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MARIA MADRE DELLA CHIESA: IL PAPA INDICE LA FESTA MARIANA VERSO IL SINODO SUI GIOVANI CENTO ANNI FA L’OCCUPAZIONE MILITARE DELLA BASILICA 2018 ANNO ODORICIANO Affresco del capitello (XVI sec.) davanti al quale il veggente Giovanni Cigana pregava Periodico fondato nel 1928 del SANTUARIO DELLA MADONNA DEI MIRACOLI MOTTA DI LIVENZA - TV MAGGIO/GIUGNO 2018 3/2018 La Voce di M ARIA

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MARIA MADRE DELLA CHIESA:IL PAPA INDICE LA FESTA MARIANA

VERSO IL SINODO SUI GIOVANI

CENTO ANNI FA L’OCCUPAZIONE MILITARE DELLA BASILICA

2018ANNO ODORICIANO

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Periodico fondato nel 1928 del SANTUARIO

DELLA MADONNADEI MIRACOLI

MOTTA DI LIVENZA - TVMAGGIO/GIUGNO 2018

3/2018

La Voce diMARIA

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Anno LXXXIV - N. 3 - Maggio/Giugno 2018

Santuario Basilica Madonna dei Miracoli

La Vergine Maria sia sempre

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Saluto delPadre Rettore

Cari Amici e Lettori della Rivista del Santuario,le parole, ben lo sappiamo, hanno il loro fa-

scino e il loro potere ammaliante, ma non ci sal-veremo per aver detto “Signore, Signore”, bensì per l’adeguamento della nostra vita alla volontà di Dio. Talvolta pensiamo che anche la fede si ri-duca a parole, a formule da recitare, novene, e coroncine, processioni e feste patronali, ma non è così. Non basta usare formule forbite, quan-do il nostro vivere è lontano dal Vangelo. Come spesso ci ammonisce il Papa, è necessario uscire dalla logica del “ma si è sempre fatto così”. Tale logica è un veleno dolce, perché ti tranquillizza l’anima e ti lascia come anestetizzato e non ti la-scia camminare. Uscire dalla logica del “sempre è stato fatto così”, per testimoniare in modo crea-tivo la gioia del discepolato. Guardiamo Maria, che nel mese a lei dedicato riflette, come un diamante, della grazia del suo Figlio, Parola eterna del Padre incarnata nel suo grembo. In lei noi contempliamo il singolare privilegio di cui Dio l’ha dotata per poter essere la degna dimora del Figlio eterno. Ella si mostra a noi come il pri-mato e la sovranità della grazia divina, capolavo-ro stupendo dell’opera di Dio, che progetta i passi dell’uomo, le sue vicende e il districarsi di due li-bertà: quella del Creatore e quella della creatura. Maria è la Casa che Dio progetta in vista dell’in-carnazione della Parola vera, la Casa tutta d’oro, la Madre tutta bella e senza ombra di peccato. In Maria noi contempliamo Dio all’opera sul tela-io della storia, e ringraziamolo perché l’umanità è stata progettata capace di dialogare con Dio, anzi, molto di più, di ospitarlo in sé.

In quest’opera Maria è l’anello d’oro di una catena di grazia, per la quale Dio aveva progettato di in-carnarsi in lei prima ancora della colpa di Adamo. Anch’io sono stato pensato da Dio prima dei tem-pi, prima dei miei genitori, prima della mia nasci-ta. Anch’io sono stato chiamato ad essere santo e immacolato nell’amore, e nelle strettezze del tempo porto questo timbro regale, questa dignità che nessun peccato riuscirà mai a cancellare. Per questo il Papa ha istituito la nuova festa a Maria Madre della Chiesa il lunedì dopo la Pentecoste: dopo il dono dello Spirito Santo, Maria è per ogni credente il dono del Padre che ci richiama alle alte vette della bellezza e della grandezza della santità.

Fr. Marco,Rettore della Basilica

3La Voce di Maria

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P. Ermes, Papa Bergoglio sta mutando la vita interna della Chiesa. Quali sono secondo lei gli obiettivi che vuole attuare in seno alla

Chiesa? Quale la svolta del clero ecclesiale?Francesco ha allargato l’orizzonte: da riformare è la chiesa autoreferenziale, il narcisismo teologico, i mec-canismi decisionali.Mi pare che il primo obiettivo di Francesco è la fine del clericalismo. Il clericalismo è quella mentalità che traccia una linea in mezzo tra il prete e i fedeli: io prete sono di qua della linea, voi laici siete dall’altra parte della linea; io che sono di qua ho la missione e l’auto-rità di parlare e decidere, voi avete quello di obbedire ed eseguire. Il clericalismo spacca in due la Chiesa ed è nutrito dalla insicurezza di molti presbiteri, che sen-za ruolo d’autorità, senza la perfezione delle liturgie e delle forme, non saprebbero chi sono e che cosa fare. La fine del clericalismo è auspicata da questa citazio-ne: “Il popolo di Dio, per costante azione dello Spirito, evangelizza continuamente se stesso” (EG 139). Una visione di potente fiducia, in cui ogni uomo, ogni donna hanno dignità di profeti e pastori, ognuno evangelista di un proprio ‘quinto evangelo’, sotto l’ispirazione dello Spirito. I protagonisti nella comunità non sono quindi i preti, i vescovi o il papa, ma tu e lo Spirito. Scivola sul-lo sfondo la centralità attribuita per secoli alle curie pic-cole o grandi, agli apparati dell’istituzione. Si delinea la svolta che Francesco intende imprimere alla Chiesa. Per molti che lo seguono con cuore e intelligenza at-tenti, l’obiettivo o meglio la strategia unificante della sua azione è quella di scardinare il clericalismo, fatto di privilegi e di poteri, di isolamento e di accentramento (io parlo, tu ascolta) che accomuna tanti ecclesiastici.Il secondo obiettivo di Bergoglio è la fine della mon-danità: carrierismo, ipocrisia, tiepidezza, soldi. In particolare la mondanità spirituale: il fare finta, il trion-falismo di chi si sente più bravo e più furbo degli altri, il senso di indifferenza, lo spirito del mondo. Si tratta

