La letteratura italiana e le arti, Atti del XX Congresso ...
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ANNA CAROCCI
L’ottava rima ‘illustrata’: il caso di Niccolò Zoppino
In
La letteratura italiana e le arti, Atti del XX Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Napoli, 7-10 settembre 2016),
a cura di L. Battistini, V. Caputo, M. De Blasi, G. A. Liberti, P. Palomba, V. Panarella, A. Stabile,
Roma, Adi editore, 2018 Isbn: 9788890790553
Come citare:
Url = http://www.italianisti.it/Atti-di- Congresso?pg=cms&ext=p&cms_codsec=14&cms_codcms=1039
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La letteratura italiana e le arti © Adi editore 2018
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ANNA CAROCCI
L’ottava rima ‘illustrata’: il caso di Niccolò Zoppino
L’intervento indaga la funzione di mediazione che, attraverso l’apparato illustrativo, l’editore Niccolò Zoppino svolge nelle edizioni cavalleresche, un genere di grande successo ma anche altamente codificato. Deviando dalla norma costante delle stampe in ottava rima, lo Zoppino mette a punto soluzioni originali riguardo alla tipologia delle illustrazioni e al rapporto testo-immagine, e arriva ad anticipare la prassi illustrativa del secondo Cinquecento.
1.
Le illustrazioni costituiscono un elemento caratterizzante del genere cavalleresco fin dai suoi esordi
a stampa: nessun altro genere letterario, è stato detto, viene «esibito al pubblico dei lettori con un
corredo d’illustrazioni così copioso, così vario, così tempestivamente aggiornato».1 La presenza
costante di un apparato figurativo si può dire inscritta nello stesso codice genetico del genere, per
effetto del suo altissimo livello di codificazione: personaggi fissi, situazioni ricorrenti, nemici
provenienti da terre lontane, scontri e avventure – un universo narrativo sempre uguale e sempre
diverso, che si associa e si dissocia in infinite combinazioni. Un universo, quindi, che porta con sé
un repertorio iconografico sempre valido e rappresentativo, che può essere facilmente riciclato di
storia in storia e di edizione in edizione: battaglie campali e duelli in singolar tenzone, assedi e città
in fiamme, banchetti e tornei. Alla codificazione narrativa si aggiunge, già in un’età assai precoce
della stampa, un livello quasi pari di codificazione tipografica: fin dai primi anni del Cinquecento,
soprattutto a Venezia, il genere cavalleresco si afferma in un format costante, costituito da edizioni in
quarto (o in ottavo), con specchio di stampa di dieci ottave su due colonne e immagini delle
dimensioni di un’ottava, facilmente inseribili in un punto qualsiasi della pagina.2
Lo studio delle illustrazioni contribuisce a mettere in luce i rapporti di dipendenza tra le varie
opere e l’evoluzione degli standard tipografici; permette anche, però, di indagare il livello di
interventismo dei tipografi e degli editori, che, a seconda dell’originalità delle loro scelte e dei mezzi
a loro disposizione, svolgono spesso un ruolo essenziale nell’orientare i gusti del pubblico e talvolta
anche nel processo creativo delle opere, facendosi mediatori tra i testi e i lettori.
In questa sede ci si propone di indagare proprio la funzione di mediazione che gli editori
possono svolgere anche in un campo codificato (e dunque all’apparenza ‘imbrigliato’) come
l’apparato illustrativo dei poemi cavallereschi: non i capolavori del genere (Pulci, Boiardo, Ariosto),
ma i testi di grande successo di pubblico e di livello qualitativo medio o magari anche basso,
rappresentanti esemplari della produzione popolare e di consumo del primo Cinquecento. Se le
opere in questione non sono d’eccezione, lo è però la figura dell’editore in analisi: Niccolò
Aristotele de’ Rossi, detto lo Zoppino. Nelle prossime pagine si esamineranno alcuni casi
significativi del rapporto tra l’editore e i poemi cavallereschi istoriati, per poi trarre qualche
conclusione generale.
1 E. FACCIOLI, Interpretazioni grafiche del poema cavalleresco, in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana, III, Le forme del testo. Teoria e poesia, Torino, Einaudi, 1984, 341-344: 342.
2 La costanza di queste caratteristiche è assai inferiore in altri centri tipografici importanti, ad esempio Milano, dove si registra un’oscillazione nei caratteri e nel formato delle immagini, ma soprattutto nella mise en page dei testi, con dieci, undici o dodici ottave per pagina, spesso senza spazi intermedi. Invece a Venezia, capitale dell’editoria, un genere di successo come il poema cavalleresco sviluppa in tempi assai brevi un format omogeneo e facilmente riconoscibile.
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2.
Tra le figure più importanti dell’editoria veneziana del primo Cinquecento, lo Zoppino è
sicuramente un editore cui si deve riconoscere il conseguimento di una precisa strategia
nell’influenzare e guidare i gusti del pubblico. È noto, ed è stato particolarmente studiato negli
ultimi anni, il suo ruolo di ‘editore del volgare’ (in primo luogo della letteratura volgare), con un
catalogo composto pressoché integralmente da testi in volgare, sempre aggiornato sotto il profilo
letterario e linguistico.3 Capacità d’iniziativa e interventismo non vengono meno nell’ambito
dell’ottava rima; anzi, è un campo in cui lo Zoppino ha un ruolo di particolare importanza,
anticipando tendenze destinate ad affermarsi del tutto alla metà del secolo.
