generale delle strade ferrate romane e approvati dal Ministero del lavori pubblici, e alla preci­sa determinazione dei compiti attribuiti ai ferrovieri addetti alla circolazione. I.:ordine di servizio n. 4 del 22 gennaio 1 863, in particolare, prescriveva ai ca­pistazione di controllare che i viaggiatori non salissero sul treno privi di biglietto, di assicurare il movimento e la sorveglianza degli aghi degli scambi, dei segna­li a disco, delle pompe e delle gru idrauliche per il rifornimento delle locomo­tive a vapore e di ogni altro dispositivo presente nell'ambito della stazione e at­tribuiva loro la responsabilità delle manovre da eseguirsi, dove presenti, con l' aiu­to dei facchini. Nelle stazioni in cui si formavano i treni essi dovevano, inoltre, ispezionare la parte rimorchiata del convoglio assicurandosi che

«gli apparecchi per attaccare i vagoni (fossero) completi e ben disposti. Che l'interno delle vetture le manopole e gli appoggiamano (fossero) perfettamente nettati. Che i fana­li di dietro (fossero) al loro posto ed in istato d'accendersi al bisogno. Che i lumi interni delle vetture dei viaggiatori (fossero) accesi qualora vi fosse luogo>>9•

6. Operazione di posa in opera e consolidamento del pietrisco della massicciata di una linea ferroviaria; dall'inglese to ballast (zavorrare, consolidare) .

7. ASR, CGFP, b. 54, fase. 548, <<Notificazione del Regolamento dei passaggi a livello della strada da Roma a Frascati», 21 aprile 1 858: «Il passaggio a livello starà aperto fuori dalle ore del tran­sito dei treni, dovrà chiudersi dieci minuti prima delle ore fissate pel passaggio dei treni. Nel caso che un convoglio tardasse più di dieci minuti dopo l'ora fissata, la guardia, assicuratasi prima che il treno non è annunziato potrà far passare le vetture, cavalli o pedoni che si trovassero ad aspettare al passo a livello. Però non dovrà aprire la carriera se non dopo essere andato a piantare la bandiera ros­sa a l 00 metri dal punto donde deve giungere il treno: la chiuderà poi il più presto possibile. L'arrivo di qualunque macchina isolata o di qualunque treno supplementario, o di treno di pietrisco, o di materiali sarà annunciato con la cornetta di chiamata dei cantonieri e il fischio del macchinista».

8. «Giornale di Roma», 26 giugno 1865: «<l giorno 23 giugno sulla ferrovia tra Roma e Corese si scontrarono due convogli operai, uno proveniente dalla stazione di Corese e l'altro proveniente da Termini spinto da una macchina posta in coda. L'evento causò la morte immediata di due ope­rai e gravissime ferite di altri>>. In questi primi anni di esercizio ferroviario furono numerosi gli in­cidenti, soprattutto ai passaggi a livello. Solo nella seconda metà del 1863 se ne verificarono cinque, di cui tre in corrispondenza di passaggi a livello.

9. ASR, CGFP, b. 55, fase. 554: «Ordine di servizio n. 4>>, 22 gennaio 1866.

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l Filippo Crucitti, Massimo Taborri - Gli uomini

Non appena un treno era ricevuto in una stazione, il capostazione doveva immediatamente azionare il disco di protezione della stazione (sussidiato di not­te da una lanterna a vetri rossi), per ordinare, quindi, la ripresa della marcia me­diante tre tocchi di campana.

Nell'ambito delle stazioni il capotreno conduttore del convoglio era sot­toposto all'autorità del capostazione, ma durante la marcia assumeva la re­sponsabilità della corsa. Alle sue decisioni dovevano uniformarsi i condutto­ri guardafreni, il macchinista, il fuochista e tutti gli agenti della via. Il capo­treno conduttore prendeva posto nella garitta del primo veicolo successivo al tender e doveva essere munito di orologio, del quadro grafico indicante la cor­sa dei treni, di bandiere verde e rossa, di fanali per le segnalazioni a vetri bian­chi, verdi e rossi, e di petardi (da porsi sul piano della rotaia per arrestare la marcia dei treni in condizioni di scarsa visibilità) . Prima della partenza e du­rante l'intera corsa doveva osservare costantemente e con attenzione lo stato dei serbatoi del grasso degli assi delle ruote indicando al macchinista quelli che si fossero infuocati.

Il macchinista e il fuochista erano le figure cui era richiesta maggiore de­strezza e maggiore responsabilità. Il loro lavoro aveva inizio in deposito ben pri­ma della partenza del treno. Il fuochista doveva accendere per tempo il fuoco della locomotiva allo scopo di mandarla in pressione e al ritorno doveva occu­parsi della pulizia della graticcia del forno mediante la lancia e gli altri strumenti di cui disponeva. Il macchinista, al momento di rilevare la locomotiva, doveva controllare il livello dell'acqua nella caldaia e lo stato del fuoco, curare il gras­saggio degli organi di movimento e scaldare l'acqua del tender per impedire, d'inverno, il congelamento delle pompe durante il percorso. Al rientro in de­posito doveva gettare il fuoco e le braci residue sopra un binario apposito prov­visto di cenerario, girare la locomotiva mediante la piattaforma girevole (per­ché fosse pronta· a uscire con la macchina anteposta al tender), assistere al cari­camento di combustibile e acqua e al lavaggio della caldaia, controllare tutte le parti meccaniche registrando i cuscinetti delle bielle, i dadi e le guarnizioni del­la locomotiva. Con acuta sensibilità psicologica il capo del servizio trazione Gabet annotava non a caso:

<<Si trova un gran vantaggio, ad integrare il macchinista ad una manutenzione conti­nua ( . . . ) con questo metodo finisce per prendere amore della sua macchina, la cura du­rante il percorso e così ne trae il massimo partito>> 10•

10. ASR, CGFP, b. 57, fase. 587, 6 mar. 1866: ms. firmato dall'ingegner Gabet che descrive l'organizzazione del servizio trazione.

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Anni Venti del '900. Galleria chiamata "Alla Bocca di Roma", presso Bugnara. Archivio privato di Giuseppe di Tommaso (Sulmona)

Filippo Crucitti - Massimo Taborri

Le macchine

Per la prima linea ferroviaria dello Stato pontifico, la Roma-Frascati, furo­no acquistate quattro locomotive-tender a quattro ruote accoppiate e cilindri interni orizzontali, rodiggio 1 -2-01 , costruite dalla ditta Sharp Stewart & C. di Manchester nel l 856. Immatricolate dalla società Pio-latina con i numeri di ser­vizio da 391 a 3942, avevano scarsa autonomia (per il piccolo tender che face­va corpo unico con la macchina e per la scarsa capacità d'acqua) e prestazioni limitate. Una quinta locomotiva-tender, a ruote libere e cilindri esterni oriz­zontali, rodiggio 1 - 1 -0, costruita dalla ditta W Bridgs Adams di Londra nel 1 850, fu adibita sulla stessa linea ai servizi di manovra con il numero di servi­zio 1 002.

Per la costruzione della linea Roma-Civitavecchia furono acquistati a Newcastle dalla ditta Losh, Wilson e Bell 32 scambi, 6.000 tonnellate di rotaie e 600 tubi di ghisa, e dalla ditta Spencer & F. 1472 molle di sospensione d'ur­to e di trazione per veicoli ferroviari. Alla ditta Alétermann di Bruxelles furono commissionati 38 freni meccanici e 1 80 freni a mano, alla ditta Delettrez di Parigi 2 1 carrozze di I classe per viaggiatori. Altre ditte francesi fornirono 30 piattaforme girevoli, l O antenne di segnalazione, 2 macchine alimentatrici d' ac­qua, 7 gru idrauliche e 500 paia di ruote, mentre dalle Officine J. F. Cail & C. di Parigi fu acquistata tutta l'attrezzatura per la manutenzione del materiale ro­tabile. A Civitavecchia infine furono fabbricati 75 carri merci coperti e l 05 sco­perti, 3 carri scuderia, 3 carri piatti per attrezzi, 7 furgoni per bagaglio e 25 car­rozze di II classe per viaggiatorP.

Dodici locomotive assicurarono il servizio ferroviario sulla Roma­Civitavecchia. Una di queste era stata costruita dalla ditta Sharp Stewart & C. di Manchester nel 1 858; aveva ruote libere e cilindri interni orizzontali, rodiggio l­l-l , tender a tre assi e numero di servizio 25. Delle altre undici, tutte costruite dal­la ditta}. F. Cail & C. di Parigi nel l 858, quelle immatricolate con i numeri di ser­vizio da 53 a 60 avevano quattro ruote accoppiate e cilindri interni inclinati, ro-

l . Complesso degli organi (ruote, cerchioni, assi, ecc.) che nei rotabili ferroviari sta tra il bi­nario e la sospensione elastica. Secondo il sistema italiano, il rodiggio delle locomotive si esprime con tre cifre separate da trattini; la prima indica il numero degli assi liberi anteriori, la seconda il nume­ro degli assi di trazione (che ricevono il movimento dal motore tramite gli organi della trasmissio­ne), la terza il numero degli assi liberi posteriori. La prima e la terza cifra assumono il valore zero quando la locomotiva non è fornita degli assi liberi corrispondenti.

2. I. BRIANO, Storia delle ferrovie in Italia, II, Milano, Cavalloni, 1977, p. 27. 3. P. NEGRI, Le ferr?vie nello Stato Pontificio (1844-1870), Roma 1967, p. 18 .

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Uomini e macchine

diggio 1-2-0 e tender a due assi, quelle immatricolate con i numeri da 3 1 a 33 ave­vano sei ruote accoppiate e cilindri interni inclinati, rodiggio 0-3-0 e tender a due assi. Queste undici locomotive furono di nuovo immatricolate nel 1 865 nel par­co rotabili della Società delle strade ferrate romane con i numeri da 381 a 384, da 431 a 434 e da 531 a 533, poi, nel 1 885, passarono alla Rete mediterranea con i numeri da 2776 a 2779, da 2786 a 2789 e da 3938 a 3940; nel 1905 otto di que­ste, ancora in servizio, furono acquisite dalle Ferrovie dello Stato, dove furono uti­lizzate ancora per pochi anni prima di essere demolite. Dieci delle locomotive in servizio sulla Roma-Civitavecchia furono battezzate da Pio IX con i seguenti no­mi: San Pietro, San Paolo, San Filippo apostolo, San Raffaele arcangelo, Santa Firmina, Pio IX, Vaticano, Roma, Civitavecchia e Mediterraneo4•

Sulla linea Roma-Ceprano circolarono 25 locomotive tipo Médoc, così chiamate perché le prime macchine con queste caratteristiche avevano presta­to servizio sulla linea da Bordeaux a Lesparre nella penisola di Médoc. Avevano quattro ruote accoppiate e cilindri esterni orizzontali, rodiggio 1 -2-0, tender a due assi, ed erano state costruite negli anni dal 1861 al 1 865 dalle ditte J. F. Cail & C. di Parigi e André Kochlin & C. di Mulhouse. Una loro particolarità con­sisteva nel fatto che i tubi di adduzione del vapore ai cilindri erano esterni alla caldaia, e che la sede del regolarore, anziché nel duomo5 si trovava in una sor­ta di scarolotto rettangolare posto in prossimità del camino, con un comando che correva esso pure esternamente alla caldaia6• Nel 1 865 furono immatrico­late nel parco rotabili della Società delle strade ferrate romane con i numeri di servizio da 301 a 325, e nel 1885 passarono alla Rete mediterranea con i nu­meri da 2028 a 2052. Nel 1905 ne rimanevano in esercizio 22, che entrarono a far parte del Gruppo 1 3 1 delle Ferrovie dello Stato, per passare poi, nel 1 907, nel Gruppo 1 36 con i numeri da 1361 a 1 382.

