La mala rieducaciòn

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numero 2 Il Serale 12 marzo 2012 La mala rieducación Settimanale quotidiano Il 44% dei carcerati ripassa dal via

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Il 44% dei carcerati ripassa dal via

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numero 2

Il Serale 12 marzo 2012

La mala rieducación

Settimanale quotidiano

Il 44% dei carcerati ripassa dal via

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Di tutt’erba un fascioNelle carceri italiane il 50% dei detenuti aspetta ancora ilprimo grado di giudizio. Una popolazione variegata, da

distinguere prima che diventi criminale

L’ottocentesca idea che in uncarcere italiano trovino al-

loggio solo i criminali ha vacil-lato nel secolo scorso ed èdiventata buffa in quello chestiamo vivendo. Dodici anni dipolitiche allucinogene hanno de-viato il penitenziario e la pena, dicui la Costituzione fornisce cri-stalline indicazioni, trasforman-dole in prese a terra delle ansiesociali. E non a caso Riccardo Ia-cona, nella puntata di “Presa di-retta” del 13 febbraio 2011,parlava di “discarica sociale”: uncumulo di omicidi, spacciatori,immigrati, tossicodipendenti emalati che non solo si trovanoinsieme senza alcuna distin-zione, ma anche senza limite. Seinfatti la capienza regolamentaredelle strutture italiane è di45.742 posti, il numero dei dete-

nuti è di 66.632. È un dato chedall’anno scorso flagella il si-stema penitenziario, al quale ilcosiddetto decreto “svuota-car-ceri” vorrebbe concedere un po’di ossigeno: con le modifiche ap-portate dal D.l. 211/2011 (tra cuil’estensione a 18 mesi il massimodi pena residua da poter scontareai domiciliari) il ministro Paola

Severino calcola infatti di faruscire poco più di 5mila reclusi.Un numero di per sé non certosufficiente a risolvere il pro-blema; inoltre, se si considerache all’interno dello stesso de-

di Lorenzo Ligas

La capienza dei penitenziari è di45.742 posti, i detenuti sono 66.632.

Attraverso il decreto “svuotacarceri” uscirebbero in 5mila

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creto vi è lo stanziamento di 57milioni di euro per la ristruttura-zione e la messa a norma di car-ceri in costruzione, allora forse ilproblema stesso non è chiaro. Il sovraffollamento delle car-

ceri è la questione più evidente epiù banale da rilevare. E, banal-mente, può essere risolta spal-mando i detenuti in nuovecarceri; ma anche immaginandoun’attuazione veloce dei propo-siti, sarebbe una liquidazione fintroppo semplice. Il dato più importante quello

che riguarda i detenuti in custo-dia cautelare: secondo la ricercadell’associazione Antigone sonopoco meno del 50%. Trentamilareclusi sono una cifra sproposi-tata se si considera che la custo-dia cautelare può essere ordinatasolo in tre casi: quando c’è il pe-ricolo di turbamento delle prove,c’è il pericolo di fuga o il pericolodi reiterazione del reato. L’abusodella custodia costringe alla cellai detenuti cosiddetti “leggeri”,colpevoli di reati minori, fa-cendo loro attendere la fine delprocesso per anni. In Italia sono26.989 coloro che ancora atten-dono il primo grado di giudizio.Su questo punto il “decreto

svuota carceri” biascica, spo-stando da 48 a 96 ore il terminemassimo a disposizione di ungiudice per concedere i domici-liari, ma non risolvendo il con-tatto pericoloso e dannoso trasemplici imputati (che, articolo27 della Costituzione alla mano,sono innocenti fino a sentenza) edetenuti già condannati. Nonsorprende che, stando agli ultimidati forniti dal Dap (Diparti-mento di amministrazione peni-tenziaria), sul totale dellapopolazione carceraria attuale irecidivi siano addirittura 28.973:il 41% di chi esce dal carceretende a rientrarci. Ciò com-prende anche tossicodipendentie immigrati clandestini, protago-nisti di una guerra tra poveri eospiti di carceri inadeguate, fati-scenti, che contano la densità di

Il Ministro della giustizia Paola Severino haanche stanziato 57 milioni per la messa a

norma delle strutture penitenziarie esistenti

I reclusi in custodia cautelare sono30mila. Un numero spropositato alquale si affianca quello dei recidivi:quasi 29mila

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Le leggi che dal 2002 hannoportato in carcere il 60% dei de-tenuti totali (legge Bossi-Fini, exCirielli, legge Fini-Giovanardi)hanno fatto a pezzi il metododella distinzione, facendo convi-vere contravventori semplici apiù incalliti criminali. La piùgrande incongruenza riguarda itossicodipendenti, dal 2006 sullostesso piano degli spacciatori:sono il 27% del totale e nei centriurbani più grandi come Torino,Milano e Genova arrivano a toc-care il 50%; per loro il momentopiù critico è stato il 2006 quando

la ex Cirielli ancora li compren-deva (prima delle modifiche cheli ha esclusi) tra i rei da punirepiù severamente a causa della re-cidiva. Poi la Fini-Giovanardi harimpolpato le strutture carcera-rie di persone che invece sareb-bero dovute finire in centrispecializzati, trasformando peni-tenziari come quello di Buon-cammino a Cagliari, dove su 530detenuti 230 sono tossicodipen-denti, in un Sert a cielo chiuso.Se è poi imponente la percen-tuale (40%) di stranieri che affol-lano i penitenziari.

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un detenuto ogni due metri qua-drati.Il sistema penitenziario ita-

liano si auto alimenta. Incarceradelinquenti veri e ne genera dinuovi tramite l’immissione dipersone che forse si sono mac-chiati di un reato e che, in attesadel primo grado di giudizio, en-trano in contatto con la durezzadi una vita penitenziaria che nonappartiene loro. E a questo si ag-giunge il numero di suicidi incella che nei soli primi mesi del2012 è già arrivato a 13 individui.Il fine rieducativo sancito dallaCostituzione diventa una “mala

rieducaciòn” che non solo nongarantisce condizioni di vita ac-cettabile, ma si trasforma in unboomerang dannoso, dall’im-patto sociale: alle porte del car-cere di Poggioreale ci sono ognigiorno 1500 parenti in fila per levisite ai detenuti; poco più di unterzo di loro dà un senso all’at-tesa di ore, mentre il resto è co-

stretto a tornare altre volte ali-mentando le 18mila personel’anno. Secondo il report di Bam-binisenzasbarre sono poi 75milain tutt’Italia i figli di detenuti la-sciati senza genitori. Il dannoche le carceri italiane fanno aidetenuti si estende così fuoridalle strutture penitenziarie, au-mentando la complessità di unsistema marcio e ingestibile nelquale malattia e tossicodipen-denza sono solo alcuni dei pro-blemi che tagliano trasversal-mente una popolazione carcera-ria che non ha bisogno di esseretrasferita o spostata in 57 milionidi ripiego, ma che chiede, tra mi-nori, immigrati, depressi, malati,detenuti e secondini suicidi, solodi essere distinta.In alto la fila disumana di chi si reca in visita alcarcere di Poggioreale. Ore di attesa dall’albacon il rischio di dover ritornare i giorni dopo

Il sistema carcerario italiano si autoalimenta: delinquenti veriaffiancano persone detenute a causadi una legislazione approssimativa

Il danno si espande anche all’esternodelle strutture. Genitori, figli e amicicompongono la parte di metastasiradicata nella società

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Trentasette anni di congestione

La Costituzione italianaregolamenta la re-

sponsabilità penale attra-verso l'articolo 27,precisamente al terzocomma. La detenzione as-sume così una duplice fun-zione: alla difesa sociale siaffianca la finalità rieduca-tiva, vale a dire riportare ildetenuto al rispetto dellalegge penale senza l'obbligodi inculcargli una determi-nata scala di valori.

Il primo ordinamento pe-nitenziario “organico” di erarepubblicana vede la lucesoltanto nel 1975 con lalegge n. 345 del 26 luglio,che manda definitivamentein soffitta il precedente re-golamento penitenziario ri-

salente al 1931, nel quale ri-sultava centrale la finalitàafflittiva o punitiva - e nonquella riabilitativa successi-vamente sancita dalla Cartacostituzionale. In linea diprincipio, la riforma del1975 mira proprio all'attua-zione del suddetto principiocostituzionale, da attuarsinella cosiddetta risocializza-zione: rispetto della legge daun lato, reinserimento nella

vita sociale dall'altro. Tutta-via, tali propositi riabilita-tivi si scontrano presto conl'insufficienza di struttureedilizie e di personale peni-tenziario dall'adeguata pre-parazione, oltre che con unsovraffollamento destinatoa cronicizzarsi. Fra i prin-cipi sanciti dalla riforma,spicca la distinzione fra lefigure dell'imputato e delcondannato: ai primi è de-stinato il solo trattamentopenitenziario comune atutti i detenuti, mentre sol-tanto per i secondi è previ-sto quello rieducativo inquanto rei accertati. Pur-troppo, anche questo prin-cipio rimane mera teoria,dal momento che una simile

Dalla legge Gozzini del 1975 il principiocostituzionale della “risocializzazione” è statopoco alla volta reinterpretato, fino a essere perso di Pasquale Raffaele

Nella riforma del ‘75la distinzione fral’imputato e ilcondannato era lapossibilità di essererieducato

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differenziazione non è facil-mente attuabile nella realevita carceraria. Lo scenarioè inoltre aggravato dalla“giustizia lumaca”, le cuilungaggini processuali pos-sono costringere alcuni im-putati a una prolungatacustodia cautelare.