La prassi iconografica rientra appieno nella politica zoppiniana: non soltanto la maggior parte
del nutrito elenco di testi cavallereschi stampati dall’editore è corredata da un apparato illustrativo
(in generale, oltre il 50% delle opere del catalogo è illustrata), ma lo Zoppino adotta anche soluzioni
originali, distaccandosi – a volte in maniera nettissima – dall’uso del tempo. Del resto, è più che
noto che proprio allo Zoppino si deve la prima edizione dell’Orlando furioso corredata da un apparato
illustrativo del tutto nuovo e creato appositamente, ed è sempre lui il primo ad avere l’idea di
limitare questo apparato a un’immagine per canto, dotando quindi le illustrazioni di una valenza
riassuntiva e selettiva rispetto al testo. La stessa eccezionale importanza di questo risultato, però,
rischia di oscurare le altre soluzioni interessanti e originali realizzate dall’editore nell’ambito del
rapporto testo-immagine del genere cavalleresco: soluzioni ancor più significative perché
costituiscono dei precedenti e poi una rapida codificazione dell’edizione del Furioso.
3.
Il primo caso in esame è il Grillo medico di Pierfrancesco de’ Conti, poemetto in ottava rima sul
contadino Grillo che si improvvisa medico e riesce a risalire la scala sociale, edito da Bianchino dal
Leone a Perugia nel 1518 e, dopo una prima ristampa nello stesso anno, dallo Zoppino a Venezia
nel 1519.4
Il poemetto occupa una posizione isolata nel catalogo dello Zoppino, perché precede l’interesse
dell’editore per la letteratura in ottava rima, destinato a dispiegarsi solo dal 1520; prima del Grillo,
3 Tra i contributi più importanti si segnalano L. SEVERI, Sitibondo nel stampar de’ libri. Niccolò Zoppino tra libro volgare, letteratura cortigiana e questione della lingua, Manziana, Vecchiarelli, 2009, e gli studi di Lorenzo Baldacchini, culminati nell’edizione degli annali zoppiniani, cfr. L. BALDACCHINI, Alle origini dell’editoria in volgare. Niccolò Zoppino da Ferrara a Venezia. Annali (1503-1544), Roma, Vecchiarelli Editore, 2011, su cui si veda anche la recensione di N. HARRIS, «The Library», s. 7, XIV/2 (2013), 213-217. Si vedano, inoltre, le pagine dedicate all’editore da HARRIS, L’avventura editoriale dell’«Orlando Innamorato», in AA.VV., I libri di «Orlando Innamorato», Modena, Panini, 1987, 35-100, e ID., Bibliografia dell’«Orlando Innamorato», II, Modena, Panini, 1988, 87-92.
4 Rispettivamente Opera nuova piaceuole, & da ridere, de un villano lavoratore nomato Grillo, che volse doventar medico, apresso un capitulo contra le male lingue, composta da Pier Francescho detto el conte da Camerino, Perugia, Bianchino dal Leone, 13 aprile 1518, e, con l’eliminazione del nome dell’autore,Opera nuova piacevole, da ridere de un villano lavoratore nomato Grillo quale volse doventar medico in rima istoriata, Venezia, Niccolò Zoppino e Vincenzo di Polo, 6 ottobre 1519. Per un’analisi dettagliata della trama e della fortuna del poemetto, nonché della sua curiosa storia editoriale, si veda L. RUBINI, The making of Grillo Medico, libretto di battaglia dell’editoria povera, in A. Messerli- R. Chartier (a cura di), Scripta volant, verbamanent.Schriftkulturen in Europa zwischen 1500 und 1900, Basel, Schwabe, 2007, 135-170.
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nel catalogo compaiono soltanto un paio di opere in ottave, sempre commissionate ad altri
tipografi. Anche la veste materiale della stampa isola il poemetto dalla restante produzione in ottave
dell’editore: invece di adeguarsi al formato imperante a Venezia, che adotta per gli altri testi in
ottava rima, lo Zoppino si rifà alla princeps perugina, riprendendone il formato minore (in ottavo) ma
soprattutto il testo stampato su un’unica colonna.5
Sotto quest’apparenza di passiva ripresa della princeps, tuttavia, l’edizione del Grillo medico rivela
un livello di interventismo raro perfino per un editore come lo Zoppino. Luisa Rubini ha messo in
luce che, fin dalla prima ottava, il testo viene sottoposto non a una semplice revisione linguistica
(secondo lo standard dello Zoppino) ma a una radicale operazione di riscrittura. Prendo a titolo di
esempio le ottave conclusive:
El Re tornò con ogni cavaliero, Grillo col suo garzon; tanto n’andava Che lui fu giunto ne la sua contrata Là dove ritrovò la sua brigata.
Di poco stette che tornò la moglie, Grillo gli ricontò la sua ventura, Così viverno con diletto e zoglie Né più lui non arò la terra dura E poser fin allor affanni e doglie E io posi ogni cosa in escrittura: A me fu ricontato, è forsi un anno, Se’l non fu ver voi ne n’haveriteel danno.
[Grillo medico, princeps, 108-109]
Così se diparte senza dimora Il re da Grillo e con ogni barone Ritornò alla città pien di stupore Non sil potendo trar fora dal core.
De Grillo la moglier che visto havia Lui torlicentia e di la terra uscire Subito da la corte si partia E da la lunga lo prese a seguire, E perché molta tema d’esso havia Non si volse per strata discoprire Ma a casa sua se n’andò prima d’ello E lì con gran piacer aspettò quello.
A la qual come giunse con gran gioia Grillo fu da la moglie e da’ figlioli Accolto e visse senza affanno e noia Da sé scacciando li passati duoli. Così adrieto portò sane le cuoia Con honor, da maligni invidi stuoli, Né volse a suo fratel parlar più mai E qui fo fin al dir ch’ho detto assai. [Grillo medico, Zoppino, 117-119]
La riscrittura è completa, e si basa in primo luogo sull’ampliamento (ottenuto attraverso
l’aggiunta di nuovi dettagli, in questo caso lo stupore del re e il comportamento della moglie di
Grillo) e su un andamento narrativo più marcatamente canterino: come sottolinea Rubini, il testo
originale, qualitativamente di miglior livello, si distingue per una maggior disponibilità verso la
descrizione realistica e una forte presenza della tradizione cavalleresca, anche di quella ‘alta’
(Boiardo in primis); mentre l’edizione veneziana punta sugli stilemi canterini e sull’esaltazione degli
elementi popolari.6 Sono tratti evidenti anche nelle ottave citate: si notino, in particolare,
5 Lo Zoppino, però, introduce uno spazio tra un’ottava e l’altra, stampando di conseguenza tre ottave e mezzo per pagina invece di quattro.