Nel frattempo, nel 1 863, l'apertura del ponte dell'Industria sul Tevere e il collegamento di tutte le linee ferroviarie nella stazione provvisoria di Termini facilitarono il passaggio del materiale rotabile da una linea all'altra e ne permi­sero un'utilizzazione più razionale. Prima di questa data per trasferire locomo­tive e veicoli bisognava ricorrere a carri trainati da buoi e bufali attraverso le stra­de della città, operazione quanto mai macchinosa che suscitava tuttavia curio­sità e assembramento di popolo al passaggio dei convogli?.

4. F. OGLIARI, Storia dei trasporti italiani, XV, Milano, Cavalletti, 1983, p. 173. S. Nella locomotiva a vapore, cupola, posta sopra la caldaia, in cui il vapore viene raccolto pri­

ma di passare nei cassetti di distribuzione per essere immesso nei cilindri. 6. G. CORNOLÙ, Locomotive a vapore, Parma, Albertelli, 1989, pp. 1 1 1-1 13. 7. ASR, CGFP, b. 57, fase. 583, 20 ott. 1862: la Società generale delle strade ferrate romane

chiede alla Direzione generale di Polizia, tramite il Commissariato generale per le Ferrovie pontifi­cie, il permesso di trasportare una locomotiva dalla stazione di Porta Portese a quella di Porta Maggiore passando per lo stradone di S. Francesco a Ripa, S. Maria in Trastevere, via della strada Longara, S. Spirito, piazza Pia, ponte Sant'Angelo, via di Tor di Nona, Monte Brianzo, piazza Borghese, il Corso, piazza di Venezia, la Colonna Traiana, piazza delle Carrette, il Colosseo, lo stra­done di San Giovanni e le mura di Roma.

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TRENI D'AUTORE

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Lazio. [Roma], Direzione generale delle ferrovie dello Stato [ 19 13] , 207 p. (Guide regio­nali illustrate) ASR, Biblioteca

Serena Dainotto

'St'invenzione è tutt'opera infernale' : immaginario, turismo e letteratura dal Belli a Campanile

La progettazione e la costruzione delle prime ferrovie fu preceduta e ac­compagnata da un ampio dibattito sull'opportunità di intraprendere tali imprese e sulle proposte riguardanti i tracciati da privilegiare.

Parecchi anni prima dell'inaugurazione della prima linea ferroviaria dello Stato pontificio, la Roma-Frascati, il treno entra nell'immaginario collettivo su­scitando stupore unito anche a timore nei confronti del nuovo mezzo di tra­sporto, invadente, rumoroso, grande, pericoloso, e soprattutto cosi veloce da sovvertire le leggi naturali.

Fin dal 1 83 1 Giuseppe Gioachino Belli si fa interprete delle sensazioni e degli umori popolari in un sonetto dal titolo Le cose nove, dove esprime lo sgo­mento che suscita la velocità: «Pe tterra curri scento mijja in fila, l Senza un caz­zo cavalli né timone». Torna sull'argomento nel 1 839, con un sonetto in italia­no, Le vetture a vapore: «cento carra e cento l Volar senza cavalli al par del ven­to». Ed infine nel 1 843, quando la realizzazione della ferrovia sembrava immi­nente, con Le carrozze a vvapore, continua ad esprimere la tradizionale diffi­denza del popolino nei confronti del treno: «St'invenzione è ttutt'opera infer­nale» e conclude il sonetto affermando che «Si fussi bbona, er Papa saria er pri­mo l De mette ste carrozze a ccasa sua».

Ma il papa chiamato in causa, Gregorio XVI, non era ben disposto nei con­fronti della nuova invenzione, tanto da vietare ai sacerdoti, con una ordinanza della Curia romana, di impartire l'assoluzione «a chiunque rischiava la vita so­pra le macchine infernali che violavano le leggi della natura sulla velocità».

Per questa ostinata e anacronistica diffidenza, alla sua morte girava un aned­doto:

« . . . il papa [Gregorio XVI] dopo che fu morto, postosi in viaggio per l'altro mondo, fu incontrato da San Pietro, a cui dimandò quant'altro cammino vi fosse per giungere in Paradiso. San Pietro gli rispose che vi era ancora un mese. Il Papa a tale notizia mostrò di­spiacere perché si era già molto stancato e protestò che non poteva andare innanzi; ma San Pietro scarso di complimenti: Ben ti sta, gli aggiunse, potevi fare la strada ferrata e a que­st' ora saresti già arrivato».

Il vivace dibattito e la ricca pubblicistica sul tema (cfr. la Bibliografia) co­nobbero nuovo impulso e vigore con l'elezione di Pio IX; il nuovo papa consa­pevole del fatto che la mancanza di strade ferrate penalizzava lo sviluppo eco­nomico, diede un concreto sostegno ai progetti e alla loro realizzazione, gua-

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Treni d'autore

dagnandosi anche un simpatico anagramma: Giovanni Maria Mastai Ferretti =

Nomi Grati Amnistia e Via Ferrata. Negli anni che precedettero l'entrata in funzione delle prime linee regna­

va una grande attesa per a nuovo mezzo di trasporto, nel quale si riponevano grandi speranze per il miglioramento delle condizioni economiche; e infatti non solo la stampa specializzata («La Locomotiva», «Giornale delle strade ferrate»), ma anche testate di informazione e di cronaca davano ampio spazio alle aspet­tative e seguivano la realizzazione dei progetti.

Dall'ideazione si passa in pochi anni alle effettive modifiche che le strade ferrate e le stazioni ferroviarie producono entrando nel tessuto urbano e nel pae­saggio della campagna romana; la ferrovia mantiene contestualmente un posto preponderante, non solo nell'immaginario, ma anche nella fotografia, nell'ar­te, nella letteratura.

Sorte principalmente per ragioni economiche e commerciali, la linea per Frascati e pochi anni dopo quella per Civitavecchia, vengono immediatamen­te recepite e utilizzate per le straordinarie valenze turistico culturali, legate alla comodità, rapidità e piacevolezza del viaggio in ferrovia. Sono infatti alcune gui­de di Roma e dintorni destinate ai viaggiatori ed ai pellegrini a segnalare tem­pestivamente la nuova opportunità, per raggiungere agevolmente e velocemen­te i primi luoghi serviti dalla ferrovia.

Inizialmente non tutte le guide e neppure tutti i viaggiatori condividono questo entusiasmo, ritenendo che il mezzo meccanico potesse turbare la perce­zione estetica che consentiva il tradizionale lento attraversamento della campa­gna; infatti per parecchi anni, in alcune guide si continua a privilegiare il per­corso da fare in carrozza, in quanto ritenuto più adatto a godere le antichità, i monumenti ed il paesaggio:

«le più lontane escursioni ne' dintorni di Roma possono farsi colla strada ferrata o coi tramways. Ma per visitar meglio i luoghi e i monumenti che spesso s'incontrano lungo le vie è meglio recarvisi in vettura. Noi accompagneremo il visitatore, supponendo appun­to, che egli vada per le vie carreggiabili».

Non mancano le guide straniere, come quelle inglesi, più pragmatiche, che descrivono i due diversi itinerari.

Tuttavia, in poco tempo la strada ferrata conquista il favore del turista più esigente. Le guide segnalano positivamente la possibilità di viaggiare nei din­torni della città con il nuovo mezzo veloce che consente anche al turista fretto­loso di raggiungere velocemente la destinazione, e addirittura di andare e tor­nare in giornata. Proprio grazie alla ferrovia, Frascati occupa un posto privile­giato fra le località turistiche intorno a Roma e la nuova possibilità viene se­gnalata nelle guide:

« . . . ma oggi volendo profittare della strada ferrata, conviene passare per Porta mag­giore ove è stabilita la stazione della ferrovia» infatti a Porta maggiore «rimane la stazione

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Serena Dainotto - 'St'invenzione è tutt'opera infernale'

della ferrovia da Roma a Frascati inaugurata il 9 luglio 1 856, p�r cura del cavaliere Oliviero Yorb.

. P_oc�i anni dop�, la li�ea Civi,tave_cchia-�orna diviene l'accesso principale

e prlVllegiato pe� c�1 prov�ene dall Italia e dall estero, comoda per chi viene via m�re e da prefenre m ogm caso alla strada carrozzabile da Napoli, considerata faticosa e pericolosa.

Già nel 1 8_60 J. Garau, pubblica il Voyage "en chemin de fer de Civitavecchia

� 1!-�me, una gu��a destinata al viaggiatore colto che intenda visitare agevolmente 1 sm archeologici etruschi dell'alto Lazio.

. Fi�� all: avvent? �el_la m�torizzazione di massa sarà infatti il treno a porta­

re I tunsn ne1 luogh1 d1 villeggiatura; grazie al treno si creano nuove fasce di uten­za assai più differenziate e allargate verso i ceti più modesti; l'offerta di servizi t�ri�tici, ovver� di �iaggi e _di s

_oggiorno va di pari passo con lo sviluppo ferro­

viano. In q_ues: ottic� la DireziOne generale delle ferrovie dello Stato promuo­

ve la pu�bhcazwne d1 collane di guide turistiche legate agli itinerari serviti dal­la ferrovia, alcune delle quali edite con la collaborazione del Touring Club Italiano.

La stazione ferroviaria di Roma, come tutte le altre, diventa nella lettera­tura lu��o di in�ontri, fughe, soste, attese. Le emozioni ed i sentimenti dei per­sonaggi mterag1scono con treni, con l'affollamento o con la desolazione delle stazioni, luog?i in cui c'è chi si perde, chi fugge, chi pia.nge.

. �che nei racconti di Pirandello sono frequenti situazioni in cui la ferro­via diventa un elemento che condiziona la vita dei personaggi; per quanto ri­guard� Roma, la stazione ferroviaria diventa un luogo di incontri fortuiti, di �m�rru�ento psicolo�ico e di co�creto sgo�ento, come quello che accompagna I� VIag�I·o· verso la cap

_Itale della gwvane balia (La balia, 1 903) venuta da un pae­

smo SICihano e che s1 perde alla stazione Termini a causa del ritardo del treno All'angoscia della sperduta forestiera si contrappone la stizza dell'avvocato eh� l'attende:

«-,Scusi il treno da Napoli?

- E in ritardo di quaranta minuti. - Ferrovie italiane! Cose da pazzi!»

. In �n altro racconto ( Vtt bene, 1905) il protagonista, sfortunato professo­re �I latmo, ?el c�rso del viaggio in treno da Roma a Nettuno vive uno dei po­chi momenti belli della sua vita, e si commuove alla vista della natura rigoglio­sa della primavera e del mare.