Il 10 ottobre 1986 si com-pie un'autentica rivoluzionecopernicana con l'approva-zione plebiscitaria – Msiescluso - della legge n. 663,meglio nota come leggeGozzini, dal nome del Sena-tore comunista firmatario. Ilprincipale merito dellariforma delle carceri consi-ste nell'ampliamento del-l'attuazione di quellarieducazione del carceratoalla base del dettato costitu-

zionale attraverso la flessi-bilità della pena: vengonoestesi i permessi premio,l'affidamento al servizio so-ciale, la detenzione domici-liare (per donne incinta ocon figli al di sotto dei treanni, persone in gravi con-dizioni di salute, ultra ses-santacinquenni e under 21con particolari esigenze), lasemilibertà, il lavoro all'e-sterno del carcere, la libera-zione anticipata e lanon-menzione (ovvero lapossibilità di uscire dal car-cere con la fedina penalepulita in caso di condottaesemplare). Recuperare di-viene la parola d'ordine.Inoltre, la legge Gozzini in-troduce l'articolo 41-bis –che rimpiazza il vecchio ar-ticolo 90 per quanto ri-guarda la detenzione ingravi situazioni di emer-genza – e il 14-bis, che ride-finisce la sorveglianzaparticolare – applicabile ad

un singolo detenuto e nonpiù ad interi istituti previ-denziali.

Negli anni novanta, ilprimo provvedimento im-portante è di natura ammi-nistrativa: la legge n. 395del 15 dicembre 1990 stabi-lisce che il Corpo di poliziapenitenziaria sia controllatoda un dipartimento ad hocdel Ministero della giustizia,il Dap (Dipartimento del-l'amministrazione peniten-ziaria). Ma la novità dimaggiore rilievo - dovuta aldilagare delle organizza-zioni criminali mafiose - è

In alto l’attuale presidente del Dap Giovanni Tamburino: iproblemi più scottanti della sua gestione sono i suicidi in crescitanon solo nelle celle ma anche tra la stessa polizia penitenziaria

Dal 1990 la poliziapenitenziaria è gestitadal Dipartimento diamministrazionepeniteniziaria (Dap)

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l'affermazione, nel 1992, delcosiddetto sistema del “dop-pio binario”: da una parte idetenuti ordinari, il cui trat-tamento penitenziario man-tiene il proprio finerieducativo; dall'altra i con-dannati considerati ad altapericolosità sociale, per iquali la funzione rieduca-tiva viene rimpiazzata dallaneutralizzazione, vale a direl'esclusione dai benefici diflessibilità della pena previ-sti dalla Gozzini. In tale di-rezione viene introdotto ilsecondo comma del 41-bis,che rende possibile l'appli-cazione del regime specialeai detenuti per reati di cri-minalità organizzata. An-cora fresca era la ferita dellastrage di Capaci.Il 23 dicembre 2002 vienepromulgata la legge n. 279,con la quale si estendono ireati che impediscono l'ac-cesso ai benefici peniten-ziari: compaiono terro-rismo, eversione dell'ordinedemocratico, riduzione inschiavitù, commercio e ac-quisto di schiavi.Nell'ultimo decennio, dueleggi su tutte hanno ulte-riormente intasato le nostre

carceri di detenuti per reatiun tempo considerati “mi-nori”: la Bossi-Fini (2002),poi inasprita dal pacchetto-sicurezza del 2009 che haintrodotto il “reato di immi-grazione”; la Fini-Giova-nardi (2006), che da un latoequipara droghe leggere epesanti e, dall'altro, attri-buisce lo stesso status aspacciatori e consumatori.Il resto è una giungla diprovvedimenti legislativiinorganici e dalla dubbia ef-ficacia il cui scopo è decon-gestionare l'affollatissimosistema carcerario nazio-nale. Spiccano, in partico-lare, i due decreti“svuota-carceri” del 2010(governo Berlusconi) e del2012 (esecutivo Monti).

Le leggi degli ultimianni hanno ottenutol’effetto contrario:

congestionare il sistema

Con la pubblicazione il 20 febbraio scorso sulla Gazzetta ufficialedel decreto “svuota carceri”, il governo Monti intende stanziare57 milioni di euro e togliere dai penitenziari 5mila detenuti

Per i reati legati allacriminalitàorganizzata il 41-bisprevede l’utilizzo delregime speciale

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Le carceri minorenni

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La società mette a frutto le sconfitte delsingolo. Si sente sicura a sue spese, è

punitiva col deviante e festosa quando si tratta diabbattere la scure. Sembra rinvigorirsi neicastighi. La civiltà deve la propria progressionealle mani del boia. Indagare però le cause delladevianza e del crimine significa rimettere alcentro dell’attenzione la società con le sueresponsabilità, in un processo di proficuataratura orientata al reinserimento del singolonel tessuto sociale, nel collettivo, tra la gente.Ancora maggiore sarà l’attenzione che lasocietà dovrà pertanto rivolgere ai minori cheentrano nel circuito penale, promuoverne ilbenessere e lo sviluppo poiché essi sono lanostra società in divenire. Costoro sono tutti iragazzi e le ragazze che in età compresa fra i 14e i 18 anni hanno infranto il codice penale.Con l'introduzione nel 1988 del Nuovo

codice di procedura penale per minorenni (Dprn. 448/88) si è sensibilmente ridotto il numerodi ragazzi negli istituti penali, ricorrendo allostato di detenzione solo in extrema ratio. Spessoperò gli istituti penali per minori, che sonoprivi di una efficace rete esterna di appoggiocostituita da famiglia, scuola e attivitàlavorativa, portano la popolazione carceraria deiminorenni ad essere composta quasiesclusivamente da stranieri, rom e ragazziitaliani delle periferie disagiate.

Il sistema penitenziario minorile non soffre come quelloadulto, ma deve ancora crescere e migliorare dal punto divista assistenziale

di Luigi Loi

Dal 1988 il Nuovo codice di procedura penale per minorenni ha ridotto il numero deiragazzi reclusi, ricorrendo alla detenzione solo nei casi più estremi

In alto e a sinistra foto scattate nel penitenziario minorile di Casal del Marmo (Rm)

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In Italia dal 2001 il Dipartimento per lagiustizia minorile del ministero della Giustizia,si occupa di gestire e organizzare 12 centri perla giustizia minorile, i 29 uffici di serviziosociale per i minorenni, 25 centri di primaaccoglienza dove i minori in stato di arresto ofermo sono seguiti fino all'udienza di convalida(entro le 96 ore), e naturalmente i 19 Ipm, dovel’esecuzione della pena detentiva puòprolungarsi fino ai 21 anni. Sono quelli diAcireale, Airola, Bari, Bologna, Cagliari,Caltanisetta, Catania, Catanzaro, Firenze,Milano, Nisida, Palermo, Pontremoli, Potenza,Roma, Torino, Treviso. A questi si aggiungonoquelli di Lecce e dell’Aquila, attualmente chiusiper ristrutturazione.

A fronte delle quasi 39mila denunce arrivatealle procure della Repubblica nel 2000, ilnumero di denunce annuali è pressochéinvariato per tutto il decennio appenatrascorso, mentre l’ingresso nei Centri di primaaccoglienza è assolutamente decrescentepassando dalle oltre 4mila presenze del 1998,alle 2344 del 2010. Dato che evidenzia comeuna normativa più flessibile e meno punitivaporti ad un calo del 50% delle presenze deiminori nel cosiddetto “stato penale”, portandoad un coerente “stato sociale” ipotizzato dallegislatore: il sistema della giustizia minorileinfatti sembra non soffrire della crescentepressione del sistema penale italiano volutonegli ultimi anni. Infatti negli istituti penali perminori le detenzioni si sono drasticamenteridotte, dalle 1.888 registrate nel 2000, alle1.142 del 2010. Numeri aridi, che però fannoben sperare per il futuro, e che potrebberoessere d’esempio in una prospettiva diragionevole ammodernamento e snellimentodel quadro normativo penale.

