la malasanità in piazzetta

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La malasanità in "piazzetta" Leggo scoraggiata che si continua a parlare della"piazzetta" del Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I, un non- luogo inquietante dove si respira a pieni polmoni la problematica politica e sociale della malasanità. Io quel posto, purtroppo, lo conosco bene, ne ricordo l'odore acre di vomito e urina e i lamenti dei malati in fila nella speranza di riuscire a farsi visitare, ci ho trascorso molte notti disperate e ancora oggi un brivido freddo mi percorre la spina dorsale al solo sentirlo nominare. Nella mia "corsa alla diagnosi" putroppo mi sono trovata a passare anche da lì: lamentavo dolori addominali lancinanti, di quelli che non riesci a reggerti sulle tue gambe e ti manca l'aria, cercavo disperatamente un medico ma i tempi di attesa erano impressionanti, non c'erano posti a sedere e io non potendo stare in piedi ero costretta ad accasciarmi sul pavimento. Ero già stata da luminari e specialisti ma la massa tumorale che comprimeva stava ben nascosta sotto il fegato e non era palpabile. Così venivo rimandata a casa con diagnosi di coliti, gastriti, stress e ricette per qualche medicinale da prendere per via orale. L'unica cosa che potevo fare, spaventata da sporadiche crisi dolorose a notte fonda e non conoscendo ancora la gravità della situazione, era provare a farmi visitare da un medico del Pronto Soccorso. Entrare lì dentro significa accedere a un girone infernale dove non potrai mai prevedere un orario di uscita. Significa anche avere a che fare con medici che, per quanto preparati e di buona volontà, non riescono a gestire un flusso di persone tale da fare uscire fuori di testa anche la mente più flessibile e allenata all'emergenza. La leggi nei loro occhi la disperazione, per l'impossibilità di aiutare tutti. Alla fine i problemi crescono in modo esponenziale: i medici di turno si ritrovano nello stesso istante con persone da visitare, urgenze gravi come nel caso di incidenti stradali, malati da ricoverare che non possono essere ricoverati perché mancano i letti. Di solito i medici sono solo due o tre e si trovano ad avere addosso il peso di centinaia di persone. In questo delirio generale l'ultima spiaggia è rappresentata dalla "piazzetta". Vieni sistemato lì quando non sanno esattamente cosa fare di te, magari ti attaccano a una flebo e, facendo finta di non vedere se ti vomiti addosso o hai le convulsioni (non per cattiveria, ma perchè forse per loro è l'unica strategia di sopravvivenza), ti abbandonano per ore, notti o giorni, in attesa di smaltire un po' di "casi". Cosa che non succede mai perché il via vai è continuo e c'è sempre qualcuno più grave di te. Di chi è la colpa di tutto questo? Non credo sia dei medici, che vengono catapultati in questo sistema malfunzionante e sono costretti ad arrangiarsi come possono: a volte anche far fare un emocromo o un'ecografia diventa per loro un'impresa impossibile. Anche trovare una barella in certi casi è pura utopia. Una volta mancava il ghiaccio sintetico e mandarono qualcuno a prenderlo in un bar... può mancare il ghiaccio in un Pronto Soccorso? E allora ecco le diagnosi sbagliate e gli errori medici, le indicazioni buttate all'aria così per la disperazione del momento. Come quando mi dissero che la mia poteva essere celiachia e mi fecero perdere tempo a fare le analisi del caso, o quando per qualcuno si trattava di calcoli renali. In una situazione così delirante sfido chiunque a lavorare bene. Credo che i punti chiave su cui riflettere siano principalmente tre: 1. Come può il Pronto Soccorso dell'Umberto I accogliere in massa persone che arrivano non solo da Roma ma anche da tutto il Lazio? Se si ragionasse meglio sui tagli alla sanità e sulla chiusura dei piccoli ospedali di provincia, ridistribuendo i malati nelle strutture della regione, non ci troveremmo di fronte a questa congestione ingestibile. 1. Si dovrebbe riflettere sui codici bianchi e verdi, che magari potrebbero essere reindirizzati in apposite strutture come le Guardie Mediche diurne, facilitando così l'assistenza per i malati più gravi. Ho visto madri presentarsi al Pronto Soccorso perché il figlio si era sbucciato le ginocchia. Da piccola, se cadevo, al massimo mia madre "mi dava il resto" per raccontarcela alla Enrico Brignano. 1. Esiste anche un problema di comunicazione e di paradossi massmediatici. Spesso le parole dette in televisione contano più dei fatti concreti e si parla in modo quasi convulso di diagnosi precoce non rendendosi conto che, la maggior parte delle volte, arrivare alla diagnosi è una faticosa corsa ad ostacoli, non solo per i pazienti ma anche per gli stessi medici.