Gabri�le _D'Annunzio enfatizza gli aspetti più inquietanti del treno, cari­

candolo dei piÙ vari significati simbolici, anche sinistri, come la morte e il sui­cidio. A volte rappresenta la fuga dal presente e l'isolamento dal mondo ester­no, come il viaggio che, nel Trionfo della morte, fanno i due amanti sul treno che li porta Roma:

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T reni d'autore

«rimasero così, un poco estatici, un poco intorpiditi nel tepore, cullati dal moto egua­le e continuo del treno, intravedendo talvolta per i vetri un paesaggio verdastro nella neb­bia».

Grazie al treno, mezzo economico e rapido, anche la piccola borghesia co­mincia ad apprezzare la villeggiatura, e nella Roma umbertina è la classe media impiegatizia ministeriale che offre spunti esilaranti alla letteratura umoristica; ricordiamo tra tutti Policarpo de Tappetti, protagonista del romanzo di Gandolin, (La famiglia De Tappetti, 1 887) che decide di portare la famiglia in villeggiatura a Frascati:

«l De Tappetti salgono sopra un omnibus, e arrivano alla stazione un'ora prima del­la partenza del treno.

- Scusi - dice De T appetti, cavandosi il cappello, a un facchino - mi saprebbe dire a che ora parte il treno delle 5 .50?

- Dieci minuti prima delle sei. - Sempre ritardi - esclama Eufemia: indi, volgendosi al marito: - in che classe si va? - Andremo in terza . . . non essendovi la quarta. Finalmente la famiglia è in viaggio. Agenore non lascia un minuto il finestrino, e tem­

pesta il babbo di domande imbarazzanti. - Papà! Che cosa è il vapore? - Il vapore è il fumo che penetra nelle ruote e si converte in forza motrice, per mo-

do che quando una locomotiva è in movimento tutti i vagoni le corrono appresso fino a che si scenda a una stazione che sarebbe per esempio Frascati.

- Papà! Perché si chiamano vagoni? - Perché vagano sulle ruote. - Papà! Perché gli alberi fuggono? - N o n è che un'illusione ottica: quanto più si va innanzi, l'albero va sempre indietro

rimanendo fermo al suo posto, così che, a poco a poco, si perde di vista; mentre al con­trario, se noi si restasse fermi, l'albero camminerebbe, cosa che non può stare, e che io tuo genitore, non dovrei neanche permettere.

Finalmente si scende a Frascati . >>

Sui treni affollati per Frascati viaggiano anche i personaggi di un racconto umoristico in dialetto romanesco di Luigi Palo m ba ( Treno tropea: gita a Frascati, 1 885); durante il viaggio, la tropea, ovvero la sbornia presa con il vino dei Castelli, crea situazioni comiche e grottesche.

La vocazione turistica delle ferrovie non conosce soste, man mano che si costruiscono nuove linee sorgono nuovi insediamenti (Ladispoli) ed altri si svi­luppano (Anzio) e trovano una rinnovata vitalità grazie alla moda dei bagni di mare.

A questo proposito va ricordato che dal 1 888 al 1 942 un tronco ferrovia­rio collegava la stazione di Palo-Cerveteri (oggi Ladispoli-Cerveteri) con la spiag­gia di Ladispoli; nella stagione estiva i bagnanti e i villeggianti potevano utiliz­zare due treni speciali a prezzo ridotto che partivano da Termini e da Trastevere.

Attento osservatore dei costumi e della società anche Trilussa sulle pagine del quotidiano Il Don Chisciotte di Roma (1 895) descrive la moda dei bagni a

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Serena Dainotto - 'St'invenzione è tutt'opera infernale'

Ladispoli, e sottolinea come la vita effimera della nuova cittadina sia dovuta esclusivamente al treno:

«<a sua popolazione è come il mare, . . . fluttuante, è grande all'arrivo del treno-bagni ed è nulla quando il treno parte>>.

Detto in versi:

Bi gli etto terza classe d'andata e di ritorno durata d'un sol giorno, due lire e mezzo val. Conosci tu Ladispoli Dove del bagno appresso Pranzare t'è concesso Come pranzò Lucul?

Più tardi anche Achille Campanile (Agosto, moglie mia non ti conosco, 1 930) osserva divertito la folla dei gitanti che la domenica mattina si affretta a pren­dere il treno:

«Si va all'alba e il cielo resta grigio. Il treno dei bagnanti è nervoso.>> Ed al ritorno «Alla fioca luce delle lampade dell'ultimo trenino balneare, la ridda dei pomelli accesi, degli oc­chi lustri e dei nasi rossi nei carrozzoni traballanti, è diabolica e spaventosa>>.

L umorismo di Achille Campanile trova negli scompartimenti del treno la giusta ambientazione per creare situazioni surreali e bizzarre, come nel roman­zo Ma che cosa è quest'amore (1 924) che inizia alla stazione Termini, dove i per­sonaggi che casualmente prendono posto nel medesimo treno per Napoli, nel corso della narrazione, si ritroveranno in altri treni. Come il treno che va ai Castelli, che sembra riassumere tutte le valenze dell'immaginario e del fantasti­co:

<<Intanto il Roma-Rocca di Papa, carico di gitanti, trasvolava sul piano e sulle mon­tagne, scomparendo nelle valli, riapparendo sui ponti fragorosi e solcando praterie ster­minate, fulmineo e rombante>>.

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Adolfo Tommasi, Il fischio del vapore, 1884 Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali.

Maria Grazia Branchetti

Note d'arte

Le arti figurative guardano con interesse immediato all'icona treno e ne ri­cavano storie figurate in cui si specchiano le trasformazioni sociali e culturali che accompagnano l'affermarsi del nuovo mezzo di trasporto1 •

L avvento della ferrovia e del suo sviluppo nel periodo 1846 -1 930, così co­me è proposto dalla mostra, riguarda la regione Lazio ma, per il processo di mo­dernizzazione che mette in moto è certamente un fenomeno che incide sul mo­do di essere di tutta quella parte della società contemporanea che ne sperimen­ta la comparsa e la rapida evoluzione.

In un' epoca di grande impegno per le arti, in direzione di un rinnovamento di linguaggio e di contenuti, il nuovo soggetto costituisce un motivo in più per confrontarsi con il presente.

Nella fase ottocentesca, il repertorio iconografico che ha come soggetto il treno, oscilla tra il polo di una rappresentazione di tipo narrativo e quello di un verismo ora di denuncia ora venato di sentimentalismo.

Nella fase novecentesca, invece, nell'immagine del treno si vede incarnato uno dei miracoli della vita contemporanea. E' il futurismo ad elevare la mac­china, in senso lato, a nuovo mito in quanto espressione per eccellenza del mon­do moderno. La velocità è celebrata da Filippo Tommaso Marinetti ( 1878-1944) , fondatore del movimento, come una nuova forma di «bellezza» che ar­ricchisce la magnificenza del mondo2• Umberto Boccioni ( 1882- 19 1 6) , espo­nente di primo piano della pittura futurista, nei suoi scritti teorici spiega con il concetto di «dinamismo» che il moto è la vita stessa «afferrata nella forma che la vita crea nel suo infinito succedersi»3•

l . In Italia i l tema è affrontato contemporaneamente all'introduzione del trasporto ferroviario nel Regno di Napoli (1839) da Salvatore Pergola (Napoli, 1799-187 4) che lo rappresenta in modo analiti­co, nel solco del vedutismo tardo settecentesco reso celebre a Napoli da Jacob Philipp Hackert (1737-1807), nel dipinto L 'inaugurazione della firrovia Napoli Portici, oggi nelle collezioni del Palazzo Reale di Caserta (L. MARTORELLI, La pittura dell'Ottocento nell1talia meridionale {1799-1848), in La pit­tura in Italia, l'Ottocento, II, Milano, Electa, l991, p. 485, fig. 696) . Un profilo dell'iconografia euro­pea di carattere narrativo e satirico dedicata al treno è tratteggiato da C. LACCHE', Treni d'Europa, Città di Castello, Petruzzi Editore, 1993. Italia e Francia nel l956 diedero vita ad una esposizione sull'argo­mento curata da V.LENA, L.SALERNO, Mostra Italo-jì-ancese di pittura. Un secolo di firrovie e d'arte, marzo-aprile 1956, Roma Palazzo delle Esposizioni, Roma, De Luca, 1956.

2. F.T. MARlNETTI, Fondazione e Manifesto del Futurismo, 9 fibbraio 1909, in M. DE MI­CHELI, Le Avanguardie artistiche del Novecento, Milano, Feltrinelli, 1975, p. 370.

3. U. BOCCIO N!, Pittura e sculturajùturiste, a cura di Z. Birolli, Milano 1997, p. 95 (Saggi

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Treni d'autore

I punti di vista che contraddistinguono la produzione della pittura italiana ispi­rata al treno sono esemplificati in mostra da un piccolo ma significativo numero di riproduzioni pittoriche concesse dai rispettivi Istituti di conservazioné.

Le opere in mostra

AURELIO TIRATELLI, Un disastro firroviario, 1880 ca. (Roma 1842-1900) Olio su tela, cm 62 x 135 Roma, Ministero della Istruzione

Aurelio Tiratelli fu tra i pittori che nella seconda metà dell'Ottocento si dedicarono con attenzione e passione alla rappresentazione della Campagna romana e delle Paludi pon­tine. La sua esperienza di pittore paesaggista si rivela in modo significativo in quest'ope­ra nella quale la vera protagonista è proprio la natura. La scena è quella di una grande ra­dura delimitata da alberi su cui si abbatte una tempesta della cui violenza fanno fede le chio­me agitate degli alberi e il cielo carico di nubi. Da lontano una locomotiva avanza verso il primo piano dove il terreno appare invaso dall'acqua. Accanto alla zona allagata un ferro­viere agita la bandiera rossa per segnalare il pericolo al macchinista. Le dimensioni impo­nenti che l'artista assegna al paesaggio e la meticolosa descrizione degli effetti della tem­pesta esprimono tutta la drammaticità dell'evento sottolineando la fragilità dell'azione uma­na contro la forza della natura.

Il quadro fu acquistato dal Ministero della Pubblica Istruzione e fu replicato, dal­l'artista, per il re Umberto I ( 1878-1900) .

e Documenti del Novecento) . Boccioni, ha raffigurato il tema del treno in modo innovativo sia nel­la forma che nei contenuti nelle due versioni della trilogia gli Stati d'animo (Gli Addii Quelli che par­tono, Quelli che restano) . Nella seconda versione ( 1911 ) de Gli Addii (New York, Collezione Nelson Rockfeller), l'artista rappresenta una locomotiva sbuffante le cui singole parti, scaglionate su più pia­ni e rese con forme geometrizzate, si compenetrano tra loro e con l'ambiente mentre gruppi di fi­gure abbracciate fluttuano nello spazio. All'interno di questa realtà in vorticoso movimento spicca chiarissimo il numero di marcatura della locomotiva, il <<6943, indicativo dei treni viaggiatori ve­loci. Il sistema a quattro cifre in bronzo fu adottato dalle FS nella fase iniziale di esistenza. Il nume­ro 6943, in particolare, contraddistingue il gruppo FS 690 (G.CORNOLO', Locomotive a vapore, Ermanno Albertelli Editore, Parma 1989, pp. 261-263). Nel dipinto dunque Boccioni introduce con l'elemento 'numero di marcatura'un riferimento chiarissimo al tema della velocità. Il modo con cui è reso il soggetto rispecchia il concetto boccioniano di dinamismo ossia dell'azione simultanea di mo­to assoluto (potenzialità plastica che l'oggetto ha in sé anche se fermo) e di moto relativo (trasfor­mazioni che l'oggetto subisce nei suoi spostamenti in relazione all'ambiente in cui si muove), una combinazione che produce la sintesi di ciò che si vede e di ciò che si ricorda.

