La letteratura della migrazione in Italia - Università degli Studi di … · 2015. 12. 9. ·...

28
La letteratura della migrazione in Italia CORSO DI LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA Cecilia Gibellini UNIVERSITÀ DI VERONA, A.A. 2015/2016

Transcript of La letteratura della migrazione in Italia - Università degli Studi di … · 2015. 12. 9. ·...

  • La letteratura della migrazione in Italia

    CORSO DI LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA

    Cecilia Gibellini

    UNIVERSITÀ DI VERONA, A.A. 2015/2016

  • Una definizione

    •  ‘Scrittori migranti’: sono quegli autori originariamente non italofoni, giunti in Italia da altri paesi (non solo da ex colonie italiane), che hanno deciso di usare l’italiano per forme di scrittura a vario titolo creative;

    •  Fenomeno solo parzialmente assimilabile alla ‘Letteratura post-coloniale’;

    •  Fenomeno che in Italia si manifesta a partire dagli anni Novanta, con caratteristiche proprie rispetto ad altri paesi europei.

  • Un fenomeno rilevante Dall’ultimo Bollettino di sintesi della Banca Dati BASILI (aggiornato al 27 febbraio 2012): •  481 scrittori catalogati; •  1497 schede bibliografiche, di cui: Ø  circa 800 riferite alla produzione narrativa (479

    racconti, 164 romanzi, 67 autobiografie, 16 ‘favole’, 4 reportages, 2 scritti di odeporica, 2 diari, un resoconto di viaggio, un ‘memoriale’, una raccolta di aforismi e una di proverbi);

    Ø  quasi 500 riferite alla produzione poetica (448 pubblicazioni di poesia, 35 antologie poetiche e un poema);

    Ø  la produzione restante variamente articolata in saggi (90), scritti di poetica (70), testi teatrali (17), articoli (7), pamphlet (3), interviste (3), una guida alla scrittura e una sceneggiatura.

  • Varietà delle provenienze geografiche

    • 36,6% dall’Europa • 29,9% dall’Africa • 19,4% dall’America • 13,5% dall’Asia Ø  Varietà delle provenienze sociali, culturali,

    linguistiche (si pensi agli autori provenienti dall’Europa dell’est; dall’America latina; dalle ex colonie italiane).

  • La translingua, lo spaesamento Fino a che essi sono propriamente migranti, rappresentano un patrimonio inestimabile per la cultura europea, perché la loro vita è una transesistenza, la loro lingua una translingua (Wakkas [Yousef Wakkas, scrittore siriano] dice che pensa in arabo e scrive in italiano: nella sua mente si traduce e le lingue coinvolte ne vengono travolte, noi anche, insieme) e la loro efficacia, se scrivono con creatività e talento, forza e senso, se li si lascia liberi di usare e trasformare la lingua italiana, se li si aiuta a pubblicare, in alcuni casi è travolgente e ci impensierisce davvero. (Armando Gnisci, Effetto di seconda, editoriale di «Kúmá», n. 9-10, 2005)

  • La forza della ‘parola errante’ El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. È il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa. È la parola della scrittura che attraversa quella di altre scritture, vi si deposita e la riveste della polvere del proprio viaggio all’insegna dell’uomo e del suo incessante cammino nell’esistenza. Cosa contraddistingue la migranza, la scrittura migrante, al di là della lingua in cui si esprime? L’identità multipla di cui è composta, la stratificazione di destini e progetti futuri che ne guida la voce. Una formula ogni volta differente che fa sì che in ogni momento sia altra, straniera a se stessa, in un continuo rinnovamento della propria volatile essenza. (Pap Khouma, Manifesto di El Ghibli)

  • La migrazione come condizione esistenziale

    La migrazione […] non è una qualità che forma e distingue la letteratura solo da un punto di vista sociale o in ragione della tematica (fissa) che tratta: quella dell’immigrazione, appunto, in senso proprio e dominante. La migrazione, invece, è una qualità primordiale (di ordine primo: alla lettera) del destino degli umani. È un valore e un dolore, o anche un’abitudine e un’avventura, che origina l’umanità come tale e le permette di produrre immaginario e discorsi. (Armando Gnisci, La letteratura italiana della migrazione, in Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Roma, 2003)

  • La lingua matrigna/1 Uno scrittore migrante lascia tre madri: la madre biologica (il mondo degli affetti); la madre patria (il mondo delle tradizioni e delle usanze) e la madre lingua (il mondo della struttura mentale). Una lingua non è solo uno strumento di comunicazione. È soprattutto uno strumento di identità. Una lingua è sempre associata ad immagini, a ricordi, a persone, a paesaggi, a colori, a sapori, suoni e odori. È una gamma di sensazioni che lascia tracce profonde sul corpo e sulla mente. È la parte sensibile della nostra struttura mentale. Sono le nostre prime vibrazioni. […] Chi vive l’infanzia in un paese, se lo porta in sé per tutta la vita insieme alla sua lingua.