6 La riscrittura è più lunga dell’originale: 118 ottave contro 109. In essa viene assai attenuata la carica realistica, ad esempio nella scena in cui i figli chiedono a Grillo da mangiare (ottave 12-13), oppure nelle descrizioni del mercato o del duomo in un giorno di festa (la processione di storpi, nani e furfanti – una vera corte dei miracoli –, molti dei quali cercano di truffare Grillo, ottave 35-38). Anche le fitte reminescenze dell’Inamoramento (si ricorda che Pierfrancesco de’ Conti, prima del Grillo medico, aveva composto una delle continuazioni del poema boiardesco, e dunque ne aveva un’intima conoscenza) vengono attenuate o del tutto eliminate: per esempio, nella versione originale la principessa si chiama Fiordespina, particolare cassato nella
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l’eliminazione del riferimento alla vita contadina (l’atto di arare la terra dura) e la sostituzione, in
chiusura, della formula fiabesca (il rinvio alla fonte orale della storia) con una formula di commiato
standard dei cantari (è il momento di concludere perché si è già parlato molto).
Un’operazione del genere è quanto mai singolare nel panorama dell’editoria del tempo: in
un’ottica puramente commerciale, un cambiamento di questo livello (che implicava un deciso
investimento economico, e non era giustificato da alcuna esigenza legale, come la presenza di un
privilegio) risulta difficilmente spiegabile. In ogni caso, l’ammodernamento linguistico della
riscrittura e la sua esaltazione degli elementi popolari, in primo luogo comici (cosa che,
occasionalmente, determina un aumento della vivacità narrativa), vanno senz’altro incontro alle
esigenze del largo pubblico, e l’operazione è coronata dal successo: tutte le numerose edizioni
successive si basano sul testo zoppiniano, che soppianta completamente quello originale.
Al cambiamento testuale corrisponde l’unica modifica della veste materiale dell’edizione
Zoppino: il parallelo cambiamento dell’apparato illustrativo, che, pur evidentemente ispirato a
quello della princeps, acquista un valore e un’articolazione nuovi.7 La maggior complessità rispetto
alla prima edizione è già evidente dal frontespizio, che nell’immagine centrale riprende la xilografia
di Bianchino dal Leone (Grillo che spinge l’aratro), ma, fatto non comune a quest’altezza
cronologica, la arricchisce con altre immagini, avvalendosi della tecnica della ‘scena a più stazioni’.
All’interno del testo, lo Zoppino raddoppia il numero delle illustrazioni (si passa da quattro a otto
vignette, di cui una si ripete), collocandole a intervalli regolari e piuttosto ravvicinati e riservando la
massima cura al rapporto testo-immagine: l’ottava che segue l’illustrazione svolge sempre, di fatto,
la funzione di didascalia. Rispetto all’edizione perugina, lo Zoppino introduce tre immagini ex novo
nell’episodio della guarigione della principessa, il primo e il più lungo e complesso (occupa da solo
circa la metà del poemetto); aggiunge inoltre un’immagine relativa all’ultimo episodio, in cui si vede
Grillo che cavalca a fianco del re. In questo modo, la progressione delle illustrazioni riflette
l’andamento della storia, con la risalita sociale dell’umile contadino: dalla prima immagine, che
rappresenta la moglie di Grillo in atto sconfortato, si passa alla rappresentazione di Grillo al
mercato e al tempio, e quindi alla costante presenza del re, fino alla vignetta conclusiva – l’unica
appartenente al repertorio ‘cavalleresco’ in senso stretto – con la solenne cavalcata di Grillo, del
sovrano e della sua scorta. Le tre restanti vignette dello Zoppino riprendono le parallele xilografie
della princeps (la guarigione della principessa, la cura dei malati dell’ospedale, i ladri del tesoro), ma
non coincidono con esse. Le differenze sono tutt’altro che casuali: lo Zoppino si serve delle nuove
immagini per avallare i propri cambiamenti testuali.
Il caso più significativo è senz’altro il primo: l’episodio della guarigione della principessa,
ammalatasi per via di una lisca in gola. Osservando le due illustrazioni a confronto, salta agli occhi
che, pur mettendo in scena gli stessi personaggi (Grillo, il re e la principessa, più chiaramente
identificabili nella vignetta veneziana), esse sono completamente diverse.
riscrittura veneziana. Per tutti questi elementi si rimanda alla dettagliata analisi di L. RUBINI, The making…, 158-159. La storia della rielaborazione editoriale del Grillo medico non finisce qui: in seguito viene aggiunto un quinto episodio, anch’esso basato sul repertorio comico e popolare; l’aggiunta compare per la prima volta in un’edizione dei Bindoni-Pasini del 1528, ma non è escluso che sia stata introdotta anch’essa dallo Zoppino, in un’edizione intermedia andata perduta. Si veda ancora L. RUBINI, The making…, in particolare 22-23 e 33-34.
7 Secondo Essling, le illustrazioni del Grillo potrebbero essere opera del monogrammista B., che ha firmato altri legni per lo Zoppino: cfr. V. ESSLING, Leslivres a figuresvenitiens de la fin du xv siecle et ducommencementdu xvi, 4 voll., Firenze, Olschki, 1908-1914, n. 239 e 1522, e L. RUBINI, The making…, 157.