La fortuna del tema del treno nella pittura futurista è ampiamente documentata in Futurismo e Futurismi, Catalogo della mostra, a cura di P.HULTEN, Milano, Bompiani, 1986; M.CALVESI, Al debutto del secolo, in Novecento, Arte e Storia in Italia, Catalogo della mostra, Roma, Scuderie pa­pali al Quirinale, 30 dicembre 2000 - l aprile 200 l, Skira, Ginevra-Milano 2000, pp.65-85; P. GIN­SBORG, Storia ed Arte nell1talia del ventesimo secolo, lvi , pp.41-46.

4 La presentazione di queste opere ha il solo scopo di fissare alcuni momenti essenziali delle va­riazioni del tema del treno nella pittura in relazione al percorso documentario della mostra. Di con­seguenza anche i riferimenti bibliografici sono limitati all'indicazione dei testi da cui sono tratte le citazioni inserite nel testo.

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Maria Grazia Branchetti - N o te d'arte

RAFFAELE FACCIOLI, Viaggio triste, 1 883 (Bologna, 1846-1916) Olio su tela, cm 165 x 1 1 3 Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali.

Una giovane vedova con la sua bimba addormentata, è seduta nella poltrona accan­to al finestrino dello scompartimento di un vagone ferroviario. La donna fissa uno sguar­do triste sulla figlioletta di cui lascia che il capo, abbandonato nel sonno, cada all'indie­tro senza sostegno. Il taglio ravvicinato, di tipo fotografico, della scena, porta in primo pia­no tutti i particolari dell'arredo dell'ambiente che si caratterizza, in particolare, per il mer­letto a grandi rose che copre lo schienale del sedile imbottito. Sotto il finestrino spicca la targhetta ovale con la scritta E' VIETATO FUMARE.

Della fortuna che riscosse il dipinto testimonia la richiesta di una replica da parte del Kedivé d'Egitto che l'artista eseguì (1 884) sostituendo le figure con quelle di una madre che riporta a casa il figlio ferito in guerra. E' nota anche un'altra replica, come la prima, ma di dimensioni minori.

ADOLFO TOMMASI, Ilfischio del vapore, 1 884 (Livorno, 1851-Firenze, 1933) Olio su tela, cm 123,5 x 208,5 Roma,Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali.

Un'ampia pianura con casolari e campi coltivati è teatro dell'incontro di due civiltà: quella della macchina e quella contadina. La scena è animata dall'apparire, in lontananza, di una locomotiva e dalla presenza, in primo piano, di una giovane donna con figlioletta e di un gruppo di tacchini. La locomotiva, che si annuncia con il caratteristico fischio, por­ta scompiglio nella quiete della vita agreste spaventando la bimba, che si avvinghia alla ve­ste della madre e vi nasconde il viso, e gli animali, che starnazzano e fanno la ruota.

Attento alla rappresentazione oggettiva del reale, secondo i canoni della pittura veri­sta, l'artista si distingue in questo quadro anche per la capacità di tradurre emozioni con tono pacato e naturale5•

SCUOLA TOSCANA, Veduta di Treno in corsa, Fine XIX secolo Olio su tela, cm 30 x 50 L'analisi stilistica permette l'attribuzione ad ambiente toscano Comune di Pescia, Museo Civico, Collezione Ansaldi

LUIGI SELVATICO, Partenza mattutina, 1899 (Venezia, 1873-Roncade di Treviso, 1938)

5. L'acquisto del dipinto, da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, all'esposizione di Torino del 1844 per la Galleria Nazionale istituita a Roma, fu salutato dalla critica come il << .. trionfo ufficiale dei maestri nuovi e di idee che in fatto d'arte sono state sino ad ora dette nocive e sovversi­ve dell'estetica della buona pittura>>, L. CHIRTANI, in <<L'Illustrazione Italiana,, I, 1884, p. 3 19.

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Treni d'autore

Olio su tela, cm 1 16 x 1 1 9 Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali

La sala d'ingresso della stazione di Venezia è uno spazio silenzioso animato dalla so­la presenza di una donna in lacrime e di un uomo di spalle. I due personaggi che occupa­no, rispettivamente, il primo ed il secondo piano della scena, appaiono entrambi seduti e ripiegati su se stessi. Non c'è comunicazione tra loro e la pena da cui sono dominati ap­pare amplificata dal vuoto che li circonda. Il soggetto si inserisce nel filone della pittura patetico-sociale di fine Ottocento.

L'opera fu esposta alla terza internazionale di Venezia (1 899) dove «fu molto loda­ta pel felice contrasto delle luci e soprattutto per il mesto e gentile sentimento>>6•

SCUOLA ROMANA, Veduta di Treno in corsa, inizi XX secolo Olio su tela, cm 20,5 x 40,5 L'analisi stilistica permette l'attribuzione ad ambiente romano Comune di Pescia, Museo Civico, Collezione Ansaldi

ANSELMO BUCCI, Jl lampo, 1 921 (Fossombrone/Ps, 1887 - Monza 1 955) Olio sul tela, cm 177 x 2 1 9 Roma,Galleria Nazionale d'Arte Moderna. S u concessione del Ministero per i Beni e le Attività culturali.

Il quadro r�ffìgura la periferia di una città industriale (Milano) illuminata spettral­mente da un lampo che squarcia il cielo. Il punto di vista alto evidenzia le essenziali geo­metrie dei caseggiati e ne esalta le proporzioni rispetto ai veicoli che si muovono nelle stra­de. Cosi anche il treno, che si vede correre in lontananza, sulla sinistra, in uno spazio la­sciato libero dalla case, è solo un elemento che completa lo scenario di una città moderna.

Il paesaggio urbano è uno dei temi centrali affrontati dalla pittura italiana dell'im­mediato primo dopoguerra. Il linguaggio utilizzato in quest'opera, per la solida resa dei vo­lumi e l'ordine compositivo, è in linea con la pittura proposta agli inizi degli anni Venti dal gruppo "Novecento" formatosi a Milano con l'apporto dello stesso Bucci.

IVO PANNAGGI, Treno in corsa, 1 922 (Macerata, 1 901 - 1 981 ) Olio su tela, cm 1 00 x 120 Macerata, Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata

" .. Non più nudi, paesaggi, figure, simbolismi per quanto futuristi, ma l'ansare delle

6. Quarta Esposizione internazionale d'Arte della città di Venezia, 1901, Catalogo illustrato, Venezia 190 1 , p. 136 s.

7. Ivo Pannaggi, Vini cio Paladini, Manifesto dell'arte meccanica futurista, 1922. Per la biblio­grafia sull'artista e il Manifesto dell'arte meccanica futurista si veda Pannaggi e l'arte meccanica futu­rista, Catalogo della mostra a cura di E. Crispolti, Macerata 22 luglio -15 ottobre 1 995, Palazzo Ricci, Pinacoteca Comunale, Palazzo Contini, Milano, Mazzotta, 1 995.

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Maria Grazia Branchetti - Note d'arte

LOCOMOTIVE, l'urlare delle SIRENE, le RUOTE DENTATE . . . e tutto quel SENSO MECCANICO NETTO E DECISO che è l'atmosfera della nostra sensibilità"7•

Il dipinto rappresenta la posizione nuova rispetto alla macchina che caratterizza la ri­cerca del secondo Futurismo, di cui Ivo Pannaggi fu esponente di rilievo. In esso trovano forma emblematica i principi teorici espressi nel Manifesto dell'arte meccanica futurista in cui la macchina è esaltata come protagonista della vita moderna e riconosciuta, con le sue stereometrie, «la sorgente ispiratrice per l'evoluzione e lo sviluppo delle arti plastiche».

Nel Treno in corsa qui riprodotto l'artista assegna eguale evidenza ai due aspetti più modernamente suggestivi della macchina: la velocità e la sua struttura meccanica. La pri­ma si configura attraverso le fughe prospettiche e il gioco delle linee-forza che indicano, in modo dinamico, le direzioni delle forme-colore prolungandone idealmente il moto al di fuori del quadro; la seconda dalla geometrizzazione del volume dei corpi. Il colore ac­ceso scandisce i passaggi e le intersezioni dei piani e delle strutture plastiche.

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1 959 . Un convoglio di soldati parte per il fronte, dal film "La grande guerra" di Mario Monicelli.

1961 . Totò, travestito da religioso, tenta la fuga in treno, dal film "I due Marescialli" di Sergio Corbucci.

l Manola Ida Venzo

Impressioni dallo schermo

<<Il cinema non è nato con il treno, però è nato con un treno. Una delle sue prime immagini era quella di un treno che si muoveva verso gli spettatori: l'avevano girata i fra­telli Lumière, gli inventori del cinema ed era così realistica per quegli anni da provocare reazioni di spavento e di fuga . . . »

così Gian Luigi Rondi (In treno al cinema, 1 988). Quella dei fratelli Lumière fu la prima proiezione cinematografica della storia ( 1895) e s'intitola­va L'arrivée d'un Train en Gare.

In effetti, se le prime apparizioni cinematografiche del treno avevano lo sco­po di destare impressione e stupore nel pubblico, ben presto il treno perde il suo carattere di eccezionalità e diviene lo sfondo per raccontare storie di avventu­re, di amori e di intrighi.

La stazione, i binari, i vagoni costituiscono lo scenario per fughe, assalti o in­contri, lo scompartimento funge da luogo statico ma lanciato in corsa in cui si in­trecciano dialoghi e relazioni come in un microcosmo. Qualche volta però - suc­cede con Il ferroviere di Pietro Germi (1956) - il cinema non solo utilizza il treno come cornice ma entra nella vita di chi lavora sui treni a raccontarne la storia.

Scorrendo la vasta produzione cinematografica italiana si trovano bellissi­me citazioni ferroviarie, anche se bisogna convenire che manca l'equivalente di un film di culto quale La bete humaine (tratto dal libro di Zola e splendidamente interpretato da Jean Gabin) .