INTERVISTA AP. ERMES RONCHIParole e gesti di Papa Francescoa cura della Redazione

di scardinare e demolire l’atteggiamento compiaciuto e mondano di quei pastori che si collocano al di sopra del gregge, che, non conoscendo l’arte dell’ascolto, parlano senza toccare il cuore; che non accettano il confronto e perciò non conoscono più la lingua mater-na della gente. Francesco non vuole essere circonda-to, è una sua espressione, da “pappagalli bergoglisti”, che imitano le sue parole, ma da gente che invece di parlare entra nei problemi nuovi. Teme la palude, lo stagno immobile; c’è tutta una ornitologia vaticana: i corvi, gli avvoltoi, i pappagalli, le colombe. Sono i me-dia che hanno bisogno di metafore un po’ aggressive. Francesco usa metafore piene di humor e affettuose.Dove va la Chiesa di Francesco? La sua attività innovatrice a che cosa può condurre? Fino a dove riuscirà a spingersi con le sue riforme? Riuscirà a riformare o a rivoluzionare la Chiesa?Vediamo quali sono le resistenze che incontra. La pri-ma è concentrata nella cerchia dei collaboratori, ma si tratta di un numero esiguo, non c’è da enfatizzarne la portata, come fanno invece i mass media. La maggio-ranza della curia è con lui.Preferisce avere vicino persone con cui confrontarsi apertamente piuttosto che devoti pappagalli. Non ha nessuna paura del confronto. Lui avverte la dinamica evangelica che fa emergere molte energie positive e anche negative. Non è turbato dalle opposizioni, ma si preoccupa quando tutto pare calmo e tranquillo. Al-lora fa qualcosa che muove le acque. Non è un papa stratega, macchiavellico. Però è anche gesuita ed è intelligente: non rimuove i capi, i cardinali a capo delle varie congregazioni, ma accorpa e ridisegna le con-gregazioni, e cambia molti dei collaboratori intermedi. Quelli che si oppongono sono i tradizionalisti da un lato e gli ipercritici, dall’altro, quelli che cominciano a dire: “mi aspettavo qualcosa di più, sulle donne, sulla curia, sullo IOR, sui divorziati”. Sono quelli che inve-ce di Francesco sognavano un papa che mettesse le

Prosegue l’intervista, iniziata nel numero precedente, a p. Ermes Ronchi, sacerdote servita, un volto e una penna noti al grande pubblico, che ci aiuta ad entrare nel Magistero di Francesco, a 5 anni dalla sua elezione a Sommo Pontefice.

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cose in ordine, un super poliziotto, un duro... Ma il con-clave a maggioranza di due terzi, qualcosa che è al di fuori della nostra logica riuscire a raccogliere due terzi dei voti richiede un insieme di fattori oltre la politica. Tra cui lo Spirito Santo non è l’ultimo. Nessuno dei giornalisti l’aveva pronosticato e i bookmakers inglesi su 50 candidati l’avevano messo al 47° posto delle probabilità.In 5 anni di pontificato, pensa che Francesco ab-bia realizzato qualche riforma nella Chiesa?Elenco 7 elementi che mi confermano che il papa la riforma l’ha già fatta.1) La governance della chiesa. Una nuova covata, ondata o leva di vescovi che sono pastori, che hanno l’odore delle pecore addosso: Matteo Zuppi, Lorefice, Parolin come numero due, Bassetti presidente CEI, Galantino e don Ciccio di Bitonto. Volti nuovi e cuori nuovi, liberi e non etichettati politicamente.2) Sinodalità. Cita il Concilio meno di tutti e lo applica più di tutti. La chiesa non è monarchica e non è de-mocratica, è sinodale. Ha fatto diventare il sinodo dei vescovi che era penoso in un mezzo concilio dove si dibatte, si combatte... L’atto più importante del papa è stato di dare ai vescovi il potere di discernere se dare o no la comunione ai divorziati risposati. È la prima volta dal 1049 che il papa restituisce un potere anzi-ché avocarlo a sé. Restituisce la sinodalità: sul potere prevale la comunione.3) Viaggi europei. È partito da Lampedusa, poi Le-sbo, Tirana, Sarajevo, Istanbul, Armenia, Georgia. Una traiettoria che circumnaviga l’Europa classica. Ci fu Strasburgo per poche ore. Traiettoria a est è fonda-mentale, il cristianesimo a est è anticarolingio, a-co-stantiniano. Un cristianesimo che non diventa partito, perché un partito crea l’altro come nemico. Non vuole porsi e non vuole costruirsi davanti a sé un nemico.4) Cambia il codice del potere. L’autorevolezza di una persona di solito si abbina con la distanza, la

separatezza, la difficoltà di raggiungerlo. Con lui l’au-torevolezza cresce con la sua vicinanza, è quella di un uomo risolto, compiuto, che non deve dimostrare niente a nessuno. Si sta bene vicino a lui.5) Amoris laetitia. Dare la comunione ai risposati o no. Non è quello il fuoco della lettera. È l’amore il centro, neanche la famiglia e neppure la dottrina sul matrimonio, ma l’esperienza dell’amore. Ha parlato di ciò di cui i cristiani parlano: la sessualità, sessualità serena che ha colpito molto credenti e non cristiani. La sessualità non è una cosa, un oggetto di regolamenta-zioni, è un processo che muta... Ha parlato della muta-zione del desiderio erotico, come cambia con gli anni tra gli sposi, come evolve verso la complicità. Parla del piacere fisico come di una esperienza di risurrezione e dell’amore condiviso tra marito e moglie come della di-mostrazione, la garanzia che la vita è riuscita. L’amore umano è qualcosa che parla di Dio. L’amore coniugale come un luogo dove si fa teologia.6) Ecumenismo. Ha creato con il patriarca di Istanbul una specie di Con-discepolato, non di equilibrio tra po-teri; con Bartolomeo che è un santo è più facile, Kirill di Mosca è spigoloso, ma lo ha incontrato a Cuba. Va ad aprire le celebrazioni per i 500 anni di Lutero in Svezia. Parla con i pentecostali, che dai cattolici sono conside-rati una setta almeno in parte ereticale. La caratteristi-ca sua è il cristianesimo. È la prevalenza del cristiano.7) Riforma del linguaggio. Le lettere sono leggibili, fi-nalmente, scritte in una lingua non morta e non banale, che tutti capiscono. Scritta con uno stile diretto, aperto scorrevole, si può dare in mano a qualsiasi persona e chiunque lo può capire. Che è qualcosa di bello, che partecipa all’esperienza del Risorto. Penso alla scelta delle parole: evangelii gaudium , amoris laetitia. C’è un piacere del credere (beati quelli che crederanno) e del credere insieme; c’è un piacere nel seguire Cristo, non solo rinuncia, sacrificio o mortificazione. Sgombriamo l’idea che il vangelo sia contro il piacere. Il piacere è

una porta per la felicità. Un dono di Dio. Tutti i piaceri sono benedetti, tranne una piccola fetta, che fa male e che preclude la strada per la felicità.E per capire di quali piaceri si tratta, il criterio discriminante è semplice: fa male quella fetta di piaceri che sono senza amore o che vanno contro l’amore (dro-ga, alcolismo, sesso a pagamento, affer-mazione di sé). E tu lo senti nel cuore quando in un comportamento manca l’amore.