Una normativa piùelastica: dal ‘98 al 2010il numero di detenuti èsceso quasi del 50%

12 Cgm, 25 Cpa, 29Uffici di serviziosociale e 19 Istitutipenitenziari minorili

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Esiste tuttavia, numeri alla mano, unafortissima componete diastratica, che inficia idati riguardanti il miglioramento del sistemacarcerario minorile. Infatti la maggior parte deiragazzi che entra tra le maglie della giustiziaitaliana lo deve a reati di rapina, furto, reaticontro la persona, truffe ed estorsioni seguiti dareati legati al mondo della droga. Inoltre sonosoprattutto gli stranieri (4 su 10) che superanoil numero dei coetanei italiani a scontare penedetentive, di cui il 10% ragazze. Tra le ragazzela stragrande maggioranza è di etnia rom. Ilfenomeno appare evidente negli Ipm del norddove si trovano pochissimi ragazzi italiani,spesso peraltro trasferiti dal sud Italia. Alcontrario negli Ipm del sud e nelle isole sitrovano pochissimi stranieri, anche questispesso trasferiti dagli istituti sovraffollati delnord Italia. Il quadro generale delle problematiche penali

e detentive legate ai minori, seppur conevidenti distorsioni di ordine razziale e dipovertà, appare tuttavia meno estremo eproblematico rispetto al quadro generale dellecarceri italiane. Questo perché il legislatore haprovveduto negli anni ad ipotizzare sanzionialternative alla semplice e sbrigativadetenzione “in galera”, infatti esso per i minorisi è orientato verso le finalità educative voltealla riparazione delle conseguenze del reato.Insomma c’è tanto da fare ed il sistema èsenz’altro perfettibile, ma sono stai fatti passi dagigante da quando è stato addirittura necessariol’intervento della Corte costituzionale, con lasentenza n. 168, per dichiarare l’inapplicabilitàdella pena dell’ergastolo per i minorenni. Era il1994.

Il sistema deve ancoramigliorarsi per i reclusi

senza una famiglia ouna rete d’appoggio

Negli istituti 4 ragazzisu 10 sono stranieri, di

cui la maggioranzasono di etnia rom

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Evasione e denuncia: il suicidio dietro le sbarre

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Dall’1 gennaio 2012 sono stati tredici i detenuti che si sono toltila vita: si muore più spesso nelle carceri più sovraffollate e dove

le attività trattamentali sono scarse. Dall’inizio del secolo atogliersi la vita sono stati più settecento

A sinistra l’elenco dei nomi di chi si è ucciso incella a partire dal 2002. Sono 705 e di alcuni di

loro non si è potuto nemmeno registrare il nome

di Elisa Gianni

Il lembo del lenzuolo, ilnastrino della felpa o il

laccio della scarpa, il gasdelle bombolette per ali-menti. Sono il senso dicolpa, la disperazione perciò che si è fatto o per lecondizioni in cui si vive, ilsentirsi rifiutati, la ribel-lione verso l’istituzione, adeclinare l’ingegno nelleforme più macabre. Dal 1° gennaio 2012 sono

stati tredici i detenuti che sisono tolti la vita: nelle car-ceri del Meridione come inquelle del Nord, in quelledel centro Italia e in quelledelle Isole. Sono tredici sto-rie diverse, uomini di qua-lunque nazionalità, più omeno giovani, in carcereper reati più o meno gravi,che non hanno retto il pesodella vita e hanno deciso difarla finita. Se ne parla spo-radicamente, quando le lo-giche di vendita deiquotidiani o degli ascolti te-levisivi costringono a se-

guire l’onda di qualche casoche ha avuto risonanza na-zionale. Il problema però èreale. E costante. Dal 2000 aoggi i suicidi nelle carcerisono stati 705. Il conto lotengono associazioni come“Antigone”, “A buon di-ritto” o“Granelli di SenapePadova” che, sul sito delCentro Studi “RistrettiOrizzonti” e con cadenzasettimanale, aggiorna il bol-lettino delle morti in car-cere: quelle per causenaturali, quelle da accertaree i suicidi. Si muore più spesso nelle

carceri più sovraffollate edove le attività trattamen-tali sono scarse. Su quello diSulmona pesa la nomea di“carcere dei suicidi”. Quidovrebbero essere sistematial massimo 301 detenuti masono più di 430 quelli at-tualmente ospitati; «gli edu-catori in servizio sonoappena quattro a fronte diuna pianta organica che ne

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prevede otto; esiste un solopsicologo di ruolo che pre-sta servizio per appena 40ore mensili; le sale ricrea-tive sono piccole e nessuncorso di formazione è statoattivato quest’anno dallaRegione», denunciava la ra-dicale Rita Bernardini unpaio di anni fa. A metà delloscorso novembre è stato av-viato il corso di formazioneper i detenuti “Pane e soli-darietà”: 21 posti disponibilie 100 ore di lezione per im-parare il mestiere del for-naio. Con poco o niente da fare

ci si sente inutili e il futuroappare vuoto. “Ristrettiorizzonti” annovera propriola mancanza di prospettive,tra gli elementi che portanoi detenuti al suicidio: traquelli che sono all’ergastolo,come tra quelli che entranoed escono continuamentedal carcere e che sperimen-tano ogni volta una vita daemarginati, ma pure tra chiaspetta l’esito del processo.In realtà in custodia caute-lare si cede più spesso checon una sentenza definitiva;la media calcolata da “Ri-stretti” parla di 90 indagatiancora da giudicare che siuccidono ogni anno: uno emezzo ogni detenuto sui-cida, nonostante il 40%

degli indagati venga assoltoe lo Stato, negli ultimi cin-que anni, abbia pagato piùdi 210 milioni di euro di in-dennizzi per le “ingiuste de-tenzioni”. C’è poi l’incapacità delle

carceri italiane a rieducare ead accompagnare i detenutinel reinserimento nella so-cietà. Quella dei tossicodi-pendenti è la categoria piùrappresentata nelle carceri eanche quella con il mag-giore bisogno di attenzionisanitarie. Ma al suo internosono tanti quelli che si sui-cidano e altrettanti, tra que-sti, quelli che lo fanno apochi giorni dalla scarcera-zione, lasciando trapelare losmarrimento e la paura delritorno tra la collettività.Nei primi giorni dell’arre-sto, invece, si suicida piùspesso chi è condannato peromicidio. “Ristretti Orizzonti” for-

nisce numeri chiari, ma èdifficile discernere gli attivolontari di suicidio dai ten-tativi finiti male. Dall’iniziodel 2012 ad oggi, sostiene laUil-Penitenzari, sono stati29 i carcerati che hannoprovato a uccidersi; in tuttoil 2011 si sono contati circa5400 atti di autolesionismograve. Ma in carcere il di-ritto alla vita si trasforma in

Dall’inizio dell’anno piùdi una persona su tremuore a causa di unsuicidio

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dovere e il tentativo di sui-cidio viene punito: discipli-nato dall’art.77 del Rego-lamento penitenziario – chelo considera, sommaria-mente, infrazione della “ne-gligenza nella pulizia enell’ordine della persona” –viene spesso interpretatocome un atto di ribellione oun modo per ottenere bene-fici e comporta la reclusionenegli Ospedali psichiatricigiudiziari o l’isolamento.Nel 1987 la cosiddetta cir-colare Amato istituì il servi-zio “Nuovi giunti” cheprevedeva, al momentodella carcerazione, di affian-care una visita psicologica aquella medica. Lo scopo eracapire se il soggettoavrebbe, o meno, compiutoatti anticonservatori – cosìvennero definiti nel docu-mento – per prevenirli conmezzi idonei come la sorve-glianza a vista o l’alloggia-mento in infermerie o altriluoghi specifici. Quelli chela sociologia definisce comefattori esogeni e che com-prendono le condizioni divita, l’ambiente e tutte lealtre cause di disturbo chenon derivano direttamente

dalla psicologia del singolo,non devono essere sembratiinfluenti a chi firmò la nota. Sono però già due, dall’i-

nizio dell’anno, i suicidi tragli agenti penitenziari, vit-time del burnout, l’esauri-mento emotivo che colpiscechi, per lavoro, si fa caricodelle problematiche altrui enon regge lo stress delleproprie. È questa l’altra fac-cia del suicidio carcerario,quella su cui i media fannoancora meno luce ma che isindacati denunciano. IlSindacato autonomo dellapolizia penitenziaria(Sappe) ha calcolato, dal2000, una media di 10 sui-cidi all’anno, trasversali alruolo che si ricopre all’in-terno dell’istituzione carce-raria: dai dirigenti agliagenti semplici. A fronte dei grilletti delle

pistole di ordinanza pre-muti contro se stessi, le im-piccagioni di fortuna e isuicidi sventati nei peniten-ziari smettono di essere so-lamente devianza oevasione. E da forme dimors omnia solvit diven-tano denuncia, comunica-zione.

19:1 è il rapporto trasuicidi che avvengonodentro e fuori le carceri

italiane

Un corridoio e la facciata del carcere di San Vittore: dal 2002 sonostate 23 le morti in cella di cui 14 i suicidi e 9 quelle avvenute per

malattia, overdose o cause ancora non accertate

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Morto in massima sicurezza

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Niki Aprile Gatti viene trovato impiccato il 24 giugno del 2008nel carcere di Sollicciano, a Firenze. “Solo" i giudici archivianoil caso perché tra i 18 arrestati dell'inchiesta Premium, Niki ful'unico a parlare. Gli altri sono tutti vivi e liberi.