Con la collaborazione della Scuola Nazionale di Cinema, sono state sele­zionate alcune immagini di film conservati in quell'archivio che in qualche mo­do richiamano il periodo storico preso in considerazione dalla mostra:

nel film 1860 di Alessandro Blasetti ( 1 932) lo scompartimento è un cro­giuolo in cui si affrontano le varie ideologie e in cui si mescolano senza ca­pirsi i dialetti di un Italia ancora da fare; in Treno popolare di Raffaele Matarazzo ( 1933) la biglietteria della linea Roma-Orvieto, affresco di una umanità variopinta e rumorosa, fa da sfon­do alla rivelazione di un tradimento coniugale; . La grande guerra di Mario Monicelli ( 1959) ci mostra scene di convogli fer­roviari in partenza per il fronte o di ritorno, attraverso cui passa l'immagi­ne di una identità nazionale sofferta e consapevole, resa più drammatica dal­la simpati:;t irresistibile dei due protagonisti (Gassman e Sordi) ; infine il film I due marescialli di Sergio Corbucci ( 1961 ) , ambientato in pe­riodo fascista, ci regala alcune scene di Totò che cerca scampo nella fuga in treno travestito da religioso.

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1909. Mirabile atto di valore del fochista Aldo Hinna. Composizione di Cesare Picchi (detto il Moro di S. Gallo), foglio volante a stampa. Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari, biblioteca

«Vienivo quà da Napoli cor treno de le otto, a quanto veddi un'angelo

Simonetta Ceglie

Motivi musicalF

de fori a quel casotto. Stava diritta e immobile reggeva 'na bandiera. Era un pezzetto nobile, era 'na cantoniera. Da quella vorta in poi io non connetto più . . . Stò sempre in ferovia Stò sempre a fa su e giù!>>

Queste le strofe iniziali de La cantoniera de la ferovia, canzonetta senti­mentale scritta da Adolfo Giaquinto, uno dei migliori poeti romaneschi di al­lora, e presentata al festival di San Giovanni nel 1894. E' tra i pochissimi bra­ni a tema ferroviario del pur vastissimo repertorio romano classico, di cui il con­corso citato fu tradizionale vetrina tra la fine dell'800 e gli anni Quaranta. Allo stesso modo il treno suggestionò assai poco gli anni d'oro della canzone napo­letana, sebbene Napoli fosse stata la prima città italiana a dotarsi di strada fer­rata e di officine ferroviarie a Pietrarsa. Basti pensare che la stes-?a Funiculì, fu­niculà, successo mondiale, nacque proprio nel l 880 come canzone pubblicita­ria della funicolare su rotaia da poco inaugurata per collegare la città parteno­pea col Vesuvio e disertata in blocco dai napoletani poco sensibili e diffidenti verso ogni tipo di carrozza e ferramenta !

Bisognerà arrivare agli anni Trenta inoltrati, in piena era dello swinge del­le grandi orchestre radiofoniche, per ritrovare una serie di motivetti allegri e rit­mati d'ispirazione ferroviaria, da Fischia il vapor sulla strada ferrata dell' orche­stra Barzizza, a Espresso della mattina ( 1 936) di Garni Kramer con l'orchestra del Circolo dell'ambasciata di Milano, a FrancescaMaria! ( l938), valzer lancia­to da Masseglia, a Il Treno, pezzo virtuosistico per fisarmonica di Wolmer Beltrami.

Niente a che vedere con l'America, paese dagli spazi sconfinati, che ha nel viaggio il suo mito di fondazione e di identità nazionale. Laggiù ritmi e suoni della ferrovia ebbero da subito uno straordinario impatto sull'immaginario col-

l. Esempi di composizioni a tema ferroviario nell'Italia tra la metà dell'Ottocento e gli anni Trenta.

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Treni d'autore

lettivo, tanto che un variegato filone di railroad music attraversò un po' tutti i generi musicali americani dal blues al country-folk al jazz.

Al contrario in Italia, connotazione più forte e ricorrente del treno, «em­pio mostro» che, per dirla con Carducci «con traino orribile sbattendo l'al e gli amor miei portasi»2, fu quella del distacco, della tristezza struggente di un ad­dio all'amore e, al tempo stesso, dell'ansiosa frenesia del ritorno a casa.

Citazioni ferroviarie sono pertanto frequenti in primo luogo nel reperto­rio dei canti di lavoro legati al pendolarismo stagionale3 (es. quelli di risaia) , op­pure nei canti di miniera, dove la ferrovia, più che per lo sradicamento dai pro­pri cari, è maledetta per le vittime che a lei vengono immolate. Ballate come Eravamo in ventinove, Ta-pum o Il traforo del Sempione e le sue vittime, fanno da tragico contraltare agli inni, danze e marce trionfalistiche composte durante l'e­poca dei grandi trafori ferroviari, quali Il traforo del Moncenisio di R. Carboni (1 872) o Il traforo del Sempione ovvero la festa di due popoli di M. Albani (1 906) . E la manodopera giunse anche dal Lazio: così, ad esempio, i minatori ferrovia­ri di Roviano, paese della valle dell'Aniene, dalla vita in galleria appresero, in­sieme al mestiere, i canti di miniera di area settentrionale, immettendoli poi sta­bilmente nel repertorio musicale tradizionale della propria comunità.

Anni dopo, nel 1932, il tema degli scavatori di trafori sarà ripreso da un tango di Bixio e Cherubini, Rotaie, melodrammone a sfondo sociale nel solco del populismo di regime, che narra di una tragica frana in galleria:

«Fischia sulle rotaie la vaporiera, tutti i compagni il sole saluteran, ma con il cuore stanco, senza parole, penso a chi giammai rivedrà il sole>>.

Altro filone d'elezione di musica ferroviaria è quello dei canti di guerra, es­sendo proprio un treno speciale, la tradotta, a trasportare i soldati al fronte: da O macchinista forza il diretto, brano circolante nella prima guerra d'Africa e nel­la guerra di Libia, a Ti saluto (vado in Abissinia), motivetto d'epoca fascista, do­ve la guerra diventa quasi un'esotica meta turistica (1 935), a Sento il fischio del vapore (1939), canto d'amore antimilitarista, riferito all'occupazione dell'Albania ed attestato in diverse versioni nel folklore musicale anche lazialé.

All'epopea della grande guerra risale, però, il repertorio musicale di mag­gior vastità e notorietà, ancora oggi in gran parte eseguito dai cori alpini. E' an-

2. G. CARDUCCI, Alla stazione in una mattina d'autunno, dalle Odi barbare. 3. Di contro, figura centrale dei canti d'emigrazione è piuttosto il bastimento - tra le eccezio­

ni Treno fo presto scritto nel 1928 dal romano Romolo Balzani, l'arcinoto autore di Barcarola roma­no - essendo l'America meta principale del flusso migratorio dall'Italia tra 1 880 e 1920.

4. Cfr. S. BIAGIO LA, Etnomusica. Catalogo della musica di tradizione orale nelle registrazioni dell'Archivio Etnico Linguistico-Musicale della Discoteca di Stato, Roma, Il Ventaglio, 1986. Contro guerra e regime è anche Il diretto, adattamento satirico di un brano d'autore, assai diffuso durante il Fascismo, che lo proibì.

144

l Simonetta Ceglie - Motivi musicali

ch'esso infarcito di immagini ferroviarie. Si pensi non tanto ai canti d'autore au­lici e retorici, ma a quelli anonimi, nati spontaneamente nei campi di battaglia su antiche cantilene, ballate, stornelli, brani di tradizione orale, che la vita in trincea trasformò in una sorta di 'canzoniere' nazionale unitario, seppur ricco di regionalismi. Tra i tanti Monte Canino, Bandiera nera, La tradotta che parte da Novara, canto quest'ultimo molto diffuso in Emilia ed entrato, poi, nel re­pertorio di risaia. Il tessuto musicale è spesso mutuato dai canti di lavoro, co­me nel già citato Ta-pum, in cui l' onomatopea è riferita non più allo scoppio delle mine, ma ai colpi d'arma da fuoco o ne La tradotta che parte da Torino, ri­facimento di un antico canto di miniera del Bresciano5•

Brani dedicati alla prima guerra mondiale sono presenti anche tra i pezzi in concorso alla festa della canzone romana di San Giovanni, già menzionata, come La partenza, scritta da D'Agostini nel 1915 , oppure E'finita la licenza, che canta il saluto dei soldati rispediti al fronte dopo una breve licenza premio. Neppure sor Capanna, al secolo Pietro Capanna (1 865- 1921) , mitico stornel­latore ambulante romano dalle strofe argute e sferzanti confezionate sui fatti del giorno, si trattiene da questa invettiva contro la guerra e chi la dichiarò:

«Manni a fonno li vapori co' innocenti viaggiatori e le vittime scampate tu ammazzi a fucilate».

Tra i mille stornelli di questa sorta di 'gazzettino popolare' della Roma d'un tempo, ce n'è uno, La vaporiera di Vagliani, che ironizza su quella volta che, al­la fine del 19 16, un treno proveniente da Firenze sfondò i cancelli della stazio­ne Termini, fermandosi con la locomotiva fumante proprio davanti ai tavoli del ristorante Vagliani, quasi sotto il grande orologio, frequentatissimo punto d'in­contro.

«A la stazzione un treno ha deragliato, veniva da Firenze, quer diretto. Arivò lì de corsa, senza fiato aveva tanta fame poveretto. Volle entrà, 'sta ferovia, da Vagliani in trattoria, senza creanza pe' mette quarche cosa ne' la panza>> .

Ettore Petrolini ( 1886- 1936) fece dell'inconfondibile figura del sor Capanna - bombetta, occhiali scuri, chitarra a tracolla - una delle sue mac­chiette più riuscite, portandola in giro per i caffè-concerto e i tabarin della ca-

5. Altre volte il processo è inverso, come nel canto di risaia Saluteremo il nostro padrone, già ri­cordato.

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Treni d'autore

pitale. Ecco alcune strofette 'al vetriolo' sulle ferrovie cantate alla maniera del sor Capanna dal celebre attore-autore romano:

«Le Ferovie appartengheno a lo Stato È bello assai er servizio che te fanno! Si monti drento ar treno, dopp'un anno Si nun mori acciaccato, sei arivato. Si voi fà quarche viaggetto E pià te voi er diretto, Poco ce manca Che arivi vecchio e co' la barba bianca. Poco ce manca Che arivi vecchio e co' la barba bianca».

D i tutt'altro tenore è il Canto dei piccoli firrovieri, inno celebrativo del tre­no e del lavoro, in accordo con la retorica scolastica dell'epoca, che inizia così:

«Come nel cielo passan le rondini così fra i campi passa il vapore, passano ponti, passano alberi, passano monti>> .

Fu composto il l gennaio 1920, per il coro dell'Opera di assistenza edu­cativa per i figli dei ferrovieri, istituzione romana sorta l'anno precedente con la finalità di offrire diversi servizi didattico-ricreativi ai fanciulli dei lavoratori di questo settore, tra i quali, appunto, corsi di canto corale.