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Fig. 1. Grillo medico, cura della principessa; princeps,
c. Cr, Washington, Library of Congress, Rosenwald Coll. 546
Fig. 2. Grillo medico, cura della principessa; ed. Zoppino, c. B4v, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, FOAN TES 409
La diversità è motivata dal testo. Infatti, se normalmente la riscrittura del poemetto coinvolge
solo la forma, mentre la fabula della storia si sviluppa lungo la falsariga della princeps, nel caso della
guarigione della principessa l’operazione comporta anche un cambiamento narrativo. Nella versione
originale, Grillo provocava l’espulsione della lisca, causa della malattia, accendendo un gran fuoco e
facendo tossire la principessa; in quella dello Zoppino, con un tipico gesto dabuffone, al cospetto
del re unge con un panetto di burro le natiche della principessa, lei scoppia a ridere, la lisca viene
espulsa;8 e il cambiamento è puntualmente riprodotto nella xilografia.
4.
Dal 1520 lo Zoppino si dedica al genere cavalleresco con entusiasmo e sistematicità: non solo
pubblica un alto numero di testi in ottava rima, ma si avvale della diretta collaborazione di un autore
di professione, Niccolò degli Agostini, cui commissiona nuove opere. Sotto il profilo materiale, lo
Zoppino si adegua allo standard tipografico tipico dell’ottava rima a Venezia, che fin dai primi anni
del Cinquecento si distingue per la sua costanza, dotando i poemi cavallereschi di un’immediata
riconoscibilità anche sul piano estetico: formato in quarto (più raramente in ottavo), frontespizio in
caratteri gotici corredato da una xilografia, testo su due colonne di cinque ottave ciascuna,
intervallate da uno spazio bianco. A distinguersi, nelle edizioni dello Zoppino, sono proprio le
illustrazioni, che presentano delle caratteristiche singolari. In primo luogo, le dimensioni: invece di
adattarsi alla prassi delle xilografie della misura di un’ottava, facilmente inseribili in qualsiasi punto
della pagina senza alterarne lo specchio di stampa, lo Zoppino si avvale spesso di illustrazioni di
formato più grande, pari a due o quattro ottave o, occasionalmente, addirittura a tutta pagina.
Anche la cura del rapporto testo-immagine è del tutto insolita. Lo Zoppino non si sottrae alla prassi
– tanto caratteristica dei poemi cavallereschi – del riciclo delle xilografie e dell’utilizzo di immagini
generiche e facilmente adattabili (duelli, banchetti, assedi); ma si preoccupa di selezionare
l’illustrazione più adatta alla scena descritta, con un’attenzione che ricorda l’uso dell’editoria
quattrocentesca piuttosto che quello della stampa del pieno Cinquecento, più standardizzata e
serialema anche più trascurata.9
8 Cfr. L. RUBINI, The making…, 161. 9 Ne è un esempio l’Innamoramento di Lancillotto e Ginevra, corredato da sedici vignette delle dimensioni di
quattro ottave, non composte ad hoc per l’edizione ma spesso scelte e inserite con cura all’interno del testo.
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Ancora più spesso, lo Zoppino si avvale di un intagliatore cui, come già nel caso del Grillo medico,
commissiona direttamente le vignette. In questa prima fase d’entusiasmo dell’editore per il genere
cavalleresco, che coincide con gli anni di collaborazione con Agostini, sulle incisioni ricorrono in
particolare due sigle: I.B.P. e soprattutto Z.A. A dispetto dei numerosi contributi, l’identità dei due
monogrammisti non è stata accertata: tra le identificazioni più interessanti, si discute ancora la
coincidenza di I.B.P. con il cosiddetto ‘maestro dell’uccellino’ (la cui sigla consueta era I.B., seguita
dal disegno di un volatile),10 mentre fin dalla fine dell’Ottocento si sono individuati ben quattro
Zoan Andrea (Z.A.) silografi; ad oggi, l’identificazione più accreditata sembra essere quella con
Zoan Andrea Valvassore, detto il Guadagnino, più tardi celebre editore ariostesco.11 Di certo c’è
che, visto l’alto numero di opere da lui firmate o comunque riconducibili alla sua mano, Z.A. ha
avuto una fiorente attività nell’arco di tempo che va 1515 al 1526; e il suo principale interlocutore è
stato proprio lo Zoppino, per cui incide frontespizi e illustrazioni fin dal 1516.
Entrambe le sigle degli incisori (I.B.P. e Z.A.) compaiono in quella che, a mio parere, è una delle
più notevoli sperimentazioni dello Zoppino sotto il profilo illustrativo, che costituisce il secondo
esempio in analisi: Li successi bellici seguiti nella Italia dal fatto d'arme di Gieredada del 1509 fin al presente
1521, stampati nel 1521, di cui è autore, ancora una volta, Niccolò degli Agostini.
Alla pari del Grillo medico, si tratta di un caso interessante non solo per le immagini, ma come
esempio della capacità d’iniziativa a tutto tondo – sotto il profilo materiale e anche testuale – dello
Zoppino. I Successi bellici appartengono a un genere di grande successo nel periodo delle Guerre
d’Italia: i poemetti in ottave di argomento storico, che raccontano fatti realmente accaduti. Questo
poema, però, non è un cantare di poche carte, incentrato su un singolo episodio, ma una narrazione
lunga e articolata, che copre un arco di diversi anni; è forse il primo caso in assoluto, inoltre, a non
essere composto di materiali ‘riciclati’ (cantari di autori diversi o anonimi, assemblati e pubblicati
con un nuovo titolo), ma l’opera originale di un autore noto. Alla novità (o, per meglio dire, al
rinnovamento) sotto il profilo testuale si affiancano le novità della veste materiale: in questo caso,
l’apparato illustrativo.