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COME SULLAVIA DI EMMAUSI 5 anni di Papa Francesco

Cinque anni di gesti sorprendenti (in pri-mis l’Anno Santo straordinario della mise-ricordia) e di scelte pastorali innovative (a

partire dall’attenzione alle periferie geografiche ed esistenziali del mondo). Cinque anni di Chiesa in uscita a 360 gradi e di spinta alle riforme per una autentica vita di fede. Cinque anni scanditi spesso da momenti veramente storici (valga per tutti l’incontro – il primo in assoluto – tra un roma-no Pontefice e il Patriarca ortodosso di Mosca). In definitiva, cinque anni che già in termini di intensi-tà ed efficacia del ministero petrino sono forieri di un’eredità che travalica la loro durata temporale. È possibile trovare nella ricca complessità del ma-gistero verbale e fattuale di Francesco una cifra interpretativa unificante? Qualche tempo fa il car-dinale Gualtiero Bassetti ha usato un’immagine che fornisce invece un’indicazione fondamentale. «Un Papa con il Vangelo in mano». Aiuta, infatti, a riandare proprio a una pagina evangelica tra le più note, quella dei discepoli di Emmaus, nella quale è possibile leggere in filigra-na un’impressionante similitudine con gli elementi di questi cinque anni. C’è innanzitutto lo scenario di fondo: una strada che conduce dal centro – Gerusalemme – verso un villaggio di periferia, Emmaus. È esattamente la stessa direzio-ne che papa Francesco ha voluto imprimere al suo pontificato. Non solo Chiesa in uscita, ma Chiesa in cammino verso le tante Lampe-dusa, Lesbo, Tirana, Bangui della storia. Realtà marginali e perciò trascurate dai cosiddetti “grandi” della terra, che Francesco ha ri-portato sotto i riflettori del mondo,

a cura della Redazione

come è avvenuto ad esempio nella capitale del Centrafrica, dove ha aperto la prima Porta Santa del recente Giubileo. Colpisce inoltre un secon-do parallelismo. Il viandante che nel Vangelo si avvicina ai due discepoli è ai loro occhi uno sco-nosciuto. Così era, per la gran parte del popolo di Dio e del resto del mondo, anche Jorge Mario Bergoglio al momento dell’elezione. Ma questo “viandante sconosciuto” si è posto fin dal primo momento (ricordate il «Buonasera!» di esordio?) in profonda empatia con il gregge («pastore con l’odore delle pecore»), dimostrando di saper cam-minare al fianco dei discepoli e di comprenderne l’umano travaglio, non certo per blandirlo, ma per versare sulle sue ferite l’olio della misericordia che è l’architrave del pontificato. Papa Bergoglio, proprio come Gesù nel racconto, si è messo al fianco di un’umanità scoraggiata e depressa da guerre, terrorismo, squilibri eco-nomici, disastroso uso della «casa comune», la Terra. Un’umanità che sembra aver fatto proprio

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il pessimismo cosmico dei due di Emmaus («Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele»).E il Papa lo ha fatto non con saccenza, ma con la pazienza, l’amore e la tenacia del compagno di strada. Così ha ricominciato a «spiegare le Scrit-ture». Una nuova comprensione del Vangelo, che trova nella Evangelii gaudium la sua magna charta, e che si concretizza nella realtà di una Chiesa più sinodale al suo interno e «ospedale da campo» per tutti; nella denuncia della «cultura dello scarto», frutto di una economia senza re-gole; nella quotidiana fatica di abbattere muri e costruire ponti (verso i lontani - Cina compresa -; verso gli altri cristiani, verso i credenti delle altre religioni, promuovendo una cultura della pace, al

posto della «terza guerra mondiale a pezzi»). Una Chiesa che s’impegna ad acco-gliere nel suo seno di madre le fami-glie in crisi o chi soffre la propria di-versità esistenziale eppure è in ricerca di Dio («chi sono io per giudicare?»); che sa difendere la vita a tutti i livelli: dalla dignità dei lavoratori a chi rischia di non nascere per aborto o di morire da migrante nei cosiddetti viaggi della speranza. Una Chiesa che sa ascolta-re i giovani (vedi il prossimo Sinodo); che contrasta e previene, con «tolle-ranza zero», dolorosi fenomeni come la pedofilia tra i sacerdoti ed educa

alla salvaguardia del creato, da attuare con l’at-teggiamento del custode. Così, in questi cinque anni di cammino verso il villaggio-Emmaus ormai globalizzato del nostro tempo, e al netto di alcune voci di critica infondata e preconcetta, Jorge Ma-rio Bergoglio, il pastore all’inizio sconosciuto, si è fatto riconoscere, al pari di Gesù, nell’atto dello spezzare il pane. Dalla lavanda dei piedi del gio-vedì santo nei luoghi dell’umana sofferenza, fino allo sguardo puntato sui poveri, gli emarginati, gli immigrati, i senza fissa dimora. Cinque anni di Francesco. Cinque anni con il Vangelo in mano. Per proiettare nuova luce e nuova speranza sulla sera dei tanti problemi del mondo.

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Una fotografia dei giovani a fine estate non può trascurare la canzone di Lorenzo Fragola e Arisa dal titolo Generazione Selfie, che ha

imperversato in tutte le spiagge e in tutte le radio dell’estate scorsa. Perché i giovani scattano i selfie e, a dire la verità, anche i meno giovani.Lo scattare una foto può essere preso come meta-fora: ci basti pensare che, quando Gesù raccontava le parabole, faceva la stessa operazione di un bravo fotografo: fissava una realtà che era davanti ai suoi occhi, osservandola sotto una particolare luce e con una specifica angolatura e messa a fuoco. Se aves-se avuto in mano una Canon, o uno smartphone, avrebbe scattato una foto.

Il selfie è più bello. Sono stato testimone qual-che giorno fa della passione per i selfie. Un gruppo di ragazzi ammucchiati decide di farsi una foto, più precisamente un selfie, con lo sfondo delle Dolomiti. Inquadratura impossibile, loro sono troppi, il telefo-no a distanza di braccio è troppo vicino e l’orizzonte invisibile. Dico: “Dai ragazzi, ve la faccio io la foto!”. Risposta: “Ma il selfie è più bello!”. Il selfie è più bello?! Dal punto di vista tecnico non c’è una sola ragione che renda un selfie più bello di una foto scattata da un altro. A dispetto di tutto ciò, il selfie è davvero in grado di raccontare una generazione o almeno qualche suo riflesso. Che cosa dunque fa percepire il selfie più bello, a parte la moda?La percezione. Quello che fa la differenza, prima di tutto, è la percezione. Nel selfie c’è la percezione di essere infinitamente più protagonisti di quello che sta accadendo, la convinzione di potere curare se stessi fino a creare un personaggio, la suggestione di mostrare di sentirsi vivi. A ben guardare, è più che altro questione di percezione, ma è appunto questa che fa la differenza. Lo ripeto: la generazione selfie ci insegna che la percezione fa la differenza.Tutto ciò non è esente da problemi, ma almeno ini-zialmente dovremmo assumerlo con tutta la serietà del caso. A dispetto della tentazione retorica per cui la Chiesa non si curerebbe della percezione perché baderebbe alla sostanza, dobbiamo preoccuparci di non allontanare i giovani con la prima impressione che diamo.Ambienti brutti, incontri scialbi e quell’alone di non vero interesse per le loro cose: non si può scaricare la colpa su di loro, dicendo che sono superficiali e che non è giusto giudicare frettolosamente. Questo è vero, ma va insegnato di nuovo e non certamen-te come primo atto. L’impatto iniziale, immediato, irrazionale, emotivo è il primo ponte gettato verso