A sinistra il carcere di Sollicciano. Dal 2002 sono stati 14 i decessiavvenuti all’interno della struttura. Sette di essi sono statiderubricati come suicidi

di Nicola Chiappinelli

«Una corda al collo, apenzoloni nel bagno. Si èucciso così, unendo lestringhe delle scarpe allestrisce di stoffa tagliatedai jeans. Nemmeno unalettera lasciata a qual-cuno, nemmeno una pa-rola o un indizio con-segnato ai compagni dicella. È sparito per unquarto d'ora dietro laporta e quando la guardiasi è insospettita era giàtroppo tardi. Niki AprileGatti aveva 26 anni, eranato ad Avezzano, in pro-vincia dell'Aquila e vi-veva tra Rimini e Londra.Sposato, senza figli. Era fi-nito nel carcere di Sollic-ciano pochi giorni fa, il 19giugno».

Quante inesattezzepossono esserci in un

articolo non è questione chetocca a noi spiegare; ciò chescrivono i giornali non èvangelo, neanche se si tratta

di uno dei maggiori quoti-diani italiani, come Repub-blica. Però le parole in certicasi possono diventare pe-santi come macigni, lapidiche restano installate nellamemoria delle persone, omolto più semplicemente ebrutalmente nel database diun archivio, a sancire una“verità” data in pasto all’ap-prossimazione. Una di-sinformazione di certo noncattiva, e nemmeno colpe-vole. Ma dolorosa, come uncolpo accidentalmente in-ferto. O come solo la mortedi un figlio può essere.

Ornella Gemini ha vistoper l’ultima volta il suo Nikiil 23 giugno del 2008, ilgiorno prima di quell’as-surdo suicidio che nessunoha mai accertato. In realtànon l’ha proprio visto; piùche altro l’ha intravisto, trai vetri di un blindato che daltribunale di Firenze lo ri-portava al carcere di Sollic-ciano, dov’era detenuto. Un

ultimo sguardo, rubato,mentre un agente rigiravacon le mani la testa del ra-gazzo nel senso opposto aquello di mamma Ornella.

Niki Aprile Gatti in cellac’era finito quattro giorniprima, il 19 come detto, aseguito dell’operazione Pre-mium, coordinata dal pmdella Direzione distrettualeantimafia di Firenze PaoloCanessa e dal sostituto pro-curatore Giulio Monferrini.Secondo l’accusa vi eranoaziende informatiche e so-cietà di telefonia, tutte consede a San Marino, che truf-favano gli utenti inducen-doli a telefonare o acollegarsi con connessioniinternet a tariffa maggio-rata. I guadagni così creati,quasi 10 milioni di euro, sa-rebbero confluiti per lo piùin società estere. I reati sonoassociazione a delinquere,frode informatica, riciclag-gio; gli arrestati sono 18(tranne il calabrese France-

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sco Cimieri, rimasto a Lon-dra, sede delle società offshore indagate), tutti tra-dotti nel carcere di Rimini.Tutti eccetto uno, Niki:

lui, indagato di frode infor-matica, finisce dritto a Sol-licciano, il carcere dimassima sicurezza di Fi-renze. Quello diretto daldottor Oreste Cacurri, inda-gato per favoreggiamentonell'ambito dell'inchiestasul pestaggio di un ispettoree del detenuto RobertoGuadagnolo ai tempi in cuiera primo dirigente del car-cere di Livorno. Quello incui, soltanto tra il 2004 e il2006, tra suicidi e “cause daaccertare”, erano stati in seia perdere la vita.Niki quando arriva a Fi-

renze ha 26 anni. Non èsposato, e soprattutto è in-censurato. Immediatamentedichiara di voler collaborarecon la giustizia, ma ciò nonservirà a evitargli il carcereduro. Gli altri 17 arrestatiinvece, pur essendosi av-valsi della facoltà di non ri-spondere, vanno subito aidomiciliari. Il 20 giugno, dalla sua

stessa abitazione, viene spe-dito a Niki un telegrammacon l’indicazione a cam-biare avvocato. Lui il tele-gramma lo riceve il giornodopo, in carcere, nono-stante l’isolamento, e nonsapendo cosa stia accadendofuori dalla sua cella mette inpratica il consiglio. Lunedì23 è previsto il primo inter-

rogatorio di Niki con i pmtitolari dell’indagine, e Or-nella sale da Avezzano a Fi-renze, senza però poterentrare nell’aula di tribu-nale in cui sta parlando il fi-glio. Lì è permesso di staresolo agli avvocati.Finisce l’interrogatorio.

Secondo il nuovo avvocato,quello assegnatogli dall’e-sterno, Niki ha parlato tantodel suo lavoro, perché perlui era importante spiegareed uscire di lì. Ornella alloravorrebbe rivedere suo figlio,anche per pochi minuti, manon può: la prassi da rispet-tare stabilisce che debbanotrascorrere 48 ore dall’inter-rogatorio. Quindi il blin-dato che lo porta via, equello sguardo rubato giàraccontato. L’ultimo tra lamadre e il suo bambino cre-sciuto.Di ore dall’interrogatorio

non ne passano neancheventi. La mattina del 24 giu-gno Niki viene ritrovato im-piccato nel bagno della cella10 della quarta sezione delcarcere di Sollicciano. Suici-dio, anzi no, ci sono tantecose che non tornano. In-vece sì: il caso è archiviato.Niki aveva usufruito della

sua ora d’aria, poi era rien-trato in cella, alle 11 uno deisuoi compagni di cella era

L’archiviazione ha convinto “solo” i giudici. Niki arriva aFirenze a 26 anni, non è sposato, ma soprattutto è incensurato.La collaborazione con la giustizia non gli evita il carcere duro

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andato in infermeria, unaltro era rimasto lì, lui si èchiuso nel bagno e si è im-piccato. I soccorsi imme-diati non riescono asalvarlo. L’ora di chiamataal 118 indica le 11,15. Ma ilmedico sanitario che ha cu-rato l’autopsia indica comeorario della morte le 10. Epoi nella sentenza della se-conda archiviazione si diceche il detenuto «non ha be-neficiato dell’ora d’aria».

Franco Corleone, garantedei diritti dei detenuti, ilgiorno seguente al decessoin un’intervista a Repub-blica sostiene che Niki«aveva avuto un colloquiocon lo psicologo e non eraemerso niente di preoccu-pante», ma aggiunge che,trattandosi di un incensu-rato, «l'impatto con la de-tenzione deve essere statotraumatico. Il giorno primaa due degli arrestati eranostati concessi i domiciliari, alui no: dopo l’interrogatoriodi garanzia il gip gli avevaconfermato il carcere. Forsesi è scoraggiato pensando auna lunga detenzione, soche aveva cambiato avvo-cato, altro segnale di inquie-tudine».

Il cambio d’avvocato inrealtà gli era stato consi-gliato da un telegramma, lui

non aveva espresso alcunavolontà. Inoltre l’ultimo adaver parlato con la vittimain quel maledetto 24 giu-gno, un agente di custodiadella prigione fiorentina, hasostenuto di aver rassicuratoil detenuto «dicendogli che,non avendo ancora ricevutonulla di scritto, non era perniente scontata la sua per-manenza in carcere inquanto una eventuale scar-cerazione poteva soprag-giungere in qualsiasimomento», aggiungendopoi che «il detenuto appa-riva soddisfatto e sereno,ringraziandomi della rispo-sta ricevuta».

Infine ci sarebbe la que-stione del metodo del suici-dio, con un laccio di scarpache avrebbe dovuto sorreg-gere il fisico di un ragazzonealto 1m e 80 e del peso di 92kg, e con presunti strisce di

jeans che non si sa da dovesiano provenute visto che ipantaloni di Niki al mo-mento del suo decessoerano perfettamente integri.

Di incongruenze da ag-giungere ce ne sarebberotantissime altre, perché nonc’è nulla che torni in questavicenda che puzza del piùdoloroso mistero. Ma allafine dei conti l’unica cosacerta è, e resterà per sem-pre, la scomparsa di un ra-gazzo strappato alla sua vita,a sua madre e alla sua fami-glia senza il minimo rispettoper la verità. Quella che simeriterebbe la dignità diogni essere umano. Quellaviolata nel bagno di un car-cere di massima sicurezza. Epresa a calci ogni giorno dauna giustizia mancata.

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Dall’altra parte delle sbarre

Dal latino secundus, “chevien dietro”. L'umile ruolo

che ricopriva il secondino lo sipuò leggere nel regolamento di-sciplinare del Lombardo - Ve-neto del 1818: «La pulizia dellesale, delle carceri e delle infer-merie spetta ai secondini ... èpure dovere dei secondini di vi-gilare per l'espurgo delle latrinee dei pozzi». Una persona cheaveva gli incarichi più umili nelcarcere o nel bagno penale. Co-stui poteva essere anche un car-cerato stesso.

Da tempo non è più così anchegrazie alla legge 395 approvatadalla Camera dei deputati il 15dicembre 1990.

Con tale legge viene sciolto il

Corpo degli agenti di custodia esoppresso il ruolo delle vigilatricicarcerarie, istituendo così ilCorpo di polizia penitenziaria,alle dipendenze del Dap (Dipar-timento dell'amministrazionepenitenziaria) del ministero dellaGiustizia.