Invece che da un alto numero di vignette di piccolo formato, come voleva la prassi del tempo, i
Successi bellici sono corredati da cinque legni a tutta pagina (di cui due si ripetono, per un totale di
sette illustrazioni): quattro firmati Z.A. e uno I.B.P., autore anche del frontespizio. È il primo caso,
10 Sui non risolutivi tentativi di accertare l’identità di I.B.P. si rimanda a HARRIS, Bibliografia..., I, 70-71; si veda anche G. ATZENI, Gli incisori alla corte di Zoppino, «ArcheoArte» 2 (2014), 299-328: 303, che si dice scettica sulla possibilità di identificare il monogrammista con il ‘maestro dell’uccellino’ per l’inferiore qualità delle sue incisioni; invece Baldacchini identifica I.B.P. con Giovanni Battista Porta, ma senza ulteriori spiegazioni. Gli studiosi concordano nel riscontrare una certa affinità di stile e di taglio tra I.B.P. e Z.A., tanto che «sorge il sospetto che si tratti di un unico, abile intagliatore, costantemente al servizio dello Zoppino», HARRIS, Bibliografia…, vol. I, 71.
11 I quattro Zoan Andrea, identificati grazie a DUC DE RIVOLI, C. EPHRUSSI, Zoan Andrea et seshomonimes, «Gazette des Beaux Arts», XXVI (1891), 401-415 e 225-244, sono Zoan Andrea Mantovano, un Zoan Andrea veneziano imitatore del Dürer, un altro Zoan Andrea veneziano che si firma I.A., e Zoan Andrea Valvassore; a questi si aggiunge un quinto nome, quello di Zoan Andrea da Brescia, seguace del Mantegna. L’identificazione dell’incisore dello Zoppino con Valvassore sembra data per certa da Baldacchini, mentre più scettico rimane Harris; è vero, per altro, che nell’edizione del 1526 di Erasmo da Rotterdam, VerginisMatrisapud Lauretum cultae liturgia, è presente una xilografia a tutta pagina firmata per esteso da Zovan. Andrea de Vavassori, mentre in altre opere compare la sigla ZAV. Ad ogni modo, come dice Harris, quello che conta davvero è sottolineare che Z.A. «deve aver diretto un atelier silografico importante, in cui si respiravano le varie correnti stilistiche del periodo […]. Si può, concordemente a quanto afferma Essling, IV, 109-116, parlare di una scuola, in cui s’incrociano ascendenze lombardo-venete, romane e durieriane», HARRIS, Bibliografia…, I, 71.
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a quanto mi è noto, di immagini di formato così grande per un poema in ottava rima; all’interno del
catalogo dello Zoppino, un precedente può essere però costituito dall’edizione in ottavo dei Trionfi
di Petrarca, stampata nel 1519, in cui ciascun trionfo si apre con un’illustrazione a tutta pagina
firmata Z.A.12 Altro elemento notevole, tutte le xilografie ad eccezione dell’ultima (che riproduce
l’immagine 4) sono corredate da un titolo:
1: il fatto d’arme di Gieradadda, Z.A.(canto I);
2: l’assedio di Padova, Z.A.(canto VI);
3: la presa di Brescia, Z.A.(canto X; riprende l’immagine 2);
4: il fatto d’armi di Ravenna, Z.A. (canto XII);
5: il fatto d’armi di Vicenza, Z.A.(canto XIV);
6: la rotta di Marignano, I.B.P.(canto XIX).
Sono, in ordine cronologico, quasi tutte le principali battaglie di questa fase delle Guerre d’Italia,
cominciando da Agnadello, celebre sconfitta veneziana, fino a Marignano, dove invece la
Repubblica trionfa.Ciascuna xilografia è collocata nel canto in cui vengono effettivamente narrate le
vicende rappresentate nell’illustrazione e declamate dal titolo. Rispetto alle precedenti edizioni
cavalleresche zoppiniane si può dunque parlare di un’evoluzione del rapporto testo-immagine: non
più un’illustrazione che traduce in immagini l’ottava corrispondente, e verso cui quindi il testo
svolge una funzione di didascalia, ma un’illustrazione che riassume gli eventi del canto ed è
corredata da una didascalia vera e propria. L’immagineassume insomma una funzione compendiaria
e rappresentativa rispetto al testo.
12 Triomphi di Messer Francescho Petrarcha istoriati con le postile [!] et con la sua vita improsa [!] vulgare nuovamente stampati, Venezia, Niccolò Zoppino e Vincenzo di Polo, novembre 1519: cfr. ESSLING, Leslivres…, I, n. 90, e BALDACCHINI, Alle origini…, 115 (scheda 82).
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Fig. 3. Successi bellici, Questa si è la presa di Brescia, c. E7v, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, FOAN TES 19
Fig. 4. Successi bellici, Questo è il fatto d’arme de Vicenza, c. I6v, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, FOAN TES 19
Fig. 5. Successi bellici, Questa si è la Rotta di Marigniano, c. N2v, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, FOAN
TES 19
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Anche la tipologia delle immagini differenzia i Successi bellici dalle tradizionali edizioni
cavalleresche istoriate. A differenza delle vignette comunemente utilizzate per i poemi in ottave,
che, anche a causa delle loro piccole dimensioni, privilegiano scene con pochi personaggi, queste
xilografie rappresentano tutte scene di massa, in cui al singolo eroe protagonista si sostituiscono gli
eserciti, con un’abbondanza di dettagli del tutto insolita nell’apparato figurativo standard del genere
cavalleresco; e, coerentemente con la raffigurazione di battaglie campali, accanto alla cavalleria viene
dato largo spazio anche alla rappresentazione della fanteria, distinta per i vestiti, l’assenza di
armatura e la tipologia delle armi (si notino le alabarde, spesso impugnate al contrario per
respingere l’assalto dei cavalieri). Inoltre, se Il fatto d’armi di Vicenza (fig. 4) dà risalto soprattutto alla
violenza plastica della scena, con l’intrico di combattenti e cadaveri di uomini e destrieri in primo
piano e sullo sfondo la cavalleria che sopraggiunge con le bandiere al vento, negli altri due esempi
riportati e in tutte le altre immagini si può constatare una massiccia presenza di elementi moderni.