GENERAZIONESELFIEOvvero come i giovani si fannol'autoritratto fotografico col cellularedi Davide Baraldi

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quel famoso nuovo annuncio di cui ancora stiamo abbozzando i primi passi. C’è un modo altezzoso o trasandato, formale o eccessivamente scialbo che caratterizza ancora un certo stile di Chiesa che va curato con più attenzione, senso dell’opportunità e bellezza. Non si tratta certo di legittimare la moder-na ossessione per l’apparenza, ma di permettere che il processo dell’incontro, che va sempre dall’e-steriorità all’interiorità, non trovi ostacoli prima di potere giungere alla meta.Il primato del dirsi. L’altro elemento che fa la dif-ferenza è il primato del “dirsi” piuttosto che dell’es-sere detti. Il selfie è un modo di raccontarsi in cui l’azione soggettiva (e la successiva possibilità di essere riconosciuti, magari con un «like a un altro post») vale più di tutti gli altri elementi della comu-nicazione. Pensiamo a Gesù che dilata il dialogo con il giovane ricco per farlo parlare e venire allo scoperto, oppure quando chiede: «Che cosa vuoi che io faccia per te?».La nostra pastorale, invece, sottovaluta in molti aspetti - talvolta inconsapevolmente, talvolta colpe-volmente - questo bisogno. Il famoso metodo espe-rienziale, che intercetti in modo non banale la loro domanda di vita, è ancora messo in discussione o solo balbettato. I documenti ufficiali, così come molti sussidi catechistici, dicono tantissime cose dei gio-vani, con il dubbio che li abbiano mai lasciati parlare veramente.Infine, mentre i viceparroco sono una razza in via di estinzione e le risorse pastorali in favore dei giovani vengono razionalizzate (magari affidando al clero molteplici incarichi), si mantiene saldamente una struttura e un’organizzazione ecclesiale che impe-disce in ogni modo ai preti di perdere tempo coi gio-vani, di ascoltarli e di accompagnarli a lungo. La mia amara, personale esperienza è il rischio di risolvere le cose con qualche consiglio e poche istruzioni moraleggianti... e così continueranno con i selfie, in scenari ben diversi dai nostri. E qualcuno condan-nerà ancora la loro autoreferenzialità e lasceremo che Apple, Facebook o qualcos’altro intercettino i loro stili e i loro bisogni.Il desiderio di avere in mano una reflex. In-vece sarebbe bello potere reagire e riuscire a comu-nicare ai giovani che la foto vogliamo farla insieme, come vogliono loro, ma con una reflex, in modo che si vedano bene i volti, i sorrisi e la luce dei loro oc-chi, e anche le Dolomiti sullo sfondo, e poi farne un ingrandimento e tenerla tra le nostre cose più care.

Gesù,scendi subito,perché oggidevi fermarti nella mia casa,per abitare tutte le mie relazionie le mie amicizie e insegnarmiad ascoltare la tua Parolaanche nelle parole di chi mi vuol bene.Gesù, scendi subito,perché oggi devi fermartinel mio lavoro, per metterenel mio cuore parole e gesti nuovie ritrovare la gioia di vedere tein ogni persona che incontro.Gesù, scendi subito,perché oggi devi fermartinelle mie domande e nel mio silenzio,dove ti posso incontrare nella veritàdella preghiera e diventare testimonedi pace nella fatica di ogni giorno.Gesù, scendi subito,perché oggi devi fermartinella mia comunità, dove soffriamotante ferite aperte dai nostri conflittiche solo tu puoi aiutarci a rimarginareper ricominciare a servire.Gesù, scendi subito,

perché oggi devi fermartinella nostra Chiesa,

per accompagnare ilcammino del Sinododei Giovani suisentieridi Zaccheoche profumanodi giustiziae di Vangelo.

Preghiera peril Sinodo deiGiovani

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IL VIAGGIO CHE TI CAMBIAPellegrinaggio: giovani, solitudine, fatica

Camminare insieme per fermarsi e “fare un passo indietro” per guardare avanti: è in questa formula solo apparentemente con-

traddittoria il significato più profondo dei cammini che i giovani italiani vivranno lungo tutta la Pe-nisola prima di raggiungere Roma per l’incontro

con papa Francesco l’11 e 12 agosto prossimi.Il lavoro di preparazione a questi appuntamenti è partito da tempo nelle diocesi, grazie all’impegno del Servizio nazionale per la Pastorale Giovanile, che ha offerto un prezioso laboratorio di condivi-sione e di riflessione sul senso dei pellegrinaggi

di Matteo L.

“Signore, cosa vuoi che io faccia?”Così pregava il giovane Francesco d’Assisi davanti al Crocifisso di S. Damiano all’inizio del suo cammino spirituale…

Sei anche tu un giovane tra i 18 e i 30 anni e ti interroghi sulla tua vita o desideri confrontarti con un giovane frate?Contatta fr. Tullio o fr. Marco allo 0422.766030o scrivi a [email protected]à di trascorrere un week-end nella comunità dei fratidi Motta per condividerne la preghiera, la vita fraterna e il lavoro.

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in programma per l’estate nell’anno del Sinodo dei giovani.Ci spiega meglio don Michele Fala-bretti, responsabile del Servizio na-zionale di PG: «Il pellegrinaggio è un viaggio che si intraprende perché si desidera cambiare qualcosa». In par-ticolare egli individua sette dinamiche del pellegrinaggio che generano il vero cambiamento.Prima di tutto il distacco: è necessa-rio entrare in uno spazio, un tempo e un modo di vivere diversi da quelli quotidiani.Poi la fatica, che mette dinanzi alla verità di se stessi.Terzo, la solitudine, che è l’indispen-sabile terreno del cammino interiore. Quarto: gli altri, perché sul cammino si scopre la possibilità di scorgere in ogni volto una presenza amica.Poi la meraviglia, che nasce dalla possibilità di fermarsi a guardare.Senza dimenticare la tradizione: il pellegrino comprende di non essere il primo né l’ultimo a compiere quel cammino.Infine la preghiera: nel cammino, come successo a Emmaus, il Signore viene incontro alla ricerca dell’uomo. E questo aiuta i giovani a riscoprire Dio nella loro vita.

Camminare, quindi, è anche occasione per «vi-vere un profondo discernimento personale, è un’esperienza vocazionale», come sottolinea don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale delle Vocazioni. Egli spera che i cammini della prossima estate possano trasfor-marsi in esperienze educative da vivere durante tutto l’anno e da continuare a valorizzare anche dopo l’incontro con il Papa. In fondo camminando è possibile cambiare l’uomo e il mondo: cammina-re è il gesto più semplice, che ci permette di ricon-netterci con noi stessi e di riscoprire un patrimonio spesso sconosciuto.