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La malasanità in "piazzetta"

Leggo scoraggiata che si continua a parlare della"piazzetta" del Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I, un non-

luogo inquietante dove si respira a pieni polmoni la problematica politica e sociale della malasanità. Io quel posto, purtroppo, lo

conosco bene, ne ricordo l'odore acre di vomito e urina e i lamenti dei malati in fila nella speranza di riuscire a farsi visitare, ci

ho trascorso molte notti disperate e ancora oggi un brivido freddo mi percorre la spina dorsale al solo sentirlo nominare.

Nella mia "corsa alla diagnosi" putroppo mi sono trovata a passare anche da lì: lamentavo dolori addominali lancinanti, di quelli

che non riesci a reggerti sulle tue gambe e ti manca l'aria, cercavo disperatamente un medico ma i tempi di attesa erano

impressionanti, non c'erano posti a sedere e io non potendo stare in piedi ero costretta ad accasciarmi sul pavimento.

Ero già stata da luminari e specialisti ma la massa tumorale che comprimeva stava ben nascosta sotto il fegato e non era

palpabile. Così venivo rimandata a casa con diagnosi di coliti, gastriti, stress e ricette per qualche medicinale da prendere per via

orale. L'unica cosa che potevo fare, spaventata da sporadiche crisi dolorose a notte fonda e non conoscendo ancora la gravità

della situazione, era provare a farmi visitare da un medico del Pronto Soccorso.

Entrare lì dentro significa accedere a un girone infernale dove non potrai mai prevedere un orario di uscita. Significa anche

avere a che fare con medici che, per quanto preparati e di buona volontà, non riescono a gestire un flusso di persone tale da fare

uscire fuori di testa anche la mente più flessibile e allenata all'emergenza.

La leggi nei loro occhi la disperazione, per l'impossibilità di aiutare tutti. Alla fine i problemi crescono in modo esponenziale: i

medici di turno si ritrovano nello stesso istante con persone da visitare, urgenze gravi come nel caso di incidenti stradali, malati

da ricoverare che non possono essere ricoverati perché mancano i letti. Di solito i medici sono solo due o tre e si trovano ad avere

addosso il peso di centinaia di persone.

In questo delirio generale l'ultima spiaggia è rappresentata dalla "piazzetta". Vieni sistemato lì quando non sanno esattamente

cosa fare di te, magari ti attaccano a una flebo e, facendo finta di non vedere se ti vomiti addosso o hai le convulsioni (non per

cattiveria, ma perchè forse per loro è l'unica strategia di sopravvivenza), ti abbandonano per ore, notti o giorni, in attesa di

smaltire un po' di "casi". Cosa che non succede mai perché il via vai è continuo e c'è sempre qualcuno più grave di te.

Di chi è la colpa di tutto questo?

Non credo sia dei medici, che vengono catapultati in questo sistema malfunzionante e sono costretti ad arrangiarsi come

possono: a volte anche far fare un emocromo o un'ecografia diventa per loro un'impresa impossibile. Anche trovare una barella

in certi casi è pura utopia. Una volta mancava il ghiaccio sintetico e mandarono qualcuno a prenderlo in un bar... può mancare il

ghiaccio in un Pronto Soccorso? E allora ecco le diagnosi sbagliate e gli errori medici, le indicazioni buttate all'aria così per la

disperazione del momento. Come quando mi dissero che la mia poteva essere celiachia e mi fecero perdere tempo a fare le

analisi del caso, o quando per qualcuno si trattava di calcoli renali. In una situazione così delirante sfido chiunque a lavorare

bene.

Credo che i punti chiave su cui riflettere siano principalmente tre:

1. Come può il Pronto Soccorso dell'Umberto I accogliere in massa persone che arrivano non solo da Roma ma anche da

tutto il Lazio? Se si ragionasse meglio sui tagli alla sanità e sulla chiusura dei piccoli ospedali di provincia, ridistribuendo i

malati nelle strutture della regione, non ci troveremmo di fronte a questa congestione ingestibile.

1. Si dovrebbe riflettere sui codici bianchi e verdi, che magari potrebbero essere reindirizzati in apposite strutture come le

Guardie Mediche diurne, facilitando così l'assistenza per i malati più gravi. Ho visto madri presentarsi al Pronto Soccorso

perché il figlio si era sbucciato le ginocchia. Da piccola, se cadevo, al massimo mia madre "mi dava il resto" per

raccontarcela alla Enrico Brignano.

1. Esiste anche un problema di comunicazione e di paradossi massmediatici. Spesso le parole dette in televisione contano più

dei fatti concreti e si parla in modo quasi convulso di diagnosi precoce non rendendosi conto che, la maggior parte delle

volte, arrivare alla diagnosi è una faticosa corsa ad ostacoli, non solo per i pazienti ma anche per gli stessi medici.