Cantato in musica fu anche il treno popolare, tipologia ferroviaria istitui­ta dal Fascismo qualche anno più tardi (1932) come svago educativo delle mas­se, con carrozze di sola III classe e biglietti di andata-ritorno scontati del 70%. Tra le tante ricordiamo Tutti a Ostia (1933), canzonetta balneare di Castellani e Balzani, dedicata ad una gita in ferrovia da Roma ad Ostia e le melodie com­poste lo stesso anno da Nino Rota per Treno popolare, uno dei primissimi film italiani sonori, il secondo, dopo Rotaie di Camerini, di ambientazione ferro­viaria. La pellicola di Matarazzo fu un fiasco, ma alcuni motivetti di sottofon­do alla trama - le vicende di tre giovani partecipanti ad una gita in treno po­polare da Roma ad Orvieto - in gran parte intonati dal coro dei viaggiatori nel clima euforico della festa, ebbero un certo successo. Specie una marcetta in per­fetto stile fascista, imitatissima, orecchiabile e semplice, forse troppo, dato che Rota preferì affibbiarne la paternità al fratello Luigi:

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<<Oh treno popolar gaia istituzion di mille, mille cuor sei la seduzion. Sulla campagna in fìor fischia già il vapor. Fra un coro di canzon, regna il buon umor».

Simonetta Ceglie - Motivi musicali

. La

. �ap�rie�a, coi .s�oi. molteplici ed inusitati suoni e ritmi, ispirò anche com­

pos:to�l, Itali�lll class1�1 �l ,differenti periodi, generi e stili, sebbene veri capola­

von d1 musica ferrov1ana appartengano, però, soprattutto al repertorio colto d'oltralpe.

Un petit train de plaisir è uno scanzonato divertimento musicale, uno dei 'peccati di vecchiaià - per l'appunto Péchés de vie flesse è intitolata la raccolta cui a�par.tiene -.c�e

,Giocchino R�ssini com�ose tra il 1 8�0 e il 1 865 per pren­

dere m g1ro la ovllta delle macchme e, particolarmente 1l treno, sorta di 'car­rozza del diavolo', odiata a vita dopo esserci salito una sola volta. Coacervo di emozioni negative puntualmente registrato in questa sorta di narrazione sono­ra comico-imitatif, così recita il sottotitolo, di un viaggio per strada ferrata, cor­r:data .da comn:e�ti a margine,, che aiut�o a pro�edere scena dopo scena. l: acustica ferrov1ana - «cloche d appel», «siflet satan1que», «douce mélodie du frein» - si fa musica, fino all'inevitabile catastrofe finale - «terrible déraillement du convoi» - con tanto di morti e feriti - «premier mort en Paradis» (arpeggio ascendente), «second mort en Enfer» (arpeggio discendente) - canto funebre e Amen in do maggiore. A questo punto «on ne m'y attrapera pas» commenta di cuore Rossini.

Di poco posteriore è il valzer a quattro mani per pianoforte La firrovia M�ntova-Modena di Lucio Campiani, compositore mantovano, pezzo d'intrat­temmento assai più convenzionale.

Esaltazione della velocità e dell'universo macchinistico sono alla base del­l' �stetica musicale futurista, cosicché «le locomotive dall'ampio petto, che scal­pitano sulle rotaie, come enorini cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi» citate da Màrinet�i nel primo manifesto del movimento pubblicato su «Le Figaro» nel 1909, d1:ennero tra le fonti privilegiate d'ispirazione compositiva. Molteplici ed audaci furono le sperimentazioni, sebbene spesso la realizzazione pratica del­le roboanti teorie fu piuttosto deludente, come nel Grande concerto jùturista dzn­tonarumori di Milano ( 19 14) , in cui di Luigi Russo lo, pittore-musicista, esibì un'orchestra di 1 8 strumenti acustici in grado di riprodurre e amplificare dif­ferenti tipologie di rumori meccanici. Tra i 'brani ferroviari' ricordiamo Concerto marinettiano (per un treno) di Russolo e Pratella e Anihccan 3000 (1924) di Casavola, trasposizione musicale a più voci della discussione meccanica tra lo­comotive innamorate del capostazione, tratta dalla Canzone rumorista di Depero.

Per la 'musica in scenà ricordiamo per tutti il mitico ballo Excelsior ( 188 1) che, ispirato al monumento torinese dedicato al traforo del Cenisio, ebbe uno strepitoso successo mondiale ed il Duetto del treno tratto dall'operetta Il trillo del diavolo ( 1928) del messinese Alfredo Cuscinà: le avventure parigine del suo Satanello saranno tra gli ultimi fuochi di questo genere musicale di Il a poco so p-piantato dal teatro di varietà.

·

Si è scelto di esporre in mostra una serie di canzoni e ballate stampate su fogli volanti tra la fine dell'800 e la prima decade del '900, epoca d'oro di que-

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Treni d'autore

sta ' letteratura muricciolaià, strettamente connessa all'operare dei poeti-canta­

storie in varie parti d'Italia, poiché ci danno uno spaccato dei fatti e delle ri­

flessioni sul treno più forti e ricorrenti nell'i_mm�ginario P?pol

_are d

_i ��or�.

'Poesie cantate' in quartine, sestine di endecasrllabr o ottonan, sm temi pm dr­

sparati - fatti atrocissimi, storie senti�en�ali: co�quis�e.soc�ali, _satira di costu­

me, cataclismi, miracoli, commemoraziOni dr fatti sto n Cl salienti, ecc. - che, es­

sendo destinate all'intero circuito nazionale, hanno contribuito, un po' come

oggi la televisione, alla maturazione della cosid�etta cult�ra popol�re italiana.

I versi, generalmente d'autore, venivano vendut� d�le e�rcole, dagh arr:bulan­

ti, dai barbieri, dalle bancarelle durante le occasiOni fesnve, oppure dar canta­

storie stessi durante gli spettacoli di piazza, con illustrazioni stereotipate secondo

i dettami dell'iconografia popolare. La musica, invece, veniva venduta a parte

- ai fogli volanti si affidò anche la nascente editoria �ella canzone -. opp�r�, co­

me nel caso delle ballate di cantastorie, era improvvisata su moduli tradlZlona­

li 0 adattamenti delle melodie più diverse - dalle otto battute popolari alle tren­

tadue della canzonetta - anche tratte dal repertorio 'leggero' allora in voga. Per

dare un ventaglio dei vari generi e tematiche di argomento ferroviario si spazia

da la Ridicolissima storia d'un contadino che va in treno in pellegrinaggio a Roma,

«canzonetta tutta da ridere», al Mirabile atto di valore del fochista Aldo Hinna, a

Il disastro ferroviario di Signa avvenuto la mattina del 15 aprile ! 90?., al tra?;ico

suicidio di Una ragazza che si butta sotto il treno a Montevarcht, all mno trion­

fale, Il traforo del Sempione, ovvero la festa di due pop�li o alla ballata �ommo­

vente Il traforo del Sempione e le sue vittime, queste ulnme contrastanti angola­

zioni di un medesimo argomento6.

6. Per approfondimenti: G. BORGNA, Storia della canzone italiana, Milan�, 1:'fondadori, 1992; R. MARlANI, Roma in bianco e nero. Cento anni di vita romana, Roma, Caprrolmm, 1971 ; G. MICHELI, Storia della canzone romana, Roma, Newton Compton, 1989; P . PRATO, Il suono dei treni. Musica e ftrrovia da Berlioz al rock, Roma, Ferrovie dello Stato, 2000; F.K. P

_RIEBER�,

Musica ex-machina, Torino, Einaudi, 1975; Un secolo di canzoni. Fogli volanti a cura dr F. Rocchr, Firenze, Parenti, 1961 .

148

Clemente Marsico/a

Quadri fotografici dalla ferrovia scomparsa Civitavecchia-Capranica-Orte

La ferrovia Civitavecchia-Orte, dismessa dal 1961 , nacque incorporando un tratto già esistente di circa 7 chilometri tra Capranica e Ronciglione, e si componeva in realtà di due tronchi distinti, uno tra Civitavecchia e Capranica e l'altro tra Ronciglione e Orte.

Il tratto abbandonato, di fatto adibito a pista ciclabile e oggetto della cam­pagna fotografica dell' I. C. C.D., è il tratto Civitavecchia-Capranica.

La ferrovia fu attivata nel 1 928 dopo sette anni di lavoro, e nel paese di Barbarano chi scrive ha parlato con persone che conservano ancora un vivo ri­cordo delle feste per l'inaugurazione cui assistettero con tutta la classe, il mae­stro e la banda.

La ferrovia voleva unire le acciaierie di Terni al porto di Civitavecchia, at­traversando un paesaggio aspro e spopolato; per realizzarla fu necessario co­struire molti ponti e molte gallerie.

Partend-o da Civitavecchia si incontravano le stazioni di Aurelia, Mole del Mignone, Allumiere, Monte Romano, Civitella Cesi, Bieda, Barbarano, Veiano e Capranica.

In realtà la tratta non fu mai sfruttata al pieno delle sue possibilità di tra­sporto; per anni se ne trascurò la manutenzione tant'è che nel 1960 la velocità media era di 1 5 chilometri orari.

Nel 1 961 , l'otto gennaio, al chilometro 1 3,200 all'imbocco della galleria Centocelle sull'Asco cedette la parte alta del rivestimento murario della trincea causando uno smottamento del terreno che ricoprì il binario per circa cinque metri. La frana poteva essere eliminata abbastanza facilmente, ma di fatto fu pre­sa subito come pretesto per chiudere all'esercizio una tratta considerata già da anm un ramo secco.

Nel 1 983 il Ministero dei trasporti decideva di ripristinare la linea ; i la­vori iniziarono nel 1986 e consistettero nella rimozione dell'armamento (bina­ri, traversine, ecc.), nella decespuliazione, nella ristrutturazione dei ponti, nel­la ricementificazione delle gallerie.

I lavori sono stati ultimati nel 1 994, con una spesa complessiva di 220 mi­liardi di lire.

La finanziaria del 1998 ha stanziato i rimanenti 123 miliardi indispensa­bili per la riattivazione effettiva della ferrovia, ma di fatto i lavori non sono più proseguiti.

La Civitavecchia Capranica (km 47,500 circa) è oggi di fatto utilizzata da

1 49

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Treni d'autore

ciclisti e amanti del trecking; attraversando paesaggi di rara suggestione in un ambiente in larga misura ancora incontaminato. Forse solo l'Appia Antica con­sente una visione più affascinante. Permette, tra l'altro, di ammirare le rovine di Centocelle, il paese in cui si rifugiarono gli abitanti di Civitavecchia, salvo poi tornare alla loro città d'origine, appunto la 'civita vecchià; permette di am­mirare il borgo e la chiesa medioevale della Farnesiana.

Per percorrere le gallerie bisogna munirsi di una torcia anche per evitare di imbattersi in qualche animale rifugiatosi all'interno.

Gli edifici delle stazioni, mai restaurati, conservano tratti di una elegan­za formale ancora vagamente liberty, con belle piastrelle monocrome che indi­cano il nome della stazione.

Non è stato semplice per Roberto Galasso e Albino Stacchi, fotografi dell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, effettuare la cam­pagna fotografica, essendo tra l'altro loro specializzati nella ripresa fotografica di pitture antiche, statue e altre tipologie di beni culturali. Si sono dovute af­frontare serie difficoltà logistiche nel trasporto della strumentazione lungo il per­corso sterrato e disagiato.

Alcune foto sono state elaborate al computer sfruttando il gioco fra poli­cromia e monocromia e tra bianco e nero e colore, tentando di valorizzare in particolare modo gli elementi architettonici delle stazioni.