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CAMMINÒA ORIENTEA 700 anni dal viaggioin Cina del frate friulanodi Walter Arzaretti,Commissione Beato Odorico per la canonizzazione e il culto

Il dettato dell’itine-rario a Oriente del Beato Odorico da

Pordenone (1285-1331) è il documento preziosissimo che àncora alla storia l’e-sperienza missionaria di un frate della prima ora e pure le gesta di un uomo del Medioe-vo che ebbe il corag-gio di camminare ver-so l’incognito.Quasi nulla saprem-mo di lui senza que-sto testo che narra un

viaggio iniziato via mare da Venezia, protrattosi 7 anni nelle lande del vicino ed estremo Oriente, coronato nei 3 anni di permanenza a Khanbaliq (oggi Pechino) presso il vescovo fra Giovanni da Montecorvino e con significativi contatti con il Gran Khan regnante in Cina, concluso con l’im-previsto rientro per obbedienza lungo la Via della Seta (2 anni circa) nel 1330.Una peregrinazione fantastica: “De mirabilibus mundi”, le fu anche dato il titolo! Fantastica pure per la varietà e la novità, agli orecchi del circo-scritto Occidente di allora, di costumi e usi de-scritti delle popolazioni incontrate: specie su essi l’autore si sofferma, per soddisfare anche la cu-riosità dei confratelli che a Venezia, Padova, poi Udine lo avevano riaccolto, sfigurato dalle fatiche.La stessa dettatura, fatta anch’essa con riluttanza al provinciale frate Guidotto da Bassano, risen-te della fatica fisica e psicologica di un Odorico malato e poco disposto a riferire di sé e dei suoi “guadagni di anime” come sacerdote e francesca-

no missionario – vita di elette virtù fu la sua anche prima di partire – e un po’ scettico di essere cre-duto in ciò che andava dettando al confratello fra Guglielmo da Solagna nel convento del Santo a Padova.Suona ancora come sconosciuta, o incredibile cosa, quanto il Beato Odorico nuovamente viene a narrarci nel 7° centenario dalla sua partenza per l’Oriente (1318-2018).L’evento trova consonanti la Pordenone dei suoi natali attorno al 1285; e Udine, città della voca-zione e del ritorno, passaggio a Dio il 14 gennaio 1331 e immediata consacrazione del frate-sacer-dote-eremita-missionario-taumaturgo da parte del popolo devoto presso l’arca del suo corpo, oggi nella chiesa del Carmine.Nel 2018 il Friu-li può convergere nella figura di Odo-rico, unito all’Ordine francescano, che il Nostro scelse come sua famiglia per vi-vere l’avventura di cristiano. Nell’attesa di venerarlo santo canonizzato.

In alto a sinistra:Reliquia del cilicio

usato dalB. OdoricoA destra:

Cartina del viaggio del B. Odorico

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Tondo sopra la porta della Natività della Basilica di Motta

PROLOGO DELL’ITINERARIUM

Dalla Relatio del viaggiodel Beato Odorico da Pordenone

a cura della Redazione

Per celebrare il 700° anniversario dello stra-ordinario viaggio in Cina del frate friulano, in questo numero e nei prossimi la Rivista

pubblica un estratto della sua “relatio” del viag-gio in Oriente, a testimonianza di un uomo che si è messo in dialogo con popoli e culture lontani senza pregiudizi ma con francescana semplicità.Come leggiamo nel prologo che di seguito ripor-tiamo, Odorico, all’inizio del suo racconto, affer-ma di essere partito “per guadagnare qualche anima”. Ad avventurarsi nelle missioni d’Oriente non è un fraticello zelante, armato di entusiasmo e spirito di avventura, ma un religioso e sacerdo-te maturo, un innamorato delle anime che vuole, come il suo Signore, “dare la vita”.

Questo il viaggio in sintesi: l’andata marittima da Venezia a Trebisonda, proseguita con carovane in Anatolia, Persia, Mesopotamia, e – di nuovo per mare – lungo le coste dell’India, toccando le tante Isole dell’Oceano Indiano, e poi indonesia-ne e filippine, il Vietnam e finalmente entrando nel grande Cathay, la Cina; il ritorno per terre e mon-tagne di Tibet, Pamir, Afghanistan, Turkestan, di nuovo Persia, Armenia, Trebisonda.

[...] Io Frate Odorico di Friuli, vogl[i]endo an-dare et passare nelle parte di coloro che non credono nella fe di Dio, et acciò ch’io possa di questo alcuno frutto che sia utile all’ani-me nostre guadagnare, molte cose grandi et maravigliose udii et viddi, le quali io posso con veritade narrare [et] divotamente prego il mio Signore Iddio, che porga tal lume al mio intelletto, che io possa in tutto o in parte rammemorare le cose da me viste con questi occhi; alle quali, perché maravigliose siano, non se gli deve aver minor fede; poscia che appresso Iddio niuna cosa è impossibile. Vo-glio dunque, a coloro che queste cose, che io dirò, vedute non hanno, quanto meglio potrò, brevemente scrivendo, dimostrarle. E giuro, per quell’Iddio che in mio aiuto ho chiamato, in questa narrazione non dovere io dire né meno né più di quel che in varie parti del mon-do camminando ho visto.

I passi citati sono tratti da Odorico da Pordenone, Relazione del viaggio in Oriente e in Cina, Porde-none 1982. E da Giancarlo Stival, Frate Odorico del Friuli. Da Pordenone alla Cina per “guadagnare ani-me”, Padova 2012.

Continua nel prossimo numero

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Card. Robert Sarah, Prefetto del Culto Divino

In attuazione della decisione di Papa Francesco, con decreto datato 11 febbraio 2018, la Congre-gazione per il Culto Divino e la Disciplina dei

Sacramenti ha disposto l’iscrizione della memoria della “Beata Vergine Maria Madre della Chiesa” nel Calendario Romano. Il motivo della celebrazione è descritto nello stes-so decreto, che ricorda l’avvenuta maturazione della venerazione liturgica riservata a Maria a se-guito di una migliore comprensione della sua pre-senza “nel mistero di Cristo e della Chiesa”, come ha spiegato il capitolo VIII della Lumen gentium del Concilio Vaticano II. A ragion veduta, infatti, nel promulgare questa costituzione conciliare il 21 novembre 1964, il beato Paolo VI volle rico-noscere a Maria il titolo di “Madre della Chiesa”. Il sentire del popolo cristiano, in due millenni di storia, aveva in vario modo colto il legame filiale

che unisce strettamente i discepoli di Cristo alla sua santissima Madre. Di tale legame ne dà esplicita testimonianza l’e-vangelista Giovanni, riportando il testamento di Gesù morente in croce (cf. Gv 19, 26-27). Dopo aver consegnato la propria Madre ai discepoli e questi alla Madre, morendo Gesù “consegna lo spirito” in vista della vita della Chiesa, suo mistico corpo: infatti, “dal fianco di Cristo addormentato sulla Croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (Sacrosanctum Concilium, n. 5). L’acqua e il sangue sgorgati dal cuore di Cristo sulla croce, segno della totalità della sua offer-ta, continuano sacramentalmente a dar vita alla Chiesa attraverso il Battesimo e l’Eucaristia.In questa mirabile comunione, sempre da alimen-tare tra il Redentore e i redenti, Maria santissima ha la sua missione materna da svolgere.