Marisa Crovatto, vice sovrin-tendente della polizia peniten-ziaria ci dà una spiegazione piùapprofondita della questione: «IlCorpo perde connotazione mili-taristica e rientra nella fattispeciedi altri corpi di polizia civili mi-litarmente organizzati. I compiti

Fare i conti ogni giorno con dolore e abnegazione: losguardo e le riflessioni di una poliziotta penitenziaria sulmicrocosmo afoso delle carceri

Con la 395 viene sciolto il Corpo degli agenti dicustodia e soppresso quello delle vigilatrici,istituendo il Corpo di polizia penitenziaria

di Silvia Fiorito

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istituzionali, quali la vigilanza,l’ordine e la sicurezza si arricchi-scono di ulteriori responsabilità:il servizio di traduzione e i pian-tonamenti; diviene, inoltre, le-gittimamente ratificata lapartecipazione attiva al delicatoobiettivo di correzione e reinse-rimento del reo nel percorso diespiazione. Cambiamenti signifi-cativi, grazie ai quali il Corponon è più relegato all'immaginedi meri sorveglianti all'internodelle mura carcerarie; l’aperturaall'esterno e alla società divienel’obiettivo per una nuova forma-zione del personale».Un’arma a doppio taglio, però.

Le più diverse e complesse man-sioni del poliziotto penitenziariomettono in luce l’inevitabile am-bivalenza fra l’istanza punitiva equella della rieducazione. Re-centi casi di cronaca, quali vio-lenza e soprusi di potere, fannoriflettere: possono effettivamenteconciliarsi due concetti di per séantitetici come la repressione e lariabilitazione? Marisa Crovattoci ha risposto così: «Basti solo ri-chiamare l'art. 27 comma 3 dellaCostituzione (le pene non pos-sono consistere in trattamenticontrari al senso di umanità e de-

vono tendere alla rieducazionedel condannato. ndr). Non è,quindi, dicotomico il binomio si-curezza-trattamento; viene tra-dotta in azione l'esigenza delloStato di offrire una possibilità diredenzione al detenuto. Parloimmaginando che la professiona-

lità nell’agire rimanga prioritariaper il poliziotto penitenziario.Non si può, però, essere ipocritie dire che non sussistano esplo-sioni di violenza; ma dire che larepressione si traduca facilmentein atti crudeli è altrettanto sba-gliato. Taluni poliziotti possonoavere un atteggiamento rigido epoco incline a comprendere al-cune esigenze umane del recluso;ciò non accade per caso.

«Alcuni poliziotti possono avere un modo difare rigido e poco incline a comprendere

alcune esigenze umane del recluso»

Il ruolo del “secondino” è ambiguoper natura: ha ogni giorno a che farecon l’ambivalenza fra la punizione ela rieducazione dei detenuti

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Sostengo da sempre che, allabase di una effettiva crescita delpersonale penitenziario, a livelloqualitativo, sia necessaria unacorretta formazione professio-

nale e dei continui corsi di ag-giornamento per chi ricoprequesto delicato ruolo. Se mi ve-nisse oggi concessa una sola ri-chiesta a chi governa, a chi mirappresenta sarebbe proprio ri-guardo quest’esigenza e alla rico-gnizione effettiva di personalequalificato che viene, invece,spesso confinato a svolgere ser-vizi che non richiedono compe-tenze specifiche e delle quali sidovrebbe invece far tesoro».Attualmente le carceri italiane

stanno attraversando una fase di

grande emergenza: sovraffolla-mento, pessime condizioni diigiene, scarsa sicurezza. All’in-terno delle realtà penitenziarienazionali vi lavora un numerotroppo esiguo di unità di poliziapenitenziaria rispetto al numerodei detenuti che si ammassanonelle celle. Gli agenti, costretti aturni massacranti, sono sottopo-sti a un notevole grado di stressemotivo; ciò che li mette a duraprova è anche il quotidiano con-tatto con il dolore e la frustra-zione che si respira nelle carceri.L’agente Marisa Crovatto cispiega come reagisce la psicheumana di fronte la sofferenza, larabbia e la disperazione dei dete-nuti: «Negli ultimi tempi sonostati effettuati numerosi studi dicarattere psicologicoe criminolo-gico che hanno identificato il co-

«Sostengo da sempre che, alla base diuna effettiva crescita del personalepenitenziario, sia necessaria unacorretta formazione professionale»

Sovraffollamento, pessime condizioni di igienee scarsa sicurezza: le carceri sono in una grande

emergenza in cui i secondini sono coinvolti

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siddetto fenomeno della “priso-nizzazione”, del quale riman-gono vittime, seppur in misurediverse, molti poliziotti peniten-ziari: la subcultura carcerarianon ha reso necessario l’instau-rarsi di un modus vivendi sol-tanto tra i detenuti, ma hacoinvolto inevitabilmente tuttigli operatori che intervengononella quotidianità detentiva avario titolo». Allarmante è la

“sindrome di Burnout”: si trattadi una patologia che affligge per-sone che esercitano “professionidi aiuto”, come gli agenti peni-tenziari. Questo disturbo pro-voca l’incapacità di sostenere escaricare lo stress accumulato econsiste essenzialmente nel logo-

ramento delle motivazioni, delleemozioni, in una stanchezza e inuna sfiducia che portano allospegnersi della volontà. Derivadal sentirsi oppressi dal caricoemotivo causato dalle difficoltàdi chi si assiste. Conduce aun’improduttività lavorativa e auna ridotta empatia nei con-fronti delle persone delle quali cisi dovrebbe occupare.

Estremamente drammatico,infatti, lo scenario che si è deli-neato negli ultimi dieci anni: ilnumero dei suicidi fra gli agentipenitenziari dall’anno 2000 aoggi è inquietante: circa cento.La mancanza di un presidio psi-cologico a sostegno dei poliziottipenitenziari non fa che peggio-rare la situazione: «Più volte levarie organizzazioni sindacalihanno sollecitato la costituzione

La “sindrome di Burnout” è unapatologia che affligge persone cheesercitano “professioni di aiuto”. Èl’incapacità di sostenere lo stress

Anche i secondini si suicidano: sono quasi 100dal 2000. La mancanza di un presidio

psicologico non fa che peggiorare la situazione

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fattiva di centri di ascolto e di as-sistenza psicologica - spiega Ma-risa Crovatto - ritengo sia giuntoil momento affinché tali aiuti so-praggiungano: la crisi politico-economica che oggi il Paeseaffronta richiede forza, fervore esicurezza da parte della classe di-rigente. Le misure a sostegno diquesti operatori sono utili a tuttala società. Non è trascurabile aparer mio l'iniziativa legislativa

intrapresa dall'attuale governorelativa al piano “salva carceri”soprattutto in tema di qualitàdella detenzione. Ho scelto diproposito di non usare il termine“svuota carceri”, per diversa per-

sonale interpretazione: la “leggeSeverino”, a mio avviso, garanti-sce un cambiamento concreto,poiché permette il deflusso orga-nizzato delle entrate e delle per-manenze detentive. È pur uninizio, un ottimo inizio».Tra i vari sindacati che hanno

accolto con benevolenza il de-creto vi è l’Osapp (Organizza-zione Sindacale AutonomaPolizia Penitenziaria), di cui Ma-risa Crovatto è rappresentante:«Il sindacato rimane, però, un'al-tra facciata da ritinteggiare.Cerco, al meglio delle mie possi-bilità, di risolvere alcuni pro-blemi, ma non illudo i mieicolleghi con promesse di rivolu-

zione. Un esempio? In questigiorni sto portando avanti unprogetto di apertura di asilo nidoper i dipendenti del Diparti-mento che possa proporsi poicome progetto pilota. Un aiuto

«La “legge Severino” è un buonprimo passo per “salvare” ipenitenziari italiani, non si limiteràsemplicemente a“svuotarli”»

«In questi giorni c’è il progettodi apertura di un asilo nido. Il

sindacato rimane un’altra facciata daritinteggiare. Cerco di risolverealcuni problemi, ma non illudo imiei colleghi con promesse»

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tangibile per chi non può soste-nere i costi di asili privati, nonrientrando nelle liste comunali,e per le lavoratrici rientrantidalla maternità».Iniziative concrete, inevitabile

retaggio dell’esperienza in primalinea di quest’agente donna. Oggilavora al dipartimento di ammi-nistrazione penitenziaria e si ri-tiene fortunata poiché, alcontrario dei colleghi operativi,non trascorre più il tempo su fur-goni per lunghe traduzioni e at-tese in camere di sicurezza perudienze e riesami giudiziari. Manon dimentica la sua esperienzaal carcere minorile «dove ho im-parato ad essere agente per i ri-stretti e per i colleghi, dove hoimparato la virtù dell'ascolto edella parola giusta, a reprimereuna sensazione negativa perchénon conciliabile con un buon la-voro e dove soprattutto ho capitocome si deve, nel nostro lavoro,lasciare da parte il giudizio perevitare di rimanere contaminatinelle scelte di confronto. Conti-nuo a mantenermi in contattocon gli amici colleghi affinché laloro esperienza mi ricordi sem-pre quanto io abbia conquistato,ma anche perso. Nella mia menteè impressa la tenerezza di queivolti strappati ai giochi per qual-cosa più grande di loro. Di certoho capito che per alcuni non sipuò parlare solo di ingenuità e

innocenza. Ci sono ragazzi co-scienti, capaci, che riconosconoil peso delle loro scelte. Ma hopiù speranza, forse per la lorogiovane età. Una cosa è costruireuno scenario di vita alternativoal reato per un ragazzo di 16anni, un’altra per un adulto di 40

o 50 anni».Anche chi vive dall’altra parte

delle sbarre sogna un carcere mi-gliore: «Non esiste un carcereideale, potrebbe soltanto esserepiù efficiente, ma la parola “car-cere” non potrà mai far sorri-dere».