E' intenzione del Laboratorio fotografico dell'ICCD continuare a lavora­re, oltre che sulle tipologie tradizionali di beni culturali, sull'archeologia indu­striale e sulla documentazione delle infrastrutture.

1 50

BIBLIOGRAFIA

(Serena Dainotto)

La bibliografia riporta esclusivamente le pubblicazioni relative alla creazione ed allo sviluppo delle ferrovie a Roma e nel Lazio fino al 1930.

Per le opere generali si rimanda a: A. Giuntini, Contributo alla formazione di una bi­bliografia storica sulle ferrovie in Italia. Milano, Società Nazionale di mutuo soccorso fra ferrovieri e lavoratori dei trasporti, 1989; per gli articoli apparsi sulla stampa periodica e per le fonti ufficiali ed atti delle società concessionarie si rimanda a P. Negri, Le ferrovie nello Stato pontificio: 1844-1870, in Archivio economico dell'unificazione italiana, Serie I, vol. XVI. Roma, [s.n.] , 1967.

Le pubblicazioni, suddivise per specifici argomenti, all'interno di ogni sezione ven­gono date in ordine cronologico. I titoli posseduti dall'Archivio di Stato di Roma sono se­guiti da <ASR>.

STATO PONTIFICIO IN GENERALE

GALLI Angelo, Cenni economico-statistici sullo Stato Pontificio con appendice. Discorso sull'agro ronza­no e sui mezzi di migliorar/o. Roma, Nella tip. Camerale, 1 840, XV, 555 p. <ASR>

MONTI Coriolano, Primi opuscoli di Coriolano Monti pubblicati tra il 1839 ed il 1842. [S.I., s.n., 1 842?).

HEYERMANN Guglielmo, Progetto per l'istituzio­ne di una nuova banca pontificia, ed applicazio­ne della medesima alla costruzione delle strade for­rate nello Stato pontificio. Roma, Tip. Menicanti, [ 1 84.), 21 p

AGOSTI G. C., Osservazioni sul primo atto della presidenza umbro-perugina per la Società nazio­nale delle strade fon·ate nello Stato pontificio. Foligno, [s.n.], 1 846.

All'Ecc. ma Commissione deputata all'esame dei pro­getti delle strade fon"tlte. Memoria intorno ad un progetto di comunicazione fta la Toscana e lo Stato pontificio per la linea di Val d'Amo e l'Unzbria. Roma 1 846.

BAVOSI Giuseppe, Pensieri per fa costruzione di al­cune strade forrate nello Stato pontificio sulle linee che sembrano più confocenti alfa sua prosperità e tratto partito dall'unico varco dell'Apennino. [Perugia, s.n.], 1 846, 28 p. <ASR>

BLASI Benedetto, Del danno che avvm·ebbe allo Stato pontificio da qualunque stmda forrata di co­municazione fi"a fa Toscana e l'Adriatico: lettera al chiarissimo signor cavaliere Angelo Galli com­putista generale della R. C.A. Roma, Ti p. delle belle arti, 1 846, 3 1 p. Estr. da «L'Album>>, A. XIII, distribuzione 32. <ASR>

BLASI Benedetto, Sulla utilità delle stmde fon·ate nello Stato pontificio, lettera . al eh. sig. Alessandro commend. Cialdi tenente-colonnello di marina in

risposta ad un opuscolo anonimo. Roma, Tip. del­le Belle Ani, 1 846. 1 8 p. Estr. dal «Giornale Arcadico», r. CIX.

BRAGA Alessandro, Sulle strade fon·ate pontificie, pensieri. Roma, A. Natali, 1 846, 38 p.

Buon (Il) capo d'anno, almanacco per l'anno 1847, regolato coll'orologio o/tramontano e cmndato col programma delle strade forrate nello Stato Pontificio, non che di varie poesie a Pio IX Bologna, Tip. di San Tommaso d'Aquino, [ 1 846?] , 48 p.

CAMPITELLI Raffaele, Discorso intorno le strade forrate per gli Stati pontifìcj. Ancona, Per Sartorj Cherubini, 1 846, XXVI p.

CIMATTI Domenico, Le strade forrate pontificie: canzone. Firenze, G. Raggi e C., 1 846, 1 2 p.

Dichiarazioni ed osservazioni sopra il progetto della Società Principe Conti e C. i per le strade fon·ate nello Stato Pontificio e sopra un articolo . . . scrit­to da O. Gigli nel mo Artigianello. [S.I., s.n., 1 846], 1 1 p.

FARRICELLI Alessandro, Cenni onde illuminare l'opinione pubblica sui danni che apporterebbe agl'interessi materiali dello Stato pontificio la co­struzione delle strade fon·ate. Italia, [s. n.], 1 846. 8 P·

FEO LI Raffaele, Sulle strade fonwte nello Stato pon­tificio, discorso. Ancona, Tip. G. Aurelj, 1 846, 22 p. <ASR>

GALLI Angelo, Sull'opportunità delle strade forrate nello Stato pontificio e sui modi per adottarle: ri­flessioni. Roma. Tip. Menicanti, 1 846, 97 p.

GIGLI Orravio, Progetto della Società nazionale Principe Conti e C. i per le strade fonwte nello Stato Pontificio col quale gli utili si dividono a tutto be­neficio del popolo che può prendervi parte col ri­spamzio giornaliero di baiocchi cinque e mezzo. Il progetto fiz presentato a Sua Santità Pio IX il gior-

1 5 1

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<<La maravigliosa invenzione»

no 14 luglio 1846. Roma, Ti p. de' classici sacri, 1 846, 7 p. Estr. da «L'artigianello», 2(1 846), n. 33. <ASR>

Memoria della Commissione amministrativa della provincia di Spoleto sulla utilità e convenienza di preforire ad ogni altra la linea Spoleto, Terni e Narni per continuare da Fuligno alla volta di Roma la stmda forrata proveniente dal porto di Ancona. Spoleto, Tip. Bassani e V ossi, 1 846.

PETITTI DI RORETO Carlo Ilarione, Intorno al progetto del conte Pichi col quale si danno in pre­stito al governo pontificio quattro milioni di scu­di, parere . . . con osservazioni di A. Pedini. [S.I., s.n., 1846], 7 p. <ASR>

PETITTI DI RORETO Carlo Ilarione, Sulla prov­videnza sovrana che concerne l'ordinamento del­le strade forrate negli Stati pontifici. Bologna, Tip. governativa alla Volpe, 1846, 15 p.

PONT ANI Carlo, Strade fon·ate negli Stati della Chiesa. Discorso. Roma, A. Natali, 1846, 43 p.

PROVINCIALI Paolo, Breve cenno sulle linee delle vie jèn·ate negli stati pontificii. Roma, Tipografia de' classici sacri, 1846, l tav. ripieg. <ASR>

RAVIOLI Camillo, Breve cenno sull'ordinamento delle vie fon·ate negli stati pontifici per servire al commercio di circolazione, d'introduzione, di estrazione e di transito dei prodotti indigeni, in­diani e coloniali. Roma, Tip. C. Puccinelli, 1846, 58 p. Estr. da «La Pallade>>, n. 26. <ASR>

RAVIOLI Camillo, Sulle liburnee rotate. Lettera. Roma, Tip. delle Belle arti, 1846.

RECCHI Gaetano, Sulle strade fon·ate pontificie: pensieri economico-amministrativi di G.R. Ferrara, Taddei, 1846, 1 1 1 p.

SCOTTI F. , Raccolta di alcuni dati sulla costruzio­ne delle strade fon·ate in Europa e in America e i piani preventivi sopra la costruzione delle strade forra te nello Stato Romano. Vienna, Coi tipi de' P.P. Mechitaristi, 1846.

AMICI Camillo, Rapporto umiliato alla Santità di N. S. sulla impresa delle strade fon"t1te nello Stato pontificio. Roma, [s.n.) , l 847, 1 4 p.

BELLONI M. - BONCOMPAGNI B. -RETROSI L., Prospetto per una riunione del Mediterraneo coll'Adriatico negli Stati pontifici col mezzo delle strade forrate, le quali abbiano per centro Roma e si diramino verso il Nord, ed il mezzogiorno d1talia. Roma 1 847.

BLASI Benedetto, Sulle strade fon·ate nello Stato Pontificio, considerazioni di uno dei promotori della strada forrata da Roma a Civitavecchia. Roma, Contedini, 1847, 32 p.

CIALD I Alessandro, Sul Tevere: sulla linea più con­veniente per la unione dei due mari e sulla mari­na mercantile dello Stato pontificio al signor dot­tor Carlo Frulli: Schiarimenti. Roma, Pei tipi di G. A. Bertinelli, 1847, 91 p. <ASR>_

Circa l'unione dell'Adriatico col Mediterraneo e del­lo Stato Pontificio colla Toscana mediante strade

152

di forro. Bologna, Tipi governativi alla Volpe, 1 847, 82 p.

FEDELI Luigi, Memoria dell'ingegnere Luigi Fedeli per dimostrare l'utilità di prejèrire una rete di strade fon·ate ove descrivasi una vena che divide !1talia, riunisce i tre porti di Ancona, Anzio e Civitavecchia per la via Sa/aria. Roma, Ti p. C. Puccinelli, 1847, 16 p.

FERLINI Angelo, Lettera al sig. A. M in Roma con l'aggiunta di una proposta economica per la co­struzione delle strade di forra nello Stato Pontificio. Bologna, Tip. alla Volpe, 1847, 32 p.

GABRIELLI G., Considerazioni intorno la deter­minazione delle linee di stmde fon·ate da costmirsi nello Stato pontificio. Ascoli Piceno, 1847.

GRASSELLINI Gaspare, Sulle strade fonate dello Stato pontificio. Ancona [s.n.], 1847.

LANCI Fortunato, Sulle stmde fon·ate nello Stato Romano, lettera al signor F Gasparoni. Roma, [s. n. ) , 1847, 24 p. Estr. da «Giornale degli archi­tetti», 1 ( 1 847), n. 12-13. <ASR>

LANCI Fortunato, Sulle stmde formte, appendice al­l'articolo pubblicato nel Giornale degli architetti, nn. 12-13 1847. [S.I., s.n., 1847],<ASR>

PETITTI DI RORETO Carlo Ilarione, Dijèsa del­la Società nazionale per le strade fon·ate pontifi­cie . . . in risposta ad alcuni articoli contro di essa e altri scritti. Roma, Tip. Società editrice ro­mana, 1 847, 23 p. <ASR>

PRUNELLI Domenico, Le strade forrate nello Stato pontificio. Ancona, Per Sartorj Cherubini, 1847, 15 p.

Risposta ad alcune obiezioni ed accuse fotte alla Società nazionale (per le stJ"tJde fonate nello Stato pontificio), [S .! . , s.n.] , 4 p. Estr. da «La Locomotiva», n. 25, 1 847.

Società (La) Principe . . . Di vari modi di aggiotaggio nelle vie formte, [S.I., s.n.], 4 p. Estr. da «La Locomotiva», n. 24, 1847.

STATO PONTIFICIO. PRESIDENZA DEL CENSO, Documenti statistici pubblicati dalla Presidenza gene1"t1le del censimento onde illush·a­re le questioni relative alle sh"t1de forrate dello Stato Pontificio preceduti da alcune considerazioni. Ancona, G. Sartorj Cherubini, 1847, 4 1 p.