MARIA MADRE DELLA CHIESALa nuova festa istituita dal Papa

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LE COCCOLE AL DIO BAMBINOLa Madonna del solletico di Masaccio di Antonio Paolucci

Madonna del solletico si chiama la tavoletta che Masaccio (1401-1428) dipinse circa nel 1427 e che, grande come un libro di medie dimensioni (cm 24,5x18,2), è custodita agli Uffizi, miracolosamente sopravvissuta alle rapine naziste durante l’ultima guerra. Si chiama Madonna del solletico perché la Vergine, con due dita della mano destra, sta solleticando il suo bambino sotto il mento e il bambino ride felice, stringendo fra le due mani-ne il braccio della Madre. Potremmo anche chiamarla “Ma-donna delle coccole” perché questo è proprio quello che la mamma sta facendo al piccolo Gesù, felice di vederlo così bello e di sentirlo caldo e allegro fra le braccia. Si può imma-ginare la Madonna che gioca e scherza con il suo bambino che è Dio onnipotente ed eterno? È difficile pensarlo, ep-pure proprio questo Masaccio venticinquenne ha messo in figura nel dipinto degli Uffizi. Guardiamola da vicino questa tavoletta preziosa destinata alla devozione domestica.

La Vergine Maria è rappresentata con tutti gli attributi iconografici che le competono: il manto blu-notte bordato d’oro, la tunica rossa, l’aureola operata d’oro, emblema della sua santità. Guarda il suo bambi-no con tenerezza, con commossa affettuosa dedizione, ma si ha l’impressione che un velo di malinco-nia attraversi il suo sguardo come se, anche in questo momento felice, vivesse in lei la consapevolezza o forse il presagio, di quello che sarà un giorno il destino di un figlio così bello. Nel corso del gioco, la collana di corallo al collo del piccolo Gesù è scivolata sulla spalla mentre l’agi-tazione impercettibilmente muove la vestina di seta trasparente che copre il corpicino. Roberto Longhi, che per primo, nel 1950, ha pubblicato la tavola attribuendola a Masaccio, scrisse che «il gruppo divino sembra quasi muoversi e passare». Come se un fotogramma fulmineo avesse fermato per un attimo l’apparizione della Vergine, sorpresa in intimità con il suo bambino. Questo stesso pittore per così dire si commuove all’idea della Madonna immaginata come una mamma che gioca con il suo bambino, e ci consegna questo piccolo grande capolavoro di tenerezza materna.

Considerando l’importanza del mistero della maternità spirituale di Maria, che dall’attesa dello Spirito a Pentecoste (cf. At 1, 14), non ha mai smesso di prendersi maternamente cura della Chiesa pellegrina nel tempo, Papa Fran-cesco ha stabilito che il Lunedì dopo Pente-coste, che quest’anno sarà il 21 maggio, la memoria di Maria Madre della Chiesa sia ob-bligatoria per tutta la Chiesa di Rito Romano. Adesso la celebrazione di Maria Madre della Chiesa diventa dunque universale per tutta la Chiesa di rito romano e obbligatoria. La deci-sione vuole promuovere una «devozione» che può «favorire la crescita del senso materno della

Chiesa nei pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana», come chia-risce il decreto. È evidente il nesso tra la vitalità della Chiesa della Pentecoste e la sollecitudine materna di Maria nei suoi confronti.L’auspicio è che questa celebrazione, estesa a tutta la Chiesa, ricordi a tutti i discepoli di Cristo che, se vogliamo crescere e riempirci dell’amore di Dio, bisogna radicare la nostra vita su tre real-tà: la Croce, l’Ostia e la Vergine. Questi sono i tre misteri che Dio ha donato al mondo per struttura-re, fecondare, santificare la nostra vita interiore e per condurci verso Gesù Cristo. Sono tre misteri da contemplare in silenzio.

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1918-2018: Anniversario Grande Guerra

La frase di padre Lodovico Ciganotto, riportata nel titolo, documenta la drammaticità dell'invasione austro-ungarica a Motta nel 1917-18. Dopo la disfatta di Caporetto, infatti, la sinistra Piave (il Friuli e il Veneto occidentale) venne occupata e saccheggiata dall’invasore, adibendo la Basilica di Motta in un ospedale da campo per le truppe austriache. Nonostante fame e angherie subite, i frati rimasero al loro posto, custodi del Santuario e vicini alla gente con grande coraggio e spirito di servizio.

“CI ADDORMENTAMMO ITALIANIE CI SVEGLIAMMO AUSTRIACI”Il dramma dell’occupazione di Motta raccontata da p. Ciganotto

di Mario Po'

Motta di Livenza ha il privilegio di disporre di un eccezionale diario di guerra, per l’ultimo anno della Grande Guerra, dal 2

novembre 1917 al 4 novembre 1918. Lo ha scrit-to un frate del nostro convento, padre Lodovico Ciganotto, il quale arriva a Motta proprio agli inizi dell’ultimo anno di quella immane tragedia belli-ca. P. Ciganotto è stato innanzitutto un importante

teologo e filosofo, è stato a lungo a Gerusalem-me, ha scritto testi illuminanti sugli studi del fran-cescano medievale Duns Scoto. Nato proprio a Motta nel 1869, p. Ciganotto morirà a Gemona nel 1934, ove ancora riposa.Il suo diario è diventato presto un libro, pubblicato già nel 1922 con il titolo “L’invasione austro-un-garica a Motta di Livenza e nei Dintorni”; sarà

La stele commemorativadella Grande Guerra riporta

alcune foto storiche rare dell’occupazione austro-ungarica a Motta nel 1917-18

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1918-2018: Anniversario Grande Guerra

Passaggio delle truppe austro-ungariche

La Basilica adibitain ospedale militare

ripubblicato nel 1993 e, più recentemente una se-conda volta, nel 2016; per questo si trova ancora facilmente in libreria.Il nostro concittadino francescano, quasi con ca-denza giornaliera, riporta, come lui stesso scrive nella prefazione del libro, “i fatti più notevoli dei quali io stesso fossi stato testimonio, o che avessi verificato di persona, o ricevuti da testimoni supe-riori ad ogni eccezione”. Con lo scrupolo, quindi, di attenersi alla verità, si muove tra vicende gran-di e piccole che vedeva straziare la gente della nostra terra; lo fa fino al punto di considerare un dovere tributare una lode a quei nemici - pochi per la verità - che se la fossero meritata.Commuove molto vedere che una figura di stu-dioso impegnato in complesse discipline teoriche tenga questo diario guidato da un forte sentimen-to mottense.Egli infatti asserisce:“Quando le scrivevo que-ste note tristi e dolorose, con molta segretezza, per lo più a notte avanzata, al rombo del cannone che tuonava rabbioso a pochi chilometri da noi, non pen-savo mai di farle pubbli-che, ma al più di rendere un piccolo servigio a chi passata la presente ge-nerazione, avesse voluto occuparsi a stendere una pagina di storia veritiera e

spassionata del mio paese nativo che amo tanto, per-ché per me, naturalmente, è il più bello del mondo”.In questo 2018, che per noi corrisponde al ricordo del centenario dell'ultimo anno di guerra, riferiremo in que-sta Rivista, in altri tre prossi-mi numeri, dei fatti annotati dal p. Lodovico. Lo faremo suddividendo il suo reso-conto in un primo periodo da novembre 1917 a feb-braio 1918, in un secondo periodo da marzo a giugno