Nel carcere minorile «Ho imparato a essereagente per i ristretti e per i colleghi, ho

imparato ad ascoltare e usare le parole giuste»

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Piano “carceri fantasma”661 milioni di euro per costruire nuovi edifici. Intanto

però quelli inutilizzati sono 43, sparsi in tutta Italia

In principio era il “Pianocarceri”, era il 2010 e il mi-

nistro Alfano dava avvio a unostanziamento di 661 milioni dieuro. Una cifra esorbitante ac-compagnata dall’Opcm (Ordi-nanza del presidente del

Consiglio dei ministri) numero3861 del 19 marzo con il quale sidichiarava il sistema penitenzia-rio italiano in stato d’emergenza.E uno stato d’emergenza avevabisogno di un commissario:Franco Ionta, magistrato, nomi-nato direttamente dal ministro

della Giustizia Angelino Alfano,che all’epoca era già a capo delDipartimento di amministra-zione penitenziaria. A fine 2011il magistrato Giovanni Tambu-rino è subentrato a capo delDap: il governo ha deciso però discorporarne la figura del com-missario e affidarla ad AngeloSinesio, prefetto nominato dalministro degli Interni Cancel-lieri. Il piano carceri dall’esseregestito solo dal Dap è stato di-viso a metà: il ministero dellaGiustizia mette i soldi, quellodegli Interni mette il personale.L’assestamento delle nuove di-rettive e la migrazione del per-sonale rallenterà l’attuazione del“piano carceri” che, a due annigiusti dalla sua approvazione,non ha ancora concluso una solagara d’appalto.

Bolzano, Pordenone, Venezia,Torino, Camerino, Bari, Sciacca,Catania, Marsala, Mistretta,Nola: queste le città in cui do-vrebbero sorgere gli undicinuovi istituti previsti dal pianoper un totale di 430 milioni chesi accompagnano ai 231 i milioniprevisti per venti nuovi padi-glioni da aggiungere a strutturesparse in tutta Italia. Strutture

di Filippa Deditore

Il “piano carceri” varato da Alfano nel 2010 non ha ancoraconcluso una gara d’appalto e, tra ritardi burocratici eprovvedimenti legislativi ambigui, è destinato a rallentare

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nuove e padiglioni nuovi di car-ceri già in funzione: il criteriocon cui il piano carceri è statoimpostato esclude quegli edificiche già esistono ma che nonvengono sfruttati. Morcone,Ales, Bono, Carbonia, Ghilarza,Sanluri, Santavi, Terralba, Busa-chi, Maglie, Galatina, Udine,Gorizia, Pinerolo, Revere, Codi-goro, Pescia, Pontremoli, An-cona Barcaglione, Pescara,Gragnano, Frigento, Minervino

Murge, Monopoli, Altamura,Accadia, Volturara Appula, Ca-stelnuovo della Daunia, Bovino,Orsara, Matera, Mileto, Squil-lace, Cropani, Arena, SorianoCalabro, Petilia Policastro, Cro-palati, Villalba, Licata, Gela,Agrigento: sono questi i paesi

che ospitano le 40 strutture pe-nitenziarie che potrebbero en-trare in funzione, ma che sonostate costruite e abbandonate, ri-messe a norma e abbandonate dinuovo; altre sono state utilizzateper un anno solo e poi chiuse,alcune sono in uno stato irrever-sibile a tal punto che recuperarlecosterebbe più che costruirne dinuove. Al cospetto dei 661 mi-lioni sopraccitati, fa impallidirela cifra destinata alla ristruttura-zione di questi edifici che, pernumero e posizione, potrebberoessere strategici: 57 milioni dieuro; i quali raccolgono anche ifondi da destinare al personaledel Dap e della Polizia peniten-ziaria e che oltretutto, dal puntodi vista di quelle che potremmochiamare “carceri dimenticate”,sono da considerarsi lordi.Gli esempi riportati fotogra-

fano la miopia di una macchinalegislativa che in tema di carcerinon ha mai messo in campo unaprecisa strategia d’azione, pro-vocando importanti danni eco-nomici ben ritratti da quei casiin cui la legislazione ambigua haincontrato le storture ormai ti-piche di un sistema, quello ita-liano, in cui lo spreco di danaroper la costruzione di “infrastrut-ture fantasma” non fa neanchepiù notizia. Uno di essi è il car-cere di Arghillà.

Franco Ionta, ex direttore del Dap, sostituito nel 2011 daGiovanni Tamburino e, nel ruolo di commissariostraordinario, da Angelo Sinesio, nominato dagli Interni

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Il carcere rimandato

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Arghillà è una zona colli-nare a nord di Reggio Ca-

labria, un quartiere consideratouna sorta di “far west” in cuimancanza di regole e degrado lafanno da padroni, tanto che il co-mune reggino ha stanziato 2 mi-lioni di euro per riqualificare ilcampo di calcio e per realizzareun impianto per sport motori-stici, e ha anche dei progetti peruna scuola elementare e una

chiesa. I costi? Piùdi due milioni dieuro. Peccato chesul terreno destinatoalla cattedrale siastata realizzata unadiscarica di inertiprovenienti dallosvincolo di Scilla

della Salerno-Reggio Calabria, eche da più di un anno via Scopel-liti, l’arteria principale che legail quartiere al centro cittadino,sia per larghi tratti interrottaperché inagibile, obbligando gliautomobilisti a passare da unacarreggiata all’altra.E poi c’è la questione della casa

circondariale. Una storia lunga,infinita. O forse no. L’idea di do-tare Reggio Calabria e l’intera re-gione di una nuova casa direclusione in località Rugula di

Arghillà, area individuata dall’al-lora sindaco Italo Falcomatà,nasce nel 1988. L’anno dopo sisbloccano i fondi per il progetto,ma è solo tra il 1993 e il 1994 chevengono avviate le procedureper assegnare l’appalto dei lavori,attraverso un sistema di affida-mento “in concessione” che fa-vorisce il “Raggruppamentotemporaneo d’impresa” Cmc-Pizzarotti, una ditta di Ravennae una ditta “cugina”di Parma. L’entratain vigore della legge109/94 in materia dilavori pubblicirende però imper-corribile l’iter buro-cratico precedente-mente stabilito, cosìil ministero delle Infrastrutture edei Trasporti, per conservarel’appalto nelle mani del consor-zio emiliano Cmc-Pizzarotti, ri-corre all’affidamento dei lavorimediante un contratto a tratta-tiva privata di 85 miliardi dellevecchie lire.Tra lavori iniziati, fermati, ri-

presi e poi di nuovo interrotti,

La struttura di Arghillà potrebbe ospitare 300 detenuti,ma mancano ancora due edifici e soprattutto la strada:storia di una cattedrale incompiuta

A fianco, la strada che collega il quartiere diArghillà al centro cittadino. È interrotta da più

di un anno a causa di una frana L’

di Osvaldo Fonzeca

Via Scopelliti,strada principaleche lega la zonaal centro èinagibile da circaun anno

Il consorzio Cmc - Pizzarottisi aggiudica nel1994 i lavori per

85 milioni diappalto

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grazie ad alcuni finanziamentiparcellizzati risultano in avan-zata fase di realizzazione al 31gennaio 2003 – come ha scrittol’assessore regionale ai Trasporti,Demetrio Naccari – «il comple-tamento del muro perimetraledell’area demaniale di riferi-mento, la realizzazione del murodi cinta e delle postazioni diguardia delle sentinelle, il com-pletamento del corpo di fabbricaadibito ad uffici della direzione edei servizi sussidiari, il comple-tamento del primo blocco deten-tivo con capacità allocativa paria 250 posti, il completamento delcorpo di fabbrica da adibire adinfermeria, nonché la predispo-

sizione degli impianti tecnolo-gici, elettrici, idrici e fognari in-terni all’istituto».Viste però le mancanze ancora

evidenti, viene allora siglata laproposta di ridimensionamentodell’opera, allo scopo di renderela stessa fruibile in tempi brevi,anche alla luce di un ulteriorestanziamento di circa 14,5 mi-lioni di euro; così, inizialmentepensata come carcere di massimasicurezza, la struttura di Arghillàsi vede ridotta a più semplicecasa di reclusione. Ma a diecianni dall’affidamento dell’ap-palto c’è ancora molto da co-struire; mancano infatti lacaserma per la Polizia peniten-ziaria, l’edificio servizi e soprat-tutto l’allacciamento stradale percollegare il complesso alla car-reggiata del centro abitato, conrelativi impianti fognari, idrici edi illuminazione. In termini piùchiari manca la strada per arri-varci fino al carcere.È il 31 luglio 2003 quando al-

l’impresa appaltatrice è conferitol’incarico per redigere il nuovoprogetto, ma per una serie di vi-cissitudini solo nel marzo del2004 il consorzio Cmc-Pizzarotticonsegna il suo progetto di va-

In alto, uno scorcio del carcere: per ilcompletamento mancano la caserma per laPolizia penitenziaria e gli uffici amministrativi

Nel 2003 all’impresa viene affidato ilnuovo progetto che sarà presentatonel 2004. Intanto però scadranno i14,5 milioni di finanziamento

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riante commissionato. Nel frat-tempo intanto sono scaduti i ter-mini per il finanziamento da 14,5milioni di euro presente nel bi-lancio del 2002 del ministerodelle Infrastrutture e dei Tra-sporti. Ci pensa però un decretodello stesso dicastero, datato 30settembre 2004, ad assegnare alServizio integrato delle infra-strutture e dei trasporti per la Si-cilia e la Calabria un fondo di 16milioni di euro da destinare pro-prio alla casa di reclusione.Nuovo denaro, si perde quasi ilconto preciso.