  • La lingua matrigna/2 Lo scrittore migrante sarà quello che abbandonerà il proprio luogo di origine, come gli uccelli, per vivere altrove. Con due grandi differenze: gli uccelli, passato il periodo della migrazione, ritornano al posto di origine; raramente, gli esseri umani. Gli uccelli volano con le proprie ali nel paese di arrivo, mentre noi, scrittori migranti, dobbiamo acquisire nuove ali. E le nostre nuove ali sono la nostra nuova lingua. La lingua dell’infanzia è la nostra lingua madre; la lingua acquisita all’arrivo nel nuovo paese, sarà sempre una lingua matrigna. (testimonianza di Christiana de Caldas Brito, El Ghibli, 2007)

  • La lingua ‘paterna’ Ho provato i denti aguzzi della nostalgia e della solitudine, e in quel tempo di gelo, dove alcun abbraccio caloroso ha riempito il mio vuoto, ho trovato una unica dimora, la lingua di mio padre, l’Italiano, e ho capito che potevo abitarvi dentro e ricostruire il calore con la memoria della mia gente e del mio paese. E così oggi scrivo. Il mio è un italiano d’Etiopia, nato all’ombra dei sicomori e intriso dell’aroma di spezie e incensi, che risente delle lunghe giornate di pesca nel fiume Awash e nel lago di Metahara, quando alle nostre spalle scorrevano file di dromedari che venivano a pascolare nella savana. Un italiano pieno di immagini culturali etiopi, sguardi sulla natura e metafore care all’amharico; differente da quello parlato in Italia. (Gabriella Ghermandi, Il mio italiano di spezie e sicomori contro l’intrusione dell’inglese)

  • Lo sguardo ‘decolonizzato’ Il poliziotto cominciò a sfogliare il passaporto scritto in italiano di questo essere fuori dalla norma. Il poliziotto non aveva mai visto un passaporto straniero scritto in italiano e uno straniero che parlava così perfettamente l’italiano. E per di più cantava in italiano! Meglio di un napoletano come lui. Credeva che il passaporto fosse falso: “Chi vorrebbe il suo passaporto scritto in italiano al di fuori dell’Italia?”, si chiedeva, cosciente del ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo. “E come mai parla un italiano così perfetto? Ha l’accento fiorentino… uhm… È nero oppure è un italiano che si è tinto la pelle di nero?” Ma l’altro, la maschera somala, credeva che Roma fosse il mondo. Viveva ancora nel mito di una storia creata per lui e per le colonie. (Garane Garane, Il latte è buono, Isernia, 2005)

  • L’evoluzione

    •  Prima fase: gli scrittori, non ancora padroni della lingua, sono affiancati da coautori italiani, con diverse modalità di collaborazione (orale-scritto, scritto-scritto); prevalgono narrazioni di carattere autobiografico, di testimonianza;

    •  Seconda fase: gli scrittori diventano autonomi (si traducono, o scrivono direttamente in italiano); sperimentano generi diversi.

  • I temi

    •  I temi ‘forti’ sono innanzitutto quelli legati all’esperienza migratoria: il viaggio, la nostalgia, lo spaesamento, la solitudine, l’incontro con gli altri, gli stereotipi (da entrambe le parti), il ritorno;

    •  l’amore, gli affetti familiari, l’amicizia; l’infanzia, il ricordo che passa attraverso lo sguardo dei bambini.

  • L’arrivo Era felicissimo! Roma l’eterna era lì con le sue eccelse mura, di fronte ai suoi umili occhi […] Ma già nell’aeroporto si sentiva solo, in un posto chiuso e inospitale. C’erano facce che assomigliavano più agli arabi che ai Romani che lui si era immaginato attraverso letture storiche. Aveva sempre creduto che gli italiani fossero bianchissimi, lunghi. […] Cominciò a frugare nella sua borsa. Trovò il passaporto in cui era scritto Repubblica di Somalia. Lo guardò assorto. Era somalo, ma bianco dentro. Era un bianco dalla maschera nera. Il problema era che aveva sempre creduto che ciò che è interno può essere esterno anche. (Garane Garane, Il latte è buono]

  • Il ritorno Mi ritrovo nel limbo del migrante, solo e senza appartenenze, inadeguato qua e là, teso alla ricerca di una forma, di un limite corporeo che contenga la mia identità, e sempre più a rischio di frantumarmi in mille pezzettini. Non sono più argentino, se lo sono stato, e non sono ancora italiano, se mai lo sarò, e se voglio veramente esserlo. Mi credo disincarnato, un essere incorporeo bloccato a metà di un passo: bella cosa per uno che vive di ballo. (Miguel Angel Garcia, Il maestro di tango, 2005)

  • Ora non mi incanta più, né il successo, né la fama. Gioia e terrore il mio essere. Dolcemente l’Occidente mi sta uccidendo. Sogno spesso di tornare, dove nessuno mi attende. Nella mia patria sono uno straniero. Oltre la Parola nulla mi è rimasto.