1918 (considerando la prima disfatta nemica del 15 giugno l'inizio di una sorte diversa per l’Italia), e in un terzo periodo da luglio a novembre 1918.I fatti hanno inizio il 2 novembre 1917: p. Lodo-vico si muove in treno da Venezia verso Treviso, per raggiungere Motta, non sapendo quando e come da Treviso - città invasa dai profughi friu-lani, scappati dalle loro case a seguito della rotta di Caporetto - potesse partire il treno per Motta.Egli è comunque molto deciso in questo viaggio controcorrente perché sa che a Motta c’è il suo vecchio papà e vuole essere d’aiuto al Santuario della Madonna dei Miracoli a cui - scrive - “il mio cuore è tanto legato, me felice”.Con questo animo il nostro frate scriverà uno tra i più importanti documenti di storia vissuta della terra mottense.

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La tomba del Servo di Dio a San Juan Nonualco

P. COSMASPESSOTTOI fioretti di un martire

Fr. Ilario Contran, già missionario in Centro America

Il martire “Servo di Dio” P. Cosma, che speriamo presto anche beato come il suo compagno di missione, il martire p. Tullio Maruzzo, assassi-

nato in Guatemala il 1° luglio 1981, è già in cielo con mons. Oscar Arnulto Romero, assassinato il 24 marzo 1980. A questi tre fanno corona a centi-naia schiere di martiri, sacerdoti, suore, catechisti e cristiani. Centinaia.Tutto questo ci fa capire quanto ha sofferto la chiesa in quelle due nazioni, Guatemala e San Salvador. Quando i parrocchiani chiamavano il padre Cosma: “il padrecito santo” egli li correg-geva dicendo che il suo nome di battesimo era “Sante” e non “Santo” e che rispettassero la vo-lontà di sua madre che gli dette questo nome. Quando fu ordinato sacerdote nella Basilica del-la Madonna della Salute in Venezia il 27 giugno 1948, sentì l’impulso di affidare il suo sacerdozio alla Madonna, essendo anche quel giorno la Fe-sta della Madonna del Perpetuo Soccorso.

Il 9 marzo 1950 salpò dal porto di Genova per El Salvador in Centro America; 20 giorni di sogni, preghiera e lieta compagnia di altri missionari, tutti giovani, decisi di servire Dio e le anime. Con molta nostalgia cantavano i canti delle nostre montagne.Visse tre anni come parroco in San Pietro No-nualco, nelle montagne salvadoregne, ai piedi del grande vulcano di S. Vincente. Spesso di not-te sentiva i rumori sotterranei del vulcano e non sempre dormiva di notte. L’8 ottobre 1953 entrò come parroco in San Giovanni Nonualco e vi ri-mase per 27 anni fino al suo martirio. Nonualco era un piccolo paese con una chiesetta di “Ad-dobes”: mattoni fatti di fango e paglia. Però il pa-dre quasi subito pose la prima pietra della nuova chiesa, oggi orgoglio del paese e meta di pelle-grinaggi. Era il 3 giugno 1960. Quasi immediata-mente fondò la “Scuola parrocchiale” per più di mille bambini; taglio e cucito per le donne, scuola

di catechismo in tutti i 20 villaggi, sotto la sua responsabilità. Villaggi che visi-tava spessissimo. Predicava spesso di-cendo che la vocazione di ogni cristiano è farsi santo, perché così diamo l’onore più grande a Dio. Insegnava che i santi non sempre fanno cose grandi, ma che santificando le cose ordinarie di ogni giorno, per amore al Signore, possia-mo arrivare ad essere santi. Così fece padre Cosma. È stato un buon pastore per le sue pecorelle, fedele alla sua mis-sione di parroco, fedele fino all’eroismo. Qualcuno scrisse che p. Cosma aveva tre amori “bianchi”:1) la bianca Ostia dell’Eucarestia che tanto amava e portava a tutti i malati, a cavallo e per molti chilometri;

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Il giovane P. Cosma, il sesto in piedi in prima fila, con i suoi compagni di studio nel 1948

2) l’Immacolata Vergine Maria, chiamata anche “La Purissima”, che egli onorava con i suoi mi-gliori sermoni e con il Santo Rosario sia con la gente, sia anche personalmente;3) il bianco Padre, cioè il Papa, vicario di Cristo, il dolce Cristo in terra. Fu sempre obbediente an-che al Vescovo e suo collaboratore.Per questo pregava molto e diceva che chi non parla con Dio, non ha niente da dire agli uomini, perché solo convince chi è veramente convinto. Per questo p. Cosma era un sacerdote molto in-

gegnoso, ammirevole nell’inventare nuove forme di evangelizzazione.Il vero amore è sempre inventivo...Il vero profeta annuncia e denuncia... per questo p. Cosma era un sacerdote “scomodo” alle due parti in conflitto nella cruenta guerra civile. Face-va del bene a tutti. Diceva: “tutti sono miei figli spirituali, e la maggior parte di loro li ho battezzati io”. Amico lettore: conoscere la vita dei santi e dei martiri del nostro tempo, è un dovere e uno stimo-lo per vivere come loro.

LA BOZZA PER LA CAUSA DI P. SPESSOTTOFase cruciale per riconoscerne il martirio

È stata ultimata in “bozza” la redazione della causa affinché padre Cosma Spessotto venga dichiarato martire. Correttamente si tratta della “positio super martyrio”. A darne notizia è don Ugo Cettolin, arciprete di Mansuè. «In questi ultimi mesi - spiega don Cettolin - a interessarsi della questione è stato pure padre Bruno Masetto, rettore della basilica di Sant’Alessio in Roma. Egli a sua volta ha interpellato il cardinale Angelo Amato, principale responsabile della Congregazione delle cause dei santi».A seguire dappresso la postulazione della causa di martirio sono i frati Francescani del Santuario di Motta di Livenza, ai quali apparteneva padre Cosma. Per lui si sono mossi pure i cardinali Stella e Parolin.Anche la comunità civile si è espressa in materia, con una delibera approvata dal consiglio comunale di Mansuè, attraverso la quale l'amministrazione guidata dal sindaco Leonio Milan ha espresso il desiderio della comunità di Mansuè di veder riconosciuto l’impegno di padre Cosma, che ha pagato con la vita la sua strenua difesa dei poveri e degli oppressi.Venne ucciso a El Salvador il 14 giugno del 1980, mentre pregava nella sua chiesa inginocchiato davanti alla statua della Madonna. Il suo motto era: «Le idee non si affermano con le armi».