Eppure ancora grane: il Siitnon approva il progetto defini-tivo delle due ditte, e non si rie-sce ad impegnare la sommastanziata entro l’esercizio finan-ziario del 2004. Così l’1 dicembre2006 il presidente dell’Autoritàportuale di Gioia Tauro, Gio-vanni Grimaldi, viene nominatoCommissario straordinario per ilcompletamento dei lavori. Cheperò non verranno mai comple-tati, resistendo a cambi di go-verni e di promesse. Inizia untira e molla con le ditte appalta-trici fatto di lodi arbitrali, con-tenziosi aperti e lavori a rilento.Intanto si spendono milioni di

euro pure per custodire la strut-tura inutilizzata, come se fosse lacosa più normale del mondo.

Eppure il carcere di Arghillà èquasi pronto, e potrebbe ospitare300 detenuti, nonché laboratoriper le attività lavorative ed areeverdi da destinare a coltivazioni.Però manca la strada. Serve unappalto, altri soldi, e il rischioche la storia continui uguale a séstessa.

Nel 2006 Giovanni Grimaldi vienenominato commissario

straordinario per il completamentodei lavori di Arghillà

Il Siit (Servizio integrato delleinfrastrutture e dei trasporti) è

incaricato di terminare i lavori, manon approva il progetto definitivo

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Il peccato originaleDivieto di carcerazione per le madri con figli fino a sei anni:le modifiche alla legge n.40 entreranno in vigore a partiredal 2014, con uno stanziamento di 11,7 milioni di euro

Il 30 marzo scorso, il Senato ha approvato unprovvedimento che modifica la legge n. 40

del 2001 - curiosamente pubblicata in Gazzettaufficiale l'8 marzo - meglio nota come leggeFinocchiaro inerente le "Misure alternative alladetenzione a tutela del rapporto tra detenute efigli minori". La nuova norma estende il divietodi carcerazione alle madri con figli fino ai seianni di età - precedentemente fissato alcompimento del terzo anno - salvo circostanzeritenute di stretta necessità dal giudice: in questicasi la custodia cautelare viene disposta in unacasa famiglia protetta oppure in un Istituto dicustodia attenuata per le detenute madri(Icam). O meglio, verrà disposta, dal momentoche le nuove misure previste dalla legge 2568verranno applicate soltanto a partire dal 2014(quando sarà portato a termine il pianostraordinario penitenziario), tramite lostanziamento di 11,7 milioni di euro per gliIcam e l'emanazione da parte del ministero dellaGiustizia di un decreto inerente le case famigliaprotette - di comune accordo con gli enti locali -entro 180 giorni dall'entrata in vigore dellalegge. Sono previste novità anche per le donnecondannate, su tutte la possibilità discontare almeno un terzo della penain istituti di custodia attenuata o aidomiciliari - eccezion fatta per lecolpevoli di reati gravi e di mafia.All'approvazione del provvedimento ha fatto

seguito il consueto gioco delle partiparlamentare. La senatrice del Pdl Alessandra

di Sandro Medici

Novità per le donnecondannate: poter

scontare un terzo dellapena ai domiciliari

Per i casi particolari il giudice potràdisporre la detenzione negli Icam (Istitutodi custodia attenuata per detenute madri)

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Gallone, relatrice del provvedimento, si èespressa in termini piuttosto entusiastici: «Ilprovvedimento cerca di rafforzare le tuteleinalienabili dovute ai figli minori di questedonne. Migliorando l'applicazione della leggegià in vigore, assicuriamo finalmente aibambini di crescere, nonostante la loroparticolare e non felice condizione, in struttureadeguate e non più dietro le sbarre comedetenuti, nel pieno rispetto delle esigenze disicurezza a cui sono sottoposte le loro madri».L'aleatorietà di alcune delle condizioninecessarie all'attuazione di simili propositilasciano più di un dubbio alla senatricedemocratica Anna Maria Carloni: «C'è il rischioconcreto che molte norme rimanganoinapplicate, in particolare quelle riguardantil'istituzione delle case famiglia e degli istituti dicustodia attenuata, lasciate a provvedimentisuccessivi». In soldoni, ci si domanda, fra lealtre cose, se il piano carceri sarà davverorealizzato. Con un potenziale effettoparadossale: «L'elevamento dell'età da tre a seianni dei minori coinvolti può portare, inassenza di strutture alternative al carcere, alladetenzione dei bambini fino a sei anni di età».Di fatto, allo stato attuale delle cose, la"detenzione" dei piccoli che si intendevaeliminare è stata raddoppiata, poiché l'unicoIcam italiano risulta quello di Milano che,inaugurato nel dicembre 2006, ha ospitato nelprimo biennio di attività 87 bambini. Gli altrisono impelagati nelle consuete paludiburocratiche nostrane. A Firenze il 27 gennaio2010 è stato siglato un accordo per larealizzazione di una sezione a custodiaattenuata in un edificio di proprietà dellaMadonnina del Grappa: ci sono voluti due annisoltanto per lo stanziamento dei fondi da partedella Regione, 400mila euro destinati alla

«L’elevamento dell’etàdei minori coinvoltipuò portare bambini incarcere fino a sei anni»

400mila euro perristrutturare, ma ilavori a Firenze nonpartono da due anni

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ristrutturazione dei locali. Ancora più emblematico è il caso di Roma,

strettamente connesso alla situazione della Casacircondariale femminile di Rebibbia, il piùgrande carcere femminile d'Europa, in cui sonostipate 380 detenute, a fronte di una capienzamassima stimata in 290 unità. Il progetto di unIcam nel Lazio è partito durante la legislaturaMarrazzo con il consenso unanime di Consiglioregionale, assessorati alla Sicurezza eall'Ambiente, Garante dei detenuti, Comune diRoma, Dap (Dipartimento dell'amministrazionepenitenziaria) e ministero della Giustizia. Nel2009, proprio l'assessorato regionale allaSicurezza aveva stanziato 450mila euro per laristrutturazione di un casale nel parco diAguzzano, destinato ad accogliere 12 detenutecon prole. Dal 2010, carteggio a parte (mozioni,interrogazioni e una proposta di legge lasciatanel cassetto), nulla si è mosso. Motivo? Vincoliambientali riguardanti il casale, per l'utilizzodel quale è richiesto il cambio di destinazioned'uso. Nel frattempo, circa 50 bambini sotto i tre

anni rimangono nella "sezione nido" diRebibbia. Dietro le sbarre, colpevoli di esserenati dalla "madre sbagliata".

Emblematico il caso diRoma: il progetto

irrealizzato di un Icamparte sotto Marrazzo

50 bambini sotto i tre annirimangono nella “sezione

nido” di Rebibbia

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La pagina bianca

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Carcere bianco: così lo chia-mano. Un posto a cui sei

destinato quando non sei abba-stanza sano per essere condan-nato, ma neanche abbastanzamatto per essere assolto: il regnodel limbo. Gli Ospedali psichia-trici giudiziari in Italia sono sei eattualmente ospitano circa 1500persone, difficile da catalogare:sono detenuti o degenti? Colpe-voli o innocenti? Di nuovo, il

limbo. Le strutture di

Reggio Emilia, Ca-stiglione delle Sti-viere (Mantova),Montelupo Fioren-tino (Firenze),Aversa (Caserta),Napoli e Barcellona

Pozzo di Gotto (Messina) ospi-tano uomini e donne che, puravendo commesso reati, nonvengono processati perché rite-nuti incapaci di intendere e vo-lere. Sospesa la pena, ilmagistrato dispone nei loro con-fronti una misura di sicurezzache, nei casi più gravi, può arri-vare all'internamento: due, cin-que o dieci anni, in base allagravità del reato commesso.Spesso però il periodo di deten-zione si protrae ulteriormente: se

l'internato non ha nessuno chepossa prendersi cura di lui, o nonc'è una struttura in grado di ac-coglierlo, il magistrato di sorve-glianza proroga la misura disicurezza. A volte sono proroghe infinite:

l’ergastolo bianco, lo chiamano. Può capitare, ad esempio, che,

nonostante la commissione dipsichiatri interna all’Opg dia l’as-senso affinché un detenutovenga rimesso in li-bertà, il magistratodi sorveglianza – perdiversi motivi tracui quello di “peri-colosità sociale”-proroghi la deten-zione. L’ultima pa-rola spetta sempre almagistrato. Fatto piuttosto biz-zarro, visto che il detenuto primadi essere tale è un essere umanoche, in quanto malato, ha biso-gno di cure. Un paziente in-somma. Spetterebbe quindi a unmedico il giudizio definitivo. Mano, in Italia non è così.