In tutte le xilografie, ad esempio, salta agli occhi la diffusa rappresentazione delle armi da fuoco (in
particolare i cannoni) e delle ceste con le munizioni; nell’illustrazione de Lapresa di Brescia (fig. 3) ci
sono anche due uomini armati di colubrina (il cosiddetto cannone da braccio), mentre in quella de
La rotta di Marignano (fig. 5) si può vedere, in basso a sinistra, un fante intento a dar fuoco alle
polveri del cannone. Mentre nelle scene di scontri campali vengono posti in primo piano gli eserciti,
l’immagine della presa di Brescia, utilizzata anche per Padova, dovendo descrivere un assedio dà
coerentemente spazio alla rappresentazione della città: dai palazzi e dai portici ritratti sullo sfondo al
muro di cinta circondato da un corso d’acqua (effettivamente presente, nel Cinquecento, tanto a
Brescia che a Padova). Nel muro è stata aperta una breccia, dietro alla quale si può ravvisare una
riparazione provvisoria; mentre nell’angolo inferiore destro dell’immagine si vede quello che sembra
un ponte fortificato o una macchina da contro-assedio, poggiato su dei sostegni al di sopra
dell’acqua, da cui gli assediati respingono l’attacco dei nemici con picche e palle infuocate. In tutte
le immagini, ricorrono bandiere e stendardi con i gigli francesi e l’aquila a due teste imperiale; si noti
anche, sempre nell’illustrazione della presa di Brescia (fig. 3), che uno degli assediati brandisce un
bastone cui è appeso un animale (un piccolo felino o più probabilmente un roditore): forse uno dei
gesti simbolici verso i nemici, con valenza di sfida o di sfregio, tipici delle battaglie dell’epoca.
Non ci può essere dubbio che le xilografie siano state incise appositamente per i Successi bellici; e
tuttavia, il loro primo utilizzo non avviene in quest’opera, bensì nella prima edizione zoppiniana
dell’Inamoramento de Orlando, pubblicata qualche mese prima. Solo il frontespizio, firmato I.B.P., è
coniato ad hoc per questa stampa,e riproduce «in un’immagine compendiaria, secondo una tipologia
consueta […], i temi principali del poema boiardesco»:13 un cavaliere (verosimilmente Orlando) che
sconfigge un avversario, e sullo sfondo la bella Angelica e Cupido armato di arco e frecce. Invece le
immagini riprodotte all’interno del testo, una all’inizio di ciascun libro, corrispondono
rispettivamente alla rotta di Marignano, al fatto d’armi di Ravenna e al fatto d’armi di Vicenza dei
Successi bellici; nell’utilizzarli per l’edizione boiardesca, però, lo Zoppino li correda di un nuovo titolo
(Battaglia del primo libro del Conte Matteo Maria Boiardo; Battaglia del secondo libro…; Battaglie del terzo libro):
forse in questo modo, e selezionando le più ‘plastiche’ tra le xilografie a disposizione, cerca di
attenuare l’effetto incongruo causato dall’abbondanza di elementi moderni.
13 HARRIS, Bibliografia…,vol. I, 70.
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5.
L’apparato figurativo delle edizioni cavalleresche pubblicate dallo Zoppino in questa sua prima,
intensa fase di interesse per l’ottava rima configura una sorta di percorso verso il Furioso: da un lato,
una disponibilità a corredare i testi con xilografie originali grazie al rapporto con uno o più incisori;
dall’altro, il recupero di un legame diretto tra testo e immagine ormai trascurato dalle edizioni
cavalleresche (e presente invece, nell’officina di Zoppino, fin dalle prime edizioni in ottave, basti
pensare al Grillo medico), che poi evolve nella valenza riassuntiva che le immagini assumono rispetto
al testo (evidente nei Successi bellici, ma anche in altri casi, come la trasposizione in ottave delle
Metamorfosi)14. Nel 1530, dopo una prima edizione priva di illustrazioni, lo Zoppino stampa il suo
celebre Orlando furioso istoriato: la prima edizione ariostesca corredata da un apparato illustrativo
creato ad hoc, composto da una singola immagine per canto, in posizione di apertura, che ne
riassuma il contenuto e orienti lo sguardo del lettore.15
Gli studi hanno giustamente notato che le immagini del Furioso vengono immediatamente
riciclate in altre stampe dello Zoppino (ad esempio ne La liberazione di terra santa per re Carlo Mano di
Michele Bonsignori, già l’anno successivo, oppure ne I primi tre canti di Marfisa dell’Aretino),16
nonché riprese da altri editori (tra cui i Bindoni, Alvise Torti, i Nicolini da Sabbio, Nicolò di
Bascarini).17 Quello che preme di più sottolineare, però, è un altro aspetto, cui non si è dato
altrettanto risalto: non soltanto vengono riciclate le singole immagini del Furioso, ma la generale
soluzione illustrativa messa a punto per il poema ariostesco diventa, almeno nelle edizioni in ottave
dello Zoppino, una vera e propria prassi.
Si prenda l’elenco dei testi in ottava rima che lo Zoppino pubblica per la prima volta dopo
l’edizione del Furioso del 1530:
Luigi Pulci, Morgante maggiore, 1530. Xilografie in apertura di ciascun canto.18
14 Per l’apparato illustrativo del suo Tutti gli libri di Ovidio Metamorphoseos, lo Zoppino si ispira all’edizione del volgarizzamento di Bonsignori stampata da Cristoforo da Pensa nel 1501; ma, aggiungendo più di venti nuove vignette e riposizionandone alcune, modifica il rapporto testo-immagine in direzione di un legame più stretto e di una più forte valenza riassuntiva dell’illustrazione.