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24 ORE PER IL SIGNORE. Anche quest’anno il Santuario ha aderito all’iniziativa del Papa “24 ore per il Signore”, ossia l’apertura prolungata e

notturna della Basilica per l’Adorazione Eucaristica e la Confessione. Sempre buona la presenza e la

partecipazione dei fedeli.

IL MIO NOME È STATO DATO PER AMORE. Questo il messaggio lanciato nella Via crucis dei gruppi giovanili della Forania mottense guidata dai giovani preti con fr. Andrea.Oltre 150 i partecipanti; protagonisti i giovani.

SILENZIO E PREGHIERA. Oltre 70 Suore di vari istituti religiosi presenti in Diocesi hanno vissuto in Santuario una mezza giornata di ritiro spirituale col Vescovo Pizziolo.

VITA DEL SANTUARIO

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Continua il rosario con fiaccolata sul piazzale della BasilicaOgni mercoledì ore 20.45 e fino all’ultimo mercoledì di settembre.

Fioretto marianoPer tutto il mese di maggio da lunedì a venerdì ore 20.30, eccettuato il mercoledì, giorno della fiaccolata.

Conferenza su“Eresia ed equivoci in Lutero”Venerdì 25 maggio ore 20.45 in sala Bello, a cura dell’associazione culturale Girolamo Aleandro di Motta.Relatore Mons. Luigi Negri,Vescovo emerito di Ferrara.

Festa del Corpus DominiGiovedì 31 maggio ore 20.45 con processione dal Duomo al Santuario.Veglia di Pentecoste

Sabato 19 maggio ore 20.45.

Prossimi appuntamenti in Santuario

PRIMAVERA INNEVATA. Così si presentava al mattino il Santuario nella festa di S. Giuseppe, 19 marzo, a due giorni dall’inizio della primavera. Un’insolita nevicata ha imbiancato il piazzale, il campanile e persino il busto di fr. Erasmo. E faceva un certo effetto osservare l’elegante mandorlo in fiore, che annuncia la fine dell’inverno, circondato dalla neve: scherzi del meteo pazzerello…

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Santuario della Madonna dei Miracoli @santuariomotta vi trovi eventi, foto, celebrazioni e commenti al Vangelo!!

Il Santuario in INTERNET...È attivo il sito www.santuariomotta.it, dove trovi la storia del Santuario,gli orari delle celebrazioni festive e feriali, la rivista “La Voce di Maria” e molto altro.

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Pellegrinaggio da Bassano del Grappa (VI)Pellegrinaggio da Cazzago di Pianiga (PD)Pellegrinaggio da Monteortone (PD)Pellegrinaggio da Chioggia (VE)Parrocchia di S. Giacomo di Veglia (TV)Parrocchia di Quinto di Treviso (TV)Istituto Suore di S. Vincenzo di TrevisoFraternità Francescana Betania diocesi di LuganoBambini di Prima Comunione di San Giovanni e Motta di Livenza (TV)Bambini di Prima Comunione di Gorgo e Navolè (TV)Associazione Trevisani nel mondo sez. Cison di Valmarino (TV)

AFFIDATI ALLA MADONNA

Amelia Tommasi da Villanova di Prata (PN) Giulia De Paoli da Spilimbergo (PN)

Gruppo volontari LILT (Lega Italiana Lotta Tumori) di OderzoGruppo da S. Stefano di Zimella (VR)Gruppo da Cavallino, Tre Porti e Ca’ SavioGruppo da Porpetto (UD)Gruppo Clara di Codognè (TV)Gruppo di preghiera di San Fior (TV)40° di matrimonio Barro Guido e Carretta Maria di S. Polo di Piave (TV)50° di matrimonio Vivan Luigi e Manzato Maria Anna di Motta55° di matrimonio De Bortoli Giuseppe e Luciana di Annone Veneto (VE)67° di matrimonio Follador Antonio e Onorina di S. Donà di Piave (VE)

PELLEGRINAGGI E ANNIVERSARIMarzo e Aprile

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E...STATE GIOVANI...CON I FRATI!“I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”: questo il tema del prossimo Sinodo che si celebreràa ottobre 2018 e che vede i giovani protagonistidi una riflessione pastorale.Anche i Frati Minori del Nord Italia desiderano aiutare i giovani proponendo loro delle attività estive in grado di orientare i loro passi e discernere i movimentidel loro cuore.

Iscrizioni: [email protected]: www.fratiminori.it

Fradèi (fratelli)a Giugno con i francescani di Bologna, Vicenza, Monza, Torino una giornata semplice di cammino...#portachivuoi

Campo Servizio20-25 Agosto Alla Mensa dei Poveri di Torino

Campo Estivo27 Agosto - 1 Settembre

Genova

Nella vignadel Signore

21-23 Settembre

Contempliamo con Santa Chiara6-11 Agosto Monastero di Lovere (BG)

38a Marcia Francescana25 Luglio - 4 Agosto

Per giovani dai 18 ai 32 anniIscrizioni online su www.marciafrancescana.it

Settimana Vocazionale27 Agosto - 1 SettembreVilla Verucchio (Rimini)

Eremo Francescano20-26 Agosto Festival Francescano

28-30 Settembre Bologna

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Laudato sii, mi Signore!I Frati di Motta di Livenza celebrano

Altissimu,onnipotente bon Signore,

tue so’ le laude,la gloria et l’honore

et onne benedictione.

Laudate et benedicete mi’ Signore, et ringratiate et serviateli cum grande humilitate.

S. Messa solenneDomenica 17 giugno ore 11.30Basilica di Motta di Livenza

Festa di S. Antonio• Da venerdì 1 giugno:

Tredicina di S. AntonioOgni giorno alla S. Messa delle ore 18.00, preghiera e riflessione sulla figura del Santo venerato in tutto il mondo.

• Mercoledì 13 giugno:festa di S. Antonio.A tutte le SS. Messe (7.30 – 8.30 – 9.30 e 18.00), benedizione e distribuzione del “Pane di S. Antonio”. La festa culminerà alla sera, con la S. Messa solenne alle ore 20.30; segue la

processione con la statua del Santo e la benedizione del “Pane di S. Antonio”,che verrà distribuito ai presenti.

• 65 anni di Professione religiosa di fr. Dino Buso e fr. Ilario Contran• 50 anni di Professione religiosa di fr. Francesco Ruvolo• 65 anni di Presbiterato di fr. Raffaele Frittegotto• 50 anni di Presbiterato di fr. Silvio Pranovi

Anno LXXXIV • N. 3 Maggio - Giugno 2018 • Rivista Bimestrale • Sped. in Abb. postale • D.L. 353/2003 - Art. 1 comma 2 • DCB TV