    I giovani del villaggio domandano incuriositi quando mi vedono per le strade di trent’anni fa: «Chi è quel signore con la barba incanutita?» Altri mi scambiano per uno hoxhë “Cosa sei venuto a fare? – mi chiede una Voce – ciò che è andato via non tornerà mai più!” (Gezim Hajdari, dalle Liriche giovanili)

  • Qui tutto è cambiato: la collina, il paese, gli uomini. La tua vita di pastore di capre per sempre è stravolta. Ovunque tu vada ti sentirai uno straniero. Per chi ti ha amato rimarrai fuoco sospeso tra le sponde. Più passano gli anni, più ti convinci che nel villaggio dei siliquastri è inutile tornare. Vivrai con il sogno che un giorno finirà, l’unica speranza in esilio che ti terrà in vita! (Gezim Hajdari, Peligòrga, 2007)

  • Il ricordo, la nostalgia Lunedì 21 gennaio, ore 23.15 Quando mi ha chiamato, «Ahmed!», non l’ho riconosciuto subito. Ho sentito una mano sulla spalla e ho cercato di ricordare. «Sono Abdellah, il figlio del tuo quartiere. L’amico di tuo fratello Farid». Ricordavo appena il quartiere, mio fratello Farid, l’Algeria. Salutandomi mi ha detto: «Possiamo vederci venerdì prossimo alla grande moschea, così andiamo insieme in un ristorante marocchino lì vicino a mangiare il cuscus». A quel punto mi sono ricordato di quella volta in cui, assalito dalla nostalgia del cuscus, sono andato in un ristorante arabo e dopo qualche cucchiaio ho vomitato tutto. Solo dopo mi è venuto in mente che il cuscus è come il latte della madre, e ha un odore particolare che si può sentire solo accompagnato da baci e abbracci. (Amara Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio)

  • L’infanzia La visione del mondo di uno scrittore ha a che fare, prima di tutto, con il suo paese di origine. E qual è il paese di origine di uno scrittore? Quello in cui lo scrittore è nato? No. Il paese che lascia un’impronta indelebile su ognuno di noi non è necessariamente il paese in cui nasciamo, ma quello in cui abbiamo vissuto l’infanzia. La storia di ognuno di noi è vincolata ad eventi collettivi ma è anche legata ad una trama di accadimenti personali che segnano il nostro modo di essere ed il nostro modo di scrivere. Gioiosa o triste, luminosa o buia, l’infanzia è la vera patria di uno scrittore. È il paese in cui impariamo una lingua (o più di una) e in cui si forma il nostro inconscio. (Christiana de Caldas Brito, testimonianza su El Ghibli)

  • L’origine, fosse essa soltanto la nascita, accompagna e perseguita tutti; con essa, implicita in essa, viaggia anche la coscienza della fine, fosse essa soltanto la morte. Ma tra un’origine che si perde nella notte dei tempi e una fine di là da venire permane proprio il viaggio, ed il senso del suo andare. Per chi è nato in un luogo ed emigrato in un altro, quel viaggio è più che tangibile, vivo ogni momento dentro di lui. (Iosif Brodskij, La condizione che chiamiamo esilio)

  • Pap Khouma Nato a Dakar nel 1957 e arrivato in Italia negli anni Ottanta, vive a Milano dove lavora in una libreria, e si occupa di cultura e letteratura: è il direttore di «El-Ghibli», rivista on line di letteratura della migrazione, e il fondatore e direttore responsabile della rivista on line italo-africana «Assaman». Dopo il grande successo di Io, venditore di elefanti, scritto in collaborazione con Oreste Pivetta (il libro conta ben otto ristampe dalla prima edizione del 1990), ha pubblicato per Baldini & Castoldi Dalai il romanzo Nonno Dio e gli spiriti danzanti (2005), stavolta scritto autonomamente, e la raccolta di riflessioni, a metà strada tra reportage e fiction, Noi neri italiani (2010).

  • Jerry Masslo (Umtata, Sudafrica, 1959 – Villa Literno, Italia, 25 agosto 1989)

  • •  Video: https://www.youtube.com/watch?v=QAbIlFIZMHw

    •  https://www.youtube.com/watch?v=cfA8pyziMOs