15 Nelle illustrazioni l’edizione Zoppino privilegia spesso ma non sempre il primo episodio del canto: per un’analisi dettagliata si rimanda a F. CANEPARO, Il Furioso in bianco e nero. L’edizione illustrata pubblicata da Niccolò Zoppino nel 1530, «Schifanoia», 34-35 (2008), 165-172.Le novità dell’edizione non sono soltanto iconografiche: rispetto all’edizione del 1524, lo Zoppino introduce una lettera ai lettori di propria mano, in cui sottolinea tra l’altro la presenza di una revisione testuale. Nel 1536 lo Zoppino pubblica una nuova edizione del poema ariostesco, che riprende il testo definitivo del 1532 e aggiunge all’apparato iconografico sei immagini di dimensioni più grandi per i nuovi canti: in proposito si veda il ricchissimo filone di ricerche diretto da Lina Bolzoni, innanzitutto l’archivio e collezione digitale L’Orlando Furioso e la sua traduzione in immagini, liberamente consultabile online (www.orlandofurioso.org/).
16 Rispettivamente La liberatione di terra santa per re Carlomano: et Argentino figliuolo di Rinaldo di Montalbano. Composta nuovamente per MichieleBonsignorifirentino: historiata: corretta: & con ogni diligenza stampata, Venezia, Niccolò Zoppino, 1531, e Tre primi canti di Marfisa del divino Pietro Aretino, nuovamente stampati, & istoriati, Venezia, Niccolò Zoppino, 1535, su cui cfr. L. DEGL’INNOCENTI, Testo e immagini nei continuatori dell’Ariosto: il caso uno e trino della Marfisa di Pietro Aretino illustrata coi legni del Furioso Zoppino,«Schifanoia», 34-35 (2008), 193-203.
17 Cfr. U. BELLOCCHI-B. FAVA, L’interpretazione grafica dell’Orlando Furioso, Reggio Emilia, Banca di credito popolare e cooperativo di Reggio Emilia, 1961.
18 Nel catalogo dello Zoppino figura un’edizione del Morganteantecedente a questa («dopo il 1527»: cfr. BALDACCHINI, Alle origini dell’editoria in volgare…, 200, scheda 211): si tratta però di una nuova emissione di una stampa di Manfredo Bonelli del 1507, di cui lo Zoppino ha ristampato le giacenze con un nuovo frontespizio. Le vignette di quest’edizione sono in numero inferiore.
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Michele Bonsignori, La liberatione di terra santa per re Carlo mano, 1531. Xilografie in
apertura di ciascun canto.
Marco Guazzo, Astolfo borioso, 1531. Xilografie in apertura di ciascun canto.
Francesco Tromba, Rinaldo Furioso. Libro secondo, 1531. Xilografie all’interno del
testo.
Marco Guazzo, Astolfo borioso seconda parte, 1533. Xilografie in apertura di ciascun
canto.
Pietro Aretino, Tre primi canti di Marfisa, 1535. Xilografie in apertura del canto I e
III e all’interno del testo.
Ludovico Ariosto, Orlando furioso, 1536. Xilografie in apertura di ciascun canto.
Lodovico Dolce, Dieci canti di Sacripante, 1537. Xilografie in apertura di ciascun
canto.
Sigismondo Paolucci, Continuatione di Orlando Furioso, 1543. Non illustrato.
Con l’eccezione del secondo libro del Rinaldo di Tromba (che riprende impostazione e apparato
iconografico del primo libro, stampato a monte del Furioso) e quella, parziale, dei Tre primi canti di
Marfisa (che ricicla le immagini del Furioso ma le posiziona sia a inizio canto sia all’interno del testo),
tutti i poemi in ottava rima editi dallo Zoppino dopo l’edizione ariostesca seguono la medesima
prassi illustrativa: un’immagine a inizio di ciascun canto, di formato piccolo o medio, che dovrebbe,
se non avere una funzione di compendio, quantomeno essere in un qualche rapporto con il testo.
Un caso particolare è costituito dall’Astolfo borioso, la cui princeps viene pubblicata tre mesi prima del
Furioso, nell’agosto 1530; nel 1531, tuttavia, il poema viene ristampato con un nuovo apparato
iconografico, che prevede una vignetta delle dimensioni di due o quattro ottave in apertura di
ciascuno dei quattordici canti.19
L’innovazione del Furioso, come si vede, acquista subito i contorni di un format costante: e
dunque, se indubbiamente è l’edizione Giolito del 1542 a stabilire il «paradigma illustrativo» dei
poemi cavallereschi stampati dalla metà del Cinquecento in poi,20 lo Zoppino, in questo come in
molti altri aspetti, costituisce un suo forte precedente e, si può dire, una sua anticipazione. Tuttavia,
visto che le sue soluzioni sono destinate, in un ristretto giro d’anni, ad essere superate e soppiantate
da esempi ben più sofisticati, il suo valore di rottura e l’importanza del suo contributo rischiano di
essere non dimenticati, ma in parte sottovalutati.
6.
Il corredo iconografico dei poemi cavallereschi costituisce sia una componente tutt’altro che
insignificante della politica editoriale dello Zoppino, sia una prospettiva particolare (e
particolarmente seducente) per osservare questa politica e identificarne le linee portanti e gli aspetti
più significativi. La prassi illustrativa del genere cavalleresco si basa, non diversamente dalla prassi
19 Pur non essendo propriamente una continuazione, l’Astolfo borioso si rifà in modo chiaro alla materia del Furioso; le svariate edizioni che si succedono alla princeps (1531, 1533, 1539), con l’aggiunta della seconda parte e altri cambiamenti, rendono via via più esplicito il rapporto di dipendenza con il capolavoro ariostesco, finché nel frontespizio del ’49 si dichiara che la storia in questione è quella «che segue alla morte di Ruggiero».
20 L’espressione è di DEGL’INNOCENTI, «Ex pictura poesis»: invenzione narrativa e tradizione figurativa ariostesca nelle Prime imprese del conte Orlando di Lodovico Dolce, in L. Bolzoni et al. (a cura di), «Tra mille carte vive
ancora». Ricezione del Furioso tra immagini e parole, Lucca, Pacini Fazzi, 2010, 303-320: 304.