Gli Opg dipendono dal mini-stero della Giustizia, non da

Sei Ospedali psichiatrici giudiziari da chiudere. L’infernoin terra sembra avviarsi alla conclusione, ma l’istituzionenon scompare dal codice penale

In Italia gli Opg sono a R.Emilia, Castiglionedelle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Aversa,

Napoli e a Barcellona Pozzo di Gotto

di Michela Mancini

I detenuti nonvengonoprocessati poichéritenuti incapacidi intendere e divolere

Il periodo didetenzione può

protrarsi intempi indefiniti:

lo chiamanoergastolo bianco

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quello della Sanità, nonostante sireggano su un binomio preciso:cura e custodia. Sarà così fino al2013, dopo, tutto cambierà. Cel’ha promesso il Governo con ilrecente decreto svuota-carceri.

Tale decreto dispone la chiu-sura, entro marzo del prossimoanno, dei sei Opg attualmente infunzione: una rivoluzione osan-nata da stampa e politica. Untrionfo di democrazia. Una deci-sione che segue all’importantereportage video curato dallaCommissione parlamentare diinchiesta sull'efficacia e l'effi-cienza del Servizio sanitario na-zionale presieduta da IgnazioMarino.

Il senatore del Partito Demo-cratico, insieme agli altri membridella Commissione, ha fatto in-cursione nelle sei strutture sparse

sul territorio nazionale, senzache i dirigenti di quest’ultime nefossero a conoscenza.

Marino e i suoi hanno spalan-cato le porte dell’inferno.

Dietro la facciata di un Paesecivile e democratico, si nascondeuno Stato che nega ai suoi citta-dini i loro principali diritti, lipriva delle loro dignità di uo-mini, li educa alla bestialità. Ildocumentario girato in occa-sione delle visite ne fornisce leprove.

Chiunque guardasse quelle im-magini capirebbe il sensoprofondo del “carcere bianco”.

Bianco come il niente. Biancocome il vuoto. Non uomini, nondonne, ma cumuli di dispera-

Il Governo l’ha promesso: il decreto“svuota carceri” dovrebbe chiudereentro il marzo prossimo tutte e sei lestrutture

In alto sei ritratti dell’Opg di Reggio Emilia,facciate di uno Stato che nega ai suoi cittadini i

loro principali diritti, li educa alla bestialità

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zione a cui si somma la malattiamentale. L’inchiesta parlamentare rac-

conta di condizioni igienicheraccapriccianti. L’Opg di Aversaviene così descritto:

«Si notava che le celle/stanze,munite di 6 posti letto ed un ser-vizio igienico, versavano tutte inpessime condizioni strutturali edigienico-sanitarie, con: pavi-menti danneggiati in vari punti;soffitti e pareti con intonacoscrostato ed estese macchie diumidità`; ovunque cumuli disporcizia e residui alimentari;letti metallici con vernice scro-stata e ruggine; sgradevoli esala-zioni di urina; armadietti vetusti;effetti letterecci sporchi, strap-pati ed evidentemente insuffi-cienti; finestre, anche incorrispondenza di letti, divelte ocon vetri rotti: il tutto in condi-zioni tali da rendere disumana lapermanenza di qualsiasi indivi-duo». Le righe della relazione parla-

mentare si susseguono comescene di un film. Siamo ancorafra le mura dell’Opg di Aversa: «Dalle informazioni rese da al-

cuni ospiti emergevano casi dimisure di sicurezza scadute da

oltre 10 anni; oppure di cure me-diche negate: come il caso delsig. F., il quale riferiva di averchiesto invano da mesi di esseretrasferito all’OPG di BarcellonaPozzo di Gotto, presso il qualeavrebbe potuto ricevere curemediche specifiche relativeanche ad alcune patologie di cuisoffre. Inoltre, durante il sopral-luogo venivano rinvenuti buonidi richiesta farmaci a base di so-stanze stupefacenti privi del tim-bro della farmacia, e ricetterelative a stupefacenti non rego-larmente trascritte sul registro dicarico e scarico»Il viaggio continua. Siamo

all’Opg di Barcellona, in provin-cia di Messina. Il sopralluogo ha inizio nel II

reparto, nel quale erano ricove-rate 54 persone, caratterizzate da

«Dalle informazioni rese da alcuni ospitiemergevano casi di misure di sicurezza scadute

da oltre dieci anni»

L’inchiesta parlamentare del 2011nell’Opg di Aversa ha denunciato lecondizioni di scarsa vivibilità a cui

sono costretti i detenuti

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particolare pericolosità` sociale.Prima della vista, è l’olfatto aguidare la Commissione: la puzzadi urina ed escrementi è nausea-bonda. Le lenzuola e le copertesono strappate, l’umidità corrodele pareti. Poi vernice scrostata,ruggine, pavimenti danneggiatiin vari punti. L’unico servizioigienico, di circa 1 mq, risultaprivo di impianto doccia. «All’in-terno della stanza contraddi-stinta dal n. 4, munita di lettiparticolari che presentavano unforo in corrispondenza del ba-cino, veniva rinvenuto il sig. S.C.. Questi era nudo; coperto daun lenzuolo; in regime di con-tenzione attuata mediante costri-zione a letto con una strettalegatura con garza, sia alle maniche ai piedi, che gli impedivaqualsiasi movimento. L’internato

presentava, altresì`, un vistosoematoma alla zona cranica parie-tale. In merito, si prendeva vi-sione del registro dei trattamentidi contenzione dal quale emer-geva che questi non era indi-cato».

Al passaggio dei Senatori, i de-tenuti si buttano ai loro piedi.Chiedono di poter parlare, dipoter raccontare. Dopo il dirittoalla salute, alla cura, all’assi-stenza, gli viene negato il dirittoall’ascolto. Quante parole che ri-mangono soffocate nella testa:parole che non riescono a uscire,parole che avvelenano, che bru-ciano i circuiti della sanità men-tale. Una persona “normale”rinchiusa in un Opg non po-trebbe rimanere sana. Figuria-moci chi, sano, non ci entra.

L’orrore delle immagini nonlascia indifferenti gli esponentidel Governo. Come accennato, ildecreto svuota-carceri ne im-pone il totale smantellamentodal primo febbraio 2013. Unapasso verso la civiltà. Istituzionisensibili: si accorgono di un pro-blema – che non ha mai smessodi essere sotto i loro occhi – e lorisolvono. Fine degli Opg, l’in-ferno sarà solo un ricordo.

In alto, un fotogramma tratto dal video di Presadiretta del 20 marzo 2011. Il filmato è statogirato nell’Opg di Aversa.

Lenzuola e coperte strappate,pavimenti danneggiati e l’unicoservizio igienico, di poco più di unmetro quadrato, è senza doccia

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Maria Grazia Giannicheddadalle pagine del Manifesto spiegacome l’incubo sia tutt’altro chefinito. Una grande bugia che sisvela a degli occhi più attenti.

«È vero che il decreto di-spone la chiusura, entro marzodel prossimo anno, dei sei Opgattualmente in funzione; manon è affatto vero che conquesto provvedimento l’ospe-dale psichiatrico giudiziarioviene abolito o soppresso o su-perato che dir si voglia. La dif-ferenza è tutt’altro che sottile.L’Opg non è solo un luogo, èun dispositivo solidamente an-corato al codice penale che nedefinisce l’oggetto (l’infermodi mente autore di reato o ilcondannato che diventa in-fermo di mente), la forma (mi-sura di sicurezza) e le funzioni(cura e custodia). E poiché ilcodice penale non si modificaper decreto tutto questo restaimmutato. La differenza è chetra un anno potremmo nonavere più poche grandi strut-ture dipendenti dal sistema pe-nitenziario e con personaleprevalentemente di custodia,ma numerose strutture più

piccole, dislocate nelle regioni,dipendenti dal servizio sanita-rio nazionale e con personaleprevalentemente sanitario».Siamo certi che, affidando al

servizio sanitario le nuove strut-ture e disponendo - se serve -una “attività perimetrale di sicu-rezza e vigilanza”, si eviterannotutti quei mezzi della cura/custo-dia che la psichiatria ha ereditatodall’era manicomiale: letti dicontenzione, abuso di psicofar-maci, finestre blindate? Siamo si-curi che basta cancellare i luoghiper rimuovere delle pratiche piùche mai vive nei codici penali? Siamo sicuri che anni di vio-

lenze e privazioni dei principalidiritti umani si possano dimenti-care mettendo il dito sul tastoCanc? Cosa rimane sulla pagina,dopo?Il bianco.

«Non è affatto vero che con questoprovvedimento l’Opg viene abolitoo soppresso o superato, che èancorato al Codice penale»

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