ALBERTI Filippo, Sh·ade forrate nello Stato ponti­ficio umiliate al Municipio romano. Roma, Tip. dei Classici, 1848, 40 p.

AL T IERI Carlo, Programma per la gran linea di via forrata negli Stati pontifici, diretta alla congiun­zione dei due mari e di Bologna con Roma. Bologna, Soc. tip. bolognese, 1 850, 1 2 p. <A.SR>

CIARDI Giovanni, Delle stmde forrate negli Stati pontificj. Discorso. Prato, Per R. Guasti, 1 850, 34 p.

FARRICELLI Alessandro, Avviso imparziale sul merito del progetto presentato al governo pontifi­cio per la coshuzione di una sh"t1da fon·ata che per-

corra da Ferrara al Garigliano. [S.I., s.n.), 1851 , [2] p .

STATO PONTIFICI O, Sulla scelta della linea per la forrovia longitudinale nello Stato pontificio stabilita con decreto di concessione sovrana del21 maggio 1956. Fuligno, Tip. Tomassini, 1856, 19 p.

GIACOMINI Lorenzo, Cenni sulla vem linea di fon·ovia centrale italiana di universale interesse per congiungere le province del sud con quelle del nord Napoli, Tip. G. Luongo, 1863, 16 p.

GIACOMINI Lorenzo, Cenni sulla ve1"t1 linea di forrovia cenh·ale italiana di universale interesse per congiungere le province del sud con quelle del nord 2. ed. Napoli, Tip. G. Luongo, 1864, 18 p.

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Documenti

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1 846. <<Dimostrazione delle linee di strade ferrate che si possono tracciare più utilmente nello Stato PontificiO>>, allegata alla Memoria del dott. Giuseppe Bavosi. ASR, Prefettura generale di acque e strade, b. 7 4, fase. l

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«La maravigliosa invenzione>>

DELlA SOCIETÀ DELLA. STRADA FERRATA ANONIMA DA ROMA AD ANCONA,

E DA ROMA AL CONriNE DELLA TOSCANA . , · .. l'MJi/."Kth�•hfW'I"•I:'� Jlaal'lt>frt>IW}rrtlnr�I"""X!�� #l,tlliRINIKI4�Mfllf Nlt PINI' dfr�{'llliM,.tlr'rlnv.18� rrl!ill,f'lftm .\hn•ltmh nfMjfu'I.W.•�f.•lmlf•rilllr <lllf,,IJr· M rhmlrfhffltt"!i''• _Jif<II'Nfl(r/fij/trlf<' W,fiPtrlfllf•l llfll li"'i�raflnlhrlfl• lìtfl'lllfiirli'•• '•"'"'''��FIIIIII �'"

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ROMA "- - -·

24 giugno 1 847. Proposta di finanziamento della costruzione delle strade ferrate dello Stato pontificio tramite l'indizione di una Lotteria. ASR, Prefettura generale di acque e strade, b. 73

: i FERROVIE ROMANE

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CONDIZIONI

6 maggio 1 867. La Società delle ferrovie romane rende nota la «tariffa speciale n. 24» per il trasporto di uova in cesti «senza garantirne la rottura>>. ASR, Ministero del commercio, belle arti, industria, agricoltura e lavori pubblici, b. 321

1 62

PROGI::TTO D' VN/\ ST!\L:IOl·,Jf. PH.OVVJSORll\ · ;;;. ;t /�;/ :;;/.IN-1-/ • ·�/ .._ _J;:/i/M _,ré,..- .-r,,..,.,.., -/.y_ri,._,,:; ;:;;;,.-v.o:-,.r;·f� .. ;.;; .. r�;...

Documenti

s.d. <<Progetto principale di una stazione provvisoria per la via ferrata Pia-latina, da costruirsi fuori Porta Maggiore fra l'Acquédotto e la Via Prenestina>>. ASR, Collezioni dei disegni e mappe, cart. 32, n. 1 62

ORARIO Da prindpiare il 4 Luglio t8a8.

... a. • .,..... l lll5l-;. - I C-- .t.l 4 0$ 1 ...0 - .._..a • ,...._ .��-...-....:::!t'..r�e-.:.:z-.... .--... -;- - ......-��::=.��:::,_....· ... .. -.... �·tu.q_ .... ... .... uun.

27 giugno 1 858. La Società privilegiata Pio-latina rende noto l'orario «da principiare il 4 luglio 1 858» per la strada ferrata da Roma a Frascati e ritorno. ASR, Ministero del commercio, belle arti, industria, agricoltura e lavori pubblici, b. 3 12, fase. 1 6

1 63

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<<La maravigliosa invenzione>>

1 860. Progetto del viadotto in ferro sul fosso Santa Anatolia, presso Velletri. ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 25

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20 gennaio 1 9 1 1 . Esproprio di porzioni di terreno in Gavignano (rosa) per opere di cor­rezione dell'alveo del fiume Sacco, iniziate, a causa delle piene ricorrenti, nel 1 903. ASR, Prefettura di Roma, b. 6126

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Documenti

Giugno 1 865. Società generale delle ferrovie romane, Linea da Civitavecchia al confine to­scano: pianta del tratto in prossimità di Civitavecchia. ASR, Commissariato generale delle jeJTovie, b. 15 , fase. 205

1867. Progetto di caserma da costruirsi presso la stazione di Orte. ASR, Ministero del commercio, belle arti, industria, agricoltura e lavori pubblici, b. 309, fase. 2

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<<La maravigliosa invenzione>>

Maggio 1 859. Orario e tariffario dei treni straordinari a prezzi scontati emanato in occa­sione della festa di Santa Fermina, protettrice di Civitavecchia. ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 50, fase. 5 1 1

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Documenti

1 846 ca. Piastra di rame in galvanoplastica con lo stemma del Papa per decorare la parte frontale della locomotiva dei treni sui quali viaggiava Pio IX. Museo di Roma, inv. MR 461

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«La maravigliosa invenzione»

Treno di Pio IX: vagone detto la balconata, costruito dalla ditta Delettrez et Compagnie di Parigi nel 1 858.

Treno di Pio IX: vagone detto carrozza salone, costruito dalla ditta Delettrez et Compagnie di Parigi nel l858.

1 68

Documenti

17 maggio 1 864. Deragliamento del treno diretto n. 54 della linea Roma-Civitavecchia avvenuto il giorno 1 6 maggio 1 864. ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 59

1863. Stazione di Velletri. Autorità in attesa dell'arrivo di Papa Pio IX. Foto ICCD, Archivio storico

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862. Programma dei festeggiamenti che si terranno in Velletri in occasione dell'inau­gurazione della ferrovia. ASR, Ministero del commercio, belle arti, indu­stria, agricoltura e lavori pubblici, b. 3 14, fase. 13

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<<La maravigliosa invenzione>>

Gr ò-ro grafi a . della Fer1•ovi a in p1•og etto

R O M A .... S U L M O N A ( PER Ttvoi-t·ÀVEZZANo-MoLiNA )

1 871 . Pianta della ferrovia Roma-Pescara.

Inizi '900. Alcune immagini della stazione di Sulmona. Archivio privato di Giuseppe di Tommaso (Sulmona)

170

SUtU COH't!H.ZtOMU

Documenti

1888. «Progetto di sistemazione ferroviaria della città di Roma>> dell'architetto F. Mazzanti. ASR, Collezione di disegni e mappe, Extravagantes

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('::) 10 luglio 1 861 . Pianta della villa Massimo, incisa nel 1836 da G. B. Cipriani, corredata da un indice delle cose. ASR, Commissariato generale delle firrovie, b. 48, fase. 492

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<<La maravigliosa invenzione>>

1 947-49. Affreschi della domus del II sec. d. C. rinvenuta nell'area di piazza dei Cinquecento durante gli scavi eseguiti per la costruzione della stazione della metropolita­na Roma-Lido e del fabbricato della nuova stazione Termini. SAR, Archivio Storico, Collezione disegni, inv. 2068

s.d. Tronco ferroviario della linea Viterbo-T oscanella-Corneto-Civitavecchia-Grosseto. Archivio di Stato di Viterbo, Archivio Storico del Comune di Viterbo, b. 59

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Documenti

fi!VII!JI'PO .... I'ÌRROVIE ITill!llNE.om ANNI I861 1886 .!909'" CONFRONTO

1 9 1 1 . Grafico dello sviluppo della rete ferroviaria in rapporto alla superficie delle singole regioni del regno negli anni 1 861 , 1 886, 1 909. Da Ferrovie dello Stato, Servizio Centrale l 0 , Ufficio Statistica, Ferrovie Italiane (I 861-1909 ). Riproduzione dei lavori grafici presentati all'Esposizione Internazionale di Torino del1911, Roma 1921, tav. 42

Sviluppo chilometrico delle ferrovie nel Lazio (1861-1930)

1 500

1 000

500

o 1 86 1 1 886 1 909 1 9 1 6 1 922 1 930

1 930. Grafico dello sviluppo chilometrico delle ferrovie nel Lazio (elaborazione originale su dati statistici).

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«La maravigliosa invenzione>>

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3 0 marzo 1 847. Progetto di u n "nuovo meccanismo atto a far salire colla forza del vapo­re i convogli dei vagoni per le strade ferrate quantunque acclivi" inventato dall'ingegner Giuseppe Sartori e relativo brevetto. ASR, Collezione di disegni e mappe, coll. I, cart. 128, n. 56; ASR, Camerlengato, parte II, titolo III, b. 135, fase. 2648

APPA R E I LS AVERTJSSEURS Pour l a. sicuri\i des Vojageurs

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Apparecchio di avvertimento per la sicurezza dei viaggiatori. ASR, Commissariato generale delle firrovie, b. 57, fase. 583

174

Documenti

Ministero dei lavori pubblici, Direzione generale delle nuove costruzioni ferroviarie, La ferrovia per lo Stato della Città del Vaticano. Roma, Istituto poligrafìco dello Stato, 1 934, 87 p. ASR, Biblioteca

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<<La maravigliosa invenzione>>

Ivo Pannaggi, Treno in corsa, 1922. Proprietà Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata.

CANTO DEl PICCOLI FERROVIERI

DI VINCENZO DI DONATO SV PAROLE DI

YIRGINIA PINCELLOTTI POC:E PER GIARDINO D'INFANZIA

E SCVOLE ELEMENTARI ij FERRO\'! E DELLO .STATO

COMPAR.TI�1EXTO DI ROMA ASSISTENZA EDUC . ..1, rl\':\ PER l FIGLI DU FERROV!f.RI

ROM A - \"!A SJE:-.:A 30

l gennaio 1920. Canto dei piccoli ferrovieri. Di Vincenzo Di Donato su parole di Virginia Pincellotti Pace per giardino d'infanzia e scuole elementari, composto per · il piccolo coro dell'Opera di assistenza educativa per i figli dei ferrovieri, spartito musicale a stampa. Archivio centrale dello Stato, Ministero della Rea! Casa, Divisione L Segreteria Reale, b. 9 1 1

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OJIAGGIO dell' EDITORE