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narrativa, sulle parole d’ordine di serialità, intercambiabilità e riciclo (cui si accompagna spesso una
qualità medio-bassa, che per altro non compromette necessariamente la godibilità – dell’immagine
come del testo). In questo quadro, lo Zoppino si può dire decisamente in contro-tendenza: l’analisi
delle sue edizioni cavalleresche istoriate, al di là del suo risultato più alto e più celebre (il Furioso), ne
evidenzia l’individualità e le scelte originali, e di conseguenza il costante livello di interventismo e la
forte funzione di mediazione svolta dall’editore, che si pone sempre come tramite tra i libri che
stampa e il pubblico a cui si rivolge. E questo non in contraddizione ma in parallelo con il
mantenimento delle componenti costanti del genere: le edizioni in ottava rima dello Zoppino non
rinunciano né sotto il profilo narrativo né sotto quello materiale ai meccanismi basati sulla serialità e
l’intercambiabilità o ai tratti popolari del genere; trovano anzi il modo di sfruttarli al meglio,
attraverso un loro rinnovamento.
Più nel dettaglio, la storia delle illustrazioni permette di evidenziare i due momenti più
significativi del rapporto tra lo Zoppino e la produzione in ottave. Il primo è costituito dagli anni
1520-1522: la prima fase di vero interesse dell’editore per la letteratura cavalleresca. Come mai fino
ad allora lo Zoppino abbia trascurato un genere dotato di un così vasto successo di pubblico, e così
in linea con il resto della sua produzione, non è chiaro; ma quest’ondata di interesse è da mettere
senz’altro in rapporto con la costante presenza di Niccolò degli Agostini nella sua tipografia.
Nell’immergersi nel mondo dell’ottava rima, infatti, lo Zoppino si muove ancora una volta lungo
una traiettoria originale: non si limita a ristampare testi noti, ma commissiona al suo collaboratore
una serie di opere inedite, che sfruttino dei fenomeni già esistenti e di sicuro successo (ad esempio,
la narrazione di episodi bellici contemporanei, il volgarizzamento in ottave delle Metamorfosi, le
storie arturiane) rielaborandoli però in forma assai più ampia e distesa; poi, grazie ai suoi rapporti
con un atelier silografico (proprio il biennio 1520-1521 rappresenta il picco della collaborazione tra
lo Zoppino e l’incisore Z.A., e il momento di massima attività per il silografo), completa
l’operazione attraverso la veste materiale, con un apparato illustrativo che spesso adotta soluzioni
inedite.
Il secondo, fondamentale momento cavalleresco dello Zoppino è costituito dalle edizioni
ariostesche, che si collocano in una fase per molti versi distinta del catalogo, caratterizzata
dall’apertura a molte nuove suggestioni, dalla Riforma luterana al teatro.21 Accanto all’originale
scelta illustrativa del Furioso del 1530, ripresa e arricchita nell’edizione del ’36, si assiste a un graduale
ma evidente cambio di rotta nell’intera produzione in ottave dello Zoppino: il modello di Boiardo
(ravvisabile nella fitta pubblicazione delle sue continuazioni, ma più in generale nel ruolo di
riferimento essenziale detenuto dall’Inamoramento per tutti i poemi in ottava rima) cede decisamente
il passo a quello di Ariosto; e quindi acquistano largo spazio, accanto alle edizioni del Furioso,
stampe dei suoi proseguimenti e delle sue imitazioni, nonché delle altre opere ariostesche.
In entrambe le fasi cavalleresche del suo catalogo, lo Zoppino anticipa tendenze destinate ad
affermarsi appieno e in una forma assai più sofisticata in un momento successivo, a cavallo o oltre
la metà del secolo. I Successi bellici sono considerati un’anticipazione del fenomeno della cosiddetta
popolarizzazione della storia; il volgarizzamento delle Metamorfosi di Agostini inaugura le varie
riscritture in ottava rima di Ovidio del secondo Cinquecento. Con la sua edizione del Furioso, lo
21 La morte di Vincenzo di Polo, socio dello Zoppino, funge da spartiacque per la divisione del catalogo in due fasi: la prima si potrebbe definire la fase della poesia cortigiana; la seconda vede un ridimensionamento della letteratura cortigiana a favore di altri settori (i volgarizzamenti, il teatro e la produzione religiosa) e di una generale apertura al ‘nuovo’. Cfr. SEVERI, Sitibondo…, e BALDACCHINI, Alle origini…, in particolare 44.
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Zoppino è il capostipite della celeberrima storia iconografica del poema ariostesco; allo stesso
tempo, però, le tappe successive di questa storia (le edizioni Giolito, Valvassori e Valgrisi), con il
loro tratto più raffinato, la composizione multi-episodica e la maggior complessità del rapporto
testo-immagine, si allontanano decisamente dall’ancor ‘popolare’ ciclo figurativo dello Zoppino. In
questo come in tutti gli altri campi di cui è precursore, dunque, lo Zoppino è sia un innovatore sia
l’‘ultimo rappresentate’ di un mondo editoriale in procinto di andare incontro a un’irreversibile
trasformazione. Come sottolinea Lorenzo Baldacchini, è una trasformazione che il passaggio
Zoppino-Giolito esemplifica perfettamente, con il contrastotra il «calore» dei libri dello Zoppino e
la «fredda eleganza giolitina»:
Questo calore è anche il segno di un’epoca che sta per finire. Quella sorta di sottile legame che è sembrato per un attimo istituirsi tra cultura letteraria “alta”e un mondo esterno, fatto anche di artisti di piazza, è destinato, se non a spezzarsi, a diventare in breve sottilissimo […]. Il tentativo dello Zoppino, che fu in fondo quello di instaurare un dialogo tra pari con il suo pubblico […], era destinato a rimanere sostanzialmente senza seguito.22
22 BALDACCHINI, Alle origini…, 49.